Tumgik
#macchina della morte e di chi ti è morto
arreton · 2 years
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Pensi che in Campania la vita sia migliore che in Sicilia? Se sì perché e se no perché?
Uau che bello, mi sento intervistata! Grazie per la domanda anon, mi fa piacere che mi si venga chiesto un mio parere (e pure all'improvviso!) mi dà modo di riflettere.
È una domanda bella tosta, eh. È doloroso per me parlare della Sicilia. Io mi sento offesa nel personale dai siciliani e dalla cultura che si vive in Sicilia. Se sei una persona che un minimo di vita interiore e di raziocinio la Sicilia è la morte pura. Se ci metti poi in mezzo un carattere introverso ed una famiglia che non tiene soldi, senti il tuo destino segnato per sempre. Ti senti morire dentro. Ma questo non so se sia quello che mi hai chiesto tu quindi cerco di non divagare.
Se per "vita" intendi dal punto di vista lavorativo qua in Campania sei sempre al sud: contratti minimi (nel mio contratto avevano segnato 14h settimanali quando io facevo 7h½ al giorno!), orari improbabili (al supermercato avevano iniziato a chiedermi di lavorare 11h al giorno e sole due domeniche libere al mese!). Lo stipendio più alto 800€ al mese, poi va beh se vivi per l'azienda che ti assume allora arriviamo anche ai 1000€. Ovviamente se devi pagarti affitto e bollette e sei da solo non ce la fai. So che ci sono anche qua stipendi da €350 al mese, chi non fa contratti, chi pretende che gli si dica grazie che ti sta facendo lavorare ecc ecc. MA qua i colleghi parlano, si lamentano tra di loro, SI LICENZIANO. Ovviamente non vanno oltre, non denunciano, figurarsi. Però c'è ancora una sorta di vitalità operaia. Cosa che invece in Sicilia non esiste: per i lavori più duri (10h nelle serre) devi dire grazie se ti fanno i contratti agricoli e ti danno quel minimo che ti permetta di prendere poi a fine stagione la disoccupazione agricola; se sei femmina lo stipendio più alto è di 450/500€ (quando sei fortunata, si parte dai 250€) al mese da commessa di negozio, se lavori da femmina nelle aziende agricole facciamo anche 750€ al mese, la paga più alta, il contratto va a discrezione dell'azienda. Per entrambi i sessi i contratti comunque quasi non esistono, infatti c'è chi si fa ingaggiare da gente che fa questo per "mestiere" per ricevere la disoccupazione agricola in estate (che divide con quello che l'ha ingaggiato) ed intanto lavora in nero da qualche altra parte. La paga giornaliera per 10h al giorno buttato nelle serre (maschio o femmina che tu sia) oscilla dai 35€ ai 45€ se sei fortunato, se lavori "a giornata" ovviamente non sei assicurato dunque se muori sono cazzi tuoi. Se lavori nei mercati sai quando inizi e non sai quando finisci, ti possono chiamare anche per due ore di lavoro o per 12h. Per loro tutto questo è normale. Se non hai una macchina sei fottuto: niente lavoro, niente visite mediche, niente uscita con gli amici perché per avere un po' di "movida" (coglioni aggregati in bar/pub/pizzerie) devi farti almeno mezz'ora di macchina. Se sei una pendolare che va all'università non sei pendolare, semplicemente non frequenti le lezioni e ti presenti solo per gli esami, impossibile essere pendolare. Essere pendolare significa essere automunito, non c'è nessun servizio pubblico. Io vivo in un paese medio-grande, siamo più di 60mila abitanti ma non c'è nemmeno una libreria: quelle che c'erano le hanno fatte chiudere. Ovviamente nessuna mostra d'arte; abbiamo un cinema con tre sale; un'ospedale abbastanza grande ma ci entri vivo o quasi e rischi di uscirci morto in entrambi i casi, va a fortuna, fino ad ora io sono stata fortunata ma c'è chi non ha avuto le mie stesse fortune; nessun evento culturale; qua (nel mio paese in sicilia) la musica non sanno nemmeno cosa sia; tanto meno l'arte. La scuola serve alle femmine per non farle stare a casa fino ai 18 anni, chi non figlia prima aspetta qualche anno e si sposa, sempre le femmine quando vanno all'università aspettano la laurea e poi si sposano, il punto è solo sposarsi alla fine e fare figli ovviamente. I maschi o non vanno a scuola e li buttano nelle serre o finiscono le superiori e li buttano nelle serre, tutti perlopiù delinquenti. Chi si laurea è perlopiù un figlio di avvocato o ingegnere che grazie a papi va al nord e piange sempre la sua "amata terra" la sua "famiglia", ovviamente sono tutti dottori in qualche cosa e tutti che si frequentano tra loro nei baretti "fighi" della città quando scendono per le ferie. Sono solo dei privilegiati che non sanno cosa significa perdere tutto da un momento all'altro. Ma qui sto cadendo nel culturale e non ho abbastanza informazioni sulla Campania per poter fare un confronto. Anche se a occhio, a pelle, direi che si sta un pochino meglio.
Per il contesto da cui sono partita io dalla Sicilia ed il contesto che ho trovato qua in Campania posso dirti che qua a confronto è civiltà. Questo paese (quello campano dove ho avuto modo di vivere) è poco più della metà in popolazione rispetto al mio natìo ma qua ho conosciuto: un po' di natura, treni, autobus, presentazioni di libri, concerti anche di gente famosa (che poi a me fanno cagare è un altro discorso), boh qua c'è pure il partito comunista figurati; prima che l'ex sindaco fosse stato messo ai domiciliari per associazione mafiosa (ovviamente) c'erano ancora più eventi, tantissime luminarie per il periodo di natale, una volta hanno fatto pure il beach volley in piazza, figurati; le scuole di danza organizzano i saggi di fine anno in piazza; c'è sempre movimento il sabato sera. Io odio anche questi qua eh. Cristo santo li prenderei a pedate nel muso per quanto sono maleducati anche qua, ma almeno qua non ci sono motorini cosa che invece c'è giù da me manco fossimo a Napoli!
Si vive dunque meglio in Campania rispetto alla sicilia? Se vuoi essere autonomo avere un buon lavoro ed un affitto puoi morire pure qua in Campania. Personalmente mi sono trovata meglio perché mi ha fatto staccare da un contesto familiare tossico e misero, un contesto socio-culturale inesistente e delle persone disposte ad aiutarmi (in fondo anche qua trovi lavoro se hai delle conoscenze) oltre ad avere anche qualcuno che credeva in me, cose che non ho in Sicilia.
Io sono di parte e posso dirti che la Sicilia la odio e mi fa schifo. Tutti quelli che mi dicono "bella però la Sicilia" rispondo "solo se la frequenti da turista". Le poche persone siciliane che ho conosciuto e che meritano sono tutte persone rotte spiritualmente da contesti familiari assurdi, condizioni economiche sempre sul filo, contesti socio-culturali avvilenti. Mi dicono "va beh ma non è da tutte le parti così, in Sicilia", io penso che sì la tendenza generale è questa, qualche eccezione credo che sia veramente rara. Francamente schifo la Sicilia e non mi manca niente di là. Solo dei formaggi che fanno al paese mio e che qua non fanno ed il pane che francamente al paese mio è più buono, qua mi fanno quasi tutti cacà. Gli arancini quando voglio me li faccio, stessa cosa per i cannoli, la granita e la brioche col tuppo o i dolci con la ricotta che qua in questo paese della Campania che ho frequentato non esistono quasi; preferisco la montagna al mare; l'autunno/inverno ad una perenne cazzo di estate umida e asfissiante; preferisco sentire di avere la possibilità di arrivare con 3h di treno a Roma piuttosto che sapere che mi ci vogliono 4h di autobus (con due soli autobus giornalieri) che mi portano a Palermo (tra l'altro non ci sono mai stata). L'unico posto del mio cuore della Sicilia sarà sempre e solo Ragusa, per il resto non ho proprio interesse a scoprire di più e fosse per me non ci tornerei affatto.
Ma devi leggere tutto questo come resoconto di una mi esperienza personale quindi vale quel che vale.
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gabrielerossini1987 · 2 years
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Anonimo ha chiesto: Pensi che in Campania la vita sia migliore che in Sicilia? Se sì perché e se no perché?
Uau che bello, mi sento intervistata! Grazie per la domanda anon, mi fa piacere che mi si venga chiesto un mio parere (e pure all'improvviso!) mi dà modo di riflettere.
È una domanda bella tosta, eh. È doloroso per me parlare della Sicilia. Io mi sento offesa nel personale dai siciliani e dalla cultura che si vive in Sicilia. Se sei una persona che un minimo di vita interiore e di raziocinio la Sicilia è la morte pura. Se ci metti poi in mezzo un carattere introverso ed una famiglia che non tiene soldi, senti il tuo destino segnato per sempre. Ti senti morire dentro. Ma questo non so se sia quello che mi hai chiesto tu quindi cerco di non divagare.
Se per "vita" intendi dal punto di vista lavorativo qua in Campania sei sempre al sud: contratti minimi (nel mio contratto avevano segnato 14h settimanali quando io facevo 7h½ al giorno!), orari improbabili (al supermercato avevano iniziato a chiedermi di lavorare 11h al giorno e sole due domeniche libere al mese!). Lo stipendio più alto 800€ al mese, poi va beh se vivi per l'azienda che ti assume allora arriviamo anche ai 1000€. Ovviamente se devi pagarti affitto e bollette e sei da solo non ce la fai. So che ci sono anche qua stipendi da €350 al mese, chi non fa contratti, chi pretende che gli si dica grazie che ti sta facendo lavorare ecc ecc. MA qua i colleghi parlano, si lamentano tra di loro, SI LICENZIANO. Ovviamente non vanno oltre, non denunciano, figurarsi. Però c'è ancora una sorta di vitalità operaia. Cosa che invece in Sicilia non esiste: per i lavori più duri (10h nelle serre) devi dire grazie se ti fanno i contratti agricoli e ti danno quel minimo che ti permetta di prendere poi a fine stagione la disoccupazione agricola; se sei femmina lo stipendio più alto è di 450/500€ (quando sei fortunata, si parte dai 250€) al mese da commessa di negozio, se lavori da femmina nelle aziende agricole facciamo anche 750€ al mese, la paga più alta, il contratto va a discrezione dell'azienda. Per entrambi i sessi i contratti comunque quasi non esistono, infatti c'è chi si fa ingaggiare da gente che fa questo per "mestiere" per ricevere la disoccupazione agricola in estate (che divide con quello che l'ha ingaggiato) ed intanto lavora in nero da qualche altra parte. La paga giornaliera per 10h al giorno buttato nelle serre (maschio o femmina che tu sia) oscilla dai 35€ ai 45€ se sei fortunato, se lavori "a giornata" ovviamente non sei assicurato dunque se muori sono cazzi tuoi. Se lavori nei mercati sai quando inizi e non sai quando finisci, ti possono chiamare anche per due ore di lavoro o per 12h. Per loro tutto questo è normale. Se non hai una macchina sei fottuto: niente lavoro, niente visite mediche, niente uscita con gli amici perché per avere un po' di "movida" (coglioni aggregati in bar/pub/pizzerie) devi farti almeno mezz'ora di macchina. Se sei una pendolare che va all'università non sei pendolare, semplicemente non frequenti le lezioni e ti presenti solo per gli esami, impossibile essere pendolare. Essere pendolare significa essere automunito, non c'è nessun servizio pubblico. Io vivo in un paese medio-grande, siamo più di 60mila abitanti ma non c'è nemmeno una libreria: quelle che c'erano le hanno fatte chiudere. Ovviamente nessuna mostra d'arte; abbiamo un cinema con tre sale; un'ospedale abbastanza grande ma ci entri vivo o quasi e rischi di uscirci morto in entrambi i casi, va a fortuna, fino ad ora io sono stata fortunata ma c'è chi non ha avuto le mie stesse fortune; nessun evento culturale; qua (nel mio paese in sicilia) la musica non sanno nemmeno cosa sia; tanto meno l'arte. La scuola serve alle femmine per non farle stare a casa fino ai 18 anni, chi non figlia prima aspetta qualche anno e si sposa, sempre le femmine quando vanno all'università aspettano la laurea e poi si sposano, il punto è solo sposarsi alla fine e fare figli ovviamente. I maschi o non vanno a scuola e li buttano nelle serre o finiscono le superiori e li buttano nelle serre, tutti perlopiù delinquenti. Chi si laurea è perlopiù un figlio di avvocato o ingegnere che grazie a papi va al nord e piange sempre la sua "amata terra" la sua "famiglia", ovviamente sono tutti dottori in qualche cosa e tutti che si frequentano tra loro nei baretti "fighi" della città quando scendono per le ferie. Sono solo dei privilegiati che non sanno cosa significa perdere tutto da un momento all'altro. Ma qui sto cadendo nel culturale e non ho abbastanza informazioni sulla Campania per poter fare un confronto. Anche se a occhio, a pelle, direi che si sta un pochino meglio.
Per il contesto da cui sono partita io dalla Sicilia ed il contesto che ho trovato qua in Campania posso dirti che qua a confronto è civiltà. Questo paese (quello campano dove ho avuto modo di vivere) è poco più della metà in popolazione rispetto al mio natìo ma qua ho conosciuto: un po' di natura, treni, autobus, presentazioni di libri, concerti anche di gente famosa (che poi a me fanno cagare è un altro discorso), boh qua c'è pure il partito comunista figurati; prima che l'ex sindaco fosse stato messo ai domiciliari per associazione mafiosa (ovviamente) c'erano ancora più eventi, tantissime luminarie per il periodo di natale, una volta hanno fatto pure il beach volley in piazza, figurati; le scuole di danza organizzano i saggi di fine anno in piazza; c'è sempre movimento il sabato sera. Io odio anche questi qua eh. Cristo santo li prenderei a pedate nel muso per quanto sono maleducati anche qua, ma almeno qua non ci sono motorini cosa che invece c'è giù da me manco fossimo a Napoli!
Si vive dunque meglio in Campania rispetto alla sicilia? Se vuoi essere autonomo avere un buon lavoro ed un affitto puoi morire pure qua in Campania. Personalmente mi sono trovata meglio perché mi ha fatto staccare da un contesto familiare tossico e misero, un contesto socio-culturale inesistente e delle persone disposte ad aiutarmi (in fondo anche qua trovi lavoro se hai delle conoscenze) oltre ad avere anche qualcuno che credeva in me, cose che non ho in Sicilia.
Io sono di parte e posso dirti che la Sicilia la odio e mi fa schifo. Tutti quelli che mi dicono "bella però la Sicilia" rispondo "solo se la frequenti da turista". Le poche persone siciliane che ho conosciuto e che meritano sono tutte persone rotte spiritualmente da contesti familiari assurdi, condizioni economiche sempre sul filo, contesti socio-culturali avvilenti. Mi dicono "va beh ma non è da tutte le parti così, in Sicilia", io penso che sì la tendenza generale è questa, qualche eccezione credo che sia veramente rara. Francamente schifo la Sicilia e non mi manca niente di là. Solo dei formaggi che fanno al paese mio e che qua non fanno ed il pane che francamente al paese mio è più buono, qua mi fanno quasi tutti cacà. Gli arancini quando voglio me li faccio, stessa cosa per i cannoli, la granita e la brioche col tuppo o i dolci con la ricotta che qua in questo paese della Campania che ho frequentato non esistono quasi; preferisco la montagna al mare; l'autunno/inverno ad una perenne cazzo di estate umida e asfissiante; preferisco sentire di avere la possibilità di arrivare con 3h di treno a Roma piuttosto che sapere che mi ci vogliono 4h di autobus (con due soli autobus giornalieri) che mi portano a Palermo (tra l'altro non ci sono mai stata). L'unico posto del mio cuore della Sicilia sarà sempre e solo Ragusa, per il resto non ho proprio interesse a scoprire di più e fosse per me non ci tornerei affatto.
Ma devi leggere tutto questo come resoconto di una mi esperienza personale quindi vale quel che vale.
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docteurieux · 5 years
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Una Vita del Gatto - 58° episodio #gattacci #gattini #gattoni #micioni #robottoni #selfdestruction #漫画 #猫 #野良猫 #子猫 #ロボット猫 #clipstudiopaint #huiontablet
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corallorosso · 3 years
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“Cosa significa essere un medico nero a Chioggia nel 2021. È il 2 giugno, stai aspettando con la tua bimba che il suo papà torni dal lavoro per mangiare una pizza. Invece ti arriva una telefonata in cui lui ti dice con voce strozzata che ha chiamato la polizia perché lo stanno inseguendo in moto e lo vogliono picchiare. Se sei un medico fiscale nero e lavori a Chioggia è questo quello che ti succede. Succede che in orario di visita un uomo che non era in casa, avvisato telefonicamente dai vicini, arriva in bicicletta indossando il costume e invece di giustificare con vergogna la propria assenza, ti sequestra chiudendo il cancello della palazzina e ti minaccia ripetutamente di morte. Succede che avvicina la mano a un bastone mentre ti urla "Negro di merda, da qui non esci vivo", "Non puoi venire in Italia a fare il cazzo che ti pare", “Tu mi firmi che ero in casa o ti spacco la testa”, poi ti strappa il tablet dalle mani e lo scaraventa su un muretto rompendolo in mille pezzi. Succede che tutto avviene davanti ai vicini affacciati alle finestre e ai cancelli e, mentre tu chiedi "Per favore chiamate la polizia", "Per favore aprite il cancello", loro ti guardano sghignazzando, si piazzano sulla sedia che lui ci ha messo davanti per bloccarti la strada e si prendono gioco di te "No, adesso te la vedi con lui". Succede che nonostante le tue richieste di aiuto di fronte a un uomo violento, nessuno viene in tuo soccorso o prova a calmarlo. Anzi, mentre tu tenti di chiamare il 112 in un momento di distrazione dell'uomo, le vicine lo informano che hai chiamato la polizia, che hai il cellulare nascosto tra i fogli e lui te lo strappa privandoti della tua unica possibilità di salvezza. Succede che per salvarti la vita vieni obbligato a sottoscrivere il falso e quando finalmente riesci ad allontanarti e ad entrare nella tua auto, l'uomo ti raggiunge per dirti "Sei morto, ti vengo a prendere" e con violenza inaudita divelle la maniglia della portiera dell’auto di cui stai pagando le rate, per scagliarla contro il tuo finestrino. E mentre tu tenti di andartene, un altro vicino gli offre un passaggio in moto per inseguirti mentre scappi. Perché sei nero. Non importa se sei la persona più buona e corretta del mondo, se ti sei laureato in medicina a Padova, se parli italiano meglio di un madrelingua, se ti presenti sul lavoro sempre ben vestito e con un cartellino identificativo, se sei sempre cordiale ed educato. A Chioggia sei un nero di merda. E dopo mesi di lavoro in una città tanto ostile ti abitui alla maleducazione della gente che ti accoglie sempre con un "Che cosa vuoi? Vattene da qui" senza mai lasciarti il tempo di dire chi sei. Ti abitui alla sconcertante mancanza di vergogna di tutti quelli che ti intimano di andartene mentre sei seduto in macchina ad aspettare tranquillo l'orario delle visite. Ti abitui ad ascoltare il loro agghiacciante "Eh sai (dandoti rigorosamente del tu), ci sono stati dei furti qui in zona" quando chi ha provato a cacciarti malamente è il destinatario della visita fiscale. Ti abitui al macellaio del paese che, dopo aver parlato mezz’ora serenamente con te e averti indicato alcuni indirizzi impossibili da trovare , chiama la polizia dicendo che c'è un uomo sospetto davanti al suo negozio. Ti abitui all'ignoranza razzista di una comunità che ti fa tornare a casa ogni sera con l'amaro in bocca, un senso di inadeguatezza e di profonda tristezza. Cerchi perfino di giustificare la signora che, dopo averti fatto entrare e accomodare in casa per procedere alla visita, scappa improvvisamente impaurita per le scale urlando "Mi vuole derubare, mi ha spruzzato qualcosa in faccia" perché a distanza di due metri da lei hai pulito col disinfettante il tablet prima di appoggiarlo sul tavolo per tutelare la sua salute. Chissà se qualcuno si è chiesto quanta paura abbia provato l'uomo nero vedendo arrivare il vicino di casa che brandiva un cacciavite. È troppo per un uomo. È troppo per un bravo ragazzo. È troppo per la società del ventunesimo secolo. È troppo per me, che lo amo e non posso continuare ad aver paura di non veder rincasare la sera il meraviglioso padre di mia figlia. Non è più ignoranza, maleducazione o stupidità. Questa è violenza. Violenza del branco.” Francesca Moro, moglie del medico aggredito a Chioggia
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sandnerd · 4 years
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L’attacco dei giganti - Ep 66 - Assalto
IN ITALIA L’ANIME E’ DISPONIBILE GRATUITAMENTE SULLA PIATTAFORMA VVVVID! SUPPORTIAMOLA! ---->  https://www.vvvvid.it/show/1414/l-attacco-dei-giganti-la-stagione-finale/1538/693879/assalto
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Okay, pronti tutti che questa puntata mi faceva venire l'acquolina in bocca già dalle anticipazioni. Datemi il mio Ackermann preferito che volteggia e gliene da di santa ragione a tutti, compresa quella cocuzza di Eren. Siccome gli autori sanno che ci hanno caricato abbestia con la fine dello scorso episodio, ci ripropongono lo sbigottimento di Porko davanti a questi demoni che con una tranquillità invidiabile puntano a ucciderlo. Le fazioni si schierano, da una parte Eren, protetto da Mikasa, per lei non è cambiato niente da 4 stagioni a questa parte, e tutta la guarnigione di ricerca con in testa Levi, capace di caricare i soldati anche solo respirando. Dall'altra abbiamo il gigante carro, Pieck, padrona della situazione, ha perso dieci minuti per andare a prendere le mitragliatrici perchè aveva previsto che sarebbero state utilissime contro il dispositivo di manovra tridimensionale, quando dico che lei è una dei pochi che ragiona non lo dico a caso; poi abbiamo il gigante mascella, una cocuzza pure lui sostanzialmente, e Zeke, che bello tranquillo passeggia finchè non arriva alla piazza. 
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Falco riemerge da delle mani giganti che lo hanno protetto e si ritrova a guardare dal basso la scena della piazza. La bestemmia contro Eren Yaeger non gliela toglie nessuno, e lo capisco onestamente, ma la sua preoccupazione è Reiner, che sembra impossibilitato a muoversi. La rigenerazione non sembra che stia funzionando, e questo perchè il portatore deve volere vivere, ma Reiner già dalla scorsa puntata aveva implorato Eren di ucciderlo quindi non ha più voglia di continuare ora che vede la speranza della morte così vicina. Sono una manciata di secondi ma sono talmente carichi di commozione che ti ritrovi a piangere senza motivo, Reiner è capace di questo, se un personaggio che prima ti stava sulle scatole ora ti commuove è testimonianza forte di quanto sia scritto bene. Mentre io mi asciugo gli occhi andiamo avanti. 
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Il piano basilare è permettere ad Eren di divorare il gigante martello, impresa non facile perchè a mettere i bastoni tra le ruote ci sono Pieck e Porko, nonchè il cristallo con cui Lara si sta proteggendo e contro cui Eren sta sfracellando i denti, ma la pazienza non ci manca visto che Lara non ha più energia e punta tutto su quel cristallo difensivo. Salutiamo morto uno, due e tre che tentano di uccidere il gigante carro ma vengono uccisi dal gigante mascella. La situazione sembra bloccata, e Pieck calma Porko perchè figurati, staranno finendo i rifornimenti di gas e armi, qui a Marley non hanno depositi nè punti sicuri, finirà che non sapranno più dove rifugiarsi quindi non perdere la testa, la loro priorità è proteggere Zeke, che in battaglia ha il potenziale più alto. Beh ha ragione, è vero che non hanno rifornimenti o rinforzi...non ancora almeno. Zeke qui si sbilancia, afferma che il suo avversario non è Eren bensì Levi. E Pieck mi è sembrata perplessa, lei la testa la usa e le parole di Zeke non la lasciano tranquilla (e fa bene). Ma evitiamo insinuazioni, Levi si sta effettivamente nascondendo e guarda l'orologio, porca miseria avrà mancato il tè delle 5? nascondetevi tutti se è così. 
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Falco e Gabi si ritrovano e Magath è esasperato perchè questi mi usano il campo di battaglia come prato dell'asilo, ma Falco dice a Magath che Reiner si trova dietro la piazza e che ha bisogno di aiuto. Ci spostiamo al porto, la flotta di rinforzo marleyana sta arrivando ma fra loro si insinua una barchetta con una figura incappucciata. Il capitano di una delle navi gli dice di andarsene che non è ora di pescare, ma la figura incappucciata si toglie il cappuccio e salutiamo il più intelligente di tutti, Armin! Che si trasforma generando un’esplosione tale da prosciugare le acque lì vicino e distoglie l'attenzione di tutti quelli che sono in piazza. Orchestrazione perfetta direbbe qualcuno, perchè Levi sfrutta questa distrazione per mettere k.o. il gigante bestia, così si toglie di torno questa seccatura. E non hanno più fatto vedere Zeke, sarà morto? MAGARI. Armin fa qualche passo ma poi esce dal gigante, e guardando la distruzione e le vittime che ha causato non fa a meno di pensare a Berthold e con le lacrime agli occhi chiede se era questo che lui vedeva. Anche qui la lacrimuccia scappa perchè ti rendi conto di quanto un animo gentile come quello di Armin si possa sentire impotente davanti alla crudeltà degli uomini, marleyani ed eldiani, la cattiveria che trasuda dalle azioni di entrambi non risparmia la sofferenza a chi non c'entra niente come i bambini o le famiglie che vorrebbero solo vivere in pace. 
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Intanto nella piazza Sono riusciti ad atterrare il gigante carro dopo che Sasha ha fatto sfoggio della sua immancabile mira, e stanno per dargli il colpo di grazia quando Falco si mette in mezzo per difenderla e fa mancare il bersaglio a Jean, che ha ancora un cuore e non ammazza a sangue freddo un bambino in lacrime. Falco e Gabi portano in salvo Pieck, e Porko si avventa su Eren che si para dai suoi artigli con l'uovo di cristallo che tiene in mano da due puntate, e scopre che il gigante mascella è l'unico in grado di rompere quel cristallo. Eren è una cocuzza ma a volte sa ragionare, e capisce cosa fare. Ancora la situazione in stallo, ma che aspettano quelli della guarnigione per attaccare? La risposta arriva subito dal cielo, perchè le entrate ad effetto le sanno fare, e spunta una fallica macchina volante lunga più o meno 720 chilometri, con a bordo Hange e gli altri, insieme ad Armin, raccattato dalla testa del colossale. I fari fissati sulle case servivano da pista per questo velivolo, avranno una sola opportunità per recuperare tutti e tornarsene a casa, ed Armin lo ripete, dopotutto è stato lui ad ideare il piano, come sempre. 
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Porko tenta di distruggere il dirigibile ma Mikasa gli taglia le gambe e lo scaraventa per terra. Da lì Eren lo prende e gli stacca prima un braccio e poi l'altro, con una lentezza ed una accuratezza dei dettagli orripilante, ma il peggio sta arrivando. Eren ficca in mezzo alle fauci del gigante mascella l'uovo di cristallo, e lo usa come schiaccianoci, finchè l'uovo esplode e il sangue di Lara Tybur finisce tutto in gola ad Eren. Questa scena è quanto di più tremendo possa esistere, ti ritrovi a vedere Porko sconvolto ed impotente che implora di non farlo, Mikasa che guarda la scena in modo triste, rimpiangendo il mostro che Eren è diventato ma che non può far niente per fermare, il suono del sangue che viene inghiottito nel silenzio generale assordante, la crudeltà di Eren che non si ferma davanti a niente e sa bene anche lui che è diventato cattivo ma non per questo cambia il proprio obiettivo...Non so nemmeno descrivere tutte queste sensazioni, è devastante, ti senti svuotato perchè è come se stessi assistendo ad una guerra (ed alla fine è così) a cui non c'è rimedio perchè le parti in gioco ormai sono troppo marce e malate per rendersi conto che se la smettessero arriverebbero molto più facilmente alla soluzione, è una matassa che non fa che ingarbugliarsi perchè a nessuno viene in mente di fare la cosa più semplice: tagliare i fili. 
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Mentre Eren sbatte a terra il gigante mascella per divorare anche lui nel silenzio assoluto Gabi e Falco cominciano ad urlare a squarciagola e a chiamare Reiner per salvarli da questa situazione. E Reiner, che stava finalmente abbracciando felice la morte come una compagna tanto attesa dopo aver sofferto tutta la vita, si rialza alle spalle di Eren e chiede con rabbia perchè non vogliono lasciarlo morire in santa pace. Ed anche qui ti ritrovi a compatire ed empatizzare con Reiner, perchè lui non ha mai voluto tutto questo, lui, così come tutti i bambini eldiani di Marley, è sempre stato plagiato dalla fesseria dei demoni, ha sulla coscienza la morte di Marcel, ha stretto amicizia con tante persone a Paradis, le ha viste morire per colpa sua, ha perfino sviluppato una sindrome schizofrenica per questo...Se c'è un personaggio che merita rispetto è lui, ha una sfilza interminabile di sbagli alle spalle, è un codardo, ma nessuno in Aot è più pentito di lui, e per questo merita tanta stima in mezzo ad innumerevoli personaggi che salgono sui piedistalli e non si passano la mano sulla coscienza nemmeno per sbaglio. Finisce l'episodio, e io piango già per il seguito, ma ciò non mi impedisce di fare ancora una volta l'applauso allo studio MAPPA, che ci porta una puntata fantastica, ogni piano sequenza è strabiliante, le musiche, l'atmosfera, i primi piani dei personaggi, le emozioni che sono letteralmente disegnate...Tutto perfetto. Appuntamento quindi al prossimo episodio, qualcuno mi dia una fornitura infinita di fazzoletti! -sand-  
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breathing-in-sulfur · 4 years
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Ah la vita, che gran rottura.
Mi spaventa più della morte, in cui te ne resti buono all'ombra mentre diventi cibo per vermi.
In vita devi pensare a tutta una serie di cose che non ti interesserebbero nemmeno, se non ti fossero indispensabili per campare decentemente.
Non dico che la morte sia la soluzione, cioè la morte risolve ogni tuo problema ma puoi morire soltanto una volta, non è rinnovabile né tantomeno cedibile, quindi fai un lungo sospiro e con un sconsolato gesto della mano dici a te stesso "fanculo dai, andiamo avanti".
In fondo se sei morto non vali più nulla, ma da vivo devi assicurarti un tetto sopra la testa e magari alzarti ogni mattina per fare un lavoro che non ti piace, se ce l'hai, altrimenti ti svegli con l'ansia e corri su e giù per la città a distribuire curriculum inutili che probabilmente non leggerà nessuno. Devi concederti un giorno libero alla settimana per recuperare le forze e riprenderti dalla monotonia ubriacandoti sul divano e il giorno dopo il tuo capo ti chiede di sorridere ai clienti, ma tu vorresti solo prendergli quei capelli e avvolgerli in un rullo che lo ridurrà in poltiglia e adios boss, ora sì che rido. Devi stare attento a non ferire gli altri, ognuno di noi fa la sua vita di merda a modo suo, è inutile prendersela con chi viaggia nella tua stessa barca forata, ma tanto nessuno ha mai le palle di prendersela con chi davvero vi sta facendo vivere una vita patetica: voi stessi. Siete voi che avete accettato qualsiasi cosa abbia urtato il vostro grugno munito di paraocchi, siete voi la causa della vostra miseria e abbiate la decenza di non lamentarvi quando la vostra stessa merda incomincia a puzzare. Avete deciso di marcire e fare un lavoro che odiate per comprarvi cose che non vi servono, evitate ora di bestemmiare quando sulla vostra televisione costata un mese di lavoro vedete il volto di un politico, poiché loro pisciano nella vostra miseria e voi lì aprite le bocche e dopo aver bevuto vi leccate pure i baffi.
Non siete meglio di quel branco di avvoltoi che vi governano, siete solo invidiosi della vostra impotenza e povertà e se foste al loro posto mi chiedo cosa potreste fare di meglio, con il vostro diploma preso in otto anni e il pensiero di lavorare piuttosto che studiare poiché fanculo lo studio, io voglio soldi, pure se son pochi.
La vita è dura e fa paura, altro che l'istante della morte!
Nella vita sei bambino e coltivi i tuoi sproporzionati sogni, poi sei adolescente e a scuola ti mentono dicendoti che se ti impegni al massimo puoi fare tutto ciò che vuoi, se cercano personale. Finisci scuola e vieni sbattuto da un posto di lavoro a un altro: tre mesi qui, sei mesi là e dopo un anno o due ah, finalmente la macchina. Nel frattempo scopri le droghe o l'alcol o entrambe e ti rimane l'unico svago che ti concedi nel giorno di riposo. Certo mica tutti bevono o si drogano, c'è pure chi scopa ancora, chi legge o scrive, chi dipinge e così via. Cresci, diventi adulto, trovi una donna che era perfetta e ora è incinta. Trova un posto fisso e sbrigati, poi vai con il finanziamento per un mutuo trentennale. Eccoci, tempo indeterminato, cioè stesse cose ogni giorno tutti i giorni fino alla pensione o alla demenza. Finalmente muori, ma che cosa strana questa tomba non sembra affatto salire in paradiso, secondo me rimane lì sottoterra e secondo me dopo un paio di mesi a piangerti i tuoi figli continuano con la loro vita e tu speri che diventi meglio della tua.
Ah la vita, fareste bene a trovare qualcosa che vi piace fare e magari tra un turno di lavoro e l'altro vi ci dedicate se non siete troppo stanchi per essere contenti.
Ah la vita, in essa ci trovi l'amore e la gioia che si dissolvono in un lampo, ma forse la vita è proprio insita in questi attimi fugaci di dimenticanza dalla fetente merda.
Ah la vita, che bella la vita alla fine dai!
Ho qui una birra, qualche sigaretta e poi domani si vedrà.
~ breathing-in-sulfur
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janiedean · 4 years
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Ho appena finito di vedere Blade Runner per la prima volta e mi è piaciuto, soprattutto la scena in cui il replicante uccide il suo creatore e la famosa "ho visto cose che voi uomini..." e questo film è praticamente l'inizio di un certo tipo di estetica nei film sci-fi e è una cosa fighissima, ma overral non mi ha fatto proprio impazzire. Siccome so che tu Sai (e lo dico nel modo più non ironico possibile) mi potresti dire cosa non ho notato ma che invece è interessante nel film?
AAAH DUNQUE (sks il ritardo ieri stavo cotta) io Ho Problemi Pesissimi con blade runner che tipo non smetterò mai di avere MA in ordine (dico la roba che non hai nominato tu nella ask poi magari l’avevi notata ma ecco XD):
le due parti che hai isolato per me sono splendide ma vanno viste nell’ottica della Mia Tematica Preferita Di Questo Dannato Film ovvero: come definisci cosa è umano e cosa non lo è
nel senso, vabbe io mangio distopie fatte bene a colazione e blade runner da un lato mi piace perché ha la distopia realistica-ish nel senso che non mi sembra molto implausibile un mondo dove hai o le città sovrappopolate o il deserto senza vie di mezzo per il riscaldamento globale e dove nelle città sovrappopolate la gente si odia/sta fondamentalmente isolata, e fino lì dici ok bel setting bella estetica ma poi ci butti il conflitto e allora arrivederci;
nel senso, la cosa che mi uccide è che la società del film in questione ti dice che i replicanti non sono umani e non possono vivere in mezzo agli umani e quindi il protagonista sarebbe nel giusto facendoli fuori... non fosse che poi vedi che la cosa è ribaltata e in realtà sono loro che hanno sentimenti/si comportano da esseri umani e non fanno i lupi solitari e vogliono solo cose che noi diamo per scontate, il che rende la tagline della tyrell corp una cosa doppiamente ironica perché usano più umani degli umani per dire che sono così simili che potrebbero esserlo solo che non lo sono, e invece la narrativa ti dice che ovvio che sono più umani degli umani e di ogni singola persona *umana* che compare nel film;
(tra l’altro è un angolo che comunque caschi in piedi reinterpretandolo a seconda di come pigli i film, nel senso che se vedi il director’s cut di br è palese che anche deckard è replicante come rachel quindi la sua umanizzazione arriva man mano che si rende conto di esserlo, ma nel seguito è implicato che fosse umano e hanno smollato quella plotline e PER UNA VOLTA IL SEGUITO HA DIRITTI quindi se scegli quell’interpretazione allora vuol dire che deckard - che era umano - si è umanizzato innamorandosi di una replicante che neanche sapeva di esserlo, quindi il punto è che l’umanizzazione dei personaggi non replicanti se esiste avviene attraverso i personaggi che secondo la società contestuale del film non sarebbero umani che io trovo una cosa geniale ma vbb)
a questo punto si inserisce anche tutto un altro discorso, nel senso, chi può dire cosa ha sentimenti o meno e quanto sei umano o meno dichiaratamente - risposta: nessuno -, che poi si rimette nel filone robot vs umani che vabbè a me ha fatto venire la fissa sto film di base ma personalmente il discorso ‘le macchine programmate da umani possono evadere la programmazione e/o diventare senzienti o provare sentimenti umani’ è una di quelle cose su cui potrei leggere/vedere roba per i prossimi cinque secoli (non ci sto a scrivere l’originale da novembre nooooo), che poi come dire... torniamo al discorso libero arbitrio vs predestinazione vs essere in grado di fare le proprie scelte vs no in realtà non possiamo;
tornando al discorso di sopra, da persona che è grande fan di narrative dove la risposta è ‘sì abbiamo il libero arbitrio no non siamo predestinati si possiamo sempre fare le nostre scelte’ capirai che una narrativa che mi dice che ‘la categoria pensata come subumana che invece ha più dignità/capacità di prendere decisioni dei cosiddetti umani’ per me è tipo un invito a nozze;
che cioè di nuovo come dicevo prima, il fatto che roy (che per me è il personaggio migliore punto senza manco battere ciglio) a) uccida il suo creatore che lo considera solo una creazione riuscita bene e non un essere umano come gli altri che vuole solo campare normalmente in quel modo, b) muoia salvando il tizio che ha cercato di ammazzarlo finora perché non vuole morire da solo/non vuole morire senza che qualcuno si ricordi di lui o sappia perché ha fatto quello che ha fatto visto in questa inquadratura è tipo una cosa che mi devasta perché appunto la narrativa ti sta dicendo che uno che secondo quelli che l’hanno creato neanche doveva porsi il problema è morto facendo quello che voleva/cercando quello che tutti noi vogliamo in quanto spettatori (perché cioè i replicanti alla fine vogliono ricordi, una vita, una famiglia e una vita sentimentale e non fare quello che vogliono gli altri, sai che richieste assurde) e quindi la narrativa vuole che tu spettatore ti identifichi con lui, non con deckard, o almeno non vuole che lo fai fino a quando deckard non se rende conto che il suo lavoro è uno schifo;
tra l’altro gli ammmmericani mo sti film li fanno molto più raramente ma cioè mi garba anche molto il concetto della narrativa che non ti dice da subito che devi sta dal lato del protagonista e che comunque non sta dalla sua parte tutto il tempo fino alla fine, perché il punto è che non devi parteggiare per deckard fino a quando non capisce che cazzo vuole dalla vita e tipo posso apprezzare una narrativa che mi dice che no non devo stare dalla parte del protagonista in virtù del fatto che lo sia (sta cosa è stata ribaltata in maniera geniale nel sequel tbh ma cioè io con br2049 ho altri problemi simili ma n’è quello il punto);
(anzi tra l’altro il char development di deckard che parte che è nammerda e poi migliora ma ci arriva alla fine quando quell’altro gli salva la vita al 100% è una cosa della madonna imvho ma lì è pure il fatto che l’arco ‘tizio che è nammerda che si rende conto che è una parte di un organismo marcio e cerca di smarcarsi’ per me è catnip veramente pesa)
poi vabbe sempre per il discorso di sopra mi piace da morire come deckard vs roy è costruito nel senso che come dire roy non c’ha il character development è solo che ha l’arco dove cerca di scoprire come allungarsi la vita e non ci riesce ma comincia in un modo e finisce uguale e non ha bisogno di farsi l’analisi della moralità ma tu di base vedi questo che più passa il film più fa cose che tu spettatore puoi assolutamente capire/concepire e ti fa l’effetto strano perché secondo il contesto questo dovrebbe essere un criminale da bruciare vivo per avere osato volere una vita, mentre deckard ha il development che parte da ‘faccio un lavoro dimmerda senza preoccuparmi degli strascichi morali e vivo da solo in un palazzo orrendo e neanche ho l’animale da compagnia da sfigato’ e passa per le stesse cose per cui passa roy ie lui ammazza i replicanti/roy ammazza quello che fa gli occhi e tyrell, vedi deckard che si mette con rachel e vedi roy e priss che sono tipo gli innamorati adorbs del secolo fino a quando non si beccano alla fine per la resa dei conti ma fondamentalmente tu vedi che roy ha già tutte le cose umane ™️ che deckard deve rendersi conto di volere eccetto che ha la data di scadenza e deckard no, e il fatto che si risolva con roy che fa la cosa altruista/salva il tizio che gli ha ammazzato gli amici/la fidanzata e sbatte in faccia a deckard tutti i suoi limiti prima di fare la morte più splendida mai concepita e a quel punto deckard fa 2+2 definitivo e si rende conto che la sua umanità (esistente o meno a prescindere da come la interpreti perché pure se è replicante si credeva umano fino all’inizio del film quindi XD) non è un cazzo in confronto a quella di roy mi devasta perché narrativamente è geniale e non è scontato e di nuovo ritorna sul tema di sopra che non puoi decidere tu chi ha diritto alle cose e chi no e non puoi sindacare sull’umanità altrui
poi vabbe ovviamente c’è anche tutto il discorso del PERCHE’ ESISTONO I REPLICANTI CHE MANDIAMO SULLE COLONIE A FARE IL NOSTRO SPORCO LAVORO che se lo metti assieme a quello che diciamo di cui sopra fa anche il suo porco commento politico perché ovviamente te sta a dire che non puoi sbolognare il lavoro sporco a gente che consideri subumana senza pensare che poi ti si ritorce contro
potrei pure fare n’altra ora di discorso su come sto film tra le altre cose è fondamentalmente un noir anni trenta con l’estetica cyberpunk e gli androidi perché di nuovo hai il detective antieroe che alla fine si rende conto di essere nel torto, la femme fatale e tutto, solo che c’è ovviamente la decostruzione fatta da dio perché il detective antieroe del noir tipico di solito è molto come dire apolitico/vuole solo i soldi mentre invece deckard è proprio narrativamente moralmente dal lato sbagliato, la femme fatale è una povera disgraziata che pensava di essere umana fino a quando deckard si presenta a farle il test e vuole solo essere umana pure lei, gli avversari non solo hanno ragione ma gli salvano anche i cosiddetti, e poi solitamente il noir anni trenta finisce col detective che iL MONDO E’ UMAMMERDA MA IO VADO AVANTI E MI FACCIO PAGARE E INTANTO CI HO GUADAGNATO UNA SCOPATA CON UNA CHE PUO’ O PUO’ NON AVERMI TRADITO, qui finisce col detective che fa la cosa giusta e piglia una cazzo di posizione XD e tipo parli con una che si beve noir anni trenta a colazione quindi pure lì era esattamente il tipo di roba che ci muoio sopra;
tldr: sto film fondamentalmente a parte quello che hai detto tu c’ha l’overachieving theme di cosa è umano e cosa non lo è e ti sta a dire che no non è quello che penseresti di primo acchitto, te lo fa vedere visivamente (con la gente che non comunica nella città sovraffollata con la pioggia opprimente che non finisce mai, l’eroe che è un pezzo della macchina marcia del sistema che vive in un buco nei bassifondi mentre quello che si arricchisce vendendo gli androidi è nella piramide dorata ecc), ti dice che il tuo protagonista Ha Torto mentre l’antagonista Ha Ragione e che cosiddette macchine programmate da umani per fare il lavoro sporco nelle colonie possono essere e sono umane come e quanto noi e quindi che non puoi arbitrariamente considerare subumano nessuno (tra l’altro c’è anche il discorso atroce del ‘muoiono dopo quattro anni così non sviluppano sentimenti’ e le intelligenze diverse applicate al tipo di replicante ie roy che è quello categoria A c’aveva il lavoro per cui gli serviva la materia grigia, quella che di base doveva fare il modello piacere ie farsi stuprare ma non per quelli che la toccano è B, quello che fa i lavori di forza è C quindi c’è pure il discorso che questi vengono categorizzati per presunta intelligenza basandosi sul loro uso ma poi quando vedi che hanno una personalità non conta un cazzo grazie retorica antiableist xD) e il protagonista non può avere ragione finché non si rende conto che tutto il suo sistema è lo schifo e non può avere la love story finché non si ribella al sistema, quindi la narrativa va contro a tutto quello che uno supporrebbe da uno schema classico scifi buoni vs cattivi (e dall’americanata media) e ok che ritorna al solito discorso libero arbitrio vs SEI QUELLO CHE TI DICONO CHE SEI A SECONDA DI COME NASCI ma ecco per me è declinato in maniera veramente splendida e per una santa volta so riusciti a fare finire l’arco ammazzando uno senza farla sembrare una morte gratuita 
nel senso, ultima cosa: di solito tutti sti redemption arc ammmericani calvinisti sono ‘ah pg cattivo si redime sacrificandosi perché tanto non c’è vita dopo la redenzione merda era e merda rimane’, ma con roy il punto è che a) la narrativa non gli chiede di redimersi perché gli dà ragione, b) il gesto che fa è assolutamente altruista e lo fa in quanto più umano dell’umano, c) sai benissimo da subito che al 99,9% questo ci lascia le penne perché ti dicono subito che stanno tutti vicini alla data di scadenza, quindi non è una cosa che narrativamente ti cade in testa tipo AH MA NON ME LO ASPETTO perché ovvio lo sappiamo tutti che capita, ma quando capita ci rimani dimmerda perché non deve farti piacere e la narrativa di nuovo ti sta a dire che lui ha avuto la morte dignitosa ma che non se la meritava per volere cose che tutti noi diamo per scontate, ergo in realtà quello che ha il redemption arc è deckard... ma intanto hanno usato la morte del suo foil narrativo in maniera intelligente per farti capire quanto il contesto sia ingiusto XD che di sti tempi è chiedere troppo XD
(posso smadonnare sul sequel per un anno facendo lo stesso discorso btw)
....... ok this was long e prob incoerente spero si capisca XD
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Sono un professore d'arte, di circa 44 anni, e sto scrivendo questa lettera per coloro che hanno un amico, quindi per tutti.
Oggi è il 19 dicembre, ed il 19 dicembre di vent'anni fa, a quest'ora, ero in auto, parcheggiato fuori dai cancelli di casa della mia ragazza.
Stavo contando le gocce di pioggia sul finestrino in attesa che arrivasse.
Ricordo che la temperatura segnava due gradi, e la cosa che più mi scaldava non era l'aria condizionata della mia macchina, ma il pensiero che presto, molto presto, avrei visto la mia meravigliosa fidanzata correre sotto la pioggia, salire in macchina coi capelli bagnati ed il giubbotto congelato, con la punta del naso rosso e le guance fredde, ed io l'avrei stretta forte, tra le mie braccia, l'avrei coccolata con le mie carezze, coi miei baci.
E avrei spento la radio per poi farle il solletico; non esisteva canzone più bella della sua risata.
Ed in vece, ragazzi, le cose andarono diversamente.
Perché lei si avvicinò lentamente alla mia auto, senza correre, protetta da un ombrello.
Non portava mai un ombrello.
E si rifiutò di salire, obbligandomi ad abbassare il finestrino.
«tra noi è finita», «Io non t'amo più», «la colpa é mia, non tua».
Ricordo ancora il suo sguardo vuoto, privo d'amore, privo di interesse mentre mi guardava.
Ricordo che scesi dall'auto e aspettai sotto al temporale per molto tempo, nella speranza che tornasse da me, ricordo le mie lacrime bollenti mischiate al nevischio, ricordo che piansi tanto, fino a non avere più la voce, e quando mi rimisi in macchina avevo i capelli bagnati, il giubbotto congelato, la punta del naso rosso e le guance fredde.
E lei non ci sarebbe stata a scaldarmi coi suoi baci, con le sue carezze.
La nostra relazione durava da più di sei anni, e lei le pose un punto in meno di sei secondi.
All'epoca avevo poco più di 24 anni, e mi ero appena laureato all'accademia di belle arti.
Ma una laurea non poteva aggiustare il mio cuore rotto.
Da quel giorno smisi di uscire, spensi il cellulare, mi chiusi in camera e mi nascosi tra le coperte del mio letto.
Mi sembrava che il mondo avesse perso colore; ogni cosa era diventata un guscio duro e pesante ed io non ce la facevo più.
Era diventato difficile fare ogni cosa, soprattutto le più semplici, come alzarsi, fare colazione, guardare un po' di TV, fare due passi ... perché era proprio quando entravo nel quotidiano che la sua l'assenza si faceva sentire maggiormente.
Persino bere il caffè divenne impossibile, perché il suo colore scuro mi ricordava i suoi occhioni.
Dopo due intere settimane passate a letto, qualcuno bussò alla mia porta, e nonostante io non risposi, con un cigolio, qualcuno entro nella stanza.
Era Thomas, il mio migliore amico, il mio fratello mancato.
Io e lui ci conoscevamo dalla prima media.
Thomas, coi suoi riccioli color sabbia e la sua spruzzata di lentiggini sul naso, era l'unico in grado di capirmi.
Buttò sul pavimento una pila di vestiti che occupavano la sedia della scrivania, e ci si sedette sopra.
I suoi occhi verdi mi fissarono a lungo, finché, all'improvviso, disse:«Bello, é ora di alzare il culo da questa merda e riperdere in mano la tua vita».
E così, Thomas passò tutto l'inverno con me; mi faceva visita quattro volte a settimana, mi ascoltava, mi lasciava sfogarmi senza giudicarmi, criticarmi o sbuffare.
E quando dico "sfogarmi" intendo che ascoltava tutte le mie lamentele, tutti i miei frigni, tutta la mia collera e tutta la mia rabbia.
Un giorno mi disse «Bello, inizia a fare ordine. Incomincia dalla tua libreria, dal tuo armadio, e per finire riordina tutta la stanza. Poi inizierai a fare ordine anche fra i casini della tua vita. Ma da qualche parte dovrai pure iniziare, no?»
Ecco, Thomas era così.
Era superiore a me, di un'intelligenza fuori dalla norma, laureato con lode nello stesso periodo in cui mi laureai anche io.
È da quando avevamo 12 anni, dalla prima volta che lo vidi, che capii che non sarei mai stato come lui. Lo ammiravo, era il mio eroe, il mio mito.
Dopo circa due mesi tornai ad uscire il pomeriggio, e qualche volta persino il sabato sera, tornai ad ascoltare la mia musica senza pensare costantemente a lei, tornai a ridere senza avere l'amaro in bocca dopo.
Certo, continuavo a pensare che il mondo facesse schifo, che l'amore facesse schifo e che io facessi schifo, ma non mi sentivo più solo.
Era come se le cose avessero smesso di precipitare e schiantarsi al suolo.
Anche gli amici della compagnia mia e di Thomas vennero a trovarmi, consolandomi a modo loro; c'era chi mi prestava un videogioco e chi invece mi consigliava un film perché "mi avrebbe fatto sentire meglio".
In primavera, le ferite che facevano bruciare il mio cuore stavano cicatrizzando lentamente.
Thomas continuava a venirmi a trovare quattro volte a settimana, mi faceva parlare di tutto e di niente; condividevamo spesso il silenzio.
Quell'estate, fu l'estate più bella della mia vita.
Io ed i ragazzi facemmo talmente tante cose da tappezzare un'intera parete di camera mia con foto, da pensarci e sentirmi ubriaco.
L'ultima sera d'agosto, andammo alla festa più grande dell'anno, che si teneva ad un'ora di distanza dalla nostra città.
Ballammo tutta la notte, cantammo a squarciagola ogni canzone, respirammo a pieni polmoni quell'aria ancora impregnata di sale, di mare, di caldo.
Risi fino ai crampi allo stomaco. Per la prima volta mi sentii nuovamente vivo, pieno di sogni, speranze, con una gran grinta che mi scorreva nelle vene.
Mi portò a casa Thomas, nonostante avessi bevuto solo due bicchieri di vodka in quanto volevo ricordarmi perfettamente ogni colore, ogni profumo, ogni parola, ogni emozione.
Arrivammo a casa mia sulle sei del mattino. Mentre mi slacciavo la cintura Thomas mi diede una pacca sulla spalla «Sono felice che ti sia ripreso, bello!». Ricambiai la pacca «Merito tuo, fratello. Grazie» gli dissi, mentre scendevo dall'auto.
Quando mi stesi sul letto, non riuscivo a prendere sonno.
Non avevo mai ringraziato Thomas per tutto l'appoggio che mi aveva dato.
Cazzo, mi aveva letteralmente salvato dal mio dolore, la sua presenza scacciò i demoni dalla mia testa, la sua disponibilità nell'ascoltarmi mi aveva dato il coraggio di tornare a lottare per vivere la mia vita al meglio.
Chiusi gli occhi, promettendomi che l'indomani l'avrei ringraziato di tutto.
Vedete ragazzi, io e Thomas vivevamo a sei minuti di distanza.
E ancora una volta Thomas mi ha insegnato qualcosa; anche aspettare più di sei minuti, può essere troppo tardi.
Quel giorno m'alzai alle due di pomeriggio, con mia madre s accasciata al muro, seduta sulle piastrelle del pavimento in cucina, col corpo scosso da fremiti, con una mano sulla bocca singhiozzante e l'altra che stringeva forte il cellulare.
Era la mamma di Thomas. Stava dicendo «Mio figlio é morto», stava gridando «L'ho trovato due minuti fa in garage.»
Thomas si impiccò nel garage di casa sua, dopo avermi portato a casa quella mattina.
Thomas. Il mio Thomas.
Ragazzi, solo allora mi resi conto che non solo non avevo mai ringraziato abbastanza Thomas per tutto ciò che aveva fatto per me, ma non gli avevo nemmeno chiesto come stava.
Quell'inverno non gli domandai mai come andavano le cose con la sua Denise, convinto che la sua relazione stesse procedendo a gonfie vele, ignaro del fatto che lei aveva tradito lui.
Non gli domandai come mai avesse così tanto tempo libero da dedicarmi, non gli domandai mai cosa pensasse mentre i suoi occhi verdi si facevano freddi quando fissava impassibile fuori dalla mia finestra.
Non gli domandai mai della sua famiglia, se sua madre aveva trovato lavoro e se continuava a litigare con suo padre.
Scoprii solo dopo la sua morte che si erano divorziati quell'inverno.
Fui troppo preso dal mio dolore, per preoccuparmi anche del suo.
Eppure, Thomas riusciva perfettamente a mettere da parte il suo dolore per me.
Fui così egoista a pensare solo a me stesso, alla mia relazione, fui così preso dalle mie ferite che divenni cieco per le sue.
Perciò, ragazzi, se avete un amico, diteglielo adesso.
Diteglielo adesso quanto sono importanti per voi.
Diteglielo adesso quanto significano per voi.
Non lasciate che il vostro dolore vi renda ciechi, sordi e muti per quello altrui.
Prendetevi cura delle persone a cui volete bene, siate presenti nelle loro vite.
Sono passati quasi vent'anni dall'ultima canzone che io e Thomas cantammo assieme, dall'ultimo viaggio in macchina coi finestrini abbassati e l'aria bollente d'agosto che ci schiaffeggiava la faccia, dall'ultima corsa sulla sabbia bollente per tuffarci in mare, dall'ultima nostro selfie, per di più mosso, perché non riuscivamo a smettere di ridere.
Sono passati quasi vent'anni dal suo suicidio, e mai, mai, mi perdonerò per non avergli detto «grazie», per non avergli detto «Fratello, e tu come stai? A cosa pensi prima di addormentarti? Per quale sogno stai combattendo? Come ti senti ? Ho voglia di ascoltarti, parlami di qualcosa, qualcosa di tuo».
Amate i vostri amici, amateli ora, non lasciateli andare a casa senza avergli detto quanto bene gli volete, perché potrebbe essere troppo tardi.
-Alessia Alpi, scritta da me.
(-Volevoimparareavolare on Tumblr.)
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sorsodigoccelunari · 5 years
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Lettera che non manderò mai. Pt 2
Ciao. Da mesi siamo diventati estranei. Due estranei che conoscono ogni centimetro della pelle dell'altro. Stasera sono uscita con un ragazzo. Sai lui sa come rendermi felice. Mi riempie di attenzioni, di amore, è presente e ha sempre voglia di vedermi. Se dipendesse da lui mi vedrebbe ogni sera. Sono felice. Con lui sto bene. Eppure penso dentro di me "se fossi stato come lui, adesso sarebbe tutto perfetto e non sarebbe successo nulla." Ma tu non sei lui e certi lati della tua persona non cambieranno mai. Stasera quel ragazzo mi ha chiesto di rendere tutto ufficiale. L'ho già detto che con lui sono felice? Ho detto di si. All'inizio mi è preso il panico, mi sentivo completamente rincoglionita e ho iniziato a farfugliare qualcosa straparlando per prendere tempo. Ma poi ho realizzato la verità. Non torneremo mai indietro, non ci sarà più un "noi" e devo dirti addio. Ecco perchè mi è stato difficile dire quel "si". La morte nel cuore. Eppure avrei dovuto essere felice, lo ero per carità, ma non riesco a vivere a pieno. Ogni cosa ogni giorno mi riporta a te. Non c'è giorno che passi senza che io mi chieda "chissà se sta bene. Chissà se ha trovato qualcuno capace di renderlo felice. Una ragazza che possa accettare la sua idea di relazione. Egoisticamente parlando spero che tu non possa cambiare mai, in balia di questo sentiero chiamato vita dubito che entrambi incroceremo le nostre anime con qualcun altro allo stesso modo in cui era successo a noi. Sempre sarà così. Un pezzo di me. A furia di immaginarti sempre vicino a me anche quando non c'eri, adesso faccio fatica a realizzare che un altro nuovo capitolo della mia vita stia per iniziare. Un nuovo capitolo senza di te. Che poi io non ho mai creduto che ci sarebbe stata vita senza di te, figuriamoci un amore che non era il tuo. Avrei preso il mondo con una mano per te, ti avrei portato la luna eppure tu guardavi quelle piccole stelline luccicanti lontane, ai tuoi occhi forse più sfavillanti della luna che avevi già. Non ti perdonerò mai. Mai e poi mai. Sono piena di rabbia dopo 7 mesi. Eppure non ho rimpianti nè rimorsi, so e sono assolutamente convinta di averti dato tutto, forse anche troppo di me. Ma non mi pentirò mai di aver creduto al nostro amore un po' folle, un po' malato, un po' masochista, quasi da film. Non mi avrai più, non sarò più tua e forse tu sarai di un'altra. Ma un amore come il nostro dubito possa esistere un'altra volta nella vita. Ed ecco che i singhiozzi si fanno sentire. Tu che al telefono mi hai detto "non sentivo più quello che sentivo all'inizio". La verità è che hai fatto morire il tuo amore, perchè l'amore è fatto di presenze, di attenzioni, di cura. L'hai soffocato, l'hai spento, l'hai strangolato con la lontananza e poi è morto. Rimasto lì in un angolo insieme ai pezzi di noi, come un puzzle dai bordi spaiati siamo caduti. Nessuno ci rimetterà a posto e dovremo farlo da soli.
Mi sono innamorata di una persona che non sei tu. Cosa che prima ritenevo neanche lontamente immaginabile, figuriamoci possibile. Eppure è così e di fronte a questo nuovo sentimento che cresce sono inerme, come un neonato che cerca di scappare, ma non ne ha le forze. Stasera Lorenzo mi ha detto "buonanotte amore". Non sono riuscita a ricambiare, ho detto solo "notte". Anche solo sentire un'altra persona che mi chiama "amore" è stato un trauma dentro al mio cuore martoriato in questi mesi. Tu che non mi chiamavi più così da tempo, tu che non mi degnavi di uno sguardo ed ero quasi invisibile ai tuoi occhi così lontani dai miei.
In tutto ciò sono felice di aver trovato un ragazzo d'oro capace di prendersi cura di me, di prendermi per mano e riempirmi di amore. Sono felice anche se sto piangendo perchè questo è un inizio, ma è anche un addio. Per ogni cosa che finisce un'altra comincia. La vita va così e non ha nessuna pietà per chi si ferma a contemplare il vuoto che ha dentro. Ecco tu resterai sempre il mio piccolo posticino vuoto in fondo al petto. Come la nostra canzone "ink" dei coldplay. Così mi hai detto una sera abbracciati in macchina "ho una cicatrice sul cuore e sopra c'è il tuo nome, nessuno riuscirà a toglierti da quel posto e resterai sempre dentro di me, dentro le mie ossa". Avrei voluto dirti che sarebbe stato lo stesso anche per me, ma invece sono rimasta in silenzio. Sono stata zitta perchè avevo 17 anni, ma sentivo che era troppo bello per essere vero e così è stato.
Ti ho scritto questa lettera per poterti dire un piccolo addio, perchè sappiamo entrambi che nessuno dei due sarebbe riuscito a dirlo in faccia all'altro. Forse se ci saremmo visti saremmo ritornati insieme, pronti a sfracellarsi al suolo ancora e ancora fino all'ultimo briciolo di cuore rimasto sull'asfalto. Ed ecco spiegato il motivo per cui ho preferito non vederti, forse infondo è anche il tuo.
Vorrei saperti felice, con meno pensieri oscuri su di te, ti auguro di avere un po' più di leggerezza nel cuore e che tutto il dolore che ti segue come un'ombra alle tue spalle possa dissolversi prima o poi. Ti auguro il meglio, anche se il tuo meglio ero io e non so se l'hai mai realizzato. Magari ti eri accorto o magari era scontato.
Questo è un vero addio. Non so se avrò le forze di scriverne un altro, un'altra lettera mai mandata che custodirò per me, sperando forse che un giorno tu possa leggerle. Vorrei che mi stessi leggendo. Io ti auguro solo il meglio della vita, non potrei fare altrimenti dato che una parte di me continuerà per sempre ad amarti. Sei dentro di me. Per sempre. Questo non cambierà mai, sappilo. Forse vorrei poterci essere in quei momenti in cui potresti avere bisogno di me. Ricordami per sempre, ricordaci. Magari un giorno avremo il coraggio di riabbracciarci come vecchi amici che si rincontrano dopo anni a discutere della vita, delle disavventure, magari saremo sposati con altre persone, avremo dei figli, una famiglia e ci racconteremo tutto. E avremo un sorriso amaro per non essere riusciti a farcela in questa vita.
Ti amerò per sempre Nic. Ti prego abbi cura del tuo pezzo di puzzle, io avrò cura del mio.
Questo è un addio.
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tuchiamamicomevuoi · 5 years
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Daiii sono curioso postacelo
Non mi era mai capitato di sentirmi come quella volta. Forse era la pioggia incessante che cadeva forte sulle nostre teste, forse l'imbrarazzo che provavo quella sera aveva un peso enorme su tutto ciò che provavo. O forse la tua presenza mi dava prurito dappertutto, come se alla mia pelle desse fastidio la tua lontananza e mi stesse punendo con brividi ovunque.
La sera in cui mi innamorai di te me la ricordo ancora, nonostante la voragine che sento nel mio petto ogni volta che mi torni in mente, nonostante il male allucinante tu resti ancora scritto sulla mia pelle come l’inchiostro di un tatuaggio. La volta in cui capii che avevi rapito il mio amore, e con esso tutta me stessa, io ti stavo consolando. Io mi innamoravo e tu mi parlavi di lei. Di quanto fosse la più bella, la più simpatica, la più allegra, la ragazza che aveva il tuo cuore e di quanto ti facesse soffrire. E avevi gli occhi che brillavano più di una stella mentre mi parlavi di lei, mi erano così entrati dentro che non avevo il coraggio di dirti che l'avevo vista con un altro, non avevo il coraggio di sgretolare la tua felicità nel tentativo di avere la mia.
Dentro di me immaginavo di essere al suo posto, immaginavo quanto sarebbe bello averti al mio fianco. Cercavo di immaginare quanto fosse bello avere il tuo profumo sulla mia pelle, allo svegliarsi con un tuo messaggio, a stare con te mentre piangi perchè solo con me puoi essere chi sei realmente; a quanto sarebbe bello passare la notte con te, anche solo per dormire.
Ma tanto lo so che se avessi a disposizione una notte con te non dormirei solo. Ci farei l'amore con te. L'amore che non fa più nessuno, ti toglierei i vestiti piano per paura di farti del male, adorerei sentite la tua pelle calda a contatto con la mia perennemente fredda e avere il tuo profumo addosso. Ti farei sentire tutto quello che provo con un solo bacio, o almeno ci proverei perchè non so se ci riuscirei per quanto è immenso.
Quando capii che mi ero innamorata di te volevo dirtelo, mi immaginavo che sarebbe finita come in quei film che guardavamo spesso insieme e che non prendevi mai seriamente nè le mie lacrime nè il finale. Immaginavo la corsa a casa tua fregandomene della pioggia, vedevo già la tua faccia disorientata dopo per costretto a uscire di casa e convinto ad ascoltarmi, sentivo già il ti amo urlato al mondo intero e il sapore del bacio sul viottolo di casa tua. Invece, quella sera, rimasi in piedi davanti a te, incapace di formulare una frase nella mia testa che non sia 'lo amo'. Lo amo ma lui ama un'altra; mi sono detta subito dopo. E ti giuro che volevo urlare, volevo piangere, volevo prendere a pugni quella faccia da fesso che ti ritrovavi. Ti volevo picchiare per avermi permesso di provare qualcosa per te, per non esserti innamorato di me, te la volevo far pagare per amare lei. Sperai, sperai tanto che fosse solo un sogno. Sperai di svegliarmi e ridere dei miei stessi pensieri. Mi sentii stupida quando un moto di gelosia mi invase. Gelosia che non potevo provare, non per te. Mi sentii stupida quando ripetei quella frase nella mia testa nel tentativo invano di scacciare quei pensieri che tanto mi facevano del male.
Quella sera mi sentii cambiata, sentii che qualcosa era cambiata dentro di me. Avrei voluto correre a casa per andare davanti allo specchio che c'era nella camera di mamma per vedere il mio riflesso. Ma guardai in basso e mi vidi nella pozzanghera creata dalla pioggia e sorrisi tristemente a me stessa con la consapevolezza di essere la stessa. Stessa sensazione di non sentirmi all'altezza in confronto a lei, stesso sentimento di repulsione nei miei confronti, stesso corpo che non bastava neanche a me. Forse erano le mie interiora ad essere cambiate o forse lo era il mio cuore, forse nutriva di nuovo qualcosa. O forse mi feci soltanto prendere dal sentimento che provavo per te.
La sera in cui capii di essermi innamorata di te ebbi paura. Paura per il mio cuore già spezzato troppe volte, paura di un sentimento troppo grande per me e troppo nuovo. Ebbi paura anche di guardarti negli occhi, temendo che tu potessi capirlo e allontanarmi. Paura della delusione nei tuoi occhi, perchè tu sei stato chiaro quel giorno, mi avevi avvertito. “Non innamorarti di me, per nessuna ragione.” Me lo dicesti con tale preoccupazione che io allora non capivo e te lo promisi, te lo promisi con tutta me stessa. E ti giuro che io ci ho provato a non pensarti in quel modo, ho provato ad uscire con altri ma ogni volta che li guardavo negli occhi sentivo che non era il posto per me, sentivo di tradire il sentimento tanto grande che provavo. Mi sono sentita sporca e tradita ma così tanto innamorata che mi sono messa a piangere per i troppi sentimenti contrastanti.
La sera in cui mi innamorai di te pioveva, tu piangevi e io ti consolavo. Non ti importava di essere sotto la pioggia, di essere bagnato fradicio e in rischio di una broncopolmonite. Ti importava solo e esclusivamente di lei, non di me o di te ma della sola persona che ti faceva soffrire. In testa avevo solo un pensiero: baciarti. Ero così intenta nell'immaginare il tuo sapore sulle mie labbra che non mi accorsi che avevi smesso di parlare e mi fissavi esattamente come facevo io. Ero così impegnata nel pregare il mio cuore di smetterla di battere così forte che non mi accorsi che tu non c'eri più. Eri scappato, forse eri andato da lei, forse avevi capito tutto ciò che provavo e sei scappato, realizzando la mia più grande paura.
Non so cosa ti era preso in quel momento so solo che l'ultima conversazione che abbiamo avuto era su di lei, non su di noi.
Moristi il 10 agosto. Il giorno del mio compleanno.
Non lo festeggio più sai? Ogni sorriso che ricevo mi ricorda te, te e l'amore della mia vita, te e i tuoi occhi, te e il tuo sorriso, te sotto quella dannata macchina che ti ha portato via da me, te sotto la pioggia, te sotto i miei occhi morto e circodato di sangue.
La sera in cui mi innamorai di te avrei voluto tanto baciarti, avrei voluto avere il coraggio per farlo.
Al tuo funerale lei non venne ma c'erano tutti. Tua mamma aveva gli occhi rossi per il troppo pianto, bastava guardarla per capire che era distrutta dal dolore. Si vedeva che l'unico suo desiderio era andarsene a via, lontana da tutte quelle frasi convenzionali e da tutte quelle finte lacrime, eppure eccola li in prima fila.
Io mi sedetti in seconda, accanto a quella che mi prese di mira in prima media, te la ricordi? Fu la prima volta che mi rivolgesti la parola, l'unico a difendermi e non ti ho mai ringraziato per quello. Ora io e lei ci salutiamo quando ci incontriamo e ci sorridiamo, forse le cose stanno migliorando tra di noi.
Io non parlai, come quella sera ebbi paura delle mie emozioni. Ebbi paura di scoppiare a piangere davanti a tutti, ebbi paura di morire anch'io con te.
Sono passati due anni, ancora mi manchi come se fossi la diciottenne di quella sera e credo che mi mancherai per il resto della mia vita. Sai, dopo la tua morte ho ripreso gli studi, credo di aver cercato di toglierti dalla mia mente con le tante parole che ora so a memoria, come ricordo a memoria il tuo profumo, la tua voce, la sensazione dei tuoi abbracci. Credo di essere andata avanti. Ti penso ancora ma ora ho un ragazzo che amo e che mi ama.
Gli ho parlato di te e della nostra storia mai vissuta, dei nostri film che non guardo più nessuno perchè li ritengo ancora una cosa solo per noi; gli ho parlato di quella sera, dei miei pensieri, delle tue parole.
Gli ho raccontato di quando ci stendevamo a guardare le stelle per allontanare la tristezza di uno dei due, gli ho raccontato delle tue storie che mi raccontavi per telefono per farmi addormentare durante le notti senza luna. Gli ho raccontato di te, di come mi facevi sentire, di come mi parlavi di lei e delle mie emozioni. E ha ascoltato senza fiatare, ha capito e l'ha accettato. Ieri sera mi ha accompagnato al cimitero; era vicino a me quando la tristezza si è impossessata del mio corpo mentre ero di fronte la tua tomba. Era con me mentre ti raccontavo di come procedeva la mia vita senza di te, e sta al mio fianco sempre. Giorno e notte. Mi manchi, ma ora, dopo due anni, sto finalmente bene davvero.
(è di tre anni fa)
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Happy Ending.
Ciao sono Milena e in questa giornatina uggiosa vi faccio un regalo qualcosa di dolce qualcosa di raro eeeeeeeeeeeeeh: una bel pacco di angst! Buona pasqua e felice anno nuovo! Il titolo è palesemente preso dalla canzone “Happy Ending” di Mika. Guardatemi nelle palle degli occhi. Bene. Lo sapete già che l’eppi ending manco per u cazz. Buona lettura.
Una soffiata. Era bastata una soffiata a cambiare tutto.
Dopo mesi che non riuscivano a trovare un capo o una coda a quel caso, era finalmente giunta una soffiata
Un magazzino, un omicidio che non era stato segnalato, ma recente abbastanza perché vi fossero ancora delle tracce, una pista, un qualcosa che non fosse l’assoluto nulla che avevano in mano ora
Per cui Fabrizio era partito in quarta, alzandosi e recuperando tutto ciò che gli serviva ed era mentre stava uscendo che aveva quasi preso in pieno il loro tecnico della scientifica
“Fabrizio. Proprio te cercavo. Riguardo a quel-dove stai andando? Che è successo?”
L’aveva capito subito che qualcosa stava bollendo in pentola.
“Non vedo la tua faccia così colorita dal giorno in cui ti ho fatto spaventare a morte facendoti credere che ti avessero spedito una busta piena di antrace” aveva replicato Ermal davanti al suo “E tu che ne sai che è successo qualcosa”
Aveva sospirato, Fabrizio.
“Stavo venendo a cercare te. Mi serve qualche sacchetto per le prove, guanti. L’essenziale proprio. Un contatto mio, m’ha dato ‘na soffiata. Riguarda il Caso”
“Quel Caso?” aveva chiesto lui di rimando, sgranando gli occhi scuri
E Fabrizio aveva annuito “Sì, il caso Baglioni. Quel caso, sì”
Ed Ermal si era fatto improvvisamente attento “Vengo anch'io” aveva detto, risoluto.
Tanto aveva insistito per accompagnarlo-“Per favore Fabrizio, non sono un ragazzino! So quel che faccio, se davvero c’è stato un omicidio lì bisogna raccogliere le tracce per bene, portami con te”-che alla fine Fabrizio aveva ceduto, caricandolo in macchina con sé prima di dirigersi al posto designato
Era un po’ fuori mano e avevano dovuto forzare la serratura per entrare, ma per il resto non sembrava ci fosse alcuna traccia di qualsiasi cosa che potesse dargli un segnale d’allarme.
A parte, forse, a detta di Ermal, l’odore di stantio e muffa che gli aveva fatto storcere il naso e contorcere lo stomaco una volta entrati
“Scommetto che qui hanno ancora l’amianto” aveva detto, guardandosi in giro critico e evitando il corpo di un topo morto per terra prima di aprire il proprio kit e dire “Beh, al lavoro”
Non era successo niente
Ermal aveva minuziosamente perlustrato il posto, raccogliendo tutto quello che poteva, catalogando, cercando scoprendo.
Aveva lavorato per quasi tre ore sotto allo sguardo attento di Fabrizio, che l’aveva osservato, sempre tenendo un’orecchio teso a captare rumori e le mani sulla pistola pronte all'intervento al minimo segnale di pericolo.
Fabrizio era quindi stato teso per tutto il tempo perché la cosa gli puzzava e parecchio anche, ma alla fine Ermal aveva finito di raccogliere le prove e aveva chiuso la sua valigetta 
“Perfetto. Siamo a posto, possiamo andare” aveva detto e Fabrizio aveva tirato finalmente un sospiro di sollievo.
Una volta usciti dal deposito semibuio e puzzolente il sole gli aveva fatto strizzare le palpebre, ma avevano accolto con un sospiro sollevato l’aria più o meno pulita nei loro polmoni
 Faceva caldo e Ermal aveva sbuffato
 “Ho sete”  aveva detto, leccandosi le labbra secche e Fabrizio aveva guardato un istante per terra.
Non sa come, aveva trovato il coraggio di mormorargli “Se ti va possiamo... possiamo andare a bere qualcosa insieme” 
Ermal l’aveva guardato, stupito, ma poi si era aperto in un sorriso che aveva fermato per un istante il cuore di Fabrizio “Ma certo. Mi farebbe piacere” 
Aveva ricambiato il sorriso, annuendo “Bene” aveva replicato
Era felice della cosa: erano settimane che voleva invitare fuori il collega con cui si era creato un rapporto piuttosto strano, ma che funzionava
Certo, l’altro adorava prendersi gioco di lui, ma non lo faceva mai con cattiveria. In fondo, portava molto rispetto alla sua bravura e insieme lavoravano bene. Erano solo modi di alleggerire la tensione e la fatica di un lavoro che risultava anche fin troppe volte solo frustrante e ingiusto
E poi, Ermal era bello.
E c’era un’intesa, tra loro, che Fabrizio non riusciva ad imputare tutta al lavoro. Anche quando erano insieme in centrale, seduti stanchi e in silenzio a prendersi una tazza di tè-o caffé per Ermal-stavano bene insieme
Fabrizio avrebbe mentito se avesse detto che non lo trovava attraente e che non aveva iniziato, piano piano, a provarci. Ma fino a quel momento Ermal non aveva dato segno di aver capito o, quantomeno, per ogni volta che sembrava ricambiare quelle avance poi diceva o faceva qualcosa che sembrava provare il contrario.
Però ora aveva accettato.
“Iniziavo a domandarmi quando me l’avresti chiesto” aveva riso e Fabrizio aveva aperto bocca per rispondergli.
Poi era successo tutto in fretta. 
Aveva sentito il rombo di una moto e la mano di Ermal che lo spingeva indietro
“Fabrizio giù!” aveva urlato e il rumore degli spari l’aveva assordato, piovendogli addosso come grandine dal cielo, mentre l’impatto lo spingeva contro alla porta con forza.
L’avevano colpito? Qualcosa l’aveva colpito al petto.
Ma non era un proiettile. 
Era il corpo di Ermal, che era stato spinto indietro dall'impatto. Quando si era ripreso e aveva elaborato l’accaduto, mezzo secondo dopo, la moto era sparita e lui si era ritrovato a reggere il collega tra le braccia
“Respira va tutto bene” aveva detto, aiutandolo a mettersi sdraiato a terra
Ringraziando Dio, gli aveva fatto indossare il giubbotto antiproiettile prima di venire, compromesso che aveva posto a prescindere.
Sapeva che, comunque, non era piacevole: è vero, il giubbotto assorbiva l’impatto del proiettile impedendogli di penetrare nella carne, ma la forza era tale che era come se ti sferrassero un pugno in pieno petto ti si mozzava comunque il respiro e faceva male. 
Gli aveva aperto la camicia per riuscire a levarglieli il giubbotto e aiutarlo a respirare, ripetendogli “va tutto bene, tranquillo”
Ma qualcosa di caldo gli aveva bagnato le mani.
“No” aveva detto e si era reso immediatamente conto che era sangue, quello, e come era possibile? Come cazzo era possibile? Il giubbotto c’era e allora come- ed è allora che si era bloccato, si era bloccato perché sì, Ermal era stato colpito.
 Al collo, appena più su di dove il giubbotto arrivava a coprire.
E stava perdendo un sacco di sangue e lui non sapeva cosa fare se non premergli la mano contro la ferita, d’istinto, cosa che aveva fatto gemere Ermal di dolore, ma in realtà Fabrizio lo guardava e l’unica cosa che riusciva a pensare era: oddio no oddio no oddio no
Gli tremavano così tanto le mani che quasi non riesciva nemmeno a pigiare il tasto per chiamare aiuto e quando l’aveva fatto aveva urlato “agente a terra, agente a terra, mandate soccorsi subito vi prego!” 
Si era accorto da solo di essere fuori controllo, di star piangendo e di sentire il panico stringerli il petto e impedirgli di respirare e ragionare, ma Ermal gli stava morendo tra le braccia e lui cosa poteva fare? Non lo poteva aiutare più di così, non poteva fare niente se non premere la mano lì, sulla ferita, e dirgli che sarebbe andato tutto bene quando sapeva che non era vero perché Ermal respirava a singhiozzo e lo guardava con gli occhi scuri lucidi e terrorizzati, le lacrime che gli rigavano il bel viso scomposto dal dolore
Ermal che gli aveva messo una mano sulla sua e aveva pigolato qualcosa che sembrava il suo nome.
E lo guardava, chiaramente in agonia e Fabrizio la conosceva bene quell'espressione che aveva sul viso, vista troppe volte sul volto di troppe persone: paura. 
Aveva paura e lui che poteva fare niente, niente di niente, se non stringergli la mano e premere sul collo in un disperato tentativo, rivolgendogli parole vuote che nemmeno sentiva.
E poi Ermal aveva smesso. 
Aveva smesso di respirare e aveva chiuso gli occhi, reclinando il capo all'indietro.
Aveva urlato, Fabrizio.
Gli aveva strappa il giubbotto di dosso e aveva inizia a provare a rianimarlo, ma sapeva che era tutto inutile perché non era il suo cuore, il problema: era  il sangue che aveva perso che era dappertutto, sulle sue mani, sulle sua braccia, per terra, sul suo petto e lui è morto, è morto e basta.
E Fabrizio si odia.
 Si odia perché se Ermal non gli si fosse messo davanti, il proiettile avrebbe colpito lui e magari sarebbe morto lui, certo, ma sarebbe stato meglio che veder morire Ermal. E magari l’avrebbe preso sul giubbotto e sarebbero vivi tutti e due o magari sarebbero morti entrambi e lui non avrebbe dovuto sopportare quell’agonia.
L’aveva scosso e non sapeva nemmeno lui perché. 
L’aveva afferrato per le spalle e aveva urlato il suo nome, anche se sapeva che Ermal non può più sentirlo e che quindi era tutto inutile. 
Quando arrivano gli altri, Fabrizio sta ancora premendo la mano sulla sua ferita, carezzandogli il viso e mormorando “Va tutto bene, andrà tutto bene. Andrà tutto bene, sta tranquillo” 
E gli scosta i ricci dalla fronte e blatera qualcosa sul dover aspettare ancora un minuto, solo un minuto, ed è sotto shock e nessuno sa come allontanarlo da quello che è chiaramente ormai il cadavere del loro collega.
“Va tutto bene, Fabrizio. Lascialo andare” 
Non sa chi è che gli dice quelle parole, ma è qualcuno di gentile.
Qualcuno che gli parla piano e lentamente lo aiuta a togliere le mani dal corpo di Ermal
“E’ tutto ok” gli dice in tono basso e calmo “Lascialo. Non puoi fare più niente per lui. Hai fatto tutto quello che potevi. Lascia che se ne occupino i medici adesso” gli mormora, stringendogli le mani tremanti e appiccicose per il sangue secco che vi è sopra, guidandolo ad alzarsi e non fa niente che i medici sono lì solo per infilare il corpo di Ermal in un sacco e portarlo via. 
“Ecco. Vieni... vieni con me” 
Lo conduce lontano da lì e lo fa sedere sull'ambulanza, la luce blu che illumina a intermittenza la terra ai suoi piedi, nonostante il chiarore del giorno sia ancora presente.
Chiunque sia, gli posa una coperta sulle spalle e gli stringe le mani, di nuovo, ripetendo che va tutto bene. 
Gli chiede se è ferito e quando Fabrizio scuote la testa tremando dice “Bene, va bene”. 
Non gli domanda cosa sia successo. 
Lo lascia piangere e tremare, carezzandogli piano la schiena, lasciandosi stringere e stringendolo a sua volta.
Gli ripete che è tutto ok, che non è colpa sua, che ha fatto il possibile per lui. Che non poteva prevederlo, che aveva già fatto tutto quello che era in suo potere per preservare le loro vite facendogli mettere il giubbotto e poi cercando in ogni modo di salvarlo. 
Quando Fabrizio si riprende dallo shock, non sa quanto sia passato. 
Sa solo che è abbracciato a qualcuno che lo stringe e che l’ha portato lontano da Ermal. Qualcuno che l’ha avvolto in una coperta e che lo sta calmando e consolando da almeno un quarto d’ora, se non di più.
Qualcuno che gli parla con voce bassa e dolce. 
Qualcuno che conosce. 
Riconosce il suo tono di voce e il suo profumo. Riconosce il suo accento, le sue parole. Ed è con il cuore che gli fa male da morire che si tira lentamente indietro per osservare la faccia del collega, il novellino del distretto che ancora non aveva un contratto fisso e che era in prova nel laboratorio e che tutti, tutti adoravano già
E non riesce a credere al fatto che sia proprio lui a chiedergli “Fabrizio come stai?” con tono preoccupato e il viso stanco e rigato di lacrime che però esprime davvero apprensione nei suoi confronti. 
Che è stato proprio lui a mantenere il sangue freddo e a portarlo via, ad occuparsi di lui, nonostante tutto. 
E si sente sprofondare mentre lo guarda, si sente davvero morire.
“Mi dispiace” dice e ricomincia a piangere 
“Non è colpa tua. Ermal sapeva i rischi”
“Ci ho provato a salvarlo io-“
“Lo so. Lo so ho visto. So che hai fatto tutto quello che potevi e ti ringrazio per questo. Sono sicuro che... che sei stato gentile. Almeno so che è morto vicino a qualcuno che gli voleva bene”
E la sua voce si rompe finalmente è Fabrizio non riesce a non attirarlo ancora a sé e stringerlo forte mentre mormora “Mi dispiace Rinald, mi dispiace tanto” This is the way you left me, I'm not pretending. No hope, no love, no glory, No Happy Ending
RICORDATEVI CHE L’AMORE NON E’ VIOLENZA E CHE NON MI POTETE PICCHIARE CIAO.
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lilsadcactus · 6 years
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Resoconto della serata: non abbiamo bevuto, neanche un goccio, neanche mezza birra. Quindi in tutto ciò io son sobria. Siamo andati direttamente in camporella che ormai è quel posto lì, c'è la targa con scritto qui scopano Cactus e Pietro (lol) di fianco c'è scritto qui piscia Pietro. Comunque siamo arrivati al solito posto e con virgin radio serata rock in sottofondo abbiamo chiacchierato un bel po', con qualche carezza e qualche bacio... Tutto molto tenero. Io sono stata tenera, come mai prima con lui.
Un po' di sano sesso, un po' di sporco sesso, un po' di luridissimo osceno sesso e lui che mi accarezza tutto il corpo e mi fa dei complimenti... Ha notato i pochissimi nei che ho, cose del genere. Cose che credevo non notasse nessuno, in me almeno, perché dai, il mio corpo fa cagare.
Abbiamo parlato ancora e ancora e mi ha coccolato in mille modi. Abbiamo provato nuove posizioni che mi hanno lasciato con le gambe tremanti. Che poi scopare in macchina non è comodo affatto, infatti siamo rimasti che forse un giorno presto o tardi magari se gli dei (io) (voglio)no potrei andare a casa sua per stare un bel po' più comodi. Mi fa ridere perché io ho ancora delle remore mi dico da sola che se si fa questo o quello poi finisco per vederlo come più di un cazzo soltanto e alla fine rimarrò fregata come con Ale. Forse è per questo che stasera non l'ho lasciato venire nonostante lui mi abbia fatto godere tanto. Troppe coccole, troppa gentilezza nei miei confronti, ha capito che in realtà un cuore ce l'ho eccome, ha capito che sotto sotto sono buona anche io... Mi sono sentita esposta e l'ho voluto allontanare così, lasciandolo a metà.
Mi ha riportato a casa e nel mentre abbiamo continuato a parlare. Gli ho indicato la casa in cui ho dormito per una settimana una volta che mia madre mi cacciò di casa e rimanendo sul tema famiglia mi ha detto che anche lui non ha mai avuto un gran bel rapporto con i suoi. Soprattutto con sua madre che una volta quando aveva 10 anni dopo la morte di suo fratello gli ha detto Pietro dovevi morire tu e ragazzi chi se l'aspettava una bomba come questa quando siamo arrivati al punto che mi dici di tuo fratello che aveva 4 anni in più di me e che ormai è morto?? Gli ho tenuto la mano per tutto il tempo mentre me ne parlava e sta volta prima di scendere dalla macchina per tornare a farmi i cazzi miei gli ho dato tanti bacini. Mi ha presa mentre scendevo e mi ha detto ti avessi conosciuto in Inghilterra in questo momento avrei detto: please don't be a stranger
Eeeeeeeeeeeeeeeeeee porco dio mi sa che non mi fa schifo come il resto del mondo questa è una cosa grave
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girlfromtube · 6 years
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PHOTOS: http://girlfromtube.tumblr.com/post/182054728583 EPISODIO 10 Bill Murphy: Ma come faremo a mangiare? Bridget Fitzsimmons: Nella spazzatura, Bill! Aggirandoci nei vicoli dietro i ristoranti! Mangiando un piatto di spaghetti che termineranno in un bacio, mentre un grasso italiano suona la fisarmonica! Prima che te ne accorga sarò abbastanza grande da servire ai tavoli e sfornare un bambino. E tutto perché avrò il mio Billy vicino! Vero?! Bill Murphy: Certo! Ma dove andremo a dormire? Bridget Fitzsimmons: Ma mi stai prendendo in giro??? Bill Murphy: No, ma... Bridget Fitzsimmons: Dio, sembri mia madre sul letto di morte! "Chi si prenderà cura di Bridget?!" Bridget si prende cura di Bridget!!! Staremo bene. Bill Murphy: Ok! Ok! Bridget Fitzsimmons: Resta col tuo bel culetto su quel sedile e lascia che la libertà ti scorra dentro. Bill Murphy: Addio, vita che conoscevo. Marie Bonfiglio: Oh, improvvisamente non siamo più degli sciacalli??? Frank Murphy: Non l'avrei mai detto se avessi pensato di aver bisogno di voi! Mr. Otto Holtenwasser: Oh non posso! Io ho il terrore di volare. Ginny Throater: Si, resta qui con me mio invasore tedesco! Mr. Otto Holtenwasser: Ma la morte è una vecchia amica. Ci verrò!!! Vic Reynolds: Come te la passi, Otty?! Mr. Otto Holtenwasser: Non avrei mai pensato di dirlo, ma credo che i treni siano meglio. Chauncey Roosevelt: Il mio avversario ha molti soldi e una macchina politica alle spalle. Io conosco questo quartiere, ci tengo molto. Sono nato qui, sono figlio di questa città. Bill Murphy: Il mio amico, che mi picchia sempre, voleva rubare i calici della Chiesa ma io l'ho colpito con un crocefisso. Grazie per essere morto su una croce e non su qualcosa di morbido come una nuvola. Chauncey Roosevelt: Quelli sono i nostri elettori e non gli serve qualcuno che metta il culo su una poltrona. Hanno bisogno di un leader che si preoccupi dei loro problemi e combatta per loro! Smoky: Non si dovrebbe fare un figlio che non riesci a guardare. E' innaturale. Bill Murphy: Quando avevo bisogno di te oggi mi hai detto "Non adesso!". Che ne dici di adesso papà??? Maureen Murphy: Ruota il polso. Mira in alto. Non fidarti degli ebrei. Mr. Otto Holtenwasser: Ho imparato ad apprezzare quanto sia prezioso ogni secondo della vita. Quindi, vattene fuori da casa mia! Sue Murphy: Il nostro lavoro più importante è essere i vostri genitori e vi giuro che non lo dimenticheremo più.
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corallorosso · 3 years
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ROMANZO POPOLARE E così di Luana sappiamo che era bella, era bionda, voleva fare l'estetista e aveva la fissazione di avere la cellulite. Che le piacevano le penne col ragù e pure le lasagne. Che si era comprata un profumo di Jean Paul Gautier e che lo aveva pagato 80 euro. E volete sapere perché lo sappiamo? Perché Luana era un'operaia, figlia di una casalinga e di un pensionato. Perché viveva in una casa di periferia dove i parenti delle vittime ti fanno entrare e ti offrono anche il caffè. Ti aprono i cassetti e ti lasciano frugare, mentre tu, giornalista con la bava alla bocca, memorizzi i dettagli: le ciabatte gialle di plastica (e sottolinei di plastica), un pupazzo sul comodino (giallo pure quello), la fila di creme e quella di ombretti in ordine su un comò. Dettagli che raccontano la banale quotidianità della vita di chiunque e che sai, con la disonestà intellettuale che ti regala 'sto mestiere, che spostano l'attenzione dal vero problema (in Italia, anche durante il lockdown c'è stata una media di due morti al giorno sul lavoro) per focalizzarlo su qualcosa di più semplice e del tutto inutile. Perché, oggettivamente, sapere che a una ragazzina di 22 anni piacevano le penne col ragù e le lasagne e aveva le ciabatte (di plastica) gialla ordinatamente accostate vicino al letto in cui non dormirà più, è solo un modo per riempire righe vuote, solleticando quella curiosità morbosa che abbiamo mutuato dai tabloid inglesi e che ha imputtanito la memoria di Brera, Biagi e Montanelli, Gianni Mura e pure Rossana Rossanda. Ma l'aspetto più squallido di tutta questa storia, l'aspetto che i lettori non conosceranno mai, è il classismo della morte. Ché 'la gente che legge' non lo conosce il classismo della morte. Ma i giornalisti sì e sanno bene che quando a morire è un figlio della borghesia torneranno in redazione con una porta sbattuta sul muso. Quando a morire è un figlio del popolo riempiranno pagine con dettagli inutili e colorati, contribuendo ad alimentare la morbosa curiosità che ha imbarbarito la cultura del rispetto della privacy. Sanno bene, i giornalisti, che se muore un operaio che abita in un palazzo di periferia, basterà suonare il campanello di casa per accomodare le chiappe sul suo divano, frugando con gli occhi alla ricerca di un frammento della sua vita. E sanno anche che non dovranno nemmeno fare fatica per trovarlo quel frammento perché a portarglielo, assieme a una tazzina di caffè, sarà la mamma, la moglie, la fidanzata di quell'operaio, ovvero una persona che, mediamente, non ha gli strumenti culturali (non intellettuali, che per fortuna l'intelligenza non c'entra con la cultura) per comprendere che raccontando la vita di chi è morto a un giornalista, ne getta la memoria in pasto alla curiosità morbosa degli sconosciuti. Basterebbe fare un passo indietro, e dico a te giornalista del Corriere della Sera che ieri ci hai regalato un mirabile esempio di dettagliato squallore narrativo. Basterebbe raccontare che a 22 anni morire stritolata da una macchina che dovrebbe consentirti di vivere dignitosamente è ingiusto e gravissimo. Basterebbe pensare che 'sto mestiere potrebbe aiutare la società a evolversi culturalmente, e che la responsabilità della cultura non è solo questione di Dostoevskji e Seconda Legge della Termodinamica, ma anche di responsabilità da parte di coloro che fanno il nostro mestiere. (E guardatela, 'sta foto qua sotto, della mamma di questa ragazzina: guardate i suoi capelli, la postura. Guardate lo sfondo, con lo stendipanni e poi ditemi se in questa immagine non trovate tutta la borghese e supponente violenza del mondo) di Deborah Dirani
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Libertà
- Erich Fromm
L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi.
L’amore infantile segue il principio: “Amo perché sono amato.” L’amore maturo segue il principio: “Sono amato perché amo.” L’amore immaturo dice: “Ti amo perché ho bisogno di te.” L’amore maturo dice: “Ho bisogno di te perché ti amo.”
E’ inutile cercare chi ti completi, nessuno completa nessuno, devi essere completo da solo per poter esser felice.
Perché la società dovrebbe sentirsi responsabile soltanto dell’educazione dei bambini, e non dell’educazione degli adulti di ogni età?
Il guaio della vita di oggi è che molti di noi muoiono prima di essere nati pienamente.
La differenza tra essere e avere non è essenzialmente quella tra Oriente e Occidente, ma piuttosto tra una società imperniata sulle persone e una società imperniata sulle cose. L’atteggiamento dell’avere è caratteristico della società industriale occidentale, in cui la sete di denaro, fama e potere, è divenuta la tematica dominante della vita.
Il fatto che milioni di persone condividano gli stessi vizi non fa di questi vizi delle virtù, il fatto che essi condividano tanti errori non fa di questi errori delle verità, e il fatto che milioni di persone condividano una stessa forma di malattia mentale non fa che questa gente sia sana.
L’amore è un potere attivo dell’uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai suoi simili, che gli fa superare il senso d’isolamento e di separazione, e tuttavia gli permette di essere sé stesso e di conservare la propria integrità. Sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due.
Se due persone che erano estranee lasciano improvvisamente cadere la parete che le divideva, e si sentono vicine, unite, questo attimo di unione è una delle emozioni più eccitanti della vita.
L’amore è l’unica risposta sensata e soddisfacente al problema dell’esistenza umana.
L’uomo è l’unico animale per il quale la sua stessa esistenza è un problema che deve risolvere.
Il compito principale nella vita di un uomo è di dare alla luce se stesso trasformandosi in tutto ciò che è in grado di essere. Il risultato di tali sforzi sarà la sua personalità.
Per essere creativi è necessario lasciarsi disorientare, concentrarsi, accettare il conflitto e le tensioni, rinascere ogni giorno e sapersi ascoltare.
La felicità dell’uomo moderno: guardare le vetrine e comprare tutto quello che può permettersi, in contanti o a rate.
L’uomo moderno, se osasse esprimere la sua concezione del paradiso, descriverebbe qualcosa di molto simile ai più ricchi supermercati del mondo, pieno di novità e gadget, e se stesso con tanti soldi per comprare quella roba.
Si può dire che la maggior parte degli uomini diventano come la società desidera che essi siano per avere successo. La società fabbrica tipi umani così come fabbrica tipi di scarpe o di vestiti o di automobili: merci di cui esiste una domanda. E già da bambino l’uomo impara quale sia il tipo più richiesto.
Paradossalmente, la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare.
Amare qualcuno non è solo un forte sentimento, è una scelta, una promessa, un impegno.
Rinunciare alla spontaneità e all’individualità significa soffocare la vita.
La creatività richiede il coraggio di sbarazzarsi delle certezze.
Chi ama davvero ama il mondo intero, non soltanto un individuo particolare.
Se posso dire a un altro “ti amo”, devo essere in grado di dire “amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso”.
Mentre si è coscientemente timorosi di non essere amati, il vero, sebbene inconscio timore, è quello d’amare.
Senza amore l’umanità non sopravvivrebbe un solo giorno.
Il carattere attivo dell’amore diviene evidente nel fatto che si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d’amore. Questi sono: la premura (o cura), il rispetto, la responsabilità e la conoscenza.
I sogni sono come un microscopio col quale osserviamo le vicende nascoste della nostra anima.
L’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione.
Il conosci te stesso resta uno dei comandamenti fondamentali, che mirano a creare la base della forza e della felicità dell’uomo.
Nell’arte di vivere, l’uomo è insieme l’artista e l’oggetto della sua arte; lo scultore è il marmo, il medico è il paziente.
Dovremmo proporci come meta quella di essere molto, non già di avere molto.
Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel verso senso dalla parola (respicere = guardare), la capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è.
Il Don Giovanni è colui che ha bisogno di provare la sua virilità fisica perché è insicuro della sua virilità di carattere.
Anche nella civiltà occidentale contemporanea, l’unione col gruppo è la maniera più frequente per superare l’isolamento. È un’unione in cui l’individuo si annulla in una vasta comunità, e il suo scopo è quello di far parte del gregge. Se io sono uguale agli altri, sia nelle idee che nei costumi, non posso avere la sensazione di essere diverso. Sono salvo: salvo dal terrore della solitudine.
L’ottimismo è una forma alienata di fede, il pessimismo una forma alienata di disperazione.
La struttura della società moderna influisce sull’uomo contemporaneamente in due modi: egli diventa più indipendente, autosufficiente e critico, e al tempo stesso diventa più isolato, solo e impaurito.
L’uomo diventa un ‘dalle nove alle cinque’, è parte della forza del lavoro, della forza burocratica degli impiegati e dei dirigenti. Ha scarsa iniziativa, i suoi compiti essendo prescritti dall’organizzazione; vi è ben poca differenza tra chi è in cima alla scala, e chi è in basso.
Tutti seguono schemi prestabiliti, con una velocità prestabilita, in modo predisposto. Perfino le reazioni sono prescritte: allegria, tolleranza, amabilità, ambizione e capacità di andare d’accordo con tutti senza attrito. Il divertimento è organizzato nello stesso modo, sebbene non con lo stesso sistema; i libri sono selezioni da biblioteche, i film dagli impresari, e gli slogans pubblicitari coniati da loro; il resto è pure uniforme; la gita domenicale in automobile, i programmi televisivi, le riunioni e i ricevimenti ufficiali.
Dalla nascita alla morte, dal lunedì alla domenica, da mattina a sera, tutte le attività sono organizzate e prestabilite. Come potrebbe un uomo prigioniero nella ragnatela della routine ricordarsi che è un uomo, un individuo ben distinto, uno al quale è concessa un’unica occasione di vivere, con speranze e delusioni, dolori e timori, col desiderio di amare e il terrore della solitudine e del nulla?
È un dato di fatto che la maggior parte degli uomini siano oggi impiegati o simili di livello più o meno alto, che fanno ciò che qualcuno dice loro di fare o che è imposto dalle regole, evitando di provare sentimenti, perché i sentimenti disturberebbero il funzionamento armonico della macchina.
Il modo di produzione del sistema capitalistico ha trasformato l’uomo in una creatura ansiosa e alienata.
La religione è nulla. Vivere religiosamente è tutto. Ciò che intendo per vivere religiosamente è ciò che pensavano i profeti, ciò che Gesù pensava: fare ciò che è giusto, dire la verità, amare il prossimo tuo come te stesso. Questo è tutto.
Essi scambiano l’intensità dell’infatuazione, il folle amore che li lega, per la prova dell’intensità del loro sentimento, mentre potrebbe solo provare l’intensità della loro solitudine.
Gli idoli dell’uomo moderno avido, alienato sono la produzione, il consumo, la tecnologia, lo sfruttamento della natura. Quanto più ricchi sono i suoi idoli, tanto più l’uomo si impoverisce. Invece della gioia egli va in cerca di piacere e di eccitamento; invece di crescere cerca possesso e potere; invece di essere, egli persegue avere e sfruttamento; invece di ciò che è vivo sceglie ciò che è morto.
Consumare è una forma dell’avere, forse quella di maggior momento per l’odierna società industriale opulenta. Il consumo ha caratteristiche ambivalenti: placa l’ansia, perché ciò che uno ha non può essergli ripreso; ma impone anche che il consumatore consumi sempre di più, dal momento che il consumo precedente ben presto perde il proprio carattere gratificante. I consumatori moderni possono etichettare se stessi con questa formula: io sono = ciò che ho e ciò che consumo.
Responsabilità: è la mia risposta al bisogno, espresso o inespresso, di un altro essere umano.
Amore e lavoro sono inseparabili. Si ama ciò per cui si lavora, e si lavora per ciò che si ama.
L’unico modo per conoscere profondamente un essere è l’atto di amore; questo atto supera il pensiero, supera le parole. È il tuffo ardito nell’esperienza dell’unione.
L’amore non è una cosa che si può avere, bensì un processo, un’attività interiore di cui si è il soggetto. Posso amare, posso essere innamorato, ma in amore non ho un bel niente. In effetti meno ho e più sono in grado di amare.
Nel diciannovesimo secolo il problema era che Dio è morto; nel ventesimo secolo il problema è che l’uomo è morto.
Chissà se un felice momento d’amore o la gioia di respirare o camminare in un chiaro mattino e l’odorare l’aria fresca, non valga tutta la sofferenza e lo sforzo che la vita implica. La vita è un dono, un’impareggiabile sfida e non può esser misurata nella maniera di qualsiasi altra cosa; non c’è risposta sensata alla domanda se essa meriti di essere vissuta, poiché la domanda non ha alcun senso.
Non è ricco colui che possiede molto, ma colui che dona molto.
La malattia della civiltà non è tanto nella materiale povertà dei molti quanto nella decadenza dello spirito di libertà e di fiducia in se stessi.
Morire è tremendo, ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile. Il compito principale nella vita di un uomo è di dare alla luce se stesso.
Se le qualità che uno ha non servono, egli non ne possiede alcuna; proprio come una merce invendibile non ha valore, pur potendo aver una sua utilità.
La fiducia in se stessi, il “sentimento dell’io”, sono soltanto indicazioni di ciò che gli altri pensano della persona. Questa non si convince del proprio valore indipendentemente dalla popolarità o dal suo successo sul mercato. Se è ricercata, è qualcuno; se non è popolare, non è nessuno. Questo dipendere della stima di sé dal successo della “personalità” è la ragione principale per cui la popolarità ha per l’uomo moderno una così grande importanza
Il significato della vita è diventato incerto, se i proprio rapporti con gli altri e con se stessi non offrono sicurezza, allora la fama è un mezzo per far tacere i propri dubbi.
L’uomo non vende soltanto merce, vende anche se stesso e si sente una merce.
L’egoismo è una forma di avidità. Come ogni forma di avidità, è insaziabile, per cui non c’è mai una vera soddisfazione. L’avidità è un pozzo senza fondo, che esaurisce la persona nello sforzo incessante di soddisfare il bisogno senza mai raggiungere la soddisfazione.
Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell’atto mi sento vivo; amare è più importante che essere amato.
Mio padre era commerciante, ma contro la sua volontà. Si vergognava di essere un commerciante. Anch’io, da bambino, quando avevo dieci, dodici anni, me ne vergognavo. Se qualcuno mi diceva “sono un commerciante” avevo pietà di lui; mi dicevo “ma come si può ammettere che lo scopo della sua vita sia quello di guadagnare del denaro?”
In ogni attività creativa, colui che crea si fonde con la propria materia, che rappresenta il mondo che lo circonda. Sia che il contadino coltivi il grano o il pittore dipinga un quadro, in ogni tipo di lavoro creativo, l’artefice e il suo oggetto diventano un’unica cosa: l’uomo si unisce col mondo nel processo di creazione.
L’incapacità di agire spontaneamente, di esprimere quel che veramente si sente e si pensa, è la conseguente necessità di presentare uno pseudo io agli altri e a se stessi, sono la radice del sentimento di inferiorità e di debolezza.
L’atto sessuale, senza amore, non riempie mai il baratro che divide due umane creature.
Se amate senza suscitare amore, vale a dire, se il vostro amore non produce amore, se attraverso l’espressione di vita di persona amante voi non diventate una persona amata, allora il vostro amore è impotente, è sfortunato.
La razionalizzazione non è uno strumento per penetrare la realtà, ma un tentativo a posteriori di armonizzare i propri desideri con la realtà esistente.
La distruttività è il risultato della vita non vissuta.
La nostra è una società composta da individui notoriamente infelici: isolati, ansiosi, in preda a stati depressivi e a impulsi distruttivi, incapaci di indipendenza, in una parola esseri umani ben lieti di poter ammazzare il tempo che con tanto accanimento cercano di risparmiare.
L’uomo moderno pensa di perdere qualcosa del tempo quando non fa le cose in fretta. Però non sa che farsene del tempo che guadagna, tranne ammazzarlo.
Gli uomini moderni vivono sotto l’illusione di sapere quello che vogliono, mentre effettivamente vogliono quello che suppongono di volere.
Il consumatore è un eterno lattante che strilla per avere il poppatoio: una condizione che assume ovvia evidenza in fenomeni patologici come l’alcolismo e l’assuefazione alle droghe.
Nell’atto di distruzione l’uomo pone se stesso sopra la vita.
Il rivoluzionario che ha avuto successo è un uomo di stato, quello che non ha avuto successo è un criminale.
Premura, responsabilità e comprensione sono strettamente legate fra loro. Sono un complesso di virtù che fanno parte della personalità matura, di una persona che sviluppa con profitto i suoi poteri, che sa quello che vuole, che ha abbandonato sogni narcisistici di onnipotenza e di onniscienza, che ha acquistato l’umiltà fondata sulla forza intima che solo l’attività produttiva può dare.
Non c’è forse fenomeno che contenga così tanto sentimento distruttivo quanto l’indignazione morale, che permette all’invidia o all’odio di manifestarsi sotto le spoglie della virtù.
Finché ciascuno aspira ad avere di più, non potranno che formarsi classi, non potranno che esserci scontri di classe e, in termini globali, guerre internazionali. Avidità e pace si escludono a vicenda.
Tutti i veri ideali hanno un elemento in comune: esprimono il desiderio di qualche cosa che non è ancora realizzato, ma che è desiderabile ai fini dello sviluppo e della felicità dell’individuo.
L’amore per un’idea o per un essere umano, che sia esente da idolatria, è pacato, non è stridente; è calmo, profondo; rinasce a ogni istante, ma non è ebbrezza. Non è inebriante, non porta all’obnubilamento, ma scaturisce dal superamento dell’ego.
Nella nostra civiltà l’educazione troppo spesso produce l’eliminazione della spontaneità.
La nascita non è un atto, è un procedimento ininterrotto. Lo scopo della vita è di nascere pienamente, ma la sua tragedia è che la maggior parte di noi muore prima di essere veramente nato. Vivere significa nascere ad ogni istante. La morte si produce quando si cessa di nascere
Il capitalismo moderno necessita di uomini che senza difficoltà cooperino in vasto numero; che vogliano consumare sempre di più; i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati.
Il compito a cui dobbiamo lavorare, non è di arrivare alla sicurezza, ma di arrivare a tollerare l’insicurezza.
Essere vivo, interessato, vedere le cose, vedere l’uomo, ascoltare l’uomo, immedesimarsi nel prossimo, sentire se stessi, rendere la vita interessante, fare della vita qualcosa di bello e non di noioso
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paoloxl · 6 years
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L’incontro è fissato per le undici del mattino ed io arrivo con tre minuti di ritardo.
“Pè”, mi sento chiamare da una voce squillante. Mi volto e trovo Mohammed che mi saluta a dieci metri di distanza.
E’ alto almeno venti centimetri più di me e ben piazzato, ma un viso da bambino cresciuto troppo in fretta si fa spazio nei suoi lineamenti adulti.
“Cominciamo” gli dico. “Cominciamo” mi risponde.
Quanti anni hai?
Ho 32 anni.
Da che nazione vieni?
Arrivo dal Niger e sono in Italia da 8 anni.
Qual è stato il motivo che ti ha spinto a partire dal tuo Paese per arrivare in Europa?
In Niger lavorava mio papà, era falegname. Quando c’era lui si stava bene: si occupava dell’arredamento delle case universitarie. Dei mobili, delle sedie, dei letti.
Noi siamo una famiglia numerosa e lo aiutavamo nel suo lavoro: ci pagava bene.
Quando lui è morto, mio fratello ha preso il suo posto: abbiamo avuto degli attriti perché lui non è come papà, ci ha trattato diversamente. Poiché non volevo problemi con lui, ho cercato di andare via e di trovare un altro lavoro.
Così mi sono detto “vado in Libia” ed ho iniziato a lavorare a Tripoli. Avevo quasi 15 anni.
Ho optato per la Libia per la vicinanza territoriale: la poca distanza mi permetteva di fare andata e ritorno. Stavo un anno lì, tornavo al mio Paese per trovare la mia famiglia e poi riprendevo il mio lavoro in Libia.
Facevo avanti e indietro, perché comunque avevo i giorni di ferie come accade qui. Prendevo le mie cose e me ne andavo.
In Libia come si stava?
Guarda, ti dico la verità, stavo proprio bene. Molto meglio che qui in Italia. Lavoravo bene.
Ho preso i loro documenti ed ero regolarmente soggiornante. Quando è arrivato il momento della guerra, però, loro mi volevano militare. Ma quello era uno scontro voluto da gente che non voleva Gheddafi. Al mio Paese io non ho mai fatto la guerra, al paese degli altri non ne faccio.
Alcuni miei amici sono proprio partiti come militari e sono diventate milizie libiche, ma io ho deciso che non volevo.
La Libia è un paese molto particolare e delicato: quando è scoppiato il conflitto le prime persone ad essere ammazzate erano i ragazzi di colore. Questo è successo perché lì ci sono razzisti molto più che in Italia. 
In Libia c’è molto, molto razzismo.
L’Italia al confronto è zero.
Come se non si sentissero africani?
No, no. Loro si sentono africani ma pensano “sto bene e posso fare quello che voglio”: si sentono superiori rispetto al resto dell’Africa, superiori agli europei.
Quando c’era Gheddafi stavano tutti molto bene, ognuno poteva permettersi cioè che desiderava.
In Libia in che anno sei arrivato e che lavori hai fatto?
Sono arrivato agli inizi del 2000, nel mese di Agosto.
Ho fatto un bel po’ di lavori: muratore, falegname, cuoco e guardia del corpo. Accompagnavo la persona in questione con sua moglie durante i loro spostamenti, mi occupavo di tutte le cose che lo riguardavano.
19 Marzo 2011: la Francia bombarda la Libia. Poche ore dopo, seguono i missili britannici. 25 Marzo 2011: comincia l’Operazione Unified Protector guidata dalla NATO. Come hai vissuto questo avvenimento?
Io ho visto una cosa che non dimenticherò mai nella mia vita: la guerra.
E la guerra non la dimenticherò mai, mai, mai, mai.
Perché ci sono gli aerei che bombardano e subito dopo le persone ammazzate come fossero cani. E nelle case? Sai quante persone sono state ammazzate? Solo perché dicevano di non voler andare in guerra.
Ma quindi le cosiddette bombe intelligenti…
Puh, puh, puh… Io ero dentro Tripoli! Nel cuore della città! Ho sentito come un terremoto quando hanno gettato le bombe.
E’ stata una cosa paurosa. P-a-u-r-o-s-a.
Dopo il 19 Marzo 2011 le cose non sono andate meglio? Non è stata una cosa positiva?
No, assolutamente. Anche perché già era una situazione complessa, delicata, ingarbugliata. Un sacco di miei amici sono morti: uno è stato ucciso mentre era dentro la sua macchina, uno a casa sua per una bomba, un altro ammazzato da un proiettile. In Libia non si capisce niente, chi ha ragione e chi non ha ragione.
C’è un bordello, non sai neanche dove puoi passare. Quindi mi sono detto: “Meglio andare via. Io non voglio andare in guerra. Non voglio fare la guerra.”
Tu hai fatto una scelta molto decisa.
Ho fatto una scelta molto decisa, si. Grazie anche ad amici in Libia che mi vogliono molto bene, che mi hanno ben consigliato, che mi hanno voluto aiutare. Anche perché io avevo documenti libici, il passaporto regolare, ero un uomo libero.
Tu volevi venire in Europa?
No, non volevo. Mi hanno mandato insieme ad altre 700 persone. Desideravo ritornare a casa mia ma non è stato possibile. Speravo di andare a trovare mia mamma, perché nel mio cuore avevo paura di morire. Vedere gente ammazzata come cani è dura. Da quel momento, non ho neanche pensato di arrivare, pensavo sarei morto.
Pensavi di morire?
No! Io pensavo “sono già morto” vedendo quante persone sono state ammazzate.
Non c’era nessuno che respirava. Le strade erano deserte, senza persone che camminavano. Rischiavi di essere sparato senza sapere il perché, chi fosse.
In quel momento ho pensato: “io muoio in Libia”.
Ho la pelle d’oca…
Si…
Noi avevamo le armi. Mi hanno dato kalashnikov, pistole.. tutto. Ero armato proprio come un militare. Quindi ho detto: “Muoio”. Perché quando c’è la guerra, tu non sai cosa succede. Ho visto tantissimi libici, amici miei, militari, a terra: nessuno era più vivo.
Tutti morti.
Tu conoscevi quindi persone al fianco di Gheddafi?
In Libia c’era un pezzo grosso, era parte della famiglia di Gheddafi. Io lavoravo per lui, era il mio capo.
Era il tuo datore di lavoro?
Si, era il mio capo: ci dirigeva, ci comandava. Era il nostro responsabile. Durante i bombardamenti mi ha detto: “Andate via!”
Mi ha dato dei soldi e mi ha detto: “Cerca di tornartene al Paese tuo”. 
Ma dove potevo tenerle tutte quelle banconote? Le ho nascoste sotto terra, le ho davanti agli occhi ancora adesso. Ma non potevo prendere quel denaro, non potevo camminare con quei soldi. Quindi li ho lasciati.
Fammi capire, lui ti ha dato i soldi e ti ha detto “tu devi andare via”?
“Scappa, scappa via!”
Questo nel 2011…
Si! “Scappa via” e io gli ho risposto “E dove scappo?”
Incredibile…
Si! Gli ho detto “E dove, dove scappo?”
Perché, essendo la sua guardia del corpo, abitavo dentro casa sua. Ho scavato una buca ed ho messo i soldi dentro una valigia sotto terra. Ma non serviva a niente, perché io dove andavo con quel denaro? Era un problema: le banche non lavoravano più, tutte rovinate o distrutte. Tutte chiuse. Non c’era più movimento. Pure i supermercati erano chiusi.
Una città fantasma?
Una città che non serve più a niente e non vale più niente.
Quindi sostanzialmente ti hanno dato dei soldi e ti hanno messo in una barca?
No, no, no… I soldi li ho lasciati lì, non ci facevo niente.
Ho cercato in tutti i modi di andare via. Poi una persona mi ha detto: “Vai coi militari, vai via con loro e noi cerchiamo un posto per mandarti via”. 
Ho risposto di si, che andava bene. Loro mi hanno munito di tutto, anche delle armi.
La sera mi hanno portato, c’erano circa 50 persone. Tra questi erano presenti anche libici che volevano venire con noi perché fuggivano dalla guerra e desideravano una vita normale.
Quando è arrivata la notizia di una barca libera, c’hanno preso tutte le armi che avevamo: con 50 kalashnikov e con le pistole ci fanno i soldi. Poi hanno caricato me e gli altri su un pullman e quando siamo arrivati al luogo stabilito, c’hanno cacciato i vestiti e dato indumenti normali.
Abbiamo fatto un giorno di cammino e poi trovato la barca coi trafficanti che ci aspettava.
Erano organizzati.
Siamo saliti su una barca dove c’erano più di 600 persone a bordo.
Sono partito da Tripoli ed arrivato a Lampedusa. Il viaggio è durato sei giorni.
Sei giorni?
Sei giorni in mezzo al mare, senza mangiare assolutamente nulla.
Alcune persone sotto di noi sono praticamente morte perché non c’era aria, non c’era niente. Non respiravano. Sopra era meglio, sotto invece c’era solo un buco per prendere aria, c’era il caldo asfissiante del motore, avevano noi sopra, quindi…
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