#ma non ho troppa voglia di vivere comunque oggi
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Ho il naso così tappato che o mangio o respiro, mi fa male la gola e ho voglia di piangere come i bimbi che stanno male però sto guardando Super Mario Bros e cenando con una mozzarella chissà se muoio o se riesco a finirla indenne
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Libri Horror che ho apprezzato
Io non sono una grande amante delll'horror classico, leggo molti romanzi con mostri, presi dal genere horror, ma trasportati in altri generi meno oscuri e paurosi. Ho letto Dracula di Bram Stoker, ma preferisco i vampiri di Anne Rice sinceramente, ho letto anche molti racconti Poe e Lovecraft, e ho trovato spaventosi Il pendolo e Il richiamo di Cthulhu, ho letto anche La metamorfosi di kafka, che mi ha inorridito non poco, ma non sono libri che amo, mi hanno fatto troppa paura sinceramente. Perciò quando mi hanno richiesto una lista di horror che mi siano piaciuti, mi sono trovata un tantino in difficoltà. Diciamo che questa lista è composta non tanto da libri che ho amato, ma più che altro da libri che mi hanno colpito, che da un punto di vista letterario apprezzo, e non mi hanno spaventato troppo.
L'ombra dello scorpione, di Stephen King
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Trama: L'umanità è colpita da un'epidemia influenzale che decima la popolazione mondiale, creando un mondo completamente trasformato dal virus, con città vuote e spettrali percorse da poche persone allo sbando. I pochi sopravvissuti si trovano intrappolati in uno scontro più grande di loro, quella lotta eterna tra forze della natura nella quale si può solo decidere di perseguire il Bene e appoggiarsi alle fragili spalle di Mother Abagail, la veggente ultracentenaria, o seguire le orme dello spaventoso Randall Flagg, il Senza Volto, il Signore delle Tenebre. L'umanità di fronte alla pandemia sbanda tra paura e voglia di sopravvivere a qualsiasi costo: emergono i lati più oscuri dell'animo umano ma anche il coraggio di affrontare le tenebre.
La mia opinione: forse leggendolo oggi dopo il Covid mi farebbe un effetto diverso, ma lo lessi quando avevo circa 14 o 15 anni mentre ero a casa con l'influenza e fu spaventoso. Io non sono fan dello stile di Stephen King, ma questo libro mi colpì e lo ricordo ancora benissimo, trama personaggi e tutto.
Olivia, di R. Lee Smith (inedito in italiano)
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Trama: Nascosti da occhi umani, in profonde caverne sotto le montagne, vive un popolo alato. Non uomini uccello, no, nulla di così bello, ma bensì uomini pipistrello, muniti di spaventose corna e ricoperti di pelo. La loro è una società primitiva, ma hanno un loro linguaggio, una loro società, divisa in tribù. E una di queste tribù sta morendo a causa di una malattia che li ha decimati. Devono riprodursi e immettere sangue sano per poter sopravvivere e il capo prende la difficile decisione di rapire un gruppo di donne umane. Questa è la storia di Olivia, una di quelle donne rapite, che scoprì dentro di sé un istinto di sopravvivenza più forte di quello che avrebbe forse desiderato e imparò ad integrarsi con quella società che le aveva rubato tutto.
La mia opinione: Che dire. Partiamo col fatto che il mio riassunto non dice molto, è vero, ma ciò che non dico è bene immaginabile. La paura, il terrore, l'orrore, la prima violenza inspiegabile….I primi mesi di prigionia delle vittime sono terribili. L'autrice glissa su molto e rende tutto leggibile, ma è comunque dura. Piano piano la situazione migliora man mano che insieme ad Olivia il lettore viene a conoscenza dei motivi dei rapitori, scopre i loro problemi, la loro società, il loro conflitto interiore. Loro stessi hanno orrore di ciò che hanno fatto, ma che altre possibilità avevano? Non dico che tutto venga reso accettabile, questo no, ma quasi. Alcune umane si rivelano più cattive dei mostri…altri mostri sono proprio mostri e in tutto questo Olivia cerca di integrare umani e mostri, cerca di agire da pacere di creare un luogo in cui poter vivere tutti nel miglior modo possibile vista la situazione, ma è difficile, il mondo umano è la fuori, basterebbe così poco per tornarci…..Qui non siamo su un pianeta alieno e io almeno non sono riuscita ad accettare l'accettazione della situazione da parte della maggioranza delle donne, uno o due tentativi di fuga li avrei fatti prima di arrendermi….ma a parte questo, poi verso la metà del libro, l'autrice, che qui era inesperta, credo questo sia il suo primo libro, si perde per la tangente avviando un sacco di trame secondarie e dando molta importanza alla religione di questa tribù, e Olivia il cui punto di vista corrisponde con il lettore inizia da avere visioni, parlare con i loro Dei….tutto diventa confuso tra realtà e la sua psiche con gravi problemi…e così ho abbandonato il libro francamente. Già mi avevano dato fastidio altre cose prima, quella è stata la goccia e così ho lasciato perdere, mi sembrava il tutto perdesse coerenza con la prima parte del libro che invece era stata accettabile pur con tutti i suoi difetti. Per me è raro non finire un libro, ma a volte, raramente capita. Perciò direi che quest'ultimo non ve lo consiglio, ma se la trama vi incuriosisce, provatelo pure, magari voi riuscirete a completarlo.
Il battello del delirio, di George R. R. Martin
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Trama: St Louis, 1857. Dopo aver perso la sua flotta commerciale e ormai sull’orlo della bancarotta, il burbero capitano Abner Marsh accetta l’offerta di uno straniero bizzarro, Joshua York, che non solo si offre di rilevare metà delle quote della compagnia, ma anticipa anche il denaro per costruire un nuovo battello, il più lussuoso e veloce mai visto lungo il Mississippi, battezzato Fevre Dream. Poche le condizioni poste: non disturbare mai York durante il giorno ed eseguire sempre alla lettera i suoi ordini, per quanto insoliti, senza fare domande. Tutto sembra andare per il meglio. Ma, a mano a mano che il battello discende il tortuoso corso del fiume, Marsh si insospettisce sempre di più. Perché York si mostra soltanto di notte? E cos’è quel vino nerastro dall’aspetto disgustoso con cui lui e i suoi amici si dissetano ogni sera? Marsh decide di andare in fondo al mistero di Joshua York; ancora non sa di essersi unito a una spedizione più sinistra del suo peggiore incubo, e del più irrealizzabile sogno dell’umanità.
La mia opinione: rivisitazione dei romanzi dell'orrore dei primi del novecento fatta da un autore moderno che di solito si dedica al fantasy e perciò particolarmente interessante seppur prevedibile.
Il passaggio, di Justin Cronin
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Trama: Nel cuore della foresta boliviana il professor Jonas Lear fa una scoperta destinata a cambiare per sempre il destino dell’umanità: un virus, trasmesso dai pipistrelli che, modificato, è in grado di rendere più forti gli esseri umani, preservandoli da malattie e invecchiamento. In una remota base militare in Colorado, il governo degli Stati Uniti inizia quindi degli esperimenti genetici top secret per studiare i prodigiosi effetti di questa scoperta. È il Progetto Noah, che utilizza come cavie umane dodici condannati a morte e una bambina. L’esperimento però non procede secondo le previsioni e accade ciò che non era neanche lontanamente immaginabile: i detenuti sottoposti alla sperimentazione – i virali – trasformatisi in creature mostruose e assetate di sangue, fuggono dalla base, seminando morte e distruzione. Da quel momento gli eventi precipitano e nessuno è più in grado di controllarli, nessun luogo è più sicuro e tutto ciò che rimane agli increduli sopravvissuti è la prospettiva di una lotta interminabile e di un futuro governato dalla paura del contagio, della morte e di un destino ancora peggiore. L’unica speranza è rappresentata da Amy, piccola superstite dell’esperimento che ha scatenato l’apocalisse: su di lei il virus ha avuto effetti particolari, trasformandola in una pedina fondamentale nella lotta contro i virali.
La mia opinione: mi piace pensare a questo romanzo come la fonte di ispirazione per una parte della trama del videogioco The last of us, perchè ci vedo molte ma molte similitudini, All'epoca della sua uscita divenne subito un bestsellers e lo lessero tutti, me compresa.
Lasciami entrare, di John Ajvide Lindqvist
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Trama: A Blackeberg, periferia ovest di Stoccolma, il ritrovamento del cadavere completamente dissanguato di un ragazzo segna l'inizio di una lunga scia di morte. Mentre nel quartiere si diffonde la paura, l'introverso dodicenne Oskar conosce Eli, una coetanea che si è appena trasferita nella zona. Ma c'è qualcosa di strano in lei, il viso smunto, i capelli scuri e i grandi occhi. Emana uno strano odore, non ha mai freddo, se salta sembra volare e, soprattutto, esce di casa soltanto la notte...
La mia opinione: romanzo che all'epoca della sua uscita ebbe enorme successo e ora finito un poco dimenticato, ma sempre bello per il suo punto di vista così innocente che non vede l'orrore ma solo amicizia in un contesto alquanto oscuro. Da riscoprire.
Five nights at Freddy's. The silver eyes, di Scott Cawthon
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Trama: Sono passati ormai dieci anni dai terribili rapimenti avvenuti al Freddy Fazbear, il ristorante del padre di Charlie. Eppure, lei e i suoi amici – John, Carlton, Jessica, Marla, Jason, e Lamar – non sono mai riusciti a superare veramente la scomparsa di Michael. Ora che sono di nuovo tutti riuniti in città per commemorare l’anniversario della tragedia, decidono di tornare a vedere che fine ha fatto il vecchio Freddy Fazbear, chiuso e abbandonato da anni. Quando i ragazzi trovano un modo per entrare, si rendono conto che le cose non sono rimaste quelle di un tempo. I quattro grandi animatronic che una volta intrattenevano i clienti sono cambiati. Ora nascondono un oscuro segreto... e sono programmati per uccidere.
La mia opinione: questo è definito un romanzo per ragazzi, e lo stile semplice lo rivela, ma in realtà secondo me è per tutti. Tratto da un famoso videogioco poi diventato anche film, la storia di questi ragazzi che vengono presi di mira invece che da un clown come IT, da degli automi a forma di Enormi peluche di animali che suonano in una band di un fast food abbandonato è altrettanto spaventosa, almeno per me, ma più divertente e scanzonata.
Formiche (Empire of the Ants) di Bernard Werber
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Trama: Jonathan Wells e la sua giovane famiglia sono arrivati nell'appartamento parigino al 3 di rue des Sybarites grazie all'eredità del suo eccentrico defunto zio Edmond, che ha lasciato loro anche una misteriosa lettera che diceva solo: Non scendete mai in cantina. Ma quando il cane di famiglia scompare giù per le scale del seminterrato, Jonathan lo segue e presto sua moglie, suo figlio e vari aspiranti soccorritori svaniscono nelle sue misteriose profondità. Nel frattempo, in un ceppo di pino in un parco vicino, una vasta civiltà è in subbuglio. Qui una giovane donna della nazione delle formiche color ruggine di Bel-o-kan scopre che una strana nuova arma ha ucciso i suoi compagni. Per scoprire il motivo, chiede aiuto a una formica guerriera e le due intraprendono viaggi separati in un mondo duro e violento. È un mondo in cui la morte assume molte forme: uccelli selvaggi e lucertole voraci, formiche nane guerriere e termiti rapaci, scarafaggi velenosi e, cosa più bizzarra di tutte, i veloci, assassini: le auto. Eppure la fine della disperata ricerca sarà l'inquietante segreto nascosto nella cantina al 3 di rue des Sybarites: un mistero che la coraggiosa formica dovrà risolvere per compiere il suo destino e diventare la nuova regina del suo grande impero. Ma per farlo dovrà prima stringere una comunione impensabile con le creature più barbare di tutte: gli umani.
La mia opinione: non credo si possa classificare questo romanzo come horror, io lo inserisco in lista per la mia fobia per gli insetti, ma in realtà è un'avventura raccontata principalmente dal punto di vista di animali che vengono antropomorfizzati, ed è affascinante, in quanto l'impero delle formiche viene dipinto come si descriverebbe una civiltà nascosta complessa quanto la nostra e molto più antica, dove dove le barche sono costruite con foglie e le mosche verdi vengono addomesticate e munte come mucche, dove i cittadini collegano le antenne in "comunicazione assoluta" e combattono guerre con eserciti precisamente coordinati usando spray di colla e acidi che possono dissolvere una lumaca. L'autore racconta una civiltà vecchia di centocinquanta milioni di anni una civiltà che non ha nulla da invidiare a quella umana: le formiche sono rigidamente organizzate, dispongono di armi chimiche sofisticatissime, di stupefacenti mezzi tecnologici, sono esperte di architettura, di politica, di musica, di filosofia...ma per me restano insetti e perciò paurosissime.
#bernard werber#scott cawthon#justin cronin#John Ajvide Lindqvist#r. lee smith#stephen king#george rr martin#libri horror#horror
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Never enough (pt.1)
04.09.76
S: Odia quel posto ed è inevitabile guardarsi intorno con aria circospetta ad ogni passo. Si avvicina rapidamente al reparto interessato, aumentando il passo pur di non sostare poi troppo in quelle zone, arricciandosi le labbra e scontrando lo sguardo con la figura di Katrine intenta a chiacchierare con qualcuno di cui non sembra interessargli. La guarda con aria circospetta, intenzionato ad oltrepassarla, ma non risparmiandola di un « ehi » alquanto Burtoniano. Oggi ha almeno voglia di salutare, insomma.
K: A impatto potrebbe quasi imprecare con parole non riproponibili - sopratutto dopo Martedì sera - ma anni di terapia e un`apparente serenità mentale fanno si che al saluto ella risponda con un battito di ciglia guardandosi alle spalle, prima a destra e poi a sinistra, come a cercar di capire se quel minimo accenno di saluto fosse per lei o per qualcuno posto sicuramente alle sue spalle. Nessuno, il neurone ci mette poco a capire cosa fare e come farlo, istintivamente guarda nella direzione della Wilson che invece ha abbandonato il campo da qualche minuto, per poi riguardare Sebastian e rispondere con un «Hey» alzando anche la testa simil "yo bella fratello", qualsiasi altra parola sarebbe probabilmente sprecata e non vuole rischiare di creare scompiglio, non in ospedale.
S: Un pensiero che dura un battito di ciglia mentre si volta verso di lei, osservandola e sospirando subito dopo. Le si avvicina, tornando praticamente indietro, muovendo prima un passo, poi un altro. Le mani ancora nelle tasche. « Sei andata dal magipsicologo? » Le domande indiscrete che dovrebbero essere rivolte a qualcun altro soltanto dopo una lunga conversazione. Ma lui no, non è — più — così. « Ho da chiederti delle cose, già che ci sei. » E nonostante le parole lascino pensare a qualche forma di pretesa, il tono di voce potrebbe sembrare gentile.
K: Per poco non ci rimane secca quando la voce torna ad essere vicina e alle sue spalle, si volta di scatto, «Sto bene»risponde lasciando una pausa «grazie» non riesce a capire dove voglia andare a parare se la stia insultando dandole della pazza, o se la domanda sia seria. Fa un lungo respiro per poi continuare «Non ultimamente»si guarda intorno cercando forse colleghi del Ministero, o semplicemente cercando una privacy che in quel posto pare essere difficile da ottenere «Ho controlli sporadici, a meno che non ci siano urgenze»tipo uccidere qualcuno -cof-. Le iridi lo scrutano davvero, non riesce a capire, eppure non se ne va, risponde alle domande senza troppa dolcezza, ma con cortesia. Non sa bene se andare via o rimanere, ma la frase successiva le da la risposta «In merito a?!»domanda curiosa, non sa proprio che cosa possa volere o chiedere un Sebastian dopo anni di indifferenza, da parte di entrambi sicuramente, ma non se ne va e infatti conclude con un «dimmi..»
S: « Quindi si guarisce? » in quella domanda apparentemente retorica. Sbatte le palpebre, non smette di guardarla. Anche se lei fissa altrove, spostando gli occhi. Lui resta lì, rivolto totalmente verso di lei. « tu cos’hai? » Non se lo ricorda più, è evidente. « Non ti ho mai vista in merito al tuo problema, ma come persona che frequentavo e basta. » specifica. Ricorda soltanto le crisi altrui, il terrore o la rabbia nei suoi occhi.
K: Fa spallucce «ci si convinve» è un modo delicato per dire di no, un modo che spaventa meno probabilmente «Con alcune malattie la parola guarigione è relativa, si possono controllare, ma eliminarle come mostri no». Deglutisce e il suo guardarsi intorno ora riguarda solo più la Wilson quel discorso che è in stand by da troppo tempo, «Disturbo borderline associato ad un disturbo bipolare» fa una pausa per lasciar assimilare la questione «L`hanno scoperto ad Aprile del settimo anno a Hogwarts, ebbi una crisi molto forte, mi tolsero la spilla e mi mandarono a casa..dovetti ripetere il settimo anno a Settembre dello stesso anno»un sospiro mentre si umetta le labbra e mentre la destrorsa tiene il laccetto della borsetta,nella mancina il pollice gioca con la fede nuziale, il suo tic nervoso alla ricerca di un porto sicuro.. «Le persone sono persone, i problemi o le malattie che hanno non le rendono necessariamente un qualcosa da vedere in modo diverso» trattiene una risatina, non per cattiveria, ma in merito ad un discorso che lei stessa si è dovuta ripetere più volte «Io sono sempre io, ho avuto le mie crisi, e i miei comportamenti ma la malattia non definisce ciò che sono, ciò che faccio o che decido... non più di quanto non lo possa fare una sbronza, l`uso di sostanze illegali.. l`amore o l`odio...»conclude serena quasi fosse una persona adulta che fa discorsi da persone adulte.
S: Sposta il peso da un piede all'altro, lasciando ondeggiare piano il bacino. « Anche io » Si schiarisce la voce, nonostante pronunci quelle esatte parole con voce estremamente bassa. « sì, le conosco » le crisi. Un lungo respiro. « che ti è … successo? » durante la crisi. E la guarda; gli occhi azzurri interamente rivolti nei suoi, mordicchiandosi appena le labbra con una base di nervosismo di sorta. « e cosa l’ha scatenata? » continua a far domande senza rivolgerle risposte a sua volta. « non è … esatto » sposta appena il capo di lato « Per noi è più difficile fermarci, a differenza degli altri. » un sospiro « e ti parlo anche solo della profonda solitudine quando il tuo ragazzo è a lavoro tutto il giorno e tu ti senti… quasi abbandonato. Sai che tornerà, sai che deve lavorare, sai che ti ama, ma … quel sentimento c’è lo stesso. »
K: Risponde alle domande come se fosse ad un`intervista, un`intervista stretta e scomoda perché lei quell`intervista se l`è fatta ormai sette anni prima «L`ansia per gli esami mi ha portato la prima crisi, ho passato alcuni giorni in dormitorio senza muovermi o mangiare, senza la forza di fare alcun che, poi d`improvviso mi sono alzata, mi sentivo forte mi sentivo diversa, ho recuperato compiti, allenamenti ho iniziato a progettare mille cose, progettavo e progettavo e più nella mia testa tutto aveva senso ed era perfetto, più accanto a me...»fa una pausa «la gente iniziava ad avere paura»un`altra pausa «Ad aprile l`apice è stato un pomeriggio nei sotterranei, non ricordo nulla, sono Arielle che mi raccoglie da terra inseme a fogli sparsi ovunque, poi le lacrime, la spilla che se ne va e io che torno a casa con mio padre» deglutisce facendo cadere le iridi smeraldine verso il pavimento «era tutto lì da un po` di più.. c`erano stati diversi sentori prima, piccoli accorgimenti che però sono passati inosservati a causa dell`adolescenza, il periodo in cui abusavo di alcol, l`autolesionismo con Jackie, con te.. il voler allontanare a tutti i costi Adam senza però riuscire davvero a farne a meno..» sospira e scuote la testa «Mi sono nascosta dietro questa scusa per anni sai?!»la difficoltà nel fermarsi «siamo più fragili, più soggetti ad agire d`impulso, ma molte scelte che facciamo sono frutto di ciò che siamo e decidiamo di essere» sospira nuovamente «Molte volte il mio istinto era quello di continuare a colpire Jackie così come lei colpiva me.. eppure arrivavo sempre al limite a costo di prendermele..Così come in diverse occasioni c`era quella parte al di fuori della malattia che ci rende quello che siamo che mi impediva di andare oltre..»Inclina la testa leggermente stringendo un po` gli occhi «C`è molta strada da fare per arrivare alla consapevolezza di poter sopravvivere anche senza..»l`altra persona «hanno rapito Adam per delle settimane, e non era a lavoro, non sapevo se sarebbe tornato...mi sono buttata nel male, nella ricerca disperata di ossigeno con cui respirare..perché lui era il mio e mi era stato portato via; eppure sono sopravvissuta..» vorrebbe aggiungere altro ma si ferma.. sta parlando anche troppo per i suoi gusti e con l`ultima persona con cui vorrebbe. «Non sono nessuno per dirti come vivere.. ma sono qualcuno..sono stata qualcuno per poterti dire come non morire dentro la scusa di una malattia che se curata e controllata.. renderà te stesso esattamente per ciò che sei»una pausa «o forse è questo che ti fa paura?!»
S: « Anche io ho superato quella fase » Si schiarisce la gola ancora una volta. « quando Ilary mi ha lasciato. » - « Ho passato un anno a cercarla, a provare a riconquistarla, a farmi bastare i pochi minuti passati insieme, ma … poi ho capito che potevo farcela da solo e mi sono staccato da lei. Sapevo non sarebbe più tornata da me e sono andato avanti, cercando di dimenticarla » e lo stacco è stato alquanto brusco. « Mi sono innamorato di un’altra persona e lei ha deciso di tornare. Non so neanche io per quale motivo. » un sospiro « e … staccarmi da lei è stato difficile. Ho lasciato il mio attuale ragazzo per dare una chance a lei, ma … continuavo a pensare a lui e alla fine ho portato me stesso e loro due allo stremo delle forze. Come faccio sempre. » Ma perché glielo sta raccontando? Forse perché crede Katrine sia l’unica possa capirlo sul serio. « Il disturbo non mi definisce, lo so. Sono comunque uno stronzo che usa e manipola le persone. » un sospiro « ma perché voler loro bene… mi rende vulnerabile agli altri ed al disturbo stesso. » preme ancora una volta le labbra tra loro « no, non ho paura di me stesso. Non più, oramai. » immobile, abbassa il capo verso il basso.
K: «quanto vale la pena rischiare la vita e perdere tutto quello che hai..»alza la mano quasi a volerlo fermare «non dirmi la frase "ho già perso tutto non ho più niente" perché giurò che ti lancio dalle scale facendoti arrivare al piano terra in tempo per fare l`accettazione» seria, non in vena di scherzi muove la testolina di tanto in tanto seguendo il suo discorso e rispondendo nelle varie pause «Non conosco la vostra storia personale»per ora «ma c`è una differenza tra» e ora si aiuta tirando su prima la mano destra a modi bilancia «perdere la persona che ami» alza ora la mano sinistra «sapere che la persona che ami è morta»una pausa «o non saperlo».«Nella mente, nel cuore e nelle paure Ilary è comunque ancora viva.. si l`hai persa, si non avete più alcun rapporto,ma lei c`è» mette qualche pausa di tanto in tanto «diverso sarebbe se nel perderla lei fosse anche morta» sospira «sono due perdite diverse..tu sei sopravvissuto al suo abbandono si, ma dopo quanto tempo hai trovato un`altra persona da amare?!»domanda retoricamente?
«Quanto tempo Sebastian ha vissuto con se stesso? da solo senza qualcuno a cui aggrapparsi, qualcuno da amare?»
scuote la testolina «lasci uno, prendi l`altro..torni indietro e ti accorgi d`aver sbagliato..sembra comunque che tu non riesca a guardarti allo specchio senza avere qualcuno vicino..» alza la mano nuovamente «sicuramente mi sbaglio, non conosco nulla di te, e per quanto ne so potresti tranquillamente essere una persona totalmente diversa dallo studente...eppure» fa una pausa «la storia si ripete ancora»lascia la frase così non vuole ne farlo arrabbiare ne tantomeno ferirlo..ma fargli forse capire qualcosa. «Il voler loro bene, non ti rende vulnerabile..» ora la voce si fa un po` più scocciata «andiamo Sebastian hai fatto quello che hai fatto perchè amavi una persona e non venirmi a dire la ca**ata che eri vulnerabile e malato in quel momento» fa una pausa prendendo un bel respiro «non mi interessa il motivo, se tu l`abbia fatto o meno, in che modo.. non è questo il punto..il punto»un nuovo respiro per tornare calma
«il punto è che parli del disturbo come se fosse una cosa che ti rende vulnerabile.. eppure.. a farsi male sono sempre gli altri...»
una pausa «Questo cosa ti dice?» lo guarda davvero e nel caso lui lo permettesse lo guarderebbe negli occhi «Hai molto da comprendere non solo di te stesso, ma anche di te stesso nel mondo.. non è una bacchetta che ti definisce, non è l`avere qualcuno vicino, non è avere un figlio o una malattia.. sei tu che definisci te stesso..che decidi quali decisioni prendere.. e non voglio entrare in merito a ciò che è successo..ripeto non mi interessa quello..» pausa prima di concludere e fare diversi respiri profondi
«tu quando conosci davvero Sebastian Waleystock?!»
to be continued..
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Una volta lessi una frase che diceva: “Non sempre lo stronzo è chi se ne va”. Ero stranamente d’accordo con quella frase, seppur restare per me aveva molto più significato, era molto più coraggioso, infondo, ho sempre odiato chi se ne andava via, quasi mi spezzava il cuore. Un giorno fatale ebbi la rara fortuna di provare quella cosa che va al di là dell’amore, di ogni immaginazione, di ogni possibile sogno, di qualsiasi reazione chimica, di qualsiasi cosa mai provata, vista o sentita. Era per me una calamita, qualcosa che ancora oggi non riesco a descrivere con un semplice aggettivo, eppure le parole mi ballano sulle labbra quando ne parlo e si fermano sempre lì. Come diceva Oscar Wilde “Amori mediocri sopravvivono, amori grandi vengono distrutti dalla loro stessa intensità”, così il mio si distrusse. Credo di aver dato così tanto in questa storia che in tutto il resto della mia vita che è veramente incredibile quanto sia poco sorprendente svegliarmi oggi con la stessa debolezza d’ieri, alla fine credo mi sia rimasto veramente troppo poco. Durante questa storia mi balenava sempre un pensiero in testa: “Non ho mai provato tutte queste emozioni e non avevo idea neanche che esistessero”, era la sorpresa costante che mi aspettava ogni mattina vivendo questa mia forte storia. Perché “forte” probabilmente è l’unico aggettivo che può descriverla un po’, non bella, non brutta, non fiabesca o quant’altro. E’ stata forte in ogni suo lato. La cosa strana è che prima di questa credevo di essere un determinato tipo di persona, ma da innamorata ho capito di essere tutt’altro. Ho conosciuto le mie fragilità e ho conosciuto soprattutto i miei difetti. Ero un’insicura cronica, con la costante paura che un giorno, per qualche mio stupido comportamento, potesse andare via, e dio solo sa quante volte è andata via, perché trovava dei messaggi che non erano di suo gradimento e via, perché scherzavo in modo spinto con la mia migliore amica e via, perché dimenticavo di raccontarle qualcosa che mi era successo durante la giornata e via, perché insistevo che doveva andare a lavorare anziché scegliere di stare con me e via. Cavolo, quella fermata del pullman era diventata la mia seconda casa, passavamo più tempo lì a litigare con lei in procinto di andarsene piuttosto che mandarci a quel paese direttamente e andare in camera da letto. Ma, fortunatamente riuscivo sempre a farle cambiare idea e lei non aveva troppa voglia di andarsene davvero. Ero insicura e poi cos’altro? Sì, avevo una paura fottuta che non potessi piacerle davvero per quello che ero e quindi ho iniziato a smettere di essere e adattarmi precisamente a quello che credevo lei volesse, ma fingere di essere qualcun altro è un po’ come con le bugie, devi ricordartele per mandarle avanti altrimenti sei caduto, e così accadeva a me. Non voglio fraintendimenti, dico solo che se avevo voglia di scherzare un po’ di più o ammettere un mio pensiero, evitavo di farlo per paura che non le stesse bene, e credo che in realtà avesse più paura lei della persona che ero realmente e io infondo volevo solo farla sentire al sicuro. Alla fine credo di essere stata comunque una brava fidanzata, una brava persona e anche se ho commesso qualche errore, ogni cosa che ho fatto è stata fatta solo in buona fede e solo per nutrirmi ancora di amore. Sono successe però troppe cose in questa storia che da sole non riuscivamo a gestire, a volte eravamo come quei cani in gabbia che iniziano a scannarsi fra di loro dimenticando che è stato un altro a metterci là dentro, così era come arrivavano i famosi ostacoli insormontabili, era guerra aperta, e noi dimenticavamo spesso di appartenere alla stessa squadra. Sono successe davvero tante cose, così tante che neanche io mi rendevo conto di quanto fossero grandi e di quanto lentamente mi stessero spezzando il cuore, perché il cuore non te lo spezza qualcuno solo con i gesti o le parole, il cuore te lo spezzi sola nel momento in cui sai che stai dando tutto e non riesci a porti un limite. Ho conosciuto un’altra caratteristica di me, la pazienza, la pazienza di restare nonostante ogni cosa, e per ogni cosa intendo qualcuno che ami, e che ti ama e che non riesce a far fluire in modo armonioso verso di te quello che prova, perché le persone sono complicate, ma la serenità non deve togliertela nessuno. Ho superato silenziosamente e burrascosamente i miei limiti, ho detto alla mia testa di andare a fanculo e al mio cuore di comprarsi dei cerotti e piangere di meno ma io non avrei mollato per niente al mondo.
Finché un giorno, me ne andai.
E’ stato davvero strano, è stato il limite che ha raggiunto me e mi ha detto: “Adesso basta!”. Non ero più padrona delle mie scelte, avevano preso loro il controllo su di me, io non agivo eppure mi sembra di aver smosso una tempesta senza neanche pensare. E’ come se qualcuno dentro di me mi avesse ricordato chi ero davvero e cosa volevo, e la verità era che non volevo più sentirmi in quel modo, annullata. Tempo fa, una psicologa mi fece una di quelle rivelazioni che mai avrei pensato, eppure era così palese, mi disse: “Se tu non riesci a svincolarti dalle scelte di tua madre su di te, non smetterai mai di essere succube delle scelte di un’altra donna su di te, sarai sempre inconsciamente dipendente da qualcuno”. In un attimo ho capito perché tutta la mia vita, amicizie, amore e decisioni fossero andati così rigorosamente in frantumi. Ho sempre avuto così paura del giudizio degli altri, che evitavo di essere me, di lasciarmi amare per chi sono davvero, che ho sempre cercato di adattarmi il più possibile al volere degli altri. Ho sprecato così tanto tempo inutile, davvero tanto tempo vivendo nell’essenza degli altri lasciando morire la mia. Non lo avrei più permesso. Quel giorno in cui me ne sono andata, ero un’altra persona, qualcuno in transizione o semplicemente in stand by. Non volevo più capirmi o psicanalizzarmi, volevo solo vivere un lasso di tempo fuori dai pensieri o da conseguenze o pregiudizi altrui. Sono fuggita da tutto quel peso che non mi spettava, da tutte quelle responsabilità che non avevo scelto. Ho respirato, mi sono strofinata gli occhi, ho fatto una doccia e sono uscita via senza una meta, sono uscita ogni giorno senza una meta, tornavo a casa e non avevo paura, sorridevo e sorridevo davvero, ero triste e non lo nascondevo, volevo gridare e dio quanto ho urlato. Ero consapevole che tutto questo avrebbe avuto una conseguenza irreversibile, non avrei avuto più accanto la persona che amavo. Le ho spezzato il cuore. Sono esplosa così forte e tutti i pezzi hanno colpito lei in ogni sua parte. Non riuscivo a credere di essere così ferma su questa scelta di continuare ad andar via. Mi sono guardata indietro miliardi di volte e tutt’oggi ancora lo faccio, sono stata meschina, sono stata una stronza, un’ipocrita, sono stata davvero chi non avrei mai pensato di essere con chi amavo, e potevo essere tutto questo, ma non potevo più essere quella persona insignificante che vive attraversi gli occhi di qualcun altro, per la prima volta dovevo essere io. L’amavo, ma non sono più tornata da lei. Perché? Perché quale parte di me sarebbe stata con lei? Quella debole, quella che si nasconde, quella accondiscendente, quella impaurita dai pregiudizi, quella insicura, quella arrabbiata, quella succube o quella innamorata? No, non avrebbe mai funzionato, ci saremmo amate, ma non ci saremmo incastrate così perfettamente se io non ho ancora una forma ben precisa.
Oggi sono totalmente d’accordo invece con quella frase: Non sempre lo stronzo è chi se ne va. Magari, chi se ne va ha molto più coraggio di chi resterebbe ad ogni costo. Ha il coraggio di guardarsi dentro e di ammettere 'non sono convinto di restare'. Ha il coraggio di non accontentarsi, di provare a ricominciare, di rischiare di perdere qualcosa di 'buono e certo' per trovare qualcosa di ancor più necessario. Ha il coraggio di non abbandonare il (bi)sogno di essere felice. Non tranquillo, felice. E c'è una bella differenza. Stasera non ce l'ho con chi se ne va, ce l'ho con chi resta: con chi resta per abitudine, per comodità, per pigrizia, o per paura della solitudine.
E aggiungerei che è molto coraggioso chi resta fino alla fine, ma correre il rischio di andare lontani per trovare sé stessi fa davvero paura e richiede una smisurata forza, ma quando la trovi, quando ti trovi, puoi dire di essere finalmente felice.
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30.06.2019
Sono la persona più forte che io conosca. Continuo a ripetermelo guardandomi allo specchio quando situazioni come queste succedono, sono la mia roccia. Devo esserlo. Mi guardo e vedo riflessa la me bambina a cui è stata insegnata l'umiltà e l'arte del nascondere, e mi chiedo come abbia fatto il tempo a passare così in fretta. Ho iniziato a scrivere questo post due giorni fa, quando lui mi ha minacciato. Mi sono bloccata due frasi dopo, non avevo tempo di piangermi addosso. Lo continuo oggi perchè oggi è stata lei a minacciarmi, lui con il braccio contro, lei con il bastone della scopa e tirandomi oggetti contro, per il semplice fatto di averle detto di non urlare, e di risolversi i suoi problemi con la persona in questione. Sono così forte da resistere a tutto, e non mi tiro indietro davanti a nulla. Che sia un muscolo puntato contro la mia faccia o un bastone a colpirmi, che lo facciano, che lo facciano pure. Ormai ho un’elasticità mentale per queste cose che va oltre, ho imparato a controllare le lacrime per non farle scendere quando succede, ho imparato a mostrarmi sempre pronta e con le spalle larghe, pronte a prenderne di ogni. La verità è che sono stanca, stanca di vivere fra questa violenza e quest’odio che continua e continua e non cessa mai fra queste quattro mura, quattro persone diverse che vivono nella stessa casa solo perchè altro posto per andare non c’è. Non mi interessa se mi chiamano “grassa” o il suo preferito “pall’e nzogn” (palla di lardo). Ormai ci sono abituata, non mi fa effetto, lo so già di mio di essere grassa. Le sue parole che derivano dall’odio verso di me e verso questa terra, alla quale è incatenata secondo lei per colpa mia. Non ho chiesto io di nascere, non ho chiesto di essere riportata qui a 8 anni e non ho mai chiesto a nessuno dei due di fare i genitori, mi sono sempre bastata. L’educazione e l’umiltà che credo di avere me li ha insegnati la mia nonna, ed è solo lei che devo ringraziare per questo petto di ferro che mi ritrovo. Posso ringraziare solo lei perchè mi ha insegnato che posso superare tutto, che devo stare tranquilla qualsiasi cosa accada. In fondo cosa puoi dire a una bambina di quattro anni che vede portaceneri di cristallo volare sopra la sua testa? O che le vengono tirati i capelli per essere andata a salutare? O a una bambina di sette anni che trascina il fratello in terra perche ha le mani intorno al collo della madre? Che finirà tutto. Solo quello puoi dirle, mentre la guardi crescere impegnata a nascondere, a non raccontare, a fingere, a fare silenzio. Le insegni che se vuole farsi degli amici l’apparenza è la cosa più importante là fuori, cosa che all’ora non capivo, mi sembrava superficiale, mi ricordo che le chiesi se davvero preferisse andare dal parrucchiere anzichè comprare il pane, e mi rispose che in queste situazioni era la cosa più importante. E lo capisco solo ora che aveva davvero ragione. Se l’avessi capito prima forse ora un po’ di forza in più l’avrei avuta (non è abbastanza?). Non so cosa darei per darti un’altro abbraccio nonna, tornare piccola piccola e sedermi sulla mia mattonella, che poi era solo un mattoncino del camino, di sedermi di nuovo sulla sedia che mi aveva costruito nonno o di rientrare dentro la casetta che aveva costruito tutta per me. Vorrei tornare a quando mi stavi aiutando a studiare la tabellina del due davanti al camino, o a quando giocavamo con la rana di plastica. Mi hai insegnato che ci vuole davvero poco per essere felice nonna, ma sento di non riuscirci più veramente. Ho paura di continuare a crescere e ritrovarmi senza tutto quello in cui credevi tu. Ho paura del mondo senza di te nonna, mi ha spaventato 11 anni e mi spaventa ora, il giorno prima del quinto anniversario della tua morte. Quanto tempo è passato e quanto sono cresciuta. Sono sicura che saresti fiera della persona che sono diventata, ti assomiglio in tante cose. Mi manca giocare a carte con te che mi lasciavi vincere sempre, mi manca bere il thè con te nelle serate fredde. Lo sai nonna, lo prendo ancora il thè. Ho iniziato ad avere una piccola collezione e so che ti piacerebbe un sacco vederla, ma il tuo thè col limone saprà sempre di te e di infanzia. Era bello aspettare e vedere se qualcuno veniva a casa a prendere il thè con noi, mi piaceva ogni giorno non sapere se dovesse arrivare qualcuno, zii e amici, alle 5 puntuali. Mi manca stare in cucina davanti al fuoco, mi manca vedere nonno aggiustarlo. Mi manca stare nel loggiato d’estate al fresco a guardare reazione a catena, mi faceva ridere provare a indovinare le parole con te. Mi mancano i natali tutti insieme, fare l’albero grande grande e cenare tutti insieme, tanto da dover unire due tavoli e uno più piccolo per farci stare tutti. Mi manca sentire lo spirito natalizio, adesso non è niente di più di una tovaglia rossa con piatti di plastica, mentre mangio cose che non mi vanno con persone che mi mettono di mal umore. Mi manca fare i disegni con te, mi manca andare dal dottore e poi tornare a flumini quando era già buio, mi piaceva un sacco stare in macchina con voi. Mi è rimasto anche questo, lo sai? Mi piace ancora tanto stare su strada, fare viaggi lunghi in macchina o in pullman, mi rilassa ancora. Mi manca quando mi cantavi “carissimo chicocchio”, perchè pinocchio non mi piaceva. Mi manca quando prima di dormire mi cantavi la nostra canzoncina un po’ stupida che mi faceva ridere, non so cosa darei per sentirla ancora una volta. Mi manca quando mi prendevi in braccio anche se ti faceva male la schiena e mi cantavi tutte queste canzoni e quando cantavi “amore mio non piangere, che non ti lascio sola. Ti lascio alla tua mamma, che tanto ti consola...” mi veniva sempre da piangere e ti dicevo che non volevo che me la cantassi, e ora ho capito perchè mi faceva piangere, lo stesso motivo per cui piango ora. Perchè non ci sei più. Mi faceva così male all’ora l’idea che tu potessi lasciarmi in quella situazione da sola che mi veniva già da piangere. Ora ci sono immersa in questa situazione da 5 anni nonnina, e me la cavo come meglio posso. Penso alle passeggiate al mare che facevamo di mattina con zio Lino e zia Elena, al mio pozzo alla fine della spiaggia dove trovavo i granchietti. Penso a quando mi facevi ascoltare da tutti mentre cantavo “o mare nero” da piccolissima quando attraversavamo quel pezzetto con le alghe. Mi ricordo che avevo sempre sonno quando andavamo al mare, mi svegliavi sempre alle 7 per arrivare presto e tornare a casa all’ora di pranzo. Adesso sono io quella sempre di fretta, lo sai nonna? Non sono più ritardataria come una volta, adesso sono sempre puntuale. Adesso esco sempre presto, sono io quella che vuole fare le cose da prestissimo. Credo che anche questo me l’abbia passato tu. Mi torna in mente quando per carnevale mi avevi cucito interamente tu il vestito da strega che tanto volevo. Eri una sarta ed eri bravissima, avevi preso le misure e comprato la stoffa, avevi cucito uno spettacolo con pazienza e dedizione. Mi dispiace che negli ultimi anni mi abbia sentito più distante nonna, vorrei poterti dire che non era colpa mia, che ho dovuto, nonna ti giuro ho dovuto diventare fredda da quando sono tornata qui, altrimenti non sarei riuscita a sopravvivere come la persona sensibile che ero e che cerco ancora di nascondere. Ci sono un milione di cose che vorrei dirti e che vorrei farti vedere. Quando mi hanno dato la scatola con le tue cose sono scoppiata a piangere, ho visto il tuo anello e i buoni fruttiferi che mi hai lasciato. La tua scrittura e la scritta dove hai compilato “Miriam Orrù, in qualità di: nonna” mi ha fatto scoppiare a piangere. So già che quei soldi mi serviranno per scappare da qui, ma come posso nonna? Come posso col peso di altre tre persone che se non ci fossi io in casa non saprebbero come andare avanti se non a suon di urla e schiaffi, più di quanto lo facciano già? Ho paura di non riuscire mai ad andarmene da qua, ho troppa troppa responsabilità che non mi spetta. Mi manchi davvero tanto, mi manca vedere nonno normale. Da quando non ci sei tu si è ammalato, non ricorda le cose e si perde sempre. A volte esce in pigiama e quando vado a trovarlo mi scalda il cuore quando non si ricorda dei nomi delle altre persone e quando glielo chiedo io mi risponde sempre “tu sei Mirietta”. Il mio nonnino adorato. Mi manca quando mi chiamavi “sa sposa” o quando per svegliarmi appoggiavo la testa sulle tue gambe quando ti sedevi nel letto e mi facevi le “carezzine” nei capelli dietro l’orecchio, come piacevano a me. Mi manca pranzare con te in giardino quando nonno faceva il pt e gli altri esami e io non potevo avvicinarmi a lui per 24 ore perchè ero troppo piccola. Mi manca giocare con i gatti in giardino, con musetto. Mi manca la capannina dove tenevamo in legno per il camino d’inverno, mi manca vedere nonno legare le fascine. Mi manca vederti seduta a vedere le mie recite, non sai a quante non è venuto nessuno a vedermi e alla fine quando tutti andavano dai genitori io rimanevo con le maestre. Mi ricordo quando in terza elementare forse era venuta la psicologa per i bambini, la chiamavamo “follettina”. Dovevamo scriverle dei bigliettini e metterli in quella casella attaccata al muro della scuola, mi ricordo che scrissi “sono triste perchè non riesco più a sorridere”, non pensavo che qualcuno l’avesse letto veramente. Poi arrivarono i turni per decidere chi far andare a parlare con questa ragazza vestita da elfo, e mi fecero andare per prima. Quando mi chiese il motivo le risposi “perchè nonno sta facendo un sacco di visite e anche quando ci provo non ho mai voglia di sorridere” o comunque una cosa del genere. Era una bugia ovviamente, lo sapevo qual era il vero motivo, ma come mi hai insegnato tu non si può mai parlare di queste cose, e uscii da lì soddisfatta che nessuno aveva scoperto il motivo. Vorrei che ci fossi tu qua ancora una volta per consolarmi come facevi sempre, senza stancarti. Vorrei ancora chiacchierare con te e tornare a casa da scuola e andare a salutare nonno in garage. Vorrei preparare ancora una volta la pasta al forno fatta in casa con te. Vorrei fare ancora la teglia più piccolina a parte per me, perchè non mi piaceva il formaggio. Vorrei tornare nel capannone a fare le pardule e a mangiare l’impasto quando ti giri. Vorrei tornare a bere il thè freddo con te nel loggiato. Vorrei andare ancora in bicicletta e sui pattini mentre mi guardi, mi ricordo che la prima volta che li misi mi dicesti “guarda che brava, hai già preso l’equilibrio!”. Mi lodavi in tutti i modi, e nonostante ciò sono sempre stata la bambina più umile ed educata che esistesse. Ero davvero brava, mi piaceva esserlo. Mi ricordo quando andavamo al parco a sant’andrea e mi piaceva giocare da sola, mi infastidivo quando venivano le altre bambine (e in questo non sono cambiata), mi piaceva giocare con te che mi guardavi da lontano. Mi ricordo il tuo sguardo fiero alla mia prima comunione quando ti avevano scelto per portare il cesto con i viveri sull’altare, lo sapevo che ti avrebbe fatto piacere. O quando feci la cerimonia per diventare chiricchetta, c’eri tu a mettermi il vestito davanti all’altare. Ora non credo di avere tanta fede nonna, mi dispiace. Ma ti prometto che proverò a riavvicinarmi alla chiesa, mai come ora ho bisogno di credere davvero in qualcosa di bello, e per ora è molto difficile farlo. Canto ancora nonnina, sono sicura che mi senti. Non sono più sicura di me stessa e della mia voce come una volta, ma ti prometto anche qui che proverò a fare del mio meglio per migliorare e per migliorarmi. è la tua luce che mi sprona ad andare avanti e sempre lo farà. Ciao nonnina, mi manchi tanto. Sempre tua, Mirietta.
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Cose con cui cambiare aria quando arriva l’autunno
"Il sole a settembre mi lascia vestire ancora leggera", canta Cristina Donà in qualche angolo della mia testa mentre mi godo il bel tempo che Tokyo ancora regala anche se ci avviciniamo sempre di più all'autunno, e mentre in un altro angolo L'Orso canta "ottobre come settembre", purtroppo appena giro il calendario perché si è fatto il primo di ottobre pioggia, freddo, sintomi influenzali e stanchezza di vivere mi fanno capire che invece il nuovo mese sarà tutt'altra cosa, con buona pace del povero orso. La solita Cristina Donà cantava pure "sembra che non finisca mai settembre" proprio ne "I calendari" di DiMartino tra l'altro, ma sfortunatamente a me sembra sia proprio finito e anche in modo tremendamente brusco. Signora mia, non esiste più la mezza stagione.
Sono nato in inverno ma è la stagione che più detesto, e anche dell'autunno non è che sia proprio un fan sfegatato. Certo, ci sono le foglie rosse degli aceri e il maple coffee al conbini e più nessuno stigma sociale sul bere tè caldo, ma da sole queste cose non sono sufficienti a farmi superare il trauma della fine della bella stagione. Soprattutto a Tokyo dove probabilmente le uniche foglie rosse che vedrò saranno quelle di plastica esposte dagli esercizi commerciali per ricordare ai potenziali acquirenti l'arrivo di entusiasmanti seasonal goods, limited edition. Insomma, per dirla con la Littizzetto, arriva l'autunno, cadono le foglie e pure i maroni.
Per fortuna in questo momento di insofferenza e spleen, un evento della Camera mi ha provvidenzialmente portato nel Kansai, dove a pensarci bene potrei dire che tutto è iniziato, storicamente per il Giappone ma pure per me lol. Avevo proprio bisogno di andarmene affan***o (affannato, affannato is the word. O anche bird, bird is the word, always) lontano da Tokyo, lontano da tutto, lontano da me per qualche giorno. Approfittando del fatto che i tre giorni precedenti all'evento sarebbero stati festivi, ho ben pensato di approfittarne per fare un giro nel buon vecchio Kansai, a Ōsaka e a Ise, due città che sentivo avessero ancora qualche sorpresa da riservarmi. È stata la prima volta che pur essendoci così vicino non sono andato a Kyōto, che pure era in lista quando ho valutato le zone limitrofe dove avrei potuto sostare, ma essendo l'evento proprio a Ōsaka non avevo troppa voglia di spostarmi due volte in tre giorni e alla fine ho optato per rimanere il più vicino possibile alla città. Non posso dire però che operare questa scelta non mi abbia fatto uno strano effetto, come se stessi rinunciando a ricongiungermi con una parte di me, del mio passato, ma a volte serve anche cambiare proprio aria, senza rifugiarsi nei bei tempi andati.
Viaggiare da solo non è l'opzione che preferisco di solito, ma in questo caso specifico avevo davvero bisogno di riprendermi i miei spazi e rispettare i miei tempi, anche per dimostrarmi che anche senza un'oculata organizzazione e solo una vaga idea di cosa fare sono perfettamente in grado di gestirmi lol. Il sabato del mio arrivo, in cui tutto fila liscio e procedo con sicurezza persino oltre la portineria dell'AirBnB affittato illegalmente da una tizia che già mi aveva avvisato che avrei forse dovuto mentire al custode annunciandomi come un suo amico, provvedo già a smentire questa mia tesi fiondandomi al Sumiyoshi Taisha, un vasto santuario famoso per il suo ponte rosso, i cui principali luoghi di interesse, a causa dell'orario e di un'imprevista cerimonia nuziale, sono, purtroppo, inaccessibili.
Ponte Sorihashi, anche noto come Taikobashi (太鼓橋, "Ponte del Tamburo") per la forma circolare che si crea grazie al riflesso nell'acqua.
Arrivo tra l'altro quasi a litigare con un sacerdote incaricato di officiare il matrimonio perché evidentemente giudica che il fatto che io mi sia accorto sulla soglia del padiglione dove avviene la cerimonia e mi sia girato per tornare sui miei passi non siano sufficienti garanzie del fatto che me ne sto per andare, e con incedere solenne fa per venirmi incontro. "Non si può entrare oggi immagino, vero?" chiedo timidamente, convinto che la conversazione si chiuderà con una sua veloce conferma. "Questo è invero un edificio molto speciale", risponde lui (???), e comincia un imbarazzantissimo ping-pong verbale in cui io cerco di ribadire che me ne sto andando tentando di dimostrargli che ho capito che oggi non potrò visitare il padiglione, ma lui continua a replicare con informazioni che non gli ho richiesto ("guardi non c'è problema, torno anche domani..." "chissà se è aperto domani. Ha controllato?" MA SENTI MA LA PIANTI È UN MODO DI DIRE), e solo un'estenuante e pressoché inutile contrattazione riesco a farmi confermare che si, oggi visite non se ne fanno, OH, WE GOT THERE, adesso mi lasci andarmene affan***o che ci volevo andare da solo da sei ore e l'unica cosa che me lo ha impedito è la pezza che mi hai attaccato?
Il Sumiyoshi Taisha è stato fondato nel 211 ed è a capo di quasi altri 2300 santuari omonimi sparsi per tutto il Giappone. Anche se gli edifici attuali sono stati ricostruiti dopo essere stati danneggiati dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, è stato preservato lo stile architettonico originale che è uno dei più autentici e antichi esempi di architettura scintoista di periodo Yayoi che si possa ancora apprezzare. È dedicato alle divinità del mare, della navigazione, della poesia e della guerra e commemora la traversata dell'imperatrice Jingū che aveva guidato l'esercito alla conquista della penisola coreana ed era tornata vincitrice.
Come accennavo causa orario, matrimonio e litigio col prete non sono riuscito a vedere la zona del Godairiki, nel cui suolo sassoso si celano dei ciottoli con inscritti i caratteri cinesi di "cinque" (五), "grande" (大) e "forza" (力), che se reperiti garantirebbero uno dei cinque grandi poteri (forza fisica, intelligenza, buonasorte, ricchezza e longevità), ma a parte il fatto che quasi sicuramente non li avrei trovati va bene anche lasciarsi qualche zona inesplorata per un eventuale ritorno. Il santuario di Sumiyoshi non è proprio centralissimo e mentre aspettavo il treno per rincasare mi sono ritrovato a stupirmi del fatto che ci fosse solo una corsa ogni venti minuti, che per gli standard di Tokyo è impensabile. Ma veramente quando abitavo in Kansai ero abituato a questi tempi d'attesa? Sarà che venendo da un paesino dove c'è un treno all'ora (sempre che non lo cancellino) l'offerta mi sembrava già quintuplicata, per cui probabilmente all'epoca mi pareva comunque un enorme miglioramento lol
L'indomani, approfittando del bel tempo, decido di svegliarmi di buon mattino per affrontare il viaggio di due ore e mezza che mi separa da Ise, una città il cui rinomato santuario ho già visitato nel mio primo soggiorno in Giappone ma che lungo la costa ha ancora un'attrazione in serbo per me: i Meotoiwa, gli scogli marito e moglie. Fallisco nel mio tentativo di alzarmi alle sette per prendere il treno delle otto e sono un'ora in ritardo sulla mia ideale (o meglio, idealistica) tabella di marcia, ma nonostante questo alle undici e mezza riesco a raggiungere la stazione di Futaminoura, la più vicina al lungomare. Non capisco esattamente dove ho sbagliato ma non trovo alcun tornello per passare la carta della metro e pagare la tratta né nella stazione di cambio a Ise, dove salgo direttamente su un macinino sgarrupato che barcollando mi porta fino a Futaminoura, né in quest'ultima stazione una volta sceso, per cui confuso ma felice decido di non approfondire e lasciare in sospeso i miei conti con le ferrovie del Kansai per il momento lol.
I Meotoiwa sono scogli sacri che nella tradizione scintoista rappresentano le due divinità progenitrici del Giappone, Izanami e Izanagi, unite da una fune sacra detta shimenawa lunga 35 metri, 16 dei quali sono avviluppati intorno allo scoglio maschile e 10 intorno a quello femminile, lasciando tra i due 9 metri di corda in paglia di riso. Lo scoglio marito è alto 9 metri e porta in cima un piccolo torii, mentre la moglie è alta 4 metri. Fenomenale sembra essere lo spettacolo del sole che sorge tra i due scogli, ma se non sono riuscito a svegliarmi alle sette figuriamoci se potevo mai essere lì all'alba. Tutt'intorno vi sono statue di rane, emissarie di Sarutahiko Ōmikami, divinità nel cui nome è presente il carattere di “scimmia” e che quindi avrebbe più senso che come emissari avesse delle scimmie ma fa niente, a cui è dedicato il vicino santuario di Futami Okitama, diviso in due edifici principali, il più importante proprio di fronte agli scogli, e uno più piccolo detto Ryūgūsha (龍宮社, “santuario del palazzo del drago”) dedicato a Watatsumi, divinità marina dalle sembianze di drago figlia di Izanami e Izanagi.
Avrei voluto fare una foto anche al padiglione più grande, ma non riuscivo più a rimanere in quel luogo impregnato di maschilismo ed eteronormatività, quel povero scoglio femmina non ha bisogno di un marito per essere completa!
Tra moglie e marito non mettere il dito, dicevano, e invece io sfrontatissimo.
Tornato sui miei passi, salgo di nuovo sul trenino scassato che dovrebbe portarmi alla stazione di Ise, da cui si prende il treno che porta poi fino a Ōsaka. Questa volta mi accorgo che a bordo c’è un distributore automatico che dispensa il biglietto che poi andrà pagato direttamente in contanti alla stazione di cambio, e la cosa in effetti mi pare pure avere un senso - ma c’era anche nel treno che ho preso all’andata? Non che sia una garanzia, ma io non mi ero mica accorto. Scendo a Ise, pago la tratta allo sportello della linea locale e tecnicamente dovrei usare la carta per rientrare dai tornelli, ma siccome ufficialmente da quei tornelli non sono mai uscito e ancora il conto del viaggio dell’andata non risulta saldato, ovviamente appena ci provo il lettore magnetico mi dà errore e parte a sirene spiegate l’allarme che urla al ladro. Mostro la carta all’addetto della linea locale che mi dice di andare a parlare con il suo collega della linea che devo prendere per raggiungere Ōsaka, che molto convenientemente lavora in uno sportello che è da tutt’altra parte e dove devo rifare la fila da capo. Spiego la situazione giustificandomi col fatto che all’andata non mi sono imbattuto in alcun tornello e in alcun biglietto sul trenino malconcio diretto a Futaminoura, ma far capire la dinamica al tizio richiede una cosa come un quarto d’ora perché non si capacita che io possa essere riuscito a scappare ai miei debiti con le ferrovie dello stato e alla giustizia, per cui mi chiede conferma dei miei movimenti sette volte prima di prendere atto e accettare che ci sia effettivamente una falla in Matrix. La conclusione è che devo usare la carta per uscire intanto dai tornelli così la tratta principale dell’andata risulterà saldata e poi chiedere al suo collega della linea locale, quello con cui ho parlato prima, di farmi pagare il pezzettino che manca fino a Futaminoura e che non ho potuto pagare perché non ho preso il biglietto. Chiedo se non posso pagare direttamente a lui perché non vorrei fare di nuovo la fila, ma a quanto pare non è un’opzione.
Siccome nel frattempo con sta storia mi hanno pure fatto perdere la coincidenza e davvero non ho intenzione di rispiegare tutto daccapo al collega del tizio, decido che anche senza i miei 210 yen le ferrovie giapponesi non falliranno e che invece sfrutterò l’ora che mi resta da aspettare per tornare a visitare dopo 4 anni l’Ise Jingū.
Questo santuario, uno dei più importanti per lo scintoismo, è dedicato ad Amaterasu, la dea del Sole, nata dall’occhio sinistro di Izanagi (il cui scoglio sono appena andato a visitare, daddy says hi!) quando questi si purificò nelle acque di un fiume dopo essere disceso negli Inferi per cercare di riportare indietro la sposa defunta, secondo una dinamica molto simile a quella del mito di Orfeo ed Euridice. Purtroppo per questioni di tempo (non vorrei perdere pure il treno successivo per Ōsaka) riesco solo a rivisitare velocemente parte del Santuario Esterno (外宮, Gekū), dedicato a Toyouke-no-Ōmikami, divinità del cibo, delle vesti e della casa, ancella di Amaterasu a cui porta il riso che i sacerdoti le offrono. Per il Santuario Interno (内宮, Naikū), dove la divinità del Sole è venerata ed è custodito il sacro specchio che fa parte delle tre insegne imperiali del Giappone, dovrò aspettare il prossimo viaggio a Ise temo. Potervi tornare anche solo brevemente, però, è stato bellissimo, soprattutto dopo la visione del documentario “Umi Yama Aida - Ise Jingu no Mori kara Hibiku Message” (うみやまあひだ ~伊勢神宮の森から響くメッセージ~, “Tra mare e montagna - Un messaggio che risuona dalla foresta del Santuario di Ise”), ambientato proprio qui e riguardante la pratica del tokowaka 常若, l’“eterna giovinezza” che contraddistingue questo luogo che ogni vent’anni viene ricostruito esattamente come prima, com’era successo nel 2013 quando per la prima volta vi ho messo piede. Ritrovarlo quattro anni più invecchiato e pensare a quante cose siano profondamente cambiate in questo breve arco di tempo è stato, devo ammettere, emozionante.
L’indomani ho in progetto di rivedere il basco dopo credo quasi un anno, non prima di un fallimentare tentativo di pranzare al café Pennennenemu, che mi interessa per un puro riferimento letterario visto che è citato in una canzone di una delle mie band preferite ma che, nonostante abbia casualmente scoperto essere ragionevolmente vicino, essendo piccolino ha un sistema abbastanza fastidioso per regolare il flusso della clientela: occorre accaparrarsi un biglietto la mattina entro le nove e mezza in modo da venire assegnati a una fascia oraria, per cui nel senso ciao ciao Pennennenemu, machittesencula tra l’altro, non posso credere che davvero ci siano talmente tanti avventori da permetterti di tirartela in questo modo.
『「死者に口なし生者に耳なし」ペンネンネネムは言った』 “Il Pennennenemu lo diceva che i morti non parlano e i vivi non sentono” Ecco Pennennenemu, senti amme, va’ a mori’ ammazzato va’.
Ritrovare il basco è stato come andare a una pizza dei vecchi compagni di classe: avevo proprio bisogno di farci una chiacchierata come si deve e aggiornarci su quello che è successo alle nostre vite mentre lui era a Ōsaka e io a Tokyo. Tra l’altro le nostre situazioni post periodo di studi a Kyōto neanche a farlo apposta hanno finito per avere svariati punti in comune, e poterne discutere con qualcuno che sa cosa signfichi perché ci è passato è stato impagabile. Il tutto mentre ci dedicavamo a uno dei nostri passatempi preferiti già ai tempi di Kyōto: scoprire improbabili posti nascosti nella città, in questo caso il tempio degli inferi, il Senkōji (全興寺).
Questo bizzarro tempio, sperduto a sud di Ōsaka e soprannominato “Disneyland dei templi”, sorge dove lo volle più di 1300 anni fa Shōtoku Taishi, mitico principe ereditario che in periodo Asuka fu uno dei più fervidi promotori del buddhismo. Originariamente dedicato a Yakushi Nyorai, il buddha della medicina, oggi chi lo visita è probabilmente più interessato al Jigokudō (地獄堂, ‘Sala Infernale’) e allo Hotoke no Kuni (ほとけのくに, ‘Terra di Buddha’).
Scendendo dei gradini in pietra si accede a una cava sotterranea, lo Hotoke no Kuni appunto, dove, circondati da 151 statue di Buddha, è possibile meditare al centro della stanza sopra un mandala in vetro colorato uscito direttamente dall’intro de “La Bella e la Bestia”, abbastanza kitsch devo dire.
Nel frattempo, tutt’intorno si ode il suono di un suikinkutsu (水琴窟) strumento/ornamento della cui esistenza avevo sentito per la prima volta curiosamente proprio dal basco. Vedi come tutto torna, mica come l’acqua del suikinkutsu che scorre incessante ma non è mai la stessa.
Poco distante, in un altro padiglione, ci imbattiamo in un Buddha recumbente (涅槃仏, nehanbutsu) che galleggia in una specie di piscina e che ci turba per il suo astrattismo che lo fa somigliare più che altro al bozzolo di una crisalide.
A Buddharfly!
A pochi passi, infine, il Jigokudō custodisce un altare dedicato a Enma, il giudice infernale, affiancato da figure di orchi e demoni, con tanto di filmato illustrativo delle torture inflitte ai dannati nell’oltretomba proiettato sul Jōhari no Kagami (浄玻璃の鏡), lo specchio che mostra le buone e le cattive azioni dei defunti quando Enma deve decidere della loro sorte nell’aldilà. Se non volete aspettare così tanto per sapere che fine farete, comunque, non c’è problema: fuori dal padiglione una praticissima macchinetta automatica a pulsanti vi indirizzerà con una serie di domande mirate verso il responso che più si confà alla vostra condotta, e i test del Cioè muti proprio.
Vabbè che le autocertificazioni vanno sempre prese con le pinze, ma il mio risultato è stato “極楽行き資格あり”, cioè “idoneo per il Paradiso”. Ma, come recita la saggia macchinetta, non mi devo adagiare sugli allori perché è un attimo perdere tutte le credenziali.
Lasciatici alle spalle il Senkōji, il basco mi guida per le strade di Ōsaka, e si vede da come si muove che ci abita ormai da un po’. Se alcune zone mi risvegliano nostalgici ricordi del mio primissimo soggiorno in Giappone, quando studiavo nella periferia osakese e ogni tanto mi concedevo il lusso di esplorare la città, altre sono una meravigliosa scoperta, come i loschi bar e café di Umeda così infrattati da chiedersi se la gente che ci lavora faccia affari a sufficienza per poterne effettivamente campare. In uno di questi, assolutamente a caso, incontreremo due vinicoltori italiani con la passione per il surf venuti in Giappone a promuovere il loro vino, che rivedrò poi a Tokyo alla serata di presentazione a cui mi invitano calorosamente a partecipare. E boh, se da un lato è vero che questi incontri fortuiti erano all’ordine del giorno quando andavo in giro con il basco, che secondo me c’ha la calamita per queste situazioni, dall’altro comunque mi viene da pensare che certe cose (e con questo includo anche il gestore del locale giapponese ma con la passione per l’opera italiana che si esibisce per noi proponendo i pezzi forti del suo repertorio) succedono solo in Kansai, dove la gente sembra essere un po’ più accogliente e caciarona.
Ultima menzione di questo breve ma denso viaggio in Kansai va a Sasayama, quieta località di campagna a un’ora e mezza da Ōsaka, teatro dell’evento che mi ha portato in questa parte dello Honshū in quest’occasione, di cui quasi sicuramente non avrei mai sospettato l’esistenza e di cui invece ora so che è famosa per i suoi fagioli neri e per il castello che Tokugawa Ieyasu, il terzo dei grandi unificatori del Giappone, vi fece edificare nel 1609 e che i bombardamenti statunitensi distrussero durante la Seconda Guerra Mondiale. Menzione d’onore alla guida turistica che ci ha accompagnati soprattutto, un vecchietto giapponese che si era preparato un discorso in un inglese decoroso ma che ad ogni domanda rispondeva “Yes” così, proprio per partito preso, uno “yes” aperto alla vita, come quello di Molly nell’Ulisse di Joyce direi.
L’edificio principale, chiamato Ōshoin (大書院), venne ricostruito nel 2000 sulla base di testimonianze fotografiche, mentre di altre zone non restano che vestigia, come gli ambienti dove dovevano risiedere i samurai qui di stanza e di cui rimane solo la pianta tracciata in bianco sullo spiazzo antistante l’Ōshoin. Beh, in tutta Sasayama credo ci sia solo questo da visitare e noi siamo riusciti ad andarci nell’unico giorno di chiusura di tutta la settimana. Seems legit.
Nel vicino santuario di Aoyama (青山神社), eretto nel 1882, sono venerati nella loro forma deificata Tadatoshi e Tadayasu Aoyama, due signori feudali.
Anche se per pochi giorni, credo che prendere una pausa da Tokyo e godermi un po’ di Kansai non mi abbia fatto altro che bene. Mi rendo conto di ribadirlo ogni volta, ma è veramente una dimensione diversa da quella della capitale, come raccontavo a una delle partecipanti al nostro evento sul minivan che ci ha scarrozzati da Ōsaka a Sasayama e viceversa, che essendo lei stessa della zona si trovava assolutamente d’accordo e anzi non ha potuto che rafforzarmi in questa convinzione corroborandola di esempi provenienti dalle sue personali esperienze. Mi ha fatto anche molto piacere scoprire nuove facce di Ōsaka, una città che mi sono reso conto di conoscere in maniera estremamente superficiale, e che invece celava sorprese insospettabili (e di sicuro molte altre ne nasconde ancora).
Mentre finisco di scrivere questo post, a Tokyo infuria il tifone che da qualche giorno ci regala pioggia ininterrotta e vento, durante i quali poche altre opzioni oltre a piumone e riscaldamento a manetta mi sembrano poter rientrare tra i piani per il weekend. Ma, come dice Murakami in “La fine del mondo e il paese delle meraviglie”, “‘Quando verrà la primavera tutto sarà più facile. Se il mio cuore sopravviverà all'inverno, e se la mia ombra sarà fisicamente sopravvissuta, i miei sentimenti ritroveranno una certa chiarezza.’ Come aveva detto la mia ombra, dovevo essere più forte dell'inverno.”
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Menzogne - Ep. 07
Archie Hubbs non era un uomo cattivo, severo forse, ma non cattivo. Era rimasto vedovo qualche anno prima e la perdita della moglie lo aveva profondamente segnato. Angela era la sua ancora, il suo radicamento in quel mondo che pareva sempre troppo in disordine per un uomo rigido come lui. Il solo pensiero che un Marlow potesse avvicinarsi a sua figlia lo mandava fuori di testa, non poteva permetterlo. Era un buon padre, forse più assente di quanto non avrebbe voluto, ma era comunque una figura di riferimento per sua figlia. Celia era la sua principessina, avevano penato così tanto per averla, dopo tre gravidanze andate male sua moglie Angela era ormai sul punto di mettere da parte la speranza e accettare il fatto che non avrebbero mai avuto figli, Archie però non era un uomo che si arrendeva facilmente e così le propose di fare un ultimo tentativo che, per quanto fosse disperato, poteva essere la loro ultima speranza, un’occasione da non perdere. Fu così che arrivò la piccola Celia, dopo una gravidanza all’inizio difficile tutto parve migliorare col passare del tempo, madre e figlia stavano bene, ma gli Hubbs non avrebbero mai pensato che la loro creatura avesse tanta voglia di nascere, così tanta che Celia nacque prematura di alcune settimane. Non fu nulla di preoccupante, tuttavia si può dire che la sua nascita fu davvero inaspettata sotto tutti i punti di vista.
Archie voleva solo il meglio per la sua piccola luce, era tutto ciò che gli restava, l’ultimo ricordo tangibile della donna che tanto aveva amato.
- Avevi ragione Eloise! Il piccolo Marlow è venuto qui con la pretesa di conoscere la mia Celia!! Si è definito un ragazzo per bene, figurarsi! Quella gente può anche aver conquistato San Myshuno, aver fatto i soldi ed essersi inserita nella schiera di coloro che contano in città, ma sono e resteranno per sempre dei delinquenti! Il padre forse era una persona come si deve, ma quel Finley... E questo Ethan?? Vuol fare il fotografo! Ci puoi credere? - disse l’uomo infuriato. - Avanti ora rilassati! Vorrei tanto dirti che te lo avevo detto, e in effetti è così, ma ti vedo fin troppo agitato. - rispose la sorella. Eloise era una donna arida e snob, non era sempre stata così, ma la vita era stata particolarmente dura per lei e ora il suo unico scopo era quello di intromettersi nelle vite altrui e sostenere il fratello dopo che la moglie era morta. Come zia si rivelò sempre comprensiva e affettuosa con Celia, ma la dolcezza e la bontà di Angela Hubbs non erano neanche lontanamente paragonabili alle attenzioni di Eloise. - E’ stato carino però a venire fin qui per parlare con te! Proprio come si dice in giro: ingenuo e sognatore. Non combinerà mai nulla di buono nella vita. - - Sì, proprio così! Ma chi si crede di essere? E Finley lo ha lasciato venire qui impunemente! Quei due... spero che lascino la città, qualcuno vocifera che il grande abbia grosse mire sul mercato nascente di New Vegas, forse andrà laggiù. Ad ogni modo devi tener d’occhio Celia! Ho già dato ordine alla servitù di non fare avvicinare quel ragazzo, ma la prudenza non è mai troppa! -
- Non preoccuparti Archie, ci penso io! Dirò a Celia chi sono davvero i Marlow, le racconterò che quello vuole vederla e sappiamo tutti qual’è il suo obiettivo. La tua bambina è una ragazza sveglia, non cederebbe mai alle lusinghe di un simile pervertito, ma meglio non rischiare! Vedrai, dopo che le avrò detto la verità sarà lei stessa ad evitarlo. Se poi il piccolo Marlow dovesse continuare a ronzarle attorno, potremo sempre richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Questo sì sarebbe un bel colpo alla loro immagine o almeno a ciò che ne resta. - Eloise era anche una donna astuta, sapeva usare bene la dialettica e sarebbe stata un’ottima donna d’affari se solo non avesse preferito rovinare socialmente coloro che non reputava alla sua altezza. - Ti ringrazio Eloise, senza di te sarei perduto! - l’uomo si sbilanciò in un fraterno abbraccio. Era un evento raro, dopo la morte della moglie i suoi gesti affettuosi si erano sempre e solo limitati alla figlia, sua unica ragione di vita, oltre ovviamente alla sua florente attività.
Più tardi, quella stessa sera Eloise pianificò il suo provvidenziale intervento. Celia stava studiando, come sempre, nel grande salone della villa, era una ragazza seria a cui piaceva studiare. Anche lei aveva tanti sogni, ma a 17 anni è una cosa più che normale. Aveva ereditato la gioia di vivere dalla madre, così come la dolcezza e la bontà d’animo. Non era una ragazza ingenua, ma cercava sempre di vedere il meglio in cosa poichè era certa che tutti meritassero una possibilità.
- Uhmm vediamo... sì, dovrebbe essere giusto! - mormorò tra sè e sè la giovane.
La zia la osservava da lontano rimuginando su ciò che le avrebbe detto. Eloise aveva un discreto ascendente su Celia, non avrebbe mai sostituito la madre, ma era comunque una figura importante della sua vita.
- Allora mia cara, come procedono i compiti? Ormai la scuola sta per finire, spero manterrai la media degli altri anni. - disse Eloise facendo il suo ingresso nella stanza. - Oh zia, non ti avevo sentita arrivare. - disse presa alla sprovvista Celia. - Non preoccuparti zia, lo sai che i miei voti sono sempre alti. - rispose sorridendo. - Molto bene, molto bene! Sai quanto tuo padre ci tenga e poi è in gioco il tuo futuro. - disse Eloise avvicinandosi al tavolo e prendendo posto accanto alla nipote. - E a proposito di questo vorrei parlarti di una cosa quando hai finito. - - Certo zia Eloise, dimmi pure, qui ormai ho finito, ripasserò domani mattina presto. - e con questo mise via il libro di testo.
- Volevo parlarti di quel giovane con cui parlavi alla festa di tuo padre, il giovane Marlow... - iniziò Eloise - Ethan?? - chiese confusa Celia. - Gli è successo qualcosa? - chiese preoccupata. - No! Almeno per il momento... Sai Celia i Marlow sono i discenti di briganti e delinquenti della peggior specie, è un miracolo che siano riusciti a farsi strada nella società da bene della città, e certo in molti tra i più anziani ricordano come questo sia stato possibile. - - Oh zia, ma queste sono solo vecchie dicerie, e poi si parla del passato! Oggi non siamo più ai tempi del far west. - disse Celia per nulla colpita dalle parole della zia. - Sì, forse. Lo sai che il fratello di quel ragazzo, Finley Marlow è andato a letto con quasi tutte le figlie delle famiglie più influenti della città? Persone come si deve, brave ragazze che si sono fatte prendere in giro da quel balordo, credevano nella genuinità dei suoi corteggiamenti e poi? Lui le ha sedotte, usate e poi abbandonate. Non voglio certo spaventarti, ma una di loro è anche rimasta incinta. - disse cruda e tagliente la donna, era chiaro che, nonostante si dimostrasse comprensiva con le giovani di cui parlava, ne deprecava il comportamento. - Ovviamente è stata costretta ad abortire o la sua vita sarebbe stata rovinata per sempre e già così non potrà mai più ambire ad un buon matrimonio. - sospirò la donna. - Ovviamente nessun ragazzo per bene vorrà stare con lei dopo quanto accaduto. Quel Finley è un donnaiolo, poco di buono. La sua casa è un continuo via vai di donne e la maggior parte lo fa per i soldi, se capisci cosa intendo. - - Sì zia, immagino di sì. - disse perplessa Celia. - Però non capisco perchè mi stai dicendo queste cose, nemmeno lo conosco questo Finley. - - Per fortuna no bambina mia, per fortuna no. Però hai incontrato suo fratello! - disse Eloise arrivando al punto.
- Già, ma Ethan non ha fatto nulla di male. Mi sembra un bravo ragazzo sai? Abbiamo tante cose in comune. - disse sorridendo Celia. Alla giovane non era mai importato più di tanto uscire con i ragazzi o trovarsi un fidanzato, aveva deciso di investire il suo tempo nello studio, voleva fare un lavoro che le avrebbe permesso di aiutare la gente e far trionfare la giustizia. Certo suo padre non credeva in quel genere di cose, ma Celia aveva deciso di studiare legge, questo avrebbe rassicurato suo padre e un giorno, col tempo, gli avrebbe dimostrato di potersi rendere utile e indipendente allo stesso tempo aiutando chi non poteva permettersi la difesa dei grandi studi. Nonostante questo Celia dovette ammettere con sè stessa che Ethan le era piaciuto, le aveva fatto una buona impressione e aveva visto in lui lo stesso animo gentile e voglia di cambiare il mondo che sentiva dentro di sè. - Celia non essere ingenua! La mela non cade mai troppo lontana dall’albero. Credi che quelle donnacce che frequentano quella casa, siano lì solo per Finley? Quel Ethan con cui parlavi è fatto della stessa pasta del fratello! Vuole solo portarti a letto per poi sbarazzarsi di te come un fazzoletto usato! Tuo padre è molto preoccupato per te, ma io l’ho rassicurato, sappiamo che sei una ragazza intelligente. - - Grazie zia! Forse non ho molta esperienza in merito, ma nessuno può convincermi a fare qualcosa che non voglio. - disse Celia sicura di sè. - E poi a me non ha dato quell’impressione, anzi sembrava così timido... - ma non potè nemmeno finire di dire quanta tenerezza gli aveva fatto quel ragazzo così timido e goffo che subito la zia la interruppè. - I Marlow sono scaltri bambina mia, sanno come raggirare la brava gente, lo hanno sempre saputo! Il mio più grande timore è che quello possa riempirti la testa di sciocchezze. Potrebbe perfino farti credere di essere innamorato di te, di volerti sposare e stupidaggini del genere, ma è solo un marpione arrivista. - disse la donna rincarando la dose.
- Tu credi che arriverebbe a tanto? - chiese delusa Celia. - E anche peggio! Ho sentito che ha fatto la stessa cosa con altre ragazze, a quanto pare sta seguendo le orme del fratello in tutto e per tutto! Devi stare lontana da lui, quel ragazzo è pericoloso. Persino la gente che frequenta è poco raccomandabile: artisti dediti alla droga, all’alcool e alle donne. - ovviamente era una menzogna, come tutto ciò che avete detto su Ethan, ma Eloise era certa che questo avrebbe tenuto Celia lontana da quel ragazzo che lei e suo fratello avevano ritenuto non all’altezza della loro famiglia.
- Altre ragazze?- chieste stupita, ma non solo, all’improvviso sentì un pizzico di gelosia e si sentì così stupida per aver sprecato tempo a pensare a quel giovane.
La discussione andò avanti ancora un po’ e quando Eloise fu certa di aver raggiunto il suo scopo lasciò Celia da sola con i suoi pensieri.
“Come ho potuto essere così ingenua? Eppure sembrava un così bravo ragazzo, uno per bene. Sembrava così diverso da tutti gli altri.”
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La triste storia di Ted, il Drunk Bunny
This is for the Italian folks here on Tumblr
Buonasera miei cari amici e care amiche italiani di Tumblr. Recentemente io e alcuni miei amici abbiamo aperto un fantastico gruppo su facebook (Scattered Pictures) con lo scopo di raccogliere e condividere le storie che i fan dei Green Day hanno il piacere di raccontare. Ebbene, cari amici, quella che oggi vorrei condividere con voi, è proprio una di queste storie. Le peripezie e le emozioni collegate a questa straordinaria vicenda non si riferiscono, tuttavia, a una mia esperienza personale, ma riguardano un qualcuno che si è guadagnato tutto il mio rispetto.
Questo qualcuno, si chiama Ted (per ragioni di privacy non divulgherò il cognome).
[ehm… piccolo avvertimento: se per caso l’occhio vi è caduto su questo post e avete già sprecato 9 secondi per leggere fino a qua… bhé… sappiate che state per sprecare altri 8 minuti del vostro tempo per leggere qualcosa di altamente nonsense, frutto del troppo tempo libero, di livelli di cazzeggio esagerati e di 30 euro investiti a cuor leggero per questo tanto ambito (e francamente, abbastanza bruttino) peluche del Drunk Bunny, per il quale necessitavo di trovare una qualche utilità. Questo è stato quello che ne è venuto fuori. Se siete cazzoni quanto me e volete comunque continuare a leggere, fatelo pure, ma non si dica che non vi ho avvisati]
Quella che sto per raccontarvi è la triste avventura di Ted, il mio piccolo, costoso e altrimenti inutile Drunk Bunny. Ora, mi sembra corretto fornirvi qualche (ulteriore) consiglio prima di farvi addentare nella lettura:
1. Se siete amanti del lieto fine, passate oltre: questa storia è brusca e crudele come la realtà.
2. Se avete meno di 18 anni, passate oltre: riferimenti sessuali e linguaggio talvolta troppo esplicito potrebbero urtare la vostra sensibilità.
3. Se avete le patate nel forno, passate oltre: questa storia potrebbe prendervi a tal punto da farvi dimenticare delle patate e condannarvi a una cena bruciata.
4. Se non avete le patate nel forno… andatele subito a mettergliele (a chi non piacciono le patate al forno?).
5. Se avete tempo da perdere… perdetelo in un altro modo e non assecondate questo delirio venefico.
6. Se vi chiamate Rosa/Rosalba/Rosetta o alterati vari, vi prego di non leggere, molto razzismo viene impiegato nei confronti di questi nomi.
7. Se vi chiamate Alessandro… avete un nome bellissimo. Mi sono sempre piaciuti gli Alessandri. Voi leggetela pure.
8. Se vi chiamate Fiorenzo, potete cortesemente spiegarmi che cavolo di nome sia Fiorenzo? Ma siete seri?
9. Se avete di meglio da fare, per carità: FATELO. A meno che non siate lagnusi (meraviglioso termine siciliano che non ha equivalenti in lingua italiana, quindi vi prego d’intuirne il senso). Se siete lagnusi, dicevo, e non vi va di fare niente salvo stare a cazzeggiare su facebook, allora leggete pure.
10. Se volete rileggere le istruzioni daccapo, fate liberamente, male non fa e tanto lo scopo era comunque quello di perdere tempo.
11. Se avete caldo accendente il condizionatore.
12. Se avete caldo e non avete il condizionatore, aprite la finestra.
13. Se avete caldo e non avete né un condizionatore né una finestra… dove cavolo vivete?
14. Se avessi avuto tempo e non fossi stata così occupata con il gruppo avrei finito i tutti i compiti di geometria. Tutti i congiuntivi azzeccati.
15. Se non avete i Green day di sottofondo, correte a mettere Last Ride in. Questa storia si legge molto meglio con quella track di sottofondo.
16. Se non avete viso Ordinary World correte subito a vederlo… è un film troppo grazioso.
17. Se avete ben chiare tutte queste istruzioni, possiamo cominciare con la storia.
18. Se non avete chiare le istruzioni, ve le ripeto.
19. Se siete amanti del lieto fine, passate oltre: questa storia è brusca e crudele come la realtà.
- …
E ora, senza ulterior indugio, direi di cominciare.
Capitolo 1 – Ted & la vita di campagna
Dopo aver passato gran parte degli ultimi due anni in tour con la band (un famoso gruppo Punk Rock che resterà anonimo per motivi di privacy e copyright), Ted si era finalmente ritagliato un po’ di tempo per sé e aveva deciso di dedicarsi alla sua vera passione: la campagna.
Aveva acquistato un piccolo lotto di terreno che usava per coltivare le sue amate carote.
La vita scorreva serena e tranquilla, immersa in una piacevole monotonia che per Ted rappresentava un toccasano dopo le estenuanti giornate passate in giro per il mondo, all’insegna dell’imprevedibilità (come quella volta in cui lui e il batterista si erano ritrovati per via di una qualche scommessa a dover rubare delle galline da far gareggiare tra loro).
Stanco di quella vita, che comunque ricordava sempre con un sorriso vagamente malinconico sulle labbra, Ted accoglieva di buon grado la noia e la monotonia che la campagna gli offriva.
Capitolo 2 – Ted e il cane perplesso
Ted trascorreva le lunghe giornate in compagnia di un cane perplesso (che per motivi di privacy chiameremo Cane Perplesso). Cane Perplesso, un individuo pigro come la pigrizia, non sembrava infastidito dalle continue attenzioni di Ted, ma era restio a dargli troppa confidenza. Si limitava a fissarlo con sguardo triste, indeciso se mangiarlo o starlo semplicemente a sentire. Considerando che la storia di Ted deve ancora entrare nel pieno della sua trama, posso già spoilerarvi che Cane Perplesso decisi di non mangiarlo, ma di restare a fissarlo con sguardo triste e inerme, contribuendo così alla monotonia delle sue giornate. Ma la pace non può durare per sempre. E subito dopo questo capitolo INUTILISSIMO ai fini della storia, la vita del nostro Ted sarebbe stata presto sconvolta da un avvenimento straordinario.
Capitolo 3 – Drunk Who?
L’avvenimento straordinario in questione fu la comparsa di una Cabina inglese della polizia… Ted si avvicinò incuriosito, per apprendere poco dopo che ciò che aveva di fronte era niente poco di meno che la TARDIS, la macchina del tempo del Dottore (spero vivamente che qui ci sia qualche Whovian/nerd)che gli avrebbe concesso di visitare qualsiasi luogo in qualsiasi periodo storico. Ma in quel momento, Ted era parecchio nel mood “Bilbo Beggins”: avventure e viaggi nello spazio-tempo erano ciò che meno desiderava. Purtroppo… un orecchio gli rimase incastrato nella porta della Tardis, trascinandolo così nel vortice spazio-temporale.
Capitolo 4 - The mexican Bunny
Appena la Tardis terminò il suo viaggio, Ted si rese conto di essere atterrato in Messico. Un luogo che aveva sempre sognato visitare.
S’immerse così tanto nell’atmosfera che ben presto fu invaso dalla voglia di vedere nuovi posti e nuove epoche.
Capitolo 5 – the Hippy Bunny
E via allora nel periodo Hippy. Ted s’immedesimò alla perfezione coi figli dei fiori dell’epoca. Capello lungo e non lavato, coroncina di fiori, un po’ d’erba per gradire, qualche idea rivoluzionaria sull’amore libero ed ecco che visse la settimana più bella della sua vita.
Fu lì che incontrò Geremia, un roditore del Sud Dakota che gli fece perdere la testa.
Fu un fulmineo turbinio di passione. Passarono sette giorni a scopare come conigli (…Capito il doppio senso??….eh? eh? XDDD) e alla fine, Geremia chiese a Ted di sposarlo.
Capitolo 5 – La bellissima sposa coniglio
Ted era una sposa bellissima, raffinata ed elegante, motivo d’invidia per tutte le dame dell’altra società che si complimentavano civettevuole, ammirando il suo vestito Armani. Il giorno del suo matrimonio Ted versò lacrime di gioia e felicità. Era felice di unirsi per sempre a quello che era sicuro sarebbe stato l’amore della sua vita, ma si rammaricava del fatto che i suoi genitori non potessero essere lì, testimoni di quel momento per lui così importante. Avevano tragicamente perso la vita durante il naufragio di una nave merci diretta in Australia, quando Ted era solo un coniglietto. L’incidente stradale che li aveva uccisi era avvenuto proprio allo stesso orario del catastrofico naufragio, in cui, grazie al fulminio intervento della guarda costiera, nessuno aveva perso la vita.
Il matrimonio di Ted e Geremia fu l’evento dell’anno, sfarzoso ma non eccessivo, con la crème de la crème della città. Gli sposi erano pronti a vivere felici e contenti. E Vorrei potervi dire che andò proprio così… che dopo il matrimonio trascorsero sereni loro anni successivi, coltivando carote in una piccola tenuta in campagna, vorrei potervi parlare della loro prole, una settantina di dolci coniglietti batuffolosi pronti ad esplorare il mondo. Vorrei potervi dire che i saggi nonni Ted e Geremia riempirono le centinaia di orecchie dei nipoti con storie eroiche e coraggiose. Vorrei potervi dire che la vostra affezionatissima autrice vinse alla lotteria o comprò delle azioni talmente produttive da consentirle di diventare un’inquietante groupie dei Gree…ehm… della band anonima di cui sopra… Ma ahimè, come vi accennavo, questa non è una storia a lieto fine. Quindi non vi dirò nulla di quanto avrei voluto, ma vi narrerò i crudi fatti che avvennero dopo quella notte.
Capitolo 6 – La battaglia medievale
Senza alcun motivo se non quello di far proseguire la trama, Ted, dopo la prima notte di nozze, si ritrovò catapultato nel medioevo, dove scoprì che la popolazione di un piccolo villaggio locale contava su di lui per sconfiggere il terribile Zurg: un mostro metà Drago e metà schifo il cui unico scopo nella vita era quello di distruggere e di cucire (sarebbe poi diventato un famoso sarto medievale). La battaglia si svolse all’ombra dell’Etna, in un epico scenario di fiamme e rocce.
Alla fine Ted risultò vincitore, ma a caro prezzo: senza ben capire perché o cosa c’entrasse questa cosa con la battaglia, avrebbe dovuto rinunciare all’amore della sua vita: Geremia.
Lo spirito di sacrificio e l’amore verso gli altri diedero a Ted la forza di lasciare il suo amato spezzandogli il cuore.
Epilogo – The Drunk Bunny
Si dice che i conigli siano esseri forti, ma nulla avrebbe potuto preparare Ted al dolore di perdere l’amore della sua vita, e il suo piccolo lotto di terra, che fu confiscato qualche giorno dopo dalla finanza che lo riteneva un “terreno sottratto alla mafia”, da utilizzare per costruirci o un museo o un asilo. Non so bene quali dei progetti alla fine vinse l’appalto, quel che so per certo è che in quel terreno non crebbe mai più neanche una delle tanto amate carote di Ted.
Nessuno sa bene cosa sia successo a Ted dopo il divorzio. Chi lo conosceva meglio sostiene che si sia dato al bere. Come giudicarlo?
Altri sostengono che si sia unito a un qualche gruppo rock… i Green day qualcosa, suscitando l’ira della sua precedente band: i Greenbandebald (ora che la storia è finita posso finalmente rivelarvi il nome. Non ha senso. Lo so.). Ubriaco e disfatto, gira il mondo con queste rock star, recitando il ruolo della mascotte: un triste e patetico coniglio ubriaco. Nessuno si sofferma a chiedersi perché questo coniglietto rosa abbia scelto una vita di sbornie anestetiche. Nessuno sospetta che ci sia di più dietro quegli occhioni annebbiati. Nessuno sa che al di là di quei fiumi di alcol c’è una creatura che ha amato. Ha amato tanto da soffrire troppo. E ha sofferto troppo… da bere tutto.
fine
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Giornata Mondiale dell’Amicizia
Lunedì 30 Luglio 2018: Giornata Mondiale dell’Amicizia
Cos’è per Voi l’Amicizia?
Amicizia: Empatia, reciproco affetto, costante e operoso, tra persona e persona, nato da una scelta che tiene conto sia del carattere che delle necessità altrui.
Vi ritrovate nel significato di Amicizia?
Personalmente Si! I Miei AMICI si contano sulle dita delle mani ed in ognuno di loro vedo l’empatia e l’affetto reciproco ogni giorno della mia vita. Senza di loro non sarei completa perché sono per me uno specchio in cui guardarmi e confrontarmi sempre. Mi hanno sempre incoraggiato e continuano a farlo e se oggi sono qui che scrivo questo articolo è perché nel loro esempio sto trovando la forza di esprimermi, di essere me stessa e seguire i miei sogni.
Non voglio nascondervi che lungo il cammino della mia vita ho fatto amicizia anche con altre persone ma con le quali ho ritenuto opportuno e salutare chiudere i rapporti. Purtroppo, per anni (sin da quando ero piccola) mi ero convinta, ma erroneamente, che per avere degli amici dovevo essere sempre io a fare il primo passo, dargli la priorità su tutto, fargli dei regali … ma questo mi ha logorata. Il vuoto che pensavo di colmare tenendomi stretti MOLTI amici, col tempo era sempre più grande fin quando non ho finalmente capito che per la mia salute fisica e mentale era necessario mettermi in discussione (una consapevolezza a cui ero molto ostile ma poi mostratasi necessaria per ritrovare il mio equilibrio).
Oggi, che sto intraprendendo questo percorso e sto lavorando su me stessa, pur se a volte guardo al passato con dolore, rabbia e rimpianto, sono grata dei Miei Pochi Veri Amici.
L’errore da me commesso con molte persone (che non mi sento proprio di considerare più amici) è stata la troppa disponibilità; questo non significa che non dobbiamo essere disponibili gli uni con gli altri ma è necessario il giusto equilibrio. Io mi autoconvincevo che gli altri dovessero poi rendermi quanto io davo a loro ma inevitabilmente ho capito e purtroppo sperimentato su me stessa che non è così. Infatti, proprio recentemente, anche se in malo modo, ho chiuso i rapporti con alcuni ‘amici’ che senza una spiegazione valida (nonostante io abbia insistentemente cercato di capire il perché) si sono allontanati dicendomi semplicemente che ‘ … a volte non ci sono spiegazioni ed è così che doveva andare …’ io non ho mai capito se non mi ritenevano alla loro altezza per un fattore di rango sociale o per altro … sta di fatto che non capire cosa effettivamente stava succedendo mi logorava. Mi fu fatto notare che le persone non sono mai come noi le vogliamo e dobbiamo accettarle nel bene e nel male: accettare, che termine impegnativo!
Vi sembrerà strano ma ho ricercato il vocabolo Accettare nel dizionario online e la definizione è: Acconsentire a ricevere o ad accogliere come conveniente o inevitabile una sfida (da qualcuno).
Analizzando il significato: acconsentire (quindi ci vuole una disposizione d’animo) a ricevere e accogliere (fare mia) come conveniente e inevitabile (nel bene e/o nel male) una sfida (come se l’altro voglia sfidarmi a chi resista di più) = Accettare
Per un carattere espansivo, socievole e disponibile come il mio accettare di essere rifiutata mi faceva rabbia ma questo comunque non cambiava la situazione visto che dall’altra parte qualunque cosa io provassi a dire era vista solo come un’accusa e non come una critica costruttiva per maturare la nostra amicizia. Ad oggi, ho accettato che gli altri non vogliano essermi più amici e questo significa che ho accettato la loro lontananza ma anche i loro limiti ‘mentali’ e quanto successo è stato per me istruttivo e costruttivo.
Per me Amicizia non significa solo vedersi a tempo perso, pensarsi e invitarsi quando non si ha nulla da fare il fine settimana oppure solo per renderci partecipi di eventi ma va molto oltre: significa proprio comportarsi come una Mia Cara Amica che io chiamo Tesoro, la quale quando si rese conto di un cambiamento in me, non lasciò la situazione al caso, non pensò mai che evidentemente doveva andare così solo perché io mi comportavo in modo ‘strano’ ma si prese il tempo di scrivermi chiedendomi il perché io avessi questo atteggiamento e ne scaturì un’interessante conversazione sia telematica che telefonica e mi resi conto di quanto lei mi fosse veramente amica; meritava TUTTO il mio tempo!
Anche la Mia Amica Cara Carissima (questo è il suo soprannome) non mi ha MAI abbandonato: ci siamo conosciute sui banchi dell’università ad una lezione di Arte Moderna e poi ci siamo ritrovate al corso di Geografia del Turismo e siccome era un esame impegnativo e complesso studiammo anche insieme. Oggi, scrivere che siamo Amiche è riduttivo, lei lo sa che per me è come una sorella, questo perchè pur essendo diverse ci spalleggiamo a vicenda. Mi dedica molto tempo e mi aiuta ad affrontare le mie difficoltà universitarie per gli esami; la sua creatività è contagiosa e ammiro come lei affronta la vita.
Scrivevo prima che ho chiuso i rapporti con alcune persone (scusate ma non mi sento proprio di usare il termine Amici perché per me non lo sono più e forse non lo sono mai stati veramente) ma ne sono subito arrivate altre ed in particolare la Mia Compagna di Banco (che io chiamo Angy Girl proprio perché il suo nome mi ricordava questo cartone animato) nei cinque anni di Liceo Insieme, che a detta di lei sono stati divertenti (e questo mi fa onore). Ci siamo tenute in contatto inizialmente tramite Fb, con WhatsApp e poi … dopo alcuni anni … abbiamo deciso di rivederci e quello che abbiamo (ri)visto e (ri)trovato l’una nell’altra erano sempre due adolescenti (oggi cresciute e più mature che hanno creato una loro famiglia) ingenue e spensierate e come era allora è tuttora: risate, risate e risate.
Oggi, siamo tutte e quattro, sia Amiche l’una per l’Altra che un Gruppo di Amici con cui ci piace stare insieme: non nego che per riuscire a stare TUTTI insieme dobbiamo programmarci per tempo anche in base alle esigenze personali e familiari di ciascuno ma troviamo comunque il modo di curare la nostra amicizia a tu per tu (quando possibile ci incontriamo per una passeggiata o una merenda insieme, per una cena improvvisata, oppure ci scriviamo sms, email o ci chiamiamo … in un modo o in altro siamo presenti l’una nella vita dell’altra)!
Alle Mie Amiche dedico il quadro 'La Visita' (1868) di Silvestro Lega in cui quattro donne sono partecipi e solidali l'una con l'altra. Due donne in primo piano si scambiano un bacio affettuoso, una terza è pronta all'abbraccio e una quarta in lontananza che avanza. Un'atmosfera tenera e affettuosa pervade il dipinto. Sono tutte complici l'una con l'altra e condividono la vita (il bene e il male) insieme. Probabilmente le donne con lo scialle (nero e arancione) sono andate a trovare la loro amica che gli va incontro, e lascia l'uscio della porta aperto, strepitante di farle accomodare, offrirgli una merenda e passare qualche ora in ottima compagnia. Dal loro tocco delle mani si percepisce l'affetto, la solidarietà e la comprensione che esiste tra di loro. La donna che in lontananza si sta avvicinando, ha lo sguardo dritto, rivolto alle sue amiche: non vede l'ora di salutarle e abbracciarle. La campagna che le circonda è spoglia e il cielo minaccioso (probabilmente siamo in autunno) eppure non ci sono ostacoli (come vento e pioggia) che possano impedirgli di essere lì a coccolarsi e confortarsi insieme. Ora non sappiamo se la quotidianità qui rappresentata dall'artista raffiguri nel paesaggio spoglio e nel vestito nero della padrona di casa una tragedia (forse la perdita di una persona cara) o semplicemente una visita improvvisata ... ma in un caso o nell'altro si percepisce la convinzione che loro comunque sono lì per confortarsi e supportarsi.
Pensandoci, quando ci sentiamo depressi, incompresi e tristi ... è come se indossassimo un abito nero e non servono sempre parole quanto invece la presenza, la vicinanza, lo sguardo, l'abbraccio, il pensiero, le improvvisate, l'umorismo dei Nostri Amici ... e basta questo per sentirsi già meglio!
Alla domanda ‘Cos’è per Voi l’Amicizia?’ … cosa risponderete?!
“L'amicizia è uno dei sentimenti più belli da vivere perché dà ricchezza, emozioni, complicità e perché è assolutamente gratuita. Ad un tratto ci si vede, ci si sceglie, si costruisce una sorta di intimità; si può camminare accanto e crescere insieme pur percorrendo strade differenti, pur essendo distanti, come noi due, centinaia di migliaia di chilometri.” (Susanna Tamaro)
https://www.youtube.com/watch?v=HwxZXMbOuGI
#vivereeunarte#amaresemprelavita#aforismiperpensare#spazioallacreativita#amarelarteintuttelesueforme#esseresempresestessi#tempopermestessa#crescitapersonale#condivisione#giornatamondialedellamicizia#worldfriendshipday#silvestrolega#lavisita#amicizia#friendship
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/11/14/un-moderno-oleificio/
In un moderno oleificio
di Maria Grazia Presicce
disegno a matita dell’autrice
Siamo in novembre, periodo di raccolta e molitura delle olive. Da tempo, desideravo entrare in un oleificio moderno mentre era in funzione per tornare in una realtà che mi è appartenuta da bambina e poter gustare ancora quel mondo e perdermi negli effluvi del luogo, almeno…così immaginavo!
vecchio frantoio a Borgagne (foto dell’autrice)
Quest’opportunità è avvenuta per caso e così un mattino, dopo aver comprato dell’olio nello spaccio dell’Oleificio trovando aperto il frantoio, non ho resistito alla voglia di entrare e lasciarmi inondare dalle essenze di quell’atmosfera a me cara. Dapprima ho spiato titubante poi, visto che intorno non c’era anima viva, mi sono addentrata…s’intuiva, comunque che c’era qualcuno: la luce nell’ufficio era accesa.
Nell’ampio e alto stanzone, su un lato del muro, enormi cassoni di olive erano impilati mentre, nei pressi la porta dell’ufficio, stazionavano due cassoni colmi di turgide e nere olive sicuramente scaricate da poco. Sulla superficie. Infatti, alcuni rametti di ulivo verdi rallegravano il nero del raccolto e ne denotavano la freschezza.
foto dell’autrice
Continuavo a guardarmi intorno. Sulla sinistra, da un’ampia porta, si stagliavano, in bella mostra, una fila di alti e lucenti serbatoi e tutt’intorno, numerosi bidoni di plastica con appeso un cartellino, parevano in attesa…
foto dell’autrice
Immobile osservavo e provavo a percepire profumi ed essenze quando, finalmente, un signore mi viene incontro – scusate l’intromissione, …volevo semplicemente cogliere le antiche fragranze…mi piaceva immergermi negli antichi profumi …sa, i miei nonni avevano un antico frantoio e lì dentro le sensazioni, il calore, le fragranze si percepivano e quasi le toccavi e t’inondavano silenti…
Mi lascia parlare, poi ci presentiamo. Potremmo avere la stessa età – Eh sì cara signora, quei luoghi, quegli odori non esistono più. Come vedi, qui ora non ci sono “essenze” … è tutto diverso. Una volta, il frantoio, aveva un’anima e calore e colore e cuore… adesso è tutto automatizzato e i profumi sono incapsulati nelle macchine addette alla produzione…è tutto veloce…si fa in fretta, non c’è tempo per penetrarne gli aromi.
Ci guardiamo. Nello sguardo c’è tutto. – Venga! Venga a vedere cos’è oggi il frantoio…
Ci spostiamo. M’introduce in un vasto e aperto ambiente occupato, su ambo i lati, da due marchingegni luccicanti, fissi alla base, che si dispiegano per quasi tutta la lunghezza del locale. Qui il rumore diffuso dei macchinari sovrasta la voce. E’ freddo l’ambiente, non c’è colore, né calore, né profumo…
foto dell’autrice
Pur essendoci olive nelle casse e altre olive inghiottite e maciullate dai robot lucenti, non c’è quell’aroma di olio mosto…
Pochi uomini all’interno dell’oleificio; solo due o tre…e bastavano per azionare, revisionare e sorvegliare quegli androidi che, immobili, svolgevano e producevano…
Mi soffermo e ripenso alla fatica di un tempo e rivedo i fisculi pieni di poltiglia di olive e le presse mosse dalle braccia degli uomini che, a turno, s’affaccendavano a spingere e risento il ticchettio dei perni e avverto il colare dell’olio nel tino sotto il canaletto della pressa…
Quanta fatica! E non solo dell’uomo, anche delle bestie… il cavallo che, nel vecchio frantoio dei nonni, girava bendato la grossa macina di pietra…e poi le donne che, nel vento, nel sole, nella pioggia, nel freddo coglievano le olive una ad una. …Vero, altri tempi però…
immagine tratta da http://www.presepioelettronico.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=4508
-Di qua, di qua…- l’operatore solerte mi precede mentre continua a spiegare le moderne fasi di lavorazione – qui, in questa vasca sommersa, si versano le olive raccolte e sporche di foglie di terra, di pietruzze e quel nastro convettore poi, le incanala in quella macchina selezionandole, scartando pietre e foglie, convogliandole, rapidamente, in un’altra vasca che le lava.
E davvero non mi pare vero! Sotto i miei occhi, per magia, quelle olive che avevo visto sporche di tutto, si ripulivano e i rimasugli si raccoglievano in contenitore, mentre, più su, le olive sporche di terra si docciavano prima di essere centrifugate riducendosi in una poltiglia densa, lucida e nerastra.
foto dell’autrice
Non c’era sosta nel marchingegno. Il ciclo continuava su un rullo mobile che divideva l’olio dal residuo acquoso e finalmente, da un tubo d’acciaio, l’olio, giallo e lucente, fluiva in un bidone di plastica bianca, simile a quelli che sostavano vicino ai serbatoi del primo stanzone.
Guardavo l’olio colare copioso, ma…ancora quel tipico odore di olio mosto non lo coglievo e allora – posso assaggiare? – Allungo un dito e l’ho intingo e finalmente gusto, però… manca qualcosa…e il mio cuore a percepirlo.
foto dell’autrice
Manca l’armonioso afflato dell’uomo che quelle olive ha raccolto e portato a macinare…manca la trepida attesa e poi l’assaggio nel luogo del “parto” e della nascita di quel filo d’olio che, una volta, colava sul pane nell’istante che veniva alla luce per essere gustato e valutarne la preziosa bontà…
Proprio così…quel luogo risultava anonimo, mancava la dedizione, il cuore della gente. La molitura delle olive, un tempo era una cerimonia e ogni fase si viveva, penetrava nell’animo e quando, in un unico piatto di olio mosto, la gente che vi lavorava inzuppava il pezzetto di pane, la fragranza penetrava nel cuore e si spandeva sul viso …
E’ vero, ora è tutto semplificato, è vero oggigiorno il lavoro costa meno fatica e va bene così, ma secondo me, nel moderno vivere, c’è un po’ troppa superficialità…
#estrazione dell'olio#frantoio#Maria Grazia Presicce#olio d'oliva#ulivi di Puglia#Spigolature Salentine#Terra D'Otranto a Tavola
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Il primo week end a Monaco.... o meglio a letto :)
17.07.17 - Amore oggi è lunedì sono appena tornato dal primo week end a Monaco con te... Non era iniziato bene, ho avuto problemi col bus e sono salito in macchina ma tu sembrava non mi volessi vedere... Ma io avevo troppa voglia, non potevo perdermi dei momenti con te, quindi sono salito lo stesso... Se non mi volevi per tutto il week end almeno sarei salito per abbracciarti e baciarti venerdì sera e poi sarei tornato... però poi mi hai detto che potevo restare e non ho resistito molto... con te si sta benissimo amore mio, poi siamo così in sintonia... Ti ho portato una rosa rosa e una borraccia con i gufi... All'inizio non rispondevi, io ero lì a Monaco ma tu eri fuori a cena... Che poi non ho capito perché quando sei fuori a cena con me hai sempre il cellulare lì davanti pronta a scrivere o a rispondere a chiamate, facendoti nel caso imboccare da me... mentre quando sei fuori con altri il cell non lo guardi... boh... un giorno forse capirò... Quindi venerdì sera a mezzanotte circa sei venuta a prendermi nella stazione vicino il tuo studentato... Ti ho dato la rosa e ci siamo baciati... oddio quel bacio, ho ancora i brividi, non me l'aspettavo, è stato fantastico, c'era tanta passione... Siamo saliti in camera e dopo poco ci siamo messi a letto e abbiamo fatto l'amore, dio quanta voglia che avevamo entrambi, ti stavo per mangiare quel collo, tu che ti incollavi a me e la voglia che esplodeva...oddio che bello... Poi abbiamo dormito attaccati, super abbracciati amore mio... il giorno dopo non ci siamo più alzati da quel letto... :) se non era per tu fratello chissà come finiva quella giornata :) Tu sei andata a bere un caffè con tuo fratello e io ho fatto un giro in centro... Ho visto un gufetto troppo simpatico e aveva pure gli occhi verdi simili ai tuoi, non ho potuto fare a meno di prenderlo... :) spero possa farti compagnia in mia assenza durante la notte... Abbiamo fatto un giro e abbiamo cominciato a parlare, dio quanto abbiamo parlato insieme questi giorni, di tutto e non smetteva mai... adoro ascoltarti amore mio... Sabato sera siamo andati a mangiare la pizza da pizzesco, un piccolo angolo di Italia a Monaco... quella con le patate non era buonissima e l'altra era un po' bruciata però non era male... io mi sono sacrificato a mangiare quella con le patate, così almeno tu potevi mangiare quella col prosciutto che ti piaceva di più... amore mio... dio quanto sei bella... Abbiamo fatto una passeggiata, abbiamo visto che facevano cattivissimo me 3, spero andremo presto a vederlo insieme, al cinema noi due, che bello amore... Poi ci siamo messi in quel bar sulle sdraio in riva al fiume a mangiare quel pessimo gelato me tre stavamo gelando, io ti avevo dato anche il mio maglioncino che stavi morendo di freddo amore mio... ma darei tutta la mia vita pur di farti star meglio... La sera poi siamo andati a mettere a posto il parcheggio della macchina e poi a nanna ancora stanchi morti non sappiamo perché :) Domenica dovevamo andare allo zoo, ma alla fine siamo rimasti a letto troppo ancora... uffa che lazy che siamo amore... spero aspetterai me per andare alle zoo, vorrei tanto andassimo insieme...allora siamo usciti, abbiamo mangiato la pizza nella stessa pizzeria di sabato e poi abbiamo provato a cercare il giardino inglese... continuando a chiacchierare tantissimo, è stato bellissimo amore mio... trovato il giardino, abbiamo visto un po' quelli che surfavano, poi ti ho fatto tante belle foto... alla mia modella, la ragazza più bella del mondo... abbiamo fatto anche due foto noi 2, bellissime, spero me le manderà presto... ci siamo stesi un attimo continuando a parlare e poi siamo usciti, passeggiando abbiamo trovato la LMU, poi più avanti la piazza dove la sera prima eravamo andati a bere prima di andare a letto e anche un area dove facevano un po' di cibo da sagra che ci sarebbe piaciuto tanto mangiare, peccato che eravamo pieni... ma noi passeggiavamo r parlavamo tantissimo, è stata una serata fantastica... ci siamo fermati in un posto figo a bere un tè caldo e lì ti ho confessato che sono sempre stato geloso di te, sin dal primo giorno, dove mi hai colpito in pieno... Il tempo scorreva e io non volevo andare via, anche tu amore mi volevi e mi hai proposto una soluzione fantastica, restare a dormire e partire presto la mattina... é stato geniale e ho potuto abbracciarti ancora qualche ora in più.... spero di non averti disturbato troppo in generale e soprattutto per il fatto di averti fatto svegliare alle 4... però per me è stato fantastico poter restare fino all'ultimo... Ora sono a casa e mi sento tanto solo, tanto vuoto... puoi avere intorno centinaia di persone ma quando tu manca quella che desideri ti senti solo... io mi sento davvero tanto solo, come non mi era mai successo prima... spero questi giorni passino in fretta perché io già non resisto più e vorrei prendere la macchina e venire su a baciarti... dio quanto vorrei farlo... solo che ti stai facendo la tua esperienza ed è giusto che ti lasci un po' tranquilla, ma lo farei e lo sai, basterebbe un tuo cenno che mi facesse capire che lo vorresti e partirei... É stato fantastico passare delle giornate così con te il una nuova città, sento che starei bene in qualsiasi posto insieme a te, a noi basta stare insieme, vicini e stiamo da dio... potrei davvero vivere ovunque a fianco a te... ci divertiremo comunque.... non vedo l'ora di tornare a trovarti... poi non vedo l'ora che torni e che viviamo una nuova avventura insieme... Ti amo da impazzire amore mio, ti penso tanto tanto... vorrei abbracciarti forte...
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