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Baby Boomers: Siamo la goccia che diventa mare. Un viaggio tra generazioni e cambiamento sociale. Recensione di. Alessandria today
Scopri il romanzo di Mario Pacchiarotti che racconta con ironia e profondità la forza di un’intera generazione pronta a lasciare il segno.
Scopri il romanzo di Mario Pacchiarotti che racconta con ironia e profondità la forza di un’intera generazione pronta a lasciare il segno. Trama e temi principali. “Baby Boomers: Siamo la goccia che diventa mare” è un romanzo che esplora con originalità e sagacia la vita, i sogni e le battaglie di una generazione spesso sottovalutata. Ambientato in un futuro prossimo, il libro racconta le…
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Storia Di Musica #331 - Antonello Venditti, Sotto Il Segno Dei Pesci, 1978
L’ultimo disco di questo scatolone incredibile che ho ritrovato in soffitta è uno dei dischi più famosi di sempre fatti in Italia. È un disco che segna un momento storico per il nostro Paese a cui indirettamente anche lui contribuisce, e uno più personale, che proietta l’autore a diventare una delle voci più famose, e incisive, della canzone italiana. È anche l’opportunità per raccontare di un cantautore che troppo spesso è stato bistrattato per il suo essere “commerciale” (definizione che per me ha valore di assoluta stupidità). Il disco di oggi esce l’8 Marzo 1978. 29 anni prima, era nato nello stesso giorno l’autore, Antonello Venditti. Proprio per questo, il titolo, profondamente autobiografico, è Sotto Il Segno Dei Pesci. Dico subito che nello scatolone ho la fortuna di avere una prima edizione originale: la stupenda copertina di Mario Convertino, designer celeberrimo di fortunatissime copertine di album e uno dei primi ad usare la grafica in TV (Mister Fantasy del 1981, di cui cura sigla e grafica, alle videosigle de La Domenica Sportiva nel 1986, e persino la grafica delle partite dei Mondiali di Italia '90) insieme ai due pesci colorati vi sono in rilievo i dodici segni dello Zodiaco. Venditti arriva a questo disco dopo un percorso artistico particolare. L’inizio, famosissimo, è al Folkstudio, il locale romano dove stringe amicizia con Giorgio Lo Cascio, Ernesto Bassignano e soprattutto Francesco De Gregori: a quel momento dedica una delle strofe più famose della canzone italiana, quattro ragazzi con la chitarra e il pianoforte sulla spalla, di Notte Prima Degli Esami. La It di Vincenzo Micocci gli dà l’opportunità di fare un disco insieme a De Gregori, e nasce così nel 1972 Theoruis Campus. Il disco segna però un distacco tra i due, su cui la stampa musicale ha ricamato cose assurde e per la maggior parte inventate (su tutte che Pianobar di De Gregori fosse indirizzata a lui). Segue quindi il percorso di un cantautorato febbrile e intenso, estroverso e popolare, incentrato sulla passione per la sua città, Roma (a cui dedicherà veri e propri inni, come Roma Capoccia, E Li Ponti So’ Soli da L’Orso Bruno del 1973, Campo De’ Fiori da Quando Verrà Natale del 1974, e sul raccontare storie forti e niente affatto scontate. Tra queste ultime, Mio Padre Ha Un Buco In Gola (Le Cose Della Vita, 1973) sugli attriti generazionali, Canzone Per Seveso (da Ullalà, 1977) per l’ecologia, e soprattutto una carrellata di canzoni dedicate a figure femminili che faranno epoca, come Lilly (dall’omonimo album del 1975), struggente, una delle prime canzoni italiane scritte sulla droga, Maria Maddalena (1977), sulla prostituzione.
Sotto Il Segno Dei Pesci uscirà una settimana prima del sequestro Moro. Ne diventerà suo malgrado una sorta di colonna sonora, in un disco cruciale che assomma, in una maniera decisiva la contestazione e il riflusso, le storie dell’amore intimo e l’impegno per le lotte sociali, le speranze pubbliche e le frustrazioni quotidiani. Ne è esempio il ritornello, che conosciamo tutti, della title track, dedicata alla storia di Marina e di Giovanni (due veri suoi amici) delle loro paure sul futuro, del cambiare città perchè “Tutto quel che voglio, pensavo\È solamente amore\Ed unità per noi\Che meritiamo un'altra vita\Più giusta e libera se vuoi\Corri, amore, corri, non aver paura”. È il disco con cui “ricompone” con De Gregori: gli dedica la scarna e delicata Francesco, (Possiamo ancora suoniamo ancora l'ultima volta\Senza rimpianti, senza paura\Come due amici antichi\E nient'altro di più di più di più) e soprattutto Bomba O Non Bomba, che parla di due ragazzi, Antonello e Francesco (De Gregori, naturalmente), e ripercorre il cammino dei due protagonisti, e gli incontri fatti, a Sasso Marconi, Roncobilaccio, Firenze e Orvieto (in ordine cronologico le uscite dell’Autostrada Del Sole, direzione Roma), per raggiungere il successo, rappresentato da Roma come meta finale. È anche un disco per le donne: Sara (“svegliati è primavera”) è una toccante storia di una ragazza incinta, amica della prima moglie Simona Izzo al Liceo Mamiami di Roma, di un ragazzo “mammome e anaffettivo” (Ma Sara, mi devo laureare, e forse un giorno ti sposerò\Magari in chiesa (…) tu non sei più sola, il tuo amore gli basterà\Il tuo bambino, se ci credi nascerà); Giulia è invece la prima canzone che parla apertamente di un amore lesbico all’interno di una coppia eterosessuale, il punto di vista del testo è dell’uomo che si trova a ragionare sull’allontanamento della sua amata, la canzone è un gioiello del disco, potente e struggente, È Giulia che ti tocca\È Giulia che ti porta\Via da me (…) Lei è solo troppo anche per te\Lei è solo un po' confusa\E ti prego non portarla\Via da me. C’è pure la canzone sociale di Chen Il Cinese, la deliziosa Il Telegiornale, che sembra scritta adesso “TG1, TG2, che confusione\Ma almeno rimane il pregio dell'informazione\E tra una smentita e l'altra e un sorriso ministeriale\Ci fa capire che le cose non vanno poi\Troppo male.
Il disco fu registrato a Roma nei Trafalgar Recording Studios e a Londra ai Marquee Studios; il tecnico del suono è Gaetano Ria, che si occupa anche del missaggio insieme a Tim Painter. Tra i musicisti sono da ricordare i componenti del gruppo degli Stradaperta, già collaboratori di Venditti in Lilly; anche Carlo Siliotto e Pablo Romero avevano già suonato con il cantautore (entrambi nell'album Quando verrà Natale), ed inoltre suona nell'album il tastierista dei Goblin, Claudio Simonetti. Durante le session dell'album venne registrata anche un'altra canzone, Italia, che però non venne inserita nel disco (solo nel 1982 sarà pubblicata in Sotto La Pioggia). Il disco venderà tantissimo: 700.000 copie quell’anno, Sotto Il Segno Dei Pesci\Sara singolo Numero Uno, riuscendo, come pochissimi, a intuire l’umore della piazza. Perché è un fatto che forse per la sua produzione quantitativamente molto elevata rispetto ad altri grandi cantautori, e spesso per alcune sue scelte facili, abbia sempre avuto critica feroce. Il problema della “musica commerciale” è la scusa di chi deve per forza contestare le scelte artistiche non per quelle che sono (un lavoro artistico ha tutto il diritto di essere considerato brutto). Venditti fu accusato di disimpegno negli anni ’80, su cui per anni la critica ha ironizzato sul suo intimismo da supermercato, seppure nonostante dischi non così belli come questo scriverà inni generazionali, ne elenco un paio: Ci Vorrebbe Un Amico e Notte Prima Degli Esami nel 1984 da Cuore, In Questo Mondi Di Ladri del 1988 che venderà più di un Milione di Copie, Alta Marea, cover di Don’t Dream It’s Over dei Crowded House del 1991. Ditemi se è poco.
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Dobbiamo prendere atto che ci sono persone felici del fatto che migliaia di individui muoiano in mezzo al mare. Sono felici perché la loro cultura (antropologica) di riferimento ha insegnato loro due punti cardine: disprezzo verso il basso, sudditanza verso l’alto.
Questa cultura di riferimento non è una cultura di oggi e non è una cultura “nazionale”. È la cultura che già nel ‘500 Étienne de La Boétie descriveva in maniera precisa: servire autorità superiori per esercitare controllo, dominio, violenza perfino su quelle inferiori. L’ultimo dei contadini serviva il Re perché così tornando a casa la sera era “autorizzato” a picchiare sua moglie, che poteva picchiare suo figlio, che poteva picchiare il suo cane…
Ci sono molte persone che pensano di aver elaborato in autonomia i pensieri che hanno oggi in mente e non si rendono conto di essere, insieme alle proprie idee, soltanto un prodotto sociale. Un prodotto di sedimentazioni generazionali che ci hanno portato diritti in quest’epoca dell’egoismo come fede, del consumismo come religione, dell’autoritarismo come abitudine.
Ora, è evidente che l’incapacità di rispondere radicalmente alla questione dell’organizzazione sociale della specie ci sta indirizzando verso il disastro. Disastro sul piano ecologico e prima ancora su quello morale.
Noi non abbiamo paura di dire chiaramente che le istituzioni politiche, economiche e i costrutti ideologici imperanti, oltre che profondamente fallimentari, sono fondati sulla reiterazione del falso storico.
Lo stesso falso storico su cui si fondano le narrazioni relative alla questione migratoria.
Si migra, si è migrati e si migrerà sempre, in ottemperanza alle dinamiche biologiche della nostra specie e ai bisogni materiali umani. Oggi si migra in un tempo e in uno spazio nel quale la diseguaglianza sistematicamente organizzata è un valore. Nel quale miliardi di persone non hanno accesso a beni fondamentali, nel quale le risorse sono concentrate in un numero sempre minore di mani.
Su questo tema come su altri, non possiamo più lasciarci sopraffare.
Sappiamo di essere parte di una minoranza. Ma una minoranza agguerrita.
Una minoranza combattiva che siamo sicuri possa darsi come compito quello di lavorare ad una Rivoluzione culturale (in senso antropologico) profondissima, capace di abbattere uno ad uno quei dogmi che ci vengono propinati quotidianamente.
Perché senza una nuova cultura non è possibile una nuova società.
E una nuova società parte solo dall’attivismo diffuso, dall’azione incessante, dalla partecipazione diretta alle lotte di ogni genere e livello. Dalla battaglia quotidiana che si articoli anche nella diffusione di nuovi strumenti per la comprensione della realtà circostante da costruire insieme e da mettere a disposizione di tutti quegli oppressi che non si sentono parte di una comunità.
Una comunità da costruire giorno per giorno, finché degli oppressi faremo una nazione.
Cannibali e Re
Cronache Ribelli
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politecnico torino 20/12/18
X: "oggi abbiamo una base di elettorato che è over 50 quindi fondamentalmente ai giovani non interessa la politica quindi come possiamo e come possono anche i giovani tornare i protagonisti pur essendo numericamente inferiori?"
CC: "Due punti. Il primo una volta un giornalista bravo sollevò questo tema quando gli parlai sul New Deal dell'educazione e disse "si ma siamo un paese di pensionati che je frega a questi dell'educazione", non è vero perchè chiunque ha a casa un giovane, direttamente o indirettamente che ha un problema di lavoro quindi è una cosa molto sentita, non è vera, è che non c'è la fiducia che poi si faccia che è una questione differente ed è più articolata spiegarlo, quindi trovare il modo semplice di spiegare questo investimento. E la seconda cosa, è secondo me, adesso faccio una cosa proprio provocatoria, fate un po' di casino. Perchè ragazzi, cioè il punto è, questa.. adesso io oggi veramente mi sono dato come regola di non parlare. Allora diciamo, in generale, molte delle manovre che vengono fatte sono manovre che prendono in prestito i soldi vostri, cioè, questo è il sistema, e bisogna che vi ribelliate. E posso dirvi la verità? ci sta questa cosa. E, io, se c'è una cosa che odio è essere paternalistico con i giovani. Quando voi vedete uno che è paternalistico prendetelo a calci nel sedere perchè è la fregatura che arriva. Quindi vi dico le cose come la penso. Per una ragione o per l'altra tra le quali le ho dette prima, cioè 30 anni di inerzia. non ve ne frega più niente. E quindi se non li difendete voi i vostri diritti chi li deve difendere? è pensabile che quando ci sono delle cose abbiette tipo "abbassiamo l'età pensionabile" che vuol dire che voi non avrete mai la pensione non ci sia un giovane che va in piazza. Io posso dirla, ma posso garantirvi che se ci fosse una manifestazione di 100.000 giovani poi il prossimo che dice "delle pensioni non ce ne frega niente le diamo adesso e dopo non le daremo ci pensa sette volte. E anche questa è la ragione per cui in qualche modo, come dicevo prima è un'epoca in cui bisogna ricominciare a impegnarsi. Oggi l'impegno è dato da chi ha una idea molto ideologicizzata, cioè uno studente molto di sinistra o molto di destra. Ma c'è un mondo centrale che è il pensiero, non centrale moderato, non c'è niente di moderato, può essere anche molto radicale, ma radicalmente innovativo nel pensiero. Che è la vostra linea che dovete trovare, quello che è la tutela voi, quello che voi pensate tuteli voi. Senza ricadere nel clichè "facciamo l'occupazione com'era negli anni 60 perche i nostri genitori così si impegnavano". O peggio, per me peggio, ripetiamo il clichè destra/sinistra. é dire "ou, questi ci stanno fregando i soldi con l'anticipo delle pensioni. Adesso noi prendiamo e scendiamo in piazza e glie ne diciamo quattro. Non c'è nessun altro che ha la forza che avreste voi. Una mobilitazione per giovani in Italia per dire questa cosa, oggi le pensioni sono il 26.8% l'educazione il 3.9 se non invertite questa cosa portando l'educazione al 5 e le pensioni al 20 noi mettiamo a soqquadro il paese. Questa è, cacchio questa è politica. E nessuno, nessuno potrebbe dirvi niente. Nessuno avrebbe la forza di opporsi a una cosa del genere. Nessuno. Perchè poi questa politica dei bulli, è una politica di bulli fragili, avanti alle manifestazioni di forza"
X: "la forza è andare a vedere le cifre, studiarsele, conoscere questi dati perchè di li si può ripartire. Perchè non è un'azione di grida di piazza. è un'azione di dati. informazioni"
cc: pure un po' di piazza. cioè è un'azione di conoscere i dati ma è anche una manifestazione di impegno. Impegno non è solo la piazza, è tante altre cose, è saper dire anche "io voterò e vado a votare perchè è l'unico modo in cui condiziono. ma voterò chi prende questo impegno: di non abbassare l'età pensionabile perchè so che quella cosa sottrae la pensione a me." Di organizzarsi in modo da poterlo fare. Di entrare in partiti esistenti e farne di nuovi, di fare tutto quello che si ritiene per ottenere rappresentanza. Questo è l'impegno, e c'è anche la pizza, cioè non è che la piazza risolve tutto, però l'impegno è essenziale perchè sistematicamente in tutto l'occidente, in particolare in Italia ma in tutto l'occidente chi ci va di mezzo siete voi. E anche un po' perchè non c'è più la voce. Quando c'è paradossalmente una voce che guarda all'indietro, cioè paradossalmente c'è la voce che dice "io faccio una battaglia per una cosa che è conservativa rispetto allo sviluppo di una cosa che può aiutarvi" molto spesso le battaglie sistematiche contro ogni riforma della scuola invece di ingaggiarsi in una discussione sulla riforma della scuola. Per capire cosa serve veramente è un sintomo di questo, poi, le strade le dovete scegliere voi, poi non sta a me dire a voi, però certamente è urgente farlo. E siccome l'Europa è, sarà quando voi sarete la classe dirigente, perchè noi non ce l'abbiamo fatta, chi ci tiene che questa cosa rimanga insieme dovra mobilitarsi. in vista delle elezioni europee, che poi invece, l'avete visto quel film che si chiama "un gatto in tangenziale"? in cui c'è sempre sta qua che dice "tanto so' tutti ladri, magnano tutto" ecco, quella roba la è il modo in cui hanno spento il cervello a una generazione. Perchè non sono tutti ladri, io vengo da fuori la politica e tornerò fuori dalla politica ma non è vero che sono tutti ladri, non è vero che sono tutti uguali, non è vero che vogliono tutti farsi i fatti loro, non è così. non è cosi. e dunque è molto importante che vi mobilitiate per le europee, se volete l'Europa. se poi dite "si stava meglio quando si stava peggio" ed è un'opzione totalmente legittima, combattete per l'altro fronte, ma combattetelo. Perchè la decisione non è banale, perchè non siamo nei 30anni in cui lo ripetono e il pensiero poteva essere spento. Perchè abbiamo capito che spegnendo il pensiero si combinano disastri. Prima di tutto io vi dico quello che secondo me è utile fare per riguadagnare quello spazio però ti dico anche una cosa: non c'è una generazione che cede il testimone senza combattere. l'idea che i cambi generazionali avvengano, a parte che io c'ho 45anni e quindi me ne guardo bene che domani me ne vado in pensione quindi, e poi perchè c'è un cursus honorum. Nel mo libro analizzo quest cosa totalmente ridicola per la quale in occidente i ragazzi non trovano lavoro ma se vuoi fare il presidente del consiglio/videpresidente del consiglio devi avere 30anni. E non è possibile perchè esiste un'esperienza. Ma a un certo punto i passaggi sono fatti anche di lotte, non sono mai pacifici tra una generazione e l'altra. E se no vi dovete adattare ai tempi e allora, uno, molla e siccome la vita si allunga, il più tardi possibile. Se no ve lo dovete venire a prendere combattendo, perchè così funziona, da quando è mondo è mondo."
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#IFC ha rivelato il #trailer ufficiale di uno dei documentari più premiati dell’anno #BadAxe: dal premio vinto al DC Asian Pacific American Film Festival al Truly Moving Picture Award vinto all’Heartland Film, fino al prestigioso Audience Award al SXSW Film Festival dove ha anche conquistato un premio speciale “Exceptional Intimacy in Storytelling”. Dopo aver lasciato New York per la sua città natale di campagna di Bad Axe, nel Michigan, all'inizio della pandemia, il regista asiatico-americano David Siev documenta le lotte della sua famiglia per mantenere a galla il loro ristorante. Man mano che crescono i timori per il virus, emergono profonde cicatrici generazionali risalenti ai sanguinosi "campi di sterminio" della Cambogia, mettendo a dura prova il rapporto tra il patriarca della famiglia, Chun, e sua figlia, Jaclyn. Quando il movimento BLM (Black Lives Matter) è al centro della scena in America, la famiglia usa la sua voce collettiva per parlare nella sua comunità conservatrice. Quello che si svela è un ritratto in tempo reale del 2020 attraverso l'obiettivo della lotta di una famiglia multiculturale per restare in affari, restare coinvolti e restare in vita. IFC Films debutterà con Bad Axe in alcuni cinema statunitensi e poi in VOD a partire dal 18 novembre. GUARDA: https://youtu.be/t49CW-lZ25Y #BestDocumentary https://www.instagram.com/p/CjDfJPus1H5/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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«Dobbiamo prendere atto che ci sono persone felici del fatto che migliaia di individui muoiano in mezzo al mare. Sono felici perché la loro cultura (antropologica) di riferimento ha insegnato loro due punti cardine: disprezzo verso il basso, sudditanza verso l’alto. Questa cultura di riferimento non è una cultura di oggi e non è una cultura “nazionale”. È la cultura che già nel ‘500 Étienne de La Boétie descriveva in maniera precisa: servire autorità superiori per esercitare controllo, dominio, violenza perfino su quelle inferiori. L’ultimo dei contadini serviva il Re perché così tornando a casa la sera era “autorizzato�� a picchiare sua moglie, che poteva picchiare suo figlio, che poteva picchiare il suo cane… Ci sono molte persone che pensano di aver elaborato in autonomia i pensieri che hanno oggi in mente e non si rendono conto di essere, insieme alle proprie idee, soltanto un prodotto sociale. Un prodotto di sedimentazioni generazionali che ci hanno portato dritti in quest’epoca dell’egoismo come fede, del consumismo come religione, dell’autoritarismo come abitudine. Ora, è evidente che l’incapacità di rispondere radicalmente alla questione dell’organizzazione sociale della specie ci sta indirizzando verso il disastro. Disastro sul piano ecologico e prima ancora su quello morale. Noi non abbiamo paura di dire chiaramente che le istituzioni politiche, economiche e i costrutti ideologici imperanti, oltre che profondamente fallimentari, sono fondati sulla reiterazione del falso storico. Lo stesso falso storico su cui si fondano le narrazioni relative alla questione migratoria. Si migra, si è migrati e si migrerà sempre, in ottemperanza alle dinamiche della nostra specie e ai bisogni materiali umani. Oggi si migra in un tempo e in uno spazio nel quale la diseguaglianza sistematicamente organizzata è un valore. Nel quale miliardi di persone non hanno accesso a beni fondamentali, nel quale le risorse sono concentrate in un numero sempre minore di mani. Su questo tema come su altri, non possiamo più lasciarci sopraffare. Sappiamo di essere parte di una minoranza. Ma una minoranza agguerrita. Una minoranza combattiva che siamo sicuri possa darsi come compito quello di lavorare ad una Rivoluzione culturale (in senso antropologico) profondissima, capace di abbattere uno ad uno quei dogmi che ci vengono propinati quotidianamente. Perché senza una nuova cultura non è possibile una nuova società. E una nuova società parte solo dall’attivismo diffuso, dall’azione incessante, dalla partecipazione diretta alle lotte di ogni genere e livello. Dalla battaglia quotidiana che si articoli anche nella diffusione di nuovi strumenti per la comprensione della realtà circostante da costruire insieme e da mettere a disposizione di tutti quegli oppressi che non si sentono parte di una comunità. Una comunità da costruire giorno per giorno, finché degli oppressi faremo una nazione.»
fonte: Cannibali e Re
#disprezzo#sudditanza#egoismo#consumismo#autoritarismo#oppressori#oppressi#cannibali e re#cronache ribelli
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Collaudi
“Si scrive la storia, ma la si è sempre scritta dal punto di vista dei sedentari, e in nome di un apparato unitario di Stato, almeno possibile anche quando si parlava di nomadi. Ciò che manca è una nomadologia, il contrario di una storia.”
G.Delueze e F. Guattari, 1980, Mille Piani, p.59
Domenica scorsa ho effettuato gli ultimi collaudi. Intorno alle 3 del pomeriggio la luce era perfetta. Le traiettorie lontane del sole creavano quei tipici giochi di ombre che si possono catturare solo in questo periodo dell’anno. Forse il Nokia 800 tough non è lo strumento ideale per un loro studio accurato. Il monitor è poco luminoso e, in certe condizioni di luce, la composizione può solo essere immaginata. Nonostante ciò, le linee sbagliate della foto qui sopra mi hanno offerto degli spunti interessanti per la riflessione. Lo scatto infatti ha seguito un solo taglio, dimenticandosi di tutto il resto. C’è un’impercettibile diagonale che dà stabilità a un chiaroscuro su cui sembra proiettarsi la bicicletta, come risvegliandola e rendendola pronta per il prossimo sforzo. Questa linea che fa emergere Angela, simultaneamente, annulla le potenzialità paesaggistiche, le distorce ed appiattisce fino a renderle impotenti o sconclusionate. Vorrei allora partire dall’errore che sostiene questo scatto per sviluppare un’idea di anti-estetica su cui fondare il viaggio ormai prossimo.
Trascorrere molte ore in sella ad una bicicletta rappresenta la possibilità culmine di un sapere non misurabile centrato sul muoversi. Come scrive Ingold: “Colui che cammina acquisisce la conoscenza nell’avanzare. Mentre procede per la propria strada, la sua vita scorre: invecchia e diventa più saggio.” Dedicarsi solo al cammino per lunghe ore della giornata dà quindi la possibiiltà di entrare nella coscienza di questo movimento incessante. Ma il percorso è scandito anche da solidificazioni e da identità in cui si rischia di appiattire la coscienza sul suolo calpestato perdendo la profondità di campo esattamente come descritto nella foto di sopra. La base dello sforzo conoscitivo del camminare riguarda invece il riconoscere, passo dopo passo, come gli errori si agrappano alle linee tracciate e scovare di lì quelle linee prospetticamente sbagliate insieme a quelle che producono una coerenza solo relativa. Nella mia parziale esperienza ho trovato due regole per riuscire a farlo. La prima è che nello scorrere, non deve esserci ambizione ma semplice svolgersi. La seconda è che non c’è crescita, per esempio spirituale, ma solo coscienza del movimento. In questo senso il viaggio in bicicletta sarà una nomadologia e non una storia. Tenendo ferme queste considerazioni vorrei allora proporre alcuni pensieri aggiuntivi sulla nozione di invecchiamento o di conoscenza che si accumula avanzando.
Sviluppare qualche idea su questo tema mi sembra quasi necessario visto che nei mondi prodotti dalla pandemia si stanno palesando divergenze generazionali che frammentano il corpo sociale dentro percorsi di isolamento segmentari che, fino a poco tempo fa, erano soprattutto taciuti o non così evidenti. Cosa voglia dire prendere le distanze dai “vecchi” mi pare invece un tema perfetto per una nomadologia che si nutre della produzione del desiderio. Nel corso degli anni ho osservato l’invecchiamento come un fenomeno tanto biologico quanto sociologico ed ho poi reso “l’anziano” la base metodologica dei miei tentativi etnografici di diverse parti del mondo. Da ventenne ero solito interrogare gli anziani sulle origini e sul cambiamento. Chiedevo loro di raccontarmi storie fondative dei luoghi in cui mi trovavo e attraverso le loro parole raccoglievo le memorie di epoche passate per costruire griglie interpretative del presente. Mettevo assieme racconti orali che mischiavano miti e nostalgia, eventi storicizzabili e testimonianze e li usavo per descrivere e spiegare certe concezioni sull’attulità socio-politica, tanto “della nazione” quanto “del quartiere o della città”. I miei personali percorsi di comprensione di luoghi cosiddetti “senza storia” o raccontati solo oralmente come alcuni villaggi chiapanechi o una cittadina nepalese o una favela colombiana si fondavano soprattutto sul “racconto degli ancestri” e sul loro accompagnamento quotidiano.
Successivamente, questo sforzo è mutato. Durante una fase più breve ma ugualmente importante, mi sono concentrato sulla raccolta delle storie dell’attualità, studiando “l’infosfera” che prendeva forma con il progressivo affermarsi delle reti sociali e della loro influenza sulle soggettività, in luoghi costruiti sui bordi dei grandi processi della storia e delle macro-narrazioni sul mondo. In Colombia, ho per esempio seguito la nascita di alcuni movimenti di opinione contro la corruzione e per la pace su twitter e facebook partecipando poi agli eventi sulle strade che venivano organizzati. In questi casi fu facile osservare la divergenza generazionale e di classe sia delle forme di partecipazione sia di quelle di lotta. La digitilizzazione delle proteste aveva però anche reso lontane le voci ancestrali. Il loro racconto era improvvisamente invecchiato, ottimo per venire raccolto dentro un libro di antropologia culturale, letto forse da una nicchia ristretta di intellettuali, ma pur sempre archivio di un mondo ormai troppo marginale, destinato a mutarsi radicalmente nello scorrere dei tempi. Rispetto al primo momento di analisi si palesò quindi un contrasto marcato tra la modernità digitale e il romanticismo nostalgico dei piedi e della parola a voce (per citare indirettamente Lowy di “Rivolta e Malinconia”). L’inattualità del “racconto degli ancestri” trovava uno svolgersi solo dentro la più generale richiesta di riconoscimento etnico. Qui quel racconto veniva culturalizzato e reso quasi folclorico così da farne fonte utile del diritto etnico che istituzionalizzava le lotte per le terre o per la casa. Il cimarronaje, il movimento delle autonomie africane, diventava quindi un ricordo del passato. Il sogno di una rottura radicale con il colonialismo e con lo schiavismo veniva ricomposto. Le sue forme di lotta, le cosidette “vie di fatto” come l’occupazione di terre o i blocchi stradali, erano ormai chiamate “vecchia scuola”, storia passata che doveva fare spazio alle nuove lotte digitalizzabili da dirigere ad un pubblico più ampio e soprattutto più giovane.
Prendendo spunto da questa anzianità delle forme di lotta, in ultimo ho osservato proprio l'invecchiamento delle idee, come se posizioni politiche e forme di militanza possedessero un loro svolgersi biologico che va via via modificandosi non tanto per la mutazione dei contesti o delle ragioni delle lotte, ma perchè a cambiare sono le persone stesse che “invecchiando” ripensano e reinterpetano contesti e ragioni, producendo cammini meno includenti: di imborghesimento per alcuni o di ricerca di stabilità e di coerenza per altri. Per qualche tempo, sempre in Colombia, seguii le gesta di un leader popolare del movimento afro, da giovane vicino ai cosidetti raizales, tra i più radicali e per certi versi anarchici tra gli attivisti afro-colombiani. La sua personale storia politica era articolata intorno a relazioni di amore ed odio con la guerriglia che più aveva inteso la questione etnica nel pacifico colombiano, l’ELN. Le sue lotte giovanili e le sue occupazioni di terre contro i padroni bianchi lo avevano reso comunque molto popolare tanto da permettergli poi, in età adulta, di diventare un personaggio richiesto anche dalle ammnistrazioni pubbliche nazionali per veicolare progetti di pace dove un tempo conquistava terre ottenendone diritti di proprietà comunitari. La sua burocratizzazione gli aveva però fatto perdere seguito in un percorso condiviso con molti altri leader che una volta al potere assumevano una prospettiva governativa diventando “riformisti” ma rendendo le loro parole improvvisamente vuote, per dirla con Lacan, alle orecchie dei più giovani o della base. C’era quindi un nuovo piano conflittuale che interesecava le generazioni e che non riguardava più le forme delle lotte ma le modalità della rappresentanza. Ciò riguardava soprattutto la solidificazione di percorsi identitari che risultarono utili a monetizzare e a sostenersi economicamente ma che alla lunga produssero fenomeni di appiattimento su linee prospettiche troppo relative, proprio come quella della foto, producendo impotenza invece che un migliore dispiegamento delle forze in campo.
Da quando vivo in Laos, dove per le strade e tra le case sventolano con grande dignità le bandiere comuniste, ho aggiunto un altro piccolo tassello alla comprensione della vita biologica delle idee. Cosa significano infatti la falce e il martello oggi? Il comunismo laotiano è un capitalismo di Stato misto alle spinte locali a trazione familistica. Non sembra produrre alcuna visione alternativa del mondo, ma articola un’organizzazione delle forze e delle risorse che aspira, secondo i suoi detrattori, a predare le ricchezze del paese mentre, per i suoi sostenitori, a creare crescita economica. Da un punto di vista più prettamente antropologico però, le generazioni nate in epoca di pace vivono dentro un generale oblio del passato rivoluzionario del loro paese. Una delle ragioni è che questo passato non fu di festa e liberazione, ma riguarda anni di traumi prolungati spesso vissuti dentro caverne usate per proteggersi dai bombardamenti. Oggi capita che molti vocaboli associabili al periodo guerrigliero siano entrati dentro un gergo militare che ai più giovani ricorda rapporti di potere invece che la liberazione coloniale. In parte ciò è dovuto proprio alla mancanza del “racconto degli ancestri” molti dei quali sono deceduti durante la guerra o pochi anni dopo, durante la carestia che ne seguì. Oggi a sostituirlo, ci pensano gli apparati connettivi digitali. Esiste cioè una vuoto pedagogico nel quotidiano solo parzialmente e, a volte goffamente, riempito dalla propaganda del Partito. In estrema sintesi, le nuove generazioni sono affidate ad istituti educativi, agli smartphone e sempre meno ai loro nonni. Tutto ciò si è innestato sui processi di modernizzazione che come in altri luoghi del mondo hanno prodotto un senso di rapido cambiamento sostenuto non tanto da un generale accrescimento del benessere ma dall’esperienza di paesaggi che mutano nel corso di pochi anni. Ecco mi piacerebbe raccontare questa velocità dei paesaggi nel viaggio che inizierà presto.
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Capibranco di Beppe Lopez: la lotta tra fratelli e il declino di una società. Recensione di Alessandria today
Un romanzo familiare e sociale che attraversa generazioni, conflitti e trasformazioni storiche.
Un romanzo familiare e sociale che attraversa generazioni, conflitti e trasformazioni storiche. Alessandria, 15 dicembre 2024 – Con “Capibranco”, pubblicato da Besa Muci Editore il 18 novembre 2021, Beppe Lopez ci offre un romanzo complesso e vibrante, dove il rapporto difficile e contrastato tra due fratelli si intreccia con il declino e la trasformazione di una società intera. Un’opera che…
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