#lontani echi
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silviadeangelis · 2 years ago
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LONTANI ECHI
Nella proiezione d’una realtà sommersa in uno spazio ove contraltano sussurri di parole scivolo silenziosa nel pressappoco d’un limbo ostentato. Sgusciano soffi alternati di paura e incerti ronzii sulle ciglia. Tra dita schiuse mi schermo in un declivio innato d’apatia unico mentore d’un lontano inizio ove s’infrange la schiuma del mare proiettando piedi snudati fra fossili appesi a lontani…
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alexanderobscure · 8 months ago
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Roberto De Mitri - Emily Dickinson
..................~il mondo di Emily~...................
Non puoi sapere quale fosse la dimensione... In quale angolo della dimensione vive Emily... Giardino Segreto, Limbo o Purgatorio. Qualunque fosse l'esistenza, lei era li... senza sapere di esserne parte. Senza ricordare come è arrivata Il. Indipendentemente dalla nostra volontà, ci troviamo in quell'illusione. Fatta di nebbia, veli e di echi lontani. Elementi di un sogno in cui vaghiamo, oltre l'alba. Siamo apparenze e allo stesso tempo siamo vittime di un miraggio. Non possiamo sapere quali insidie, inganni... o quali speranze possiamo trovare nascoste in questa illusione... perché è il nostro inconscio che crea e dà forma alle visioni. E la nostra anima più profonda è influenzata, a sua volta, dalle nostre esperienze del passato. Oggi siamo le ombre dei nostri perduti. Solo marionette in questo circolo di passioni e mutazioni che è la vita. E riempiamo e mascheriamo questa nebbia delle nostre paure e dei nostri desideri. II mondo di Emily è un mondo malinconico, fatto di solitudine, fatto di infiniti spazi vuoti. Spazi che a volte solo la nebbia riesce a riempire. Una nebbia trascendente e remota, che sale dal profondo dell'anima, come materializzazione metafisica di tutti i nostri pensieri, paure, fantasmi e perdite. È una dimensione atemporale, o meglio, una condizione di sospensione infinita e adimensionale. Una percezione latente di assenza, di impotenza cosciente nei confronti di un desiderio che non può essere soddisfatto.....
#journey into Emily's world #my post
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fleurunique · 24 days ago
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Silenzio, dove porti il tuo vetro appannato di sorrisi, di parole e di pianti dell’albero? Come pulisci, silenzio, la rugiada del canto e le macchie sonore che i mari lontani lasciano sul bianco sereno del tuo velo? Chi chiude le tue ferite quando sopra i campi qualche vecchia noria pianta il suo lento dardo sul tuo vetro immenso? Dove vai se al tramonto ti feriscono le campane e spezzano il tuo riposo gli sciami delle strofe e il gran rumore dorato che cade sopra i monti azzurri singhiozzando? L’aria dell’inverno spezza il tuo azzurro e taglia le tue foreste il lamento muto di qualche fonte fredda. Dove posi le mani, la spina del riso o il bruciante fendente della passione trovi. Se vai agli astri il solenne concerto degli uccelli azzurri rompe il grande equilibrio del tuo segreto pensiero. Fuggendo il suono sei anche tu suono, spettro d’armonia, fumo di grido e di canto. Vieni a dirci la parola infinita nelle notti oscure senza alito, senza labbra. Trafitto da stelle e maturo di musica, dove porti, silenzio, il tuo dolore extraumano, dolor di esser prigioniero nella ragnatela melodica, cieco per sempre il tuo sacro fonte? Oggi le tue onde trascinano con torbidi pensieri la cenere sonora e il dolore del passato. Gli echi dei gridi che svanirono per sempre. Il tuono remoto del mare, mummificato. Se Geova dorme sali al trono splendente, spezzagli in fronte una stella spenta e lascia davvero la musica eterna, l’armonia sonora di luce, e intanto torna alla tua fonte, dove nella notte eterna, prima di Dio e del tempo sgorgavi in pace.
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Federico García Lorca
...tu n'as aucune excuse
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avvenfra · 3 months ago
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E’ autunno.
Ancora una volta torna il tempo che amo, fatto di emozioni più che di sensazioni. Emozioni che si scrivono con i colori, con i profumi, con le luci svanite in ore sempre più piccole, con l’abbraccio dei panni più caldi frettolosamente ripresi dagli armadi nei quali s’erano rifugiati dal soffocante ruggito estivo.
E’ il tempo della memoria, rievocazione di eccessi ed avventure d’estate, di vibranti occasionali amori e dei tuffi in sentimenti audaci e spericolati, obbligatoriamente vincolati ad un tempo specifico oltre il quale porterebbero solo scompiglio e disordine.
E’ il tempo del tramonto, che mai come ora si tinge di echi lontani. Di epoche selvagge ed innocenti, quando l’amore materno cullava e nutriva, garantendo un nido accogliente ma lasciando spazio ai primi ruzzolanti voli. Ci si sentiva liberi, aquile sprezzanti ed orgogliose… quando si era soltanto pulcini mai lontani dallo sguardo che custodisce con amore infinito.
Lo ricordo bene, quel tempo. A Sorrento l’aria si tingeva di profumi squillanti. Mentre il mare, con i suoi primi sussulti, si scagliava su spiagge e scogliere lasciando ovunque pulviscoli di spuma salmastra, ben percepiti dalle narici dei pescatori. Nell’entroterra, l’odore aspro di vinaccia raccontava invece la storia millenaria del succo dei filari scoscesi, di un novello presto in arrivo, festeggiato con brindisi ed amori ridenti.
Le terre scoscese sul mare, poi, si coloravano dei teli distesi sotto agli ulivi affinchè nessun frutto prezioso, in terra abbandonato, potesse rovinarsi. Tutto sembrava dipinto con colori orchestrati per donare stupore, catturare lo sguardo per trattenerlo sull’armonico danzare dei verdi argentei del denso fogliame, dei rossi e dei neri degli umani tendaggi, e dell’azzurro squillante del cielo e del mare, biancheggiati entrambi da nuvole e spume!
Ricordo… ricordo lo strapiombo della Torre di Minerva, talmente proteso sul mare che il suo silenzio poteva essere rotto solo dalle morbide eco di vite lontane. Un grido d’uccello, la voce d’un navigante, si percepiva a chilometri come fossero giusto dietro di te. Era un incanto, una magia che ti avvolgeva annodandoti i sensi, mentre il suono diventava colore, il profumo canzone, il leggero sfiorare del vento, sapore… Eri solo… ma sentivi tutti i pensieri del mondo, tutte le anime dell’universo e affogavi nel turbine della meraviglia incantandoti man mano di più.
La sera, poi, quando la luce scendeva più in fretta, le luci inondavano il borgo dei pescatori, tessendo un reticolo fitto di quello che sarebbe diventato a breve Presepe, nascita di un Dio d’amore che sa solo donare bellezza.
In quelle stradine, ricordo il brusio dei passanti, ancora tantissimi e ben decisi a godersi ogni piacere possibile, e i millecolori delle merci degli artigiani, ben esposte al di fuori delle rispettive botteghe. Rispetto all’estate, si percepiva una nuova e sopravveniente lentezza, un desiderio di assaporare, e non divorare. Anche i passi si facevano più lunghi, come più meditati, e si contavano i selci sporgenti e gli inciampi quasi fossero analoghi a quelli di ogni nostra vita.
Si, quell’autunno era la vita, ora che sono io stesso diventato autunno. Era tutto ciò che durante l’estate esonda e si perde, tutto quello che l’ansia del divorare non consente di assaporare. Era la gioia di tornare, dopo essere andati, sapendo di ritrovare. Che fortuna che era!!!
Ho sempre amato, l’autunno.
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10lustri · 1 year ago
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Pomeriggi di sole, sonno e aria condizionata. Echi di risate, aromi di giorni lontani.
Nel gioco dell’incontro, uno sguardo intenso si intreccia. Nell’oblio vi si ritrovano mani che esplorano la pelle, e carezze leggere danzano.
La gonna svanisce al ritmo dei sospiri, le labbra sfiorano sussurri lasciando parlare dita esigenti, delicate, desiderose di gioco.
Il bacio lungo, ipnotico, respirato al ritmo dei gemiti, in una danza delicata, appassionata di sogni che si ricordano e si cercano. Ricordi sfumati, nell'abbraccio di un tramonto. Paul Irondie incontro
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principessa-6 · 1 year ago
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Poesie e sogni in un solo sentimento di due anime erranti alla ricerca dei ricordi, per sentire che sono ancora vivi quei desideri e quei odori della pelle.
Carezze, baci, e il corpo risponde come rispondono gli echi, restituendo in abbondanza ciò che hanno dato nei momenti belli di amanti lontani.
Tanto e quanto è lontano il tempo che ne impedisce l'accesso a due esseri che si sentono e si cercano... ✿❦✿
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ypsilonzeta1 · 2 months ago
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Chiudi forte gli occhi e pensa a tutti gli autunni che ti hanno fatto battere il cuore...
E tornano ancora
visioni che ogni anno si ripetono
di atmosfere intime
di viali ramati di foglie vicine vicine
di suoni ed echi lontani
di villaggi arroccati nella montagna
illuminati da calde lucine e avvolti da nebbioline
che appaiono nella sera come un presepio.
Odori acri e pungenti di fumi
di legni antichi
di stoppie e comignoli;
di mattini brinati
di candele speziate
di cachi,caldarroste e melograni
di bosco,di muschio di ghiande e pigne.
E nella piccola casa ,
piccole candele sono accese alla finestra
la crostata cuoce in forno,
la velluttata di zucca é giá
sulla tavola
il nuovo romanzo nella poltrona vicino al focolare scoppiettante
la pioggia picchietta sul tetto.
E il Maestrale in abito scarlatto scrive già nel suo librone una nuova storia da raccontare.
Ed io pronta a fantasticare nuovi dolci momenti.
L'autunno è un modo di sentire,di vivere ,di sognare.
L'autunno arriva al cuore.
-Ignazia Atzori-
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🍃🍂autumn backdrop
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alemicheli76 · 7 days ago
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"L'idolo elettrico" di Miriam Palombi, Opera Narrativa. A cura di Alessandra Micheli
Se guardo dalla finestra, nonostante questo buio compassionevole che scende goccia a goccia sulla mia città, non vedo altro che strade brulicanti di vita, come in attesa di chissà quale miracolo. Passi concitati, urla e clacson. E luci, le sfavillanti luci di un altro natale festoso nonostante i disastri che accerchiano la nostra civiltà. Ma sono lontani, quassi fastidiosi echi che disturbano…
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danzameccanica · 4 years ago
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Matthew McBriar and Andrew Ferguson sono il duo di Belfast che si cela dietro a Bicep. I due muscoli si sono allenati per anni in blog attraverso i quali nascevano i primi dj set. Poi finalmente è arrivata la consacrazione alla Ninja Tune. Nell’anno dannato 2020 crearono un’immensa Feel My Bicep Playlist su Spotify di 67 ore, tanto per capire le loro sfaccettature (playlist ancora esistente che è arrivata a 137 ore e che praticamente è un perenne testa a testa con quella di Fenriz Metal). Isles è un album composto durante la pandemia, in un’ottica di far ballare tutti da remoto, una silent-disco in diffusione (quante ne avevamo viste !!!) e gli artisti messi nell’immenso calderone della playlist ci hanno messo gli Orbital, i Future Sound of London, i Chemical Brothers, Burial, insomma tutto quello che è stato formativo per loro ma virato in chiave contemporanea, UK Garage, post-dubstep: tantissime traiettorie e colori per raffigurare il nuovi immenso panorama club-dance. Il sound futuristico di "Atlas" ci mostra il synth che fa da voce principale venendo a pian piano distorto creando qualcosa di esotico, digitale e malinconico, qualcosa di distorcente ma anche di familiare. In ogni brano c’è un elemento principale esotico che viene da mondi lontani… una specie di xilofono orientale in Lido accompagnato da cori religiosi; il koto giapponese di "Cazenove" con atmosfere alla Dead Can Dance; "Apricots" contiene canti del Malawi e un coro bulgaro. "Sundial" è un climax di drum’n’bass con voce eterea, come se i Cocteau Twins si fossero immersi in Polinesia creando un brano per Dj Tiesto. Gli effetti robotici di "Fir" sembrano provenire dalla colonna sonora di Ghost in the Shell e, in generale, questo sentore cyber-punk si sente lungo tutta la durata dell’album. Clara La San collabora su un paio di brani per prestare la sua sottile voce di urban r’n’b, creando ottime linee vocali pop mentre i synth attorno ad essa evocano distopici collegamenti alla John Carpenter… La dimensione dance presente in Isles non è così spensierata; spesso ci si ferma, si torna alla vita reale, si è immersi nella techno Club Culture più contemporanea fatta di accelerazioni ma anche di frenate e silenzi. "X" porta l’album all’ennesimo punto drammatico (pendant dell’opener-track) con synth angoscianti post-trance e una jungle completamente desaturata, senza bassi, senza corpo e con poca anima… quel poco che si può percepire lontano come è la voce di Clara La San: pianto o remota speranza di salvezza ? Un’idiosincrasia fatta di produzioni fredde e distaccate ma con protagonisti strumentali inebrianti e che vibrano dolcemente come la rugiada sulle foglie. Isles per me è rappresenta il sound del futuro perché ha effetti nuovi, lontani, tecnologici ma sono ancora ben distinguibili tutti i dettagli storici e antropologi che ci hanno portato in questo momento storico, in questo punto geografico. "Rever" rispolvera ancora i famosi cori alla Ghost in the Shell ma con Julia Kent come ospite al violoncello… e ancora: la fragilità e il calore dello strumento a corda si riflettono, ribaltano, rispecchiano nelle sonorità digitali avvolgenti ed effimere. Vale la pena chiudere citando il The Guardian: «un album che si chiama “Isole” fatto da due nord-irlandesi emigrati che celebrano la diversità culturale di Londra, rilasciato un paio di settimane dopo la Brexit. Allo stesso modo c’è qualcosa di emozionante mentre un suono inizia a prevalere sull’altro: c’è una quantità tremenda di echi e riverberi in Isles, che spesso lo fa percepire come se fosse suonato in una caverna o in un club vuoto. Oppure si potrebbe semplicemente ascoltarlo in cuffia e perdersi dentro di esso, trattandolo semplicemente come il piacere che in realtà è».
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lorenzospurio · 11 months ago
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N.E. 01/2023 - "La tua voce", poesia di Antonietta Langiu
Echi di antiche nenie suoni slabbrati che si rincorrono all’infinito belati lontani che rimbalzano tra i graniti arroventati e la tua voce che si perde nelle pieghe dei ricordi. L’ho cercata invano nei meriggi di silenzio nelle notti senza luna. L’ho cercata nello strappo delle fughe nello smarrimento dei ritorni. Sempre, nella solitudine lacerante tra il restare e il fuggire, solo la…
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tonisemitoni · 11 months ago
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Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) - Parte nona
Le carte del Mago per leggere il destino si chiamavano Navalde ed erano assai differenti dai tarocchi, ancestrali e lontani echi del misterioso Libro di Thot: esse non avevano Semi, Onori, Trionfi e Matto ma rappresentavano le persone, gli animali, gli oggetti, le situazioni, gli stati d’animo più ricorrenti nell’esistenza umana; come i tarocchi avevano doppio significato, quello evidente…
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bones39 · 1 year ago
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Odi echi lontani
D inascoltati richiami
Trovare forma nei sottintesi che ci uniscono
Quelli che diversi si, ma dagli altri
E in te trovo casa
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beppebort · 2 years ago
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Giovanni 20, 19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Giovanni conclude il suo vangelo col giorno della resurrezione, vuole manifestare la pienezza della salvezza nella vittoria di Gesù sulla morte, nel dono del santo Soffio che dà inizio a una nuova creazione in cui la misericordia di Dio ha il primato, regna: per questo c’è la remissione dei peccati del mondo. È questa remissione, questo perdono gratuito e definitivo donato da Dio a cui siamo chiamati.
L’annuncio di Pasqua arriva nel chiuso delle nostre case, proprio come quella prima Pasqua. Giovanni ci racconta che quel mattino solo una donna audace osò recarsi al sepolcro alla ricerca dell’amato perduto. Lei prova a cingerlo, lui si sottrae all’abbraccio: “non mi trattenere”.
Sono arrivati ai discepoli gli echi di quella giornata concitata! È penetrata un po’ di luce nella disperazione per la morte del maestro? Non sembra. A sera, a fine giornata, i discepoli sono insieme, ma non per celebrare, piuttosto per nascondersi, per sottrarsi al pericolo.
Così, più di duemila anni dopo, ci ritroviamo nella stessa situazione, quando rimaniamo chiusi dentro noi stessi, magari intrappolati nei labirinti della nostra interiorità ed emergono tutte le nostre paure, le ansie e le preoccupazioni. Scopriamo di essere ancora più vicini a quella prima Pasqua e sentiamo come la parola di speranza risorga dalle ceneri della paura.
In casa, a porte serrate, il mondo, con i suoi rischi, i suoi contagi, le sue brutture, cerchiamo di lasciarlo fuori. Ci provano i discepoli barricati dentro le mura domestiche. Nessuno di loro è stato ancora arrestato, il loro Signore non lo ha permesso. Si è consegnato senza porre resistenza affinché a nessun altro fosse fatto del male. Più di ogni altro vangelo Giovanni insiste su questo aspetto: quando il gruppo del Nazareno viene fermato, nessuno viene arrestato con Gesù. Tutti i discepoli vengono lasciati andare.
Come una madre fa scudo con il proprio corpo per salvare il figlio, così Gesù si pone nel mezzo della battaglia per salvare i suoi amici. Un atto d’amore, un gesto generoso. “È morto per noi” significa soprattutto questo: ha dato la sua vita per salvare la nostra. Non è strano che per sgominare un gruppo di ribelli rivoluzionari abbiano arrestato solo il capo? Noi chiesa nei secoli ci siamo interrogati sul senso della morte di Gesù, ma Giovanni ci porta già nella direzione del gesto d’amore di una madre: per proteggere i suoi. Se in Gesù vediamo il volto di Dio allora Dio è disposto a lasciarsi arrestare, torturare, pur di farci mettere in salvo. Non un Dio che si aspetta da noi sacrifici, ma un Dio disposto a sacrificarsi per darci la vita. Egli sembra convinto che la nostra vita valga più della sua. Incredibile!
Poi l’annuncio della risurrezione: la tomba vuota, l’incontro con Maria che annuncia: “ho visto il Signore”. Echi lontani, ma a sera, i discepoli sono ancora spaventati, barricati in casa per tenere fuori il pericolo. E Gesù li raggiunge, come raggiunge ognuno di noi, nel chiuso delle loro paure.
La speranza pasquale non teme le chiusure. Gesù oggi, come ieri, viene in mezzo a noi e ci annuncia la pace: Pace a voi. Abbiamo bisogno di pace in questo assedio! La sua pace non nega la difficoltà della situazione: Gesù mostra i segni della crocifissione ai suoi per farsi riconoscere, ma anche per non far finta che nulla sia accaduto. E poi soffia, soffia il suo Spirito. Una strana Pentecoste che non rispetta i tempi liturgici e che richiama la prima pagina della Bibbia: Dio che soffia nelle narici umane. In quel soffio si rigenera la speranza e nasce la chiesa. I paurosi, gli sconfitti, ricevono lo Spirito di Cristo per ritornare a vivere.
E il primo atto? Il primo vagito di questa nuova umanità: il perdono. Perdonarsi a vicenda. Siamo creature fragili, codarde, incoerenti. Sbagliamo, ci feriamo, ma se impariamo a perdonarci reciprocamente e a perdonare noi stessi saremo davvero persone pasquali, rimodellate dal risorto.
Oggi, nel chiuso della tua casa è entrato Dio, nel Risorto. Ha soffiato su di te, ti ha chiesto di far pace con i tuoi errori e ti affida il ministero della riconciliazione. Lasciati perdonare, perdona a tua volta e sarà Pasqua tutti i giorni, Vita ritrovata.
I discepoli di Gesù, che erano fuggiti, sono chiusi nella loro casa a Gerusalemme, oppressi dalla paura di essere anche loro accusati, ricercati e imprigionati come Gesù. Sì, la comunità di Gesù è questa: uomini e donne fuggiti per paura, paralizzati dalla paura, senza il coraggio che viene dalla convinzione e dalla fiducia, dalla fede in colui che avevano seguito senza capirlo in profondità.
Paura e fede combattono il loro duello nel cuore dei credenti, quando Gesù in realtà è in mezzo a loro, finché possono dire: “Venne e stette in mezzo”. Il Signore è presente con la sua presenza di risorto vivente, ma i nostri occhi sono impossibilitati a vederlo, il nostro cuore non ha il coraggio di vedere ciò che desidera e sa essere possibile.
Il Signore è in mezzo a noi: non ci abbandona. Spesso siamo noi che lo abbandoniamo e fuggiamo da lui come i discepoli; siamo noi che di fronte al mondo finiamo per dire: “Non lo conosciamo”, come Pietro nel rinnegamento; siamo noi che continuiamo a diffidare e a nutrire dubbi, come Tommaso.
Eppure appena Gesù “è visto”, dona la pace, la vita piena, e accompagna questa parola con dei gesti. Si fa riconoscere. Sono le piaghe, i segni della croce alla quale è stato appeso; il segno dell’apertura del petto a causa del colpo di lancia, apertura che proclama il suo amore, che come fiume uscito da lui voleva immergere l’umanità per perdonarla.
I discepoli lo riconoscono e gioiscono al vedere il Signore. Finalmente la loro incredulità è vinta e la gioia della sua presenza, della sua vita in loro li invade. Allora Gesù soffia su di loro il suo Respiro, che non è più alito di uomo ma Spirito santo.
Questo respiro del Risorto diventa il respiro del cristiano: noi respiriamo lo Spirito santo! Ognuno di noi respira questo Spirito, anche se non sempre lo riconosciamo, anche se spesso lo rattristiamo e lo strozziamo in gola, nelle nostre rivolte, nei nostri rifiuti dell’amore e della vita di Dio.
Questo Soffio che entra in noi e si unisce al nostro soffio ha come primo effetto il perdono dei peccati. Questo Soffio è un abbraccio che ci mette “nel seno del Padre”, ci stringe a Dio in modo che non siamo più orfani ma ci sentiamo amati senza misura di un amore che non abbiamo meritato né dobbiamo meritare ogni giorno.
“Ricevete lo Spirito”, dice Gesù, cioè “accoglietelo come un dono”. È il dono della vita piena; il dono dell’amore che noi non saremmo capaci di vivere; il dono della gioia che spegneremmo ogni giorno; il dono che ci permette di respirare in comunione con i fratelli e le sorelle, confessando con loro una sola fede e una sola speranza; il dono che ci fa parlare a nome di tutte le creature come voce che loda e confessa il Creatore e Signore: spetta a noi ricevere lo Spirito santo per respirare.
La Pentecoste è la festa della liberazione che la Pasqua ci ha donato, liberazione che raggiunge le nostre vite quotidiane con le loro fatiche, le loro cadute, il male che le imprigiona.
Possiamo davvero confessarlo: il cristiano è colui che respira lo Spirito di Cristo, lo Spirito santo di Dio. Grazie a questo Spirito è santificato, prega il suo Signore, ama il suo prossimo.
(scuolaapostolica)
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dinamiche-del-cuore · 2 years ago
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lampioneditrieste · 2 years ago
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24/04/2023 - Coro Musirè - "Echi di Mondi lontani" - Concerto - Ch. S.Giovanni Decollato - Trieste
Vi informiamo che lunedì 24/04/23, ore 20.30, presso Chiesa di San Giovanni Decollato, p.le Giobrti, 5 – Trieste, vi sarà il concerto dal titolo “Echi di Mondi lontani”, con l’esibizione del Coro Musirè di Cassina de Pecchi (MI). m.° M.Scicolone, direttore. INGRESSO LIBERO dettagli su https://www.facebook.com/coromusire e su…
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sguardimora · 2 years ago
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[ph. Mirco Lorenzi]
Il tocco in quanto mozione ed emozione dell’altro consiste, insieme nel culmine di un contatto e nella sua ricezione... Il tocco sfiora e punge, penetra o afferra… è subito già la sua traccia, si cancella subito in quanto segno, impronta puntuale, pur continuando a propagare i suoi effetti di mozione ed emozione.
Parto da questa citazione del saggio di Jean-Luc Nancy, Rühren, Berühren, Aufruhr (2011), per raccontare il nuovo lavoro di Chiara Bersani Sottobosco, del quale abbiamo visto all’Arboreto lo scorso martedì 28 marzo alcuni materiali di ricerca. Una coreografia del toccare la definirei, rifacendomi appunto alla riflessione di Nancy, che evidenzia la valenza motrice, mobile e dinamica del toccare. Il testo è un po’ più complesso di come lo sintetizzo ma parte dal dire che l’azione del toccare è quella che segna la possibilità della distinzione di un corpo dall’altro: toccare inizia quando due corpi si allontanano distinguendosi l’uno dall’altro e prende forma come azione possibile per un corpo nel momento della nascita quindi quando quel corpo si libera distinguendosi dal corpo che lo ingloba. 
Nel lavoro di Chiara c’è questo e molto altro, c’è una tensione fra i due corpi in scena, il suo e quello di Elena Sgarbossa, fin dall’inizio, quando la scena si apre sui due corpi lontani l’uno dall’altro, immersi in un sottobosco soffice e dolce di marshmallow. Con loro in scena Lemmo a costruire dal vivo la partitura sonora: sta su un lato del palco e crea un’ulteriore tensione in questa relazione, avvolgendola in una atmosfera densa e vibrante.
I corpi sono inizialmente immobili poi quasi impercettibilmente iniziano a muoversi strisciando circolarmente; i volti sono nascosti e la tensione tra loro è mossa dal movimento delle dita dei piedi e delle mani che toccano il pavimento bianco e a tratti si sollevano come proiettandosi vicendevolmente verso il corpo presente dell’altra. 
Come due lumachine senza casa, che provano a mimetizzarsi nel sottobosco consapevoli degli sguardi che sono sopraggiunti, si muovono alla ricerca l’una dell’altra. Alzano e abbassano le loro molteplici antennine sensoriali che risiedono sulle punte della dita; si percepiscono da lontano, mentre una pioggia elettrica di suoni le percuote: è una tempesta che lentamente sembra trasformasi in pioggia battente e misteriosa. 
Poi la pioggia si placa e i rumori della sera appaiono: tra un metallico frinire di grilli ed echi che rimbombano in lontananza le creature si avvicinano fino a toccarsi e a confondersi l’una nel corpo protettivo dell’altra. Poi di nuovo si separano, distinguendosi non solo fisicamente ma anche nel movimento che cessa per Chiara e si fa esplosivo per Elena: è una danza ritmica, circolare quasi rituale, che le avvicina e le allontana. Poi si arresta, i loro volti iniziano ad emergere tra le ciocche dei capelli; si guardano mentre intorno a loro restano le tracce di quella tensione al toccarsi, tra confondersi mimetizzandosi e distinguersi.
Non restano ora che la voce calda di Lemmo e i piccoli gesti che ognuna delle due figure, immobili sul fondo del palco una di fronte all’altra, costruiscono come in un linguaggio segreto, un lieve battito dei pugni a terra una carezza sul volto  un tocco di capelli  la danza di una mano uno sguardo complice e un sorriso.
Sottobosco è un ambiente che deraglia dall’antropocentrinco, e come reciterà la voce in sottofondo di Chiara, è lo stato temporale in cui tutto ebbe inizio, dove i corpi non avevano contorni, dove tutto fluttuava e niente si poteva spezzare: una metamorfosi costante e continua, una trasformazione interna lenta ma inesorabile, una danza alla scoperta di nuove forme e percezioni. 
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The touch, as a motion and emotion of the other, consists both in the culmination of contact and its reception... The touch grazes and pricks, penetrates or grasps... its trace is immediately present, yet it disappears as a sign, a pinpoint imprint, while continuing to propagate its effects of motion and emotion.
Starting from this quote from Jean-Luc Nancy's essay, Rühren, Berühren, Aufruhr (2011), I will describe the new work by Chiara Bersani, Sottobosco, of which we saw some research materials at Arboreto on Tuesday, March 28th. I would define it as a choreography of touch, referring to Nancy's reflection, which highlights the motor, mobile, and dynamic value of touch. The text is a bit more complex than how I am summarizing it, but it starts by saying that the action of touching marks the possibility of distinguishing one body from another: touching begins when two bodies move away, distinguishing themselves from each other, and takes shape as a possible action for a body at the moment of birth when that body frees itself, distinguishing itself from the body that encompasses it.
In Chiara's work, there is this and much more; there is tension between the two bodies on stage, hers and Elena Sgarbossa's, from the beginning, when the scene opens on the two bodies far from each other, immersed in a soft and sweet marshmallow undergrowth. With them on stage is Lemmo, constructing the live sound score: he stands on one side of the stage and creates further tension in this relationship, enveloping it in a dense and vibrant atmosphere.
The bodies are initially still, then almost imperceptibly begin to move, circling and crawling; their faces are hidden, and the tension between them is moved by the movement of their toes and fingers that touch the white floor and occasionally rise as if projecting themselves towards the other's present body.
Like two snails without a home, trying to blend in with the undergrowth, aware of the approaching gaze, they move in search of each other. They raise and lower their multiple sensory antennae residing on the tips of their fingers; they are perceived from a distance as a rain of electric sounds beats down on them: it is a storm that slowly seems to transform into a mysterious, beating rain.
Then the rain subsides, and the evening noises appear: between the metallic chirping of crickets and echoes reverberating in the distance, the creatures approach each other until they touch and merge into each other's protective bodies. Then they separate again, not only physically but also in movement: Chiara's movement stops, while Elena's becomes explosive; it is a rhythmic, circular, almost ritual dance that brings them together and then apart. Then it stops, and their faces begin to emerge from the strands of hair; they look at each other as the traces of the tension of touching, blending in and distinguishing themselves, remain around them.
Now, all that remains is Lemmo's warm voice and the small gestures that each of the two figures, motionless at the bottom of the stage, constructs like a secret language, a light fist beat on the ground, a caress on the face, a touch of hair, the dance of a hand, a knowing look, and a smile.
Sottobosco is an environment that derails from anthropocentricism, and as Chiara's voice in the background recites, it is the temporal state in which everything began, where bodies had no contours, where everything floated and nothing could be broken: a constant and continuous metamorphosis, a slow but relentless internal transformation, a dance to discover new forms and perceptions.
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