#lo stato parallelo
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blogitalianissimo · 5 months ago
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sai tutto quello che è successo ieri mi ha fatto pensare ad una cosa…
per contesto: vivo nel sud della Svizzera, nell’unica area italofona, anche se sono italiano. Ho iniziato a riflettere su quanto queste dinamiche italiane si riflettano anche qui in Svizzera, anche se i problemi non sono nemmeno paragonabili a quelli che il sud deve affrontare. Però anche solo pensando alla percezione che quelli più a nord (o come piace a loro chiamarsi “della Svizzera centrale”) hanno di quelli al sud, in particolare del cantone italiano, quello più al sud di tutti i cantoni (che sono come le regioni), ti fa capire quanto ottusi gli uomini siano. Quanto idioti e bigotti. Quanto ripetitivi nel loro pensare. Il sud della Svizzera è percepito anche lui come una “spiaggia a basso costo con buon cibo”. Questo è quello che siamo per loro. Siamo quelli esotici che non si comprendono, perché in italia è una questione di dialetti (o comunque di lingue come il napoletano che hanno avuto una metamorfosi a partire dal latino in parallelo al volgare italiano), ma qui è una questione di lingue. Non mi sento di screditare la parte francese, spesso sono molto educati e sanno parlare sicuro anche il tedesco e l’inglese, ma spesso ti sorprendono e sanno anche l’italiano. Però gli svizzeri tedeschi (secondo me da distanziare totalmente dai tedeschi di Germania) oh poveri noi. Loro lo sanno di essere la maggioranza (non badano molto allo studio di altre lingue) e lo sanno che il nostro futuro dipende tanto dalla capacità di esprimerci nella loro lingua, che per nota personale: la odio. Suona così male, soprattutto lo svizzero tedesco (che è il loro dialetto, molto diverso dal tedesco che impari a scuola). Esiste una unica università italiana in Svizzera, la quale non ha una gamma ampia di corsi. Se vuoi fare il medico, il fisico, il chimico, letteratura straniera, psicologia e non so quanti altri devi studiare o in tedesco (miglior scelta, perché è dove ci sono le università più prestigiose) oppure in francese. E lo so che ora penserai: beh studia in italia. E ti rispondo subito dicendo: non dopo tutta quella fatica che uno fa per prendere una maturità svizzera. Perché se in italia tanti bocciano il primo anno di università, qui il vero ostacolo è il primo anno di liceo (dove mediamente quasi il 40% non ce la fa). I programmi sono diversi, ma ora non voglio scendere troppo nei dettagli. Inoltre studiare in italia per fare l’avvocato in Svizzera non funziona. Devi studiare per forza in un’altra lingua (e per forza parzialmente in tedesco, perché alcuni codici sono solo in tedesco). Molte persone della mia età se ne sono andate in altri cantoni, a settembre perderò le mie ultime amicizie del liceo di qui. La “fuga di cervelli” c’è anche qui. Eccome se c’è. Ci sono i salari più bassi, mentre le spese aumentano e la nostra lingua viene sempre messa da parte a favore del tedesco (nel nostro stesso cantone intendo). Ci sono tutti questi problemi, tutte queste dinamiche, ma poi oltre passo il confine e le carte si girano, improvvisamente gli stereotipi si invertono. Perché non parlo più una lingua estranea, solo l’accento cambia. Dei pregiudizi calano e nuovi sorgono.
Non ha letteralmente senso. Sono tutti persi in un bicchier d’acqua. Volevo concludere dicendo che queste separazioni sono assurde ed è assurdo pensare di imporre un modello del genere in Italia. Di frantumare il sogno secolare dell’unità. Chi sono queste persone contro ogni figura storicamente importante della tradizione che credeva in questo ideale? Non verranno mai ricordate e dovrebbero sperare che vada così, perché in caso contrario non sarà per buone ragioni. la Svizzera funziona con i cantoni come cantoni sovrani (qui c’è tanta indipendenza), ma funziona perché non c’è mai stato un’altro modello. L’Italia non è stata pensata così. Mi spiace per tutto quello che sta succedendo, spero in colpo di fortuna.
L'unica cosa che posso aggiungere è che la Svizzera è schifosamente ricca e ogni cantone può autonomamente sostenersi da solo, anche quello "più povero", in Italia se lo fai condanni alla povertà oltre la metà del paese e ALL'INEFFICENZA l'altra, perché la Lombardia in questi anni ci ha dimostrato di essere un disastro, e dall'autogestione s'incasinerà ancora di piu.
Per il resto per carità capisco, ma tieni conto che i problemi della Svizzera in Italia sono quintuplicati e ci sto andando piano, e non è per sminuire quello che passate voi lì ma santo iddio qua stiamo vivendo un incubo e stiamo valutando l'emigrazione
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inadeguata · 6 months ago
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passo il tempo a cercare una frase, un testo, una poesia che possa esemplificare al meglio come mi sento, ma a volte la soluzione è così banale: sta a me scriverlo.
quando siamo sole in una stanza mi sembra di essere catapultata in un’altra dimensione, il tempo e lo spazio e, le persone intorno a noi, semplicemente non esistono.
siamo io e te che pensiamo le stesse parole, che non abbiamo bisogno di parlare perché ormai abbiamo un linguaggio nostro fatto di sguardi.
non volevo distruggere tutto, la nostra bolla è sempre surreale, eterea e pura ma ho dovuto scoppiarla, capisci?
perche quella bolla viene da un sapone in cui sono stati lavati piatti decisamente troppo sporchi e non è più pura e limpida come prima.
con te è sempre bello ma ormai è un bello mortificante, un bello che fa male perché si conosce il potenziale ma non ha modo di esistere.
noi resteremo per sempre in quegli attimi, nelle canzoni ascoltate insieme, nei sorrisi a metà, nelle mie lacrime e nei tuoi occhi rossi, nei nostri abbracci, nei nostri baci, nelle cose che non ci siamo dette, nelle cose che non abbiamo fatto, nei sentimenti che non sono potuti crescere.
e forse è stato questo il tuo crimine, forse nostro, illuderci della possibilità di un futuro che sapevamo non avrebbe avuto spazio.
ma chissà, magari in un universo parallelo ci siamo io e te che ci asciughiamo i capelli e litighiamo per chi deve lavare i piatti
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curiositasmundi · 6 months ago
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[...]
Tutto accade nella settimana del 23 maggio quando il paese ricorda il sacrificio del giudice Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, degli agenti di scorta, uccisi dal tritolo mafioso a Capaci.
Ribadiamo un fatto non trascurabile, l’ex direttore del Sisde è stato processato nell’indagine trattativa stato-mafia, per la mancata cattura di Bernardo Provenzano e la perquisizione mai avvenuta del covo di Totò Riina, ma è sempre stato assolto. Alcuni elementi contenuti nell’invito a comparire erano già emersi negli altri procedimenti, ma nell’indagine fiorentina ce n’è sono di nuovi che saranno oggetto dell’interrogatorio di Mori, per ora rinviato. Secondo i pm Mori era al corrente del rischio stragista avendo avuto plurime anticipazioni, ma non ha fatto niente per evitarlo.
Lo avrebbe saputo «dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione e, in particolare, alla torre di Pisa e, successivamente, da Angelo Siino, che lo aveva appreso da Antonino Gioè, da Gaetano Sangiorgi e da Massimo Berruti (ex manager berlusconiano e poi parlamentare di Forza Italia, morto nel 2018, ndr), durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord», si legge nell’invito a comparire.
Quello che è chiaro in maniera esplicita e sarà oggetto dell’interrogatorio, Mori è già sentito un anno fa come persona informata sui fatti, è che i pm si sono rimessi a cercare riscontri intorno alla cosiddetta pista nera che vede convergere nella strategia stragista la mafia, l’eversione neofascista, i servizi deviati e la massoneria di Licio Gelli. Una pista già battuta, ma che non ha portato giudiziariamente a nulla di accertato.
Cosa c’è nel passato che unisce i mondi e incrocia Mori? Lo dettaglia il magistrato Roberto Tartaglia (dal 2022 distaccato a palazzo Chigi), nel 2018, durante il processo sulla trattativa stato-mafia (poi naufragato con l’assoluzione) descrivendo la carriera di Mori come costantemente contro le regole.
«I risultati “inimmaginabili” ai quali siamo arrivati su vicende, risalenti, ma importanti del passato di Mori servono a definire in maniera chiara e forte la geometria di un personaggio che poteva e può compiere di tutto». Il magistrato ricordava poi la carriera di Mori al Sid allora guidato da Vito Miceli, descritto come un servizio deviato e parallelo. Con il suo brusco allontanamento da Roma che, per il pm, era da ricondurre alla vicinanza di Mori, poi scoperta, con le azioni dell’organizzazione eversiva di destra Rosa dei Venti. Una ricostruzione che resta curriculum parallelo dell’ex generale, il quale, al contrario, ha sempre rivendicato la correttezza delle sue condotte.
C’è un ultimo incrocio, un’altra coincidenza che ci porta sempre a Firenze. I magistrati vogliono capire chi c’era dietro la fuga di notizie sulle rivelazioni del pentito Salvatore Cancemi che «parlava di quelli di sopra», chiaro riferimento a Silvio Berlusconi. Lo scoop fu pubblicato da Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo su Repubblica nel 1994.
L’allora magistrata Ilda Boccassini, ora indagata per false informazioni ai pm, perché non ha rivelato quella fonte, aveva delegato l’indagine ai Ros, al comandante, Mario Nunzella, e al suo numero due, Mario Mori. Certi nomi, come i misteri, non passano mai.
Via - Infosannio
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davidewblog · 2 months ago
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Ci sono cose che fanno parte del vivere con delle ragazze, che si imparano nel tempo. Una di queste è il modo in cui è più corretto rapportarmi a loro quando hanno il ciclo. Non è stato facile e non lo è ancora, ma di sicuro da quando abito qui ho capito molte cose.
Appena ero arrivato a vivere qua, non sapevo praticamente nulla su mestruazioni e ciclo, se non qualcosa di vaghissimo. Avevo sempre vissuto da figlio unico con i miei genitori, con pochissimi contatti con ragazze, anche a scuola. Le cose dell'intimità femminile erano un universo parallelo con cui non ero mai entrato in contatto.
Quindi, quando ero arrivato qua, è stato un po' un passare dal nulla a tutto. Loro, abutuate a vivere tra sole ragazze, ne parlavano apertamente, le sentivo dire "ho il ciclo", o "questo mese non mi è ancora venuto", o "questa volta ce l'ho abbondante", tra loro, e a volte anche con me.
Io da questi loro discorsi i primissimi giorni non capivo bene, poi iniziavo a comprendere, e poi pian piano ho capito molte più cose, anche di tipo più profondo, sopratutto su che cosa significa questo per loro, sulle loro difficoltà in quei giorni, si ciò di cui possono avere più bisogno, a volte un aiuto, a volte che riordino la casa al posto loro, a volte che compro un dolce, a volte più silenzio da parte mia.
Non è sempre facile capire, e in realtà sto ancora imparando. Loro mi aiutano spiegandomi meglio certe cose, parlandomene apertamente, dicendomi non solo quando hanno il ciclo ma anche come si sentono in quei giorni. Io in quei casi faccio loro poche domande, ma le ascolto, perché ho capito che è meglio così, in quei momenti così intimi e delicati.
Per questo, anche se ho da imparare ancora, di sicuro, anche grazie a loro, a come sono sincere nel parlarmi di queste cose anche quando per loro sono molto intime, ho fatto molti passi avanti nel gestire questa situazione.
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len-scrive · 2 years ago
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Rating: Explicit
Fandom: Hannibal TV
Relationships: Hannibal Lecter/Will Graham
Characters: Hannibal Lecter, Will Graham, Frederick Chilton, Bedelia Du Maurier, Jack Crawford, personaggi originali
Tags: Post TWOTL, vita insieme, Hannibal è Hannibal, Dark Will, sangue, violenza, crescita sentimenti, evoluzione
Lingua: Italiano
Sommario: Will e Hannibal sono rinchiusi in un istituto di massima sicurezza, sotto la supervisione del dottor Chilton.
Questo è il racconto di come sono finiti lì dentro e di cosa è successo dopo la notte in cui il Drago è stato sconfitto.
 Capitolo 1
“Dottor Chilton, mi lasci solo dire che non ritengo questa un’idea saggia.”
“Sta contestando la mia autorità?” Chilton si appoggiò sul suo bastone, spostando il peso dalla gamba più malandata. “Mi creda, in quanto a saggezza ormai ne ho per le altre tre vite, quelle che…mi sono rimaste.”
“Non sono due individui da sottovalutare.”
“E lo sta dicendo a me?” sbottò Chilton indicando tutto se stesso, tutto il suo corpo.
Il suo interlocutore si quietò, respirando a fondo un paio di volte.
“Non è stata data loro la pena capitale,” disse poi il giovane uomo come a voler sottintendere qualcosa e Chilton sapeva a cosa voleva alludere.
 Continua a leggere su AO3
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 Quanto tempo! Come sono felice di poter finalmente condividere questa storia, nata la bellezza di due anni fa.
Penso di aver già detto che non condivido mai qualcosa se prima non sono assolutamente certǝ che abbia una conclusione e così ho atteso e atteso che la conclusione di questa storia arrivasse da sé.
Ne sono successe tante nel frattempo e questo povero racconto è stato parcheggiato in un angolo della mia mente più e più volte, ma era venuto il momento di farlo uscire del tutto e fargli avere il suo spazietto su AO3.
Eccolo. Vi terrà compagnia, se lo vorrete, per qualche mese e spero la lettura vi sarà gradita.
Io nel frattempo mi butterò sugli altri nove, dieci racconti tutti inseriti in un file denominato one-shot anche se poi i racconti dentro hanno dai due ai cinque capitoli ciascuno. A casa mia one-shot ha un curioso significato parallelo, evidentemente.
Questa storia Dentro è un’altra, l’ennesima, versione del post TWOTL. Chi ha letto Evolvere sa che quella è per eccellenza la mia visione del futuro di Hannibal e Will, ma se ne possono creare all’infinito e a volte mi capita di partorirne di nuove.
I capisaldi fondamentali di come io vedo Hannibal e Will rimangono, ma si poggiano su basi leggermente diverse e su dinamiche un po’ più complesse. Sempre colpa di Will, sempre colpa sua, ormai si sa.  XD
Penso di aver parlato abbastanza, l’appuntamento è ogni domenica tra mezzogiorno e l’una.
Grazie a tutti e buona lettura.
Len
Per problemi di spam ho dovuto chiudere la mia pagina AO3 ai soli iscritti. Bisogna avere un account per leggere, ma a parte quello nulla di diverso.
Devo dire che preferisco l’idea che solo chi è registrato ha accesso alle mie storie. 
E per chi di voi volesse venire a trovarmi sul mio canale YouTube Len Irusu colgo l’occasione per ricordare che sono sempre lì a condividere gameplay (in inglese) e a commentarli (in italiano) o a parlare dei fatti miei mentre provoco, più o meno involontariamente, il trapasso di svariati personaggi.
Al momento tra le altre cose è in corso il gameplay di The Last of Us part II e… Oh boy… Il massacro di anima e cuore. Ma da appassionatǝ di Hannibal sono abituatǝ, devo dire.
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heytheredeann · 2 years ago
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no aspetta ti stai guardando i film nostrani? non sono per lo più pattume alla de sica? hai qualche rec?
GUARDA pensavo la stessa cosa pure io, solo che poi mi è capitato di guardare un film italiano interessante, poi un altro, e ho finito per pensare che okay, ci sono le cazzate alla De Sica, cinepanettoni e compagnia, però a questo punto se mi sono CAPITATI dei bei film, sarà che sono io che sono prevenuta e non me li sto andando a cercare i film italiani belli?
Se andiamo a vedere anche i film statunitensi variano molto per qualità, semplicemente ne guardiamo talmente tanti che riconosciamo che non necessariamente i film brutti riflettono la qualità dell'intero cinema americano.
Non conosco ovviamente i tuoi gusti, ma ti faccio un elenco di film italiani che ho visto e che mi sono piaciuti, in ordine casuale (molti sono su Netflix):
Moglie e marito (2017)
Storia di un uomo e una donna sposati ma sull'orlo del divorzio che si ritrovano, dopo un esperimento mal riuscito, uno nel corpo dell'altra. L'ho trovato carino e interessante, e merita punti anche solo per Kasia Smutniak vestita da uomo francamente ahah
Perfetti sconosciuti (2016)
Film tratto da un'opera teatrale se non sbaglio, quindi che si svolge quasi interamente in un solo set, mi aspettavo che fosse noiosetto e invece è stato molto coinvolgente, pieno di intrecci, colpi di scena e personaggi interessanti da cercare di inquadrare durante la storia. La premessa è una cena tra amici, durante la quale per gioco vengono messi i telefoni di tutti sul tavolo e letti ad alta voce tutti i messaggi/ascoltate in vivavoce tutte le chiamate.
La dea fortuna (2019)
Forse uno dei miei film preferiti in assoluto, italiani o no. Parla di una coppia gay in crisi, dopo 15 anni passati insieme, che si ritrova a doversi occupare dei figli della migliore amica di uno dei due, che è malata e non vuole che sia la propria madre a prenderli a carico.
Lasciarsi un giorno a Roma (2022)
Una storia di coppie un po' disastrate, il protagonista in particolare si occupa in segreto di gestire una posta del cuore, dove riceve una richiesta di consiglio da parte della sua fidanzata, che vuole lasciarlo. Il protagonista inizia a parlarle, senza rivelare la propria identità, per capire come salvare la relazione. In parallelo, un amico del protagonista ha difficoltà a gestire il rapporto con la moglie, sindaco di Roma. Mi era piaciuto moltissimo il finale.
Il padre d'Italia (2017)
Racconta dell'amicizia tra un uomo gay che si è recentemente lasciato con il fidanzato per via delle loro diverse idee sull'aspetto che avrebbe dovuto avere la loro famiglia in futuro, e una ragazza incinta senza nessuno a cui appoggiarsi. Veramente molto bello, ho sentito molto vicine le difficoltà del protagonista a costruirsi un futuro in quanto appartenente a una categoria per cui non esistono veramente script in questo paese, così come ho molto apprezzato l'insistenza del suo ex fidanzato a non accontentarsi delle briciole che gli vengono concesse solo perché "c'è chi sta peggio". Bello bello bello.
Era ora (2023)
Un uomo con molte difficoltà a gestire il suo tempo, per lo più in termini di bilancio lavoro-famiglia, si ritrova incastrato in una specie di loop temporale in cui ogni volta che si sveglia è passato un intero anno, di cui lui non ha memoria. Cerca, quindi, di sistemare la propria vita nell'unico giorno che ha a disposizione, con poco successo ovviamente.
Le fate ignoranti (2001)
QUEER QUEER QUEER! Bello bello, anche qui ho amato moltissimo il finale. Storia di una vedova che scopre che il marito la tradiva con un uomo da sette anni, e finisce per avvicinarsi a questo gruppo di amici queer.
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solobrividiecoraggio · 6 months ago
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Oggi pomeriggio sono stato al workshop di Makoto su karuta, kendama e origami. Dopo una breve spiegazione generale, ci siamo divisi in tre gruppi e a turni di 25 minuti abbiamo fatto tutte le attività.
Karuta, almeno nella versione che abbiamo giocato noi, vedeva un giocatore leggere una per volta delle frasi scritte su delle carte di un certo mazzo. Un altro mazzo era sparpagliato sul tavolo, ogni carta aveva una lettera dell'alfabeto hiragana accanto a un disegno. I giocatori rimanenti dovevano quindi fare attenzione alla prima lettera letta, per trovare e prendersi immediatamente la carta corrispondente. Vinceva chi prendeva più carte. Non ho capito che senso possa avere leggere tutta la frase, per chi legge. Infatti nessuno di noi leggeva fino alla fine. Sono riuscito a fare due volte l' "aereo" con il kendama. Dovessi trovarlo, con il bollino della Japan Kendama Association come ha detto Makoto, lo comprerei pure. In 25 minuti sono riuscito a fare un solo origami, la gru, quella venuta peggio tra le due in foto.
C'erano anche persone del corso 1.2 che si svolge il venerdì, l'universo parallelo insomma, e un ragazzo del 2.2 che parlava così bene. Prima di congedarci Makoto a sorpresa ci ha fatto scegliere tra 3 tipi di snack: kit kat al tè matcha; quello che ho preso io, che lei ha descritto come simile ai "brutti ma buoni"; e uno snack salato, in due versioni. È stato un workshop carino e divertente.
Prima di tornare a casa mi sono fermato a prendere qualcosa in una "pasticceria" a Firenze che aveva consigliato una compagna del corso di giapponese, avevo messo lo screenshot anche qui. Molto modesta come pasticceria, sarà che era ormai fine giornata ma non c'era così tanta scelta (il che non è necessariamente un male). Ho preso due piccole torte, una all'Oreo e una alla fragola, mi sono scordato di fotografare quest'ultima prima di tagliarla.
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Scelti per voi
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Fonte: pixabay.com
Una piccola scelta di libri “certificati” dai bibliotecari per distrarvi nel migliore dei modi durante le vacanze. Si tratta di novità, di titoli non recentissimi ma che magari vi sono sfuggiti e meritano attenzione, e di opere da cui sono stati tratti ottimi film.
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Se non l’avete ancora letto vi consigliamo L’animale più pericoloso di Luca D’Andrea, del 2020. Ma qual è l’animale più pericoloso? Se non ci si lascia sviare dall’immagine di copertina, si può intuirlo fin dalle prime righe di questo avvincente giallo che ha come tema (argomento di scottante attualità) la salvaguardia dell’ambiente. A parte l’idea di fondo dell’adolescente rapita che ricorda il pregevole La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi, la storia si dipana in maniera diversa, dalla location (le montagne della Val Pusteria), ai moventi dei crimini, allo stile, agile, moderno, mai banale. Anche il finale diverge, ma su questo, naturalmente, non sveliamo nient’altro. Rispettata in pieno l’unica regola cui i gialli dovrebbero essere sottoposti: quella di inchiodare il lettore alle pagine, fino alla conclusione.
Pare che le case di ringhiera della vecchia Milano siano una continua fonte di ispirazione per scrittori e assassini: dopo i gialli di Francesco Recami orientati sulla figura dell’ex tappezziere in pensione Amedeo Consonni, è il vice-commissario Enea Zottìa che deve occuparsi di una serie di crimini in un vecchio stabile malandato nel cuore di Milano nell’ultimo libro di Marco Polillo I delitti di corso Garibaldi. Ma le indagini ci porteranno anche a Viboldone, frazione di San Giuliano Milanese e sede di un’antica Abbazia, e all’isola di San Giulio sul lago d’Orta (ebbene sì, proprio nel luogo in cui C’era due volte il barone Lamberto!), dove le vicende, soprattutto sentimentali, dei protagonisti troveranno il loro più naturale scioglimento.
Ambientato sul lago di Como è I milanesi si innamorano il sabato di Gino Vignali, il cui titolo si ispira al famosissimo I milanesi ammazzano al sabato di Scerbanenco (da cui è stato tratto anche un film per la regia di Duccio Tessari). “Dopo la fortunata tetralogia riminese con protagonista Costanza Confalonieri Bonnet, Gino Vignali cambia atmosfere e personaggi ma mantiene intatti il tono scanzonato e il ritmo incalzante che contraddistinguono i suoi fortunati gialli. Suspense, erotismo, umorismo sono gli ingredienti vincenti di un romanzo che, giocando abilmente con dubbi e ossessioni, incertezze e desideri, incanta il lettore in un riverbero di luci e ombre. Come l’acqua del lago, quando sembra calma ma non lo è”.
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Non intendiamo certo tralasciare l’ultimo Simenon, L’orsacchiotto, anche questa opera di introspezione, di scavo profondo nella psiche umana aperto a più interpretazioni, una delle quali può essere che non è possibile mantenere sempre il controllo su tutto, anche ad altissimi livelli professionali: dopo una intera esistenza trascorsa all’insegna del più assoluto dominio di sé, una sola deroga al perfetto meccanismo esistenziale che il protagonista si è imposto può costare un prezzo inestimabile.
Torna nell’ultimo romanzo di Fabio Stassi, Notturno francese, il simpatico counselor della rigenerazione esistenziale Vince Corso, ma in questo caso, come per Simenon, l’indagine è introspettiva: un viaggio parallelo nei ricordi dell’infanzia e in treno, lungo la Costa Azzurra, terra d’origine del nostro detective-bibliofilo, trapiantato in Via Merulana. Finalmente sarà svelato il mistero del padre mai conosciuto a cui Vince indirizza cartoline nell’unico luogo che di sicuro aveva frequentato, almeno per una memorabile notte, ovvero il mitico Hotel Negresco.
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Folgorante fin dall’incipit, la lettura di Perle ai porci (il titolo originale suona: God Bless You, Mr. Rosewater, or Pearls Before Swine) rende pienamente ragione a Umberto Eco che annoverava Kurt Vonnegut tra i suoi scrittori preferiti:
Uno dei protagonisti di questa storia, storia di uomini e donne, è una grossa somma di denaro, proprio come una grossa quantità di miele potrebbe essere, correttamente, uno dei protagonisti di una storia di api.
Ironico, dissacrante, politicamente scorretto, bizzarro, surreale, a metà strada fra America di Kafka e i racconti di Carver; uno stile veloce, tagliente; un lessico moderno e spiazzante. Se poi vi affezionate a questo autore, allora vi consigliamo Ghiaccio-nove, anche questo composto in una forma originalissima che sconcerta il lettore con la sua imprevedibile fantasia che scardina completamente gli schemi narrativi tradizionali. Strutturato a brevi capitoli sullo stile del Tristram Shandy di Sterne è un libro trasgressivo, esilarante fino al demenziale, davvero “uno dei tre migliori romanzi dell’anno scritto dal più grande scrittore vivente” come lo accolse Graham Greene nel 1963, anno della pubblicazione. Una potente satira della società contemporanea, che punta in particolare alla condanna della guerra, argomento quanto mai tristemente attuale.
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Lo spaccone  di Walter Tevis è un romanzo di formazione in cui il protagonista svolge il suo “apprendistato” (come lo definisce Fabio Stassi nella prefazione all’edizione minimum fax) nelle sale da biliardo dove sbarca il lunario spennando ‘polli’ grazie al suo non comune talento. Ma la conquista della consapevolezza comporta un prezzo molto alto: la coscienza del proprio valore si paga con la perdita della libertà. Un libro con i fiocchi che non poteva non ispirare un capolavoro come il film di Robert Rossen del 1961 con un Paul Newman perfettamente incarnato nella parte di Eddie Felson, The Fast, ‘lo svelto’. A voi il piacere di scoprire le differenze (che ci sono, e anche notevoli) tra il libro e il film. Newman rivestirà lo stesso ruolo nel 1986 come mentore del giovane Tom Cruise in Il colore dei soldi, per la regia di Scorsese, sempre dal sequel di Tevis.
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Da La morte corre sul fiume di Davis Grubb è stato tratto nel 1955 per la regia di Charles Laughton un film talmente bello e originale proprio dal punto di vista tecnico da far rimpiangere che si tratti dell’unico exploit come regista da parte del celeberrimo attore britannico. Tratto da una drammatica storia vera, il romanzo si dispiega su più piani narrativi: il tema fiabesco, reso da Laughton con splendide immagini dello sfondo naturale notturno, il noir e la denuncia del fanatismo religioso. “La storia è qualcosa di più, se possibile, dei fatti che la compongono, è un’omelia nera, una lunga e cupa ballata atroce almeno quanto le filastrocche infantili che di tanto in tanto la interrompono, risuonando nel vuoto”.
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Non è una storia dell’orrore, come il precedente Dracula, che tanta popolarità diede al suo creatore, Bram Stoker: Il gioiello dalle sette stelle è soprattutto un racconto d’avventura, i cui protagonisti, sorta di Indiana Jones tra le mummie, sono morbosamente infatuati dalla passione per la storia egizia. A metà tra il romanzo gotico di stampo ottocentesco e l’egittomania molto diffusa all’epoca, tanto da influenzare anche Conan Doyle e Poe, è un romanzo piacevole e adatto come lettura per le vacanze. Tra culto della reincarnazione, sarcofagi, ricerche archeologiche, luoghi affascinanti come il misterioso Egitto e la nebbiosa Londra, abbiamo anche la possibilità di scegliere tra due finali, perché il pubblico non gradì il primo e costrinse l’autore, pare, a riscriverne uno nuovo nella seconda edizione uscita nel 1912, anno della sua morte. In questa ristampa di ABEditore del 2022 sono presenti entrambe le varianti.
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abr · 1 year ago
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La massoneria come “madre nutrice” del fascismo (...): è questa la tesi che (del)le 200 fittissime e superdocumentate pagine di L’ingrata progenie. Grande guerra, Massoneria e origini del Fascismo (1914-1923), di Gerardo Padulo edita da NIE (...). Il 13 febbraio 1923, il Gran Consiglio del Partito nazionale fascista dichiarava l’incompatibilità fra iscrizione al Pnf e alla massoneria. L’indomani, (Pietro Faudella, grand commis dello Stato e deputato del Regno e illustre massone) parlò pubblicamente di «un atto di ingratitudine verso la massoneria in genere e verso la massoneria milanese in particolare».Lamento rivelatore di uno stato d’animo (...). L’autore (...) disegna la massoneria come una realtà politica a tutto tondo, sia pure sui generis. E pur correggendo il giudizio di Antonio Gramsci che la definì «il partito unico della classe borghese» (...) ne descrive con accuratezza il protagonismo a tutto campo. A cominciare dalla potente spinta interventista sviluppata tra l’estate del 1914 e il fatale 24 maggio successivo (...), allo scopo di unire la Nazione Italia (...). Fin da quando, tra fine ottobre e inizio novembre 1914, il deputato Giuseppe Pontremoli, grado 33° del rito scozzese, gli anticipò 20mila lire per l’acquisto della rotativa che, a partire dal giorno 15, avrebbe stampato il nuovo quotidiano di Mussolini, “Il Popolo d’Italia”. Più o meno da quel momento, marciando divisi per colpire uniti, il futuro Duce e l’antica istituzione “giustinianea” condussero in parallelo la battaglia per la guerra all’Austria. (...) Ma l’affiancamento massonico, la vera e propria osmosi nei confronti del fascismo nascente, emergono con nettezza (...) anche dall’adunata milanese di piazza San Sepolcro (21-23 marzo 1919): l’autore elenca una ventina di 'fratelli' regolarmente iscritti alle “Officine”, sui 52 presenti nel salone del «Circolo degli interessi industriali, agricoli e commerciali», sede notoriamente massonica. Lo stesso vale per la successiva formazione dei 'fasci di combattimento' in molte aree del Paese e infine per le azioni di contrasto violento, non di rado con la connivenza di ufficiali massoni delle Forze armate, agli scioperi – certo non meno violenti – degli operai e contadini. Un fenomeno andato avanti nonostante la rottura personale di Mussolini (...) con i vertici di Palazzo Giustiniani (ma non con i capi dello logge milanesi), arrivando fino alla preparazione, al finanziamento e allo svolgimento della 'marcia su Roma' del 28 ottobre 1922. (...) L’immagine della massoneria che ne emerge, in fondo, ricorda un po’ quello dell’apprendista stregone (...).
via https://www.avvenire.it/agora/pagine/mussolin-64744031b639413292e3d3200905a31c
Chiaro lampante come mai il Benito se li sia tenuti stretti per usarli e poi li ha scaricati: come ogni rivoluzionario con obiettivi dittatoriali, non voleva dividere niente, tipo bolscevichi coi menscevichi. Stessissimo discorso - nessuna divisione di potere - applicò poco dopo a quel proxy massonico popolazzaro locale detto MAFIA.
Per dire che gli UNICI realmente anti massoni in Italì sono i cattolici. Mentre codesti sono tolleranti o perlomeno non ostili all'ebraismo, i fasci non della prima ora, i repubblichini sociali no: sono anti massoni in quanto anti semiti, anti semiti in quanto anti borghesi anti capitalismo: dissonanti arretrati rispetto alle vere destre conservatrici e liberali come delle campane rotte. I fasci so' socialisti, difatti so' terzomondisti, statalisti, pauperisti: bleah.
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mybittersweet · 1 year ago
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Ogni persona vuole essere realizzata nella vita. Creare qualcosa di bello. Però quando sta riuscendo trascuri certe persone e situazioni che succedono in parallelo al tuo successo. E può succedere che per te una persona è solo un'altro amico ne più ne meno. Una persona di passaggio a quale non volevi dare niente. Però per quella persona sei stato una parte importante..la persona con quale poteva condividere I momenti della vita..problemi..le cose belle. Ma un giorno finisce tutto..e lo sai che l'altra persona sta male per quello che è successo tra di voi. Però tu hai deciso, giustamente, che hai altre cose più importanti da fare nella vita. E quella altra persona non ti importa più (forse non è stato mai cosi). E sparisci..te ne vai.
Sono contenta per te. Sei molto bravo..ho detto sempre. E non ti preoccupare..me ne andrò dalla tua vita e non sentirai la mancanza. Un giorno mi sentirò bene ma tu non lo saprai.
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levysoft · 1 year ago
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Quando, tra il settembre e l’ottobre del 1935, si dedicò alla stesura de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin non sapeva ancora che la pubblicazione di quello che unanimemente è considerato il suo lavoro più influente sarebbe stato rimaneggiato dalla redazione della rivista Zeitschrift für Sozialforschung tanto da farlo incazzare come una iena e spingerlo all’ennesima riscrittura di un testo che avrebbe visto la luce solo postumo nel 1955.
Nel tredicesimo capitolo della prima stesura dattiloscritta dell’opera, Benjamin gettò lì una frase che pur fotografando una situazione fattuale anticipava nelle sue implicazioni di qualche decennio Andy Warhol: «Ogni uomo contemporaneo avanza la pretesa di essere filmato». Nella sua lapidarietà, questa frase rivela un mondo. Non soltanto ci parla di una nascente società di massa che si interfaccia con lo shock del cinematografo, ma ci fa comprendere come, pur cambiando a distanza di quasi un centinaio d’anni la natura dei media, l’approccio dell’ uomo “contemporaneo” non sia cambiato, anzi. 
Ma quanto colpisce del testo di Benjamin è la requisitoria che segue, una critica sociale verso la tendenza autoriale dei lettori, che abbandonavano il ruolo passivo di fruitori per diventare essi stessi scrittori. Nulla da eccepire: ci troviamo agli albori di una democratizzazione della scrittura, che in linea di massima non sarebbe in contrasto con gli ideali di Benjamin, ma che in realtà fece scattare in lui un allarme. Il sospetto era che dietro la scomparsa della distinzione tra autore e pubblico vi fosse all’opera una logica capitalista: era il lavoro stesso a prendere la parola. 
Nel suo secondo pantagruelico romanzo Il pendolo di Foucault, Umberto Eco ambientò parte delle vicende nella redazione della casa editrice Garamond, dove Casaubon, Jacopo Belbo e Diotallevi vengono introdotti proprio dall’editore ai perversi meccanismi delle Edizioni Manuzio. Quest’ultima è un APS (acronimo di Autori a proprie spese): cioè una classica vanity press, con gli stessi autori che, nell’illusione di entrare a far parte del fantastico mondo dell’editoria, finanziano la stampa del proprio libro. 
Il malcapitato di turno (nello specifico Eco decide per un pensionato con il vizio della poesia, tal commendator de Gubernatis) farà i salti mortali per firmare un contratto vessatorio celato dietro un lancio editoriale “satrapico”: delle diecimila copie promesse ne saranno stampate solo 1.000, di cui solo 350 rilegate. Per finire in bellezza, 200 di queste saranno cedute all’autore, le altre distribuite a biblioteche locali, redazioni e riviste pronte a cestinare il plico, nonostante le dieci cartelle di presentazione entusiasta. Un meccanismo spiegato con sottile ironia dal filosofo piemontese, ma che sostanzialmente illustra un mercato dell’editoria parallelo e, che in alcuni casi, si sovrappone a quello ufficiale.
Il mercato editoriale post-pandemico ha conosciuto un’evidente e positiva crescita, che ha visto come settore trainante quello dei fumetti, unico segmento che nell’ultimo decennio è stato in costante e continua crescita. Eppure, questo scenario idilliaco è stato scosso da un dato allarmante. Secondo uno studio realizzato da CAT Confesercenti Emilia-Romagna in collaborazione con SIL, Sindacato Italiano Librai Confesercenti, e con il supporto scientifico di Nomisma, i dati non sono così incoraggianti. 
Il 30% dei libri pubblicati – spesso tra autopubblicazioni, editori improvvisati e vanity press – non vende neanche una copia, e 35.000 titoli su quelli pubblicati nel corso del 2022 hanno venduto meno di dieci copie. Quando ho letto la notizia ho subito pensato alle pagine del romanzo di Eco, e sostanzialmente la situazione nell’arco di quasi trent’anni è peggiorata: il bacino dei lettori si è notevolmente ristretto a scapito invece di quello degli autori. Certo, è indubbio che il quadro è più complesso: a una scarsa selezione a monte – con un lavoro quasi nullo di scouting e editing – si aggiunge una promozione assente o basata sull’improvvisazione e sulla buona volontà dell’autore. 
Al computo dei libri che nessuno compra vanno sicuramente annoverati una serie di titoli “scientifici” o accademici spesso pubblicati grazie a sovvenzioni pubbliche o fondi personali utili a creare un rating spendibile e che praticamente hanno una vita editoriale praticamente nulla. Ma quest’ultimo è un discorso un po’ ostico. 
Senza dubbio, di libri inutili ne vengono pubblicati a migliaia ogni anno, alimentando un mercato dopato e falsamente democratico. La falsa speranza che la possibilità che a tutti venga data voce e dignità di stampa nasconde, come sottolineato da Walter Benjamin, una strategia del capitale che in maniera bulimica si sostenta della vanità autoriale di lettori avidi di gloria editoriale.
Se i dati possono essere riportati anche sul segmento che riguarda il fumetto dobbiamo inferire che molti dei titoli pubblicati spesso da editori minori e con scarsa capacità di proiezione sul mercato non vengono acquistati e letti. Questo dato non può non essere sovrapposto alla scarsa qualità dei contratti proposti agli esordienti. Sull’onda della campagna #ComicsBrokeMe, anche i fumettisti italiani hanno evidenziato situazioni di sfruttamento e scarsa tutela del diritto d’autore. Spesso contratti vessatori e capestri diventano la norma,soprattutto nel caso di esordienti e wannabe interessati a entrare a far parte di questo settore. 
L’associazione MeFu ha sottolineato il problema, evidenziando soprattutto le ricadute sul diritto d’autore e sulle royalties. Fermo restando che sono pochi gli autori in grado di vendere tante copie da generare compensi derivanti da royalty in un mercato curvato sui soliti nomi. Che, pur generando interesse e facendo da traino per l’intero segmento, monopolizzano un settore con poche reali possibilità di successo per giovani autori che meriterebbero più attenzioni anche e soprattutto da parte dei loro editori.
Ora, a latere sarebbe opportuno forse avere il coraggio di demistificare l’importanza del libro cartaceo: nonostante alcuni lavori non possano fare a meno della capacità del supporto cartaceo – vuoi per soluzioni cartotecniche particolari, vuoi per un formato di lettura che ha nel libro la sua struttura cardine – ci sono decine di migliaia di titoli, tra cui sicuramente anche fumetti, che non meritano la dignità di stampa e che potrebbero forse vivere una vita più agevole nella loro dematerializzazione, sfruttando le opportunità democratiche e anarchiche del web. 
Forse è arrivato il momento di invertire la rotta e sovvertire l’idea che la dignità di stampa renda un’opera degna di essere letta. Il feticismo del libro come simulacro del proprio pensiero è una narrazione un po’ obsoleta e deleteria: ognuno avanza la pretesa di essere pubblicato in un mercato in cui la maggior parte dei libri finisce al macero o a prendere polvere sugli scaffali. Il libro nell’epoca dei social è un oggetto anacronistico, un vezzo avvolto da un romanticismo affettato e imbolsito.
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canesenzafissadimora · 2 years ago
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I sentimenti profondi in cui necessariamente dobbiamo metterci in discussione sono quelli reali, fatti d’imperfezione, di angoli smussati. Quelli non li cerca più nessuno. Li abbandoniamo sull’orlo di un sogno d’inverno scegliendo di vivere solo alcune stagioni. Per questo l’uomo non invecchia più con l’amore. Chi fugge sempre crede di vincere e invece perde ogni giorno la battaglia più importante della sua vita. Di occasioni perdute si può morire, credendo di salvarsi. L’incubo peggiore probabilmente è svegliarsi senza più il desiderio di sognare ancora progetti concreti.
Amarsi è riuscire a immaginare un futuro insieme senza trascurare i sogni presenti e curarli, farli stare attenti. Devono riconoscerlo in tempo, il momento per svegliarsi. Altrimenti finiremo per rimpiangere sempre ciò che non abbiamo più e che un tempo non abbiamo scelto, per continuare a non scegliere mai. Il passato tornerà a farsi un giro nel presente fino a quando non cambiamo dimensione ai pensieri. Fin quando cambiamo posto, città, Stato, continente, il passato ci ritrova sempre. La felicità è in un nostro mondo parallelo. Se non andremo a prendercela, rimarrà lì in un’attesa eterna. Abbiamo tutto il tempo per capire gli errori, ma non sempre abbiamo ancora tempo per riparare a un errore in particolare. A quel punto è inutile crogiolarsi in quel che non può più essere, è importante ricominciare a essere quello che vogliamo essere da oggi. I ricordi sono lo tsunami del tempo che arriva, devasta e inesorabilmente cambia traccia alle cose. Ciò che riemerge, ciò che si salva, non si cancella più dalla memoria. Ma non sempre si può rivivere.
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Massimo Bisotti
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thousandyears3005 · 2 years ago
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Aprendo qualsiasi tipo di social vedo solo gente che posta grigliate, gente che sta insieme a bere con gli amici in un parco, oppure persone che si sono presi il ponte per poter far una gita fuori porta.
E io lavoro, pranzo e cena ma non è un problema, oppure non la prendo come altri miei colleghi che stanno, come dire, "rosicando" per il fatto di non essere con le loro persone.
Ma forse è qui il problema, o almeno i pensieri di oggi si focalizzano sul fatto che fossi stato libero a pranzo non avrei concluso nulla perchè non ho quel tipo di amicizie qui, or maybe dovrei meglio dire non ho amicizie qui. Ma la cosa mi disturba?
Honestly vedere praticamente la stessa stories o foto in loop, tutti felici (o così pare), tutti insieme, un po mi fa rimanere.. little down, ma poi riflettendoci su penso che io non sono quello. Non sono quel tipo di persona che riesce a trovare soddisfazione o piacere, se così si può definire, nel stare ore seduto al tavolo a mangiare o bere, o oziare su una sdraio al sole o al parco. Naah thanks.
Però qui ulteriore pensiero; non sono quella persona che enjoya fare queste cose, con altre persone; probabilmente in un universo parallelo se avessi avuto una cerchia di amicizie che mi invitavano e io avessi potuto, senza lavoro o altri cazzi, avrei probably rifiutato, ma perchè stare con altra gente per un asociale del cazzo come il sottoscritto please no. Ma allora dico: di cosa ti lamenti?
Del fatto che ti senti solo (forse perchè effettivamente lo sei) oppure che non hai qualche amicizia con cui fare quello che fanno tutti? Ma se li avessi ti inventeresti ogni tipo di scusa pur di evitare di stare in quel tipo di situazioni, lo sappiamo.
Amo il mio saper stare solo, senza aver bisogno di qualcuno really, ma a volte questa "consapevolezza" contrasta con la solitudine invece vera e propria, e se mentre in me c'è una parte che ama farsi i suoi 2-3 joint la sera/notte alone, l'altra vorrebbe qualcuno accanto, magari di "stabile" idk..
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scrivosempreciao · 5 days ago
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Una stanza sempre in disordine
Naki non conosceva altro che il freddo. Sapeva che non esistevano solo neve e ghiaccio e che in altri pianeti ai mesi più freddi si alternavano lunghi periodi in cui il clima era mite, o addirittura caldo, e dove la natura poteva rinascere. Ma nel suo mondo il gelo non cessava mai. 
Aprì la cerniera del sacco a pelo e si mise a sedere sul bordo della cuccetta dove era solito dormire. Il freddo che dominava la piccola camerata lo colpì al volto e gli invase le narici. Ciondolò in quella posizione per qualche minuto, ancora mezzo addormentato. Non aveva proprio voglia di appoggiare i piedi sulle piastrelle gelide del pavimento, né voleva lasciare il suo sacco a pelo, ma quella settimana il ruolo di capoclasse era toccato a lui. Non era la prima volta. Ammetteva di provare sempre un piacevole calore nel petto quando gli insegnanti pronunciavano il suo nome al termine della settimana, durante quella mezz'ora finale del venerdì pomeriggio, dopo i saluti e le piccole riflessioni che condividevano tutti insieme. 
Era quello il momento in cui il ragazzino o la ragazzina più meritevole della settimana riceveva la responsabilità di essere capoclasse. Non si trattava di un ruolo di chissà quale importanza all’interno della comunità Entuk. Agli alunni scelti veniva chiesto semplicemente di assicurarsi che la classe fosse sempre pulita prima e dopo le lezioni, ma era comunque bello sentirsi utili. 
Naki, che aveva da poco compiuto undici anni, percepiva dentro di sé, in un angolo segreto del petto, un immenso bisogno di sentirsi utile e dotato di senso. In quel mondo sempre bianco dove niente cambiava e in quella base, la Cava, dove tutti sembravano sapere bene come tenersi occupati e produttivi, lui non coglieva il significato di quell’instancabile giostra di giornate sempre uguali. 
“Concentrati sugli studi e sulla Pratica. Non hai bisogno di altro, per adesso”, gli aveva detto un paio di giorni prima Cesária, la giovane coordinatrice degli studenti, mentre supervisionava il lavoro di pulizia dell’aula fatto da Naki. “Tutto prenderà il proprio posto, a tempo debito”, aveva aggiunto poi con dolcezza facendogli segno di uscire dalla stanza. Quelle parole erano la risposta a una domanda che Naki non aveva posto. Non era stato necessario, visto che Cesária era bravissima a leggere i pensieri degli altri. O meglio, a immergersi in uno scenario parallelo, incastrato da qualche parte nel tempo e nello spazio, dove ciò che nella realtà veniva solo pensato si trasformava in dialoghi e conversazioni. Naki sapeva che in quelle settimane il suo stato d'animo era così in subbuglio che Cesária e gli altri Entuk che possedevano quell’abilità faticavano a non scivolare nella realtà parallela, quando si trovavano vicino a lui. 
Il ragazzino si guardò velocemente attorno prima di darsi una piccola spinta per alzarsi. Alla sua destra, dormivano tre suoi compagni, a sinistra quattro. Sopra la sua testa, altre otto nicchie, con altrettanti bambini. Davanti a sé, un’alta parete di cemento scuro, colma di sacchi a pelo e lettini, organizzata in modo speculare al lato lungo dove si trovava lui. Trentadue ragazzini, tutti profondamente addormentati, a parte lui. Sul lato corto della stanza più vicino a Naki, alla sua destra, un oblò di circa trenta centimetri di diametro permetteva ai piccoli ospiti della camerata di spiare la valle ghiacciata che si estendeva davanti alla Cava. La finestra rotonda era dotata di una tendina di acrilico scorrevole, che poteva essere alzata o abbassata a piacimento. Durante la notte il doppio vetro dell’oblò veniva oscurato con la tendina, ma spesso qualche centimetro rimaneva scoperto, permettendo ai timidi raggi di sole dell’alba di intrufolarsi nella camerata. 
Il più silenziosamente possibile, Naki aprì la pesante porta di metallo, che si trovava sul lato corto della stanza opposto a quello della finestra, e uscì dal dormitorio. Il corridoio del settore sud-est della Cava era ancora immerso nella penombra e nel silenzio. Il pavimento bianco rifletteva la luce delle poche lampade a muro che erano rimaste accese durante la notte, per permettere a chiunque ne avesse avuto bisogno di vedere e di non brancolare nel buio. Naki sbadigliò e premette i due interruttori neri che si trovavano a sinistra della porta: le lampadine spente si accesero con un ronzio, rendendo vagamente più vivi e meno inquietanti i muri di cemento grigio e il lungo corridoio di gomma bianca. 
​​Attraversò il corridoio e aprì la porta di metallo che aveva davanti a sé. Un lieve odore di disinfettante misto a urina lo accolse, quando entrò nel bagno che era abituato a condividere con i suoi compagni. Era uno stanzone ampio, ricoperto di piastrelle color verde menta: sulla parete antistante alla porta d’ingresso c’erano i soffioni delle docce, a destra sei cubicoli per i gabinetti e a sinistra altrettanti lavandini, uniti da un unico lungo specchio rettangolare. I singoli lavabi poggiavano su dei mobili sospesi, bianchi laccati. Si avvicinò all’ultimo lavabo, quello più vicino alle docce. Era quello che gli era stato assegnato e dove custodiva gli unici oggetti che poteva davvero chiamare suoi: uno spazzolino di legno, un asciugamano e la divisa da Entuk. Tutto il resto, era condiviso. 
Si lavò i denti con cura, osservando il suo riflesso nello specchio. Poi si levò velocemente il pigiama bianco, afferrò l’asciugamano, uno dei saponi presenti nel mobiletto del lavandino e mentre tremava per il freddo si infilò sotto il soffione della doccia più vicina a lui. Accolse con gioia il getto di acqua calda che lo colpì e si lavò con cura, ben felice di essere da solo in quel momento: essere capoclasse significava anche potersi lavare e preparare senza condividere il bagno con altri trentuno ragazzini. Nell’ultimo anno Naki era cresciuto molto e iniziava a vergognarsi sia della sua nudità, sia di quella dei compagni e delle compagne. Sulla pelle del ragazzino, scura quasi come la notte, iniziava a fare capolino una timida peluria, bianca come i suoi capelli crespi. Braccia e gambe erano diventate più lunghe, snodate e toniche. La sua voce, però, era ancora quella di un bambino. 
Il soffione della doccia si spense automaticamente dopo centocinquanta secondi dall’apertura del miscelatore: nella Cava, l’acqua calda non andava sprecata per nessun motivo. Naki si asciugò in fretta, ripose pigiama e asciugamano nel mobiletto e, prima di ricominciare a tremare, si infilò la sua divisa, composta da una maglia termica bianca, una calzamaglia imbottita nera, pantaloni bianchi di poliestere, un poncho bianco impermeabile con finiture nere e un paio di scarpe a calzino dello stesso colore. Non appena ebbe terminato di vestirsi, sentì un paio di colpi provenire dalla porta di metallo del bagno. Quando l’aprì, si trovò davanti Cesária. La ragazza era più anziana di Naki e degli altri ragazzini della camerata di una decina d'anni: loro erano della Generazione n.5, lei della n.4. Da quasi un anno aveva assunto il ruolo di coordinatrice e a Naki piaceva da morire. Era poco più bassa di lui, aveva una morbida pelle ambrata e grandi occhi color del miele sempre colmi di preoccupazione. Portava i lunghi capelli bianchi stretti in una coda di cavallo, da cui qualche ciocca ribelle sfuggiva sempre, per ricadere sul volto rotondo e dolce.
“Buongiorno, Naki, vedo che anche oggi sei riuscito a comandare il tuo risveglio. Molto bravo”, disse lei con voce quieta, “sei pronto?”
“Buongiorno, Cesária. Grazie, Cesária”, rispose il ragazzino in fretta, incespicando nelle parole. “Sì, sono pronto.”
“Andiamo, allora. Oggi voglio provare una cosa nuova con te”, disse la ragazza con un tono che tradiva un po’ di stanchezza e tensione. 
A quelle parole il cuore di Naki iniziò a battere più velocemente e una leggera vampata di calore gli avvolse il collo e le guance. 
L’aula non era lontana, visto che quasi tutto il settore sud-est era dedicato all’educazione della Generazione n.5. Bastò loro dirigersi verso la fine del corridoio, girare a sinistra e aprire la prima porta. La stanza era simile in tutto e per tutto a quella che ospitava la camerata. O quasi, visto che era più grande, aveva ben due oblò e al posto delle cuccette c’erano tavoli, sedie e piccole librerie di metallo. In un angolo, si trovava il mobile che conteneva i vari luminoproiettori che usavano durante le lezioni. Come ogni mattina, qualcosa era fuori posto. Questo accadeva nonostante i capiclasse si impegnassero a pulire la stanza al termine di ogni lezione. Naki, che non era mai stato un credulone o un ingenuo, sapeva bene che erano gli insegnanti o la stessa Cesária a spargere il disordine prima dell’alba, in attesa dell’arrivo del capoclasse. Era un piccolo test. Era la Pratica. 
“Forza, Naki, sai già cosa fare”, lo esortò la coordinatrice in un sussurro. Lui entrò nella stanza lasciandosi alle spalle Cesária e si concentrò con cura su tutto ciò che era dove non avrebbe dovuto essere. Poi chiuse gli occhi e si rifugiò in uno scenario parallelo dove poteva interagire con gli oggetti e l'ambiente attorno a lui senza che il suo vero corpo alzasse un dito: quella era la sua abilità. Si ritrovò intento a sollevare le due sedie rovesciate, a rimettere nella libreria i libri caduti, a chiudere l’anta del mobile dei luminoproiettori e ad asciugare la macchia di caffè che sporcava uno dei tavoli. Fece molta fatica a fabbricare quest’ultima immagine, visto che nella stanza non erano presenti stracci o panni, ma ci riuscì comunque. Quando riaprì gli occhi, provò per una frazione di secondo la sensazione di essersi davvero mosso e di aver faticato nel sistemare la stanza, ma poi si ricordò che nulla di tutto quello era reale. Ammirò il lavoro appena finito: davanti a sé, l’aula si mostrava in tutto il suo ordine. Si girò verso la porta per guardare Cesária con occhi colmi di attesa e speranza. La ragazza ricambiò lo sguardo per qualche secondo. Cosa si nascondeva in quegli occhi tanto grandi quanto irraggiungibili? Una punta di ammirazione? O forse, apprensione? 
“Bene. Ora siediti e aprimi la tua mente”, disse lei in tono piatto. Poi si spostò dalla porta e raggiunse uno dei tavoli.
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niconote · 29 days ago
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DARE VOCE Focus: Training e Parola un pomeriggio di Workshop con NicoNote • Domenica 1/12 @ Lo Studio Spaziale BOLOGNA
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DARE VOCE Focus su Training e Parola un pomeriggio di Workshop condotto da NicoNote
domenica 1 dicembre, h. 14.00 – 19.00
Lo Studio Spaziale, Via F. Albani 1/7 A Bologna
costo: 50 €
Info e iscrizioni: scrivi una mail a  [email protected] con oggetto:  Workshop 1 dicembre Bologna
deadline iscrizione: 22 novembre 
posti limitati
minimo iscritti 4
massimo iscritti 12
DARE VOCE / Focus su Training e Parolaun pomeriggio di Workshop sulla Voce condotto da NicoNote
Rivolto a tutti coloro interessati alla VOCE. NicoNote propone un pomeriggio di studio che prende le mosse dalle sue pratiche e il suo training e processo di messa in voce. Un pomeriggio di lavoro sulla Voce e sulla Parola, con momenti di pratica fisica e momenti di riflessione teorica e di esemplificazioni pratiche.
La ricerca vocale di NicoNote alias Nicoletta Magalotti sintetizza 40 anni di lavoro sulla VOCE nella pratica teatrale e musicale, nell’ incontro con maestri tra i quali Gabriella Bartolomei, Yoshi Oida, Roy Hart Theatre, Akademia Ruchu, Tiziana Ghiglioni, Francois Tanguy, nello sviluppo di un percorso artistico e didattico personalissimo. Un approccio alla Voce che abbraccia la tecnica vocale a 360° mutuando pratiche e studi sulla vocalità provenienti da diversi mondi musicali, teatrali, performativi fino a pratiche di meditazione sonora.
NicoNote propone un percorso che offre indicazioni sulle tecniche e fa luce sulle personali possibilità dei singoli, senza guardare il fatto vocale con agonismo e tensione.
Respiro Lo spazio Il qui e ora Ascoltare Sentire  Deep listening Parola Ritmo drammatico Gioco La condivisione Prendersi tempo
NicoNote (It/A) alias artistico creato nel 1996 da Nicoletta Magalotti  Sound poetry artist, autrice, performer e cantante. Agisce nei territori di musica, teatro, installazioni, clubbing, radiofonia, con produzioni artistiche e curatele – la sua identità artistica sta proprio nella ibridazione dei linguaggi. La sua ricerca vocale si intreccia all’incontro con maestri quali Yoshi Oida, Gabriella Bartolomei, Roy Hart Theatre, Akademia Ruchu, Tiziana Ghiglioni, François Tanguy. Tra 1984 e 1988 è la voce dei Violet Eves, band protagonista della new wave italiana con Litfiba, Diaframma, Moda, Underground Life, molto amata da Pier Vittorio Tondelli. Come musicista e cantante ha collaborato con artisti di estrazione molto diverse – come Patrizio Fariselli, Mauro Pagani, Teresa De Sio, Mauro Sabbione, Piero Pelù e Andrea Chimenti, Ghigo Renzulli, Roberto Terzani, Antonio Aiazzi, Mas Collective, Mikael Plunian, Luca Bergia, Davide Arneodo, Massimo Zamboni, Enrico Gabrielli, Stefano Pilia, Dj Rocca, Extraliscio, Elisabeth Harnik, Howie B, Klemens Hannigan, Leifur BjörnssonPaolo Cattaneo, Andrea Belfi, Woytek Blecharz, Solistenensemble Kaleidoscop e altri. Ricercatrice trasversale e non definibile, frequenta i club quanto i teatri, senza alcun pregiudizio: negli anni ‘90, al Cocoricò, crea il Morphine con il dj David Love Calò, realizzando la prima chillout room italiana, luogo di radicali sperimentazioni musicali e performative. È stata diretta più volte da registi quali Romeo Castellucci e Socìetas Raffaello Sanzio, Patricia Allio, Maurizio Fiume, Fabrizio Arcuri, Silvia Costa, fino al teatro musicale di Francesco Micheli e allo Storytelling con Luca Scarlini, NicoNote si è dedicata in parallelo alla realizzazione di drammaturgie e performance sonore sovente diventate produzioni discografiche. Autrice di un’avventurosa discografia, è stata protagonista di tournée musicali e teatrali in Europa, Canada, Argentina, Brasile. Negli ultimi anni ha pubblicato su Music from Memory, Mille Plateaux, DSPPR, Cinedelic e altre. Realizzato con il produttore Wang Inc. per Rizosfera / Rough Trade, l’album “Limbo Session Vol I” è stato tra i 10 migliori album del 2021 per la rivista Blow Up. È una voce del progetto Donnacirco ( La Tempesta dischi) . Conduce regolarmente masterclass sulla vocalità e collabora con Tempo Reale Firenze, Accademia Kataklò Milano.  Recentemente NicoNote ha contribuito allo spettacolo di teatro musicale sperimentale "Buffalo Gals, Won't You Come Out Tonight", basata sull'omonima favola utopica di Ursula K. Le Guin. Regia di Silvia Costa e musiche di Solistenensemble Kaleidoskop e dei compositori Andrea Belfi e Wojtek Blecharz. Prodotto e rappresentato a Radialsystem Berlino, luglio 2024. In uscita nel settembre 2024 REGOLA suite in 9 quadri ispirata a Hildegard von Bingen, concept album elettronico immersivo, vinile e digitale su etichetta NIM New Interplanetary Melodies /Big Doings. Syntonic è il suo programma mensile su Radio Raheem.
imamgine: Volto che canta / Marco Mazzoni
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multiverseofseries · 1 month ago
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Under Paris: più che un film, uno spot per Parigi
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Uno squalo, la Senna e un didascalico messaggio ambientalista: Under Paris di Xavier Gens spreca la buona idea, incastrandosi in un film che sembra una pubblicità in occasione delle Olimpiadi 2024. Su Netflix.
Ragionandoci su, c'era da aspettarselo che, ad un certo punto, sarebbero entrate in scena le Olimpiadi di Parigi. All'inizio del film, disponibile su Netflix, non potevamo certo mettere in correlazione l'evento scatenante del plot con l'appuntamento sportivo dell'estate 2024. Eppure, scorrendo, il parallelo ha una sua logicità, nonostante l'opera sia qualcosa di diametralmente opposto alla razionalità. Ecco, Under Paris, diretto da Xavier Gens, asciuga ogni sospensione dell'incredulità, trasportandoci in un thriller che, al netto della buona idea, ha di contro un'eccessiva seriosità che sfilaccia l'assurdità del plot.
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Bèrènice Bejo, protagonista del film
Under Paris, co-produzione franco-belga sembra infatti sia stato pensato per anticipare e accompagnare le Olimpiadi parigine, portandoci a scoprire la capitale francese da un'altra prospettiva (cartolina cine-turistica? Sì, siamo da quelle parti). Chiaro, la realtà e la credibilità non vanno ricercate certo in un film, tuttavia quello di Gens non riesce (quasi mai) a farci sospendere l'incredulità, puntando fin dalla scena iniziale - lunghissima - ad un effetto artificialmente costruito, che confluirà in una parte centrale in cui si mischia tutto: action, survival, tematiche green e ambientaliste, fino alla disobbedienza sociale come legittima presa di posizione contro il potere.
Under Paris: c'è uno squalo nella Senna?!
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Studiando gli squali
Tra l'altro, la storia di Under Paris (firmata dal regista insieme a ben altri quattro autori, Yannick Dahan, Maud Heywang, Yael Langmann) potrebbe essere tecnicamente riassunta in mezza riga: uno squalo si aggira tra i fondali della Senna. Il punto è: come ci è arrivato uno squalo, nella Senna? Scopriamo che il carcarodonte parigino fa parte di un gruppo di esemplari già seguiti e studiati dalla dottoressa Sophia (Bérénice Bejo), prima che divorasse la sua squadra di studio, in un incidente nel bel mezzo del Pacifico. Sophia, che ha mollato le ricerche in mare lavorando in un acquario, capisce che l'enorme carcarodonte potrebbe essersi incredibilmente adattato, trovando rifugio nei canali subacquei della Catacombe di Parigi. Ad aiutare Sophia nelle ricerche c'è Adil (Nassim Lyes) della polizia fluviale, inizialmente scettico. Oltre le rimostranze degli ambientalisti, i due si troveranno ad affrontare una corsa contro il tempo: catturare lo squalo prima delle prove del triathlon delle Olimpiadi, che si terranno proprio nelle acque della Senna.
Uno spot per Parigi 2024?
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Giù nelle catacombe
Se solo l'idea di nuotare in uno dei fiumi meno limpidi d'Europa (per usare un eufemismo) può farvi accapponare la pelle, va detto che lo squalo è, da sempre, simbolo di un certo cinema ad effetto (inutile stare a ricordare Spielberg, o il trash dichiarato di Sharkando), suscitando un concettuale interesse anche in un contesto d'acqua dolce. Ciononostante, Under Paris prosegue mettendo in serie una sequela di momenti auto-compiaciuti (mostrando e dimostrando i quasi 20 milioni di budget), che girano su sé stessi, senza far progredire a dovere quello che poteva essere uno spassionato guilty pleasure. Invece, c'è un'atmosfera sussiegosa che depotenzia il film di Xavier Gens, generando un cortocircuito tra intenzioni, aspettative e risultato finale.
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A spasso per la Senna
La tensione, di conseguenza, è palesemente artificiale, e poco incline ad una malleabilità narrativamente adattiva. Tra l'altro, sembra un pretesto la sfumatura ambientalista, per una backstory popolata da ragazzine con zuccotto e capelli colorati. Una sfumatura narrativa che, purtroppo, ragiona per didascalia piuttosto che per sostanza. Chiaro, ogni opera va contestualizzata (e quella di Gens rientra nel classico film-in-streaming da vedere senza impegni), ciononostante Under Paris pare addirittura sfuggire alla sua mission (sottintesa, e goffamente nascosta) votata all'intrattenimento, pendendo per una formalità scritta e pensata solo per illuminare la Senna di Parigi, come se fosse il pitch di uno spot pubblicitario.
Conclusioni
Uno squalo che nuota nella Senna? Possibile in Under Paris. Forte di un'idea interessante, il prodotto però si incastra in una sorta di approccio cine-turistico, anticipando le Olimpiadi 2024 per un pretesto narrativo che sembra essere più vicino alla spot. L'atmosfera seriosa e il messaggio ambientalista, didascalico e svogliato, non aiutano. Peccato. Una domanda sorge spontanea chissà se lo squalo ha visto dove è caduta la fede di Tamberi?
👍🏻
La buona idea di partenza.
Gli scenari parigini…
👎🏻
…Ripresi come se fossero uno spot.
Il pretesto delle Olimpiadi 2024 sembra un traino pubblicitario.
Il messaggio ambientalista, didascalico e artificiale.
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