#lingue turche
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pier-carlo-universe · 22 days ago
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Le Parole del Dialetto di Yakkabog: Un Tesoro Linguistico da Preservare
L’importanza dello Studio dei Dialetti per la Cultura e l’Identità Nazionale.
L’importanza dello Studio dei Dialetti per la Cultura e l’Identità Nazionale. Biografia dell’Autrice.Jumayeva Farangiz, studentessa al primo anno presso l’Università di Tecnologie dell’Informazione e Gestione, Facoltà di Scienze Sociali, con specializzazione in Educazione Primaria, proviene dalla regione di Kashkadarya. Con un interesse accademico per la linguistica e la cultura, Farangiz dedica…
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unmeinoakaito · 5 months ago
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Cara F.
Voglio ricordarti così: con il tuo sorriso, la tua voglia di essere ancora un'eterna Peter Pan, la tua voglia di stare al fianco delle persone a cui hai amato e sempre pronta ad aiutare chi aveva più bisogno, tra cui me!
Voglio avere un bel ricordo di te.
Voglio ricordarmi di te quando vedrò le serie turche e penserò che anche tu come me amavi guardarle.
Voglio ricordarmi di te, quando guarderò un cartone animato della Disney e pensare al tuo amore per questi film, che ancora oggi ti regalavano la spensieratezza che ti caratterizzava.
Ne abbiamo passate tantissime insieme, ci divertivamo a chiacchierare, forse troppo perché come diceva tuo fratello "avete le lingue come un treno. Non tacete mai.
Mi ricorderò di te quando sarò in camera mia, e vedrò quella Minnie Mouse gigante che mi hai regalato due anni fa per il mio compleanno. È stato uno dei più bei regali che ho ricevuto, lo hai sempre saputo che amo i peluche.
Ricordo quando la domenica mattina ci vedevamo a pranzo, e ti portavo il mio quaderno con i disegni due avevo fatto in settimana e te li mostravo.
Ricordo quando eri così felice, che siamo andati al ristorante di pesce, che tu pazzamente amavi, perché rarissime volte uscivi, per via della depressione degli ultimi tempi. Sembravi una bambina sotto l'albero il giorno di Natale.
Inizialmente non andavamo d'accordo perché io sono fredda caratterialmente e in generale non sopporto il genere umano, e spesso sono scontrosa con le persone nuove, che conosco poco, perché ho sofferto tanto in passato, ed aprirmi non è più stato facile per me.
Ma poi tra noi è scattato quel qualcosa che ci ha reso unite e complici in tutto e per tutto, come fanno due sorelle.
Ciao F. spero che raggiungerai un posto meraviglioso dove portare la tua solarità, anche se ultimamente ti aveva abbandonata, ma che ora riavrai.
Ciao F. ti ricorderò sempre con immenso affetto, proprio come se fossi la mia sorella maggiore.
Un giorno, spero con tutto il cuore che ci rivedremo e so che continueremo le nostre chiacchierate, come se nulla fosse minimamente cambiato.
Ciao.
@unmeinoakaito (Ven 23.08.24 h 11:48) // @unmeinoakaito
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muretti-di-interlagos · 5 years ago
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Quando mi toccò l’esame di maturità era il primo anno in cui era stata reinserita la commissione mista. I tre prof di lingue straniere erano interni mentre esterni c’erano italiano, economia aziendale e geografia economica. Siccome c’erano solo sei professori più il presidente della commissione, il ruolo delle altre materie oltre a quelle sei era piuttosto sommario. Quelli interni erano stati sceti sulla base del fatto che come seconda prova avevamo lingua straniera (facevo l’istituto tecnico commerciale a indirizzo linguistico, penso che al giorno d’oggi si chiami liceo economico/turistico o qualcosa del genere) e dato che potevamo scegliere una qualsiasi delle tre lingue dovevano per forza esserci tutti e tre.
Il primo martedì dopo la fine dell’anno scolastico la nostra prof d’italiano aveva organizzato un incontro a scuola per aiutarci a sistemare le nostre tesine e per darci qualche dritta. Fu disponibilissima. Ricordo che alcuni avevano dei grossi dubbi e che io che ero tutto sommato abbastanza a posto aiutai L. che a scrivere al computer era una frana a spiegargli come doveva sistemare la punteggiatura nella copia che avrebbe presentato ai professori. Però ricordo meglio che nel momento in cui entrai in aula e mi sedetti, in una fila di banchi da tre con S. e L., L. mi domandò, con entusiasmo “hai visto Sato?” riferendosi al suo sorpasso su Alonso del GP di due giorni prima. S. che era la solita guastafeste ci disse di stare zitti. Peggio per lei, non sa cosa si è persa.
Ricordo anche che sia quel giorno a quell’incontro sia all’esame di maturità eravamo nel lato della scuola in cui durante l’anno c’erano le classi del liceo scientifico, che era stato scelto quel corridoio perché era il meno caldo della scuola e che odiavo quella collocazione perché nei bagni da quel lato della scuola c’erano le turche invece dei water, e io detesto i bagni con la turca, visto il mio poco senso dell’equilibrio. >.< Comunque, in generale, fu abbastanza un trauma, l’avvicinarsi dell’esame, passato più che altro a ripassare un sacco di cose che poi non mi sarebbero state chieste.
Con la commissione mista beccammo a metà bene e a metà male, geografia era calmissima, italiano una via di mezzo, economia uno stronzo colossale e il presidente della commissione uno che stava sempre a farsi i fatti suoi tranne quando doveva correggere qualcuno. I nostri professori invece erano calmissimi e approfittavano del fatto che all’orale con loro dovevamo esporre argomenti in lingua straniera, quindi se sbagliavamo qualcosa non ci correggevano e facevano finta di niente. Comunque più il tempo passava e più mi saliva l’ansia, anche se a scuola di fatto non avevo mai avuto problemi e con i voti che avevo sapevo fin dal primo giorno che potevo ambire a un voto dal 90 in su, anche se speravo non per il 90 ma per l’ “in su”.
Ricordo alla prima prova di avere fatto il saggio breve socio-economico, l’argomento mi pare fosse la giustizia o qualcosa del genere. Alla seconda prova ho fatto inglese ad argomento turistico (il testo era sull’organizzazione delle olimpiadi di Pechino che sarebbero state l’anno seguente). Alla terza prova non ricordo con esattezza tutto, ma ricordo che sono andata male come tutta la classe in economia perché la nostra prof aveva sempre insegnato al CEPU ed era ben poco esigente considerandoci tutti dei secchioni, quindi sapevamo troppo poco per gli standard del professore esterno.
All’orale esposi la mia tesina sullo squilibrio tra nord e sud del mondo (non so se si usi ancora al giorno d’oggi questa definizione), che un range di argomenti che andavano dall’epoca coloniale agli investimenti diretti esteri passando per Pascoli (che aveva scritto un discorso sulla colonizzazione della Libia), Kipling (sempre per letteratura a sfondo colonialista, immagino), sui possedimenti d’oltremare francesi e sulla guerra d’Algeria. Ricordo qualcuno degli esterni chiedendomi se mi ricordassi il nome di un trattato sulla colonizzazione spagnola e portoghese. Io non capii la domanda e intervenne non ricordo chi tra gli altri professori esterni, per ricordarmi che era il trattato di Tordesillas. Lo sapevo. Non perché l’avessi scritto nella tesina, ma perché l’avevo scritto, con un errore di ortografia, negli appunti di terza superiore e quel dettaglio mi era rimasto impresso.
Il trattato di Tordesillas fu il turning point del mio esame di maturità, o almeno, il primo. Mi fece capire che, se volevo raggiungere il mio vero obiettivo, non dovevo farmi trollare come era appena successo e questo mi fu utile in quello che restava del mio esame. Quando iniziarono le domande sugli argomenti del programma, il prof di economia mi fece parlare della break even analysis. Ho già detto che era uno stronzo e lo era perché se non rispondevi subito, iniziava a parlare lui e a dire la risposta. Se rispondevi, lo faceva. I miei compagni di classe, per rispetto, stavano zitti per non interromperlo. E non era quello che lui voleva. Dai pettegolezzi che giravano sono stata una delle due persone che gli ha parlato sopra e una delle due persone a cui quel professore non ha assegnato un punteggio insufficiente.
La break even analysis è stata quindi il secondo punto di svolta. A quel punto, non so come, quando la prof d’italiano ha voluto in qualche modo che dicessi che D’Annunzio nella “pioggia nel pineto” aveva voluto ricreare il ritmo della pioggia che cadeva, cosa di cui non avevo la più pallida idea, sono andata a intuito e gliel’ho detto. Poi è finita. Ho coronato il mio sogno, anzi, i miei due sogni, perché tredici anni dopo lo posso ammettere senza problemi. Il mio primo sogno dipendeva totalmente dal mio esame (oltre che dalla fortuna e dai professori) ed era diplomarmi con 100. Il mio secondo sogno, dopo essere stata vista per tanti anni come la “seconda della classe” e un po’ snobbata dall’ipercompetitività altrui era essere l’unica a riuscirci. Io ho avuto 100, l’altra 96.
A tredici anni di distanza mi rendo conto di quanto il mio esame di maturità sia stato una grande soddisfazione dal punto di vista scolastico, ma anche di quanto abbia avuto indirettamente effetti negativi sulla mia vita. Forse se la maturità fosse andata un po’ peggio delle mie aspettative, mi avrebbe scoraggiato per il futuro. Venivo da un istituto commerciale, da cui uscivano più che altro persone che si cercavano un lavoro, invece di andare all’università. Era il 2007, trovare lavoro era relativamente facile (la S. a cui non fregava un bel nulla di Sato, a fine luglio faceva già la commessa alla Coop e a settembre veniva assunta come impiegata da Bartolini con un contratto di un anno).
Non so fino a che punto la mia vita sarebbe stata migliore se non fossi andata all’università, ma alla fine probabilmente mi sarei ritrovata a fare un lavoro simile a quello che faccio ora e sarei arrivata un po’ ovunque in anticipo di cinque anni se non di più (cinque e qualche mese di università, più i dieci mesi di disoccupazione post-laurea dato che mi sono laureata in uno dei momenti di peggiore crisi economica). Non avrei una laurea, però i miei anni di università non sono stati sempre positivi. La triennale non è andata neanche male, ma poi alla magistrale, oltre ad avere dovuto scegliere un po’ un percorso obbligato, le cose sono un po’ precipitate.
Volevo solo laurearmi per non deludere la famiglia dopo tanti sacrifici e poi cercarmi un lavoro possibilimente in un altro settore per chiudere per sempre con quello che stavo studiando. In più, senza università avrei probabilmente messo da parte più soldi e potuto aiutare i miei genitori a comprarsi l’appartamento qualche anno prima. E se mi fosse toccato di guadagnare 500 euro al mese per un anno perché nel mio primo posto di lavoro proprio non volevano farmi un contratto di lavoro ma solo di stage, guadagnare 500 euro al mese a 19 anni sarebbe stato umanamente più accettabile che guadagnare 500 euro al mese a 25.
Con questo, ho fatto un giro dell’oca interminabile per non dire niente di quello che volevo dire, ma scrivere dei papiri interminabili sembra essere il mio punto debole. Voglio solo dire che, se qualcuno dei miei lettori deve fare la maturità quest’anno (di @elenainlovewithf1andparis lo so per certo, non so se ci sia qualcun altro), in un periodo così caotico, con modalità mai viste prima e senza avere potuto avere molto supporto da parte dei professori (per esperienza ricordo che anche quelli più severi, fiscali o stronzi, ormai che stavamo finendo erano decisamente meno severi, fiscali o stronzi e cercavano un po’ di darci una mano), io tifo per voi. *-* In becco al gufo! <3
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fabianocolucci · 5 years ago
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Le lingue non Indo-europee parlate in Europa
La maggior parte delle lingue ufficiali nel continente europeo appartengono alla famiglia delle lingue Indo-Europee, che comprende anche persiano (Iran), pashto (Afghanistan), urdu (lingua predominante tra i musulmani del continente indiano), i discendenti del sanscrito e così via.
Tuttavia, non tutti i Paesi europei hanno una lingua ufficiale che proviene dalla famiglia del latino e del greco, per cui mi andava di mostrarvi quali sono le nazioni con lingue non Indo-Europee.
Paesi Baschi (tra Spagna e Francia)
Non solo il basco non è indo-europeo, ma è anche più antico di questa stessa famiglia. Infatti, ci sono molti linguisti che cercano di scoprire il mistero, tutt’ora irrisolto, di questo idioma.
Ungheria, Finlandia ed Estonia
Le lingue ugro-finniche appaiono più complesse e “strane” a noi che parliamo una lingua indo-europea perché compongono una famiglia a parte. Anzi, c’è chi ipotizza che siano la parte più occidentale di una super famiglia, le lingue uralo-altaiche.
Georgia
Il Caucaso vede tre famiglie linguistiche diverse, ed il georgiano viene dalle lingue cartveliche.
Azerbaigian, Turchia e Kazakistan
La lingua azera è talmente simile al turco da sembrare una sorta di “dialetto”. Con la lingua uzbeka, credo rappresenti il parente più vicino al turco.
Le lingue turche sono considerate un ramo delle ipotetiche “lingue altaiche”, ma è una teoria alquanto screditata, così mi limito a dire che sono “lingue turche”.
Ah, forse vi starete chiedendo perché ho messo tre nazioni transcontinentali ma non l’Armenia. Il motivo è che l’armeno non solo è una lingua indo-europea, ma costituisce un ramo a sé stante, come il greco e l’albanese.
Malta
Il maltese è una lingua afro-asiatica, una famiglia talmente antica che gli antichi egizi ne parlavano una. Ebraico e aramaico sono due lingue afro-asiatiche, per farvi capire.
Mi diverte che una famiglia chiamata afro-asiatica sia rappresentata nell’Unione Europea come lingua ufficiale, ma è che il maltese deriva dall’arabo parlato in Sicilia secoli fa.
Ovviamente, ci sono molte minoranze etniche che parlano la propria lingua, ma queste sono lingue ufficiali. Inoltre, è un articolo un po’ “frettoloso”, scritto tanto per curiosità. Si nota anche dal fatto che scrivo Indo-Europeo a tratti con le maiuscole ed altri con le minuscole.
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pangeanews · 5 years ago
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“Attraverso stretti sentieri di montagna noti solo ai cacciatori di farfalle e ai poeti vagabondi”: intervista a Vladimir Nabokov
L’occasione avrebbe ingolosito qualsiasi scrittore. Non lui.
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In Francia era uscito Ada o ardore, uno dei romanzi più complessi di Vladimir Nabokov, edito cinquant’anni fa, nel 1969. Il mitico Bernard Pivot invitò l’autore nella sua trasmissione culturale, “Apostrophes”, che sarebbe diventata, come si dice, ‘di culto’. Si trovò a domare una alchemica belva, uno scrittore cristallizzato nella sua devota impenetrabilità.
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Così, nel 1987, Bernard Pivot ricorda Nabokov. “Era anti-televisione. Sono andato a trovarlo a Montraux, nell’albergo dove abitava. Eravamo in una grande sala, con un pianoforte. Poi passammo in un’altra, con un altro pianoforte. Ma arrivò l’accordatore e dunque ci spostammo in un’altra sala ancora, dove c’era un altro pianoforte: era una scena assai nabokoviana. Passai il tempo a compiacere lui e la moglie. Per vincere la sua timidezza, in diretta televisiva, mi chiese di poter bere del whisky. Non voleva, però, dare una cattiva impressione al pubblico francese, perciò versammo una bottiglia di whisky in una teiera. Ogni quarto d’ora gli chiedevo: ‘Ancora un po’ di tè, monsieur Nabokov?’. Era un genio ironico, era astuto, impudente, di clamorosa intelligenza. Nella mia memoria, Nabokov è una icona. Verso quella puntata del programma provo un sentimento quasi religioso”.
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La puntata televisiva andò in onda il 30 maggio 1975. Nabokov avrebbe dovuto rispondere ad alcune domande del presentatore e di alcuni critici, come era prassi. Si rifiutò. Secondo le sue consuetudini, Nabokov si fece inviare con un certo anticipo le domande, di modo da predisporre le risposte in forma scritta. Le leggeva, debitamente nascoste sotto una pila di libri. Ciò avrebbe corrotto la spontaneità del programma, ma a Nabokov di risultare ‘spontaneo’ agli occhi altrui non importava: per lui l’autenticità è riposta nella finzione. Ora quella intervista è raccolta nel volume, appena pubblicato per Penguin, Think. Write. Speak, che assembla, appunto, “Uncollected Essays, Reviews, Interviews” di Nabokov, per la cura del suo biografo, Brian Boyd. Qui si traducono alcuni brandelli di quella fatale intervista. (d.b.)
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Sono le 21.47 e 47 secondi. Cosa fa Vladimir Nabokov, di solito, a quest’ora?
A quest’ora sono sotto le coperte, con tre cuscini dietro la testa, il berretto da notte, nella modesta camera da letto che mi serve anche da studio. Ho una luce sul comodino, il faro che illumina le mie insonnie, brucia ancora, tra poco la spegnerò. Ho in bocca una caramella a forma di losanga, tra le mani un settimanale di New York o di Londra. Lo metto da parte. Spengo la luce. Riaccendo la lampada per mettere un fazzoletto nella tasca del mio pigiama, e proprio ora comincia l’aspro dibattito interiore: prendere o non prendere il sonnifero? La soluzione positiva è una delizia.
Immagino che da ragazzo avrà avuto una vita piena di passioni, di ardori che hanno alterato le sue notti…
Beh, certo, a 25 o 30 anni era tutto energia, capriccio, ispirazione: potevo scrivere fino alle 4 del mattino. Raramente mi alzavo prima di mezzogiorno, scrivevo per tutta la giornata, steso sul divano. La penna e la posizione orizzontale hanno lasciato il posto alla matita e a una austera verticalità. Quel tempo è terminato. Eppure, come rimpiango il risveglio degli uccelli, la canzone sonora dei merli, che pareva applaudire le ultime frasi di un capitolo che avevo appena terminato di comporre.
Riesce a immaginare una vita diversa da quella dello scrittore?
Ma certo: una vita in cui non sono romanziere, ma il tronfio affittuario di una torre d’avorio di Babele. Sarei altrettanto felice in un altro modo – che, per altro, ho praticato – cioè nelle vesti di un oscuro entomologo che passa l’estate a caccia di farfalle, in regioni magnifiche, e l’inverno classificando le sue scoperte nel laboratorio di un museo.
Si sente più russo, americano, o, dal momento che vive in Svizzera, svizzero?
Le narro alcuni dettagli della mia vita cosmopolita. Sono nato a San Pietroburgo, in una vecchia famiglia russa. La nonna paterna era di origine tedesca, ma non ho mai imparato così bene quella lingua da poterla dominare senza dizionario. Ho trascorso le prime diciotto estati della mia vita in campagna, nella nostra tenuta, non lontana da Pietroburgo. In autunno andavamo a Sud, a Nizza, a Pau, a Biarritz. In inverno, sempre a Pietroburgo, che ora si dice Leningrado: la nostra bella casa in granito rosa esiste ancora, almeno all’esterno: anche l’architettura del passato è una sorta di tirannia. La nostra tenuta, nelle foreste, a settentrione, è in luoghi che ricordano l’America nord-occidentale: boschi di pioppi luminosi e di pini oscuri, molte betulle, splendide paludi con una moltitudine di fiori e di farfalle, a volte artiche. Questa fase totalmente felice della mia vita durò fino al colpo di stato bolscevico: la tenuta fu nazionalizzata. Nell’aprile del 1919 tre famiglie Nabokov, quella di mio padre e quelle dei suoi due fratelli, furono costrette a lasciare la Russia, attraverso Sebastopoli, un’antica fortezza sfortunata. L’esercito rosso proveniente da nord stava invadendo la Crimea, dove mio padre era stato ministro della giustizia nella breve fase del governo liberale, prima del terrore bolscevico. Lo stesso anno, nell’ottobre del ’19, ho iniziato i miei studi a Cambridge.
Qual è la sua lingua prediletta: il russo, l’inglese o il francese?
La lingua dei miei antenati è ancora quella in cui mi sento perfettamente a mio agio, ma non mi pentirò mai della mia metamorfosi americana. Il francese – o meglio, il mio francese – non cede facilmente ai colpi di scena della mia immaginazione; la sua sintassi mi impedisce certe libertà che prendo e pretendo dalle altre due lingue. Inutile ribadire che adoro il russo, ma l’inglese è più efficace come strumento di lavoro, è superiore per la ricchezza di sfumature, nella prosa frenetica, nella precisione poetica… d’altronde, a tre anni parlavo inglese meglio del russo, l’ho letto e l’ho scritto prima del russo. C’è stato un periodo, nella mia Russia personale, che leggevo una prodigiosa folla di autori inglesi – Wells e Kipling, soprattutto – pur parlando inglese di rado, tanto più che a scuola non c’erano lezioni di inglese (ma avevamo ore di francese). Ho imparato il francese a sei anni, dalla mia governante, Mademoiselle Cécile Miauton, che restò nella nostra famiglia fino al 1915. Iniziai con I miserabili, ma i veri tesori mi attendevano nella biblioteca di mio padre: a 12 anni conoscevo tutti i beati poeti di Francia. Questo è il regesto delle mie tre lingue.
L’esilio non è forse, per quanto desolante, uno stimolo per l’artista, una condizione che arricchisce la sensibilità?
Può darsi, ma non tutti preferiscono diventare bastardi o fantasmi. Si può passare da Mentone a Sanremo con molta calma, attraverso stretti sentieri di montagna, noti soltanto ai cacciatori di farfalle o ai poeti vagabondi.
Perché vive in Svizzera, perché in un albergo?
La Svizzera è affascinante, la vita in un albergo semplifica un mucchio di cose. Mi manca molto l’America e spero di tornarci per un altro soggiorno di vent’anni. Una vita tranquilla in una città universitaria americana non presenterebbe alcuna differenza sostanziale dalla vita a Montreux, dove, inoltre, le strade sono più rumorose di quelle americane, in provincia. D’altronde, poiché non sono abbastanza ricco – di una ricchezza di cui nessuno gode – per rivivere la mia infanzia, non vale la pena vivere ovunque. Voglio dire, è impossibile percepire il gusto del cioccolato svizzero del 1910: dovrei costruire una fabbrica. Mia moglie e io abbiamo pensato di abitare in una villa in Francia o in Italia, ma lo spettro degli scioperi postali ci è apparso in tutto il suo orrore. Le persone dalla professione stabile, ostriche quiete avvinghiate allo scoglio natio, non si rendono conto di come la posta regolare e affidabile, come è quella Svizzera, sia necessaria per la vita di uno scrittore, anche se di prassi si tratta quasi sempre di vaghe lettere commerciali e di due o tre richieste di autografi. Poi c’è la vista del lago – questo lago che vale tutto l’argento liquido a cui somiglia.
Pensa che le storie inventate da un romanziere siano più interessanti della vita vera?
Cerco di essere chiaro: la vera storia di una vita veramente eccitante scritta dalla penna prudente di un uomo privo di talento risulta assai insipida accanto a una meravigliosa invenzione come l’Ulisse di Joyce.
Nabokov è Lolita. Non è infastidito dal successo clamoroso di Lolita, tale che la gente ha l’impressione che sia lei il padre di questa figlia unica, piuttosto perversa?
Lolita non è perversa. È una povera bambina resa dissoluta, i cui sensi non si eccitano sotto le carezze di quel folle di Humbert Humbert: soltanto una volta lei si chiede, “per quanto tempo avremmo vissuto in luoghi soffocanti a fare cose sporche?”. Per rispondere alla sua domanda: no, il successo non mi infastidisce, non sono come Conan Doyle, che per snobismo o semplice stupidità preferiva essere ricordato come l’autore di The Great Boer War, ritenendolo superiore a Sherlock Holmes. Piuttosto, è interessante soffermarsi su come, così affermano i giornalisti, il degrado della ‘ninfetta’ Lolita, che ho inventato nel 1955, sia evoluto nella mente del grande pubblico. Non solo la perversità di questa povera bambina è stata esagerata in forme grottesche, ma anche la sua età e il suo aspetto fisico: tutto è stato trasformato dalle illustrazioni delle edizioni straniere. Ragazze di diciotto anni o giù di lì, modelle a buon mercato, semplici criminali con le gambe lunghe sono stati battezzati ‘ninfetta’ o ‘Lolita’ nelle cronache dei giornali italiani, francesi, tedeschi; senza parlare delle copertine delle traduzioni turche o arabe che raggiungono l’apice dell’inettitudine quando mostrano una giovane donna dalle forme opulente, la criniera bionda e un seno pazzesco, immaginato solo da chi non ha letto il libro. In realtà, Lolita è una bimba di dodici anni, mentre Humbert Humbert è un uomo maturo, ed è l’abisso tra la sua età e quella della bambina che scava la vertigine, il vuoto, la seduzione del pericolo mortale. In secondo luogo, è solo l’immaginazione di quel triste satiro a rendere magica una scolaretta americana, normale, perfino banale, come lo è per altro Humbert. Al di là dello sguardo maniaco di Humbert, non esiste alcuna ‘ninfetta’. Lolita la ‘ninfetta’ esiste solo nell’ossessione distruttiva di Humbert. In questo caso, l’aspetto essenziale di un libro unico è stato tradito da una fama fittizia.
Ada è imparentata a Lolita?
Ada e Lolita non sono imparentate in alcun modo. Nel mondo della mia immaginazione – poiché l’America di Lolita è, in definitiva, tanto immaginaria quanto il luogo in cui vive Ada – queste due ragazze appartengono a classi e livelli intellettuali diversi. Ho parlato del primo dei due, più morbido, più fragile, più bello (quello di Ada non è certo carino). Ho parlato dell’abisso di anni che separano Humbert da Lolita. D’altronde, il lettore non troverà nulla di morboso o di raro in un ragazzo di 14 anni che si innamora della ragazza con cui gioca. Certamente, questi due adolescenti si spingono oltre, e il fatto che siano fratello e sorella creerà dei problemi che il buon moralista non fatica a comprendere. Ciò che non è prevedibile, invece, è che Ada e il suo amato, dopo diversi disastri, si riuniscano, rasserenati, nello splendore di una vecchiaia ideale.
Ciò che colpisce particolarmente, in “Ada”, è la preoccupazione per i dettagli, il fascino per le farfalle…
Ad eccezione di alcune farfalle svizzere, in Ada ho inventato alcune specie. Penso che sia la prima volta, in un romanzo, che uno scrittore abbia inventato farfalle scientificamente plausibili.
È favorevole alla protezione della natura?
La protezione di alcuni animali rari è cosa eccellente; assurda quando l’ignoranza si associa alla pedanteria. È perfettamente giusto riferire a un venditore che la specie di farfalla che ha nel negozio è a rischio di estinzione, perché i mercanti raccolgono i bruchi di questa bellissima creatura su una conifera comune. Ma è assurdo quando un guardiacaccia proibisce a un vecchio naturalista di muoversi con la sua vecchia rete in un’area riservata dove vola una certa farfalla, il cui unico alimento – una pianta che per il guardiacaccia non significa nulla – è un cespuglio dai fiori gialli che cresce spesso intorno alle vigne. Ovunque ci sia questo cespuglio, si trova quel tipo di farfalla: per questo, è il cespuglio che deve essere protetto. Neppure un milione di collezionisti potrebbero portare all’estinzione questa farfalla azzurra se solo i vignaioli smettessero di estirpare, per qualche misteriosa ragione, quel cespuglio lungo i vigneti del Rodano. Gli agricoltori, con i loro pesticidi infernali, i cretini che bruciano pneumatici e materassi in zone di nessuno: questi sono i veri colpevoli, non certo lo scienziato senza il quale il guardiacaccia non saprebbe distinguere una farfalla da un pipistrello o da un angelo.
Ama il calcio?
Sì, ho sempre amato lo sport. Facevo il portiere, nella squadra della scuola, in Russia, poi all’università, in Inghilterra, e in una squadra di russi ‘bianchi’ a Berlino, negli anni Trenta. Una volta abbiamo giocato contro una squadra di operai tedeschi piuttosto sinistri, infastiditi dal mio maglione del Trinity College. Il mio ultimo ricordo risale al 1936. Dopo uno scontro, nel fango, mi sono svegliato sul lettino di un ospedale. Avevo preso la palla. L’avevo presa bene. La tenevo ancora sul petto mentre mani impazienti cercavano di strapparmela.
L'articolo “Attraverso stretti sentieri di montagna noti solo ai cacciatori di farfalle e ai poeti vagabondi”: intervista a Vladimir Nabokov proviene da Pangea.
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calabriawebtvcom · 6 years ago
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LABEL EUROPEO DELLE LINGUE 2018
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LABEL EUROPEO DELLE LINGUE 2018
Un fine 2018 con il botto per l’Istituto Tecnico Tecnologico G. Malafarina, diretto dal professore Domenico Servello. Il Dirigente che ha in serbo una serie di novità strepitose che andranno ad implementare il già ricchissimo carniere dell’offerta formativa, ha appena ricevuto il prestigioso Label Europeo delle Lingue 2018
per il progetto Erasmus+ Ka219 “Modern Extrovert European Tales”. Il riconoscimento, assegnato a sole 15 candidature tra Istituti di Ricerca, Università e Scuole dell’intera penisola, ha premiato i progetti capaci di dare sensibile impulso all’insegnamento e all’apprendimento delle lingue mediante innovazioni e pratiche didattiche efficaci.
Ciascun progetto, spiega la coordinatrice del team Erasmus+ Malafarina, Savina Moniaci non termina con la deadline, ma ha un follow up ed un impatto notevole nel nostro Istituto, come è avvenuto, anche, con Forensics and Creative Theatre, già insignito del titolo di “Best Practice, “Storia di Successo” dalla Commissione Europea e del Quality Label Italiano ed Europeo dalla piattaforma eTwinning.
Ed è proprio grazie all’iniziativa Move2Learn, Learn2Move di eTwinning l’Istituto Tecnico Tecnologico G. Malafarina è risultato beneficiario di un viaggio per 15 partecipanti che, nella seconda settimana di dicembre, sono stati accolti calorosamente dallo staff della  Fatih Lisesi Anadolu di Manisa in Turchia come emerge dal suggestivo racconto della professoressa Rachele Mesiti che, assieme alla coordinatrice e alla professoressa Sandra Macrina, ha accompagnato dodici studenti consentendo loro di realizzare il sogno di abbracciare ragazze e ragazzi, fino ad allora, conosciuti solo sulla piattaforma virtuale:
Siamo stati accolti dalla coordinatrice Ayşe Nur Canuyar e dal preside Ziya Çiçek che ci hanno subito deliziato con un the aromatico accompagnato, secondo le usanze, da quadretti di lokumu, mesir e frutta secca. Subito dopo la visita ai locali della scuola, ai vari laboratori e alla palestra, ci siamo recati in auditorium dove si sono svolte le prove dell’orchestra codiretta da me e dal prof Emre Tufan, sulle note della canzone “Lo scriverò nel vento” arrangiate per l’occasione in versione bilingue e con il contributo di violinisti, una violoncellista, un bassista, un chitarrista, un batterista e un pianista appartenenti ad entrambe le delegazioni.
Nel pomeriggio sotto una pioggia battente che non ha smorzato nei ragazzi l’entusiasmo di condividere esperienze significative, si sono svolte in Manisa le visite alla Muradiye Mosque, alla Sultan Mosque e al Museo della Storia della Medicina, dove si è potuta ammirare una ricostruzione molto realistica, realizzata con soggetti in cera, dell’impiego di tecniche e conoscenze mediche del passato.
Nei giorni seguenti altre escursioni hanno suggellato l’affiatamento del gruppo nelle splendide Sardes, Laodekia e Hierapolis, punti di incontro tra arte e cultura greca, romana e bizantina, in una cornice naturalistica di grande fascino. Molto apprezzata anche la visita alla Agora e alla Clock Tower di Izmir per ammirare la splendida veduta dall’alto della città, così come l’escursione a Nazarkoy e al presidio Alaş Kımız Farm dove i ragazzi hanno potuto cavalcare insieme nei boschi e immergersi nell’atmosfera particolare del luogo.
Ma il momento più coinvolgente del progetto si è concretizzato sul palcoscenico dell’Auditorium della scuola. Qui turchi e italiani si sono esibiti nella performance vocale e strumentale d’insieme; a seguire si sono avvicendate la ginnasta del team nazionale turco, Nil Deniz Bal e Begüm Atsan, una cantante straordinaria che si accompagnava con l’ukulele. Le danze tradizionali, la nostra tarantella eseguita da tre ragazzi del Malafarina e l’Harmandalı, una strepitosa danza turca che ha animato tutti i presenti, hanno chiuso la mattinata. Subito dopo la pausa pranzo, allietata da specialità gastronomiche del luogo, l’incontro di calcio conclusosi con la vittoria della squadra turca per 6 a 5.
Possiamo sicuramente affermare che lo scambio interculturale si è rivelato proficuo sotto ogni punto di vista, grazie, innanzitutto, alla cordialissima ospitalità delle famiglie che hanno fatto sentire i ragazzi a proprio agio colmandoli di affetto e, anche, di così tante “attenzioni alimentari” succedutesi in intervalli così brevi ed in quantità tali da stupire, persino, noi calabresi.
L’opinione riportata a scuola dalle famiglie turche era che i ragazzi italiani non mangiassero abbastanza, laddove, invece, i nostri ragazzi riferivano di essere talmente sazi da avere difficoltà di movimento! Comunque sia, la cosa importante è aver visto crescere l’affiatamento tra ‘coinquilini’ e quello del gruppo in generale. Già dal primo giorno i nostri ragazzi parlavano speditamente in inglese, anche quelli che a scuola si erano rivelati timidi e impediti nella conversazione, ma ciò che non ha prezzo è aver sentito durante gli spostamenti in autobus un unico coro turco-italiano intonare “O bella ciao”, sulle onde del successo internazionale della serie “La casa di carta”.
Arriva il giorno della partenza, quello degli occhi lucidi, dei grandi abbracci e delle promesse di mantenersi in contatto sia tra docenti che tra i ragazzi. Tutte le dodici famiglie sono venute ad accompagnare il proprio “figlio eTwinning”, quasi a fare le ultime raccomandazioni per il viaggio. C’è chi, addirittura ha comprato un’ulteriore valigia per caricare gli infiniti regali per le famiglie italiane. Lasciamo così la Turchia portando nel cuore una grande ricchezza umana, culturale e scolastica.
E’ passata una settimana. Da fonti attendibili apprendiamo che i nostri ragazzi continuano a parlare in inglese anche con i propri familiari!!!! Missione eTwinning compiuta!
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jamariyanews · 6 years ago
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Dalla Rai agli “Elmetti bianchi”, le armi tacciono ma le fake news no
9 agosto 2018 In Siria il quadro di ciò che accadrà è già ben definito, ma diversi “mediacenter” continuano a fare una guerra parallela. Quella della cattiva informazione. Patrizio Ricci – Il Sussidiario La fine della guerra al sud della Siria è coincisa con il summit a Sochi (Russia) dove Russia, Turchia ed Iran, insieme ad opposizione e governo siriano, si sono incontrati per proseguire nella road map per la soluzione del conflitto: nei colloqui — che si sono protratti per due giorni — si è discusso sulla situazione nel sud del paese, la cui liberazione, completata il 31 luglio, è stata resa possibile grazie al superamento dei timori israeliani per presenza iraniana in Siria. Per superare l’intransigenza di Israele, la Russia ha dato fondo a tutta la sua influenza nei confronti di Teheran; ha offerto cospicui vantaggi economici (si è impegnata ad investire ben 50 miliardi di dollari nel settore petrolifero e del gas iraniano, una vera manna per un paese sotto sanzioni); è riuscita inoltre a ripristinare le forze dell’Onu sul Golan e monitorerà direttamentecon proprie forze le frontiere di Israele.
Altri argomenti affrontati a Sochi sono stati la situazione umanitaria, la problematica della restituzione reciproca dei detenuti e il rientro degli sfollati. In proposito, è di rilievo che se anche la situazione umanitaria è ben lontana dall’essere normalizzata, ci sono passi per un graduale coinvolgimento dei paesi europei e in primis della Francia, che da un anno ha contatti discreti con il governo siriano attraverso il Libano.
In questo senso, pur se sono stati continui gli inviti della Russia verso la comunità internazionale affinché sostenga la ricostruzione della disastrata economia siriana, ben poco finora si è visto all’infuori dell’opera fornita dalle agenzie internazionali umanitarie: all’appello fino a questo momento hanno risposto concretamente solo la Cina, la Russia e l’Iran.
Passi avanti sono stati fatti invece verso il rilascio dei prigionieri e sul rientro degli sfollati. Su quest’ultimo argomento, decisivo è stato l’incontro di Helsinki tra Trump e Putin, in cui l’amministrazione Usa ha accettato di collaborare per favorirne il rientro. In quell’occasione, il presidente Trump ha riconosciuto che la quasi totalità dei profughi esterni può tornare tranquillamente, dato che sono da considerarsi perseguitati politici solo circa 5mila persone, ovvero un’esigua minoranza sul numero complessivo dei rifugiati.
Naturalmente, mentre sui suddetti argomenti è stato possibile individuare convergenze e fare passi avanti, più difficile è stato trovare un accordo sulla provincia di Idlib occupata da una pluralità di milizie, tra cui primeggia il gruppo qaedista Tharir al-Sham. In proposito, il rappresentante siriano Bashar al-Jaafari ha detto chiaramente che lo status di quel territorio come area di de- escalation sarà rimosso e, se necessario, l’esercito siriano procederà alla sua riconquista armata.
L’annuncio non sorprende: tutti gli analisti sapevano che la riconquista di Idlib sarebbe stata questione di tempo. In fondo la soluzione di inserire Idlib nelle aree di de-escalation era solo una soluzione momentanea per dar tempo alla Turchia di estromettere dall’area di sua pertinenza i terroristi, ma Ankara non lo ha fatto: non è riuscita ad impedire che avvenisse la fusione tra i gruppi islamici più radicali (tra cui Ahrar al-Sham e Nour al-Zinki) con il “moderato” Esercito Siriano Libero (Esl).
E’ per questo che in assenza di sviluppi positivi, procrastinare ulteriormente il ristabilimento della piena sovranità sul territorio permetterebbe solo alle milizie estremiste di rafforzarsi ulteriormente e perpetuare gli attentati e degli attacchi che avvengono sistematicamente.
Perciò il presidente turco Erdogan ha accettato che la riconquista avvenga, pur se ha rivelato di aver chiesto a Putin di “affrontare qualsiasi possibile attacco alla città di Idlib nell’ambito dell’accordo di riduzione dell’escalation”, ovvero ha chiesto che Idlib sia tenuta sotto il controllo di un “esercito” addestrato dalla Turchia che si fonderà con l’esercito siriano in futuro, all’avvio di una transizione politica. Ciò significa che anche se non tutte le forze dell’Esl si schiereranno con l’esercito siriano, è probabile che almeno una parte delle milizie filo-turche dell’Esl sosterranno le forze governative siriane. In tal senso si direbbe che la lotta interna sia già iniziata: è da qualche tempo che sono in corso “misteriosi” omicidi mirati contro i vertici delle varie organizzazioni terroristiche e attentati contro istituzioni chiave ad Idlib. Ankara è consapevole che se favorirà l’offensiva dell’esercito siriano, potrà forse patteggiare una sorta di influenza sulle zone di Afrin, Azaz e Jaralabus, ora controllate direttamente dalle milizie filo-turche.
Alla luce di tutto questo, giacché per sommi capi gli accordi già ci sono ed il quadro di ciò che accadrà è già ben definito, ora ci si aspetterebbe che la campagna mediatica che ha affiancato con tutte le sue menzogne e manipolazioni la guerra siriana, cessasse. Ma ciò non sta avvenendo.
Invece, si notano nuove “produzioni” dei vari mediacenter attivi in questi anni come quinta colonna: in Italia una serie di trasmissioni Rai hanno tentato di rilanciare la retorica rivoluzionaria con i suoi falsi miti tramite le consuete strumentalizzazioni; Bana, la bambina che a sette anni scriveva perfettamente inglese e che mandava i suoi tweet è riapparsa tramite i suoi cloni alias Hala, Yara e Lana, le tre bambine gemelle di sei anni che da località diverse si sono messe contemporaneamente a scrivere in varie lingue su twitter invocando la salvezza di Idlib. Ciò accade mentre gli “Elmetti bianchi” (il mediacenter della Cia in Siria) sono riapparsi magicamente ad Afrinpronti ad inscenare nuovi attacchi chimici.
La domanda è allora d’obbligo: se i giostrai hanno cessato le loro attività, perché non lo fanno anche i burattinai!?
Preso da: http://www.vietatoparlare.it/dalla-rai-agli-elmetti-bianchi-le-armi-tacciono-ma-le-fake-news-no/
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statusdanimo · 7 years ago
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Il mondo che si sta sgretolando
L’ultima volta che sono stato ad un concerto di Franco Battiato con Alice, mi è venuto un groppo in gola.
Lei essenziale, vestita di bianco, lui si fa precedere da una panca ricoperta da un tappeto persiano. E là sopra ci sta seduto sorseggiando da una tazza tra una canzone e l’altra (una tisana?) e quelli che volano come Aladino sono gli altri.
M’è venuto un groppo in gola perché per la prima volta mi sono reso conto che il mondo che ha sempre cantato si sta sgretolando intorno a noi. Ed era un mondo romantico, quindi reale (altrimenti è solo fantasia), pieno di diversità, di colori e lingue diverse. Un mondo affollato a Tunisi per le vacanze estive, con gli studenti di Damasco vestiti tutti uguali, di dervishi, di guardie rosse e vecchie coi rosari. E potevi immaginare di passare da un mondo all’altro viaggiando su un treno, assaggiando un po’ di qua e un po’ di là, fumando sigarette turche con contrabbandieri macedoni.
Così le sue canzoni sono diventate se possibile ancora più politiche e ti senti costretto nei tuoi piccoli confini, non per particolari impedimenti materiali, ma perché sembra che quei mondi siano sempre meno disposti a scambiarsi culture ed emozioni. Che poi è pure peggio.
Canta “Povera Patria” e la gente sottolinea tutti, ma tutti i punti chiave con gli applausi e vedi gli occhi lucidi intorno a te. “Ma sì, cambierà”. Alla fine la gente non ce la fa più a stare seduta sulle sedie della cavea e donne e uomini di tutte le età si affollano sotto il palco a cantare a squarciagola “Bandiera bianca” e lui si alza. Il servizio d’ordine viene preso in contropiede e si scambia istruzioni via radio.
Alla fine lascia la tisana a una signora che si sbraccia sotto il palco e si allontana, mentre si accendono le luci e puoi uscire ascoltando in sottofondo musica finto rock.
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studio-polimaterico-blu · 8 years ago
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Alfabeto cirillico russo
Alfabeto cirillico russo
Questo è l’alfabeto oggi in uso nella Federazione Russa (le altre lingue che ricorrono all’alfabeto cirillico possiedono alcuni caratteri differenti, come in serbo o in bulgaro, oppure modificati per trascrivere suoni estranei alle lingue slave, come per le lingue iraniche e turche della ex-Unione Sovietica):
carattere stampatello corsivotraslitterazione pronuncia А а
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theadrianobusolin · 8 years ago
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Istanbul, arrestato Masharipov: nel covo 197mila dollari, conosce 4 lingue
Istanbul, arrestato Masharipov: nel covo 197mila dollari, conosce 4 lingue
E’ stato arresto dalle autorità turche l’uzbeko, Abdulkadir Masharipov – nome in codice Abu Mohammed Khorasani – indicato come il responsabile della strage di Istanbul a capodanno. L’uomo, nel corso della notte, ha confessato. È stato catturato nell’appartamento in cui si nascondeva, dove sono state infatti trovate le armi utilizzate dal killer al night club Reina.Altri riscontri, inoltre, sono…
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