#lenti madonna
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Carlo Crivelli (Italian, 1430-1495) Lenti Madonna, ca.1475 The Metropolitan Museum of Art
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Lenti Madonna by Carlo Crivelli, 1472-1473.
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Le stesse lenti marroni che mi accompagnano ormai ogni estate da sei anni.
Qui in Croazia le feste di paese vanno avanti in oltranza, sono le due di notte, sento ancora musica fuori. Vecchi, ragazzini, cinquantenni e trentenni tutti che ballano, che cantano le canzoni parola per parola, rigorosamente marci. Ho visto uno cadere a terra con una bottiglia di vodka in mano. Tre tosi vestiti di bianco andare via traballanti che ballavano ancora a musica finita. Ragazze in gruppo altrettanto avanti che faticano ad andare via dritte. Tutti felici. Madonna questi vanno avanti tutta la notte.
È passato un giorno e mezzo e mi sembra sia passata una settimana. Ho visto un sacco di pesci zebra. Ho fatto un incubo sulle vespe. Un grillo è venuto ad ascoltare le nostre conversazioni serali sul balcone che dà sulla città dall'alto, si vede il golfo, c'è un isolotto con un convento che sembra uscito da un film dello studio Ghibli, un sacco di uomini e donne nude, ergo palle e tette a terra, tanta tanta strada a piedi, due supermercati poco soddisfacenti.
Alti e bassi. La vita di coppia qui mi perseguita, il mio essere quinto incomodo mi riesce troppo bene per smettere di essere single ed essere felice pure io con qualcuno. Invece sono qui che ricevo baci da parte di uni e degli altri per scherzo mentre per assurdo cominciano a mancarmi i giorni di studio in cui la mente non era libera di pensare ad altro che a quello.
È solo che a me piacciono le storie che mi fanno sognare, non quelle sicure.
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I LUOGHI DELL'ANIMA
Vagando con la nostra anima, la strada ci conduce in uno dei borghi più belli e suggestivi d'Italia. Fa parte di quei luoghi sconosciuti ai più, ma proprio perciò, non essendo sotto "le lenti" del turismo di massa, ancora intatti nella loro bellezza, nella loro essenzialità ma soprattutto con una natura ancora "selvaggia" ma ricca di panorami unici: questa è Pieve Santo Stefano, paese per il quale vi rimando qui sotto alle descrizioni tratte dal sito:
La Città del diario
Nell’alta Valle del Tevere, ai confini orientali della provincia di Arezzo, ad un passo dall’Umbria e dalla Romagna c’è Pieve Santo Stefano, la Città del Diario.
Di origini antichissime – vi sono tracce che risalgono al Neolitico e agli insediamenti romani – questo paese è oggi la terra della memoria ritrovata.
Nel Medioevo il territorio di Pieve Santo Stefano fu dominato dai Fiorentini e dai Tarlati. Nel Rinascimento grazie a Lorenzo il Magnifico la città arrivò al suo massimo splendore. Di quest’epoca sono le opere dei Della Robbia – come la bella terracotta invetriata che raffigura Gesù e la samaritana al pozzo, che si può ammirare all’interno del Palazzo comunale – di Piero della Francesca e del Ghirlandaio.
Ma è la storia più recente che segna il paese con due tragici eventi e lo porta a diventare la Città del Diario. Nel 1855 una grande alluvione inondò il paese distruggendo gli archivi e le opere d’arte più preziose della città risalenti al Rinascimento. Nel 1944 le truppe tedesche in ritirata devastarono Pieve Santo Stefano, minando e distruggendo l’intero centro abitato. Un paese mutilato, un enorme cumulo di macerie dove si salvarono solo parte del Palazzo Pretorio e le chiese.
Ma Pieve e la sua gente sono forti e come fenici sono rinati dalle proprie ceneri. Hanno ricostruito velocemente il paese, per poi prendersi cura della propria storia, lavorando per ricucire lo strappo nella propria memoria.
Nel 1984, da un’idea di Saverio Tutino, noto giornalista e scrittore, nasce l’Archivio Diaristico Nazionale, per custodire le storie degli “italiani gente comune”. Le nostre storie nei diari, nelle memorie e negli epistolari finora lasciati chiusi in un cassetto. Negli anni prende vita anche il Piccolo museo del diario,
l’attrazione più importante e intensa del paese che ha vinto il premio come museo più interattivo d’Italia. Il Piccolo museo, interattivo e multimediale, è un museo narrante che dà voce e vita alle storie dell’Archivio dei Diari e del suo Premio Pieve, il festival della memoria autobiografica popolare inedita che ogni terzo fine settimana di settembre torna ad animare il paese con eventi e personaggi della cultura italiana e internazionale.
Da gennaio ad aprile, nel teatro di Pieve, si tiene una stagione di musica classica, lirica, jazz e modern art denominata Pieve Classica che è diventata ormai un punto di riferimento nel panorama musicale italiano.
Nel mese di maggio la Pro Loco di Pieve organizza la Sagra del Prugnolo e le Giornate del Pastore, durante le quali si possono degustare prelibatezze tipiche combinate con il prugnolo, il cosiddetto tartufo dei funghi, come ad esempio il raviolo pievano.
Per gli amanti dello sport, imperdibile il doppio appuntamento con Lo Spino. Il primo, tra la fine di maggio e i primi di giugno, è una gara di campionato italiano di velocità in salita per auto storiche, mentre il secondo, nella quarta settimana di settembre, per moto d’epoca e moderne, è una gara valida per il campionato italiano ed europeo di velocità in salita.
Durante la prima quindicina di agosto, il borgo si trasforma nel villaggio turistico di Pieve Village, con una serie nutrita di eventi che scandiscono le giornate, proprio come in un villaggio vacanze, tra musica, balli, giochi ed esibizioni esilaranti.
Nei giorni 07 e 08 settembre si celebra la Festa della Madonna dei Lumi, la più antica ricorrenza tradizionale di Pieve, nata durante l’epidemia di peste che colpì il paese nel 1631 come voto del paese alla Santa Vergine. Per l’occasione, il borgo si accende di elaborati giochi di luci dall’effetto spettacolare e si disputa il Palio dei Lumi, che si chiude con la sfida del Calcio in costume, una lotta all’ultimo sangue tra i quattro rioni di Pieve che ricorda molto il Calcio Storico fiorentino.
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no vabbè io fino a sabato non ho le lenti e qui ha deciso di uscire un sole della madonna
morirò di mal di testa e investita da qualcuno gls
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AUTUNNO Arrivi a passi lenti quasi non me ne accorgo, l'umidità aumenta, qualche pioggia, ma ancora tanto sole. Le giornate si accorciano e mi lasciano senza parole, il buio si fa strada a grandi passi e non posso fermarlo. Ma arriverà il Natale dolci e regali ad ingannare la mia tristezza così allontanerò quella lacrima. Ma il buio si fa strada ed io non lo governo, il freddo è dietro l'angolo e so che mi sorprenderà. Tutto precipita in un abisso immenso, ma già aspetto una nuova primavera e la rinascita della mia anima. di Giulia Madonna - 11/10/2022 - ore 17:51 - tutti i diritti riservati - Foto di Nick Brandt
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Per quel giorno era andata. Non avremmo mollato, noi, questa maledetta volta, non avremmo mollato. Fino alla fine. Ormai ne ero certo. L'appuntamento era per il giorno seguente alle sette e mezza, al solito posto.
Ero disfatto dalla stanchezza, mi facevano male tutti i muscoli, anche quelli di cui, prima, non sospettavo neanche l'esistenza. Entrai in cucina e, senza salutare nessuno, crollai sulla prima sedia che mi capitò a tiro. Mia madre era seduta sulla poltrona, davanti al televisore, intenta a rammendare un paio di pantaloni troppo grandi per essere i miei. Mio padre invece era seduto al tavolo, aveva inforcato i suoi occhiali da lettura e stava scrivendo qualcosa su di uno sgualcito foglio di carta. Qualcosa che doveva avere a che fare con i numeri, visto che, ogni poco, si fermava, contava con le dita e smadonnava sommessamente. Sembrava non essersi neanche accorto del mio arrivo. In orario, per di più.
"Guarda come sei ridotto." disse benevola mia madre, "Sei sudato e sporco dalla punta dei piedi, fin sopra i capelli." Era una sua espressione tipica. E di un sacco di altre mamme. Passi per i capelli, ma come diavolo facessero a vedere la punta dei piedi, resta ancora un mistero. "Su, vatti a lavare, signorino, ti metti qualcosa di pulito e torni in cucina; la cena è già pronta. Aspettavamo solo te." E condì le parole col suo stupendo sorriso. "Ma Madonna s..." Esclamò mio padre improvvisamente, ma sollevando gli occhi dal foglietto che sembrava tanto appassionarlo, si accorse della mia presenza e deviò quella che doveva essere la bestemmia del secolo su un altro binario: "Signora del cielo e della terra! Sempre sia lodata!" Poi mi fece una finta faccia da santa inquisizione e mi esortò: "Su, loda anche tu la Madonna! In fondo è Signora anche tua!" Non aspettò la mia risposta, tanto non avevo la minima idea di cosa dire e figurarsi se avevo voglia di lodare la Madonna. "Bentornato, ometto. Come è andata la prima giornata di lavoro?"
"Mi fa male tutto, papà. Pensavo proprio di non farcela. E se penso che domani mi tocca pure tornarci..."
"E se pensi che, da grande, dovrai tornarci tutti i santi giorni?" Lo disse facendo anche una faccia soddisfatta. Come se mi avesse dato chissà che bella notizia. Come se avessi vinto la lotteria di capodanno. Avrebbe dovuto consolarmi, non spaventarmi ulteriormente. Così non mi lasciava speranze. Certo che ci avevo pensato. Ci avevo pensato per tutto il giorno. Ma non avevo trovato una, che fosse una, risposta soddisfacente. Ero rimasto del parere che lavorare tutta la vita fosse da perfetto idiota. E che io non mi sarei fatto fregare come gli altri. Avrei trovato l'alternativa; o la soluzione.
"Senti, papà, perché, da grandi, dobbiamo per forza lavorare?"
"E come pensi di campare senza lavorare? Chi te li dà i soldi per tirare avanti? Per mettere su famiglia, per mantenere i tuoi figli fino a quando, anche loro, non andranno a lavorare? Su, dimmi: come pensi di fare?"
"Io questo non lo so. Non ci ho pensato."
"Ecco, bravo, non pensarci, che tanto non serve a un cazzo. Io ci penso da una vita, ma sono ancora qui, che mi alzo tutte le mattine alle quattro per salire su quella merda di camion; a rompermi la schiena e le palle per tutta l'Italia. Certe volte, penso che ci morirò su quel camion. E mi ci seppelliranno insieme. Sai che razza di culo dovranno farsi i becchini per scavare la fossa!" E giù una delle sue epiche risate.
"Ma allora perché alcuni non ci vanno a lavorare? E… "
"Perché non hanno voglia di fare un cazzo!"
"Lascialo terminare prima di rispondere, Alfredo. Non credo ce l'avesse con i tuoi amici." Lo provocò mia madre, senza nemmeno voltarsi, ma intuii il suo sorriso dietro le lenti dei suoi occhiali da cucito.
"I miei amici non sono dei perdigiorno, donna!" Reagì. Guai a toccargli gli amici. In questo eravamo uguali. Lui poteva dirne peste e corna, ma guai se era un altro a farlo. Avrebbe potuto anche gonfiarlo di botte. Ma non mia madre, chiaramente. Lei poteva permettersi tutto. Ero convinto che tutte le mamme potessero permettersi di tutto.
"Ascolta, papà: ha ragione la mamma, non ce l'avevo con i tuoi amici..."
"E lo credo bene, pulce! Altrimenti ti saresti preso tanti di quei calci in culo che solo la metà sarebbero stati troppi." Disse di getto, facendo fumo dalle narici. Non raccolsi la sfida. Non ero mica matto! andai dritto al punto:"Volevo dire: come mai c'è tanta gente... insomma, non so se è tanta, ma so che c'è, che non ha bisogno di lavorare per vivere? E alcuni vivono anche bene, Anzi, sono ricchi sfondati! Perché?"
"Perché sono dei ladri! Ladri e figli di puttana."
"Alfredo!"
"Scusami, mogliettina mia adorata, ma è bene che sappia come stanno esattamente le fottute cose."
"Che significa?"
Mi guardò ancora più attentamente. Si accese un'altra sigaretta e mi fissò intensamente. Sembrava indeciso. Indeciso se continuare o mollare lì il discorso. "Secondo te, è possibile arricchirsi con il lavoro?"
Ci pensai su un attimo. "Non saprei di preciso. Credo di si. Tutti quelli pieni di soldi dicono che hanno lavorato come muli nella loro vita. Per questo si sono arricchiti."
"Dicono così perché sono dei grandissimi figli di puttana! I soldi non li farai mai con il lavoro. E' una stronzata che ci raccontano da sempre per farci stare buoni. Per illuderci. Cornuti e mazziati! Per fare i soldi devi essere un ladro. Devi rubare. Non importa a chi, ma devi rubare. E se quei soldi maledetti li hai ereditati, significa che, prima di te, hanno rubato tuo padre, tuo nonno e tutti i tuoi avi, per generazioni. Da cui: ladri e figli di puttana! Il discorso non fa una piega."
"Ma non è giusto!"
"Ascolta, Pietro," Sussurrò, avvicinando la sua sedia alla mia, "Niente è giusto in questo porco mondo. Niente."
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Intanto a via Bellerio, nel quartier generale della Lega - Salvini premier... «Veloci!! Dobbiamo correre subito ai ripari! Ho chiesto un'ora fa il video dei gattini coccolosi che fanno naso naso! Dormite!?!». «Tu... trova un tipo di carnagione scura che fa la cacca dietro un cespuglio, sbrigati caxxo!!». «Tu, invece… vieni qui: fotografami mentre bacio questa Madonna del Carmine... è uguale... non se ne accorge nessuno se è quella di Medjugorje!! Quante pippe!!». «Siete lenti! Siete lenti! Dove sono le mie pappardelle al ragù!! La bilancia, portatemi la bilancia!!». «Mia figlia! Mia figlia! Dov'è quando serve!? Prendetela e fatele disegnare un pinguino, una foca, qualcosa... No! l'elefante no!!». «Possibile che oggi nessuno con la pelle scura debba fare la cacca dietro un cespuglio? Prendete uno a caso a Messina, dategli una boccetta intera di lassativo e fotografatelo mentre caga! Veloci!!». «Il berretto della Polizia… passamelo! No!! Quello è degli alpini imbecille! Non lo vedi il pennacchio!?». «Mi serve uno sbarco... come oggi niente sbarchi?! Proprio oggi!?! Tu.. vai a prenderne un centinaio in Libia! Veloce! Non me ne frega un caxxo che hai il mal di mare!!». «La bambola gonfiabile! Portatemela… proviamo con un video divertente… non lo so dov’è stata messa… vedi nella stanza di Borghezio!! Veloce!». «I gattini coccolosi caxxo!! Quanto ci vuole a trovare dei caxxo di gattini coccolosi che fanno naso naso?!». Fabio Salamida
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"La maggiore delle tre è chiamata Mater Lacrimarum, Nostra Signora delle Lacrime. È lei che notte e giorno delira e geme, invocando volti scomparsi. Ella fu a Rama, quando si udì un suono di lamenti: Rachele che piangeva i suoi figli, rifiutando ogni conforto. Ella fu a Betlemme nella notte in cui la spada di Erode spazzò dalle sue case gli Innocenti e si irrigidirono per sempre i piccoli piedi che trotterellando per le stanze svegliavano nel cuore dei familiari palpiti di amore non inosservati in cielo. I suoi occhi sono di volta in volta dolci e astuti, intensi e assonnati; spesso si levano verso le nubi; spesso sfidano il cielo. Porta sul capo un diadema. E dai ricordi dell'infanzia sapevo che ella poteva allontanarsi sui venti quando udiva il singhiozzare delle litanie, o il tuonare degli organi o quando osservava l'adunarsi delle nubi estive. È questa sorella, la maggiore, che porta alla cintura chiavi più che apostoliche che aprono ogni capanna e ogni palazzo. So che ella sedette tutta la scorsa estate al capezzale del mendicante cieco, quello con cui così spesso e volentieri mi fermavo a parlare, e la cui pia figliuola di otto anni, dal volto luminoso, resisteva alle tentazioni dei giochi e dell'allegria del villaggio per camminare tutto il giorno lungo le strade polverose col suo infelice padre. Per questo atto, Dio le inviò una grande ricompensa. Nella primavera dell'anno e quando anche la sua primavera germogliava, Egli la richiamò a sé. Ma il padre cieco la piange in eterno; ancora egli sogna ad alta notte che la piccola mano che lo guidava è stretta nella sua; e ancora si sveglia in una tenebra che è ora avvolta in una seconda tenebra più profonda. La stessa Mater Lacrimarum ha anche trascorso tutto questo inverno 1844-45 nella camera dello Zar a rievocargli l'immagine di una figlia (non meno pia), che salì a Dio non meno improvvisamente e lasciò dietro a sé una tenebra non meno profonda. È grazie al potere di queste chiavi che Nostra Signora delle Lacrime s'insinua, intrusa spettrale, nelle camere degli uomini insonni, delle donne insonni, dei bambini insonni, dal Gange al Nilo, dal Nilo al Mississippi. E lei, perché è la primogenita del suo casato ed ha l'impero più vasto, onoreremo col titolo di «Madonna»."
Con Mater Lacrimarum de Quincey cerca la personificazione della Disperazione.
"La seconda delle sorelle è chiamata Mater Suspiriorum, Nostra Signora dei Sospiri. Non scala mai le nuvole, né si allontana sui venti. Non porta diadema. E i suoi occhi, se pur qualcuno potesse vederli, non sarebbero né dolci né astuti; nessun mortale saprebbe leggere in essi la loro storia; li troverebbe pieni di sogni morenti e relitti di estasi dimenticate. Ma ella non alza gli occhi; il suo capo, su cui è posato un turbante in brandelli, è in eterno reclinato, è in eterno nella polvere. Non piange, non geme. Ma sospira impercettibilmente a intervalli. Sua sorella, Madonna, è spesse volte tempestosa e frenetica, inveisce a gran voce contro il cielo e chiede che le rendano i suoi cari. Ma Nostra Signora dei Sospiri non grida mai, non sfida mai, non sogna aspirazioni ribelli. È umile fino all'abiezione. La sua è la sottomissione di chi non spera. Può mormorare, ma solo in sogno. Può sussurrare, ma solo tra sé nella penombra. Brontola, talvolta, ma solo in luoghi solitari, desolati come lei è desolata, in città diroccate e quando il sole è sceso al suo riposo. Questa sorella è la visitatrice del paria, dell'ebreo, dello schiavo al remo nelle galere mediterranee; del criminale inglese nell'isola di Norfolk, cancellato dal libro dei ricordi nella dolce, lontana Inghilterra; di chi si è pentito ormai invano e sempre ritorna con lo sguardo a una tomba solinga che gli appare come l'altare demolito di un passato e sanguinoso sacrificio, altare su cui ogni offerta è ormai vana, sia per implorare il perdono, sia per tentare una riparazione. Ogni schiavo che a mezzodì guardi il sole tropicale con timido rimprovero, mentre con una mano addita la terra, nostra madre comune ma per lui matrigna, e con l'altra addita la Bibbia, nostra maestra comune, ma sigillata e a lui preclusa; ogni donna che sieda nelle tenebre, senza amore che la protegga, senza speranza che illumini la sua solitudine, perché i divini istinti che accendono nella sua natura i germi di quei santi affetti posti da Dio nel suo seno di donna, sono stati soffocati dalle esigenze sociali e si consumano ora inutilmente ardendo tetri, come le lampade negli antichi sepolcri; ogni monaca defraudata della sua primavera, che più non ritorna, da parenti malvagi che Dio giudicherà; ogni prigioniero in ogni carcere; tutti quelli che sono traditi e tutti quelli che sono respinti; i reietti dalla legge della tradizione e i figli della disgrazia ereditaria: tutti costoro si accompagnano a Nostra Signora dei Sospiri. Anch'ella porta una chiave ma ne ha poco bisogno. Poiché ella regna soprattutto fra le tende di Seni e fra i vagabondi senza casa di ogni paese. Pure ella trova albergo fra gli uomini di più alto rango; e perfino nella gloriosa Inghilterra vi sono alcuni che di fronte al mondo portano la testa alta come la renna superba, eppure in segreto hanno ricevuto il suo marchio sulla fronte."
Mater Suspiriorum, invece è la personificazione dello sconforto più totale, di chi non si ribella al proprio destino.
Ma la Mater più terribile di tutte è la terza: la personificazione dell'omicidio, della pazzia, della Morte. Mater Tenebrarum.
"Ma la terza sorella, che è anche la più giovane ...! Ssst! Abbassiamo la voce quando parliamo di lei. Il suo regno non è grande, altrimenti non vi sarebbe più vita; ma dentro quel regno il suo potere è assoluto. Il suo capo, coronato di torri come quello di Cibele, si erge fin quasi a celarsi allo sguardo. Non si china mai; e i suoi occhi sollevandosi così in alto potrebbero esser nascosti dalla distanza. Ma, quali essi sono, non possono essere nascosti; attraverso il triplice velo di crespo che ella porta, la fiera luce di un'ardente sofferenza, che mai non ha posa al mattutino o ai vespri, al mezzodì o alla mezzanotte, alla marea crescente o alla marea calante, può esser veduta da terra. Ella sfida Iddio. Ella è anche la madre delle follie; l'ispiratrice dei suicidi. Molto si affondano le radici del suo potere; ma ristretto è il numero di coloro su cui domina. Poiché ella può avvicinare solo coloro in cui una natura profonda è stata sconvolta da un'intima convulsione; coloro in cui il cuore trema e il cervello vacilla sotto i colpi combinati di tempeste interne ed esterne. Madonna si muove con passi incerti, rapidi o lenti, ma sempre con tragica grazia. Nostra Signora dei Sospiri si trascina timida e furtiva. Ma questa più giovane sorella si muove con moti imprevedibili, a scatti e con salti da tigre. Non porta chiavi; poiché sebbene venga di rado fra gli uomini apre a forza tutte le porte che le è permesso di varcare. Il suo nome è Mater Tenebrarum, Nostra Signora delle Tenebre. "
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madonna cazzo che angoscia io domani come farò a mettermi le lenti a contatto
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Nella casa d'infanzia di Salvador Dalí, appesa ad una parete, vi era una stampa incorniciata della xilografia “Rhinocerus” di Albrecht Dürer (1515). Era il 1515, quando quell’enorme animane veloce, impetuoso ed astuto, chiamato rinoceronte, apparve la prima volta in Europa portato dal re del Portogallo. Con la sua famosa incisione, Dürer volle registrare tale evento.
Salvador Dalí ebbe per tutta la sua vita un forte interesse per la figura del rinoceronte, poiché considerava che nel suo corno fosse racchiusa la spirale logaritmica ideale, la forma più perfetta presente nella natura. A tal proposito, Dalí disse che le corna del rinoceronte erano “le uniche nel regno animale costruite secondo una perfetta spirale logaritmica”. (Dalí citato in H. Finkelstein, The Collected Writings of Salvador Dalí, Cambridge, 1998).
Il genio catalano aveva appena nove anni, quando iniziò il suo delirio attorno alla figura del rinoceronte. Un’ossessione che non è possibile separare dalla sua preoccupazione per Jan Vermeer e Leonardo da Vinci.
Il triangolo Dalí – Vermeer - Vinci è necessario per analizzare l’ossessione che Dalí aveva per il rinoceronte e le sue corna. La connessione tra il rinoceronte e la fanciulla che ricama concentrata sul suo lavoro, nell’opera di Jan Vermeer dal titolo “La Merlettaia” (1669-1670) è unita allo studio della morfologia del girasole, che Leonardo da Vinci aveva approfondito durante la sua epoca.
Trentaquattro anni dopo, nel 1954, Dalí aveva quarantatre anni ed il suo delirio sul rinoceronte sfociò in una decisione, che avrebbe portato alla formazione e chiarimento delle idee rinocerontiche da lui elaborate. Era l’inizio dell’anno, quando Dalì si recò al Louvre per chiedere il permesso di fare una copia del dipinto “La Merlettaia” di Vermeer. Con la freschezza del mattino, Dalí arrivò al Museo pensando alle corna di rinoceronte. Per l’occasione, il dipinto originale venne portato in una stanza dalle piccole dimensioni. Dalí si sedette davanti al cavalletto ed iniziò ad osservare l’opera dal grande realismo con molta attenzione, creando la sua personale interpretazione con il tracciamento di rigorose curve logaritmiche.
Durante la copia, l’artista notò la presenza sulla tela di una serie di coni che identificò come corni di rinoceronte ed a tal proposito disse: “La Merlettaia è morfologicamente un corno di rinoceronte” Aveva finalmente trovato il filo di Arianna che collegava la ragazza di Vermeer al rinoceronte!
E Leonardo da Vinci? Perché l’abbiamo incluso nel legame tra Dalí e Vermeer? Perché il talento universale del Rinascimento ispirò profondamente Dalí nello studio morfologico della figura del rinoceronte.
La storia dell’arte è ricca di esempi in cui gli artisti hanno cercato di ricondurre le figure animali e vegetali in forme geometriche. Leonardo aveva espresso le sue osservazioni e studiato la morfologia del girasole. Tali approfondimenti diventarono oggetto d’interesse per Dalì, che studiò la forma del girasole paragonandola a quella delle curve logaritmiche.
L’estate successiva al 1954, Dalí scoprì che “nell’incrocio delle spirali del girasole c’è evidentemente la sagoma perfetta delle corna del rinoceronte”.
Dalí arrivò quindi a definire che il rinoceronte “non si accontenta di portare sulla punta del naso una delle più belle curve logaritmiche, ma anche nel suo didietro porta una specie di galassia di curve logaritmiche in forma di girasole”.
Il triangolo è chiuso! E con esso il delirio attorno alla figura del rinoceronte osservata attraverso il pensiero Dalí - Vermeer - Vinci e la relativa ossessione daliniana per il triangolo rinoceronte - merlettaia - girasole.
Dalla connessione tra la fanciulla del Vermeer ed il corno del rinoceronte, nel 1954 nacque un lungometraggio dal titolo “La storia prodigiosa della merlettaia e del rinoceronte”, realizzato da Salvador Dalí, con la regia seguita dall’amico Robert Descharnes ed il direttore Jean-Christophe Averty.
“Bisogna che io vada davanti ad un rinoceronte vivo” decise Dalí per tale lavoro. E così fece!
Si recò all’interno del Bosco di Vincennes, il parco zoologico di Parigi, con la copia della Merlettaia e, sullo sfondo dei lenti passi del rinoceronte François, fece un taglio sulla fronte della copia dell’opera di Vermeer con una zanna di narvalo, anticamente ritenuto il simbolo di saggezza, castità e purezza incontaminata.
Per Dalí il corno di rinoceronte è “la base essenziale di ogni estetica casta e violenta”.
A partire dagli anni ’50, il rinoceronte divenne per l’artista catalano l’animale ispiratore delle sue opere e Dalí fondò la sua nuova rivista chiamata “Rhinoceros”, con l’obiettivo di trattare temi teologici, estetici, morali e scientifici.
In questo periodo, Dalí dipinse “Assumpta Corpuscularia Lapislazulina” (1952) dove sembra voler mettere in dialogo Dio, il Figlio ed il rinoceronte. Le corna di rinoceronte nascono simbolicamente dal Creatore e dirigono il loro moto verso il volto di Gala ed il Cristo crocifisso. Nel dipinto “Giovane vergine autosodomizzata dalle corna della sua stessa castità” (1954) e nell’opera “Madonna microfisica” (1954) le corna di rinoceronte diventano il mezzo per analizzare e scomporre le figure e le forme. Sempre nel 1954, Dalí realizzò la pittura “Ritratto di Gala con simboli rinocerontici”, dove l’immagine si frammenta e sembra scomparire, mentre la geometria dei corni di rinoceronte rappresenta le molecole del DNA e conferisce all’intero ritratto un aspetto dinamico. Da quel momento, le molecole del DNA, sotto forma di corna di rinoceronte, iniziarono a riempire le pitture di Dalí ed a diventare le protagoniste delle sue opere.
Se risulta chiaramente visibile, la presenza dei corni di rinoceronte nelle opere che Dalí realizzò a partire dagli anni ’50, è talvolta possibile notare i primi sintomi della presenza dei corni di rinoceronte, in alcune opere realizzate tra gli anni ’20 e ’30. La pittura “Autoritratto con collo di Raffaello” (1921) ed il famoso dipinto “La Persistenza della Memoria”, presentano entrambi curve che conducono alle corna di rinoceronte. Nel suo libro “Diario di un Genio”, Dalí scrisse a tal proposito: “Le stesse corna si trovano già nel mio quadro degli orologi molli [...] sono corna “molli” che segnano l’ora esatta [...] corna di rinoceronte che si staccano e alludono alla smaterializzazione costante di questo elemento, che si trasforma sempre più nella mia opera in un elemento nettamente mistico”. Analogamente, nella pittura “Autoritratto con collo di Raffaello”, Dalí decise di realizzare il suo autoritratto influenzato dalle ossessioni rinocerontiche. Il corno di rinoceronte in quest’opera “è appolineo” scrive Dalí nel “Diario di un Genio”. Secondo l’artista catalano, Raffaello dipingeva attraverso lo studio della composizione in cubi e cilindri, e tali forme risultavano simili alle curvature logaritmiche individuate nelle corna del rinoceronte”.
Nel 1958, Mike Wallace intervistò Salvador Dalí ed in tale occasione Dalí parlò delle sue pitture e della sua personalità, del subconscio e dei sogni, della geometria e curva logaritmica. Dalí disse: “[...] la curva logaritmica del corno di un rinoceronte è il simbolo di castità, uno dei simboli più potenti dei tempi moderni […]”.
Dalí era talmente ossessionato dalla figura del rinoceronte, unito alla sua connessione con la curva logaritmica, che aveva desiderato una statua di se stesso rappresentato come un rinoceronte ed a tal proposito disse: “Voglio che la mia statua sia un rinoceronte cosmico e, la sua parte posteriore, dovrebbe contenere, non le solite granulazioni, ma un cavolfiore diviso in due con un piccolo cavolfiore all’interno”.
Ma l’ossessione che Dalí aveva per il rinoceronte non sfociò solamente nella sua produzione pittorica e nella realizzazione del lungometraggio “La storia prodigiosa della merlettaia e del rinoceronte”. L’animale “cosmico” invase, a poco a poco, tutta l’intera filosofia e produzione artistica di Dalí.
Con le dimensioni di un elefante e la corazza che ricorda quella delle tartarughe per le tonalità maculate; il rinoceronte divenne il protagonista di una serie di importanti fotomontaggi realizzati tra Salvador Dalí e Philippe Halsman (1956); l’oggetto della conferenza che Dalí tenne a Parigi nel 1955 sul tema della Merlettaia di Vermeer ed il Rinoceronte; il soggetto illustrato nelle numerose opere realizzate su carta.
Nel 1955, durante la conferenza alla Sorbona, il rinoceronte venne presentato da Dalí, come un animale estremamente irrazionale, mistico e ricco di virtù surreali; quasi a voler rappresentare simbolicamente la Spagna ed il suo popolo: “[…] io, Salvador Dalí, vengo dalla Spagna che è il paese più irrazionale e più mistico del mondo […]”.
Il rinoceronte appartiene dunque al mondo surreale ed è forse proprio per questo che Dalí lo scelse per farlo diventare arte attraverso il suo Genio. L’animale divenne il filo conduttore del suo delirio nato all’età di nove anni e conservato, analizzato, idealizzato, fino a portare Dalí a dichiarare una vera e propria dipendenza verso questa creatura selvatica: “tutta la mia vita non ho dipinto qualcosa di diverso da un corno di rinoceronte”.
Anche nella scultura, Dalí rese omaggio al rinoceronte, considerato un animale “cosmico”, con la creazione delle opere “Rhinoceros Habille en Dentelles”(Rhinoceros Dressed in Lace) nel 1956 e “Rhinoceros Cosmique” (Cosmic Rhinoceros) nel 1956, prodotti in varie dimensioni.
In entrambe le opere, Dalí illustrò nella tridimensionalità il rinoceronte come il simbolo della forza e virilità che si manifesta attraverso l’elemento fallico del corno. La presenza dei ricci di mare, posti in equilibrio sul dorso dell’animale, ricordano l’ossessione di Dalí per il contrasto tra “il duro ed il molle”. Dalí vestì il rinoceronte con l’armatura e, con tale trasformazione surrealista, portò questa magnifica creatura in un mondo parallelo ed ultraterreno.
Le due sculture “Rhinoceros Habille en Dentelles” e “Rhinoceros Cosmique” fanno parte della Collezione Dalí Universe e sono edite dalla Airaindor.
La scultura monumentale “Rhinoceros Cosmique” raggiunge l’altezza complessiva di quattro metri.
“Il rinoceronte è la forte scatola di saggezza a livello animale, […] più scolpita e lavorata di una placca di bronzo.” (Les Passions Selon Dali, L. Pauwels).
Il 22 settembre si festeggiava la Giornata Mondiale del Rinoceronte; per maggiori informazioni vi invitiamo a visitare il sito www.worldrhinoday.org
Citazioni tratte dai seguenti testi:
Salvador Dalí “La mia vita segreta” (1942)
Salvador Dalí “Diario di un Genio” (1963)
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Uuuuh, vero, c'è la partita della Roma. Però l'anno scorso li avete umiliati👀//
eh l’anno scorso è l’anno scorso, menomale che mou ha capito che Matic-Cristante so lenti come la madonna
😂.
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Una piccola narrazione.
RICORDO EROTICO N. 2
Nella mia estasi religiosa tra gli otto e gli undici anni sono stato blasfemo. La mia idea di comunione spirituale includeva le carni, non ero troppo lontano dall’orgasmo che Bernini scolpì sulla sua Santa Teresa.
Mi immaginavo in ruoli di potere, mi aspettavo di “cambiare il mondo”, poiché percepivo l’insofferenza verso una società profondamente ingiusta su innumerevoli aspetti, ma faticavo a definirli esattamente. Nel mio limitato spazio culturale (una classe sociale bassa, benché non povera, un piccolo paesino di provincia, un accesso filtrato a televisione, internet e letture) non vedevo nessuno opporsi all’ “ingiustizia”. Figura astratta, la “giustizia”, di cui sentivo la mancanza à defaut di non saper descrivere le emozioni di malessere e non appartenenza, del vivere nella sfera sociale tradizionalista a cui ero confrontato. Se nessun altro si sforzava di cercare un cambiamento, sentivo che avrei dovuto essere io ad organizzare una crociata. Bruciavo per un desiderio di “avventura” che voleva opporsi alla staticità di un mondo votato alla “stabilità” (familiare, finanziaria…).
L’aspetto più chiaro della mia “ingiustizia” era la lucida osservazione che le donne venivano trattate differentemente, debilitate in rapporto agli uomini.
Il mio femminismo nascente, privo di una solida base teorica su cui strutturasi (nessuna eredità intellettuale) si confondeva con la sola retorica culturale a cui fossi stato educato : la religione cattolica.
Sognavo di essere il paladino di una nuova religione a venire, dove la donna avrebbe smesso di essere relegata al ruolo di catechista o suora ; credevo la religione abbastanza potente da influenzare un cambiamento sociale. Non avevo tutti i torti, nell’Italia dei primi anni 2000.
Esaltato dagli attributi di grande leadership che mi auto-attribuivo, il mio ego si gonfiava per i reflussi dell’isolamento involontario.. Meccanismo di difesa dei pensatori troppo soli: non riuscendo a socializzare ci si comincia a credere troppo straordinari per non intimorire chiunque altro.
Bisognoso di compagnia che fosse alla mia “altezza”, avevo il privilegio di ricevere la visita notturna della Madonna e di suo figlio Gesù. Lontano dall’essere un’allucinazione, l’illusione era pienamente assumée ma non per questo meno voluttuosa.
Ne rivendicavo il carattere assurdo: di giorno pregavo arrivasse la lettera che mi avrebbe annunciato la mia ammissione ad Hogwarts, di notte mi impregnavo di religioso fervore.
I miei genitori mi hanno cresciuto con il presupposto che l’immaginazione dei bambini fosse sacra, tanto da incoraggiare ognuno dei miei tentativi di fuggire alla “realtà”; che fossero gnomi del bosco, animali invisibili e parlanti, elfi di babbo Natale o letture bovaristiche. Provavo un solido piacere a infischiarmene di saper correttamente analizzare le aspettative improbabili e quelle realizzabili.
Al centro, disteso sul mio letto una piazza, ero accarezzato e baciato da due divini fantasmi. I nostri scambi si limitavano ad sfiorarci e stringerci : non ero ancora consapevole che il sesso servisse ad altro che al fare figli.
Non ero proprio certo di come funzionasse, il sesso.
Le fiabe che leggevo - nelle fase folkloristica delle mie letture - diventavano lubriche nella mia testa. I corpi delle dame e delle principesse si torcevano in torture carnali : cementate in alte torri, denudate per umiliarle, vendute al principe miglior offerente, perfettamente masochiste. I baci ricevuti nelle scritture canoniche (o edulcorate?) si tramutavano in letti cocenti, in cui i corpi si introducevamo più spesso di forza che per volontà propria (se questo non deriva dall’influenza della nostra cultura violentatrice … ! ). Arrivati all’atto, non avevo però idea di quali fossero le mosse. Il sesso che immaginavo ero statico e sfocato. Erano carezze e qualcosa di livido ma senza una forma definita, corretta.
Nulla di grave : la mia immaginazione naturalmente si fissa con difficoltà sul dettaglio, la mia immaginazione è fatta a macchie, come se riproducesse la vista miope, a chiazze impressioniste, che mi è naturale quando poso le lenti di correzione.
Mio padre aveva collezionato negli anni una serie di schede rappresentanti i quadri dei pittori impressionisti francesi e di qualche altra corrente successiva (pointillisme, fauves, post impressionismo, nabis, école de Paris ). Fu la mia prima, e per tanti anni unica, apertura verso il mondo dell’arte. Mangiavo di quella raccolta come un ruminante si nutre di erba. Al suo interno il corpo livido di una delle bagnanti di Renoir (Torse effets de soleil ) era la mia più importante fantasia. L’erotismo innegabile di quel corpo formoso che disegnavo e ridisegnavo come se, attraverso la riproduzione, cercassi di svelare il segreto della mia attrazione.
Se facevo pubblicamente parte della mia ammirazione per quell’opera non ricevevo consensi, nemmeno da parte di Beatrice che studiava al liceo artistico.
Sembrava un’enormità, questo liceo artistico, speravo di trovarvi altre anime le cui aspirazioni fossero anche solo vagamente più ambiziose dello sposarsi e avere figli. Ero convinto di trovarvi qualcuno con cui poter conversare : avevo disperatamente bisogno di sentirmi normale, e al contempo eccezionale.
Adoravo Beatrice, così come adoravo la bagnante di Renoir. Non avevo modo di spiegare il perché della mia fascinazione : il livello della mia conoscenza non mi permetteva di comparare i sentimenti provati per Stefano con quelli per Beatrice. La divisione dei generi era dura e tranciante : avevo assimilato la lezione, cioè che le bambine amano i bambini e viceversa, e che anche se lo desiderano ardentemente le bambine non potranno mai diventare bambini un giorno. Tutto me stesso era negato in questo principio dogmatico a cui ero indecentemente esposto.
Eppure dimentico che non fu la pubertà a rivelarmi il sesso. Ebbene si, nonostante la retorica dell’innocenza infantile, non sono mai stato un bambino sessualmente innocente. Sono stato ingenuo, ma al contrario dell’innocenza, che è piuttosto istintiva, l’ingenuità si lega all’ignoranza e gli adulti si impegnarono con zelo a farmi ignorare il più a lungo possibile le questioni riguardanti sessualità e identità sessuale.
Contrastando la paura genitoriale di infangare la purezza dei propri figli, la mia precoce relazione al sesso - per quanto ho potuto indagare - , non fu così tanto anormale.
A mio modo mi masturbavo da bambino, poiché mi accorsi presto delle sensazioni piacevolissime che provavo strofinandomi con le mani quella che mia madre chiamava, per ragioni che mi sono ancora totalmente sconosciute, “pitinga”.
Un piacere che equiparavo al mettermi le dita nel naso o nelle orecchie.
Spesso, lavandomi al bidet, tenevo lungamente un getto d’acqua, il più potente possibile, contro le mie “parti basse” oppure la sera approfittavo del rito di cambiarsi le mutande prima di mettersi a letto per dilettarmi con dei brevi giochetti. Non sapevo cosa significasse, se non che era un piacere da nascondere.
Come quello di infilare le dita nel naso, d’altronde.
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Ti ho vista camminare in Montenapo
Non capisco come fai, bae, sei un rompicapo
Sembra che sfili quando esci, fresh dalla boutique
Troppi stili, vanno fuori quando sto sul mic
Street Dandy, lenti verdi
Ho 3K in contanti nel Fendi, oro nei denti
Quando passi fai girare, sì, tutto lo squad
Giurerei che ti sei fatta quattromila squat
Sembri Kylie mixata a Miley
E sai che puoi chiamarmi quando vuoi, bae, ma mai di
Venerdì o sabato dopo mezzanotte
Perché sono i momenti dove un G riscuote
Approfondendo la tua conoscenza
Quando sei nuda, un film di fantascienza
Vodka e Lemon Soda, mangiando yakisoba, madonna quanta roba
Tanta Roba
01.11.21, 20:44
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... mi sembrava di aver tutto e adesso invece mi sembra di non avere niente e non perché ridimensiona quanto mi sia successo ma perché a volte bisogna distaccarsi, allontanarsi, pulire e ripulire le lenti attraverso cui si guarda la realtà che ci circonda e farsi un esame di coscienza approfondito... e poi sì la mia America e la sua, la scoperta di Hemingway e tutte quelle balle lì... Ma niente, niente che un buon malandrino (possibilmente Cataldi Madonna) non possa far passare... (cit.) https://www.instagram.com/p/CVfCHyotZWqNptYkWXPwIP6zuyHaqpU5szGlPE0/?utm_medium=tumblr
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LE ORE LENTE Fa caldo l'aria è pesante le ore lente scorrono annoiate. La casa è vuota piena di sospiri di annoiate sensazioni che acuiscono la sensazione di noia. Il tempo trascorre ma non passa, il sole cammina ma non si sposta, la vita prosegue ma non avanza. Restare a guardare il soffitto per ore senza consapevolezza con quella triste e velata contentezza dei giorni lenti, delle ore vuote, del caldo alla gola. L'estate è così lenta inesorabile e bella nella sua nuda semplicità nella sua vuota completezza. Tornerà l'inverno a stringerci il cuore e queste ore vuote saranno solo un ricordo della memoria stanca e sentiremo il rimpianto per il non far nulla per il lento fluire per le giornate piene di sole e vuote di niente che scorrono senza rincorrersi, che passano senza lasciare traccia di sé. Ora so che sono seduta qui e lascio passare tutto perché più nulla mi fa male, la mia anima sonnecchia in balia del suo torpore. di Giulia Madonna - 10/08/2022 - ore 18:38 - tutti i diritti riservati - Foto di Toni Frissell
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