#le palm fronds
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La Mode illustrée, no. 48, 1 décembre 1901, Paris. Toilette de visites. Modèles de Mlle Louise Piret, rue Richer, 43. Ville de Paris / Bibliothèque Forney
Description de la gravure coloriée:
La jupe a petite traîne de cette robe, faite en drap zibeline rouge amaranthe, est garnie de trois rangées de rubans de velours noir de différentes largeurs.
Le corsage, légèrement bouffant et fait en velours noir, s'ouvre sur un plastron en zibeline; on le borde d'une ceinture en velours sur laquelle sont montées des petites basques coupées en pointe devant. Le corsage est garni, en outre, d'un grand col carré en soie blanche, orné de motifs brodés en soie rouge. Le col droit en soie blanche, recouvert de guipure crème, est garni, devant, d'un jabot en dentelle crème, descendant jusqu'à la taille. Les manches bouffantes sont retenues dans des poignets en velours noir.
Le chapeau, fait en teutre zibeline rouge amaranthe drapé, est garni de palmes de fantaisie et de ruban de velours noir, disposé en un nœud fixé par une boucle d'or ciselée.
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The skirt of this dress has a short train, made of amaranth red sable cloth, trimmed with three rows of black velvet ribbons of different widths.
The bodice, slightly puffy and made of black velvet, opens on a sable plastron; it is edged with a velvet belt on which are mounted small basques cut to a point in front. The bodice is further trimmed with a large square collar in white silk, adorned with embroidered patterns in red silk. The straight white silk collar, covered with cream guipure, is trimmed in front with a cream lace jabot, reaching down to the waist. Puff sleeves are held in black velvet cuffs.
The hat, made of draped amaranth red sable, is trimmed with fancy palm fronds and black velvet ribbon, arranged in a knot secured by a chased gold buckle.
#La Mode illustrée#20th century#1900s#1901#periodical#fashion#fashion plate#cover#color#description#Forney#dress#visiting#red#guipure#collar#amaranth#Modèles de chez#Mademoiselle Louise Piret
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In the sunlight in the center of a ring of trees Lev sat cross-legged, his head bent above his hands. A small creature crouched in the warm, shallow cup of his palms. He was not holding it; it had decided or consented to be there. It looked like a little toad with wings. The wings, folded into a peak above its back, were dun-colored with shadowy streaks, and its body was shadow-colored. Three gold eyes like large pinheads adorned its head, one on each side and one in the center of the skull. This upward-looking central eye kept watch on Lev. Lev blinked. The creature changed. Dusty pinkish fronds sprouted out from under its folded wings. For a moment it appeared to be a feathery ball, hard to see clearly, for the fronds or feathers trembled continually, blurring its outlines. Gradually the blur died away. The toad with wings sat there as before, but now it was light blue. It scratched its left eye with the hindmost of its three left feet. Lev smiled. Toad, wings, eyes, legs vanished. A flat mothlike shape crouched on Lev’s palm, almost invisible because it was, except for some shadowy patches, exactly the same color and texture as his skin. He sat motionless. Slowly the blue toad with wings reappeared, one golden eye keeping watch on him. It walked across his palm and up the curve of his fingers. The six tiny, warm feet gripped and released, delicate and precise. It paused on the tip of his fingers and cocked its head to look at him with its right eye while its left and central eyes scanned the sky. It gathered itself into an arrow shape, shot out two translucent underwings twice the length of its body, and flew off in a long effortless glide toward a sunlit slope beyond the ring of trees.
The Eye of the Heron, Ursula K. Le Guin
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PENSIERI DI PRIMAVERA
CAPELLI
Se i capelli fossero fili di brina a tessere la loro ragnatela tra le fate delle foreste, legherebbero ogni essere magico nel loro cerchio e sveglierebbero gli spiriti delle acque, spegnerebbero le luci delle lucciole e si mischierebbero nel verde delle fronde degli alberi o tra gli steli d’erba.
Perché i capelli non sanno dire bugie, sanno rannicchiarsi tra i cespugli e chiudere gli occhi aspettando l’inverno, quando il bianco li colora con il suo pallore. Adesso che sono come nuovi, vestiti di stoffe e di seta, che ostentato i loro colori non fanno in tempo ad asciugarsi che il rumore del sole incide le loro venature e il vento nel lento andare li scompiglia. Nei trascorsi del loro viaggio sempre complicato disobbediscono alle stelle, nei passaggi tra le palme e le spiagge, tra l’arcobaleno e il cielo e si annidano nella musica che nessuno li disturbi, trapezisti del loro disordine e della loro melanconie.
I capelli insolenti parlano basso, hanno sempre fame e le loro vibrazioni si espandono nell’aria, nei mille cerchi concentrici e s’insinuano nei pianerottoli, tra i vestiti d’epoca, nella nudità delle alcove a dissipare armonie e movimenti nel fluttuare dei tempi.
Sono i capelli, quelli lisi e malandati che cercano vendetta, quelli dai colori chiari che ostentano una certa aria giovanile, quelli nero corvino che ti riportano nel regno dei vivi, che ti lasciano l’impronta dei loro turbamenti. Capelli che guariscono dalle loro piaghe e diventano inseparabili, che intuiscono e continuano ad apparire, lucidi nella loro solitudine ad immaginare le giornate con la loro eredità, silenziosi e felici, poeticamente vestiti dei loro sentimenti. Spesso consunti dentro quell’odore di vecchio e ardenti nel fuoco delle pannocchie di granturco ad arieggiare il balsamo delle stanze vuote, nei sospetti lasciati dai fiori nei vasi, tra i vetri incandescenti delle finestre assolate , a farsi fotografare nella loro immutabile routine, tra un quartetto d’archi e gli esercizi da fare in palestra.
I capelli nella loro lettura, entusiasti dell’idea della convivenza, con le loro soluzioni e i loro ammiccamenti, per farti cedere ed invogliarti, nei telai della loro tessitura, immortalati negli arazzi, compagni di ballo e di merende. Offesi da un rapporto teso in un momento di particolare frustrazione a perdere le ciocche nel loro funerale. Lungi dal soffrire o provocare fastidio , a correre in bicicletta sulle colline, altezzosi tra i colori della terra, trascurando le scombinate figure e le speziate vanità. Capelli immaginando la loro reclusione nella pesantezza dell’atmosfera, a gareggiare in una folle corsa verso l’ignoto, a cercare istruzioni e indossare maschere, tra centinaia di migliaia nel resto del mondo.
Capelli che sviluppano una dipendenza, che non si sentono mai nominare, che sono obbligati in questa reclusione e che invece anelano alla libertà. Capelli chiusi in un cappello di sbieco, inceneriti dall’inclemenza dei deserti, che recitano con un’enfasi esagerata, nelle loro diagnosi che non lasciano scampo , che non hanno casa ne padrone , che sono sempre disponibili, che riescono a mettere insieme le loro voci, che si perdono tra le grinfie degli specchi, che sono famosi nei loro occhiali e nella moro montatura. Che si adornano, imbellettano, si rifanno un nome, si cullano nel loro stile bohèmien, tra una parentesi di gonne corte e maglioncini aderenti , per compiacere gli amanti, che sono la conferma di ogni sospetto e portano a spasso ogni desiderio, con le loro ossessioni da telenovela.
Capelli arrampicati nei piccoli lucernari ad inventare legende, enormi e cavernosi contro l’aria pulita, che cadono come lampadine fulminate e si nascondono negli strati di polvere ad estendere perimetri di merletti e di organze finite col misurare il tempo. Capelli pieni di tesori e misteri, di aure dorate, di virtù, che impiegano mesi interi a sbrogliarsi , che si scoprono fragili e traballanti , che pendono dalle travi e che tessono legami.
Capelli come i tuoi che sono destinati a custodire cose di valore, come le nostre anime, che sono il nostro scambio proibito, l’aroma del tuo fascino, la letizia , che sono confidenza e vanto, che avanzano con sospetto ed indecenza e lasciano una scia dettata dai nostri appetiti.
Che non saranno mai abbastanza, nel nostro esistere anticonvenzionale, che sono un baffo alle apparenze, alle maldicenze chiuse nei bauli , che sono padroni delle nostre coscienze, prove del vero. Che cercherò di trattenere, che vorrò assaggiare, la loro pasta di mandorle e il loro profumo di vaniglia, che sporcherò di zucchero a velo, che levigherò di miele, che annoderò al mio cuore, che saprò sussurrare e corrispondere, arruffare e corrompere, ritrovare in ogni dimora, che pensavo ormai di conoscere e invece si rinnovano ogni volta disegnando l’esistenza.
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Jour de fête (Le Rabbin au citron) — Marc Chagall (1887-1985)
Oil on canvas
Signed Chagall (lower right)
Jour de fête (Le Rabbin au citron) represents an aspect of Jewish ritual. As described by Susan Compton: "In his right hand, the rabbi holds an etrog, a lemon, and in his left the lulav, a palm branch, to which are tied a branch of myrtle and willow. This identifies the feast of the title with Succot, which Chagall presented in another form in 1917. The Feast is first mentioned in Leviticus XXIII, 40, 'On the first day you shall take the fruit of citrus trees, palm fronds, and leafy branches, and willows from the riverside, and you shall rejoice before the Lord your God for seven days.' The artist has added a touch of fantasy in the doppelganger perched on the rabbi's head. Dressed slightly differently and lacking the ritual emblems, the 'other' faces away from his host as though reluctant to celebrate the Feast. Or maybe he simply represents 'another', the one who 'gets on my back': Chagall's symbol is a potent myth with multiple possible interpretations.
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To Live Without Loving (is not really to live)
Also on AO3
Et vivre sans aimer n'est pas proprement vivre. - Molière
“Marinette!”
With a start, Marinette shoves her mobile phone beneath her pillow and grabs the novel beside her, opening it at random, “Oui, Maman?”
“It’s nearly 23:00,” Sabine announces, hoisting the apartment's trapdoor open and peeking inside, “Why are your lights still on?”
Marinette grimaces, “I have to finish this book by tomorrow and I’m still not done!”
Raising an eyebrow, Sabine climbs up the steps and gently pads towards Marinette’s bedside, “You’ve been at it for hours and you’re telling me that you’re still not finished?”
Marinette knows a lost cause when she sees one, “I may have gotten…distracted.”
“Hmm,” Sabine crosses her arms across her chest, “You have ten minutes, then it’s lights out.”
“But Maman…”
“Hush. Your brevet is coming up soon and I expect you to excel, as you always do. You need your sleep.”
Marinette groans, “Oui, Maman.”
“Doux rêves, mon coeur.”
Marinette returns the sentiment and watches as Sabine closes the trapdoor behind her. She listens, holding her breath as her mother’s footsteps carry down the stairs, leading into the bedroom. After a moment or two of quiet chatter, her parent’s bedroom door opens and squeaks shut with a click.
“Finally.” Exhaling, Marinette snatches her vibrating phone out from under her pillow and slides her thumb against it, illuminating the screen. An image of the infamous cabaret Le Chat Noir casts a shadow across her bedroom, “Allo?”
“M’Lady! I thought you had fallen asleep on me.”
Marinette rolls her eyes, “I got distracted.”
“Not distracted enough to leave me hanging, are you?”
“I’ll be there in twenty minutes.”
“Until then, mon amour.”
Quickly, Marinette taps the end call button against her fingertips and slips from beneath her covers, eager to sneak out before it gets too late in the evening. She tugs on a pair of pyjama pants and crawls outside, crossing over to the potted plants hanging from the wrought iron railings enclosing her balcony.
“Ready to go?” Tikki asks, rising from the fronds. Marinette nods and fastens the zip of her sweater before allowing Tikki to merge with her Miraculous, bathing the balcony in scarlet light. Mask safely affixed to her skin, she slips out into the evening breeze and leaps across the rooftops, eventually plopping down onto their favourite meeting spot along the city-spanning river, the Seine.
“Bonsoir, ma chérie!”
Ladybug turns towards the source of the racket as Chat Noir drops onto the quai from above, landing in a crouch beside her. The lattice of the bench she’s sitting on trembles as he digs his claws into the metal, steadying his balance, “Hey Chat. How’s my favourite stray?”
Chat spreads his arms dramatically, “La vie est belle!”
“You seem like you’re in a good mood,” Ladybug smiles, relaxing against the backrest.
“My day improves exponentially each time I get to see you.”
“Really?” Ladybug is pretty sure that if she rolled her eyes any harder, they might just get stuck there, “It’s been, what, two days since we last crossed paths?”
“An eternity,” Chat replies, holding his hand over his chest, “It wounds me to be so close, and yet so far.”
Ladybug can’t help but snort, “I can’t say that I’ve missed your melodrama.”
“Forgive me M’Lady, but I’ve been forced into reading Molière for the past week and I feel it may be rubbing off on me.”
Ladybug hesitates before responding, having just left L'École des femmes sitting on her duvet not twenty minutes ago, “Let’s just get down to business, shall we?”
Chat smiles and opens his palm to the horizon, “Après vous.”
~
“Chat!”
Ladybug screeches to a halt and uses her momentum to launch herself against the buildings lining the boulevard, pulling a hard 180° turn. She flings her yoyo and it wraps around the base of a satellite dish, sending her flying back to Chat’s location, “Are you okay?!”
He’s lying in the base of a crater, the akuma having body slammed him into the concrete, “Never better!”
Ladybug drags her eyes from Chat’s prone body and focuses on the akuma instead. Its body is huge, not unlike the rock monster they encountered on their very first adventure together. However, this particular akuma is far more calculating and intelligent that she had initially assumed.
“Hey! Bonehead!” Ladybug hollers to distract the monster from squashing Chat again. She can tell from his wheezing that whatever the akuma did to him while she wasn’t looking, he would need a minute or two to recuperate, “Look over here!”
Using her yoyo, Ladybug swings back and forth, drawing the hulking mass of a monster towards her. She reaches the other side of the boulevard and runs down the length of it, leaping off of a bench and vaulting back up into the sky. The akuma lumbers towards her, its hands flailing wildly in her general direction, and Ladybug does all that she can to keep one eye on potential tools for a plan and the other on Chat.
“Alright akuma,” she mutters, “Let’s get this over with.”
Ladybug raises her hand above her head with a flourish, summoning her Lucky Charm. It’s a sledge and it doesn’t take long for her to figure out what to do with it. With the help of her yoyo, a cement truck parked up the way, a tandem bicycle and a clothesline, Ladybug effectively smashes the monster to bits and releases the black akuma hiding inside its abdomen. Ladybug reaches up to capture it, purifying its soul, and releases it to the mercy of the winds.
“Bravo!”
Ladybug is already halfway over when Chat starts pulling himself out of his Chat sized crater. He droops over the chunks of concrete, wincing when the hole corrects itself under Ladybug’s restorative magic, and rolls over onto his back instead.
“Are you alright?”
Chat blinks up at Ladybug, “My Lady, il le faut avouer, l'amour est un grand Maître.”
“Ugh,” she groans, running her gloved hand over her face as her Miraculous begins to beep at her, “If you’re well enough to recite love poems to me, then you’re well enough to get up.”
She offers him her hand and he takes it, brushing himself off as she hauls him up easily, “Excuse me for being well versed in the classics, M’Lady. I am a cultured cat.”
“You have a test tomorrow on Molière, don’t you?”
Caught, Chat glares at her sidelong, “It’s an in-class essay, I’ll have you know.”
“Well, don’t let me Horace you any longer.”
Chat gapes at her suddenly, his eyes wide, “Did you…did you just…?”
“Make a pun? Maybe, maybe not,” she smirks, batting him on the nose, “Now, it’s time to get going. You need your beauty sleep.”
“But—”
“Off with you,” she grins, gesturing at him to leave with a flick of her wrist, “À plus!”
~
It isn’t a particularly long walk to school the next morning, but Marinette spends most of it thinking about her in-class essay. It’s one of the very last assignments that will count towards her brevet at the end of the year; it’s also the third time since the beginning of the semester that Chat has mentioned having to work on a school assignment.
The same school assignment as her.
It’s been niggling at her thoughts for some time now, the fact that Chat may very well be a student in her grade. First, it was the same unit test in maths that had come up in their conversation and between the binomials and trinomials clogging her brain, Marinette hadn’t thought anything of it. But a few months later, it happened again and Chat was waxing poetic about a particular stream of science and the experiment he was completing in class…
...which was the exact same experiment that had blown up in her face that afternoon.
Armed with the sheer determination to ignore any and all comparisons between her life and his, Marinette stuck her head in the proverbial sand and promptly tuned him out whenever school came up in their conversations. That is, until last night.
Marinette tugs at her ponytails and racks her brain for clues. There are only two 3ème classes in Collège Françoise Dupont and she shares her age with only five other blond boys, one of which is shorter than her. There’s the twins in Mlle Mendeleiev’s class, but they both have much bigger noses than Chat. Then there’s Christien, and that would be impossible given his fairly distinctive Belgian accent which leaves the only other option as…
...Adrien Agreste.
She watches him duck into his locker from the other side of the room and wince as he holds his ribs gingerly, grimacing at another one of Nino’s terrible dad jokes. He’s quoting Molière again, favouring his left arm as he waves it around theatrically, making Nino roll his eyes in response.
Oh.
When she sits down, lined paper in hand and essay prompt at the top, she’s never been so sure of something in her life.
She’s going to fail this essay spectacularly.
And, Adrien Agreste is Chat Noir.
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“Non scambiammo più una parola. Pagammo e tornammo in albergo, il rumore del motore steso come un velo sull'intensità dei nostri bronci.[...]andai a sedermi in veranda, sbattendomi la portafinestra alle spalle. Le palme da cocco proiettavano un’ombra delicata, il disegno mutevole delle fronde nella brezza pomeridiana. Eppure tanta bellezza non mi dava piacere. Dal crème caramel di alcune ore prima non ero più riuscito a godere di alcunché di estetico o materiale. La presenza di soffici asciugamani, di fiori e panorami armoniosi aveva perso ogni importanza, e il mio umore rifiutava qualunque aiuto esterno; addirittura, si sentiva insultato dalla perfezione di quel clima e dalla prospettiva del barbecue sulla spiaggia in programma per la serata. La nostra tristezza di quel pomeriggio, con il profumo delle lacrime che si mescolava all'odore di crema solare e dell’aria condizionata, servì a ricordarci la logica rigida e impietosa cui obbediscono gli umori degli uomini e che ignoriamo a nostro rischio e pericolo ogniqualvolta, davanti alla fotografia di un’amena località esotica, fantastichiamo che a tanta magnificenza possa accompagnarsi solo altrettanta felicità. Invece la felicità che riusciamo a ottenere dai beni materiali ed estetici sembra dipendere in maniera cruciale dalla soddisfazione di bisogni primari psicologici ed emozionali, tra i quali per esempio il bisogno di comprensione, di amore, di rispetto e di libera espressione di noi stessi. Se la nostra relazione amorosa si rivela improvvisamente minata da incomprensioni e risentimento, non ci godremo dunque – non potremo goderci – nemmeno lussureggianti giardini tropicali e incantevoli bungalow sulla spiaggia. E se un unico broncio basta ad annullare gli effetti benefici di un intero albergo, è perché non capiamo cosa ci aiuta a stare veramente su di morale. Quando a casa ci sentiamo tristi diamo la colpa al tempo e al grigiore delle nostre case, ma sull'isola ai Tropici impariamo (dopo un litigio in un bungalow fresco e fronzuto sotto un cielo smagliante) che lo stato della volta celeste e l’aspetto esteriore dei nostri alloggi non avrebbero mai il potere, da soli, di minare la nostra gioia o di condannarci all'infelicità. Esiste un contrasto fra i grandi progetti che avviamo [...]e i nodi psicologici fondamentali che rischiano di comprometterli. Basta guardare con quanta rapidità un capriccio può annullare i vantaggi della civiltà. L’intrattabilità dei nodi mentali ci spinge a considerare la saggezza asciutta e austera di certi antichi filosofi che [...]predicarono che gli ingredienti chiave della felicità non potevano essere di natura estetica né materiale, ma sempre e solo psicologica – una lezione che non avrebbe potuto dimostrarsi più vera quando al tramonto, sulla spiaggia, M. e io facemmo pace accanto a un barbecue il cui lusso si era ormai trasformato in un mortificante dettaglio di nessuna importanza.“
L’arte di viaggiare, Alain de Botton
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𝕃𝕖𝕥’𝕤 𝔻𝕚𝕤𝕞𝕒𝕟𝕥𝕝𝕖 𝕋𝕙𝕖 ℙ𝕒𝕥𝕣𝕚𝕒𝕣𝕔𝕙𝕪
𝔸𝕟𝕕
𝔼𝕒𝕥 𝕋𝕙𝕖 ℝ𝕚𝕔𝕙
〔 HERIZEN GUARDIOLA, ETERNALLY EIGHTEEN, CIS FEMALE 〕╰ MARISOL NUÑEZ just came over half - blood hill . you know , the HUNTER OF ARTEMIS who was claimed one hundred and forty seven years ago ? i’ve heard chiron say that she is DETERMINED & RESOURCEFUL , but if you ask the aphrodite kids , they’d say they’re RESERVED & JUDGEMENTAL . i’d say they remind me of a silver bow , gazing at the stars , eyes burning with passion , cries for revolution , especially since they’re NEUTRAL .
Stats
Name: Marisol Núñez
Nicknames: Maris, Mari
Age: 18 physically, technically she is 165
Birthday: May 10th, 1855
Gender + Pronouns: cis female, she/her
Sexuality: Not interested (Asexual and Aromantic)
Godly parent: N/A she was a mortal before becoming a hunter
Abilities: Enhanced Physical Prowess, Archery Expertise, Eternal Youth, Zoolingualism
Ethnicity: Cuban and Jamaican (her mother’s mother came from Jamaica in the early 19th century . )
Birthplace: Bayamo, Cuba
Nationality: Cuban
Faceclaim: Herizen Guardiola
Height: 5 foot 10
Hair color: black
Eye color: brown
Dominant hand: she is right handed
Distinguishing features: the various scars and marks across her body due to battles, a tattoo of the Cuban flag made of flowers on her shoulder, and a royal palm tree, each palm including a family member's name. She adds a new frond for each new member.
Personality + Aesthetic
Positive traits: Loyal, Justice Driven, Hardworking, Driven, Determined, Resourceful.
Negative traits: Reserved (around non hunters), Judgemental, Recalcitrant, Dogmatic, Opinionated, Radical
Mbti: ISFP-A ;The Adventurer
Enneagram: 8, the challenger
Archetype: The revolutionary
Hogwarts house: Hufflepuff (I was really surprised by this, but I can see it. She is insanely loyal, and is hardworking. Sure she puts her work ethic to use for things like dismantling the patriarchy, but she is hardworking and diligent nonetheless. )
Zodiac: Taurus
Candle scent: Mahogany Teakwood
Element:Fire
Alignment: Chaotic Good
Kinsey Scale: X
Deadly sin: Pride
Greatest Virtue: Diligence
Fatal flaw: Her Loyalty. She will do whatever she must to take care of her loved ones, and will sacrifice herself before anyone else every time.
Fashion: She dresses pretty comfortably. Like usually comfy pants, some sort of jacket, and a tshirt. She pulls it off, but man she definitely goes for comfort of looks.
Goals + Desires: She wants a world where everyone is equal, where everyone can be who they want, and can live how they want, without anyone telling them what to do. She also may want to destroy all established governments..
Biggest Fear: She is afraid of losing her family, including the hunters. She has already lost Zoe, she wants to lose no more.
Most Irrational Fear: Pteromerhanophobia, a fear of flying. She was born before planes were invented, and in her mind, it’s just wrong and shouldn’t happen.
Hobbies: She likes to practice archery, she likes to go sit in the woods and talk to the animals. She likes to dance when she is bored, as well as finding somewhere to climb. She can often be found up in a tree, reading a book, for hours on end.
Habits: she mutters to herself in Spanish about people. She wrings her hands when she is nervous, she also picks at her nails. When frustrated she clenches her fists and recites children's songs in her head to calm down.
Favorites
Food: her mother’s La Caldosa. (Chicken soup)
Drink: an ice cold glass of water.
Movie: That’s funny, she is pretty clueless on movies. .
Book: She personally likes anything by Agatha Christie.
Song: La Bella Cubana
Flower: The White Mariposa
Animal: Raccoons, they make the best conversation. .
Season: Fall
Day: Sunday, it is peaceful and quiet.
Month: November
Time of day: Night, after everyone else has gone to bed and she is left alone with her thoughts.
Camp stuff
When did they arrive: Her first visit was in 1874, about a year and a half after she joined the hunters.
When were they claimed: She wasn’t claimed, but she joined the Hunters when she was 18, back in 1873.
How did she join: She was in a cell, after being captured by the Spanish military. She had been there for 4 days when she was visited by Artemis. They had found out who she was and had found her mother and siblings. They threatened to hurt them if she didn’t tell them everything she knew about the rebel army’s plan. She was praying to anyone who would listen, to help her save her family, when Artemis appeared and offered to let her join the hunters and that together they could save her family. She hasn’t regretted it since.
Opinion on the new cabins: she is neutral.
Why? : this is like the only thing she is neutral about. It’s not really her world, so she doesn’t feel right getting all high and mighty about it.
Opinion on Lyssa: Now she has a lot of opinions on Lyssa. She believes that no one should tell someone that they don’t belong. It pissed her off and she may want to hit her.
Go to weapon: Her silver bow that can transform into a small moon necklace.
Ambrosia: her mother La Caldosa.
Favorite camp location: Either the forest of the climbing wall.
Quests: More than she can count.
Story
Marisol was born in Cuba in 1855 to a wealthy Cuban born farmer and his wife. She was the eldest of seven children. She was 13 when the 10 years war began. Her father joined the rebel army, fighting for their country's independence. 2 years into the war, her father was killed in action. This devastated her whole family.
Marisol wanted continue to help the revolution, even though her father was gone, so she disguised herself as a man and ran off to fight for the rebel army. She fought in the rebel army for 3 years before she was caught by the Spanish. They laughed at her, when it was revealed she was a woman; and locked her up, believing she would be easy to break, since she was a woman. She was questioned by them for days on end. They even were able to find out who she was, and therefore her family.
It was that night, after they threatened her family, that she met Artemis. She prayed to anyone who would help her save her family. Her prayers were answered by Artemis. She appeared in the cell, and made her an offer. If she swore off love and promised her allegiance to Artemis, she would become one of her hunters, and would be granted abilities that would help her protect her family, as well as immortality. She promised to help her fight these injustices, and promised that if she was willing, together they would fight to protect innocents, and for independence. She agreed quickly, and became a hunter of Artemis.
With the help of Artemis and her newfound sisters, she was able to save her family, helping them escape to America, New york specifically, where they would be safe.
It was hard to say goodbye. Her family was devasted, they hadn't heard from her in years, since she joined the rebels, and they thought they got her back, only to have her leave again. She knew it was for the best, that the life they expected her to lead was not what she needed. She still visited at least once a year, as she watched her siblings grow, and then their children, and then their children's children. They still tell stories of the great great aunt, their protector.
She has now been with Artemis for almost 150 years, and has proven herself time and time again to be a loyal sister to the goddess and the hunters. She finds comfort with her new family.
Inspirations.
ENJOLRAS from Les Miserables
ZOE NIGHTSHADE from Percy Jackson
THALIA GRACE from Percy Jackson
TOPH from Avatar
MULAN from Mulan
MARY READ an English pirate
LADY KIMA OF VORD from Critical Role
“𝕀𝕥 𝕚𝕤 𝕥𝕚𝕞𝕖 𝕗𝕠𝕣 𝕦𝕤 𝕒𝕝𝕝
𝕋𝕠 𝕕𝕖𝕔𝕚𝕕𝕖 𝕨𝕙𝕠 𝕨𝕖 𝕒𝕣𝕖
𝔻𝕠 𝕨𝕖 𝕗𝕚𝕘𝕙𝕥 𝕗𝕠𝕣 𝕥𝕙𝕖 𝕣𝕚𝕘𝕙𝕥
𝕋𝕠 𝕒 𝕟𝕚𝕘𝕙𝕥 𝕒𝕥 𝕥𝕙𝕖 𝕠𝕡𝕖𝕣𝕒 𝕟𝕠𝕨?
ℍ𝕒𝕧𝕖 𝕪𝕠𝕦 𝕒𝕤𝕜𝕖𝕕 𝕠𝕗 𝕪𝕠𝕦𝕣𝕤𝕖𝕝𝕧𝕖𝕤
𝕎𝕙𝕒𝕥'𝕤 𝕥𝕙𝕖 𝕡𝕣𝕚𝕔𝕖 𝕪𝕠𝕦 𝕞𝕚𝕘𝕙𝕥 𝕡𝕒𝕪?”
ABC Cafe/Red and Black, From Les Miserables
“𝕎𝕖𝕝𝕝, 𝕚𝕗 𝕪𝕠𝕦 𝕕𝕠𝕟'𝕥 𝕝𝕚𝕜𝕖 𝕘𝕚𝕣𝕝𝕤 𝕥𝕙𝕒𝕥 𝕒𝕣𝕖 𝕤𝕥𝕣𝕠𝕟𝕘𝕖𝕣 𝕥𝕙𝕒𝕟 𝕪𝕠𝕦
𝔸𝕟𝕕 𝕚𝕗 𝕪𝕠𝕦 𝕕𝕠𝕟'𝕥 𝕝𝕚𝕜𝕖 𝕘𝕚𝕣𝕝𝕤 𝕥𝕙𝕒𝕥 𝕒𝕣𝕖 𝕗𝕒𝕤𝕥𝕖𝕣 𝕥𝕙𝕒𝕟 𝕪𝕠𝕦
𝔸𝕟𝕕 𝕚𝕗 𝕪𝕠𝕦 𝕕𝕠𝕟'𝕥 𝕝𝕚𝕜𝕖 𝕘𝕚𝕣𝕝𝕤 𝕥𝕙𝕒𝕥 𝕒𝕣𝕖 𝕤𝕞𝕒𝕣𝕥𝕖𝕣 𝕥𝕙𝕒𝕟 𝕪𝕠𝕦
𝕎𝕖𝕝𝕝, 𝕥𝕙𝕖𝕟 𝕪𝕠𝕦 𝕞𝕚𝕘𝕙𝕥 𝕟𝕠𝕥 𝕝𝕚𝕜𝕖 𝕞𝕖”
𝕄𝕚𝕘𝕙𝕥 𝕟𝕠𝕥 𝕝𝕚𝕜𝕖 𝕞𝕖
Might not like me, by Brynn Elliot
“𝔸𝕟𝕕 𝕚𝕥'𝕤 𝕓𝕖𝕖𝕟 𝕥𝕨𝕠 𝕪𝕖𝕒𝕣𝕤 𝕀 𝕞𝕚𝕤𝕤 𝕞𝕪 𝕙𝕠𝕞𝕖
𝔹𝕦𝕥 𝕥𝕙𝕖𝕣𝕖'𝕤 𝕒 𝕗𝕚𝕣𝕖 𝕓𝕦𝕣𝕟𝕚𝕟𝕘 𝕚𝕟 𝕞𝕪 𝕓𝕠𝕟𝕖𝕤”
Fight Song, by Rachel Platten
“𝕀 𝕒𝕞 𝕒 𝕟𝕒𝕥𝕚𝕠𝕟, 𝕀 𝕒𝕞 𝕒 𝕞𝕚𝕝𝕝𝕚𝕠𝕟 𝕗𝕒𝕔𝕖𝕤
𝔽𝕠𝕣𝕞𝕖𝕕 𝕥𝕠𝕘𝕖𝕥𝕙𝕖𝕣, 𝕞𝕒𝕕𝕖 𝕗𝕠𝕣 𝕖𝕝𝕖𝕧𝕒𝕥𝕚𝕠𝕟
𝕀 𝕒𝕞 𝕒 𝕤𝕠𝕝𝕕𝕚𝕖𝕣, 𝕀 𝕨𝕠𝕟'𝕥 𝕤𝕦𝕣𝕣𝕖𝕟𝕕𝕖𝕣
𝔽𝕒𝕚𝕥𝕙 𝕚𝕤 𝕝𝕚𝕜𝕖 𝕒 𝕗𝕚𝕣𝕖 𝕥𝕙𝕒𝕥 𝕟𝕖𝕧𝕖𝕣 𝕓𝕦𝕣𝕟𝕤 𝕥𝕠 𝕖𝕞𝕓𝕖𝕣𝕤”
The Resistance, by Skillet
“𝕎𝕖𝕝𝕔𝕠𝕞𝕖 𝕥𝕠 𝕞𝕖 𝕒𝕟𝕕 𝕞𝕪 𝕒𝕟𝕒𝕣𝕔𝕙𝕪
𝕀’𝕞 𝕛𝕦𝕤𝕥 𝕥𝕙𝕖 𝕨𝕒𝕪 𝕞𝕒𝕞𝕒 𝕞𝕒𝕕𝕖 𝕞𝕖
𝔽𝕠𝕣 𝕥𝕙𝕖 𝕡𝕖𝕠𝕡𝕝𝕖 𝕥𝕙𝕒𝕥 𝕕𝕠𝕟’𝕥 𝕦𝕟𝕕𝕖𝕣𝕤𝕥𝕒𝕟𝕕 𝕞𝕖
𝕀 𝕕𝕠𝕟’𝕥 𝕘𝕚𝕧𝕖 𝕒 𝕗𝕦𝕔𝕜 𝕀’𝕞 𝕟𝕠𝕥 𝕪𝕠𝕦𝕣 𝕨𝕚𝕗𝕖��”
Anarchy, by Neon Hitch
“𝕊𝕠 𝕙𝕖𝕣𝕖'𝕤 𝕞𝕪 𝕣𝕚𝕘𝕙𝕥 𝕗𝕚𝕟𝕘𝕖𝕣
𝕋𝕠 𝕙𝕠𝕨 𝕘𝕚𝕣𝕝𝕤 𝕤𝕙𝕠𝕦𝕝𝕕 𝕓𝕖𝕙𝕒𝕧𝕖
'ℂ𝕒𝕦𝕤𝕖 𝕤𝕠𝕞𝕖𝕥𝕚𝕞𝕖𝕤 𝕨𝕙𝕒𝕥'𝕤 𝕞𝕖𝕒𝕟𝕥 𝕥𝕠 𝕓𝕣𝕖𝕒𝕜 𝕪𝕠𝕦
𝕄𝕒𝕜𝕖𝕤 𝕪𝕠𝕦 𝕓𝕣𝕒𝕧𝕖”
I’d rather be me, from Mean Girls
#【Let’s Dismantle the Patriarchy】Marisol Introduces#ambrosia:intro#I’ll add wanted connections later
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IL LIBRO LIBeRO — Irene Bendinelli
Salpammo all'alba.
Eravamo uno sparuto gruppo di curiosi spiriti all'avventura, fermamente intenti a emulare le leggendarie imprese del multiforme eroe Ulisse. Il cielo sopra di noi conservava ancora il respiro lento delle ultime luci stellate della notte, mentre stralci dorati di un nuovo giorno si preparavano a indicarci la rotta.
Eravamo privilegiati spettatori di uno scenario mai visto prima: maestoso, bellissimo, come tante rose tee da poco sbocciate in una meraviglia di colori! Il nostro giardino fiorito era lievitato, sollevato da schiumose onde del Mare-Oceano-Mari.
Cavalcammo, come intrepidi indiani nelle vaste praterie americane, verso spazi aperti, immensi, nell'infinità delle acque salate. Nessuno ci avrebbe potuti fermare! Eravamo più forti di mille eroi della mitologia greca, più coraggiosi di tutti i soldati del mondo riuniti in battaglia e più liberi di centomila palloncini sospesi nell'aere.
Il vento a favore ci guidava come un caro padre che prende il figlio per mano e lo conduce verso i sentieri della sua vita futura. Sostenuti dalla forza di Eolo, ci sentivamo padroni dell'universo, dei mari, delle terre, dell'aria e della miriade di stelle lassù.
Continuava a navigare fiera e sicura la nostra imbarcazione in legno, con tre gonfie vele bianche issate: erano tre morbide nuvole di ovatta, calate sulla linea dell'orizzonte. Intanto gli spruzzi d'acqua e sale ci rinfrescavano, permettevano di farci sentire sui volti tutta la carica esplosiva dell'estate e sancivano l'unione tra noi marinai e le creature marine. Ci sentivamo anche noi come dei pesciolini.
– Esploratori seguaci di Nemo, sgargiante bandiera a strisce bianche e arancioni, all'arrembaggio! Il tesoro dell'isola è già nostro!
Niccolò era completamente assorto in quell'avvincente lettura, che non si era distratto neanche da suoni e suonetti provenienti dal telefono mobile. A capofitto tra quelle pagine sfogliate con vivo interesse, aveva la possibilità di diventare un ottimo marinaio a bordo del vascello Poseidone.
– Agli ordini, capitano! - rispose la ciurma al completo, mentre il Mare-Oceano-Mari riempiva l'anima.
La direzione era quella giusta, puntando ancora per diverse miglia a Nord. La freschezza di quell'acqua salata, sempre più chiara e limpida, ci rinfrescava anche i pensieri, che viaggiavano leggeri leggeri, sorretti da quelle tre gonfie vele bianche.
Da marinaio semplice avevo ancora tanto da imparare, ma la passione e la curiosità non mi mancavano certamente, così controllare la nave, svolgere la regolare manutenzione e talvolta provvedere alla distribuzione del cibo nella cambusa erano attività che non mi spaventavano minimamente. In tutto questo, non perdevo mai di vista il nostro saggio ed esperto capitano Hogart, pronto a guidarci nell'impresa e a risolvere qualsiasi genere di situazione: gli imprevisti, per lui, erano semplicemente nodi di velluto da sciogliere grazie a piccole mani dalle dita elastiche.
Niccolò interruppe la lettura e si osservò le mani. Anche le sue, come quelle descritte nel romanzo, erano mani piccole, con dita peraltro elastiche, proprio perché lui era ancora un bambino. Sarebbe voluto entrare in quella storia, Niccolò, far parte di quella ciurma, aiutare il capitano Hogart a sciogliere i nodi degli imprevisti e dimostrare agli altri marinai, a se stesso, ma soprattutto ad alcuni suoi compagni di classe che aveva coraggio da vendere, anche se a scuola appariva spesso introverso. Le sue, erano ancora mani misurate per impugnare le penne e le matite, morbide per proteggere un cucciolo di gatto e delicate per assemblare in mille diverse costruzioni i mattoncini Lego. Sarebbero diventate capaci, però, non troppo tardi, di ammainare le vele, manovrare il timone, sfidare la forza dei venti e utilizzare tutti gli attrezzi del mestiere marinaresco.
Il sole, intanto, si preparava a troneggiare nel centro della volta celeste. Splendido splendente si sarebbe fatto alto, una palla infuocata, luccicando ininterrottamente sulle creste lievi di quella meraviglia che era il Mare-Oceano-Mari. E l'acqua si sarebbe ancor di più riscaldata e la vita a bordo del vascello Poseidone si sarebbe illusa di stare pigramente in vacanza.
Uno stormo di gabbiani, saziato dall'abbondanza di pesci, decollò veloce dalla superficie azzurra screziata di bianco ai chiari riflessi sconfinati del cielo, diretto verso una mèta ben precisa, per vivere una nuova stagione in un'altra terra.
Un'isola accogliente stava aspettando anche i nostri marinai.
Si delineò di lato alla loro vista un curvilineo profilo di un timido scoglio, col capo di poco alzato e ricoperto da una rigogliosa vegetazione. Mentre la distanza dal veliero all'isola si riduceva, mentre si annullava la presenza di uomini e animali nei paraggi, ardeva il desiderio di approdarvi, la frenesia di corrervi a piedi nudi e di scoprirne il fatidico tesoro. Pirati e galeotti si erano sfidati, su altri mari e in altre epoche, per appropriarsi di gemme e monete in quantità; temerari cercatori d'oro si erano spinti per secoli oltre quelle acque, per nobilitare ogni volta di più le loro imprese; sognatori di altri tempi – e forse anche di questi – erano cresciuti con il sale della fantasia e la speranzosa convinzione di far rotta all'isola di Utopia.
Poche erano le carte nautiche che segnalavano la presenza di quell'isola, a differenza di molte che la ignoravano completamente, indicando al suo posto una qualsiasi corrente acquatica. Ma poiché il mistero si infittisce se un'antica pergamena polverosa viene scovata per caso in una rimessa, trovano invece il loro senso la curiosa esplorazione, l'audace avventura e l'entusiasmo della partenza.
Il capitano Hogart, da vero capitano, fu il primo a scendere dall'imbarcazione, per assicurarsi che su quella terra, emersa dai fondali marini, non si nascondessero insidie. Soltanto pappagalli dai grandi becchi gialli e dalle ampie piume variopinte, appesi sulle legnose fronde di contorte mangrovie, intonarono un acuto saluto di benvenuto.
“Ci siamo!” pensò Niccolò. “Vediamo ora cosa succede.”
I marinai, con la gioia che sarebbe esplosa nei loro petti se non fosse stata contenuta dalle divise a righe bianche e blu, seguirono fedelmente il loro capitano. Parevano una fila ordinata di formiche in processione, caute e silenziose, ma ancor più attente e curiose, alla ricerca di cibo, di briciole di pane. L'ultimo della ciurma, col viso florido e raggiante per la fierezza del compito assegnatogli, issò sulla sponda orientale della riva l'alta bandiera del Poseidone: un tridente grigio rivolto in su, sostenuto dalla possente mano destra del dio Nettuno, protettore di tutti i mari e della loro piccola compagnia.
– Ricordate il richiamo dell'eroe Ulisse ai suoi compagni di viaggio! Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza! – rimbombò così potentemente la voce di Hogart, da far volare via in un istante tutti i pappagalli che li avevano accolti.
“La conoscenza, la conoscenza!” pensai.
Da tre mesi della mia vita mi trovavo a bordo di una nave, che già consideravo come una seconda casa, io che da piccolo non volevo più uscire dalla vasca durante il bagnetto e che giocavo a ore sulle pozzanghere come fossero laghi da attraversare. Avevo imparato tanto finora: ogni uscita in mare aperto era una sfida con me stesso e con la natura, ogni gesto da compiere un esempio di solidarietà verso gli altri, ogni nubifragio una prova da superare per crescere, ogni porto raggiunto una sicurezza da custodire con affetto.
Mentre tali pensieri mi rimbalzavano nella mente, i miei piedi marciavano allineati a quelli degli altri marinai alla scoperta di quell'isola. L'aria era talmente intrisa di un silenzio paradisiaco, che si riuscivano a percepire i respiri affannati e i battiti accelerati dei nostri cuori.
Li avvertiva anche Niccolò quei respiri e quei battiti, che filtravano da quei luoghi fantastici alla cameretta reale del bambino, grazie alle pagine ingiallite di quel romanzo, appartenuto da generazioni alla sua famiglia.
L'isola, con una superficie grande quanto mille uomini in cerchio, odorava di essenze rare, di dolci profumi fruttati e di fresche fragranze floreali. Il lungo viaggio assolato sul Mare-Oceano-Mari trovava il suo meritato riposo all'ombra di nodose mangrovie, di maestose palme verdeggianti e di piante dai fiori tropicali mai visti prima, che infondevano pace e serenità.
Quell'isola era tutta per loro, per quei prodi marinai!
La costa orientale era contornata da un'innumerevole varietà di conchiglie, alghe, ricci e legnetti, adagiati su basse dune sabbiose, mentre la zona a Ovest era battuta da forti venti impetuosi, che si infrangevano su dure e ripide falesie, come se due stagioni naturali si contendessero il controllo di quella dispersa roccaforte.
Nel mezzo stavano loro, i coraggiosi marinai, in equilibrio tra estate e inverno, tra caldo e freddo, nel protetto spazio centrale dove terra, roccia, fiori e frutti convivevano in armonia. Non c'erano tracce di tesori, di bauli, di gemme e di ori, ai quali la ciurma non pensava già più, felice com'era di starsene lì tranquilla e beata. Nel cuore di quell'isola svanivano i rancori e le paure, le ansie e i problemi, sostituiti dalla calma quiete delle anime, dalle perfette solitudini ritrovate e dall' intramontabile desiderio di libertà mai sopito. Altre isole avrebbero raggiunto, altre avventure avrebbero vissuto, altre storie avrebbero raccontato, ma quella era l'isola alla quale non avrebbero più rinunciato, l'isola del Poseidone, dove ognuno si sentiva libero. Come vento libero.
Niccolò sentì entrare, dalla finestra aperta della camera, un soffio d'aria fresca. Era l'imbrunire di una sera alla fine di aprile, era la briosa brezza di quell'isola, sostenuta e tramandata dall'eco esplosivo della letteratura che aveva trasformato le pagine del libro in onde di libertà, amata libertà.
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Tutto intorno all'altare, vasti rampicanti arricciati dispiegavano il verde scuro delle foglie, a completare il rosso del sangue versato - una specie di addobbo natalizio, sormontato di rami grevi e sopra ancora, le stelle. Quando gli angeli arrivarono, come uccelli messaggeri ma nella carne battezzata di uomini, incombevano sulla scena con spade riarse, facevano piovere sul mondo agitando ali zuppe contro un cielo cangiante. Il bambino nel canestro era vivido come un limone, odorava d'umido il suo fagotto bagnato. La madre, china, cantava la ninnananna nel linguaggio liquido composto per chi è nato da poco - sillabe corte come scivolassero dalla grondaia, insieme alle prime gocce di pioggia, minuscole pere argentee dalle fronde scintillanti delle palme. I tre qui riuniti - vecchi re senza corona: la scarafaggio, il condor e il leopardo, signori delle fratture sotto la terra, del passo montano e della pianura coperta d'erba - non erano adorni, non portavano doni, non venivano all'adorazione; solo si inducevano a fissare questo riapparso, sgraziato figlio che, ad ascoltare il vento, avrebbe terminato la terra per come è stata. Da qualche parte, a nord della scena familiare si scioglievano le calotte polari, l'acqua avanzava in lente, inesorabili schiere, travolgendo gli antichi monumenti, gonfiando i mari, affinché affondassero i fiori e le grandi città d'acciaio. Delfini giocano nell'alta marea, anemoni intrecciano innumerevoli braccia come capelli di una gorgone annegata, con i tratti addolciti dal mare, indistinguibili. Al confine del deserto, dove l'oasi muore nella sabbia strisciante, la sfinge forse trema sulle sue cosce di pietra e la pioggia, cadendo, compie la rovina del suo volto. Il Nilo svanisce nel mare, le acque salgono e soffocano il rumore della terra. Al confine della foresta, dove dorme il bambino, si raccolgono le acque - come se una mano scostasse la tenda per spargere intorno la scena brillante, illuminata. Quando le onde si chiusero, finendo il verde passaggio dell'oceano, non c'era tempo per piangere. Nessun cembalo finale, nessuno tuono ad annunciare il silenzioso saccheggio dell'acqua; come sprofondò tutto senza suono: la famigliola e la scena così simile all'adorazione. In alto, altre nuvole giunsero, serrarono i ranghi attraverso il cielo; gli angeli, che parevano tanto solidi, divennero mercurio nella pioggia. Adesso, niente più che il vento passa sul viso, grinzoso di pioggia, delle acque enormi, ma più in fondo dove il calamaro gigante si nasconde in timidi intrichi, le balene, coi corpi pesanti di angeli, le pinne come reliquie di ali, cantano la loro epica possente - un giorno glorioso, quando le navi ripiegano, gli arpioni perdono la mira, la terra si scioglie nelle acque, e loro nuotano fra le cime dei monti, come aquile del profondo, mentre sotto ancora i vecchi incubi della terra sedimentano nelle città infrante, il cesto vuoto del bambino fluttua abbandonato fra le alghe finché il lavorio dell'acqua l'avrà disfatto in fili di paglia, e poi sarà marcita anche la paglia nel disgelo planetario che le balene chiesero in preghiera, elevando al cielo gli zampilli nella serena certezza che si sarebbe riversata nell'oceano la richiesta esaudita nel miracolo della pioggia: E la terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell'abisso. E lo Spirito aleggiava sulla superficie delle acque.
Eleanor Wilner
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Andre Aciman - Call Me by Your Name
“I loved August weather. The town was quieter than usual in the late summer weeks. By then, everyone had left for le vacanze, and the occasional tourists were usually gone before seven in the evening. I loved the afternoon best: the scent of rosemary, the heat, the birds, the cicadas, the sway of palm fronds, the silence that fell like a light linen shawl on an appallingly sunny day, all of these highlighted by the walk down to the shore and the walk back upstairs to shower. I liked looking up to our house from the tennis court and seeing the empty balconies bask in the sun, knowing that from any one of them you could spot the limitless sea.”
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Oltre la sponda
Ero attaccato con il naso sui pannelli di vetro del treno, tanto vicino che lo appannavo dal col respiro, avevo gli occhi rotondi come delle biglie e vi era riflessa tutta la città cullato dal buio della notte. Il treno correva ad agio, non accelerava né rallentava, neanche di poco, il tragitto era accompagnato dal rumore delle ruote che seguivano le rotaie, mi piaceva era rilassante, quel rumore sembrava fatto apposta per durare in eterno, un viaggio senza fine.Erano due mondi diversi, l'interno del treno e la città. Guardavo dalla vetrata gli edifici della città, le insegne luminose, gli lampioni e infine una stella. L'unica stella nel cielo cosparso di nuvole che avevano l'impressione di dissolversi lentamente nel nulla, non aveva nulla di speciale era soltanto una stella ma ne rimasi incantato, lei sola nel buio, brillava per tutti, nonostante il cielo nuvoloso, lei splendeva per me. Passarono una decina di anni da allora, erano le due di notte e non riuscivo prendere sonno, ma ero stanco dopo aver viaggiato tutta la giornata. Era una notte silenziosa e infondeva inquietudine nel mio animo, non riuscivo proprio a darmi pace, così decisi di uscire dall'albergo per farmi una passeggiata, si sentivano le fronde delle palme frusciare dal venticello che soffiava, era piacevole e nostalgica, sentivo una sensazione che mi tormentava, non avevo voglia di tornare al letto, non me la sentivo ancora. Così strascinai i miei piedi verso la spiaggia, la strada non era difficile da percorrere ma ero uscito in ciabatte e i piedi mi facevano male, c'era qualche lampione che faceva da luce, sembrava un posto dimenticato da Dio da quant'erano poche, cercai di pensare d'altro ma avevo la mente vuota come questa città. Sentivo il rumore delle onde del mare che avanzavano e si ritiravano, non doveva essere lontano, la strada sembrava non finire mai, la stanchezza mi aveva reso i piedi pesanti come il cemento, a ogni passo sentivo l'odore salmastro del mare, quella sensazione familiare ma così diversa mi portò alla fine della strada che era interrotta dalla sabbia e da un sentiero di palme, così per un'altra volta passai da un mondo all'altro, ero arrivato alla spiaggia. La sabbia nonostante la notte era così morbida e tiepida, chiusi gli occhi e ascoltavo attentamente alle onde del mare che smorzavano continuamente il silenzio. Sospirai e sbarrai gli occhi, ero sdraiato sotto un cielo colmo di stelle, erano così tante che quasi non ci stavano su un cielo, era così bello che non riuscivo a distogliere lo sguardo, così triste che piangevo copiose lacrime senza che me ne accorgessi, lei non c'era, c'erano tante di loro ma lei non era lì, come avevo potuto dimenticare, l'unica stella nel cielo che aveva brillato per me, ora ero io l'unico sulla terra e le stelle mi guardavano, ero così solo che me ne sono dimenticato di esserlo.
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Perché la Domenica delle Palme ci scambiamo rametti d’ulivo?
La Domenica delle Palme è la solennità che segna il confine tra la Quaresima (che termina il sabato) e la Settimana Santa, di cui, appunto, è il primo giorno.
Come l’anno scorso, anche quest’anno si celebrerà in tempo di Covid. I riti però, a differenza del 2020 che furono senza popolo, potranno avvenire in presenza dei fedeli. Ma si dovranno rispettare i decreti governativi: quindi distanze, mascherine, igiene delle mani, cura nel privilegiare le chiese più vicine a casa, e, soprattutto, niente processioni “delle palme”.
A questo proposito vorrei rispondere a una domanda che molti mi pongono: perché la domenica delle Palme benediciamo degli ulivi e non delle palme?
La risposta è semplice. In primo luogo non è tassativo che la benedizione riguardi gli ulivi, basta vedere le molte foto dove Papa Francesco è ritratto con dei vistosi rami di palma. In secondo luogo, è vera, in questo caso, la risposta più semplice: e cioè che fino alla civiltà della globalizzazione non era così facile avere alle nostre latitudini dei rami di palma mentre invece l’ulivo, albero mediterraneo, abbonda nelle nostre zone. Il simbolo dell’ulivo poi, è profondamente biblico: tutti ricordiamo il racconto della Genesi dove la colomba torna a Noé con in bocca un rametto d’ulivo (Gn 8,11).
Va’ detto, infine, che nel racconto dai vangeli inerenti l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, è probabile che venissero agitate non solo rami di palme ma anche di altre piante. In effetti, mentre Giovanni esplicita chiaramente la presenza della palma (“il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui – Gv 12,12-15) e Luca sorvola sulla questione, Marco (che è il vangelo più antico) parla di fronde (Mc 11,8) e Matteo di rami di alberi (Mt 21,8).
La Domenica delle Palme cristiana, infatti, avvenne durante la celebrazione della festività ebraica di Sukkot, la cosiddetta “festa delle Capanne”, durante la quale i fedeli sventolavano il Lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi: la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera, e il salice, la cui forma delle foglie rimandava alla bocca chiusa dei fedeli in silenzio di fronte a Dio. La presenza del ramo di palma quindi non era esclusiva. Se si aggiunge che la strada percorsa da Gesù, che proveniva da Betania, con tutta probabilità fiancheggiava l’orto degli ulivi, ecco che la presenza di rametti di ulivo, oltre a rami di palma, diventa assolutamente verosimile.
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La Vie antérieure
La Vie antérieure
J'ai longtemps habité sous de vastes portiques Que les soleils marins teignaient de mille feux, Et que leurs grands piliers, droits et majestueux, Rendaient pareils, le soir, aux grottes basaltiques.
Les houles, en roulant les images des cieux, Mêlaient d'une façon solennelle et mystique Les tout-puissants accords de leur riche musique Aux couleurs du couchant reflété par mes yeux.
C'est là que j'ai vécu dans les voluptés calmes, Au milieu de l'azur, des vagues, des splendeurs Et des esclaves nus, tout imprégnés d'odeurs,
Qui me rafraîchissaient le front avec des palmes, Et dont l'unique soin était d'approfondir Le secret douloureux qui me faisait languir.
— Charles Baudelaire
My Former Life
For a long time I dwelt under vast porticos Which the ocean suns lit with a thousand colors, The pillars of which, tall, straight, and majestic, Made them, in the evening, like basaltic grottos.
The billows which cradled the image of the sky Mingled, in a solemn, mystical way, The omnipotent chords of their rich harmonies With the sunsets' colors reflected in my eyes;
It was there that I lived in voluptuous calm, In splendor, between the azure and the sea, And I was attended by slaves, naked, perfumed,
Who fanned my brow with fronds of palms And whose sole task it was to fathom The dolorous secret that made me pine away.
— William Aggeler, The Flowers of Evil (Fresno, CA: Academy Library Guild, 1954)
Former Life
I've lived beneath huge portals where marine Suns coloured, with a myriad fires, the waves; At eve majestic pillars made the scene Resemble those of vast basaltic caves.
The breakers, rolling the reflected skies, Mixed, in a solemn, enigmatic way, The powerful symphonies they seem to play With colours of the sunset in my eyes.
There did I live in a voluptuous calm Where breezes, waves, and splendours roved as vagrants; And naked slaves, impregnated with fragrance,
Would fan my forehead with their fronds of palm: Their only charge was to increase the anguish Of secret grief in which I loved to languish.
— Roy Campbell, Poems of Baudelaire (New York: Pantheon Books, 1952)
My Former Life
I can remember a country of long, high colonnades Which mirrored in their pale marble the prismatic light Cast from the bright sea billows in a thousand shades, And which resembled a cave of fluted basalt by night.
The ocean, strewn with sliding images of the sky, Would mingle in a mysterious and solemn way, Under the wild brief sunsets, its tremendous cry With the reflected colors of the ruined day.
There did I dwell in quiet luxury apart, Amid the slowly changing hues of clouds and waves; And there I was attended by two naked slaves
Who sometimes fanned me with great fronds on either side, And whose sole task was to let sink into my heart The dolorous and beautiful secret of which I died.
— George Dillon, Flowers of Evil (NY: Harper and Brothers, 1936)
La Vie antérieure
aeons I dwelt beneath vast porticoes stained by the sun and sea with fiery dye, whose lordly pillars, stark against the sky, like caverned cliffs in evening's gold arose.
the rolling surges and their mirror skies blent in a grave mysterious organ-air the chords all-powerful of their music rare with sunset's colours in my glowing eyes.
'twas there I lived before, 'mid azure waves, blue skies and splendours, in voluptuous calm, while, steeped in every fragrance, naked slaves
made cool my brow with waving fronds of palm: — their only care to drive the secret dart of my dull sorrow, deeper in my heart.
— Lewis Piaget Shanks, Flowers of Evil (New York: Ives Washburn, 1931)
Previous Existence
For a long time I lived under vast colonnades, Stained with a thousand fires by ocean suns, Whose vast pillars, straight and majestic, Made them seem in the evening like grottos of basalt.
The sea-swells, in swaying the pictures of the skies, Mingled solemnly and mystically The all-powerful harmonies of their rich music With the colors of the setting sun reflected by my eyes.
It is there that I have lived in calm voluptuousness, In the center of the blue, amidst the waves and splendors And the nude slaves, heavy with perfumes,
Who refreshed my forehead with palm-leaves, Their only care was to fathom The dolorous secret that made me languish.
— Geoffrey Wagner, Selected Poems of Charles Baudelaire (NY: Grove Press, 1974)
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Extremely difficult to narrow down just a few, but I know this is a challenge for most and a skill for some, so here they are--a selection of my favorite covers, and while we’re at it, records as well.
Satan is Real - The Louvin Brothers Capitol Records 1959
A record cover for the ages. Before you even crack into this record about the perils of playing fast and loose, these god fearing gospel brothers say plenty enough with...everything except their voices. From the desperate expressions of much needed salvation, to the Colonel Sanders attire, everything screams old-time religion. The whole scene just looks like the set of a low-budget movie, even with the out-of-place-yet-oddly-fitting swanky font, you know they’re deadly serious. Also helps that the record sounds as if it’s being played through an antique radio.
Quiet Village - Martin Denny Liberty 1959
A classic example of post-WWII polynesian fantasy. Among the themes that the original composer of Quiet Village (as a single, by Les Baxter) explored are present in the artwork. In his own words:
“The jungle grows more dense as the river boat slowly makes its way into the deep interior. A snake slithers into the water, flushing a brilliantly plumaged bird who soars into the clearing above a quiet village. Here is a musical portrait of a tropical village deserted in the mid-day heat.”
Before the needle even caresses the lush grooves blossoming from the vinyl, we’re already in the thickness of these elements. Either transported away in a daydream, reality, or Hollywood magic--America’s fascination and fetishism of the South Pacific is epitomized in the bamboo, the palm fronds and the seduction of the model. Sure, she’s most likely a starlet from Los Angeles, but the midday heat is alive in her eyes. Maybe the hut is real or maybe it was taken down only to be repurposed in a Honolulu tiki bar, or some receptacle for Mai Tais. Just like a tropical vacation, reality is suspended here, so that only the imagination is vibrant and humid, like peeking at the sky from the center of the jungle.
Sinatra at The Sands - Frank Sinatra (with the Count Basie Orchestra) Reprise 1966
Appropriate for swinging lounge parties as it was for your grandmother (or mine, at least). An all-star cast made this one possible. The Count, The Dude and The Chairman in his kingdom. Live onstage and in the spotlight. What more needs to be said?
Odyssey and Oracle - The Zombies CBS 1968
This psychedelic collage blending the styles of yesterday and today, this is a cover (like pretty much everything else on this list and so many others) that reflects the material inside. You know this is going to be a day tripper friendly record for summer days in the park. It’s the time of the season to get hung up on a dream.
Musical Massage - Leon Ware Motown 1976
My favorite record of all time, hands down. For a while, I was listening to this record at least once a week. Some times, once a day. The smooth sexuality of the cover art (and gatefold, which is a full-on view) was not isolated at the time (the Ohio Players featured covers like this on almost every record in the 70s) but nobody did it better than Ware and his woman with the bee sting stare---piercing and full of honey at the same time. Does the hand suggest power or pleasure? Is the pose submission, or a position? Of course, the music is a 50-something minutes of sonic lovemaking, each track unfolding into the next like sheets falling onto the floor, like body heat melting candy. If Leon Ware is learning how to love you with music, then this cover is the invitation.
Romantic Times - Lewis Baloue Light in the Attic (reissue) 1985
This is an interesting one. I suggest looking this guy up if you’re interested. For years, he remained a complete mystery--and his backstory reads like the character synopsis for a wayward poster child of 80′s glamor: stocks, excess, boats, jets and shrouded in sleek mystery. So the legend goes...
This cover emphasizes standard 80s tropes (also, common themes found in rap music, which this is far from) the Mercedes drop top, the private jet, white suit, impeccable coif. The list goes on. You can just imagine him lighting the cigar while cruising on the PCH, to some yacht rock song custom made for the whole affair. Does it show the high rolling lifestyle of a man? Or simply a myth? Such is the aim of good cover art.
Goo - Sonic Youth DGC Records 1990
I’ve been in love with this cover since I was probably 13. You know the deal, “Hey baby, where ya goin? Anywhere.” They smoke cigarettes, wear black and yeah sure, they’re criminals on the loose---but don’t all adventures begin by running away from something?
Before the Dawn Heals Us - M83 Mute 2005
This one is awesome, I’d like to frame it. The font, the cityscape (Bangkok) and bright lights give you that feeling of running wild, like anything’s possible, full of glimmer and shine, of meeting new people on the go and feeling the warm air of excitement and the rush of a motor scooter, a tuk tuk, or just sticking your head out the window of a car rushing through streets lined with people and the language of someone else’s tongue. Even down to the title, this is an album for what goes on in the nighttime.
Have a great weekend.
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– fill out the questions about your muse, repost, and tag as many people you want.
tagged by @jkbaws tagging NO ONE BC TUMBLR WONT LET ME TAG ANYONE. U SEE THIS UR TAGGED THATS IT I DONT MAKE THE RULES
1. what does your muse smell like?
cigarettes—he used to smoke this africa but switched to this plus (the sea hates a coward) a couple of years ago—weed, alcohol, and sometimes a little too much cologne. years ago he used to wear jean paul gaultier’s le male, but now he wears bleu de chanel for its ambery notes and sandalwood base.
2. how often does your muse bathe? any bathing habits?
it fluctuates, like most things in his life, so sometimes he will shower twice a day and other times he will skip bathing all together for a day or two. variety is the spice of life. if he is keeping up with his hygiene, he will preferably shower in the morning (or when he wakes up) or before he has to go out and meet with people. to save time, he likes to brush his teeth and shave in the shower.
3. does your muse have any tattoos or piercings?
he has both his ears pierced, one done at a very young age, the other done in his 20′s. as for tattoos, there are so many he has lost count. both hands and arms sport tattoos that range from large pieces like his crucifixion of christ and giant killer whale swimming through a sea of hibiscus to smaller ones like a smiley face and some scriptures. his chest and back also have tattoos, notably one large one in block letters that reads SEOUL across his collarbone. most recently, he had palm frond tattooed on the right side of his neck. he’s toyed with the idea of a face tattoo for a while now.
4. any face/body movement quirks (e.g. leg shaking)?
he fidgets with his many rings, but the habit comes and goes. when he’s feeling anxious, he will also pick at his skin (arms, hands, neck, face).
5. what do they sleep in?
nothing? sometimes he’ll slip on boxers after a round of sex before sleep. but if that night wasn’t so fortunate, he’ll probably sleep in the clothes he wore out. rarely does he get ready for bed, but if it happens, he is wearing basketball shorts.
6. what is their favorite piece of clothing?
probably his camo trucker hat. he’s had it for years and he still wears it regularly which says a lot. this man likes to shop, too. he has plenty of hats to choose from. another favorite, and recent purchase, is a louis vuitton leather cap.
7. what do they do when they wake up?
he checks his phone, goes on social media, reads a few emails, and might even reply to a couple of texts. he’s become accustomed to this routine, so whenever he passes out and his phone is either dead or missing, he’ll continue to sleep, ignoring whatever time of day it may be.
8. how do they sleep?
he doesn’t usually and it’s quite worrisome. in turn he will sleep on the bus or at his desk (it happens every once in awhile), or he’ll make up for lost time and sleep for an exorbitant amount of hours.
if he’s at a good place in his life and sleeping regularly, he’ll sleep soundly on his side or nearly facedown.
9. what do their hands feel like?
coarse, like hands that have dealt with too much too soon. but they are strong and like to wander, so they feel warm and promising.
10. if you kissed them, what would they usually taste like?
warm, wet, and what he last smoked or drank. such things like to linger, but he’s come to find that those that kiss him are typically attracted to that.
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Ragusa in Movimento: "In via Ettore Fieramosca le fronde delle palme piantumate su uno spartitraffico rischiano di rovinare a terra"
Ragusa in Movimento: “In via Ettore Fieramosca le fronde delle palme piantumate su uno spartitraffico rischiano di rovinare a terra” was originally published on ITALREPORT
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