#le faccio solo come antistress
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#doodle#ste cosette non hanno assolutamente senso#le faccio solo come antistress#specialmente sto periodo che me sto a preparare alla sessione de inizio marzo#e la voglia de abbandonare gli studi si fa sempre più forte#<- e qui lo dico ironicamente perchè sennò giuro che do fuoco a tutto (lol)
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Forse mi sono sempre sentito come un colpevole.
Essendo cosi tanto emotivamente sensibile.
Talmente spaventato ad essere un peso per qualcuno, ho sempre avuto paura a mostrarmi vulnerabile davanti a gli altri, anche con le persone che mi stanno vicine.
Mi spaventa a mostrarmi così, sempre.
Faccio finta di essere sicuro di me stesso, intoccabile, invulnerabile, uno come la società voglia.
Ma sono cosi, non me ne devo fare una colpa infinita.
Talmente spaventato anche a far cadere una lacrima accanto ad una ragazza.
Chissà se un giorno cambierò, chissà se tutto potrà scomparire.
Ma non mi va, non voglio, in questo mal essere mi trovo bene.
Mi sento come se fossi vivo, come se il dolore riaccendesse quel inefrenabile voglia di vita, di amore, di tutto, di essere una persona migliore per me stesso e per tutti quelli che mi stanno accanto, pur sapendo come sono in fondo.
Beh, quasi tutti...
Mi verrebbe da dire " scusatemi" quando mi comporto così.
Come se fosse uno sbaglio, un comportamento intollerabile a gli occhi degli altri.
Ma vorrei essere accettato, da tutti e da me stesso.
Lo so, sono un pò incoerente su quello che dico.
I miei pensieri, su quello che sono, oscillano da un estremo all'altro.
Ma perché non saprei cosa scegliere, mi piace essere così sensibile, vulnerabile, ecc...
Ma ho sempre quel punto fisso, che mi dice di tener su la schiena e combattere il mondo a mani nude, da solo.
Ma io da solo non ci voglio stare.
Voglio combattere le mie battaglie con una persona al mio fianco, una persona che accetti quello che sono, che appena piango se ne frega di chi mi sta attorno, e che mi abbracci, per sparire, per un istante.
Quel poco per restare nel nostro mondo immaginario.
Creato da me in precedenza, come il mio posto di pace, quel posto ideale.
Che solo pochi riescano a intravederlo.
Ma dopo tutto questo scombussolamento mi siedo, prendo una sigaretta in mano e guardo su, dove tutti siamo venuti e tutti, alla fine del nostro incredibile, sorprendente e spaventoso viaggio arriverà al capo linea.
So che la sigaretta fa male, ma mi aiuta ad alleggerire le cose che mi accadono giornalmente, come se fosse un antistress.
Come se quando l'avessi tra le mie dita mi sentissi padrone di me stesso.
Capace di cose che gli altri possano soltanto immaginare.
Non ho mai parlato di me stesso, così profondamente nei miei testi, ho sempre idealizzato e dopo scritto le cose che vorrei, come delle relazioni che si vedono soltanto nei film, oppure quelle storie d'amore che continuano anche in un altra vita...
Ma oggi è diverso, non saprei spiegarmelo onestamente.
Forse ci sono emozioni o pensieri che non riusciamo a descrivere tramite le parole tradizionali che la comunità dispone.
Ma nel mio piccolo mondo ci provo, con tutto quello che so, e che ho a mia disposizione.
Per esempio, a volte mi sembra di essere un libro, sapete quel libro impolverato che nessuno prende mai, se non aprirlo e chiuderlo subito?
Beh eccomi, ma nessuno mai legge quello che c'è all'interno.
Nessuno mai che si appassiona a quello che tengo custodito all'interno.
Ma arriverà qualcuno, lo so e ne sono convinto con tutto il mio corpo.
È li fuori, forse più vicina di quanto penso...
Ma boh, la vita è lunga, devo solo aspettarla, forse accanto al lago, mentre c'è un bellissimo tramonto, o forse su marte, così che quando vuole, possa venire a farmi un saluto, e che si possa sedere accanto a me, per idealizzare un mondo migliore con me.
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Little meow [HS]
summary: Harry e la sua ragazza litigano, e Harry deve trovare un modo per farsi perdonare
written by: me
word count: 885
warnings: ci sono diverse parolacce, se qualcuno di voi si sente a disagio, non leggete
enjoy
Y/N e Harry avevano litigato. Avevano litigato di brutto. Erano passati da insultarsi a vicenda dicendosi quanto fossero esaustivi a accusarsi di tradirsi con i propri ex. Era iniziato tutto quando quella sera Harry era tornato a casa dallo studio. Era arrabbiato e frustrato, e se la prese con l’unica persona presente in quel momento, ossia Y/N, che era felice quando aveva sentito le chiavi girare nella serratura, pronta per abbracciare il suo ragazzo e poi cenare con la pizza che aveva ordinato prima. Ma già da quando aveva sentito la porta di casa sbattere, iniziò a essere infastidita, e il suo fastidio aumentò soltanto quando vide Harry entrare in cucina e nemmeno salutarla, mettendosi seduto a tavola per poi afferrare il cartone della sua pizza
“cos’è sta roba?” furono le sue prime parole, una volta aperto il cartone
“la tua pizza” rispose Y/N, sempre più spazientita dal comportamento del suo ragazzo
“non volevo una margherita”
“prendi sempre la margherita”
“ma oggi non mi andava”
“e secondo te io come faccio a saperlo? non leggo nella mente!” disse Y/N alzando la voce
“cristo, non urlare! sono io quello che lavora tutto il fottuto giorno, mentre tu non fai mai un cazzo a parte urlarmi contro e essere fottutamente appiccicosa!” disse, alzando la voce anche lui
“non osare dare la colpa a me! sei tu quello che torna sempre incazzato a casa senza motivo per poi prendertela con me come se fossi un fottuto antistress! e poi pretendi che io rimanga ferma a ascoltarti mentre mi urli contro! è fottutamente stressante avere il tuo ragazzo che tutte le sere ti sbraita contro!”
“bene! se sono così fastidioso allora perché non te ne torni col tuo ex?! scommetto che non vedi l’ora di tornare da lui che ti baciava sempre il culo, esattamente come la puttana che sei!”
“stai davvero dicendo che io, voglio tornare col mio ex?! sei tu quello che esce sempre con Kendall e parla sempre di lei! Kendall di qua, Kendall di là, Kendall ha fatto questo, Kendall ha fatto quello! parli di me quando tu sei il primo a essere ossessionato dal proprio ex!”
“vai a fanculo!”
“oh, puoi giurare che lo farò. Ma ci andrò con Max, esattamente come tu mi hai gentilmente consigliato di fare”
“fai quel che cazzo ti pare, ma non sorprenderti se quando tornerai ci sarà già Kendall qui”
Queste furono le ultime parole che si urlarono contro, prima che Y/N uscisse dalla porta sbattendola, esattamente come aveva fatto Harry.
Harry sapeva che Y/N sarebbe andata dal suo ex, proprio come aveva detto, mossa dall’orgoglio. Ma lui non avrebbe invitato Kendall. Nonostante tutto, quella era casa loro. Sua e di Y/N. In più, voleva restare solo per calmare la sua rabbia, e ora anche la gelosia che provava.
Gli ci volle un giorno intero per calmarsi del tutto, e un altro ancora per decidere cosa fare per farsi perdonare
Y/N in questo tempo era rimasta a casa di Max, perché sapeva che Harry la sarebbe andato a cercare. O almeno, ci sperava. Lei e Max si erano lasciati in buoni rapporti, e erano ancora amici. Per questo per lui non fu un problema farla stare a casa sua per due giorni, dopo che lei si era presentata lacrimante alla sua porta e averla ascoltata. Comunque, quella sera lui e Y/N avevano preso del cibo dal Mc Donald, e ora lo stavano mangiando in cucina, parlando di tanto in tanto, quando il suono del campanello li interruppe. Max si alzò e andò a aprire. Dopotutto, quella era casa sua. Ma quando aprì la porta, capì che non era lui quello che stavano cercando
“uhm...”
“so che è qui, ho bisogno di vederla. per favore”
Max era ancora indeciso su cosa fare, ma poi gli fece segno di aspettare e andò a chiamare Y/N. Lei si alzò, e avendo già capito chi fosse andò verso la porta, trovando, esattamente come credeva, Harry, con le mani dietro la schiena mentre si mordeva il labbro
“cosa vuoi?”
“so che ti ho fatta arrabbiare, e di essermela presa con te senza motivo, quando non era neanche colpa tua, ma sono qui per farmi perdonare”
“avanti allora”
era ancora infastidita, e Harry lo potava dire guardando le sue braccia, incrociate sul suo petto. Nonostante questo, nulla la poteva preparare a quello che Harry aveva in serbo per lei. Infatti, quando portò le mani davanti, queste reggevano una scatola, che le porse. Y/N gli lanciò un’occhiata confusa, ma prese comunque la scatola e l’aprì, e appena lo fece, i suoi occhi iniziarono a brillare di eccitazione. Nella scatola c’era un gattino addormentato di pochi mesi.
Harry stava per aprire la bocca per dirle qualcosa, ma fu interrotto da Y/N che gli saltò addosso abbracciandolo, dopo aver lasciato la scatola a terra.
“grazie! grazie grazie grazie! ti amo così tanto ommioddio!”
Harry rise a quanto velocemente la sua ragazza potesse cambiare umore, e la strinse tra le sue braccia.
“ti amo anch’io. e mi dispiace”
ma Y/N non rispose perché scesa da lui per risollevare la scatola e iniziare a accarezzare l’animaletto all’interno, che si svegliò e fece un piccolo “miao”, che ottenne come risposta un altrettanto piccolo “aw” da Y/N, ma non da Harry, che era troppo occupato a guardare la sua ragazza estasiato
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Parla Simon Revolt: "Antistress" e una vita fatta di musica
Abbiamo incontrato per voi Simon Revolt, MC ed artista decisamente in crescita nel sempre scatenato scenario della musica italiana. Ci ha raccontato tutto sul suo nuovo singolo, "Antistress" (qui disponibile su Spotify: https://spoti.fi/3H9x2rO)
Com'è nato il tuo nuovo singolo "Antistress"?
In un pomeriggio 'soleggiante', il mio producer mi fa questa sorpresa e viene a trovarmi a casa con questo nuovo beat. Gli diamo un primo ascolto e inizio a fare qualche giro melodico con la voce… E fin da subito troviamo la chiave giusta per il ritornello, con cui ho iniziato a stendere il testo.
Come mai questo titolo? In effetti di stress ce n'è in giro un bel po'…
Verissimo, di stress un po' tutti ne soffriamo durante la nostre giornate. La canzone nasce dalle delusioni quotidiane che tutti proviamo: "Antistress" si propone come "integratore fitness in pillole", in grado di rendere la giornata più piacevole e allontanando falsi amici e squali incapaci di nuotare. E' una canzone perfetta per eliminare malumori e tossine, in mix praticamente letali, accumulati durante le nostre giornate.
A livello musicale sembra perfetto per un aperitivo in spiaggia… secondo te quando andrebbe ascoltato?
Mi fa molto piacere che tu dica così, perché il brano vuole realmente emanare good vibes… Credo sia perfetto anche per un viaggio in macchina alzando il volume a palla! Questa, tra l'altro, è anche la sensazione che ho provato una volta chiuso il brano.
Il ritmo è deciso ma dolce… come hai prodotto il brano in studio di registrazione? Ci sono altri musicisti che collaborano con te?
Al brano ho lavorato con il mio produttore Samuel Marcos Gori. E' ormai un fratello per me. Ha creduto dal giorno 1 nel progetto e ci piace fare session in studio, sperimentando nuovi sound e cremando con costanza nuovi beat.
Stai lavorando anche ad altri brani? "Antistress" è senz'altro un buon punto di partenza...
Assolutamente sì, non mi sono mai fermato. E' quello che amo fare, mi piace prendere spunto non solo dalla mia vita e quello che accade ma anche dalle situazioni che vivono i miei amici e conoscenti. Le trasformo, come se fossi io in prima persona.
Come si sta evolvendo il tuo sound?
Non amo etichettare la mia musica con un genere o un sound specifico. Mi piace fare musica! E quello a cui tengo è che mi si riconosca in quello che faccio… al di là del genere e della tipologia di sound.
Che musica stai ascoltando in questo momento?
Ascolto musica a 360 in base alla giornata apro e decido cosa ascoltare. Mi piace ascoltare le novità non solo dei big ma anche degli artisti emergenti.
A che punto ti senti della tua carriera?
Non saprei dirtelo… sicuramente nella vita siamo sempre tutti 'in formazione' e non si smette mai di imparare.
Simon Revolt su Instagram
https://www.instagram.com/simonrevolt/
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Simon Revolt: "Antistress" ed una vita di musica
Abbiamo incontrato per voi Simon Revolt, MC ed artista decisamente in crescita nel sempre scatenato scenario della musica italiana. Ci ha raccontato tutto sul suo nuovo singolo, "Antistress" (qui disponibile su Spotify: https://spoti.fi/3H9x2rO)
Com'è nato il tuo nuovo singolo "Antistress"?
In un pomeriggio 'soleggiante', il mio producer mi fa questa sorpresa e viene a trovarmi a casa con questo nuovo beat. Gli diamo un primo ascolto e inizio a fare qualche giro melodico con la voce… E fin da subito troviamo la chiave giusta per il ritornello, con cui ho iniziato a stendere il testo.
Come mai questo titolo? In effetti di stress ce n'è in giro un bel po'…
Verissimo, di stress un po' tutti ne soffriamo durante la nostre giornate. La canzone nasce dalle delusioni quotidiane che tutti proviamo: "Antistress" si propone come "integratore fitness in pillole", in grado di rendere la giornata più piacevole e allontanando falsi amici e squali incapaci di nuotare. E' una canzone perfetta per eliminare malumori e tossine, in mix praticamente letali, accumulati durante le nostre giornate.
A livello musicale sembra perfetto per un aperitivo in spiaggia… secondo te quando andrebbe ascoltato?
Mi fa molto piacere che tu dica così, perché il brano vuole realmente emanare good vibes… Credo sia perfetto anche per un viaggio in macchina alzando il volume a palla! Questa, tra l'altro, è anche la sensazione che ho provato una volta chiuso il brano.
Il ritmo è deciso ma dolce… come hai prodotto il brano in studio di registrazione? Ci sono altri musicisti che collaborano con te?
Al brano ho lavorato con il mio produttore Samuel Marcos Gori. E' ormai un fratello per me. Ha creduto dal giorno 1 nel progetto e ci piace fare session in studio, sperimentando nuovi sound e cremando con costanza nuovi beat.
Stai lavorando anche ad altri brani? "Antistress" è senz'altro un buon punto di partenza...
Assolutamente sì, non mi sono mai fermato. E' quello che amo fare, mi piace prendere spunto non solo dalla mia vita e quello che accade ma anche dalle situazioni che vivono i miei amici e conoscenti. Le trasformo, come se fossi io in prima persona.
Come si sta evolvendo il tuo sound?
Non amo etichettare la mia musica con un genere o un sound specifico. Mi piace fare musica! E quello a cui tengo è che mi si riconosca in quello che faccio… al di là del genere e della tipologia di sound.
Che musica stai ascoltando in questo momento?
Ascolto musica a 360 in base alla giornata apro e decido cosa ascoltare. Mi piace ascoltare le novità non solo dei big ma anche degli artisti emergenti.
A che punto ti senti della tua carriera?
Non saprei dirtelo… sicuramente nella vita siamo sempre tutti 'in formazione' e non si smette mai di imparare.
Simon Revolt su Instagram
https://www.instagram.com/simonrevolt/
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Come ti "ricarichi" quando qualcuno ti spegne ?
Vi è mai capitato di incontrare qualcuno in grado di consumarvi tutte le energie, anche solo parlandoci ??
E' impressionante come alcune persone, siano talmente negative, da avere il potere di esaurirti completamente, standogli vicino.
Come se si parlasse ad un muro, e si disperdesse tutto.
In risposta, non torna indietro neanche il vostro eco, ma solo la loro convinzione che è tutto nero.
Ma è - il loro nero - immaginario.
E qualsiasi cosa che fai, dici, spieghi, che sia giusta o sbagliata. Che importanza ha?!
Tanto loro, sanno tirarti fuori, molto più, del peggio, che potrai mai essere.
E ti buttano giù, come in un vortice continuo.
Sarebbe facile dire
- evita questa gente-
quando posso, infatti, lo faccio.
Ma la verità, è che a volte, devi averci a che fare per forza.
In fondo viviamo in una società, non possiamo sempre chiuderci in una stanza di gente selezionata !! (Magari)
Sono una persona estremamente empatica, una crocerossina che non riesce a fare a meno di tentare di recuperare gli irrecuperabili,
quindi, certa gente la attraggo come una calamita, e su di me, fanno effetto sanguisuga!!
Ma bisogna trovare un modo per riprenderci in mano i nostri pensieri, la nostra positività, e ricaricare la nostra energia.
- Io, mi ricarico creando.
Ed in 5 minuti, ho creato con la mia nuova Maker, questa scritta in fommy glitterato, per decorare la porta della cameretta delle mie bimbe, con i loro nomi!
Ok. Mi sono ricaricata.
😎Ho trovato il mio antistress ed ho fatto felici due Principessine che amo 💛
E voi?! Cosa fate??
Cucinate? urlate in un cuscino? Fate body jumping?? Partitella a calcetto ??? 🤣
facciamo forza, gente positive!!
C'est la vie...
instagram
#cricut#cricutmaker#cricutcraft#cricutamade#maker3#maker#maker2#scrap#interiordecor#home decor#home & lifestyle#cherryne#Instagram
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#DC143C
I muri del mio appartamento rimbalzano e amplificano il suono di un sassofono, accompagnato da una chitarra elettrica così silenziosa che si espande nell'aria come un odore; le mie orecchie si accendono e trasmettono l'impulso al cervello, che decide di farmi aprire gli occhi giusto per farmi notare che, il rametto d'incenso sul mio comodino, ha appena esalato il suo ultimo respiro.
Vedo del rosso e non capisco perché lì per lì mi sento come se fossi fuori dal mondo, in un posto in cui non dovrei essere; decido di guardare il mio orologio, compagno fedele che mi è stato accanto nelle gioie e i dolori di questa vita segnata: è un Casio d'annata, comprato a due spicci su Amazon ma affidabile, duraturo, immutabile in tutto questo tempo trascorso insieme.
4:35, non ho bisogno di accendere il display perché è anch'esso illuminato di rosso.
Guardo i secondi scorrere sul display quando capisco il perché di quel colore così accecante: mi sono addormentato di colpo, e ho lasciato i led e la mia piccola cassa Bluetooth accesi ma non solo, perché mi sono addormentato con lo smartphone in mano.
Lo accendo, lo guardo e, con gli occhi appannati dal sonno, mi accorgo che mi ha augurato la buonanotte: s'è accorta che sono andato a dormire senza salutarla e sicuramente si sarà sentita sola, ma rimedierò un giorno o l'altro o forse no, non importa.
Spengo il telefono e lo lascio cadere sul letto, mentre con fare incerto decido di alzarmi: mi siedo ai bordi del letto e guardo la mia stanza vuota, inerme, con solamente il sassofono e la chitarra elettrica che riecheggiano nell'aria; decido però di spegnere la cassa, ho bisogno di silenzio in questo momento.
Il silenzio è l'unico momento in cui non può succedermi niente.
Mi stiro, e nel frattempo mi metto gli occhiali che mi danno sempre un'aria più sofisticata, chissà perché: appesantiscono il mio sguardo, mettono in evidenza le mie fossette sotto gli occhi e le mie occhiaie ma sono io, e senza di loro non sarei quello che sono.
Buffo come gli oggetti abbiano la capacità di definire ciò che siamo.
Li metto e la prima cosa che faccio è andare in bagno, al buio, senza nemmeno degnarmi di vedere dove sto andando perché tra poco devo uscire e sono già in ritardo, come al solito: stranamente riesco a centrare la tazza, non mi succede mai a quest'ora.
Svuoto la mia vescica, ed è come se non lo facessi da giorni, mesi, anni.
Ritorno in camera mia e apro l'armadio, è sempre la prima cosa che faccio quando devo prepararmi per andare a un appuntamento anche se non so mai cosa scegliere: questa volta, però, lo so e devo solo prendere la mia camicia preferita, la mia cravatta delle grandi occasioni e un paio di pantaloni, un paio di scarpe, qualcosa per non morire di freddo, il mio zaino con le solite cianfrusaglie per sopravvivere e il mio accendino color giallo, che ho anche se non fumo; prendo tutto e vado in bagno, perché voglio che si presenti a questo appuntamento il Marco migliore, quello che non riesco mai a vedere se non negli occhi degli altri.
Mi chiudo in bagno anche se sono solo perché voglio essere al sicuro, anche da me stesso.
Entro in doccia: chiudo gli occhi e lascio andare via, grazie allo scorrere dell'acqua, il mio sonno per permettere alle mie incertezze, alle mie ansie, alla voglia di non fallire, di riuscire, di essere di entrare nel mio corpo, quasi per prenderne possesso e per terrorizzarmi, impietrirmi, impedirmi di agire come un veleno in circolo nelle vene delle mie intenzioni ed emozioni.
Esco, mi asciugo e indosso tutto: sistemo la mia cravatta nel modo migliore che posso, abbottono i polsini stando attento a non far saltare i bottoni e abbottono la camicia stessa stando attendo ad associare i bottoni agli occhielli corrispondenti e allaccio le scarpe stando attendo a infilare i lacci tra il piede e il lato della scarpa stessa, perché mi si slacciano sempre le scarpe e non è questo il caso.
Sono vestito ma mi manca ancora tanti passaggi che compio scrupolosamente, quasi come un rito: devo pettinarmi, sistemare la barba, lavarmi i denti, le orecchie, sistemare le unghie, mettermi il profumo stando attento a non puntare il tutto sulla barba appena tagliata, mettermi le gocce negli occhi, ma anche banalmente schiarire la voce, non sembrare uno in cerca di droga, non essere il solito sciatto del cazzo; le mie premesse vanno a farsi benedire quando mi guardo allo specchio e noto che, per quanto io ci abbia provato, sono comunque il solito sciatto del cazzo: decido che va bene così perché sono me stesso, e se devo fallire in tutto questo non voglio farlo nei panni di un'altra persona.
5:15, il mio Casio è proprio un compagno affidabile.
Prendo le chiavi, spengo le luci, chiudo la porta di casa a chiave ed esco; in pochi secondi sono in auto, navigatore alla mano, destinazione impostata: "15 minuti all'arrivo", forse ce la faccio ad arrivare in tempo.
Accendo i fari, metto la cintura, abbasso la voce del navigatore che mi ha distrutto i timpani e metto in moto, anche se con un po' di fatica per via dell'età della mia auto: dopo pochi minuti imbocco l'autostrada a 3 corsie che mi permetterà di arrivare da lei.
Chiedo a Google di rimettere in riproduzione la canzone che mi ha svegliato stamattina mentre accelero e mi metto su una velocità di navigazione di 130km/h: mi godo il panorama, l'orizzonte ma anche la luce dei fari che si insinua tra le curve di quest'autostrada e che mi permettono di vedere il futuro, anche se soltanto a distanza di pochi metri.
Arrivano a farmi compagnia le mie paure, le mie ansie, le mie insicurezze che sono entrate dentro di me e che non escono più perché adesso fanno parte di me, anche se solo per un po'; ho paura di farmi male di nuovo perché sto di nuovo rimettendo in ballo me stesso e sto mettendo in discussione quello che sono, quello che dico, quello che anche banalmente provo, faccio, penso, ma anche perché il Marco che esiste adesso sta per essere messo alla prova e qualsiasi sarà l'esito di tutto questo ne uscirò cambiato, diverso, in bene o in peggio a seconda di come andrà.
Ma non importa, perché sono le 5:30 e sono in anticipo, proprio come piace a me.
Esco dalla macchina, afferro il mio zainetto e chiudo la portiera con gentilezza, perché non ho più bisogno di correre: indosso lo zaino e incomincio a camminare su questa collina che è ripida, molto, e che diventa difficile da scalare perché le scarpe che ho indossato non sono adatte, anche se non mi importa perché volevo vestirmi elegante a tutti i costi.
Rischio di cadere un paio di volte faccia a terra e le mie mani si graffiano perché atterro su delle pietre appuntite, ma non è importante perché alla fine ci riesco: sono arrivato in cima, e sono anche in orario.
Apro il mio zaino e prendo questa tovaglia, che apro e che appoggio a terra perché voglio sedermi, godermi il momento e non pensare a niente se non a quello che sono e a quello che sto provando adesso, mentre osservo l'orizzonte in camicia, cravatta, pantaloni, scarpe e orologio della Casio.
Ho i brividi, quindi mi metto addosso la giacca che mi sono portato appresso: a volte sono proprio previdente.
Manca poco ed incomincio ad innervosirmi perché l'attesa mi snerva: per smorzare il tutto tiro fuori il mio accendino giallo e lo roteo tra le dita perché è il mio antistress preferito, oltre che il mio portafortuna personale.
Sono le 5:35, mancano 4 minuti.
Decido di prendere il telefono e di rispondere a quella buonanotte a cui non ho risposto: scrivo semplicemente "buongiorno" anche se, quando lo faccio, mi sento pesante e infantile, nelle mie intenzioni.
Ogni volta che le scrivo buongiorno è come se un pezzo di cuore andasse via, non mi so spiegare il perché ma non importa, perché non sa che sono qui e forse non lo saprà mai.
Il sole spunta, sono le 5:39.
È l'alba, e uno dei raggi rossastri attraversa una delle lenti dei miei occhiali e mi colpisce negli occhi, proprio come le luci a led stanotte, quando mi sono svegliato di colpo.
Sono qui, sto vedendo l'alba e questo mi basta e mi commuovo per questo, tanto: incomincio a piangere e a starnutire, ma non è importante: sono venuto solo per incontrarmi, l'ho fatto, e ne sono felice.
Resto lì per un po', fino a quando non ricevo un "buongiorno", da parte sua.
"Che fine hai fatto ieri?"
"Mi sono addormentato".
"Sei sempre il solito".
"Ti sono mancato o sbaglio? Rido. Torno subito"
"Dove scappi?"
"Secondo te?"
"In bagno"
"Esatto"
Forse è meglio che io me ne vada.
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Depressione: ecco perché nei secoli scorsi non esisteva
Nuovo post pubblicato su https://www.wdonna.it/depressione-ecco-perche-nei-secoli-scorsi-non-esisteva/101775?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=101775
Depressione: ecco perché nei secoli scorsi non esisteva
La depressione non è esistita in epoche passate. Nella Bibbia non è mai descritta. Nella Bibbia troviamo disperazione, perché i figli sono stati uccisi e Rachele li piange, perché c’è la sconfitta, la deportazione, l’ira di Dio. La depressione non c’è. Da nessuna parte c’è scritto di qualcuno perfettamente sano con l’insalata nell’orto e pane e vino che non gli mancavano, che un certo punto sprofonda una tristezza e desidera morire. Una buona parte del nostro disastro dipende da un eccesso di narrazioni visive. Traduzione in parole povere: televisione e simili. Il nostro cervello emotivo non distingue tra vero e falso. Inoltre ha una memoria totale. Noi non siamo coscienti di tutto quello che abbiamo interiorizzato. Il nostro inconscio è stato quindi toccato, ispirato o inondato, da innumerevoli fattori di cui non siamo coscienti, visto che ce li siamo dimenticati, essendo la memoria del cervello razionale è estremamente limitata, come ben sappiamo quando ci dimentichiamo lezioni studiate o appuntamenti. Dato che tutto quello che vediamo e ascoltiamo rischia di appiccicarsi sul nostro subconscio come una gomma da masticare sputata sotto le scarpe, prima di esporre il nostro cervello a roba che gli entra dentro, pensiamoci un attimo: che non sia un’operazione banale da fare a casaccio. Niente zapping, miriadi di immagini slegate, niente film dell’orrore, niente immagini ripugnanti, niente zombie, niente seghe elettriche a meno che non studiamo da falegnami. O se sì, allora non domandiamoci perché siamo sempre più cupi. Davvero pensiamo che vedere in televisione una persona smembrata ci lascerà uguali a prima? Smettiamo di guardare i telegiornali: ricaviamo le nostre informazioni dalla parola scritta, che è mediata dal cervello razionale e non dalle immagini, decodificate dal cervello emotivo. Inoltre il telegiornale ci racconta le eccezioni. L’eccezione è il male. Il telegiornale ci racconta dell’unico uomo che ha ucciso la fidanzata, non dei milioni di uomini che non lo hanno fatto, ci racconta del paese in guerra, non delle centinaia di paesi che non sono in guerra. Se guardiamo i telegiornali avevo l’impressione che il mondo sia costituito da guerre e ammazzamenti, con qualche terrificante terremoto.
Una delle cause della diffusione sempre più brillante della depressione è la pubblicità. Il nostro cervello razionale sa che la pubblicità è falsa, il nostro cervello emotivo non lo sa; il nostro cervello razionale magari è anche arrivato alla conclusione che è meglio prendere al supermercato i prodotti non reclamizzati: non hanno dovuto sottrarre dalla qualità i soldi del marketing. Il nostro cervello inconscio non lo sa e mi dà un barlume di contentezza quando compro il marchio, il brand in termini tecnici, riconosciuto.
Non solo ma le ore e ore di pubblicità che ho interiorizzato hanno dato al mio cervello l’informazione, che a questo punto è fatta di granito, che la cosa importante sono le cose.
Aver visto signore e signori squittire di felicità per il bucato più bianco, i denti bianchi, la pelle più liscia, l‘auto più assolutamente qualsiasi che ti stanno spacciando per unica al mondo, il divano sempre in saldo al 50%, ha piantato nella nostra mente come chiodi l’idea che tutto quello che conta sia tangibile, l’idea che solo il tangibile conti.
Un’infinita attenzione ai bambini. Un televisore spento, che viene acceso solo a una determinata ora per guardare quel determinato programma e spento subito dopo, può essere una buona soluzione. Meglio ancora se invece che essere trasmessa da televisione è un video, qualcosa di cui conosciamo il contenuto e senza pubblicità. Se i bambini si abituano a non guardare la televisione, stanno meglio. Quando guardiamo la televisione con i bambini, sempre, senza saltarne una, avvertiamo che le pubblicità sono fesserie, perché non solo è quasi sicuramente falso che quel prodotto sia migliore degli altri, ma è sicuramente falso che sia così importante averlo.
Tutte le volte che qualcuno sorride facendo una determinata azione, sta passando messaggio, sta programmando il nostro inconscio, perché noi siamo normalmente e fisiologicamente portati a imitare le azioni delle persone che sorridono. Se quella roba li ha fatto così contento quel tizio là, magari fa contento anche me. Quindi si crea nel mio cervello una necessità inconscia a ripetere quello che ho visto. I terrificanti capricci che i bambini fanno per ottenere oggetti pubblicizzati da gente sorridente, sono semplicemente logici. La colpa è nostra che abbiamo permesso che il cervello dei nostri bambini fosse sguaiatamente esposto a una forma così plateale e brutale di controllo mentale. Nessuno fa pubblicità a quanto valga la pena di battersi per avere una famiglia armoniosa. Nessuno fa pubblicità a come sia bello camminare che insieme al leggere è il più potente antistress, anche per la stimolazione bilaterale degli emisferi che si ha in queste due attività.
Con l’unica eccezione della Chicco, nessuno fa più pubblicità a quanto sia bello avere un bimbo che arriva a scombinarti la vita e a darle un senso, nessuna pubblicità ti avverte che è meglio morire a casa propria circondato da gente che ti ama e non in una casa di riposo circondato da persone per i quali sei un lavoro. Se te lo dicessero in tempo, verso i 20 anni, uno farebbe anche in tempo a crearsi una vita dove uno o più pargoli vengono a scombinare tutto e dove ci sarà qualcuno a tenerti la mano quando muori.
Nella civile Svezia, che è considerata una specie di faro di civiltà, i cui bizzarri accademici dominano la cultura mondiale con il loro bizzarro premio Nobel, le persone muoiono sole: l’80% di loro ha raggiunto questo strepitoso traguardo. Per fortuna l’eutanasia e il suicidio assistito sono una conquista assodata.
Come sia bello volersi bene, come siano belle le stelle, che potenza dia pregare non fa parte del messaggio pubblicitario, quindi si diffonde sempre di più l’uso degli alcolici pesanti tra giovanissimi, un fenomeno oggi abituale che fino a 50 anni fa era presente solo in situazioni estreme. Nessuno dice che queste cose sono quelle importanti.
I bambini inoltre spesso sono deprivati di oggetti transazionali. Un bambino ha bisogno di un giocattolo che abbia per lui valenza emotiva. Se giocattoli nuovi pubblicizzati da tizi sorridenti lo attirano su altre cose, sostituisce il giocattolo con altri e non si affeziona mai a nessuno.
Una bambina che abbia venti bambole, è come se non ne averne nessuna.
Anche noi non abbiamo più oggetti transazionali.
La penna stilografica con cui ho fatto l’esame di stato si è dispersa in un oceano di penne usa e getta, i fazzoletti con l’iniziale ricamata sono scomparsi a favore dei kleenex.
Anche il matrimonio è diventato usa e getta, la sessualità è usa e getta, l’importante è avere i denti bianchi, mantenere la parola data è irrilevante.
Facciamo il sudoku per riempire il tempo libero, oppure i solitari sul computer.
E se lo utilizzassimo per ricamare le iniziali sui fazzoletti? Fabbricare sciarpe fatte con i ferri? Intagliare qualcosa, costruire?
Homo faber. La civiltà è cominciata con l’uomo chiuso le mani. C’è una gioia infinita nell’avere tra le mani qualcosa che primo fatto noi. Insegnate ai vostri figli a rifarsi il letto. Se un dodicenne non è cerebroleso o amputato delle mani deve andare a scuola lasciandosi le spalle un letto rifatto. Il valore che lui dà a se stesso, la sua autostima, per usare questo italiano di plastica, sarà molto più alto: ha fatto qualcosa, ha modificato il mondo. Insegniamo ai nostri figli a coltivare pomodori e intagliare il legno. Se sappiamo cucire o ricamare possiamo avere sempre capi assolutamente unici al mondo. Poche cose danno gioia come mangiare qualcosa che abbiamo coltivato noi. Sempre più spesso le persone mi chiedono: cosa me ne faccio dell’ottimismo se sono disoccupato? La mia risposta è: imparate a coltivare. Cercate di un pezzo di terra, se non siete in grado di pagarvelo, occupate un pezzetto di terra in maniera di non dare fastidio a nessuno. Se vi siete sbagliati, si avete dato fastidio, di cacceranno e niente di male: andrete da un’altra parte Da sempre le città sono circondate da questi piccoli orti di proprietà incerta. Imparate a coltivare. Imparate a segare. Imparate a costruire. Imparate a recuperare. Imparate a usi a usare le mani. Tornate a essere l’uomo che in grado di fare, senza supermercati, senza grande distribuzione, senza finanza, senza economia. Tanto più siamo autosufficienti tanto più la nostra depressione scompare.
Articolo della Dott.ssa Silvana De Mari
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Come una mattina all’Eurospin può salvarvi la vita. Racconto di un disperato alla ricerca dell’immortalità tra asparagi e Alzheimer
Il privilegio di essere disoccupato e abitare di fianco all’Eurospin è quello di avere sempre a portata di mano una bella scorta di birra Kenner. Ingozzarsi del suo fantastico luppolo austriaco, nella solitudine del mio loft romano, davanti ad una serie Netflix non ha prezzo, o meglio, lo ha: 2,99 euro per una confezione da quattro e 7,99 euro per un abbonamento Netflix standard. Adoro crogiolarmi negli abissi abietti della mia malsana solitudine. Mi accorgo che, dopo un paio d’ore consecutive passate davanti al monitor, a tracannare con sguardo vitreo e occhi gonfi, avverto una fitta dietro la nuca ai lati della regione occipitale, la vista cala e le mani si intorpidiscono. Decido allora di fare una piccola pausa, per evitare di passare l’intera notte in preda alla turpitudine esistenziale e al reflusso gastrico. Ma il privilegio di abitare di fianco all’Eurospin è anche quello di incontrare, nonostante io sia un misantropo, una fauna di umanità disperata ai limiti dell’immaginazione. L’altra mattina, ad esempio, seppur ancora in attesa del reddito di cittadinanza, mi trovavo nel mio amato supermercato. Tra i più temuti incontri che si possono fare, vi sono quelli con i vicini di casa. In prossimità del banco dei surgelati, notai in lontananza la vecchia del secondo piano. Ha dieci nipoti, quattro figli e persino tre bisnipoti, e nessuno che la vada mai a trovare. Vive nella solitudine totale e nonostante l’artrosi, l’arteriosclerosi, lo spettro della demenza senile e l’Alzheimer galoppante, non è disposta a cedere e si afferra con fervore alla vita. L’ossessione della vita eterna è quello che ci tiene in piedi. Non siamo disposti a cedere, a venire a compromessi. Mi chiedo cosa pensi la sera, quando è sotto le coperte, e cosa aspetti a farla finita. Capite bene come la sua storia sia per me di conforto. Spinto da un’irrefrenabile e assurdo moto di compassione, decisi di salutarla. Più mi avvicinavo al suo corpo rattrappito e più mi accorgevo di quanto la vecchiaia sia spietata. Siamo sicuri che il fatto che la vita media si sia allungata costituisca un bene? Il suo volto appariva bucherellato, lapidato come un paesaggio lunare. I capelli sporchi, grigi, diradati come quelli dell’anziana gattara dei Simpson. La sua mano artritica si muoveva lentamente nella difficile impresa di prendere una confezione di asparagi surgelati. Mi avvicinai ancora di più. Non c’era nessuno al banco, oltre noi due poveri disgraziati. Lasciai perdere il mio mood malinconico, che mi avrebbe condotto verso una sana estinzione glaciale sotto le confezioni monodose di pizza surgelata, presi coraggio e le parlai.
“Buongiorno signora, sono il sig Nutricula del piano terra.”
La vecchia si volta, mi guarda, strabuzza gli occhi. Appariva incredula. Attimi di silenzio e poi parla.
“Ginoooo! Ginoooo! Disgraziat! Ma t par chist o’ mod e�� anna ‘n’miezz a via?”
Il suo principio di Alzheimer stava vincendo. Gino, suo figlio, napoletano da tempo emigrato a Milano, l’aveva ormai abbandonata al suo triste destino romano. Ma non capivo perché quella vecchia ce l’avesse con la mia amata tuta adidas alla Fidel Castro.
“No, signora. Sono il sig Nutricula del piano terra, ha presente?”
“Gino che fatt?! T sì trasferit o pian e’vasc – piano terra – e nun m’e ritt nient?! Vieni da me, disgraziat!”
Nulla da fare. Il suo cervello era andato in pappa. Decisi di stare al gioco. Provavo una certa empatia per quella simpatica vecchia rincoglionita di origini partenopee.
“Si madre, è stata una decisione sofferta ma inevitabile. Dovevo tornare alle origini per potermi sopprimere.”
Qualcosa in lei scattò e un sorriso comparve sul suo volto straziato dagli anni.
“Ginoooo! Ti sei ricurdat e me purtà a’muzzarella?”
“No madre, sono allergico ai latticini, alla gente, alla vita, a tutto. Medito l’estinzione della specie. La vita è un massacro, madre. Il tempo ci annienta.”
“Ginoooo! Figlio mio, ma come te sei ridotto? Vamm a pija a’muzzarella. Curr!”
Niente. Mi trovavo davanti a un muro di gomma, un apparato umano scarnificato del suo essere. Ma tutto sommato provavo una strana sensazione di gioia. Avevo trovato un interlocutore sordo, un rispettabile antistress, un antidoto alla mia sofferenza, alla mia solitudine.
“Va bene, madre. Andrò subito, ma tu converrai con me sul fatto che la vita ci ha fottuti. Il solo fatto di esser nati basta a farci precipitare nell’angoscia.”
“Gino, figlio mio, figliuzzu beddu, domani viene padre Alfio dalla parrocchia, fatti benedire! C’amma fa truvà a’muzzarella pur a’iss.”
“Madre cara, Dio è morto. La fede è un virus. Dobbiamo recedere da siffatti pensieri, tenerci per mano, cedere all’infertilità e camminare felici verso l’estinzione.”
Quanta gioia ho provato nel potermi confidare con lei. L’Eurospin poteva riservarmi ancora delle belle sorprese.
“Ginooo! Tieni, prendi questi! Stasera faccio una bella cena.” Si rattrappì ancora di più e prese dal banco freezer una confezione di asparagi che mi offrì con somma gioia. “Questi ti faranno bene, sì sciupat! Gli asparagi fanno bene alla salute, t fann annà into o’cess, so’ na bomb! E tu sei cagionevole a’ mammà.”
“Madre, ti ringrazio per tale dono e per la splendida discussione sull’efficacia degli asparagi nel combattere il lento e triste decadimento del corpo. Credo che tu sottovaluti le tue capacità intellettive.”
“Eehhh? Non ci sento più tanto bene, Gino. Ho sempre stu’ fischio int e’recchie. O’duttore m’ha detto che soffro di aracfene, alfiene, aufenne… nun m’arricord mo.”
“Acufene, madre. Acufene. Ma non temere, quel fischio che tu senti non è altro che un ronzio, quel ronzio di fondo lo si percepisce in ogni attimo della nostra vita, un ronzio incessante che non porta a nulla. Col passare degli anni quel ronzio si accentua e diventa rumore, poi, da morti, scompare del tutto.”
Non eravamo più soli al banco dei surgelati. Qualcuno cominciava a guardarci con sospetto. Ma era comprensibile: tali pensieri elevati erano irraggiungibili per dei comuni mortali. Decisi in quell’istante che avrei accettato volentieri di cenare con la vecchia, per riprendere il nostro magnifico discorso. Ci salutammo con rammarico, ma con la promessa di rivederci presto.
Ho trovato finalmente l’antidoto alla mia solitudine. L’Eurospin mi ha dato in dono un essere spogliato del suo stesso essere. Mascherarmi in un Gino qualunque, per non dovermi pensare, per non dovermi sopprimere. Confessarmi a un muro di gomma bucherellato e straziato dal tempo. Parlare per non sentirmi ascoltato. È così che andremo avanti io e la vecchia del secondo piano. Stasera cenerò con lei. Gli asparagi mi hanno salvato la vita.
Marco Nutricula
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