#lampada di carta
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designmiss · 9 years ago
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Cloud City, giochi di luce e figure geometriche https://www.design-miss.com/cloud-city-giochi-di-luce-e-figure-geometriche/ Un #design che si snoda tra magia e giochi di luce, tra illusione e realtà…
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umi-no-onnanoko · 7 months ago
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Sarebbe bello tornare ai tempi in cui ancora si aveva la pazienza ed il romanticismo necessari per corteggiare, quando ancora si sapeva il significato della parola ed il modo giusto per farlo senza diventare volgari oppure oggettificati.
Quando si intingeva la penna nel calamaio, si prendevano carta e penna, ci si sedeva allo scrittorio, al tavolino o si cercava una superficie piana, alla luce del sole, al lume di una candela o al bagliore fioco di una lampada.
Si scrivevano le proprie giornate, sensazioni e sentimenti, si affidavano alle pagine, al profumi con con si profumava la carta, al colore dell'inchiostro, alla ruvidezza della carta da lettere scelta, alla busta e poi ai postini il compito di recapitare quel piccolo scorcio di noi e si attendeva trepidanti la consegna della missiva e la risposta della persona cara.
Si aprivano le buste con emozione, con cura le si conservava e le si leggeva e rileggeva fino talvolta a sgualcirle.
Si raccoglievano sassolini di fiori dai campi e li si portava alla propria bella affinché ne apprezzasse il profumo ed i colori, vi si adornasse i capelli o li inserisse in un vaso.
Lavorando a maglia si creavano sciarpe, maglioni, calzini da regalare al proprio innamorato per tenerlo bene al caldo nei periodi invernali.
Conservare i soldi per comprare qualche dolce speciale, frutto, libro da portare come presente.
Si divideva la frutta colta da un giardino, la stessa coperta o lo stesso ombrello durante i tragitti delle passeggiate.
Si aspettavano treni, navi, aerei per rivedersi dopo periodi in cui si era stati lontani e ci si amava anche senza nulla, senza soldi, senza auto, senza telefono, senza un tetto; si lavorava insieme per ottenerli e non importava altro che ci fosse l'altra persona.
Sarebbe bello tornare a regalare amore invece che cellulari, coprirsi con lo stesso ombrello invece che con due differenti, tenersi per mano invece che averle occupate a messaggiare.
Tornarsi a vivere e scoprire, vedersi mutare con il tempo e le stagioni, sarebbe bello tornare ad essere umani.
-umi-no-onnanoko ( @umi-no-onnanoko )
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art-emide · 4 months ago
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Art Attack mi ha sempre insegnato ad usare colla vinilica e carta igienica. Dopo vent'anni forse ho creato un buon risultato: lampada a forma di pesce palla. 🐡💡
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principessa-6 · 2 years ago
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L'uomo tornò a casa dal lavoro e vide i suoi tre bambini che giocavano fuori, ancora in pigiama. Erano sporchi di terra, circondati da pacchetti vuoti di cibo consegnato a casa. La portiera dell'auto di sua moglie era aperta. Così come la porta d'ingresso della casa. Il cane era scomparso, non è venuto a salutarlo.
Entrando in casa, trovò sempre più disordine. La lampada del soggiorno era bruciata, il tappeto era arrotolato e appoggiato al muro. Nel soggiorno, la TV era accesa con qualche cartone animato, e il pavimento era ingombro di giocattoli e vestiti sparsi. In cucina, il lavandino traboccava di piatti; c'era ancora la colazione sul tavolo, il frigorifero era aperto, c'era cibo per cani sul pavimento e persino un bicchiere rotto sul bancone.
Per non parlare del fatto che c'era un mucchio di sabbia vicino alla porta. Spaventato, corse su per le scale, schivando i giocattoli e i vestiti sporchi sparsi.
Chissà cosa ha mia moglie ?" pensò. Mi chiedo se sia successo qualcosa di grave". Poi ha visto un getto d'acqua che scorreva sul pavimento dal bagno. Lì trovò altri giocattoli sul pavimento, asciugamani inzuppati, sapone liquido dappertutto e molta carta igienica nel lavandino.
Il dentifricio era stato usato e lasciato aperto e la vasca da bagno traboccava di acqua e schiuma. Infine, entrando nella camera da letto matrimoniale, trovò sua moglie ancora in pigiama, sul letto, sdraiata a leggere una rivista. Lui la guardò completamente confuso, e chiese: che diavolo è successo qui a casa? Perché tutto questo casino?
Lei sorrise e disse:- Ogni giorno, quando torni a casa dal lavoro, mi dici:- Dopo tutto, cosa hai fatto tutto il giorno in casa?
-Bene...non ho fatto niente oggi!!!
VALORIZZA LA DONNA CHE HAI ALL'INTERNO DELLA CASA!!!
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scrivosempreciao · 1 month ago
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Il Salto
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[Linda, 2025]
Ho la gola secca. Stasera ho bevuto solo acqua e un tè scadente, eppure la bocca mi sembra impastata come dopo una nottata di gin economico. Il tavolo della mia stanza è pieno di cianfrusaglie: un teschietto di gesso comprato a un mercatino goth, un portacandele di metallo annerito, la mia collezione di tarocchi sparpagliata a caso. Al centro, un vecchio diario rilegato in una pelle scura e scricchiolante, preso alla biblioteca del mio paese. Ho dovuto insistere per averlo in prestito. Forse la bibliotecaria era solo di malumore per fatti suoi, ma non credo: quando le ho chiesto di sfogliarlo, ha storto la bocca, come se stessi chiedendo di strofinare i piedi sul suo cuscino preferito. Era come se non me lo volesse dare. Ma adesso eccolo qui, davanti a me. Lo apro e l’odore che mi investe è quello della muffa antica, dell’umidità annidata in pagine così vecchie che non mi stupirei se ci trovassi dentro l’ombra di un qualche vermetto fossilizzato. Sfioro la carta con la punta delle dita, cercando di non incrinare quei segni d’inchiostro sbiaditi. Sembra quasi polvere nera, posata lì da mani tremanti secoli fa. C’è qualcosa, nella forma delle lettere, che mi nausea. Non capisco subito perché. Mi sale su un conato silenzioso, quasi un gorgoglio. Inspiro piano, le narici pizzicano, e mi forzo a leggere. Le parole si aggrovigliano in una lingua che non riconosco del tutto: strascichi di latino sgrammaticato, termini francesi deformi, simboli che potrei trovare solo nei miei libri di stregoneria più strambi. Mentre leggo, la pelle dell’avambraccio mi si accappona. Sento uno sfarfallio dietro la nuca, un formicolio insistente. Mi sollevo i capelli, grattandomi, quasi mi aspettassi di trovare un ragno appollaiato lì dietro. Fuori dalla stanza sento le risate delle mie coinquiline. Televisione, Netflix, snack, la normalità più rassicurante. Ma qui, nella penombra della lampada da scrivania, capisco che c'è qualcosa che non va.
[Babette, 1613]
La pietra della cella è viva, odora di marcio e ferro arrugginito. Io sono rannicchiata, ginocchia contro il petto, catene attorno ai polsi che mi segano la carne. Sanguino, poco ma in modo costante. Ho il mento premuto sullo sterno, la testa reclinata, e sento il mio stesso puzzo: sudore, terra, urina. L’ultima volta che mi hanno portato da mangiare era una ciotola di acqua sporca e croste di pane ammuffito. Meglio così. Meno cibo da vomitare quando i crampi della rabbia diventano insopportabili. Tengo stretto contro il corpo il piccolo grimorio, infilato tra le pieghe della veste strappata. Le guardie non lo hanno mai notato, troppo occupate a ridere dei miei capelli sporchi, della mia pelle color sabbia e a sputarmi addosso. Io non le guardo. Se le guardo, mi riempiono di botte, dicono che le mie pupille portano il marchio del demonio. Forse è davvero così. Non mi importa. Domani mi bruceranno in piazza, lo so. Ho visto le cataste di legna dalla fessura nel muro, ieri. Sembrano lingue di serpente attorcigliate una sull’altra, pronte a diventare fiamme e a divorarmi i piedi, le cosce, le viscere, fino alle ossa. Ma non starò lì a farmi annientare senza combattere. Questa notte userò l'ultima pagina del grimorio. Ho soltanto un nome per quella magia così violenta e oscura: il Salto. Non ne conosco l’esatta natura, la mia maestra non ha avuto il tempo di spiegare. «Usa il sangue» ha detto, prima che la trascinassero via. Di sangue ne ho in abbondanza. E ho anche la volontà. Sento la carta contro la mia pelle, raspa peggio di un artiglio. Mi tocco il labbro con i denti, poi mordo, forte, fino a spaccare la pelle e sputare un filo rosso sulla pagina. Le lettere reagiscono come se bevessero la mia essenza, si anneriscono, vibrano nella penombra. La testa mi gira, ma il dolore al labbro è niente rispetto a quello dei polsi segati dal metallo. Tremo, sussurro parole antiche che sento di conoscere da sempre, come se fossero nel mio sangue da generazioni. Ogni suono è un ago che mi punge la lingua, ma continuo. Continuo finché non sento qualcosa cedere e un filo invisibile si tende oltre queste mura.
[Linda]
Il diario mi stordisce. Mi sembra di sentire la sua voce. Non è possibile, certo. Eppure, ora il formicolio dietro la nuca è più forte. Immagino catene, fango, fuoco. Vedo, nella mia mente, un viso sporco di terra, occhi scuri simili a pozzi senza fondo. Mi scosto dalla sedia, indietreggio e vado a sbattere contro lo scaffale dei libri. Uno cade, colpisce il pavimento con un tonfo sordo. «Cazzo» sussurro. Che mi prende? Sono solo suggestioni. Ho letto troppi testi bizzarri. Mi passo la lingua sulle labbra. Sapore di rame. Apro la bocca e controllo la lingua allo specchio: c’è un minuscolo segno rosso. Mi sarò morsa senza accorgermene. Sento un rumore strano, un lamento soffocato che rimbomba nel cranio. No, sono le mie coinquiline, ridono davanti alla tv per qualche scenetta idiota. Giusto? Eppure suona diverso. Più cupo, più disperato. Torno al tavolo, ancora confusa. Il diario è ancora lì. Le lettere sembrano più scure, come se l’inchiostro antico si fosse appena asciugato. Lo sfioro di nuovo, stavolta con cautela. Mi pare di sentire un calore lieve, una vibrazione. No, è impossibile. Ma le dita formicolano, come se una scossa minima mi attraversasse i nervi. Mi sento strana. A disagio. È tardi, dovrei uscire a prendere una boccata d'aria, magari bere qualcosa in un locale. Non lo faccio quasi mai, ma stasera… Stasera, perché no?
[Babette]
Il mio respiro è un rantolo. Le parole mi hanno svuotata. Ma sento una presenza, un varco nella mente. Non sono più soltanto nel mio corpo spoglio e maltrattato. C’è un altro corpo, distante, ma percettibile come uno specchio d’acqua che riflette il mio viso. Le mani di lei – sento che è una donna – sono morbide, non hanno calli. Vedo, attraverso palpebre non mie, un tavolo, una luce che non riconosco, colori troppo vividi. Sento odore di pulito, un profumo così forte e sconosciuto. Com’è possibile? Dove sono? Ci sono riuscita? Non posso parlare, non posso controllare i suoi movimenti, ma posso insinuarmi un po’ di più. Concentrarmi sulla sensazione dei suoi piedi che premono sul pavimento, del tessuto dei suoi abiti che sfiora la pelle. Non sono cenci laceri, non sono tele ruvide. Sono materiali ignoti, lisci, sensuali. La mia bocca fa una smorfia di piacere. Assaggio con la mente la sua lingua. Ha un sapore neutro, sa di acqua pulita, molto diversa dalla mia che ha il gusto della disperazione e del ferro. Ma lei è spaventata, lo sento. Il suo cuore batte più forte. Cerco di spingerla verso un altrove. Perché? Non lo so, mi serve tempo. Devo capire. Domani mi bruciano. Devo nutrirmi di questa vita come di un frutto proibito. Io voglio sentire ancora, toccare, gustare. Voglio sapere com’è vivere senza catene.
[Linda]
Stringo la maniglia della porta di casa, esco. Nessun motivo logico. Io, che passo le serate a divorare vecchi libri horror o tomi pieni di polvere, esco senza meta. C’è aria di pioggia, un odore di asfalto umido e rose malate si alza dal cortile del condominio. Mi pizzica la gola. Sento, in fondo alla pancia, una strana eccitazione, la stessa che mi buca lo stomaco quando riesco a concedermi un appuntamento galante. Ma con chi? Cammino, i lampioni sputano un giallo sporco sulla strada. La mente si riempie di immagini estranee. Ciotole d’acqua fetida, catene arrugginite. Odore di legno bagnato. E poi di colpo, musica lontana, un bassofondo che sale da un pub un paio di isolati più in là. Normalmente sarei rimasta sulla soglia, sbirciando i tizi dentro, magari facendo dietrofront. Ma stasera no. Stasera qualcosa mi spinge a entrare, a mescolarmi nella folla. La mia lingua formicola, come se un sapore nuovo stesse per esplodere tra i denti. Apro la porta del locale. Luci soffuse e colorate, un odore misto di luppolo e sudore fresco. La mia testa gira un attimo, forse per l’afa o per la strana tensione che sento tra le costole. Non appena mi spingo nella folla, mi pare di sentire un sussurro dentro la mente, ancora più leggero di un soffio: “Sì… assapora… continua…”
[Babette]
Oh, per Lilith. Cos’è questo frastuono ritmato? Una musica che mi vibra nella carne, anche se non è la mia vera carne. Sento calore, corpi vicini, risate. Il cuore di questa donna batte più veloce, e il mio spirito si tende come un arco. Lo so, per possederla del tutto devo sacrificarmi. Ormai l'ho capito. È ovvio. Tutte le magie oscure richiedono un sacrificio degno. Devo farmi fuori, qui e ora, in questa lurida cella, per rinascere in lei. Se voglio provarci, almeno. Lo desidero, ma non sono pronta. Sono una strega, sì, ma scorre sangue umano in me ed è tutta umana la paura sorda che ho della morte.  Funzionerà? Voglio prima assaggiare ancora un po’ di questo mondo. Voglio capire che sapore ha la libertà prima di spiccare l’ultimo salto. Se nulla dovesse funzionare e tutto dovesse andare al demonio, voglio almeno mordere la vita, prima del grande buio. Mi concentro. Lei beve qualcosa, sento un liquido bruciare in gola, un sapore pungente, alcolico. Gola calda, fronte sudata. È meraviglioso. Non so cosa sto bevendo, ma sa di vita. È come succhiare nettare da una ferita aperta, ma senza dolore. Mi allungo, tiro i fili invisibili che mi legano a lei. Tra poco dovrò fare la scelta estrema, ma non ora. Adesso voglio ballare. Voglio sentire i suoi muscoli muoversi, le sue gambe, il petto che si solleva a ritmo di quella musica sconosciuta. Dentro la cella, sputo a terra e rido, un rantolo spezzato. Presto sarò del tutto libera. Presto mi vestirò della sua carne, sarà il mantello nuovo che sfoggerò con orgoglio.
[Linda]
Il bicchiere che stringo tra le mani scivola leggermente, la condensa mi bagna le dita. Dentro c’è un liquido ambrato, frizzante. Non ricordo se l’ho ordinato io. Forse qualcuno me l’ha offerto, forse sono stata io stessa a chiederlo. Non lo so. La testa mi rimbalza, mentre la musica pompa nelle vene con la stessa prepotenza selvaggia di una siringa di adrenalina. Vedo corpi che si strofinano, sento l’odore di pelle calda e profumi chimici. Mi ritrovo a sorridere senza motivo, la lingua vibra, qualcosa da dentro sta cercando di uscire, le mani tracciano sentieri e mappe sui miei fianchi, del tutto estranee alla mia volontà. Ogni tanto torno in me. “Che cazzo sto facendo qui?” mi chiedo, ma la voce interna è debole, un filo di rasoio sottile. “Ho un esame tra due giorni,” mi dico. Di solito passerei la sera a studiare fino a bruciarmi gli occhi, non a sculettare tra sconosciuti in un bar saturato di bassi e di luci colorate. Eppure sono qui, e non riesco a fermarmi. È come un guinzaglio invisibile che mi strattona la carne dall’interno. Mi porto la cannuccia alla bocca, sorseggio. Il sapore è pungente, dolciastro e metallico. Mi pare di sentire, per un attimo, non zucchero né alcool, ma sangue. Sputo e sento un gorgoglio nella gola, tossisco. Una ragazza accanto a me mi guarda, sorpresa. «Tutto ok?» chiede. Muovo la testa su e giù. Rispondo con un cenno, come a dire “Sì, sì, va tutto benone”. Ma non è vero. I miei tendini si espandono con la stessa irrequietezza di corde bagnate, il cuore è una biglia impazzita dentro la cassa toracica. Dentro, qualcosa ride. Una risata che non è mia. Un alito di vento ghiacciato mi scivola tra le costole.
[Babette]
La pietra mi morde la schiena, ma non la sento quasi più. Il corpo è intorpidito, la fame mi ha trasformata in un’eco grossolana e primitiva di ciò che ero. Tuttavia, il mio spirito è sazio, in qualche modo. Sto bevendo attraverso di lei, la ragazza di un altro mondo. Non so chi sia, non so nemmeno il suo nome, ma questo non ha importanza. Quando avrò finito, mi chiamerò con il nome che voglio. Sì, perché voglio vivere. Non voglio bruciare come un ceppo, in balia della folla urlante. Non morirò da vittima, non lascerò che la mia carne venga divorata dal fuoco. La mia morte sarà la chiave. Un rituale, non un supplizio. Trattengo il fiato, lascio che le catene stridano. La pagina del grimorio mi si è incollata contro la pelle, inumidita dal mio sangue secco. Devo fare presto. All’alba, mi trascineranno fuori. Forse dovrei farla finita ora, sgozzarmi con un chiodo strappato dal muro, infilarmi un frammento di pietra nella carotide. Ma non ancora. Voglio sentire un altro sorso di vita dal suo corpo prima di staccarmi dal mio. Voglio che la sua anima si ammorbidisca, si arrenda. Devo spingerla a vivere esperienze che la stordiscano, che la confondano, così che quando tornerò a prendere possesso di lei, non opponga resistenza. Chiudo gli occhi, mi concentro. La sento ancora. Percepisco la sua gola stretta dalla tosse, il petto che si agita. Ha bevuto qualcosa di forte. Bene, ubriacala, confondila. La renderà più debole quando dovrò strapparle l'anima.
[Linda]
Mi stacco dal bancone per andare in bagno, il legno appiccicoso lascia una sensazione sgradevole sui miei gomiti. Mi infilo tra la folla. Sento mani che sfiorano i miei fianchi, forse per sbaglio, forse no. Normalmente avrei ritratto il corpo, avrei attraversato la sala con passi rapidi e la testa bassa. Ora, invece, lascio che le dita scorrano, che gli sguardi mi attraversino. Ogni respiro è denso, pieno di corpi umani, di sesso e promiscuità. La musica è così forte che mi rimbalza nel cervello, martellate ritmiche che spengono i pensieri. Mi muovo, e con me si muove qualcosa di antico, un’ombra d’altri tempi. Scivolo sulle piastrelle sporche, il drink trabocca, gocce di alcool finiscono sul pavimento, come minuscole lacrime d’ambra. Chi sono? Chi sono davvero? Perché ho voglia di mordere il bicchiere fino a sanguinare? Penso a casa, ai miei tarocchi ammuffiti, al vecchio diario. Per un attimo visualizzo la copertina di cuoio, le lettere sbiadite che mi fissano, del tutto simili a occhi senza tempo. Potrei tornare indietro adesso, scappare in strada, farmi lavare dal vento notturno. E invece no. Rimango. Qualcosa mi stringe il cuore. Mi fermo solo un secondo davanti allo specchio del bagno del locale. È uno specchio sudicio, opaco, eppure vedo chiaramente la mia faccia: occhi lucidi, guance arrossate. Ma dietro di me… dietro di me sembra esserci una sagoma, un velo scuro. Sbatto le palpebre, e non c’è più.
[Babette]
Le guardie passano fuori dalla cella. Sento i loro stivali sul pavimento, il raschiare di ferro su altro ferro. Parlano a bassa voce. «Domani la bruciamo. La sento puzzare già di morte» ride uno di loro. Non reagisco. Mi limito a inspirare piano, riempiendomi i polmoni di odore di muschio e pipì. Tanto, presto non sarò più qui. Io sarò altrove, in un mondo con luci misteriose e bevande sconosciute. Un mondo dove posso entrare in un luogo pieno di gente e non venire subito additata come mostro. Le mie braccia tremano. Il grimorio, caldo contro la carne, mi dà forza. Sento che lei è debole. È sorpresa, confusa. Ottimo. La catturerò mentre è stordita. Stringo le catene, mi ferisco i palmi. Un rivolo di sangue mi scende tra le dita. Lo guardo, ipnotizzata. Sangue vivo, mio, ma presto non mi apparterrà più. Presto abbandonerò questa carcassa martoriata e sarò il serpente che lascia la sua vecchia pelle. Le mie labbra si incurvano in un sorriso. L’alba non mi vedrà urlare. L’alba mi vedrà rinascere.
[Linda]
All’improvviso mi assale una nausea feroce. Mi piego sulle ginocchia, in un angolo del locale. Un tizio ubriaco mi chiede se sto bene, lo ignoro. Faccio un respiro, poi un altro. Mi sembra di sentire odore di carne bruciata. Ma non c’è alcun fuoco, solo luci intermittenti e puzza di birra. Devo andarmene. Mi sollevo, aggrappandomi al muro. Esco da una porticina sul retro, un vicolo buio. L’aria è più fredda e odora di spazzatura, ma almeno respiro. Mi sgorga saliva tra i denti, quasi vomito. E lì, tra i cassonetti, mi sembra di vedere qualcosa. Una donna accovacciata, con i capelli sporchi, gli occhi neri. La vedo o la immagino? Tendo una mano, ma la figura scompare. La testa mi duole come se qualcuno stesse scavando con un punteruolo. Sento la voce nella mia mente farsi più insistente. “Cedi. Tu non capisci. Cedi!” Cedi a cosa? La paura mi sale alla gola. Mi mordo il labbro, sento il gusto ferroso del sangue. Un minuscolo taglio, niente di che. Ma mi basta questo per sentire le viscere contrarsi. Chi c’è dentro di me?
[Babette]
È il momento. Lascio che le catene mi scavino ancora un po’ nella carne. Non sarà una morte timida e silenziosa, mi servirà un colpo secco. Guardo intorno nella cella. C’è un chiodo sporgente, arrugginito, nel muro a sinistra. Se ci sbatto contro la gola con abbastanza forza, richiamando a me la stessa fame di libertà che spinge le volpi a staccarsi a morsi le zampe incastrate nelle trappole, dovrei riuscire a farmi un taglio profondo. Il sangue sgorgherà, soffocherò, ma al culmine del dolore la mia anima si trasferirà del tutto. Lo so. È il Salto. Non ho altra scelta. Se aspetto, all’alba sarò cenere. Respiro, tremo, poi apro le labbra screpolate: «Tu, ragazza, mi senti?» sussurro nel vuoto. Non posso sapere se mi sente davvero, ma ho l’impressione di essere in qualche modo, ora, nella sua testa. Vivo il suo terrore. E questo mi piace. Mi fa sentire potente. Ho lo stomaco annodato. A quattro zampe, mi trascino verso il chiodo. Le catene tintinnano, il ferro stride. Ogni osso nel mio corpo protesta, ma non m’importa. Un ultimo sforzo, un altro assaggio di libertà.
[Linda]
Le voci nella mia testa si fanno più nitide. Un sussurro antico risuona sulle pareti del mio cranio. Una lingua che non capisco. Mi vengono in mente parole latine, strani incantesimi letti in vecchi libri. Sento un brivido gelido scivolare dalla nuca fino al coccige. Inizio a capire: il diario non era un banale oggetto antico. Conteneva un legame, un rituale. Qualcuno – una donna? – sta cercando di entrare in me. Sento il suo desiderio: vuole la mia vita, la mia pelle, la mia libertà. Vorrei urlare. Apro la bocca, ma dal vicolo esce solo un gemito strozzato. No, non voglio cedere. Non voglio farle spazio. Questa è la mia vita. Sento una spinta, una pressione. Le ginocchia cedono, striscio contro il muro sporco. Un topo corre tra i sacchi di spazzatura. L’odore di marcio mi riempie le narici. Voglio resistere, ma la testa mi scoppia. Le unghie graffiano il cemento. Ho la sensazione che, se non cedo, la mia testa esploderà come un frutto maturo.
[Babette]
Ho il mento appoggiato alla pietra, la lingua penzoloni come un cane moribondo. Il chiodo è lì. Arrugginito, maligno. Uno strappo, e me ne andrò. Ho paura, ma la paura mi fa ridere. Meglio decidere la mia morte che subirla. Chiudo gli occhi, visualizzo l’altro corpo, il suo calore, la sua pelle morbida, la lingua senza sapore di muffa, i vestiti comodi, il mondo ignoto da esplorare. Visualizzo i suoi occhi lucidi, la sua confusione. Presto tutto sarà mio. Raccolgo le forze, spingo il collo contro il chiodo, premendo con violenza. Sento la carne lacerarsi, un dolore così acuto che mi paralizza. Il sangue scorre. Non urlo. La mia voce si perde in un rantolo. Sento il calore denso colare sul petto.
[Linda]
Un dolore assurdo mi inchioda la gola. Forse nel drink galleggiava uno stuzzicadenti e io l’ho ingoiato senza accorgermene? Deve essere per forza così. Oppure qualcuno mi sta pugnalando da dentro. Grido, o almeno credo di gridare, ma nel vicolo non c’è nessuno, nessuna risposta. Non riesco più a respirare. Porto le mani al collo, mi sembra di sentirlo aprirsi, ma non c’è ferita. Solo un dolore fantasma, un dolore che appartiene a qualcun altro. È come se una seconda spina dorsale, nera e antica, si inserisse nella mia, sgretolando la mia identità. Le gambe tremano, cado in ginocchio. L’odore dei rifiuti assume un carattere più dolce, più familiare. Le luci della città sfarfallano, diventano torce tremolanti nella notte. Passato e presente si sovrappongono. Vedo la cella, vedo il chiodo, vedo il sangue. Vedo anche me stessa, come se fluttuassi sopra la scena. E poi, di colpo, il dolore si attenua. Qualcosa si allenta nella mia testa. Mi affloscio, ansimando.
[Babette]
Buio. Un attimo di nulla, un vuoto che sembra eterno. Poi uno strappo. Mi sento strisciare sotto la pelle dell’altra. I suoi ricordi sono lì, impalpabili. Un letto caldo, una scrivania, libri nuovi e antichi, tarocchi. Giocattoli, vestiti puliti. Una risata con le amiche. Sapori incantevoli, odori esotici. Un’infanzia sicura e amorevole. Tutto a portata di mano. Mi innesto nella sua carne. Mi sento già più solida, il dolore al collo scompare. Ora il mio corpo è intatto, sano, forte. Le catene, il fango, il chiodo arrugginito: sbiadiscono come un sogno cattivo. Io sono in piedi in un vicolo, con addosso abiti strani, mai visti prima. Posso respirare a pieni polmoni, l’aria è mia. Sento i muscoli rispondere ai miei comandi. Fletto le dita, passo la lingua sulle labbra. Nessun sapore di morte e marcio, solo il retrogusto di birra. Un paradiso rispetto a prima. Sorrido. O forse rido. Una risata bassa, piena di soddisfazione.
[Linda?]
Cerco di urlare, ma non ho più una bocca. Percepisco la mia coscienza, da qualche parte, ma è rinchiusa in una stanza senza porte. Sento la mia voce rimbalzare tra le pareti del cranio, un cranio che non controllo più. Lei si muove con la mia carne, ride con i miei polmoni, guarda con i miei occhi. «No!» vorrei dire. Ma è inutile. Qualcosa in lei, in me, gode di questo silenzio. So che non sono morta, non del tutto. Sono qui, prigioniera. Vorrei piangere, ma non ho lacrime. Non ho mani. Sono diventata un’ombra nella mia stessa mente.
[Babette, 2025]
Mi gratto la nuca, calpesto una lattina vuota nel vicolo. Questi tessuti sono così strani, ma comodi. Cammino a piccoli passi. Mi trovo in un mondo di cui non capisco nulla, ma questo non è un problema. Ho tempo, ora. Tempo per imparare. Tempo per godere, per scoprire. Lascio il vicolo, mi mischio alle poche anime che vagano nella notte. Le luci artificiali mi incantano. Ho voglia di ridere, di assaggiare ogni cosa. Chi potrà fermarmi? Sento un flebile piagnucolio dentro la testa, la sua voce che implora. Non mi disturba. Anzi, mi fa compagnia. È fatta: ho sconfitto il rogo, ho superato l'inganno del tempo, ho ottenuto una nuova vita. Ho fatto il Salto. Entro in una locanda ancora aperta. No, un bar. Qualcosa dentro di me gracchia quella parola così buffa. È la parola giusta. Sorrido all’uomo dietro il bancone. Chiedo da bere con una voce che una volta non era mia. Ora lo è. E mentre sorseggio, penso al fuoco che domani avrebbe dovuto bruciarmi. Che ne sarà delle cataste di legna senza di me? Forse bruceranno un fantoccio vuoto. O forse cercheranno un cadavere. Chissà. Non ha importanza. Io sono qui, viva, solida, immortale nel presente. E questo, per me, è tutto ciò che conta.
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mica-facile-ristrutturare · 5 months ago
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stillucestore · 8 months ago
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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Gli utilizzi del NFC, non più una tecnologia inaccessibile
Near Field Communication (NFC) è un tecnologia che permette la comunicazione wirelessly tra dispositivi a corto raggio. Sebbene la tecnologia Near Field Communication sia ormai da anni disponibile, la sua diffusione è ancora limitata, sebbene abbia una grande potenziale per le sue applicazioni. Nel presente articolo, esploreremo gli utilizzi più promettenti di NFC, che potrebbero rivoluzionare la nostra quotidiana. Quali sono gli utilizzi del NFC? La prima applicazione di NFC è il pagamento digitale. I cosiddetti "pomeriggi senza monete" stanno avanzando rapidamente, e NFC può aiutare a superarli completamente. Con i nuovi smartphone e le carte di credito Near Field Communication, è possibile effettuare pagamenti senza toccare alcun tasto. Basta portare il dispositivo vicino alla macchina di pagamento, e la transazione è completa. Questo metodo è più rapido, più sicuro e più pratico del tradizionale pagamento con la carta di credito. La seconda applicazione è il sistema di accesso. Le chiavi NFC eliminano la necessità di portare le chiavi in mano. È sufficiente tenerle vicino alla porta, e l'accesso è consentito. Questo metodo è molto più sicuro rispetto alla tradizionale chiave in mano, poiché la chiave Near Field Communication è difficile da replicare. Dati e non solo La terza applicazione è la condivisione di dati. Le carte Near Field Communication possono contenere informazioni utili, come il biglietto di treno o il voucher per un servizio. Basta portare la carta vicino al lettore NFC per avere accesso a tutti i dettagli. Questo metodo è più pratico rispetto alla tradizionale carta di carta di registro, poiché non è necessario scrivere nulla a mano. La quarta applicazione è la collegamento con gli oggetti connessi. Gli oggetti connessi, come le lampade intelligenti o gli auricolari Bluetooth, possono essere collegati attraverso NFC. Basta portare il dispositivo vicino alla lampada, e la connessione è istantanea. Questo metodo è più pratico rispetto alla tradizionale connessione Bluetooth, poiché non è necessario attivare la modalità di coppia manualmente. La quinta applicazione è la comunicazione tra dispositivi. I dispositivi NFC possono comunicare tra di loro, trasferendo dati o eseguendo operazioni. Questo metodo è più pratico rispetto alla tradizionale connessione Wi-Fi o Bluetooth, poiché non è necessario connettersi a una rete o attivare la modalità di coppia manualmente. Il potenziale futuro Questa tecnologia ha una grande potenziale per le sue applicazioni. La sua diffusione potrebbe rivoluzionare il nostro quotidiano, rendendolo più pratico, sicuro e rapido. Le applicazioni più promettenti di NFC includono il pagamento digitale, il sistema di accesso, la condivisione di dati, la collegamento con gli oggetti connessi e la comunicazione tra dispositivi. Nonostante la sua diffusione sia ancora limitata, si prevede che la sua popolarità aumenti nel corso degli anni a venire. Image by Mohamed Hassan from Pixabay Read the full article
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dettaglihomedecor · 1 year ago
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Home decor: 10 accessori da regalare a Natale
Cosa regalare a Natale a chi è appassionato di home decor? Scopri la nostra selezione di oggetti di design e come scegliere il regalo giusto. Scegliere il regalo giusto per una persona che ama decorare con cura la propria casa, può essere un compito difficile. Per non sbagliare, è importante conoscere i gusti della persona che riceverà il regalo e puntare su oggetti di design. Naturalmente, occorre considerare anche lo stile dell’arredamento affinché il dono scelto si possa integrare facilmente. Fortunatamente, in commercio ci sono tantissime opzioni che fanno al caso nostro. Dalle lampade di design alle candele e molto altro, c’è una ricca proposta di regali pensati per soddisfare qualsiasi stile, gusto e budget di spesa. Ecco alcune idee regalo per appassionati di home decor!
10 idee regalo per chi ama decorare la propria casa
Vaso in vetro modello Sacco di Kinto, brand giapponese che realizza ogni prodotto in modo artigianale rendendo ogni pezzo unico.Grazie alla forma giocosa e organica, questi vasi valorizzano qualsiasi fiore. In vendita online da Smallable al prezzo di € 25,00.
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Sempre in vendita da Smallable, ecco i portacandele Dubble Bubble sabbia di Present Time. Realizzati in poliresina, hanno un aspetto materico molto piacevole e di tendenza. € 25,00
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Seguendo l'idea del disegno intuitivo, il famoso artista, designer e collaboratore di lunga data di Wrong Shop, Ronan Bouroullec con "Le forme" crea dei disegni che scivolano sulla carta senza un chiaro inizio o fine. Poster 55x55, senza cornice, disponibile anche in altri colori. In vendita da TaniniHome, costo € 57,50
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Questo adorabile tappeto Stripey Zebra head è perfetto come decorazione murale o come elemento di spicco per il pavimento. Aggiungerà un tocco originale a qualsiasi stanza della tua casa. Realizzato dal brand DOING GOOD specializzato in accessori per la casa imperfetti e divertenti. I suoi tappeti in lana possono essere un’ottima idea regalo per appassionati di home decor ma anche per i bambini! E' in vendita online da TaniniHome, costo € 35,00.
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Toppu è una collezione di vassoi in ceramica dalle forme geometriche. Con la filosofia "less is more", OYOY produce un design scandinavo pulito con influenze giapponesi. I prodotti sono giocosi e colorati e sono apprezzati dai tanti appassionati di home decor! In vendita da TaniniHome, €88,00.
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Vaso decorativo realizzato in cartapesta, con bocca stretta. Non può contenere acqua, ma è perfetto per ospitare un ramo di pino, di fiori di cotone, bacche per una decorazione naturale. In vendita da ZaraHome, costa 49,99 €.
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Le candele sono un must per decorare la casa, soprattutto nella stagione fredda. Zara Home propone questo simpatico set di candele dalla forma arrotondata. Ottima idea regalo low cost, solo € 17,99.
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Per i più freddolosi, ecco una coperta molto morbida e calda da utilizzare sul divano nelle sere d'inverno. Realizzata in lana e alpaca di due colori, con frange sui bordi, misura 140x190cm. Di Zara Home, è in vendita a 89,99€.
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Questo set di tre casette portacandele di Broste Copenaghen illuminerà qualsiasi angolo della casa, e non solo a Natale! Il portacandele Maison in ceramica costa 49,00 € e lo puoi acquistare online da Smallable.
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Flamtastique XS di Fatboy è la versione contemporanea di una tradizionale lampada ad olio. Grazie alla sezione trasparente del suo piedino puoi sempre vedere esattamente quanto olio è rimasto. Il suo rivestimento in silicone opaco rende questa lampada ad olio in vetro super resistente. Disponibile in diversi colori costa 89,00 € e la puoi acquistare direttamente nello shop online Fatboy
Tre aspetti da considerare nella scelta di un regalo per appassionati di home decor
Stile personale Gli amanti della decorazione della casa apprezzano tutto ciò che riguarda il design. Il problema, però, è che potrebbero avere in mente uno stile ben preciso per la loro casa. Se stai pensando di acquistare oggetti decorativi come vasi, quadri, cuscini, non dimenticare il gusto personale della persona e valuta se ciò che stai scegliendo è in armonia con lo stile dell’abitazione. Se hai un dubbio, allora è meglio optare per un oggetto dal design versatile e dai colori neutri. Dimensioni La dimensione dell’oggetto è un altro aspetto a cui prestare attenzione. Indipendentemente dalla dimensione della casa, è meglio puntare su qualcosa di non troppo voluminoso e facile da riporre; a meno che, ovviamente, non si tratti di qualcosa che il destinatario sogna di avere. Funzionalità I regali per appassionati di decorazione casa non devono essere necessariamente funzionali, ma vale la pena considerarli. Ad esempio, se il regalo è per una persona in procinto di trasferirsi nella casa nuova, è più probabile che apprezzi un oggetto bello e funzionale come un bel vaso, dei bicchieri, un tappeto. Se invece stai acquistando per una persona che ha già tutto, allora puoi puntare su oggetti di design divertenti e sfiziosi.     Read the full article
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designmiss · 9 years ago
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Cloud City, giochi di luce e figure geometriche https://www.design-miss.com/cloud-city-giochi-di-luce-e-figure-geometriche/ Un #design che si snoda tra magia e giochi di luce, tra illusione e realtà…
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omarfor-orchestra · 1 year ago
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Ma dove cazzo li gira Domenico sti video e prima la stanza buia con gli specchi e mo dietro una tenda nera con una lampada di carta io ho capito che oggi è il Mimì day però figlio mio tutto ok?
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instabileatrofia · 2 years ago
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Riduco in triangoli
un ridicolo foglietto di carta,
mentre la luce invade la stanza
e la lampada accesa
diventa inutile spreco.
Ancora un caffè,
per diventare poi
la scia di un movimento.
I.S.A.
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bangtanitalianchannel · 2 years ago
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[TRAD ITA] 221217 POST INSTAGRAM DI RM:
“Lanterna rotante*”
(N/B: *Nella tradizione coreana, è una lampada con un rivestimento di carta che ruota proiettando delle immagini sul muro che la circonda)
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©ImVali) | Trans ©gonnabeyou_trans
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point-of-break · 2 years ago
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Era, qualche volta, molto triste: ma noi pensammo, per lungo tempo, che sarebbe guarito da quella tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto: perché ci pareva, la sua, una tristezza come di ragazzo, la malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni. Qualche volta, la sera, ci veniva a trovare, sedeva pallido, con la sua sciarpetta al collo, e si attorcigliava i capelli o sgualciva un foglio di carta: non pronunciava, in tutta la sera, una sola parola, non rispondeva a nessuna delle nostre domande. Infine, di scatto, aguantava il cappotto e se ne andava. Umiliati, noi ci chiedevamo se la nostra compagnia l'aveva deluso, se aveva cercato accanto a noi di rasserenarsi e non c'era riuscito o se invece si era proposto, semplicemente, di passare una serata in silenzio sotto una lampada che non fosse la sua.
Natalia Ginzburg, Ritratto di un amico
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lunamarish · 3 years ago
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Aveva, negli ultimi anni, un viso solcato e scavato, devastato da travagliati pensieri: ma conservò fino all’ultimo, nella figura, la gentilezza d’un adolescente.
[...]
Era, qualche volta, molto triste: ma noi pensammo, per lungo tempo, che sarebbe guarito di quella tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto: perché ci pareva, la sua, una tristezza come di ragazzo – la malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni. Qualche volta, la sera, ci veniva a trovare; sedeva pallido, con la sua sciarpetta al collo, e si attorcigliava i capelli o sgualciva un foglio di carta; non pronunciava, in tutta la sera, una sola parola; non rispondeva a nessuna delle nostre domande. Infine, di scatto, agguantava il cappotto e se ne andava. Umiliati, noi ci chiedevamo se la nostra compagnia l’aveva deluso, se aveva cercato accanto a noi di rasserenarsi e non c’era riuscito; o se invece si era proposto, semplicemente, di passare una serata in silenzio sotto una lampada che non fosse la sua. 
[...]
Se eravamo lontani da lui, non ci scriveva, né rispondeva alle nostre lettere, o rispondeva con poche frasi recise e agghiaccianti: perché, diceva, non sapeva voler bene agli amici quand’erano lontani, non voleva soffrire della loro assenza, e subito li inceneriva nel proprio pensiero. 
[...]
E’ morto d’estate. La nostra città, d’estate, è deserta e sembra molto grande, chiara e sonora come una piazza; il cielo è limpido ma non luminoso, di un pallore latteo; il fiume scorre piatto come una strada, senza spirare umidità, né frescura. S’alzano dai viali folate di polvere; passano, venendo dal fiume, grossi carri carichi di sabbia; l’asfalto del corso è tutto spalmato di pietruzze, che cuo-ciono nel catrame. All’aperto, sotto gli ombrelloni a frange, i tavolini dei caffè sono abbandonati e roventi. Non c’era nessuno di noi. Scelse, per morire, un giorno qualunque di quel torrido agosto; e scelse la stanza d’un albergo nei pressi della stazione: volendo morire, nella città che gli apparteneva, come un forestiero.
[...]
Natalia Ginzburg su Cesare Pavese – Roma, 1957, “Radiocorriere”
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gregor-samsung · 3 years ago
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“ Tre anni fa, le autorità scolastiche pubblicarono un decreto che aboliva, in un certo senso, le vacanze di Pasqua. Difatti, tutte le scuole secondarie ebbero ordini di organizzare in occasione delle feste pasquali un campeggio. E, dicendo campeggio, si intendeva un corso premilitare. Gli scolari sarebbero vissuti per dieci giorni in seno alla cosiddetta natura libera, come soldati, divisi in classi, sotto le tende, sorvegliati dai professori. Dei sottufficiali in riposo avrebbero insegnato loro a marciare, a far ginnastica e, a partire dal quattordicesimo anno, a sparare. Ben inteso, i ragazzi adoravano tutto ciò, e in fondo anche noi professori ci divertivamo a fare gli indiani. Il martedì di Pasqua, gli abitanti di un villaggio solitario videro arrivare un potente autobus. L’autista suonò il clacson come se arrivassero i pompieri, oche e galline volarono via, i cani abbaiarono, tutto il villaggio accorse. “Ci sono i ragazzi, i ragazzi della città!” Avevamo lasciato la scuola alle otto, erano le due, ed eravamo davanti al municipio del villaggio. Il sindaco ci diede il benvenuto, il capitano dei carabinieri ci salutò militarmente. Anche il maestro, naturalmente, era sul posto; ed ecco che arriva il parroco, un tipo rotondo dall’aspetto benevolo. Ha fatto tardi. Il sindaco mi mostra sulla carta la posizione del campo. Un’ora buona di passo normale. “Il sergente maggiore è già sul posto,” mi dice il capitano dei carabinieri. “Due soldati del genio hanno portato le tende questa mattina con un autocarro militare.” Mentre i ragazzi scendono dall’autobus e radunano i loro bagagli, io esamino la carta: il villaggio è a 761 metri sul livello del mare, siamo vicini a grandi montagne sui duemila. Ma i picchi più alti, coperti di nevi eterne, sono ancora più in là. “Che cos’è?” chiedo al sindaco, indicando sulla carta un gruppo di costruzioni al confine occidentale del villaggio. “È la nostra officina” dice il sindaco, “la più grande segheria della regione. Disgraziatamente è stata chiusa l’anno scorso. L’impresa non rende più,” dice, e sorride. “Adesso abbiamo molti disoccupati. È un guaio.” Il maestro prende parte alla conversazione. Mi spiega che la segheria appartiene a un trust, e osservo che non ha simpatia né per gli azionisti né per il consiglio di amministrazione. Io neppure, del resto. “Il villaggio è povero,” mi spiega ancora. “La metà della popolazione vive di lavoro a domicilio, con salari di fame. Un terzo dei bambini è denutrito.” “Eh, sì,” dice il capitano dei carabinieri. E tutto questo, in seno alla bella natura. [...] Ai piedi del pennone abbiamo deposto una cassa contenente i fucili. Sistemiamo i bersagli: soldati di legno in uniforme straniera. Scende la sera. Andiamo al fuoco, cuociamo la minestra. È buona. Cantiamo canzoni da soldati. Il sergente beve e diventa rauco. Si alza il vento. “Viene dai ghiacciai,” dicono i ragazzi. E tossiscono. Penso al piccolo W. Sì, eri il più piccolo della classe, e il più simpatico. Credo che saresti stato il solo a non firmare la lettera contro i negri. Per questo eri destinato a scomparire. Adesso dove sei? Sei stato portato via da un angelo, come nelle fiabe? Ti ha condotto dove giocano i calciatori defunti? Dove i portieri sono angeli, e anche il guardalinee, che sbandiera quando qualcuno corre dietro al pallone? È questa, in cielo, la maniera di mettersi in off-side. Hai un buon posto? Naturalmente. Lassù, tutti siedono in tribuna, in prima fila, mentre i trafficoni, quelli che ti cacciavano sempre dietro la porta, stanno dietro dei giganti e non vedono nulla. La notte è calata. È ora di coricarsi. “A domani le cose serie,” dice il sergente. Dorme con me, nella stessa tenda. Russa. Accendo la lampada tascabile per vedere l’ora e scopro sulla tela della tenda, accanto al mio posto, una macchia di un bruno rossastro. Che cos’è? E penso: domani cominceranno le cose serie. Sì, le cose serie. In una cassa, ai piedi della bandiera, ecco la guerra. Sì, la guerra. Siamo in campagna. E penso ai due soldati, al sergente maggiore della territoriale che deve ancora prestare servizio, ai due soldati di legno sui quali ci si dovrà esercitare; penso al preside, a N, a suo padre, il fornaio, quello di Filippi; penso alla segheria che non lavora più, agli azionisti che, tuttavia, fanno affari d’oro, al capitano dei carabinieri che sorride, al parroco che ama il buon vino, ai negri che non dovrebbero esistere, agli operai che lavorano a domicilio e stentano a campare, alle autorità scolastiche e ai bambini malnutriti. E ai pesci. Siamo tutti in campagna. Ma qual è il fronte? Il vento soffia. Il sergente russa. “
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Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di Bruno Maffi, Bompiani, Milano 2003. (Libro elettronico)
[ 1ª edizione originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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