#lampada di carta
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Cloud City, giochi di luce e figure geometriche https://www.design-miss.com/cloud-city-giochi-di-luce-e-figure-geometriche/ Un #design che si snoda tra magia e giochi di luce, tra illusione e realtà…
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Sarebbe bello tornare ai tempi in cui ancora si aveva la pazienza ed il romanticismo necessari per corteggiare, quando ancora si sapeva il significato della parola ed il modo giusto per farlo senza diventare volgari oppure oggettificati.
Quando si intingeva la penna nel calamaio, si prendevano carta e penna, ci si sedeva allo scrittorio, al tavolino o si cercava una superficie piana, alla luce del sole, al lume di una candela o al bagliore fioco di una lampada.
Si scrivevano le proprie giornate, sensazioni e sentimenti, si affidavano alle pagine, al profumi con con si profumava la carta, ai colore dell'inchiostro, alla ruvidezza della carta da lettere scelta, alla busta e poi ai postini il compito di recapitare quel piccolo scorcio di noi e si attendeva trepidanti la consegna della missiva e la risposta della persona cara.
Si aprivano le buste con emozione, con cura le si conservava e le si leggeva e rileggeva fino talvolta a sgualcirle.
Si raccoglievano mazzolini di fiori dai campi e li si portava alla propria bella affinché ne apprezzasse il profumo ed i colori, vi si adornasse i capelli o li inserisse in un vaso.
Lavorando a maglia si creavano sciarpe, maglioni, calzini da regalare al proprio innamorato per tenerlo bene al caldo nei periodi invernali.
Conservare i soldi per comprare qualche dolce speciale, frutto, libro da portare come presente.
Si divideva la frutta colta da un giardino, la stessa coperta o lo stesso ombrello durante i tragitti delle passeggiate.
Si aspettavano treni, navi, aerei per rivedersi dopo periodi in cui si era stati lontani e ci si amava anche senza nulla, senza soldi, senza auto, senza telefono, senza un tetto; si lavorava insieme per ottenerli e non importava altro che ci fosse l'altra persona.
Sarebbe bello tornare a regalare amore invece che cellulari, coprirsi con lo stesso ombrello invece che con due differenti, tenersi per mano invece che averle occupate a messaggiare.
Tornarsi a vivere e scoprire, vedersi mutare con il tempo e le stagioni, sarebbe bello tornare ad essere umani.
-umi-no-onnanoko ( @umi-no-onnanoko )
#life#vita#umi-no-onnanoko#writing#write#writer#scrivere#scrittura#scrittrice#24.07.24#love#amore#corteggiamento#coppia#coppie#couples#couple#quotes#frase#frasi#quote
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Art Attack mi ha sempre insegnato ad usare colla vinilica e carta igienica. Dopo vent'anni forse ho creato un buon risultato: lampada a forma di pesce palla. 🐡💡
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L'uomo tornò a casa dal lavoro e vide i suoi tre bambini che giocavano fuori, ancora in pigiama. Erano sporchi di terra, circondati da pacchetti vuoti di cibo consegnato a casa. La portiera dell'auto di sua moglie era aperta. Così come la porta d'ingresso della casa. Il cane era scomparso, non è venuto a salutarlo.
Entrando in casa, trovò sempre più disordine. La lampada del soggiorno era bruciata, il tappeto era arrotolato e appoggiato al muro. Nel soggiorno, la TV era accesa con qualche cartone animato, e il pavimento era ingombro di giocattoli e vestiti sparsi. In cucina, il lavandino traboccava di piatti; c'era ancora la colazione sul tavolo, il frigorifero era aperto, c'era cibo per cani sul pavimento e persino un bicchiere rotto sul bancone.
Per non parlare del fatto che c'era un mucchio di sabbia vicino alla porta. Spaventato, corse su per le scale, schivando i giocattoli e i vestiti sporchi sparsi.
Chissà cosa ha mia moglie ?" pensò. Mi chiedo se sia successo qualcosa di grave". Poi ha visto un getto d'acqua che scorreva sul pavimento dal bagno. Lì trovò altri giocattoli sul pavimento, asciugamani inzuppati, sapone liquido dappertutto e molta carta igienica nel lavandino.
Il dentifricio era stato usato e lasciato aperto e la vasca da bagno traboccava di acqua e schiuma. Infine, entrando nella camera da letto matrimoniale, trovò sua moglie ancora in pigiama, sul letto, sdraiata a leggere una rivista. Lui la guardò completamente confuso, e chiese: che diavolo è successo qui a casa? Perché tutto questo casino?
Lei sorrise e disse:- Ogni giorno, quando torni a casa dal lavoro, mi dici:- Dopo tutto, cosa hai fatto tutto il giorno in casa?
-Bene...non ho fatto niente oggi!!!
VALORIZZA LA DONNA CHE HAI ALL'INTERNO DELLA CASA!!!
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XGIMI, azienda leader nel settore della produzione di proiettori portatili e non, ha recentemente lanciato sul mercato l'XGIMI Elfin Flip, un nuovo modello che racchiude al proprio interno una forte attenzione estetica, corredata con un design veramente particolare, che lo rende facilmente trasportabile, e prestazioni tecniche di alta qualità. Nel corso delle ultime settimane abbiamo avuto l'occasione di testarlo in modo approfondita, ecco la nostra recensione completa. Unboxing e Confezione Il prodotto viene commercializzato con una scatola di qualità, sulla parte anteriore troviamo stampata l'immagine con tutti i dettagli che ci permettono di identificare perfettamente il dispositivo, una confezione ben studiata ed elegante, al cui interno si possono scovare una serie di accessori che semplificano sin da subito il suo utilizzo. Nello specifico, oltre al proiettore stesso, è stato inserito il manuale d'istruzioni, la carta di garanzia, l'alimentatore per il collegamento alla presa a muro ed il telecomando per il controllo da remoto, con annesse le batterie per il suo funzionamento. Una dotazione più che sufficiente ed allineata con le aspettative, di un prodotto che sin da subito vuole essere plug&play, ovvero di facile ed immediato utilizzo. Design e Estetica Uno dei punti saldi dello XGIMI Elfin Flip è sicuramente il design, un tratto distintivo che innalza notevolmente il livello qualitativo del prodotto, sia da un punto di vista dell'eleganza generale, che della sua praticità. La prima cosa che notiamo è un colore che gli permette di "nascondersi" in un qualsiasi ambiente, senza spiccare, né risaltare troppo, il che è sicuramente è un bene, proprio perché lo rende perfettamente posizionabile ovunque vogliate, senza difficoltà di alcun tipo, in ambienti dal design moderno o più datato. Le linee sono più smussate, i bordi arrotondati, un look sicuramente all'avanguardia ed al passo con i tempi, impreziosito da una copertura soft touch opaca che lo rende ancora più elegante, oltre che perfetto per non trattenere impronte o polvere. Il dispositivo si contraddistingue dalla massa per il suo essere "flip", ovvero eseguire una rotazione sull'asse orizzontale che permette facilmente di regolare l'angolo di proiezione, senza dover spostare fisicamente il proiettore. Il suo form factor prevede un corpo centrale che ruota fissato ad una intelaiatura, che ne segue il perimetro, per questo motivo una vola aperto, la suddetta si trasforma a tutti gli effetti in una maniglia che ne facilita sicuramente lo spostamento ed il trasporto. Una piccola comodità che eleva il livello di portabilità del prodotto, rendendolo più facile da trasportare, ma che allo stesso tempo lo protegge durante la fase di inutilizzo. Nel momento in cui questi viene chiuso, infatti, il sensore viene protetto da urti e dalla polvere. Dimensionalmente il proiettore è tutt'altro che ingombrante, il posizionamento è solamente verticale, con una base di appoggio sufficientemente ampia e stabile, infatti non hai mai rischiato di cadere nemmeno una volta, con dimensioni che raggiungono 326 x 290 x 98 millimetri, ed un peso di 1,18kg. Hardware e Specifiche XGIMI Elfin Flip è un proiettore portatile con sorgente luminosa LED, la cui lampada garantisce fino a 25'000 ore di utilizzo con tecnologia DLP (Digital Light Processing), la cui durata è stimata fino a circa 25'000 ore. La risoluzione massima supportata è il fullHD (1920 x 1080 pixel), con luminosità massima di 400 lumen ISO, un supporto della gamma cromatica fino al 113% dello standard Rec.709 e HDR10+. Le immagini possono essere proiettate su una dimensione che oscilla tra 80 e 150 pollici, in rapporto 1,2:1, a cui si aggiungono una serie di accorgimenti software che semplificano di molto la vita del consumatore che vuole utilizzare il proiettore senza preoccuparsi troppo del contorno. Sono proprio questi gli aspetti che rendono i dispositivi XGIMI migliori degli altri, una serie di funzionalità che li rendono plug&play ed adatti a tutti, parliamo appunto della correzione trapezoidale e della messa a fuoco automatiche, a cui si aggiungere l'allineamento intelligente dello schermo. Quest'ultima si distingue dalle precedenti, che comunque possiamo trovare anche altrove, per la sua capacità di allineare perfettamente la riproduzione in modo direttamente proporzionale all'area su cui viene proiettata, tagliando eventualmente fuori eventuali ostacoli che potrebbero ridurre o rovinare il campo visivo. Tutte le funzioni di cui vi abbiamo parlato in questo paragrafo rendono la vita estremamente più semplice nel settaggio del dispositivo, il setup è rapidissimo, bastano 10 secondi ed il gioco è fatto, senza dover necessariamente perdere tempo con regolazioni manuali di vario genere. Sulla superficie del prodotto possiamo trovare una coppia di altoparlanti da 3W ciascuno, con supporto Dolby Audio, una qualità complessivamente buona, ma che in un certo senso non può essere utilizzata a sé stante, in confronto a quanto un sistema dedicato potrebbe offrire. La possiamo ritenere una resa in linea con le aspettative, sia in termini di fascia di prezzo che di posizionamento sul mercato, senza eccessi, ma nemmeno senza defezioni particolari da segnalare. All'interno dello XGIMI Elfin Flip troviamo un processore MediaTek MT9660, che presenta una configurazione di 2GB di RAM e 16GB di memoria interna, da utilizzare ad esempio per il download delle applicazioni, e non solo. La connettività è molto buona, con WiFi ac dual-band (fino a 5GHz) e bluetooth 5.1, mentre sulla parte posteriore trovano posto due connettori fisici: HDMI e USB.A. Prestazioni e Sistema operativo https://www.youtube.com/watch?v=gbCubYZELgA Il proiettore offre una resa visiva molto valida, paragonandola ad altri prodotti disponibili nella medesima fascia di prezzo, con nitidezza e dettaglio di buon livello, ma soprattutto colori che da un lato potrebbero apparire come particolarmente contrastati, anche se riescono a risultare più realistici di altri competitor. L'unico "limite" del prodotto è sicuramente legato alla luminosità massima, infatti 400 lumen ISO sono sufficienti per un utilizzo in una stanza buia, con la qualità che va calando ad esempio sfruttando il proiettore all'aperto o in stanze non al buio completo. L'uso maggiormente consigliato è legato alla riproduzione video di vario genere, meno il gaming, in quanto in alcune occasioni abbiamo notato un piccolo trascinamento delle immagini, tanto da non essere perfettamente a fuoco in termini di reattività nel gaming. La distanza utilizzo, come anticipato, è variabile tra 80 e 150 pollici, ma aumentandola oltre i 110/120 pollici abbiamo notato il proiettore ridurre leggermente la qualità della riproduzione. Nulla da dire per quanto riguarda correzione trapezoidale, messa a fuoco o allineamento dello schermo, sono plus a tutti gli effetti e funzionano alla perfezione. L'usabilità del prodotto è garantita in ogni ambiente, data una rumorosità tutt'altro che elevata, tale da non arrecare assolutamente fastidio in fase di utilizzo, anche durante la riproduzione di contenuti non particolarmente rumorosi. Il sistema operativo è XGIMI OS, la novità che allontana l'azienda dall'Android TV che abbiamo sempre visto in passato, ma che porta con sé un problema non di poco conto: la limitazione in termini di app di streaming installabili, oltre alle canoniche Prime Video, YouTube e Netflix. E' presente difatti uno store proprietario sul quale sono presenti una serie di app che pochi conoscono, e che rappresenta a tutti gli effetti un limite importante, nonostante comunque nessuno vi vieti ad esempio di collegare una Fire TV Stick nella parte posteriore. In termini di funzionalità, XGIMI OS non porta con sé particolari novità rispetto agli standard, con interfacce pulite, ben organizzate, intuitive e facilmente fruibili anche da coloro che si interfacciano per la prima volta con l'OS dell'azienda. Conclusioni e Prezzo In conclusione XGIMI Elfin Flip è a tutti gli effetti un proiettore di alta qualità, che punta molto forte sul mettere a disposizione un design unico, una forte attenzione alla comodità e l'usabilità quotidiana, impreziosita da una buonissima resa video, in termini soprattutto di dettaglio e di nitidezza. La portabilità è il suo punto di forza, con le funzioni automatiche a rendere l'esperienza plug&play ed adatte a tutti. La scelta di abbandonare Android TV per XGIMI OS è sicuramente apprezzata, ma dall'altro lato porta con sé alcune limitazioni in termini di accessibilità software che gli utenti devono necessariamente conoscere, prima di effettuare l'acquisto; discorso simile per la luminosità massima di 400 lumen, sufficiente per l'utilizzo al buio completo, non adeguata per altre situazioni Il prodotto recensito può essere acquistato ad un prezzo di listino di 399 euro su Amazon (link acquisto) e sul sito ufficiale, una cifra che possiamo ritenere più che adeguata alla tipologia, alla qualità e alla resa visiva dello stesso, pur ricordando i limiti software di cui vi abbiamo parlato in precedenza. Read the full article
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Il Salto

[Linda, 2025]
Ho la gola secca. Stasera ho bevuto solo acqua e un tè scadente, eppure la bocca mi sembra impastata come dopo una nottata di gin economico. Il tavolo della mia stanza è pieno di cianfrusaglie: un teschietto di gesso comprato a un mercatino goth, un portacandele di metallo annerito, la mia collezione di tarocchi sparpagliata a caso. Al centro, un vecchio diario rilegato in una pelle scura e scricchiolante, preso alla biblioteca del mio paese. Ho dovuto insistere per averlo in prestito. Forse la bibliotecaria era solo di malumore per i fatti suoi, ma non credo: quando le ho chiesto di sfogliarlo, ha storto la bocca, come se stessi chiedendo di strofinare i piedi sul suo cuscino preferito. Era come se non me lo volesse dare. Ma adesso eccolo qui, davanti a me. Lo apro e l’odore che mi investe è quello della muffa antica, dell’umidità annidata in pagine così vecchie che non mi stupirei se ci trovassi dentro l’ombra di un qualche vermetto fossilizzato. Sfioro la carta con la punta delle dita, cercando di non incrinare quei segni d’inchiostro sbiaditi. No, più che inchiostro sembra polvere nera, posata lì da mani tremanti secoli fa. C’è qualcosa, nella forma delle lettere, che mi nausea. Non capisco subito perché. Mi sale su un conato silenzioso, quasi un gorgoglio. Inspiro piano, le narici pizzicano, e mi forzo a leggere. Le parole si aggrovigliano in una lingua che non riconosco del tutto: strascichi di latino sgrammaticato, termini francesi deformi, simboli che potrei trovare solo nei miei libri di stregoneria più strambi. Mentre leggo, la pelle dell’avambraccio mi si accappona. Sento uno sfarfallio dietro la nuca, un formicolio insistente. Mi sollevo i capelli, grattandomi, quasi mi aspettassi di trovare un ragno appollaiato lì dietro. Fuori dalla stanza sento le risate delle mie coinquiline. Televisione, Netflix, snack, la normalità più rassicurante. Ma qui, nella penombra della lampada da scrivania, capisco che c'è qualcosa che non va.
[Babette, 1613]
La pietra della cella è viva, odora di marcio e ferro arrugginito. Io sono rannicchiata, ginocchia contro il petto, catene attorno ai polsi che mi segano la carne. Sanguino, poco ma in modo costante. Ho il mento premuto sullo sterno, la testa reclinata, e sento il mio stesso puzzo: sudore, terra, urina. L’ultima volta che mi hanno portato da mangiare era una ciotola di acqua sporca e croste di pane ammuffito. Meglio così. Meno cibo da vomitare quando i crampi della rabbia diventano insopportabili. Tengo stretto contro il corpo il piccolo grimorio, infilato tra le pieghe della veste strappata. Le guardie non lo hanno mai notato, troppo occupate a ridere dei miei capelli sporchi, della mia pelle color sabbia e a sputarmi addosso. Io non le guardo, perché quando lo faccio mi riempiono di botte, dicono che le mie pupille portano il marchio del demonio. Forse è davvero così. Non mi importa. Domani mi bruceranno in piazza, lo so. Ho visto le cataste di legna dalla fessura nel muro, ieri. Sembrano lingue di serpente attorcigliate una sull’altra, pronte a diventare fiamme e a divorarmi i piedi, le cosce, le viscere, fino alle ossa. Ma non starò lì a farmi annientare senza combattere. Questa notte userò l'ultima pagina del grimorio. Ho soltanto un nome per quella magia così violenta e oscura: il Salto. Non ne conosco l’esatta natura, la mia maestra non ha avuto il tempo di spiegare. «Usa il sangue» ha detto, prima che la trascinassero via. Di sangue ne ho in abbondanza. E ho anche la volontà. Sento la carta ruvida contro la mia pelle, raspa peggio di un artiglio impaziente. Mi tocco il labbro con i denti, poi mordo, forte, fino a spaccare la pelle e sputare un filo rosso sulla pagina. Le lettere reagiscono come se bevessero la mia essenza, si anneriscono, vibrano nella penombra. La testa mi gira, ma il dolore al labbro è niente rispetto a quello dei polsi segati dal metallo. Tremo, sussurro parole antiche che sento di conoscere da sempre, come se fossero nel mio sangue da generazioni. Ogni suono è un ago che mi punge la lingua, ma continuo, continuo finché non sento qualcosa cedere e un filo invisibile si tende oltre queste mura.
[Linda]
Il diario mi stordisce. Mi sembra di sentire la sua voce. Non è possibile, certo. Eppure, ora il formicolio dietro la nuca è più forte. Immagino catene, fango, fuoco. Vedo, nella mia mente, un viso sporco di terra, occhi scuri simili a pozzi senza fondo. Mi scosto dalla sedia, indietreggio e vado a sbattere contro lo scaffale dei libri. Uno cade, colpisce il pavimento con un tonfo sordo. «Cazzo» sussurro. Che mi prende? Sono solo suggestioni. Ho letto troppa roba bizzarra in quest’ultimo periodo. Mi passo la lingua sulle labbra secche: lì sopra aleggia lo stesso sapore di rame che affiora tutte le volte che uso il filo interdentale con troppa insistenza. Apro la bocca e ne controllo l’interno allo specchio: c’è un evidente segno rosso sotto gli incisivi inferiori, proprio dove la gengiva diventa morbida e lascia spazio al labbro. Mi sarò morsa senza accorgermene. Sento un rumore strano, un lamento soffocato che rimbomba nel cranio. No, sono le mie coinquiline, ridono davanti alla tv per qualche scenetta idiota. Giusto? Eppure suona diverso. Più cupo, più disperato. Torno al tavolo, più confusa di prima. Il diario è ancora lì. Le lettere sembrano più scure, come se l’inchiostro antico si fosse scrollato di dosso la polvere e si stesse asciugando solo ora. Lo sfioro di nuovo, stavolta con cautela. Mi pare di sentire un calore lieve, una vibrazione. No, è impossibile. Ma le dita formicolano, come se una scossa minima mi attraversasse i nervi. Mi sento strana. A disagio. È tardi, dovrei uscire a prendere una boccata d'aria, magari bere qualcosa in un locale. Non lo faccio quasi mai, ma stasera… Stasera, perché no?
[Babette]
Il mio respiro è un rantolo. Le parole mi hanno svuotata. Ma sento una presenza, un varco nella mente. Ciò che rende me me non aleggia più soltanto nel mio corpo spoglio e maltrattato. C’è un altro corpo, distante ma percettibile come uno specchio d’acqua che riflette il mio viso. Le mani di lei – sento che è una donna – sono morbide, non hanno calli. Vedo, attraverso ciglia e palpebre non mie, un tavolo, una luce che non riconosco, colori troppo vividi per essere veri. Sento odore di pulito, un profumo così forte e sconosciuto. Com’è possibile? Dove sono? Ci sono riuscita? Non posso parlare, non posso controllare i suoi movimenti, ma posso insinuarmi un po’ di più. Concentrarmi sulla sensazione dei suoi piedi che premono sul pavimento, del tessuto dei suoi abiti che sfiora la pelle. Non sono cenci laceri, non sono tele ruvide. Sono materiali ignoti, lisci, sensuali. La mia bocca fa una smorfia di piacere. Assaggio con la mente la sua lingua. Ha un sapore neutro, sa di acqua pulita, molto diversa dalla mia che ha il gusto della disperazione e del ferro. Ma lei è spaventata, lo sento. Il suo cuore batte più forte. Cerco di spingerla verso un altrove. Perché? Non lo so, mi serve tempo. Devo capire. Domani mi bruciano. Devo nutrirmi di questa vita come di un frutto proibito. Io voglio sentire ancora, toccare, gustare. Voglio sapere com’è vivere senza catene.
[Linda]
Stringo la maniglia della porta di casa, esco. Nessun motivo logico. Io, che passo le serate a divorare vecchi libri horror o tomi pieni di polvere, ora esco senza meta. C’è aria di pioggia, un odore di asfalto umido e rose lasciate a marcire si alza dal cortile del condominio. Mi pizzica la gola. Sento, in fondo alla pancia, una strana eccitazione, la stessa che mi buca lo stomaco quando riesco a concedermi un appuntamento galante. Ma con chi? Cammino, i lampioni sputano un giallo sporco sulla strada. La mente si riempie di immagini estranee; ciotole d’acqua fetida, catene arrugginite, paglia sporca gettata in un angolo oscuro. Odore di legno bagnato. E poi di colpo, una musica lontana ben più vera e concreta, un bassofondo che sale da un pub un paio di isolati più in là. Normalmente sarei rimasta sulla soglia, sbirciando i tizi dentro, magari facendo dietrofront. Ma stasera no. Stasera qualcosa mi spinge a entrare, a mescolarmi nella folla. La mia lingua formicola, come se un sapore nuovo mi stesse per esplodere tra i denti. Apro la porta del locale. Luci soffuse e colorate, un odore misto di luppolo e sudore fresco. La mia testa gira un attimo, forse per l’afa o per la strana tensione che sento tra le costole. Non appena mi spingo nella folla, mi pare di sentire un sussurro dentro la mente, ancora più leggero di un soffio: “Sì… assapora… continua…”
[Babette]
Oh, per Lilith. Cos’è questo frastuono ritmato? Una musica che mi vibra nella carne, anche se non è la mia vera carne. Sento calore, corpi vicini, risate. Il cuore di questa donna batte più veloce, e il mio spirito si tende come un arco. Lo so, per possederla del tutto devo sacrificarmi. Ormai l'ho capito. È ovvio. Tutte le magie oscure richiedono un sacrificio degno. Devo farmi fuori, qui e ora, in questa lurida cella, per rinascere in lei. Se voglio provarci, almeno. Lo desidero, ma non sono pronta. Sono una strega, sì, ma scorre sangue umano in me ed è tutta umana la paura sorda che ho della morte. Funzionerà? Voglio prima assaggiare ancora un po’ di questo mondo. Voglio capire che sapore ha la libertà prima di spiccare l’ultimo salto. Se nulla dovesse funzionare e tutto dovesse andare al demonio, voglio almeno mordere la vita, prima del grande buio. Mi concentro. Lei beve qualcosa, sento un liquido bruciare in gola, un sapore pungente, intenso, pieno zeppo di aromi. Gola calda, fronte sudata. �� meraviglioso. Non so cosa sto – sta – bevendo, ma sa di vita. È come succhiare latte e miele da un torrente generoso, ma senza temere che arrivi un Dio capriccioso a pretendere il conto. Mi allungo, tiro i fili invisibili che mi legano a lei. Tra poco dovrò fare la scelta estrema, ma non ora. Adesso voglio ballare. Voglio sentire i suoi muscoli muoversi, le sue gambe, il petto che si solleva a ritmo di quella melodia sconosciuta. Dentro la cella, sputo a terra e rido, gettando fuori un rantolo spezzato. Presto sarò del tutto libera. Presto mi vestirò della sua carne, sarà il mantello nuovo che sfoggerò con orgoglio.
[Linda]
Il bicchiere che stringo tra le mani scivola leggermente, la condensa mi bagna le dita. Dentro c’è un liquido ambrato, frizzante. Birra? Non ricordo se l’ho ordinata io. Forse qualcuno me l’ha offerta, forse sono stata io stessa a esigerla. Non lo so. La testa mi rimbalza, mentre la musica pompa nelle vene con la stessa prepotenza selvaggia di una siringa di adrenalina. Vedo corpi che si strofinano, sento l’odore di pelle calda e profumi chimici. Mi ritrovo a sorridere senza motivo, la lingua vibra, qualcosa da dentro sta cercando di uscire, le mani tracciano sentieri e mappe sui miei fianchi, del tutto estranee alla mia volontà. Ogni tanto torno in me. “Che cazzo sto facendo qui?” mi chiedo, ma la voce interna è debole, un filo di rasoio sottile. “Ho un esame tra due giorni,” mi dico. Di solito passerei la sera a studiare fino a bruciarmi gli occhi, non a sculettare tra sconosciuti in un bar saturato di bassi e di luci colorate. Eppure sono qui, e non riesco a fermarmi. È come un guinzaglio invisibile che mi strattona la carne dall’interno, imponendomi di essere dove sono, proprio adesso, proprio ora. Mi porto la cannuccia alla bocca, sorseggio. Il sapore è sempre più pungente, dolciastro e metallico. Mi pare di sentire, per un attimo, non zucchero né alcool, ma sangue. Sputo e avverto un gorgoglio nella gola che mi fa tossire come se avessi un grumo denso incastrato dietro l’ugola. Una ragazza accanto a me mi guarda, sorpresa e forse anche un po’ schifata. «Tutto ok?» chiede. Muovo la testa su e giù. Rispondo con un cenno, come a dire “Sì, sì, va tutto benone”. Ma non è vero. I miei tendini si espandono con la stessa irrequietezza di corde bagnate, il cuore è una biglia impazzita dentro la cassa toracica. Dentro, qualcosa ride. Una risata che non è mia. Un alito di vento ghiacciato mi scivola tra le costole.
[Babette]
La pietra mi morde la schiena, ma non la sento quasi più. Il corpo è intorpidito, la fame mi ha trasformata in un’eco grossolana e primitiva di ciò che ero. Tuttavia, il mio spirito è sazio, in qualche modo. Sto bevendo attraverso di lei, la ragazza di un altro mondo. Non so chi sia, non so nemmeno il suo nome, ma questo non ha importanza. Quando avrò finito, mi chiamerò con il nome che voglio. Sì, perché voglio vivere. Non voglio bruciare come un ceppo, in balia della folla urlante. Non morirò da vittima, non lascerò che la mia carne venga divorata dal fuoco. La mia morte sarà la chiave. Un rituale, non un supplizio. Trattengo il fiato, lascio che le catene stridano. La pagina del grimorio mi si è incollata contro la pelle, inumidita dal mio sangue secco. Devo fare presto, perché alle prime luci dell’alba mi trascineranno fuori. Forse dovrei farla finita ora, sgozzarmi con un chiodo strappato dal muro, infilarmi un frammento di pietra nella carotide. Ma non ancora. Voglio sentire un altro sorso di vita dal suo corpo prima di staccarmi dal mio. Voglio che la sua anima si ammorbidisca, si arrenda. Devo spingerla a vivere esperienze che la stordiscano, che la confondano, così che quando tornerò a prendere possesso di lei, non opponga resistenza. Chiudo gli occhi, mi concentro. La sento ancora. Percepisco la sua gola stretta dalla tosse, il petto che si agita. Ha bevuto qualcosa di forte. Bene, ubriacala, confondila. La renderà più debole quando dovrò strapparle l'anima.
[Linda]
Mi stacco dal bancone per andare in bagno, il legno appiccicoso lascia una sensazione sgradevole sui miei gomiti. Mi infilo tra la folla. Sento mani che sfiorano i miei fianchi, forse per sbaglio, forse no. Normalmente avrei ritratto il corpo, avrei attraversato la sala con passi rapidi e la testa bassa. Ora, invece, lascio che le dita scorrano, che gli sguardi mi attraversino e mi desiderino. Ogni respiro è denso, pieno di effluvi umani, di sesso e promiscuità. La musica è così forte che mi rimbalza nel cervello, martellate ritmiche che spengono i pensieri e accendono l’istinto. Mi muovo, e con me si muove qualcosa di antico, un’ombra d’altri tempi. Scivolo sulle piastrelle sporche, il drink trabocca, pesanti gocce di alcool finiscono sul pavimento, come minuscole lacrime d’ambra. Chi sono? Chi sono davvero? Perché ho voglia di mordere il bicchiere fino a sanguinare? Penso a casa, ai miei tarocchi di bassa lega, al vecchio diario. Per un attimo visualizzo la copertina di cuoio, le lettere sbiadite che mi fissano, del tutto simili a occhi senza tempo. Potrei tornare indietro adesso, scappare in strada, farmi lavare dal vento notturno. E invece no. Rimango. Qualcosa mi stringe il cuore. Mi fermo solo un secondo davanti allo specchio del bagno del locale. È uno specchio sudicio, opaco, eppure vedo chiaramente la mia faccia, più chiaramente di quanto l’abbia mai vista prima: occhi lucidi, guance arrossate. Ma dietro di me… dietro di me sembra esserci una sagoma, un velo scuro. Sbatto le palpebre, e non c’è più.
[Babette]
Le guardie passano fuori dalla cella. Sento i loro stivali sul pavimento, il raschiare di ferro su altro ferro. Parlano a bassa voce. «Domani quella va arrosto. La sento puzzare già di morte, o forse puzza e basta» ride uno di loro. Non reagisco. Mi limito a inspirare piano, riempiendomi i polmoni di odore di muschio e pipì. Tanto, presto non sarò più qui. Io sarò altrove, in un mondo con luci misteriose e bevande sconosciute. Un mondo dove posso entrare in un luogo pieno di gente e non venire subito additata come mostro. Le mie braccia tremano. Il grimorio, caldo contro la carne, mi dà forza. Sento che lei è debole. È sorpresa, confusa. Ottimo, la catturerò mentre è stordita. Stringo le catene e mi ferisco i palmi. Un rivolo di sangue mi scende tra le dita. Lo guardo, ipnotizzata. Sangue vivo, mio, ma presto non mi apparterrà più. Presto lascerò libera questa carcassa martoriata e farò come fa il serpente, abbandonerò la mia vecchia pelle. Le mie labbra si incurvano in un sorriso. L’alba non mi vedrà urlare. L’alba mi vedrà rinascere.
[Linda]
All’improvviso mi assale una nausea feroce. Mi piego sulle ginocchia, in un angolo del locale. Un tizio ubriaco mi chiede se sto bene, lo ignoro. Faccio un respiro, poi un altro. Mi sembra di sentire odore di carne bruciata. Ma non c’è alcun fuoco, solo luci intermittenti e puzza di birra. Devo andarmene. Mi sollevo, aggrappandomi al muro. Esco da una porticina sul retro, un vicolo buio. L’aria è più fredda e odora di spazzatura, ma almeno respiro. Mi sgorga saliva tra i denti, quasi vomito. E lì, tra i cassonetti, mi sembra di vedere qualcosa. Una donna accovacciata, con i capelli sporchi, gli occhi neri. La vedo o la immagino? Tendo una mano, ma la figura scompare. La testa mi duole come se qualcuno stesse scavando con un punteruolo. Sento la voce nella mia mente farsi più insistente. “Cedi. Tu non capisci. Cedi!” Cedi a cosa? La paura mi sale alla gola. Mi mordo il labbro, sento di nuovo il gusto ferroso del sangue. Un minuscolo taglio, niente di che. Ma mi basta questo per sentire le viscere contrarsi. Chi c’è dentro di me?
[Babette]
È il momento. Lascio che le catene mi scavino ancora un po’ nella carne. Non sarà una morte timida e silenziosa, mi servirà un colpo secco. Guardo intorno nella cella. C’è un chiodo sporgente, arrugginito, nel muro a sinistra; le guardie ci si impigliavano ogni volta che entravano a lanciarmi del cibo marcio, e bestemmiavano. Se ci sbatto contro la gola con abbastanza forza, richiamando a me la stessa fame di libertà che spinge le volpi a staccarsi a morsi le zampe incastrate nelle trappole, dovrei riuscire a farmi un taglio profondo. Il sangue sgorgherà, soffocherò, ma al culmine del dolore la mia anima si trasferirà del tutto. Lo so. È il Salto. Non ho altra scelta. Se aspetto, all’alba sarò cenere. Respiro, tremo, poi apro le labbra screpolate: «Tu, ragazza, mi senti?» sussurro nel vuoto. Non posso sapere se mi sente davvero, ma ho l’impressione di essere in qualche modo, ora, veramente ospite nella sua testa. Vivo il suo terrore. E questo mi piace. Mi fa sentire potente. Ho lo stomaco annodato. A quattro zampe, mi trascino verso il chiodo. Le catene tintinnano, il ferro stride. Ogni osso nel mio corpo protesta, ma non m’importa. Un ultimo sforzo, un altro assaggio di libertà.
[Linda]
Le voci nella mia testa si fanno più nitide. Un sussurro antico risuona sulle pareti del mio cranio, ma è una lingua che non capisco. Mi vengono in mente parole latine, strani incantesimi letti in vecchi libri presi in prestito più per gioco che per altro. Sento un brivido gelido scivolare dalla nuca fino al coccige. Inizio a capire: il diario non era un banale oggetto antico. Conteneva un legame, un rituale. Qualcuno – una donna? – sta cercando di entrare in me. Di essere me. Sento il suo desiderio: vuole la mia vita, la mia pelle, la mia libertà. Vorrei urlare. Apro la bocca, ma l’unico suono che riesco a riversare nel buio del vicolo è un piccolo gemito strozzato. No, non voglio cedere. Non voglio farle spazio. Questa è la mia vita. Sento una spinta, una pressione. Le ginocchia cedono, striscio contro il muro sporco. Un topo corre tra i sacchi di spazzatura e l’odore di marcio mi riempie le narici. Voglio resistere, ma la testa mi scoppia. Le unghie graffiano il cemento. Ho la sensazione che, se non cedo, la mia testa esploderà come un frutto maturo.
[Babette]
Ho il mento appoggiato alla pietra, la lingua penzoloni come un cane moribondo. Il chiodo è lì. Arrugginito, maligno. Uno strappo, e me ne andrò. Ho paura, ma la paura mi fa ridere. Meglio decidere la mia morte che subirla. Chiudo gli occhi, visualizzo l’altro corpo, il suo calore, la sua pelle morbida, la lingua senza sapore di muffa, i vestiti comodi, il mondo ignoto da esplorare. Visualizzo i suoi occhi lucidi, la sua confusione. Presto tutto sarà mio. Raccolgo le forze, spingo il collo contro il chiodo, premendo con violenza. Sento la carne lacerarsi, un dolore così acuto che mi paralizza. Il sangue scorre. Non urlo. La mia voce si perde in un rantolo. Sento il calore denso colare sul petto.
[Linda]
Un dolore assurdo mi inchioda la gola. Forse nel drink galleggiava uno stuzzicadenti e l’ho ingoiato senza accorgermene? Deve essere per forza così. Oppure qualcuno mi sta pugnalando da dentro. Grido, o almeno credo di gridare, ma nel vicolo non c’è nessuno, nessuna risposta. Non riesco più a respirare. Porto le mani al collo, mi sembra di sentirlo aprirsi, ma non c’è ferita. Solo un dolore fantasma, un dolore che appartiene a qualcun altro. È come se una seconda spina dorsale, nera e antica, si inserisse nella mia, sgretolando la mia identità. Le gambe tremano, cado in ginocchio. L’odore dei rifiuti assume un carattere più dolce, più familiare. Le luci della città sfarfallano, diventano torce tremolanti nella notte. Passato e presente si sovrappongono. Vedo la cella, vedo il chiodo, vedo il sangue. Vedo anche me stessa, come se fluttuassi sopra la scena. E poi, di colpo, il dolore si attenua. Qualcosa si allenta nella mia testa. Mi affloscio, ansimando.
[Babette]
Buio. Un attimo di nulla, un vuoto che sembra eterno. Poi uno strappo. Mi sento strisciare sotto la pelle dell’altra. I suoi ricordi sono lì, impalpabili. Un letto caldo, una scrivania, libri nuovi e antichi, tarocchi. Giocattoli, vestiti puliti. Una risata con le amiche. Sapori incantevoli, odori esotici. Un’infanzia sicura e amorevole. Tutto a portata di mano. Mi innesto nella sua carne. Mi sento già più solida, il dolore al collo scompare. Ora il mio corpo è intatto, sano, forte. Le catene, il fango, il chiodo arrugginito sbiadiscono come un sogno cattivo. Io sono in piedi in un vicolo, con addosso abiti strani, mai visti prima. Posso respirare a pieni polmoni, l’aria è mia. Sento i muscoli rispondere ai miei comandi. Fletto le dita, passo la lingua sulle labbra. Nessun sapore di morte e marcio, solo il retrogusto di birra. Un paradiso rispetto a prima. Sorrido. O forse rido. Una risata bassa, piena di soddisfazione.
[Linda?]
Cerco di urlare, ma non ho più una bocca. Percepisco la mia coscienza, da qualche parte, ma è rinchiusa in una stanza senza porte. Sento la mia voce rimbalzare tra le pareti del cranio, un cranio che non controllo più. Lei si muove con la mia carne, ride con i miei polmoni, guarda con i miei occhi. «No!» vorrei dire. Ma è inutile. Qualcosa in lei, in me, gode di questo silenzio. So che non sono morta, non del tutto. Sono qui, prigioniera. Vorrei piangere, ma non ho lacrime. Non ho mani. Sono diventata un’ombra nella mia stessa mente.
[Babette, 2025]
Mi gratto la nuca, calpesto una lattina vuota nel vicolo. Questi tessuti sono così strani, ma comodi. Cammino a piccoli passi. Mi trovo in un mondo di cui non capisco nulla, ma questo non è un problema. Ho tempo, ora. Tempo per imparare. Tempo per godere, per scoprire. Lascio il vicolo, mi mischio alle poche anime che vagano nella notte. Le luci artificiali mi incantano. Ho voglia di ridere, di assaggiare ogni cosa. Chi potrà fermarmi? Sento un flebile piagnucolio dentro la testa, la sua voce che implora. Non mi disturba. Anzi, mi fa compagnia. È fatta: ho sconfitto il rogo, ho superato l'inganno del tempo, ho ottenuto una nuova vita. Ho fatto il Salto. Entro in una locanda ancora aperta. No, un bar. Qualcosa dentro di me gracchia quella parola così buffa. È la parola giusta. Sorrido all’uomo dietro il bancone. Chiedo da bere con una voce che una volta non era mia. Ora lo è. E mentre sorseggio, penso al fuoco che domani avrebbe dovuto bruciarmi. Che ne sarà delle cataste di legna senza di me? Forse bruceranno un fantoccio vuoto. O forse cercheranno un cadavere. Chissà. Non ha importanza. Io sono qui, viva, solida, immortale nel presente. E questo, per me, è tutto ciò che conta.
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Perfetto esempio di collaborazione tra Arte, Artigianato e Design! ✨ Falkland di Bruno Munari incarna i principi di una progettazione perfetta: semplicità, efficienza, minimo ingombro e massima resa formale.
Questa lampada nasce dalla combinazione di elementi diversi come nasse da pesca, calze da donna e lampade di carta orientali 🤩 La forma della lampada è generata dalla tensione di un tubo di filanca e dal peso dei suoi anelli metallici.
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Gli utilizzi del NFC, non più una tecnologia inaccessibile
Near Field Communication (NFC) è un tecnologia che permette la comunicazione wirelessly tra dispositivi a corto raggio. Sebbene la tecnologia Near Field Communication sia ormai da anni disponibile, la sua diffusione è ancora limitata, sebbene abbia una grande potenziale per le sue applicazioni. Nel presente articolo, esploreremo gli utilizzi più promettenti di NFC, che potrebbero rivoluzionare la nostra quotidiana. Quali sono gli utilizzi del NFC? La prima applicazione di NFC è il pagamento digitale. I cosiddetti "pomeriggi senza monete" stanno avanzando rapidamente, e NFC può aiutare a superarli completamente. Con i nuovi smartphone e le carte di credito Near Field Communication, è possibile effettuare pagamenti senza toccare alcun tasto. Basta portare il dispositivo vicino alla macchina di pagamento, e la transazione è completa. Questo metodo è più rapido, più sicuro e più pratico del tradizionale pagamento con la carta di credito. La seconda applicazione è il sistema di accesso. Le chiavi NFC eliminano la necessità di portare le chiavi in mano. È sufficiente tenerle vicino alla porta, e l'accesso è consentito. Questo metodo è molto più sicuro rispetto alla tradizionale chiave in mano, poiché la chiave Near Field Communication è difficile da replicare. Dati e non solo La terza applicazione è la condivisione di dati. Le carte Near Field Communication possono contenere informazioni utili, come il biglietto di treno o il voucher per un servizio. Basta portare la carta vicino al lettore NFC per avere accesso a tutti i dettagli. Questo metodo è più pratico rispetto alla tradizionale carta di carta di registro, poiché non è necessario scrivere nulla a mano. La quarta applicazione è la collegamento con gli oggetti connessi. Gli oggetti connessi, come le lampade intelligenti o gli auricolari Bluetooth, possono essere collegati attraverso NFC. Basta portare il dispositivo vicino alla lampada, e la connessione è istantanea. Questo metodo è più pratico rispetto alla tradizionale connessione Bluetooth, poiché non è necessario attivare la modalità di coppia manualmente. La quinta applicazione è la comunicazione tra dispositivi. I dispositivi NFC possono comunicare tra di loro, trasferendo dati o eseguendo operazioni. Questo metodo è più pratico rispetto alla tradizionale connessione Wi-Fi o Bluetooth, poiché non è necessario connettersi a una rete o attivare la modalità di coppia manualmente. Il potenziale futuro Questa tecnologia ha una grande potenziale per le sue applicazioni. La sua diffusione potrebbe rivoluzionare il nostro quotidiano, rendendolo più pratico, sicuro e rapido. Le applicazioni più promettenti di NFC includono il pagamento digitale, il sistema di accesso, la condivisione di dati, la collegamento con gli oggetti connessi e la comunicazione tra dispositivi. Nonostante la sua diffusione sia ancora limitata, si prevede che la sua popolarità aumenti nel corso degli anni a venire. Image by Mohamed Hassan from Pixabay Read the full article
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Pop-up Lamp https://www.design-miss.com/pop-up-lamp/ Well Well Designers ha realizzato Pop-up Lamp, una lampada fatta a mano che, come un pop-up, esce da un sottile foglio di carta rivestito in polyphane. Ideale se si ha poco spazio a […]
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Home decor: 10 accessori da regalare a Natale
Cosa regalare a Natale a chi è appassionato di home decor? Scopri la nostra selezione di oggetti di design e come scegliere il regalo giusto. Scegliere il regalo giusto per una persona che ama decorare con cura la propria casa, può essere un compito difficile. Per non sbagliare, è importante conoscere i gusti della persona che riceverà il regalo e puntare su oggetti di design. Naturalmente, occorre considerare anche lo stile dell’arredamento affinché il dono scelto si possa integrare facilmente. Fortunatamente, in commercio ci sono tantissime opzioni che fanno al caso nostro. Dalle lampade di design alle candele e molto altro, c’è una ricca proposta di regali pensati per soddisfare qualsiasi stile, gusto e budget di spesa. Ecco alcune idee regalo per appassionati di home decor!
10 idee regalo per chi ama decorare la propria casa
Vaso in vetro modello Sacco di Kinto, brand giapponese che realizza ogni prodotto in modo artigianale rendendo ogni pezzo unico.Grazie alla forma giocosa e organica, questi vasi valorizzano qualsiasi fiore. In vendita online da Smallable al prezzo di € 25,00.

Sempre in vendita da Smallable, ecco i portacandele Dubble Bubble sabbia di Present Time. Realizzati in poliresina, hanno un aspetto materico molto piacevole e di tendenza. € 25,00

Seguendo l'idea del disegno intuitivo, il famoso artista, designer e collaboratore di lunga data di Wrong Shop, Ronan Bouroullec con "Le forme" crea dei disegni che scivolano sulla carta senza un chiaro inizio o fine. Poster 55x55, senza cornice, disponibile anche in altri colori. In vendita da TaniniHome, costo € 57,50

Questo adorabile tappeto Stripey Zebra head è perfetto come decorazione murale o come elemento di spicco per il pavimento. Aggiungerà un tocco originale a qualsiasi stanza della tua casa. Realizzato dal brand DOING GOOD specializzato in accessori per la casa imperfetti e divertenti. I suoi tappeti in lana possono essere un’ottima idea regalo per appassionati di home decor ma anche per i bambini! E' in vendita online da TaniniHome, costo € 35,00.

Toppu è una collezione di vassoi in ceramica dalle forme geometriche. Con la filosofia "less is more", OYOY produce un design scandinavo pulito con influenze giapponesi. I prodotti sono giocosi e colorati e sono apprezzati dai tanti appassionati di home decor! In vendita da TaniniHome, €88,00.

Vaso decorativo realizzato in cartapesta, con bocca stretta. Non può contenere acqua, ma è perfetto per ospitare un ramo di pino, di fiori di cotone, bacche per una decorazione naturale. In vendita da ZaraHome, costa 49,99 €.

Le candele sono un must per decorare la casa, soprattutto nella stagione fredda. Zara Home propone questo simpatico set di candele dalla forma arrotondata. Ottima idea regalo low cost, solo € 17,99.

Per i più freddolosi, ecco una coperta molto morbida e calda da utilizzare sul divano nelle sere d'inverno. Realizzata in lana e alpaca di due colori, con frange sui bordi, misura 140x190cm. Di Zara Home, è in vendita a 89,99€.

Questo set di tre casette portacandele di Broste Copenaghen illuminerà qualsiasi angolo della casa, e non solo a Natale! Il portacandele Maison in ceramica costa 49,00 € e lo puoi acquistare online da Smallable.

Flamtastique XS di Fatboy è la versione contemporanea di una tradizionale lampada ad olio. Grazie alla sezione trasparente del suo piedino puoi sempre vedere esattamente quanto olio è rimasto. Il suo rivestimento in silicone opaco rende questa lampada ad olio in vetro super resistente. Disponibile in diversi colori costa 89,00 € e la puoi acquistare direttamente nello shop online Fatboy
Tre aspetti da considerare nella scelta di un regalo per appassionati di home decor
Stile personale Gli amanti della decorazione della casa apprezzano tutto ciò che riguarda il design. Il problema, però, è che potrebbero avere in mente uno stile ben preciso per la loro casa. Se stai pensando di acquistare oggetti decorativi come vasi, quadri, cuscini, non dimenticare il gusto personale della persona e valuta se ciò che stai scegliendo è in armonia con lo stile dell’abitazione. Se hai un dubbio, allora è meglio optare per un oggetto dal design versatile e dai colori neutri. Dimensioni La dimensione dell’oggetto è un altro aspetto a cui prestare attenzione. Indipendentemente dalla dimensione della casa, è meglio puntare su qualcosa di non troppo voluminoso e facile da riporre; a meno che, ovviamente, non si tratti di qualcosa che il destinatario sogna di avere. Funzionalità I regali per appassionati di decorazione casa non devono essere necessariamente funzionali, ma vale la pena considerarli. Ad esempio, se il regalo è per una persona in procinto di trasferirsi nella casa nuova, è più probabile che apprezzi un oggetto bello e funzionale come un bel vaso, dei bicchieri, un tappeto. Se invece stai acquistando per una persona che ha già tutto, allora puoi puntare su oggetti di design divertenti e sfiziosi. Read the full article
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Ma dove cazzo li gira Domenico sti video e prima la stanza buia con gli specchi e mo dietro una tenda nera con una lampada di carta io ho capito che oggi è il Mimì day però figlio mio tutto ok?
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Riduco in triangoli
un ridicolo foglietto di carta,
mentre la luce invade la stanza
e la lampada accesa
diventa inutile spreco.
Ancora un caffè,
per diventare poi
la scia di un movimento.
I.S.A.
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[TRAD ITA] 221217 POST INSTAGRAM DI RM:
“Lanterna rotante*”
(N/B: *Nella tradizione coreana, è una lampada con un rivestimento di carta che ruota proiettando delle immagini sul muro che la circonda)
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©ImVali) | Trans ©gonnabeyou_trans
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Era, qualche volta, molto triste: ma noi pensammo, per lungo tempo, che sarebbe guarito da quella tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto: perché ci pareva, la sua, una tristezza come di ragazzo, la malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni. Qualche volta, la sera, ci veniva a trovare, sedeva pallido, con la sua sciarpetta al collo, e si attorcigliava i capelli o sgualciva un foglio di carta: non pronunciava, in tutta la sera, una sola parola, non rispondeva a nessuna delle nostre domande. Infine, di scatto, aguantava il cappotto e se ne andava. Umiliati, noi ci chiedevamo se la nostra compagnia l'aveva deluso, se aveva cercato accanto a noi di rasserenarsi e non c'era riuscito o se invece si era proposto, semplicemente, di passare una serata in silenzio sotto una lampada che non fosse la sua.
Natalia Ginzburg, Ritratto di un amico
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“ Tre anni fa, le autorità scolastiche pubblicarono un decreto che aboliva, in un certo senso, le vacanze di Pasqua. Difatti, tutte le scuole secondarie ebbero ordini di organizzare in occasione delle feste pasquali un campeggio. E, dicendo campeggio, si intendeva un corso premilitare. Gli scolari sarebbero vissuti per dieci giorni in seno alla cosiddetta natura libera, come soldati, divisi in classi, sotto le tende, sorvegliati dai professori. Dei sottufficiali in riposo avrebbero insegnato loro a marciare, a far ginnastica e, a partire dal quattordicesimo anno, a sparare. Ben inteso, i ragazzi adoravano tutto ciò, e in fondo anche noi professori ci divertivamo a fare gli indiani. Il martedì di Pasqua, gli abitanti di un villaggio solitario videro arrivare un potente autobus. L’autista suonò il clacson come se arrivassero i pompieri, oche e galline volarono via, i cani abbaiarono, tutto il villaggio accorse. “Ci sono i ragazzi, i ragazzi della città!” Avevamo lasciato la scuola alle otto, erano le due, ed eravamo davanti al municipio del villaggio. Il sindaco ci diede il benvenuto, il capitano dei carabinieri ci salutò militarmente. Anche il maestro, naturalmente, era sul posto; ed ecco che arriva il parroco, un tipo rotondo dall’aspetto benevolo. Ha fatto tardi. Il sindaco mi mostra sulla carta la posizione del campo. Un’ora buona di passo normale. “Il sergente maggiore è già sul posto,” mi dice il capitano dei carabinieri. “Due soldati del genio hanno portato le tende questa mattina con un autocarro militare.” Mentre i ragazzi scendono dall’autobus e radunano i loro bagagli, io esamino la carta: il villaggio è a 761 metri sul livello del mare, siamo vicini a grandi montagne sui duemila. Ma i picchi più alti, coperti di nevi eterne, sono ancora più in là. “Che cos’è?” chiedo al sindaco, indicando sulla carta un gruppo di costruzioni al confine occidentale del villaggio. “È la nostra officina” dice il sindaco, “la più grande segheria della regione. Disgraziatamente è stata chiusa l’anno scorso. L’impresa non rende più,” dice, e sorride. “Adesso abbiamo molti disoccupati. È un guaio.” Il maestro prende parte alla conversazione. Mi spiega che la segheria appartiene a un trust, e osservo che non ha simpatia né per gli azionisti né per il consiglio di amministrazione. Io neppure, del resto. “Il villaggio è povero,” mi spiega ancora. “La metà della popolazione vive di lavoro a domicilio, con salari di fame. Un terzo dei bambini è denutrito.” “Eh, sì,” dice il capitano dei carabinieri. E tutto questo, in seno alla bella natura. [...] Ai piedi del pennone abbiamo deposto una cassa contenente i fucili. Sistemiamo i bersagli: soldati di legno in uniforme straniera. Scende la sera. Andiamo al fuoco, cuociamo la minestra. È buona. Cantiamo canzoni da soldati. Il sergente beve e diventa rauco. Si alza il vento. “Viene dai ghiacciai,” dicono i ragazzi. E tossiscono. Penso al piccolo W. Sì, eri il più piccolo della classe, e il più simpatico. Credo che saresti stato il solo a non firmare la lettera contro i negri. Per questo eri destinato a scomparire. Adesso dove sei? Sei stato portato via da un angelo, come nelle fiabe? Ti ha condotto dove giocano i calciatori defunti? Dove i portieri sono angeli, e anche il guardalinee, che sbandiera quando qualcuno corre dietro al pallone? È questa, in cielo, la maniera di mettersi in off-side. Hai un buon posto? Naturalmente. Lassù, tutti siedono in tribuna, in prima fila, mentre i trafficoni, quelli che ti cacciavano sempre dietro la porta, stanno dietro dei giganti e non vedono nulla. La notte è calata. È ora di coricarsi. “A domani le cose serie,” dice il sergente. Dorme con me, nella stessa tenda. Russa. Accendo la lampada tascabile per vedere l’ora e scopro sulla tela della tenda, accanto al mio posto, una macchia di un bruno rossastro. Che cos’è? E penso: domani cominceranno le cose serie. Sì, le cose serie. In una cassa, ai piedi della bandiera, ecco la guerra. Sì, la guerra. Siamo in campagna. E penso ai due soldati, al sergente maggiore della territoriale che deve ancora prestare servizio, ai due soldati di legno sui quali ci si dovrà esercitare; penso al preside, a N, a suo padre, il fornaio, quello di Filippi; penso alla segheria che non lavora più, agli azionisti che, tuttavia, fanno affari d’oro, al capitano dei carabinieri che sorride, al parroco che ama il buon vino, ai negri che non dovrebbero esistere, agli operai che lavorano a domicilio e stentano a campare, alle autorità scolastiche e ai bambini malnutriti. E ai pesci. Siamo tutti in campagna. Ma qual è il fronte? Il vento soffia. Il sergente russa. “
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Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di Bruno Maffi, Bompiani, Milano 2003. (Libro elettronico)
[ 1ª edizione originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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