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#la storia della mia vita
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illsadboy · 1 year
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Ti alzi presto con malavoglia, vai a lavorare e aspetti la pausa pranzo… dopo di quella aspetti solo di tornare a casa tutto addolorate, arrivi a casa con la forza di un bradipo e sei solo a fissare il vuoto seduto sul divano finché non vai a dormire e il ciclo si ripete e ripete giorno dopo giorno ti senti sempre più solo e se ne vanno sempre di più piccole parti di te, in cambio di pezzi di carta che servono a renderti schiavo del sistema. È una ruota che gira dall’antichità.
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idettaglihere · 10 months
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prima ho preparato una torta alle pere e cioccolato ma prima di infornare ho assaggiato per curiosità l'impasto e ho capito che le pere erano diventate tossiche e sembrava di mangiare peperoncino; buttato tutto e sono rimaste solo 2737815 stoviglie da lavare
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gaysessuale · 2 years
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Questa è una domanda e non un attacco, te lo chiedo tranquillamente: ma i colartino per te sono una ship (passa il termine) o c'è qualche motivo per cui ti piacciono? Nessun attacco, ripeto, solo curiosità.
hello beloved my beloved!! prima cosa: non l'avrei presa come attacco mi fa un sacco piacere parlare di queste cose, ma ti ringrazio per aver specificato!!!!
seconda cosa ovviamente quello che vedete su questo fantastico e magico sito è tipo un centocinquantesimo di quello che penso di loro, diciamo che qui è tutto uno scherzo e un memotto, si fa per ridere qua sopra djlsajdkl ma no certo certo tengo ad entrambi, molto specialmente a lorenzo, artisticamente parlando, per motivi legati sia al fatto che mi piace il suo modo di scrivere e suonare, sia perché io e il CD di Egomostro ne abbiamo passate un po' insieme (sono un nostalgico, mi perdonerai)
e,,,, e mi sembra corretto specificare che non li """shippo""" sul serio, cioè, irl, davvero, per quanto sia tutto divertente è seriamente un meme, non prendetemi sul serio vi supplico
ora però se hai voglia, car* anon, sorbisci tutta la storia della mia vita qui sotto
ti dirò, ho cominciato ad ascoltare colapesce quado è uscito Egomostro, stavo facendo """spesa"""" su torrent di roba da mettermi nel cellulare da ascoltare, c'erano tipo le nuove uscite/nuovi post (fai che era il forum TnTVillage o qualcosa del genere, ecco) e l'ho scaricato, l'ho lasciato nel computer e niente, è rimasto lì sul cellulare per un po', completamente inascoltato
fast forward a qualche mese dopo, ricordo che faceva un sacco di caldo e avevo smesso di prendere alcune medicine, ero sdraiato sul mio letto sopra le lenzuola ed è partita Sottocoperta, credo di aver provato qualcosa, non ti so dire cosa, però quel qualcosa era abbastanza forte da lasciare un impatto sul me di 18 anni. a posteriori ti dico, ha senso, ero piccolo e un sacco spaventato di tutto quello che mi stava accadendo attorno e ti dirò in quel CD ho trovato un po' di pace e di comprensione
esce infedele due anni dopo, ascolto infedele, litigo con mia madre di andare a vederlo all'alcatraz, mia madre risponde (cito testuali parole) "ma non lo conosce nessuno, sarà vuoto, poi vai lì e ti rubano" (gente che paga il biglietto per rubarmi??) e niente, rimango triste a casa a guardarmi i video dei concerti su youtube, intravedo dimartino in qualche video, ma non sapevo che sarebbe stato uno strumentopolo misterioso per dopo
ayways continuo a consumare la sua musica, mi prendo i CD legalmente, ho un video di me briciolino diciannovenne che suona sottocoperta alla chitarra, ho il cd infedele scardinato perché lo aprivo e lo chiudevo troppo spesso tanto lo ascoltavo, un meraviglioso declino tutto macerato... diciamo che lo seguo come artista in maniera abbastanza affezionata e la sua musica ha sicuramente aiutato in qualche modo la mia labile psiche durante l'ultimo periodo, quello più faticoso, di relazione con la mia ex storica (sette anni di sofferenze, modestamente)
consumo infedele, consumo egomostro e,,, niente, passo a spotify, nel mio spotify wrapped del 2019 c'è ancora una reminiscenza di qualche traccia di Egomostro (Maledetti Italiani, credo), nel 2020 compare Satellite e Totale, ma comunque per un motivo o per l'altro li perdo molto di vista fino al 2021 quando tra le indiscrezioni sanremesi mi compare 'colapesce' e io mi precipito qui a dire 'rega ma in che senso colapesce' e,,, e niente, poi escono i nomi dei due best padri di sempre, vado a vedere che ha fatto il Lollo durante la mia assenza e vedo i Mortali
dai mortali si passa alle interviste, mi affeziono anche alla loro persona pubblica, (perché la relazione parasociale ce l'ho solo con Valerio Lundini ma quella è un'altra storia) continuo spizzandomi la musica di dimartino, velocizziamo la trama e arriviamo a ora, che siamo qui a fare i meme insieme a Beppe Vessicchio
tutto questo per dire che per quanto sia un sacco divertente scherzare e scrivere cose divertenti e augurare grandi scopate, tengo davvero molto a Colapesce in quanto artista e sicuramente la sua musica ha impattato sul mio lobo frontale non ancora pienamente formato, devo a quei testi sicuramente una piccola parte di crescita personale
in più, già che ci sono, io ho Un Ossessione per l'archiviazione, tutto quello che ha il mio minimo interesse, dalle vicissitudini della seconda repubblica italiana a sanremo, ha uno spazio sul mio cloud, quindi non sono speciali ad avere l'archivio tsè tsè, sono solo uno tra i tanti argomenti del mio cloud
e sì mi piacciono, mi piace la loro musica, mi piace specialmente il testo delle loro canzoni, sono una persona che ha purtroppo studiato musica e riconosco anche la loro bravura a livello di composizione, insomma, ho affetto per entrambe le discografie e, per quanto riguarda Colapesce, ho anche un affetto legato a tutto il tempo che ho passato da più piccolo ad ascoltarlo
se sei arrivat fino a qui complimenti che voglia
ciao spero sia stata una risposta esaustiva e anche un po' smielata
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smokingago · 3 days
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I miei demoni li ho nutriti con l'accettazione e l'ascolto.
Li ho fatti sedere intorno a me e li ho chiamati per nome, solo allora hanno smesso di farmi paura e sono diventati alleati potenti.
Avevano il nome del ricatto, dell'invisibilità, dell'inadeguatezza, del dolore della perdita, della ferita d'amore, della paura.
Finché li ho combattuti o ignorati hanno divorato la mia vita e le mie relazioni.
I demoni vanno abbracciati, in quel momento ti apriranno le porte della rinascita.
Il demone della paura ti parlerà di quanto ti sei allontanato dalla tua natura, ti parlerà delle passioni che hai messo a tacere, della tua voce che non ascolti più.
Il demone dell'invisibilitá ti racconterà del tuo bisogno di brillare, quello dell'inadeguatezza ti mostrerà i tuoi doni e il tuo potere personale.
Ognuno di loro avrà una storia da raccontarti, ascoltala.
Bride An Geal
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apropositodime · 2 months
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Esattamente undici anni fa, mi svegliavo con un sogno. Pazzesco.
Sognavo mia madre, in piedi vestita,come nei giorni normali della sua vita, era davanti al suo armadio metteva a posto . A fianco a lei c'era quel letto, quello ospedaliero, attrezzato, vuoto.
In quel sogno percepivo, serenità.
Mi sono svegliata e ho pensato: che strano sogno,non mi ha turbata, non mi ha spaventata, avevo capito chiaramente...
In quegli anni vivevo i nella stessa palazzina dove vivevano i miei.
Ale aveva 6 anni e Andre 9.
Ci prepariamo e scendiamo dai nonni.
Mio padre è preoccupato e mi dice: stamattina non va.
Solo questo.
Lei è nel letto ospedaliero, con il respiratore e tutto il resto, dimostra duecento anni, mio padre è stato il miglior infermiere che io abbia mai conosciuto.
Maledetta malattia.
Andiamo via, fa caldo, conosco mio padre, porto i bambini fuori, anche se loro sono davvero bravi.
Andiamo nel bar del loro padre, io a giugno ho chiuso la nostra storia, il nostro matrimonio, e stato un anno assurdo,tra una cosa e l'altra.
Intorno alle undici mi chiama mia sorella, piange e non capisco cosa dice, ma capisco cos'è successo
Mamma è volata via.
Ho dovuto sempre dire io da sola, le cose ai miei figli, anche quando il loro padre se ne è andato,sempre io.
Va be, chi se no!
In quel sogno, mi ha salutata.
Non lo dimenticherò mai.
In questi anni non l'ho sognata molte volte, ma solo in momenti miei particolari.
"non lo so dove vanno le persone quando ci lasciano, ma so dove rimangono"
L'unico volta in cui ho pianto è stato quando mia sorella mi ha detto : la mamma ha la Sla.
Chi vuole stare in corpo che non sente più, chi? Sapendo che non c'è nulla da fare.
Quando se n'è andata, ho respirato, lei non respirava più in autonomia, e sapete una cosa, la sua paura più grande era quella , la mancanza del respiro, il suo punto debole era la gola, tantissimo anni fa le era stata tolta la tiroide .
La sua malattia l'ho trovata ingiusta. Non che ci siano malattie giuste...
Quindi io sapevo che non ce la faceva più, in quel saluto ho percepito la sua serenità.
E niente, dopo questo ricordo buttato su questo muro, mi scuso se vi ho trasmesso tristezza, non era questa l'intenzione.
Giovedì.
Ciao Ma😊
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morganadiavalon · 5 months
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A MIA MAMMA.
Eri piccola quando ci siamo conosciute.
Beh, sì, io ero ancora più piccola, ma tu eri più piccola di me adesso.
Eri una giovane donna che aveva conosciuto l'indigenza e il lavoro minorile e nonostante ciò non lesinavi sorrisi e leggerezza, come se la vita fosse per te una continua scoperta appassionante e non avessi mai niente da rimpiangere.
Sei stata la prima e l'unica persona che mi abbia mai letto una storia ad alta voce, leggevi e inventavi, perché di certo la fantasia non ti è mai mancata e mi hai cresciuta a sorrisi, iniezioni di autostima, lezioni di pazienza e amore. Un totale, disinteressato, incalcolabile amore.
Non ti ho mai percepita gelosa, fare l'offesa o essere possessiva.
Non hai mai cercato di ostacolare le mie scelte coniugando una sostanziale fiducia in me con una silenziosa osservazione di ogni passo che compievo.
Mi hai dato la vita e poi mi hai permesso di scorazzare qua e là, senza iperprotettivismo, ma con la saggezza infinita di chi sa che le migliori lezioni sono quelle che che impariamo a nostre spese e cercare di impedire a un figlio di soffrire (seguendo, peraltro, un criterio personale nel determinare quale sarebbe il suo bene) equivale talvolta a impedirgli di crescere.
Hai sorriso della mia irruenza adolescente, che ti rimproverava alcune scelte, che ti chiamava pavida e ti criticava di esser troppo accondiscendente. Ma le lezioni di vita a volte son semestri infiniti di materie che non si leggono sui manuali e il cui reale significato ci arriva molto dopo averle studiate.
E così la tua granitica pazienza ha visto me mutare, crescere, maturare. E capire finalmente l'incomparabile intelligenza che ha guidato ogni tua mossa per portarti fuori indenne dal tuo personalissimo ginepraio e lasciare a noi sì, la percezione di essere passate attraverso qualcosa di scombussolante, ma riportando solo qualche graffietto superficiale e lasciandoci invece, come premio, un'inviolabile serenità familiare che, come una leonessa ruggente, hai protetto e custodito facendone il rifugio felice e il porto sicuro che è ancora adesso e che sarà per sempre. Perché hai sempre saputo separare le tue battaglie dalle nostre vite e non hai mai permesso che piani che non dovevano sovrapporsi si sovrapponessero e che la strada delle tue conquiste personali incrociasse maldestramente quella della nostra crescita.
Il risultato è la serenità interiore che ci hai dato in eredità, tesoro preziosissimo che custodisco fieramente. E sebbene noi abbiamo ereditato anche parte della dimensione più squisitamente malinconica e profonda di papà (che custodisco altrettanto fieramente), e sebbene questi nostri anni adulti siano terribilmente instabili e a noi piaccia dire che la vostra vita negli anni '80 fosse per certi versi più "facile" e ci si faccia, quindi, a volte, prendere un po' dallo sconforto, mi basta ripensare al tuo sorriso felice, al tuo entusiasmo, alla tua sconfinata e ottimistica fiducia nella vita per sentire come un'epifania dentro di me e sapere, con certezza, che andrà tutto bene, che tutto avrà un suo senso, prima o poi.
Mamma, anno dopo anno, non posso che augurarmi di somigliarti sempre di più, crescendo.
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kon-igi · 8 months
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CHIAMA I RICORDI COL LORO NOME
Nel 2019, la mia compagna, le mie figlie e io decidemmo di intraprendere un percorso che alla fine ci avrebbe portato a diventare la famiglia affidataria di un minore e questo implicava un sacco di incontri, singoli e di gruppo, con cui assistenti sociali e operatori valutavano la nostra capacità di accudimento e contemporaneamente ci informavano e ci formavano su cosa significasse prendersi cura di un minore in modo continuativo ma parallelamente alla famiglia biologica, con la quale dovevamo rimanere sempre in contatto.
(anticipo che poi la cosa finì in un nulla di fatto perché poco dopo scoppiò il caso Bibbiano - 30 km in linea d'aria da Parma - e per precauzione/paura tutti gli affidi subirono un arresto. E poi arrivò il Covid)
La mia riflessione nasce alla lontana da un video che youtube mi ha suggerito questa mattina presto - è poco importante ai fini della storia ma è questo - che mi ha ricordato una caratteristica della mia infanzia...
Difficilmente riuscivo a essere felice per le cose che rendevano felici gli altri e quella vecchia canzone - che è considerato l'Inno del Carnevale di Viareggio, mio luogo di nascita e dei primi 20 anni di vita - ne è l'esempio emblematico, direi quasi sinestesico.
Tutti i viareggini la conoscono e la cantano nel periodo più divertente e frenetico della città ma io la associo a un'allegria dalla quale ero sovente escluso, odore di zucchero filato che non mangiavo e domeniche che significavano solo che l'indomani sarei tornato a scuola, preso in giro dai compagni e snobbato dalla maestra.
Vabbe'... first world problem in confronto ad altri vissuti (in fondo ero amato e accudito) però l'effetto a distanza di anni è ancora questo.
Tornando al quasi presente, una sera le assistenti sociali chiesero al nostro gruppo di futuri genitori affidatari di rievocare a turno prima un ricordo triste e poi uno felice.
E in quel momento ebbi la rivelazione che la quasi totalità dei presenti voleva dare amore a un bambino o a una bambina non propri perché sapeva in prima persona cosa significasse vivere senza quell'amore: gli episodi raccontati a turno non era tristi, erano terribili... violenza, abbandono, soprusi, povertà e ingiustizie impensabili nei confronti di bambino piccolo e, ovviamente, quando arrivò il nostro turno (la mia compagna non ne voleva sapere di aprire bocca) mi sentivo così fortunato e quasi un impostore che, in modo che voleva essere catartico e autoironico, raccontai di quando la maestra in terza o in quarta elementare chiamò un prete che davanti a tutta la classe mi schizzò di acqua santa perché - a detta della vecchia carampana - sicuramente ero indiavolato.
Ribadisco che la cosa voleva essere intesa come un modo per riderci su e detendere l'atmosfera pesante che il racconto dei vissuti terribili aveva fatto calare sul gruppo ma mentre sto mimando con una risatina il gesto del prete con l'aspersorio, mi accorgo che tutti i presenti hanno sgranato gli occhi e hanno dilatato le narici, nella più classica delle espressioni che indicano un sentimento infraintendibile...
La furia dell'indignazione.
Cioè... tu a 10 anni hai visto tua madre pestata a sangue da tuo padre e fatta tacere con un coltello alla gola ed empatizzi con me che ti sto raccontando una stronzata buona per uno sketch su Italia Uno?
Mi sono sentito uno stronzo, soprattutto quando la furia ha lasciato il posto a gesti e parole DI CONFORTO per quello che, evidentemente, sembrava loro una prevaricazione esistenziale orribile (cioè, lo era ma, per cortesia... senso delle proporzioni, signori della giuria).
Mi sono quindi rimesso a sedere, incassando il supporto con un certo qual senso di vergogna, finché poi non è arrivato il momento della condivisione dei momenti felici.
Silenzio di tomba.
Nessuno parlava.
Nessuno riusciva a ricordare qualcosa che lo avesse reso felice.
Con un nodo in gola - perché avevo capito che razza di vita avevano avuto le persone attorno a me - mi rendo conto che io ne avevo MIGLIAIA di momenti felici da condividere ma che ognuno di essi sarebbe stato una spina che avrei conficcato nel loro cuore con le mie stesse mani.
E allora mi alzo e rievoco ad alta voce il ricordo felice per me più antico, quello che ancora ora, a distanza di decenni, rimane saldo e vivido nella parte più profonda del mio cuore...
-Le palle di Natale con la lucina rossa dentro. Quando ero piccolo, durante le vacanze di Natale aspettavo che mio papà e mia mamma andassero a letto e poi mi alzavo per andare a guardare l'albero... non i regali sotto, proprio l'albero. Era finto, di plastica bianca spennachiosa, ma mia mamma avvolgeva sempre intorno alla base una striscia decorativa verde a formare una ghirlanda e mio padre stendeva tutto attorno ai rami un filo con delle palle che, una volta attaccate alla presa elettrica, si illuminavano di rosso. Io mi alzavo di nascosto e nel caldo silenzio della notte guardavo le luci intermittenti dipingere gli angoli del divano e del tavolo, con un sottile ronzio che andava e veniva. Ero al caldo, ero protetto, voluto e amato. Se allungo le mani posso ancora tastare quel ronzio rosso che riempe la silenziosa distanza tra me e l'albero e niente potrà mai rendere quella sensazione di calda pienezza meno potente od offuscarne la completezza. Quello era l'amore che mi veniva dato e che a nessuno sarebbe mai dovuto mancare.
A un certo punto sento una mano che mi si poggia sul braccio (avevo chiuso gli occhi per rievocare il ricordo) e accanto a me c'è la mia compagna che sorride, triste e piena di amore allo stesso tempo.
E attorno a me tutti stanno piangendo in silenzio, esattamente quello che col mio ricordo semplice volevo evitare e che invece doveva aver toccato lo stesso luogo profondo del loro cuore.
E in mezzo alle lacrime (che figuriamoci se a quel punto il sottoscritto frignone è riuscito a trattenere) cominciano a scavare tra i ricordi e a tirarli fuori... il cucciolo che si lasciava accarezzare attraverso il cancello della vicina, il primo sorso dalla bottiglietta di vetro di cedrata, la polvere di un campetto da calcio che si appiccicava sulla pelle sudata, l'odore della cantina, il giradischi a pile...
E nulla. Non so più cosa dire e nemmeno cosa volessi dire.
Forse che sembriamo così piccoli, malmessi e fragili ma che se qualcuno ci picchietta sulla testa e sul cuore siamo capaci di riempire il mondo di cose terribili e meravigliose.
Decidere quali ricordare e quali stendere davanti a noi è una scelta che spetta non a chi picchietta ma a chi permette che essi fluiscano da quella parte profonda di sé a riempire lo spazio tra noi e il domani.
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missrainworld · 1 year
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Per una piccola parte di me <3 0.1
La parte più difficile in ogni cosa è iniziare, come adesso. Non è facile trovare le parole giuste per aprire la strada alle milioni di cose che vorrei dirti. Ogni inizio è spaventoso, difficile. E me lo ricordo che qualche mese fa di paura ne avevo tanta, temevo tutte le cose che avremmo dovuto vivere.
Tu sei la prima volta in cui ho perso il controllo, in cui mi sono buttata nel vuoto e mi son detta 'Ora o mai più'. Perché in fondo te lo senti che alcune cose puoi farle solo in un determinato momento e che non c'è altro tempo per viverle.
Sei il mio momento giusto, su questo non ho dubbi, mi sei piombato addosso per caso e senza alcuna pretesa, nessuna forzatura e nessuna speranza, sei rimasto.
A volte mi chiedo perché, dopo aver visto tutto il casino che sono, tu sia rimasto. Non hai neanche dovuto lottare per entrarci nella mia vita, perché ti avevo lasciato ogni porta aperta, era troppo tempo che non davo così tanta fiducia a qualcuno ma stranamente con te mi sentivo al sicuro. E ci sono tutti gli ingredienti le farfalle, le palpitazioni, l'impazienza di essere tua.
Ci sono tutti gli ingredienti perché tu possa distruggermi e forse, per la prima volta, voglio correrne il rischio.
Probabilmente, anzi, sicuramente mi sono innamorata prima io ma come dovevo fare? Quando mi guardavi e mi parlavi di filosofia, di storia, cose che non mi hanno mai preso, ma che dette da te diventavano la cosa più interessante del mondo.
Non mi sono innamorata di te perché necessitavo di avere qualcuno al mio fianco, sono sempre stata bene da sola.
Non mi sono affezionata a te perché avevo bisogno di qualcuno che mi rendesse felice, ne perché stessi cercando qualcuno con cui stare.
In realtà, non cercavo proprio nessuno.
Mi sono innamorata di te perché mi sono sentita apprezzata, perché sei l'unica persona che mi restituisce tutto l'amore che do. Mi sono innamorata di te perché mi fai stare tranquilla, potremmo anche stare seduti senza dire nulla e guardare tik tok ed io non avrei ansia.
Siamo così simili ma in certi sensi così diversi, eppure sei esattamente quella parte che mi manca per essere come vorrei.
E' bastato un istante, uno sguardo e ti ho riconosciuto, come se in fondo ti avessi sempre aspettato. Delle volte sono istanti piccolissimi a cambiarci la vita, momenti così insignificanti da non rendercene nemmeno conto, ogni tanto mi chiedo cosa starei facendo ora se non ti avessi mai scritto, se tu non mi avessi mai baciata, se fossimo rimasti solo amici.
La maggior parte delle persone si limita al “mi piaci”, Kierkegaard invece scrisse: “Ti muovi costantemente sulle onde dell’intuizione; eppure, ogni singola somiglianza con te basta a rendermi felice. Perché? É a causa della ricca unità del tuo essere o della povera molteplicità del mio? Non é l’amare te, amare un mondo?”
D’altronde hai avuto tutto, prima ancora che te ne rendessi conto. Ti ho parlato di qualsiasi cosa, quando per me parlare di sentimenti o emozioni risulta essere complicato, tendo sempre a sopprimere qualsiasi cosa, penso perché da piccola venivo etichettata come “la bimba matura “e qualsiasi persona contava su di me ed io non avevo tempo di pensare a cosa realmente provassi.
Forse ho perso la testa, tu mi hai fatto perdere la testa, perché adesso non sento neanche di essere io, ho meno paura di tutto e provo cose talmente diverse che mi destabilizzano. Ti ho parlato di cose che non voglio ammettere nemmeno a me stessa, che portavo, e porto, come un peso, con vergogna, ma tu sei stato così paziente e mi hai ascoltato quando probabilmente quello che dicevo non aveva senso nemmeno per me.
Ti ho amata fin da subito ed ho avuto paura della velocità con cui un sentimento del genere sia cresciuto, d’altronde sono un overthinker e mi son chiesta, che vuoto lascerà una persona del genere nella mia vita? Come mi faccio domande, mi do anche risposte e Tu lasceresti un vuoto enorme, incolmabile.
Oramai occupi tutto, tutto lo spazio che c'è, sei ovunque e neanche me ne rendo conto.  Se conquisti la mia mente ci sarai sempre dentro.
Hai reso tutto pieno di significato, pieno d'amore e di timori. Per la prima volta ho davvero paura di perdere qualcuno, per la prima volta penso che non esista qualcosa che non farei per te, qualsiasi cosa pur di farti stare bene.
Non lo dico perché ti amo, ma lo dico perché sei una persona speciale. Meriti qualsiasi cosa di bello possa esserci, tutta la felicità che possa provare. Hai così tante cose dentro, che non dici e che non mi mostri. Ed io vorrei sapere tutto, conoscerti meglio di te stesso perché niente che ti riguarda mi è estraneo.
Ho capito che ero fottuta quando non mi sapevo dare una risposta al perché ti amassi, lo faccio e basta.
Ogni volta che dico di amarti significa che ti accetto per la persona che sei, e che non voglio trasformarti in qualcun altro. Significa che ti amerò e starò al tuo fianco anche nei momenti peggiori. Significa amarti anche quando sei giù di morale, non solo quando è divertente starti vicino. "Ti amo" significa che conosco la tua persona e non ti giudico. Significa che ci tengo abbastanza da lottare per quello che abbiamo e che ti amo abbastanza da lasciar perdere, se ciò significa vederti felice. Vuol dire pensarti, sognarti, volerti e aver bisogno costantemente di te, e sperare che tu provi lo stesso per me.
Mi stai donando qualcosa che non potrò che inscrivermi nel cuore, quelle cose che ti porti gelosamente dentro, che sai di poter vivere solo con una determinata persona.
Alla fine, ogni cosa mi riconduce a te. Sei nei libri che sottolineo e nella musica che ascolto, in ogni film che mi segno, in tutte le parole che scrivo, persino in quelle che non scrivo ma che custodisco gelosamente dentro di me, tra l’anima e il cuore, in quello spazio che solo tu riesci a raggiungere e che vorrei non abbandonassi mai. É come se dopo un viaggio molto lungo tu mi avessi finalmente riportato a casa.
Mi hai dato talmente tanto che adesso sono piena di te e non potrei dimenticarti mai, seppur volessi.
Mi hai riempita di un amore che non credevo avrei mai provato, così forte che adesso fatico nello scrivere senza commuovermi, senza sentire quelle stupide farfalle, perché pensarti mi fa questo effetto.
Esattamente come quando ti guardo troppo a lungo, penso a quanto sei stupenda, a quanto sai farmi stare bene e mi escono dagli occhi tutte le parole che mi rimangono bloccate in gola. Non riesco a dirtelo mentre ti ho davanti, ma hai dato alla mia vita un valore aggiunto e che avrei milioni di parole da dedicarti se solo riuscissi a concentrarmi mentre mi guardi con quegli occhioni da cui non riesco a fuggire.
Quando mi guardi dimentico tutti i miei difetti ma allo stesso tempo ho paura che guardandomi troppo o standomi troppo vicina tu mi veda come mi vedo io.
Vorrei rivivere ogni ora passata insieme, per rendermi conto di quanti dettagli mi son persa, ma poterli assaporare tutti, coglierli e conservarli. Sei un regalo grandissimo, per il quale sarò per sempre in debito verso il destino. Non so cosa succederà un domani, non importa se un ti amerò esattamente come adesso, probabilmente di più, ma sarai sempre e comunque tu, niente ti renderà diverso di fronte ai miei occhi, adesso non vedo altro che la tua essenza. Non vedo l'ora di poterti baciare, mi manchi da morire e niente mi rende felice come averti accanto e poter sentire il calore di un tuo abbraccio che tanto ho desiderato. Sei ciò di cui ho più bisogno e che non voglio lasciar andare per nulla al mondo.
Ti amo, come non amo altro.
Tua, A.
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cutulisci · 1 year
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“I nazisti sbatterono fuori le pecore da una stalla e fecero entrare noi. Mamma mi nascose in una nicchia dietro la porta. ‘Non ti muovere per niente al mondo’, mi disse. Le scaricarono un mitra addosso. Era ferita alla testa ma trovò la forza per scagliare uno zoccolo verso un soldato che stava per scoprirmi. Morì. Morirono tutti. Poi aprirono i lanciafiamme sulla paglia e sui cadaveri e ci diedero fuoco.
Mi tirarono fuori da lì bruciato e vivo per caso.
All’ospedale dissero che non c’era più niente da fare, avevo ustioni di terzo grado e i polmoni scoperti. Allora zia Lola mi portò in un convento di suore di Marina di Pietrasanta e ci rimasi più di un anno. Mi mettevano al sole per curarmi le piaghe e facevano di tutto per tenermi le mosche lontane. Un giorno del 1945 bussarono alla porta. Era il mio babbo, un alpino finito prigioniero in Russia, di cui non sapevamo più niente. In mezzo a tanto dolore, fu bellissimo.
Se mamma avesse una tomba tutta sua io e papà accanto al nome avremmo messo questa foto. Invece quando riesumarono i resti dalla grande fossa comune dove i tedeschi avevano ammassato le vittime di Sant’Anna di Stazzema, trovarla in quel macello di ossa bruciate fu impossibile. Ci provai anche io, che allora avevo solo 10 anni, ma fu inutile.
A Sant’Anna dal 1945 ci torno due volte all’anno, il 2 novembre e il 12 agosto. Non smisi nemmeno quando nacquero i miei figli. Me li caricavo sulle spalle e con mia moglie prendevo la mulattiera che quel giorno del 1943 percorsi con la mamma. Oggi ci porto i ragazzi delle scuole.”
- La storia raccontata al Corriere di Mario Marsili, uno dei pochi superstiti ancora in vita di una delle peggiori stragi della Seconda guerra mondiale, quella di Sant’Anna di Stazzema, avvenuta il #12agosto 1944.
560 civili uccisi, di cui solo 393 identificati.
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sunelrose · 18 days
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Red flags che ho ignorato all'inizio , poi è andata sempre peggio
1) estremamente permaloso, per cose banali tra l'altro
2) silenzio punitivo, tornava dopo giorni con un tono passivo aggressivo
3) ogni volta che gli dicevo cosa mi dava fastidio la colpevole ero SEMPRE io, non mi chiedeva mai scusa e continuava a fare le stesse cose
4) parlava sempre delle ex
5) mi rinfacciava le cose
Il punto è che all'inizio della frequentazione volevo interrompere tutto, non mi convinceva. Ma poi è stato bravo a "prendermi" solo che dopo ho sofferto ancora di più perché mi ero innamorata. Dopo questa storia ora mi sento destabilizzata, tant'è che non voglio più conoscere nessuno, non voglio più avere a che fare con nessun uomo nella mia vita.
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ninfettin · 28 days
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sto tornando a casa a piedi traballante e impasticcata con addosso solo il pigiama
m mi ha portato a forza a casa sua, l'ho pregato di non portarmi al PS. a casa mi ha ficcato due dita in gola e l'ha fatto fare anche a me , ma ho vomitato solo saliva
stamattina mi ha scopato da dietro per non guardarmi in faccia e mi è venuto addosso (mai fatto prima)
ho detto io vado e lui ha detto ok
La storia dell'amore della mia vita è finita qui. ora mi sento solo un fantasma che deve recitare una parte
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angelap3 · 23 days
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Qualcuno ha pubblicato questa foto qualche giorno fa. Molti hanno voluto sapere la storia dietro la statua, quindi eccola qui...
Kópakonan: Una statua della Donna Foca si trova a Mikladagur, sull'isola di Kalsoy. È realizzata in bronzo e acciaio inossidabile, progettata per resistere a onde alte fino a 13 metri. All'inizio del 2015, un'onda di 11,5 metri si abbatté sulla statua, ma rimase ferma e non subì danni (vedi i commenti per le foto di questo evento).
La leggenda di Kópakonan (la Donna Foca) è una delle fiabe più conosciute nelle Isole Faroe. Si credeva che le foche fossero esseri umani che avevano scelto volontariamente di morire nell'oceano. Una volta all'anno, la tredicesima notte, erano autorizzate a tornare sulla terra, togliersi la pelle e divertirsi come esseri umani, ballando e godendosi la vita.
Un giovane contadino del villaggio di Mikladalur, sull'isola settentrionale di Kalsoy, curioso di sapere se questa storia fosse vera, si appostò sulla spiaggia una sera della tredicesima notte. Vide le foche arrivare in gran numero, nuotando verso la riva. Si arrampicarono sulla spiaggia, si tolsero la pelle e la posizionarono accuratamente sulle rocce. Senza la pelle, apparivano come normali esseri umani. Il giovane osservò una bella ragazza foca posare la sua pelle vicino al punto in cui era nascosto, e quando iniziò la danza, si avvicinò di nascosto e la rubò.
I balli e i giochi durarono tutta la notte, ma non appena il sole iniziò a spuntare all'orizzonte, tutte le foche si precipitarono a riprendere le loro pelli per tornare in mare. La ragazza foca era molto sconvolta quando non riuscì a trovare la sua pelle, anche se il suo odore era ancora nell'aria. Poi l'uomo di Mikladalur apparve tenendola in mano, ma non gliela restituì, nonostante le sue suppliche disperate, così fu costretta ad accompagnarlo alla sua fattoria.
L'uomo la tenne con sé per molti anni come sua moglie, e lei gli diede diversi figli; ma lui doveva sempre assicurarsi che lei non avesse accesso alla sua pelle. La teneva chiusa in un forziere di cui solo lui aveva la chiave, una chiave che portava sempre con sé, appesa a una catena alla cintura.
Un giorno, mentre era in mare a pescare con i suoi compagni, si rese conto di aver lasciato la chiave a casa. Annunciò ai compagni: "Oggi perderò mia moglie!" – e spiegò cosa era successo. Gli uomini ritirarono le reti e le lenze e remavano verso la riva il più velocemente possibile, ma quando arrivarono alla fattoria, trovarono i bambini tutti soli e la madre scomparsa. Il padre sapeva che non sarebbe tornata, poiché aveva spento il fuoco e messo via tutti i coltelli, in modo che i piccoli non si facessero male dopo la sua partenza.
Infatti, una volta raggiunta la riva, la donna aveva indossato la sua pelle di foca e si era tuffata in acqua, dove un grosso foca maschio, che l'aveva amata per tutti quegli anni e che la stava ancora aspettando, le si avvicinò. Quando i suoi figli, quelli avuti con l'uomo di Mikladalur, più tardi scesero in spiaggia, una foca emergeva dall'acqua e guardava verso la terra; la gente naturalmente credeva che fosse la loro madre. E così passarono gli anni.
Un giorno, gli uomini di Mikladalur pianificarono di andare a caccia di foche in una delle grotte lungo la costa. La notte prima della caccia, la moglie foca apparve in sogno al marito e gli disse che se fosse andato nella grotta a caccia di foche, avrebbe dovuto fare attenzione a non uccidere il grande foca maschio che avrebbe trovato all'ingresso, perché quello era suo marito. Non avrebbe dovuto neppure ferire i due piccoli cuccioli di foca nel fondo della grotta, perché erano i suoi due giovani figli, e gli descrisse le loro pelli in modo che li potesse riconoscere. Ma il contadino non prestò attenzione al messaggio del sogno. Si unì agli altri nella caccia e uccisero tutte le foche che trovarono. Quando tornarono a casa, il bottino fu diviso e il contadino ricevette come sua parte il grande foca maschio e le zampe anteriori e posteriori dei due cuccioli.
La sera, quando la testa del grande foca e le membra dei piccoli furono cucinate per cena, ci fu un grande boato nella stanza del fumo, e la donna foca apparve sotto forma di un terribile troll; annusò il cibo nelle ciotole e lanciò la maledizione: "Qui giace la testa di mio marito con le sue larghe narici, la mano di Hárek e il piede di Fredrik! Ora ci sarà vendetta, vendetta sugli uomini di Mikladalur, e alcuni moriranno in mare e altri cadranno dalle cime delle montagne, finché non ci saranno abbastanza morti da poter unire le mani tutto intorno all'isola di Kalsoy!"
Pronunciate queste parole, scomparve con un grande boato di tuono e non fu mai più vista. Ma ancora oggi, purtroppo, accade di tanto in tanto che gli uomini del villaggio di Mikladalur annegano in mare o cadono dalle scogliere; si teme quindi che il numero delle vittime non sia ancora sufficiente affinché tutti i morti possano unire le mani intorno all'intero perimetro dell'isola di Kalsoy.
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francesca-70 · 5 months
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Una forza e una generosità straordinarie sono il dono di ogni madre, e sono la base di quell’amore incondizionato che solo una madre sa offrire e che tutti dovremmo avere la possibilità di assaporare. Un vecchio proverbio napoletano recita: «Chi tene ‘a mamma, nun chiagne» (chi ha la mamma, non piange), ed è vero. Le madri sono scudo pronto a difenderci da ogni dolore, a volte persino esagerando.
La verità è che l’amore può tutto, che un sorriso, uno sguardo sincero, una carezza sono sorsi di eternità, che nel dolore la fiducia nel domani può soltanto diventare più grande.
Una terribile battaglia da combattere “un lungo addio”.. “un addio rubato..un addio mancato.. un addio finto”.
Perché tra di noi, mamma, non può esserci addio.
La mia persona più amata si dissolve lentamente in piccoli pezzi, ed è impossibile andare a ripescare quale sia stata l’ultima conversazione. Struggente ed emozionante, «il segreto della vita».
Tutto ruota intorno ai ricordi e alla memoria, al loro disperdersi e riemergere continuo e imprevedibile, trasportando tutti in una sorta di infinito presente. Una storia di cui non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo guazzabuglio di emozioni. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto inizio. Sono stata incapace di cogliere i primi segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto superiore a quella delle mie emozioni, che mi soffocavano la gola. “Questo è il momento più difficile”, mi racconto ma intanto sto tatuando il mio cuore. In maniera indelebile.
Figlia unica di un genitore non autosufficiente, come la definisce la USL.
Il muro che ho dovuto attraversare per trovare il mio binario è fatto di rifiuto, disoriento.
Dovevo combattere con i fantasmi del mio passato, guardare negli occhi una persone che non mi riconosceva piu e specchiarmi nelle sue paure. Una micidiale danza di emozioni contrastanti: l’eterno presente senza ieri e senza domani il passato remoto improvvisamente prende vita catapultandoti in una dimensione surreale e spiazzante. Mi trito il cuore cercando di cogliere un’espressione diversa sul volto, un lampo negli occhi, un gesto, ma lei ė in un'altra dimensione e questo fa male. Come tenere tutto dentro.
Ecco come vedo, assisto e vivo questo lento perdersi. Un lento svanire. Spegnersi poco a poco, spettatore di questa surreale esibizione della vita. Dove il regista è il tempo e la trama è composta dalla memoria, dai ricordi, che a tratti riemergono da quel luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Sono sempre lì. Sono sempre loro. Solo nascosti in qualche angolino. Basta aspettare il momento giusto... ed eccoli.
Un viaggio nei legami affettivi più forti, nelle nostre paure e nei nostri bisogni di amare, alla ricerca della felicità anche nelle situazioni apparentemente più avverse.
A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già uno, ormai grande, proiettato verso un futuro luminoso insieme alla famiglia che si era creato.
Ed io, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre", nel suo lento declino fisico e mentale.
Eppure il suo sguardo, di tanto in tanto, torna per un fugace momento (tanto fugace che, a volte mi chiedo se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMi...tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me, sempre con un sorriso sulle labbra. Non so bene come spiegarmi. C’è da non trovare le parole quando hai a che fare con una persona che se ne sta andando lontano, sempre più, suo malgrado. C’è da augurarselo di non trovarle, mettere in fila i pensieri richiederebbe di voler vedere quello che si ha davanti e io non voglio.
“Mamma, sono io, sono Francesca”. Te lo ricordo, te lo ripeto, non perderlo il mio nome. Non lasciarmi andare. Nei tuoi pensieri troncati, assillanti, confusi non sei persa, perché non si può affogare in una pozzanghera, e non sei rinchiusa finché fai di tutto per stare a galla. Attaccati a me, aggrappati all'amo, salda più che puoi, con le mani e con lo sguardo, che ti tiro verso di me, non smettere di respirare.
Quanto fa male trasformarsi. “Sono io, mamma, sono Francesca”. “Lo so,” mi rispondi. Sei arrabbiata. In te c’è ancora forza...non molli, non cedi, ti ribelli. Mi prenderesti a schiaffi. Ti vedo, seduta sul divano. Ti stringi, ti rimpicciolisci, scompari, eppure io ti trovo sempre. So dove cercarti. So dove trovarmi. Anche se potremmo essere il gioco dei contrari io e te. Tu, che sei tanto diversa da me eppure ti assomiglio. Ho paura..e nello stesso tempo ho Il bisogno di non far vedere agli altri che sto male.
Ho tanti sensi di colpa: sono una mamma, come te. Quanta malinconia c’è, quanto mi ricordo di te..ricordi che si diluiscono. All’inizio mi concentro sul come fare per catturarti e quando ti ho catturata penso a come trattenerti; quando sto per perderti cerco di invogliarti a restare con un nuovo stratagemma; quando ti ho persa iniziano i propositi per fare meglio la volta dopo. Ricomincio, riprovo, non mollo mai. I tentativi si susseguono senza sosta. Non c’è fine, non c’è pausa. Ci pensi anche quando non lo fai. Ci deve essere da qualche parte una linea di confine che, se oltrepassata, è un cambio perenne di stato. E ci pensi mentre fai la spesa o sei in fila dal dottore, mentre parli al telefono con un’amica e perfino mentre ti fai la doccia. Quando sei sotto il getto dell’acqua tiepida piangi per il fallimento: non importa quanto poco ti consoli l’esserci per accudirla. L’acqua si miscela alle lacrime nel gorgo dello scarico e dovrebbe andare giù, lasciarti, non tornare, giusto? No, non va giù. La lacrima stagna, imputridisce. Si deposita. È l’acqua delle pozzanghere. Non conosce colore, non conosce fine. Non riflette tutto il cielo, non è nemmeno una finestra. Non bisogna scoraggiarsi.. ma mi mancano le forze o forse il coraggio. A volte ricordo i tempi piu felici che sono anche i più taglienti.“Eccomi! Ciao, come stai oggi? Hai visto che è arrivata l'estate???....
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Guardami,
"sono Francesca, mamma
Mamma❤”.
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lemierovine · 5 months
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Io non so esattamente se potrò mai provare una cosa così, non so nemmeno se tu hai provato più una cosa così.
Ora sembrerò melodrammatica, una che non supera le cose e tutte le critiche che le persone con razionalità incredibile avranno in serbo per me.
Penso di non aver mai più riso così, non aver mai più avuto questi occhi, non aver mai più amato così maledettamente forte.
Molto probabilmente tutto ciò è dettato dal mio problema e dal fatto che abbiamo vissuto una storia da montagne russe, ma ciò non toglie che ci siamo amati da morire, nel vero senso della parola.
Ci siamo prosciugati di amore fino ad uscirne completamente folli entrambi.
Io, ogni volta che sento il tuo nome, sento un buco nello stomaco, più grande del vuoto che mi perseguita.
Io, ogni volta che si parla di amore, penso a te e tutto ciò che hai fatto per me.
Perché Io, non dimentico nulla di ciò che è stato e che consapevolmente e forse felicemente non sarà più.
Perché, sai ti ho amato talmente tanto, da capire che io non facevo per te, che non eri adatto agli amori da morire, che eri fatto per la spensieratezza.
Quindi ho lasciato andare, abbiamo lasciato andare, anche se in fondo al cuore rimangono le nostre briciole, tutte le nostre pizze, le torte salate e tutto quel cibo che amavamo mangiare, e questo secondo me lo sappiamo bene entrambi.
Siamo stati errore, in ogni equazione logica di questa vita, ma come dice Bukowski, sai se mi chiedessero di parlare di Amore, probabilmente farò un altro nome, ma se mi chiedessero di parlare dell’amore della mia vita, io farei ancora il tuo nome.
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Papà era tecnico di laboratorio all' ospedale Sant' Orsola.
43 anni fa era un sabato e lui faceva mattina.
Al pomeriggio doveva venirmi a prendere dai nonni per portarmi alla piscina di Granarolo.
Papà non arrivò puntuale come mi aveva promesso.
Quando scoppio la bomba, tutto il personale medico e paramedico fu mobilitato e mandato alla stazione.
Entrato nell'atrio, la prima cosa che gli capitò fu di scivolare sul sangue sparso in terra e si rese subito conto dell'orrore.
Si rialzò e si mise a scavare con le mani.
Trovò un bambino tedesco che aveva esattamente la mia età, ma non poté tirarlo fuori perché ferito ed incastrato dalla vita in giù sotto una trave.
Gli misero una flebo e papà si sdraiò accanto a lui. Parlava bene tedesco, per cui gli parlò, lo consolò, gli diede da bere. Passò la notte a raccontargli le stesse fiabe che raccontava a me, di Ramesse il coccodrillo del Nilo e del suo furbo amico, il pesciolino Tutankamon.
Venne il giorno e passò anche la mattina, papà era sempre lì nella polvere e nel sangue, accanto a quel cucciolo spaurito e sofferente, che avrei potuto essere io stessa, come lui mi disse piangendo anni dopo.
A mezzogiorno il bimbo fu estratto dalle macerie, aveva le gambe rotte ma si salvò.
Non si salvò la madre, che lo teneva in braccio e gli fece scudo col suo corpo, schiacciato dalla pesante trave.
Papà mi portò in piscina domenica pomeriggio.
Quando mi vide mi abbracciò con tutte le sue forze, poi, sul prato della piscina di Granarolo, quel pomeriggio dormì, aprendo gli occhi solo per sorridermi ogni tanto.
Negli anni a venire, ancora, alcune notti si svegliava, sudato e angosciato, perché la coscienza, nel sonno, continuava a sbattergli davanti i fotogrammi di quell'incubo.
Me lo confessò solo quando fui grande.
Bologna 2 agosto 1980 è anche la storia dei soccorritori, del moto di spontanea solidarietà dei cittadini, che divennero gli angeli di quell' inferno.
Fra loro mio padre, Claudio Tuzi.
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