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La Parola ai Lettori: Istanbul
Opinione di Maria Teresa De Donato
Leggere le prime venti pagine di questo libro è stata una sfida. Avendo letto migliaia di libri ero giunta alla conclusione che il buongiorno si vedesse dal mattino e che, quindi ...
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Farine
Ogni anno, quando ci sono gli sconti Adelphi (tra Fine Gennaio e Fine Febbraio), compro un libro che sta in una ormai ingiallita lista di titoli, alcuni irrecuperabili, altri fuori catalogo e altri non ancora presi per vari motivi (disponibilità, tempo, anche a volte economiche).
Tra questi c'era questo libro
Nella presentazione sinottica di Adelphi, c'è scritto: Il libro che finalmente ci ha fatto capire che cosa vedessero gli antichi nel cielo.
Giorgio De Santillana è stato un fisico italiano, nato a Roma nel 1901, e costretto dalle leggi razziali a fuggire dal nostro Paese nel 1938 verso gli Stati Uniti. Lì insegnò a lungo al MIT di Boston, occupandosi soprattutto di Storia del Pensiero Scientifico.
E quando nel 1969 l'uomo sbarca sulla luna pubblica un saggio, insieme alla etnologa tedesca Hertha von Dechen, dal titolo suggestivo: Il Mulino Di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo.
La tesi di fondo degli autori è affascinante: la mitologia antica non è solo un racconto epico, ma è il modo in cui dei saggi arcani hanno trasmesso le loro idee e conoscenze sul cosmo e sulla misurazione del tempo. Un pensiero come quello antico non poteva che esprimere in termini mitici quelle che sono verità razionali, matematiche: in una parola, scientifiche. Per questo lo fa attraverso animali nei cieli, storie di Giganti, maghi, fiumi, oceani. Per dimostrare ciò, De Santillana e von Dechen si prodigano in un colossale, erudito e sorprendentemente ricco tesoro di miti, storie, brani che vanno dai miti Norreni a quelli Greci e Romani, da quelli babilonesi a quelli Indiani, dalla Cina fino ai miti Polinesiani e delle grandi civiltà sudamericane, alla ricerca di un fattore comune, una "tragedia cosmologica" che gli antichi erano stati capaci di individuare: la lenta ma inesorabile trasformazione del cielo delle stelle fisse causata dalla precessione degli equinozi. Questa capacità secondo gli autori era già presente in "arcaici saggi" circa 5 mila anni fa, e la saggezza del mito simbolico è stata una pratica che si è perpetuata almeno fino a Platone, secondo loro ultimo "discendente" di questi saggi astronomi.
Invito chiunque sia arrivato a leggere fino a qui a vedere i commenti che il libro ha sui siti sia di lettori che di vendita dei libri. Nella quasi totalità dei casi è considerato un libro capolavoro, un geniale saggio che scardina gli studi del settore, un classico di mitologia comparata.
Quello che invece ho sentito io è che, nonostante lo studio francamente gigantesco e ammirevole delle fonti (che farà aumentare la ingiallita lista di almeno una cinquina di raccolte di racconti mitologici) la tesi del libro (che è di 420 pagine, più 120 di Appendice e 100 di bibliografia) non solo non è dimostrata, ma non è affatto dimostrabile. Detto che è dal punto di vista filologico molto discutibile la qualità e la scelta delle traduzioni e gli autori che sono stati usati per rafforzare l'ipotesi di base, ci sono almeno tre punti storico-critici incontrovertibili:
non è mai stato dimostrato che la precessione degli equinozi sia stata scoperta prima di Ipparco, nel 127 A.C., cosa che invece il saggio pone almeno due millenni prima;
la divisione dello zodiaco in dodici segni da trenta gradi ciascuno, altro punto centrale di tutto il discorso astronomico del saggio, è quasi certamente una convenzione che inizia soltanto nel V secolo a.C. a Babilonia, e non ci sono a 60 anni di distanza dalla pubblicazione di questo libro ipotesi che sia stata architettata 3 mila anni prima;
l’ipotesi di un unico Ur-mito di migliaia di anni fa di natura astronomica è essa stessa un mito, nato nell’Ottocento e ormai improponibile in ambito accademico.
Credo sia la prima volta che parlo di un libro che, per quanto mi abbia stuzzicato e in molti punti anche provocato ammirazione, è davvero complicato, in molti punti intellegibile sotto la cascata infinita di citazioni in lingue più o meno morte, e di rimandi che molto spesso è palese fossero prese per i capelli, e niente affatto evidenti le corrispondenze. A tale riprova, va detto che il libro non uscì mai in ambito accademico, che di per sé non è un male, ma che alla fine è diventato il testo "culto" di un certo fanatismo occultista.
Non mi resta che spiegare il titolo. Amleto prima di essere il protagonista indimenticabile della tragedia di William Shakespeare, è stato uno dei miti fondativi delle popolazioni scandinave. Il racconto più bello è quello che fa Saxo Grammaticus nel De Gesta Danorum (XIII secolo), ma probabilmente si rifà a miti molto più antichi: infatti è possibile risalire da Amleth a Amblothæ, Amladhe ed Amlaighe fino alle saghe islandesi di Amlóði il quale, secondo quanto si racconta nel medievale discorso sull’arte scaldica, “fuori dall’orlo terrestre” possedeva un crudele “mulino di scogli”, mosso da nove fanciulle: per questo una delle kenning – le avviluppate metafore della lirica norrena – per significare il mare è Amlóða kvren, il mulino di Amleto.
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" Quando comincio a scrivere c'è sempre un personaggio che si rifiuta di prendere vita. Non che abbia niente di falso nella sua psicologia, però resiste, lo si deve spronare, trovargli le parole: tutta la tecnica che ho acquisito in anni di fatiche va profusa affinché appaia vivo ai miei lettori. Alle volte provo un'acre soddisfazione quando un recensore lo elogia come il personaggio meglio tratteggiato della storia: tratteggiato magari no, di sicuro però trascinato. Ed è un tale peso sulla mia mente ogni volta che riprendo il lavoro, come un pranzo mal digerito che non si toglie dallo stomaco, sottraendomi il piacere della creazione in ciascuna scena dove compare. Non fa mai niente di inaspettato, non mi sorprende mai, e mai che prenda l'iniziativa. Tutti gli altri personaggi sono docili, lui è un intralcio e basta. Di lui, tuttavia, non si può fare a meno.
E arrivo a immaginarmi un Dio che prova la stessa sensazione rispetto a qualcuno di noi. I santi, si può dire che in un certo senso si creino da sé. Prendono vita eccome. Hanno una sorprendente capacità d'azione mediante la parola. Si tengono fuori dalla trama, senza esserne influenzati. Noi, viceversa, dobbiamo essere sbattuti da tutte le parti. Possediamo l'ostinazione dell'inesistenza. Siamo legati mani e piedi alla trama, e Dio ci spinge straccamente a destra e a manca secondo la sua volontà: personaggi privi di poesia, privi di libero arbitrio, la cui unica rilevanza è che, chissà dove e chissà quando, dovremo contribuire ad arredare la scena su cui un personaggio vivente si muove e parla, offrendo magari ai santi l'opportunità di esercitare il loro libero arbitrio. "
Graham Greene, Fine di una storia, traduzione di Alessandro Carrera, Prefazione di Scott Spencer, Postfazione e cura di Domenico Scarpa, Collana La memoria n. 1295, Palermo, Sellerio, 2024¹; pp. 331-332.
[Prima edizione originale: The End of the Affair, London: William Heinemann, 1951]
#Graham Greene#Fine di una storia#Alessandro Carrera#libri#Scott Spencer#letture#leggere#narrativa#romanzi#Domenico Scarpa#citazioni letterarie#Regno Unito#seconda guerra mondiale#Londra#Europa#santità#conversione#amore#amanti#tradimento#lussuria#Chiesa Cattolica#cattolicesimo#cristianesimo#grazia#gelosia#scrittori inglesi#fede#soprannaturale#battesimo
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Come ti sei avvicinato a Tumblr?
Sono tornato su Tumblr tre anni fa, ma è come lo fossi da ieri. Non la utilizzo più come un tempo, ora mi da quasi noia per la banalità e ripetitività che trovo ad ogni frase o pensiero che leggo, non è per essere cattivo poiché sarei stupido a dire ciò sfruttando la possibilità di farmi conoscere da qualcuno dei tuoi lettori ma devo essere sincero e la vedo a questo modo. Ho iniziato precisamente nel marzo 2015 grazie ad una mia compagna di classe che mi ha consigliato di scaricarmi l’app.
Cosa ne pensi della community?
Mi spiace ma è come la vedo da tre anni a questa parte, banale e ripetitiva un susseguirsi di blog che cercano di emulare altri blog non hanno un minimo di personalità è tutto frutto di altre persone. C’è un blog che non ha mai risposto ad una mia domanda fatta con il mio nome quindi non mi sono nascosto ero a aperto a qualsiasi dialogo che, si è costruito un blog con frasi di altri ragazzi che ho conosciuto in quei tempi di cui ti raccontavo scaricai Tumblr per la prima volta. Eppure va alla grande e questo fa capire che oggi i ragazzi si basano sul racimolare seguaci e note a furia di rebloggare, forse te non ne sei a conoscenza ma agli inizi di Tumblr quasi nessuno lo faceva perché lo scopo non era quello di vedere tante note a ciò che si pubblicava ma fare amicizia.
Dove trovi ispirazione quando scrivi?
Ho preso parecchi spunti da mia nonna, diciamo che lei ha sempre scritto lettere e le conserva tuttora perciò mi ha trasmesso questa passione se la vogliamo chiamare così.
Ho anche un blog al di fuori di Tumblr però è fin troppo intimo.
Quale idea ti sei fatto sulla nostra generazione?
Dal 2000 in poi sono stati messi al mondo io non lo so, dei cloni a me fa perfino fastidio scriverlo ma non la vedo diversamente è quasi impossibile sotto ogni ottica, ci sarà qualche caso da escludere va bene ma difficile trovare qualcuno con cui avere una conversazione e ti riesca a formulare una frase di senso compiuto.
Io sono del 95 e ne ho conosciuti di casi simili ma erano talmente rari che non ci facevo nemmeno caso. Concludo dicendoti che spesso la colpa viene data ai genitori e mi viene sempre un po’ da sorridere perché avevo in classe ragazzi con genitori davvero cattivo nel vero senso della parola eppure loro erano tutt’altro perciò bisognerebbe smetterla di puntare il dito su chi mette al mondo figli ma per una buona volta su chi anziché costruirsi un cammino con la propria testa segue quello degli altri perché magari più facile, per poi trovarsi senza nulla in mano.
Perché un altro blogger dovrebbe iniziare a seguirti?
Dopo ciò che ho scritto penso che non mi seguirà neanche il cane diciamocelo però mi ha fatto piacere che mi hai dato questa opportunità di aprirmi dicendo cosa ne penso realmente senza filtri.
@ilcollezionistadifrasi
#AdOgniBlogIlSuoPerchè
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Sui vantaggi di non essere ascoltati
Inattuale è innanzitutto quella parola che si rivolge a un pubblico che in nessun caso potrà riceverla. Ma proprio questo definisce il suo rango. Se un libro che si rivolge solo ai suoi lettori deputati è poco interessante e non sopravvive al pubblico cui era diretto, il prezzo di un’opera si misura invece proprio dalla temerarietà con cui interpella coloro che non potranno accettarla. Profezia è il nome di questa speciale temerarietà, destinata a restare inaudita e illeggibile. Ciò non significa che essa conti di essere un giorno – per ora lontano – riconosciuta: un’opera resta viva solo finché vi sono lettori che non possono accettarla. La canonizzazione, che rende obbligatoria la sua accettazione, è infatti la forma per eccellenza del suo deperimento. Solo in quanto mantiene nel tempo una parte di inattualità l’opera può trovare i suoi autentici lettori, cioè quelli che dovranno scontare l’indifferenza o l’avversione degli altri.
L’arte della scrittura non consiste perciò soltanto, com’è stato suggerito, nel dissimulare o lasciare non dette le verità a cui si tiene maggiormente, quanto innanzitutto nella capacità di selezionare il pubblico che non vorrà riceverle. Va da sé che questa selezione non è il frutto di un calcolo o di un progetto, ma solo di una lingua che non concede nulla all’attualità – cioè alle regole che definiscono ciò che si può dire e il modo in cui dirlo. Che sia limpida e ferma – o, come spesso avviene, oscura e balbettante – profetica è in ogni caso quella parola, la cui efficacia è precisamente funzione del suo restare inascoltata.
Giorgio Agamben
13 ottobre 2023
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«La stupidità è il motore del mondo. I politici, i personaggi dello spettacolo campano tutti, chi più chi meno, sulla stupidità umana.»
Avete mai letto da bambini La fabbrica di Cioccolato? Matilde? Il grande gigante gentile? Sono libri innocenti, starete pensando. Libri innocui. A chi mai verrebbe in mente di censurarli? Ebbene i moralisti di turno ancora una volta non si sono smentiti.
Lo scrittore di libri per bambini Nicola Pesce lo ha denunciato ieri sulla sua pagina Facebook: «In pratica tolgono le parole «grasso», «pazzo», «nano»... e persino espressioni come «donna delle pulizie» diventeranno «persona addetta alle pulizie. La società che detiene i diritti delle sue opere e l'editore inglese a trent'anni dalla morte dell'autore hanno ben pensato di fare questa cosa orribile.»
Il politicamente corretto ormai è diventato una religione. Dapprima hanno pensato di riscrivere i classici, poi hanno censurato Shakespeare, Shakespeare! Perché? Perché parla di passioni violente e faide familiari, ed è stato abbastanza per per giudicarlo «diseducativo». Accostarsi alla letteratura in questo modo significa ucciderla. E oggi nel mirino di questa penosa censura sono caduti anche i libri per l’infanzia.
Qualcuno, obietterà: ma cosa importa se facciamo a meno di questa o di quella parola? È così importante, in fondo? E perché allora non eliminare la parola tristezza, perché non fare a meno della parola dolore, della parola odio? Perché sì, se si continua su questa strada, arriverà il giorno in cui non si potrà esprimere più nessun pensiero, nessuna emozione, nessuno stato d’animo che il Potere abbia giudicato socialmente inaccettabile. Edulcorare il linguaggio, riscrivere la storia significa «entrare», come diceva Goethe, «in quel luogo della mente in cui il sonno della ragione genera mostri.»
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X Ai miei lettori, è da poco uscita la nuova ristampa del mio romanzo Clodio, se vi piacciono la storia e la filosofia, potete leggerne un estratto gratuito a questo link: https://www.amazon.it/Clodio-G-Middei/dp/8832055848
#istruzione #cultura #filosofia #scuola
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ANATOMIA DI UNA CADUTA
Preambolo: non amo particolarmente il cinema di parola, piuttosto preferisco il teatro dove la parola riveste un altro ruolo, oppure la letteratura dove la parola, con la sua infinita combinatoria, risulta essere l'essenza stessa della sostanza artistica. Il cinema racconta eminentemente per immagini e, ove queste siano sacrificate massicciamente a favore dei dialoghi sembra, a mio parere, tradire la sua stessa essenza. Ma naturalmente, ogni regola ha la sua eccezione: è il caso, per esempio del cinema di Rohmer o di Resnais, ma anche di tanti altri registi francesi e non solo. Forse non è un caso che Justine Triet, regista di "Anatomia di una caduta", in questi giorni nelle sale, sia una giovane regista e sceneggiatrice francese (è nata nel 1978), con alle spalle una discreta carriera tutta centrata su un cinema di forte impegno sociale. "Anatomia di una caduta" ha vinto la Palma d'Oro al Festival di Cannes lo scorso anno e così, con non eccessiva convinzione, ho pensato valesse la pena vederlo. La vicenda è quella della scrittrice tedesca Sandra Voyter che dopo un'intervista concessa ad una giovane giornalista, viene coinvolta nella straziante morte del compagno, anche lui scrittore, Samuel Maleski caduto o gettato da una mansarda, nella loro casa di montagna, sulla neve ghiacciata. Nella casa, insieme a Sandra e a Samuel, vivono il piccolo Daniel, figlio della coppia, bambino ipovedente a seguito di un incidente, e il loro cane. Sospettata di essere la potenziale omicida, il film si svolge tutto attorno alla figura di Sandra e procede come un tipico "courtrooom drama" con tutte le limitazioni del caso (scenografia inesistente, riprese in interni piuttosto monotone, ecc.). Tuttavia senza anticipare nulla ai miei lettori, circa il finale del film, il meccanismo dello svolgersi degli avvenimenti è oliato alla perfezione: i dialoghi sono serrati e incalzanti, i tratti psicologici dei personaggi sono di assoluto realismo, le implicazioni psicologiche del dramma sono fondate e plausibili e poi ancora il ritmo narrativo del film è calibratissimo, le riprese volutamente claustrofobiche non concedono nulla allo spettacolo, la recitazione degli attori, specie quella di Sandra Hüller (Sandra Voyter) e di Milo Machado Graner (il piccolo Daniel), è semplicemente superlativa e bravissimo anche il di lei avvocato Vincent Renzi, con quella espressione tipica da parigino bene, interpretato da Swann Arlaud. Insomma, forse un film più da “ascoltare “che da “vedere”, ma che riesce a far scorrere velocemente le due ore e mezza di proiezione.
![Tumblr media](https://64.media.tumblr.com/935964a64f295991afea3cf335b6cf57/ef7945ea1e644b07-3d/s400x600/a69820b7e060570a282dc2e087df97d32f3ef336.jpg)
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Quando, tra il settembre e l’ottobre del 1935, si dedicò alla stesura de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin non sapeva ancora che la pubblicazione di quello che unanimemente è considerato il suo lavoro più influente sarebbe stato rimaneggiato dalla redazione della rivista Zeitschrift für Sozialforschung tanto da farlo incazzare come una iena e spingerlo all’ennesima riscrittura di un testo che avrebbe visto la luce solo postumo nel 1955.
Nel tredicesimo capitolo della prima stesura dattiloscritta dell’opera, Benjamin gettò lì una frase che pur fotografando una situazione fattuale anticipava nelle sue implicazioni di qualche decennio Andy Warhol: «Ogni uomo contemporaneo avanza la pretesa di essere filmato». Nella sua lapidarietà, questa frase rivela un mondo. Non soltanto ci parla di una nascente società di massa che si interfaccia con lo shock del cinematografo, ma ci fa comprendere come, pur cambiando a distanza di quasi un centinaio d’anni la natura dei media, l’approccio dell’ uomo “contemporaneo” non sia cambiato, anzi.
Ma quanto colpisce del testo di Benjamin è la requisitoria che segue, una critica sociale verso la tendenza autoriale dei lettori, che abbandonavano il ruolo passivo di fruitori per diventare essi stessi scrittori. Nulla da eccepire: ci troviamo agli albori di una democratizzazione della scrittura, che in linea di massima non sarebbe in contrasto con gli ideali di Benjamin, ma che in realtà fece scattare in lui un allarme. Il sospetto era che dietro la scomparsa della distinzione tra autore e pubblico vi fosse all’opera una logica capitalista: era il lavoro stesso a prendere la parola.
Nel suo secondo pantagruelico romanzo Il pendolo di Foucault, Umberto Eco ambientò parte delle vicende nella redazione della casa editrice Garamond, dove Casaubon, Jacopo Belbo e Diotallevi vengono introdotti proprio dall’editore ai perversi meccanismi delle Edizioni Manuzio. Quest’ultima è un APS (acronimo di Autori a proprie spese): cioè una classica vanity press, con gli stessi autori che, nell’illusione di entrare a far parte del fantastico mondo dell’editoria, finanziano la stampa del proprio libro.
Il malcapitato di turno (nello specifico Eco decide per un pensionato con il vizio della poesia, tal commendator de Gubernatis) farà i salti mortali per firmare un contratto vessatorio celato dietro un lancio editoriale “satrapico”: delle diecimila copie promesse ne saranno stampate solo 1.000, di cui solo 350 rilegate. Per finire in bellezza, 200 di queste saranno cedute all’autore, le altre distribuite a biblioteche locali, redazioni e riviste pronte a cestinare il plico, nonostante le dieci cartelle di presentazione entusiasta. Un meccanismo spiegato con sottile ironia dal filosofo piemontese, ma che sostanzialmente illustra un mercato dell’editoria parallelo e, che in alcuni casi, si sovrappone a quello ufficiale.
Il mercato editoriale post-pandemico ha conosciuto un’evidente e positiva crescita, che ha visto come settore trainante quello dei fumetti, unico segmento che nell’ultimo decennio è stato in costante e continua crescita. Eppure, questo scenario idilliaco è stato scosso da un dato allarmante. Secondo uno studio realizzato da CAT Confesercenti Emilia-Romagna in collaborazione con SIL, Sindacato Italiano Librai Confesercenti, e con il supporto scientifico di Nomisma, i dati non sono così incoraggianti.
Il 30% dei libri pubblicati – spesso tra autopubblicazioni, editori improvvisati e vanity press – non vende neanche una copia, e 35.000 titoli su quelli pubblicati nel corso del 2022 hanno venduto meno di dieci copie. Quando ho letto la notizia ho subito pensato alle pagine del romanzo di Eco, e sostanzialmente la situazione nell’arco di quasi trent’anni è peggiorata: il bacino dei lettori si è notevolmente ristretto a scapito invece di quello degli autori. Certo, è indubbio che il quadro è più complesso: a una scarsa selezione a monte – con un lavoro quasi nullo di scouting e editing – si aggiunge una promozione assente o basata sull’improvvisazione e sulla buona volontà dell’autore.
Al computo dei libri che nessuno compra vanno sicuramente annoverati una serie di titoli “scientifici” o accademici spesso pubblicati grazie a sovvenzioni pubbliche o fondi personali utili a creare un rating spendibile e che praticamente hanno una vita editoriale praticamente nulla. Ma quest’ultimo è un discorso un po’ ostico.
Senza dubbio, di libri inutili ne vengono pubblicati a migliaia ogni anno, alimentando un mercato dopato e falsamente democratico. La falsa speranza che la possibilità che a tutti venga data voce e dignità di stampa nasconde, come sottolineato da Walter Benjamin, una strategia del capitale che in maniera bulimica si sostenta della vanità autoriale di lettori avidi di gloria editoriale.
Se i dati possono essere riportati anche sul segmento che riguarda il fumetto dobbiamo inferire che molti dei titoli pubblicati spesso da editori minori e con scarsa capacità di proiezione sul mercato non vengono acquistati e letti. Questo dato non può non essere sovrapposto alla scarsa qualità dei contratti proposti agli esordienti. Sull’onda della campagna #ComicsBrokeMe, anche i fumettisti italiani hanno evidenziato situazioni di sfruttamento e scarsa tutela del diritto d’autore. Spesso contratti vessatori e capestri diventano la norma,soprattutto nel caso di esordienti e wannabe interessati a entrare a far parte di questo settore.
L’associazione MeFu ha sottolineato il problema, evidenziando soprattutto le ricadute sul diritto d’autore e sulle royalties. Fermo restando che sono pochi gli autori in grado di vendere tante copie da generare compensi derivanti da royalty in un mercato curvato sui soliti nomi. Che, pur generando interesse e facendo da traino per l’intero segmento, monopolizzano un settore con poche reali possibilità di successo per giovani autori che meriterebbero più attenzioni anche e soprattutto da parte dei loro editori.
Ora, a latere sarebbe opportuno forse avere il coraggio di demistificare l’importanza del libro cartaceo: nonostante alcuni lavori non possano fare a meno della capacità del supporto cartaceo – vuoi per soluzioni cartotecniche particolari, vuoi per un formato di lettura che ha nel libro la sua struttura cardine – ci sono decine di migliaia di titoli, tra cui sicuramente anche fumetti, che non meritano la dignità di stampa e che potrebbero forse vivere una vita più agevole nella loro dematerializzazione, sfruttando le opportunità democratiche e anarchiche del web.
Forse è arrivato il momento di invertire la rotta e sovvertire l’idea che la dignità di stampa renda un’opera degna di essere letta. Il feticismo del libro come simulacro del proprio pensiero è una narrazione un po’ obsoleta e deleteria: ognuno avanza la pretesa di essere pubblicato in un mercato in cui la maggior parte dei libri finisce al macero o a prendere polvere sugli scaffali. Il libro nell’epoca dei social è un oggetto anacronistico, un vezzo avvolto da un romanticismo affettato e imbolsito.
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🔴⚫ Milan a 4 stelle: tifosi entusiasti per il nuovo attacco! 🎉 Pulisic, Leao, Joao Felix e Gimenez pronti a brillare. Conceiçao deve trovare l'equilibrio perfetto per farli coesistere. Coesistenza è la chiave! 🔑 Che ne pensate? 🤔 #ForzaMilan #FabFour #fantacalcio #cfp #cassinafantapro
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Rouge di Mona Awad: che meraviglia (spoiler!)
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Occhio, ci sono leggeri spoiler.
Su Goodreads gli ho dato 5 stelline. 5 stelline date non con convinzione, di più. Non fatevi "ingannare" dai pitch commercialotti di quattro righe che dipingono questo libro solo come una critica alla cultura della bellezza irraggiungibile e sempre perfetta dei giorni nostri. Tirando in ballo anche temi randomici, come gli influencer, la make-up mania e la chirurgia plastica, giusto per fare sensazionalismo e solleticare la pancia dei potenziali lettori. Rouge è anche quello, a suo modo, ma è tanto, tantissimo altro.
Rouge parla di elaborazione del lutto. Parla di un rapporto crudo, complicato, vivo e vero tra madre e figlia. O meglio, Madre e Figlia. Parla di scoperta di sé, di ciò che ci rende davvero unici e irripetibili nelle nostre imperfezioni e nei nostri segreti oscuri. Parla della risoluzione di un trauma generazionale.
E il contesto in cui lo fa è il territorio di "caccia" prediletto di Awad: il gotico contemporaneo. Il grottesco. L'horror sussurrato. Il weird quasi onirico. Adoro come una storia tremendamente vera e vivida - l'elaborazione di un lutto, appunto - sia qui inserita in una trama pazzescamente occulta, al limite dell'esoterico e del demoniaco. I simbolismi qui si sprecano: la beauty routine dettagliatissima, sovrabbondante, ritualistica e quasi sacra a cui Belle si sottopone quotidianamente, che ha il sapore delle imbalsamazioni-mummificazioni che venivano fatte ai cadaveri nell'antico Egitto, per accompagnare le anime dal regno dei vivi a quello dei morti; Seth - Tom, i continui riferimenti a Tom Cruise mi hanno piegata in due -, questo demone attraversatore di specchi e realtà molto assimilabile al Seth egizio, Dio della violenza, del caos, delle tempeste e del disordine; il costante riferimento al mare, all'oceano, anche tramite la scelta di usare delle meduse come animali "guida" all'interno del libro, che ci rimanda a una dimensione più primordiale, misteriosa, avvolgente, pericolosa e mortale; bella anche la scelta della medusa, uno degli organismi più semplici sulla faccia della terra, che qui diventa però vascello di paure, desideri e sogni decisamente più profondi e complessi.
Quasi come se fossero delle grosse sacche cellulari da riempire di bellezza, disperazione, ricerca, amore, invidia, terrore, ambizione, in attesa che crescano e che tornino a chiederci il conto. O ci aiutino a uscire dalla nostra stessa oscurità. So bene che la parola in inglese per quello specifico animale - jellyfish - non si associa in modo diretto alla Medusa della mitologia, ma credo che non sia comunque casuale come scelta. Medusa - Μέδουσα - significa protettrice, guardiana, custode.
E Madre è proprio in forma di medusa, appunto, che appare per l'ultima volta a Belle, salvandola e liberandola dalla tossicità dei segreti che appesantivano il loro amore.
Lo stile di Awad è sempre, a mio avviso, azzeccatissimo. Diretto ma evocativo, pragmatico ma sognante, trasparente ma sibillino. Pazzesco il cambio di registro che avviene dalla seconda metà del libro circa in avanti: difficile da gestire e da esplorare fino in fondo, senza filtri, ma Awad ce la fa.
Bello. Bello, bello, bello. Ah, mi ha anche fatto scendere pesanti lacrimoni per tutte le ultime 20-30 pagine circa, il che non succede spesso. Super promosso.
#rouge#mona awad#horror#grotesque#grottesco#gothic#gotico#dark#beauty#belle#mirabelle#books#book#leggere#libro
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Nota a "La segreta isola di sale" di Emma Pretti
Quella di Emma Pretti è una poesia che racconta (“Nessun particolare inutile, solo narrazione, / potente e tormentosa”), che ha bisogno di riesaminare e tradurre le vicende passate e presenti al fuoco di una parola immaginifica in grado di ripresentare all’autrice e ai suoi lettori, sotto una nuova luce, “tutte le impressioni che ho avuto in questa vita”, per dirla alla Battiato. Nella raccolta…
![Tumblr media](https://64.media.tumblr.com/6bf4e80477a83eaa2e6ab26b5c3bcc67/7db4ee67630f1005-66/s540x810/b7e8547a850c70cef8580861f5b615749ec6bdef.jpg)
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#critica#edizioni#lettore#lettura#nota#poesia#poeta#poetica#poetry#pubblicazione#raccolta#recensione#web poetry
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Dunque, le telefonate che avrebbero cambiato l’aria attorno alla guerra russa all’Ucraina, quella di Trump a Putin, vantata dall’entourage di Trump e recisamente negata da quello di Putin, poi quella indiscutibile e prolissa di Scholz a Putin – che dalla corte del Cremlino è stata puntigliosamente dettagliata, chiamo io o chiami tu: “E’ stato Scholz a chiamare” – avevano ambedue il proposito dichiarato di indurre Putin a rinunciare all’estensione degli attacchi. Trump l’avrebbe fatto addirittura ricordandogli, un piccolo avvertimento, la presenza di forze e armamenti americani in Europa. La replica russa è stata un’intensificazione da record dei bombardamenti sulle città ucraine, fino al ritorno alle cifre a due zeri dei morti ammazzati, ieri, nella notte a Sumy e in pieno giorno a Odessa, dove i feriti sono stati decine. Intanto gli ufficiali di Biden avevano fatto sapere che il divieto all’impiego dei missili americani di media gittata in territorio russo sarebbe stato revocato. Mosca ha commentato che si trattava di uno sviluppo molto grave e dalle gravi conseguenze. A Putin piace poter bombardare l’Ucraina da capo a fondo, occuparne il territorio, rapirne i bambini (Nello Scavo, “Il salvatore di bambini. Una storia ucraina”, Feltrinelli), arruolare undicimila soldati nordcoreani e prenotarne dieci volte tanti, senza sollevare alcuna obiezione nel fronte supposto nemico. E scandalizzarsi dell’obiezione, prima ancora di lasciarla diventare ufficiale. Che la situazione sia insieme straordinaria e grottesca, lo mostra anche la coincidenza tra le reazioni di qualche esponente di partito di Putin – “è un passo verso la terza guerra mondiale” – e di Donald Trump, sia pure junior: “Biden vuole scatenare la terza guerra mondiale prima che arrivi papà”.
Mi auguro calorosamente che Zelensky e i suoi collaboratori evitino di partecipare della grottesca tragicità adeguando i loro aggettivi ai passi di danza delle decisioni militari e diplomatiche sul ciglio della scadenza di un’epoca: dal piano della vittoria al piano di resilienza al ritorno al piano della vittoria e così via. C’è un terremoto in corso. Nessuna parola può prendersi per l’ultima.
Ieri, mentre censivo le angosciose notizie dall’Ucraina, i morti, i feriti, le distruzioni, le regioni al buio e al freddo, la visita coraggiosa di Zelensky a Pokrovs’k e la baldanzosa rivendicazione russa di nuovi chilometri raccattati nel Donetsk, mi ha colpito un dettaglio giornalistico dal Kyiv Independent. Il quale ha anche lui una rubrica quotidiana sulle “Notizie più popolari”. In testa, questa: “La tv di stato russa, mentre si congratula con il marito per la vittoria alle elezioni, trasmette foto esplicite di Melania Trump”. Il canale statale Russia 1, il più visto, dando notizia in prima serata della vittoria di Trump, aveva rimandato le immagini della modella Melania nel 2000. I conduttori-propagandisti, Olga Skabeeva e Yevgeny Popov, si erano soffermati ammiccando sulla ���modella che indossava solo la biancheria intima, sdraiata su un tappeto blu con lo stemma degli Stati Uniti, come se i redattori della rivista maschile, GQ, sapessero qualcosa in anticipo sul suo futuro”.
Non è difficile spiegarsi il successo del ripescaggio (continua intanto la cascata di notizie sulla scoperta dei porno da parte dei soldati nordcoreani finalmente iniziati alle meraviglie della rete). Melania disabbigliata attira gli sguardi equanimi, ma al di là dell’attenzione piccante, c’è un doppio interrogativo. Perché da parte russa, in una sede così ufficiale e controllata, si siano riesumate quelle immagini della prossima “First Lady per la seconda volta”, sorridendone e dandosi di gomito. E se da parte ucraina, almeno dei lettori del quotidiano di Kyiv in lingua inglese, ci si chieda se l’accordo annunciato fra Trump e Putin possa essere incrinato dall’eccesso di zelo bombarolo dello zar, o dalle punture di spillo dei suoi cortigiani alla signora.
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Al FLA Festival di Libri e Altrecose 2024, con Daniela Quieti
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L’Edizione del FLA Festival di Libri e Altrecose 2024 tenutosi come sempre a Pescara dal 7 al 10 novembre 2024, ha riscosso anche questa volta, un grande successo di pubblico. Quest’anno la rosa degli eventi proposta è stata particolarmente ricca, per un totale di quasi 200 appuntamenti: tra letteratura, giornalismo, talk, reading, teatro, fumetto, danza, musica e... altrecose!Noi di Vortici.it abbiamo scelto di seguire per voi la presentazione dell’ultima fatica letteraria di Daniela Quieti(autrice già nota ai lettori di Vortici) dal titolo meraviglioso: FORSE L’ETERNITA’- Poesie (IBISKOS ULIVIERI), tenutasi lo scorso 8 Novembre c/o Sala Unione – Nuovo Spazio Fla.L’incontro è stato moderato da Vittorina Castellano:L’autrice Daniela Quieti, che ringrazio, mi ha poi concesso questa splendida intervista: 1. Forse l’Eternità. Perché hai scelto questo titolo? Qual è il tuo rapporto con essa? Ringrazio di cuore Annapaola Di Ienno, Direttrice Responsabile della rivista Vortici, per questa significativa intervista. Ho scelto il titolo “Forse l'eternità” per la mia silloge di poesie riprendendo il verso finale del componimento che chiude la raccolta. In questo nostro tempo attraversato da tante tragedie e incognite, nel quale la serenità del vivere sembra allontanarsi sempre di più, riavvicinarsi al mistero della trascendenza e dell’infinito mitiga i dolori dell’esistenza, riconcilia con la propria interiorità e con il mondo donando all’anima quell’anelito di eternità che manca al nostro essere temporaneo. 2. Come ti sei avvicinata alla poesia? Dalla giovane età sono stata esortata dalla famiglia e dagli insegnanti alla lettura, alla scrittura e al dialogo. I miei mi donavano libri nelle varie ricorrenze e mi piaceva sfogliarli ed elaborare le mie impressioni. Scrissi i miei primi versi su un piccolo quaderno di altri tempi con la copertina nera e i profili rossi, che custodivo in un cassetto come un tesoro. Con il trascorrere degli anni compresi quanto fosse gratificante riuscire a condividere con i lettori sensazioni ed emozioni attraverso il valore simbolico, fonico e suggestivo della parola scritta. 3. Che cosa ha ispirato questa silloge?Questa silloge di poesie è stata ispirata da riflessioni e interrogativi sullo smarrimento, la transitorietà, le contraddizioni e i timori che modellano il vivere del nostro tempo, custode del mutevole avvicendarsi delle stagioni e dei loro accadimenti voluti o imposti. L’impatto con una realtà incerta, caratterizzata da eventi distruttivi e disorientanti come le guerre, le pandemie, le migrazioni, l’intelligenza artificiale e i cambiamenti climatici, è tale da frantumare le sicurezze che si credevano raggiunte e pone nuovi dilemmi sulla ricerca di senso dell’esistere, chiamando a proiettarsi da una storia individuale in quella collettiva. Nel desiderio di riappropriarsi dell’armonia del creato e della sua interconnessione tra terra e cielo, illuminazioni universali di speranza e amore espandono la consapevolezza sia del dolore sia dell’attesa di una rinascita. 4. Arte e poesia, per te sono due facce della stessa medaglia? Credo che la Poesia sia una delle espressioni artistiche più significative perché evoca l’immaginazione, i sentimenti, lo stupore della natura circostante, esprimendo la consapevolezza di un’esperienza emotiva attraverso un linguaggio strutturato in relazione al suo significato, all’armonia e al ritmo, un “linguaggio universale d’arte e poesia, un diverso tempo per tracciare il giusto posto…” 5. Quale messaggio vorresti lasciare al lettore che leggerà questa tua ultima fatica? Nei miei anni d’insegnamento e nella mia attività giornalistica e sociale sono stata vicino alle coscienze e alle aspirazioni dei giovani e dei meno giovani. Questa nostra società, tanto in crisi quanto a valori, ha bisogno dell’onestà intellettuale e della migliore creatività per realizzare un futuro migliore. Esorto quindi soprattutto i giovani a essere partecipativi e ad avviarsi verso la formazione personale senza la fretta di un fragile successo ma con un solido rigore e con la conoscenza del passato, per capire meglio il presente in un accostamento fertile con i nuovi modelli culturali. Daniela Quieti: laureata in Lingue e Letterature Straniere, già docente di Lingua e Letteratura inglese, è giornalista, presidente dell’Associazione Logos Cultura, direttore editoriale dell’omonimo periodico e della Pegasus Edition. Cura rubriche di cultura e tradizioni per Radio Speranza e alcune testate. Ha conseguito diplomi di specializzazione linguistica e per l’attività di volontariato socio-sanitario. Ha pubblicato diversi libri di poesia, narrativa e saggistica. Partecipa attivamente a rassegne letterarie. Per le sue opere, anche tradotte in altre lingue, e per l’attività culturale ha ricevuto numerosi premi nazionali e internazionali. Read the full article
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Perché gli influencer piacciono tanto! Perché ci sollevano dalla fatica di pensare con la nostra testa, di fare delle scelte. L'influencer, lo dice la parola stessa, «influenza» i suoi follower! E qui voglio aprire un'altra riflessione: vi siate mai chiesti cosa significa davvero la parola «follower» in italiano? Seguace. Sì, proprio come i seguaci di una setta. Gli scrittori e i giornalisti hanno dei lettori, i cantanti hanno degli ascoltatori, i capi setta e i promotori di un culto hanno dei seguaci. Ed è proprio questo il punto: la nostra è la società degli influencer, una società in cui influenzare è diventato più importante di «far ragionare», dove una foto ha più potere di un pensiero costruttivo e un like conta più di un ragionamento. Abbiamo dei guru ma non pensatori, opinionisti (coloro cioè che muovono letteralmente le opinioni altrui) ma non giornalisti, celebrità ma non scrittori, siamo una società di fan e di seguaci, di gente che desidera cose inutili, perché la televisione o un tizio famoso ha detto loro che sono desiderabili. Ma a forza di fare da cassa di risonanza per i pensieri e le parole pensate da altri cervelli, diventiamo noi stessi cervelli presi in prestito. Superflui. Non necessari. Ecco cosa vorrei dire ai giovani, siate ciò che volete, ma non siate mai i seguaci e i follower di nessuno! ( estratto da Guendalina Midei )
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Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare.
Tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c'è pensiero senza parole.
Ad esempio eliminare la parola "signorina" (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all'estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l'idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie. E come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? «Coloro che affermano la necessità di semplificare l'ortografia, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità,» sostiene il linguista Cristhopher Clave, «sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana. Aveva ragione!
È a ricchezza semantica che ci permette di esprimere con precisione le nostre emozioni, le sensazioni, i pensieri. Quando i vocaboli si riducono, scompaiono anche i concetti astratti equivalenti. Il risultato? Un impoverimento emotivo e concettuale oltre che linguistico. E che dire degli anglicismi?
«A trentaquattro anno ho scelto il “social egg freezing» leggo con orrore su Repubblica. «Un sacchetto di patatine a 1800 dollari, la nuova “trollata” di Demna» recita l’articolo seguente e la mia perplessità aumenta. Eppure l’Italia è la terra che diede i natali a Leonardo da Vinci, a Michelangelo, a Galileo, a Leopardi. Dovremmo essere fieri della nostra storia. Della nostra lingua. Thomas Mann così scrisse: «Non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlino italiano». Cari giornalisti, fate un favore a noi lettori: Thomas Mann definì l’italiano la lingua degli angeli, usatela!
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X Ai miei lettori, è da poco uscita la nuova ristampa del mio romanzo Clodio, se vi piacciono la storia e la filosofia, potete leggerne un estratto gratuito a questo link: https://www.amazon.it/Clodio-G-Middei/dp/8832055848
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