#la fisica che ci piace
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Ci vuole un fisico bestiale. Vi racconto i fisici più pop della storia | Vincenzo Schettini
Quante cose hanno in comune gli scienziati più geniali della storia con il mondo presente? Moltissime. A partire dal fatto che, in modi diversi, sono stati tutti dei veri e propri influencer: hanno condizionato il pensiero della loro epoca (come ci insegna Leonardo Da Vinci), avevano follower (Stephen Hawking più di tutti) e hater (Marie Curie ve ne racconterebbe delle belle). E poi anche i…
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Avete mai sentito la parola resilienza?
Vi siete mai chiesti perché in televisione, alla radio, perfino sui giornali c’è la moda dilagante di usare questa parola?
Tutti la usano. I politici la adorano. Addirittura l’hanno messa nel nome del piano di ripresa nazionale.
Ma sapevate da cosa deriva la parola resilienza? Cosa significa?
Resilienza è una parola presa in prestito dal mondo della fisica.
Ha resilienza un «materiale capace di assorbire continui urti senza rompersi. Restando intatto, inerte».
La plastica è resiliente.
La gomma è resiliente, non importa quanto la colpisci, resta sempre uguale. Il vinile è resiliente, sì quello che viene usato per le pavimentazioni.
Ecco come ci considerando in poche parole. In un mondo in cui le persone sono definite «risorse», «contribuenti», «consumatori», in cui le vittime prendono il nome di «perdite e costi umani», come nei bilanci aziendali, gli esseri umani devono essere resilienti appunto.
E fateci caso: flessibilità, adattabilità, resilienza, tutti aggettivi che vanno di moda nel mondo del lavoro, sono tutti presi in prestito dallo stesso mondo: quello delle pavimentazioni.
L’ho già detto ma lo ripeto: le parole non sono mai soltanto parole ma sono orizzonti.
Le parole che usi creano e definiscono il tuo mondo.
E allora lo dico, e lo dico a gran voce: al diavolo la resilienza. Al diavolo il «rider felice di percorre cinquanta chilometri in bicicletta per consegnare un panino». Al diavolo l’uomo macchina che più lo insulti, lo maltratti e lo metti sotto pressione, più si lascia scivolare tutto addosso.
Quando la vita picchia duro non rispondo con un sorriso ebete. Accuso il colpo. Ogni urto mi lascia una cicatrice addosso.
Ecco cosa vorrei dirvi: non lasciate che nessuno vi consideri come una cosa e non come una persona!
«Siamo persone, non tasti di pianoforte. Nessuno può schiacciarci per suonare la musica che piace a loro».
E ogni volta che sentite qualcuno parlare di resilienza, mandatelo gentilmente a quel paese perché quasi sicuramente sta facendo una cosa, e una cosa soltanto: vi sta trattando come un elettrodomestico e non come una persona!
- Guendalina Middei
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La questione linguistica nell'inconscio
A me piace pensare che il bambino impari a parlare nel rapporto simbiotico con la madre (Winnicott) – o caregiver – semplicemente per imitazione. E cioè il bambino sente che il mondo intorno a lui produce dei suoni ed inizialmente tenta semplicemente di riprodurli. Il bambino imparara attraverso l'imitazione. Probabilmente ha anche ragione Freud quando dice che quello di parlare è un tentativo di dominare l'angoscia della scarica fisica ma credo che ciò avviene solo perché il bambino man mano impara a capire che esistono innanzitutto dei suoni che lo incuriosiscono e tenta di riprodurli, successivamente capisce che quei suoni servono come strumento di comunicazione e cioè per far capire e far fare all'altro delle cose (le sue cose), che quei suoni servono per spiegarsi le immagini che vede all'esterno e all'interno e che servono dunque per pensarsi e pensare. L'Io deve essere già formato per far parlare il bambino (Klein, se non erro)? Mah, sì e no. Nel senso che il bambino impara a riconoscersi un Io e quindi ad approfondire la sua vita inconscia quando scopre che esistono dei nomi e successivamente delle spiegazioni ai suoi moti interiori sia fisici che mentali. Insomma senza il filtro del linguaggio non ci sarebbe il dentro-fuori per il bambino ma sarebbe tutto sullo stesso piano, così come è all'inizio: non a caso il bambino impara prima a riconoscere lo stimolo della cacca ma non lo nasconde va dalla mamma tutto contento a dire che deve fare la cacca. Tutto rimane sullo stesso piano, solo dopo, sempre attraverso il filtro del linguaggio e cioè proprio l'elemento che lo liberava dal buio della non-spiegazione, lo lega allo schema del morale-immorale sconveniente-adeguato.
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Arrivai per primo, parcheggiai la bici e andai a prendermi una bibita. Avevo il mio fucile sottobraccio. Avevo dodici anni e nessuno faceva caso a un ragazzino con un fucile sottobraccio che si beve un'aranciata davanti a una stazione di servizio. Inutile dire che l'America è cambiata da quei giorni del 1948. Se oggi vi capitasse di vedere un dodicenne con un fucile sottobraccio di fronte a una stazione di servizio, probabilmente chiamereste la Guardia Nazionale e fareste bene. Attorno al ragazzino trovereste un mucchio di cadaveri. "Perché ha sparato a tutta questa gente?" sarebbe una delle prime domande che gli farebbero dopo averlo disarmato. "Perché non mi piace fare ginnastica" sarebbe la risposta. "Vuoi dire che hai ucciso tutta questa gente perché non vuoi fare educazione fisica?" "Non proprio." "Che vuol dire, non proprio? Cos'è che vuol dire allora? Qui ci sono dodici persone morte." "Da McDonald's non mi mettono abbastanza salsa speciale nel Big Mac." "Vuoi dire che hai ucciso dodici persone perché non ti piace fare ginnastica e da McDonald's non ti hanno messo abbastanza salsa speciale nell'hamburger?" A quel punto, per la prima volta dopo il suo interludio da carnefice, lo vedreste assumere un'espressione leggermente stupita e lo sentireste dire: "Cos'è, non basta? Ti farebbe piacere se succedesse a te? Perché non provi a metterti nei miei panni?". Questo direbbe il ragazzino salendo sulla macchina della polizia, destinato con tutta probabilità a uscire sulla parola otto anni e sette mesi dopo. Lo lascerebbero libero al compimento dei ventun anni, con la faccia da bambino e un buco del culo largo dieci centimetri. Richard Brautigan - American Dust
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LUI
Stavo pensando a una cosa. Prima del femminicidio di Giulia Cecchettin abbiamo seguito sui giornali il caso di Giulia Tramontano.
Ho fatto uno sforzo per richiamare alla mente quella vicenda. Ho scritto qui il nome della donna uccisa, ma devo confessare che non lo ricordavo. Mi è servita una ricerca su Google per farlo riemergere dalla nebbia. Eppure è passato poco tempo. Eppure per qualche giorno quel nome era rimasto impresso nella mia mente. Ma l'avevo dimenticato.
Invece ricordavo perfettamente il nome di lui. Ma perché la memoria mi ha fatto questo scherzo?
Forse perché dopo il delitto si parla della vittima all'inizio, ma poi il vero protagonista diventa lui. C'è un racconto mediatico a più voci che sommerge ogni cosa e mette lui al centro dell'inquadratura: cos'ha fatto, cos'ha detto, come si comporta, le sue giustificazioni, le sue ricerche su Google, la sua vita, le sue azioni, la sua freddezza, le strategia difensiva, le dichiarazioni dell'accusa, l'intervista al vicino, il collega di lavoro che non ha notato niente di particolare, la ricerca di qualcosa di strano nella sua vita (perché qualcosa di strano deve pur esserci), la nostra rabbia nei suoi confronti, la gente che chiede la pena di morte, le lettere che lui riceve, i giornalisti che intervistano sua madre, la madre che lo perdona, la madre che non lo perdona.
Lui riempie lo schermo e oscura tutto. Non c'è spazio per la vittima e neppure per analisi sociologiche. E ho la sensazione che nell'interesse per lui ci sia il desiderio di guardarlo in faccia per cercare quell'anomalia psichica (o addirittura fisica, sulla scia di Lombroso) capace di farlo apparire come una creatura completamente diversa dalle altre. Ci piace l'idea di un difetto di fabbrica a cui si può porre rimedio eliminando il prodotto difettoso.
Per una curiosa coincidenza (che coincidenza forse non è), in molte affermazioni che respingono riflessioni sul patriarcato troviamo proprio questo concetto, chiaro e tondo, espresso alla luce del sole. Ci dicono che non bisogna parlare di questioni sociali e mentalità da combattere, perché non è quello il problema: il problema è lui, solo lui.
Ci dicono: non parliamo della condizione femminile, parliamo di lui.
Ci dicono: non diamo spazio alle dichiarazioni di Elena Cecchettin, parliamo di lui.
Voltare pagina è una preoccupazione diffusa. Si cerca di preparare il terreno per dimenticare tutto e parlare d'altro, prima che a qualcuno venga la tentazione di guardare oltre la finestra (o addirittura dentro di sé) e notare cose che non vanno per il verso giusto.
Dicono che non c'è nessun problema, a parte lui. Ma ora lui è in gabbia. Tutto risolto. La palla passa ai collegi giudicanti. Perché lui è l'eccezione, è l'anomalia.
L'idea che trasforma lui nella rara aberrazione di un sistema quasi perfetto è stranamente rassicurante, ti rimbocca le coperte prima di dormire sonni tranquilli. Lui non è come il nostro vicino. Non ha niente in comune con noi. I problemi sociali non esistono. Esiste lui, ma a questo si può porre rimedio. Non dobbiamo farci domande. Non dobbiamo cercare di cambiare.
Ecco ciò che tanta gente vuole sentirsi dire.
[L'Ideota]
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Ora super polemica perché mi è capitato l'ennesimo video in cui si parla di obesità e body positivity. A seguito una lunga e sgrammaticata polemica, quindi taglio il post per non intasare la dash di chi non è interessato
Viene detto che, essendo un corpo obeso non sano, allora scrivere sotto al post di una persona obesa "sei bellissim*", non è body positivity ma un modo per normalizzare e istigare l'obesità. [Che già cosa vuol dire normalizzarla e istigarla, non so, cioè se io penso che una persona obesa sia bella non significa che costringo qualcuno con il coltello alla gola ad ingrassare.] E quindi, secondo loro, commentare sei obes*/ciccion* e insulti a riguardo non è grassofobia o cyberbullismo, ma semplicemente sottolineare una cosa ovvia.
Comunque questo discorso è di base stupido per diversi motivi
non hai il diritto di giudicare né tantomeno insultare qualcuno
essere grassi o obesi non significa essere brutti, se a te non piace va benissimo, ma il tuo giudizio è personale e non una legge oggettiva che deve valere per tutti
nessuno istiga nessuno a fare niente, semplicemente chiunque ha il diritto di apprezzare e mostrare il proprio corpo indipendentemente dal peso
nascondersi dietro al "non è salutare" è pura ipocrisia perché non sai il motivo per cui la persona in questione è obesa (potrebbe essere a causa di una malattia fisica o mentale), la tua convinzione che obesità = mangiare troppo dimostra quanto tu sia stupido ed ignorante. E no, fare la battuta che si sfonda di mc non fa ridere.
inoltre, se davvero ci tieni a fare il paladino della salute, oltre a commentare le persone obese che semplicemente esistono, commenta anche chi fuma o beve alcolici. Vai sotto i loro post a preoccuparti per la loro salute e ad insultarli "per il loro bene". Ah no, questo ovviamente non viene fatto, perché probabilmente sei la prima persona a bere/fumare ed avere uno stile di vita poco sano in generale.
E comunque sì, scrivere insulti a persone che non si conoscono, è bullismo, nient'altro che questo. Giuro che se potessi catapultarmi dall'altro lato dello schermo degli esseri che scrivono ste cose (tra l'altro sentendosi anche tanto bravi ed intelligenti), gli tirerei una craniata.
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💔
"Si , i miei genitori mi picchiavano quando ero bambino e non sono poi così traumatizzato!" dice l'uomo che è stato denunciato dall'ex compagna per violenza fisica.
"Quando ero piccolo, i miei genitori mi lasciavano piangere fin’che mi addormentavo , e ci sarebbero volute ore, ma è così che ho imparato a essere indipendente", dice l'uomo che passa le notti sui social media, incapace di dormire.
"Sono stato punito duramente quando ero piccolo e sto bene", dice l'uomo che ogni volta che sbaglia si fa in tutti i modi, punendosi.
"Quando ero bambina mi menavano bene e adesso soffro di un 'trauma' chiamato 'educazione'", dice la donna che non capisce perché tutti i partner che ha finiscono per essere aggressivi con lei.
“Da bambina, quando ero pignola mio padre mi chiudeva in una stanza da sola a pensare a quello che facevo, e oggi lo apprezzo!” dice la donna che soffre di attacchi di panico e non capisce perché soffre di claustrofobia.
"Quando, da piccola, facevo i capricci in pubblico, i miei genitori mi dicevano che mi avrebbero lasciata o mi avrebbero data a uno sconosciuto e guarda, sono finita molto bene", racconta la donna che implorava amore in tutte le relazioni e perdonava infedeltà ripetute per non essere abbandonata.
"Quando i miei genitori mi guardavano stavo gelando, e guarda come sono diventata brava!", dice la donna che non riesce a mantenere il contatto visivo senza sentirsi intimidita.
"I miei genitori mi hanno costretto a scegliere una carriera in cui posso fare soldi, e guarda come sono finito bene!", dice l'uomo che attende ogni venerdì, disperato perché fa ciò che non gli piace ogni giorno.
“Quando ero piccola dovevo stare a tavola finché non finivo tutto il cibo nel piatto, anche per forza, non come fanno quei genitori permissivi!” dice la donna che non capisce perché ha sempre avuto problemi di alimentazione compulsiva .
«Mia madre mi ha insegnato cosa significa rispetto con la pantofola e mi ha fatto bene», racconta la donna che fuma un pacchetto di sigarette al giorno per tenere sotto controllo l'ansia.
"Ringrazio i miei genitori per ogni colpo e punizione, perché altrimenti chissà cosa avrebbero scelto per me", dice l'uomo che non ha mai avuto una relazione sana e il cui figlio gli mente sempre, per paura.
E così viviamo le nostre vite, circondati da tutte queste persone meravigliose e non traumatizzate, ma paradossalmente in una società piena di violenza e persone ferite.
La lezione non è giudicare i nostri genitori, anch'essi vittime a loro volta, ma capire che non andava bene, perdonare e lasciare un'altra eredità ai nostri figli.
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Ultimamente il mio cervello è come il mare.
I miei pensieri come flutti arrivano a onde per infrangersi sugli scogli.
Tra un'onda e l'altra ci sono delle pause, dove i pensieri prendono forma.
Vorrei scrivere, esprimere qualcosa, ma sono molto stanco cerebralmente in questi ultimi tempi.
Mentre ricurvo sul computer cerco di sistemare quella che dovrebbe diventare una bozza di un contratto commerciale, un bagliore di luce attraversa la stanza, il tempo di alzare lo sguardo verso la finestra e sento chiaramente un tuono.
"Arriva un temporale" penso tra me e me.
Lo sguardo si sposta di pochi centimetri, guardo il trespolo per gatti che da qualche settimana vorrei portare in garage.
Del resto era stato acquistato per Alvin e da quando lui non c'è più è rimasto vuoto. Non vederlo più li dentro mi deprime sempre.
Il trespolo è troppo impegnativo per la gatta Milly, dall'alto dei sui quattordici anni e con le zampette claudicanti preferisce accucciarsi negli appositi lettini a terra.
La stanza è buia, ho una lampada da tavolo che illumina giusto la tastiera davanti al monitor, un secondo lampo che precede un tuono mi illumina meglio il trespolo. Rimango senza fiato.
Un miraggio? Mi alzo accendo la luce in sala e mi avvicino.
Quando Alvin arrivò a casa nostra aveva due mesi, oggi Leo compie due mesi e da solo per la prima volta è salito nel trespolo, trovando un luogo morbido dove poter dormire.
Dicono che l'unico modo per andare avanti sia di non guardare indietro.
Eppure può capitare che il tornare indietro ti faccia ripartire da dove eri rimasto, per poter dare un finale diverso da quello che fu.
Non posso non scattare una foto e affiancarla a una del passato, quattro anni di differenza tra i due scatti, eppure è come essere tornati indietro. Anche se in realtà il tempo non si è fermato e inesorabilmente è andato avanti, come da natura del resto.
Il giorno in cui Alvin uscì dalla mia vita mi dissi che mai più avrei rivoluto un gatto, rosso per giunta. Avrei rischiato di paragonarlo sempre ad Alvin, ingiustamente, arrivando magari a non apprezzarlo perché "non come lui".
Invece la vita a volte sa come stupirti. Il piccolo Leo sta ripercorrendo nei modi e negli atteggiamenti la vita del micio rosso suo predecessore, senza nessuna forzatura.
Questo fatto mi ha letteralmente destabilizzato, a tal punto che spesso chiamo Leo "Alvin". Bloccandomi inebetito quando ciò accade.
È come se, prepotentemente, Alvin sia voluto tornare perché il suo "lavoro" con me non era finito. Aveva ancora molte cose da fare. "Maledetta emorragia interna, non l'avrai vinta, io ci torno da lui".
Mi piace pensare che lo abbia detto lui, in gattese ovviamente.
Tutti vogliono andare avanti, io invece sto magnificamente vivendo un pezzetto di vita a ritroso. Avrà tempo Leo per riempire quella tana con la sua presenza fisica, per ora anche se più piccolo sta riempiendo tantissimo il mio cuore.
Se si è felici si può guardare al passato, poiché lo faremmo con sguardo benevolo e magari di rivincita. Diversamente il nostro sarebbe uno sguardo di rimpianto. E i rimpianti pesano molto.
Guardo fuori dalla finestra la pioggia, che da giorni è quasi incessante. Eppure è anche grazie alla pioggia che in giardino sono sbocciati fiori meravigliosi, come le lacrime posso far sbocciare nuovi momenti di vita meravigliosi. Per ricominciare da dove si credeva tutto fosse finito.
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Io invece apprezzo che non pubblichi frasi preconfezionate (che poi sono quasi sempre cazzate atroci oppure ovvietà) ma che ci metti te stessa in quello che scrivi.
Sul discorso dei culi, che dire. Sarei un ipocrita se dicessi che non mi piace vedere un culo o un paio di tette, però alla fine qua sopra è come se ti assuefacessi, e hai bisogno anche d’altro.
Non sono, e non sarò mai, uno di quelli che dicono “la vera bellezza è solo quella interiore” e robe simili, semplicemente perché non è vero. La bellezza esteriore è fondamentale e chi lo nega è, indovina, ipocrita, come dicevo prima.
PERÒ, c’è un però grande come una casa, e cioè che la bellezza esteriore è come se avesse una soglia, nel senso che può portarti fino a un certo punto, poi se vuoi davvero sviluppare una connessione con una persona hai necessariamente bisogno anche di un’attrazione mentale.
L’essere umano, alla fine, ha bisogno secondo me di un equilibrio tra questi due tipi di bellezza, e snobbare o vituperare l’uno o l’altro significa non aver capito cosa sia davvero la bellezza.
Questo equilibrio ovviamente non significa pubblicare foto del culo su Tumblr aggiungendoci una frase poetica o filosofica come didascalia. No, quello è l’apice del cringe.
Per concludere, ho apprezzato il tuo discorso, perché hai lanciato una provocazione, senza necessariamente denigrare la bellezza esteriore, ma hai semplicemente dimostrato quanto sia piú difficile creare una connessione mentale piuttosto che fisica. Ed è una realtà innegabile.
Grazie tantissimo di aver capito, non potevi dirlo meglio
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La Giustizia
"Tutto chiede purezza"
"Dire la Verità", è un privilegio per pochi.
"Essere la Verità" stessa, è ancora più raro.
Appoggiare le nostre Maschere sul comodino e uscire nel Mondo senza bisogno di "nascondere" o "difendere", e senza sviluppare atteggiamenti di sfida, di rabbia, di bisogno di riconoscimento, è salute, è vitalità, è pienezza.
Offrire a se stessi il "permesso" per esprimere il proprio talento, per abbracciare la vita desiderata, per la piena e consapevole realizzazione della missione d'Anima, in coerenza e rispetto con la propria struttura fisica e psichica, è illuminazione.
Chi ama se stesso fin dentro le profondità, chi è onesto, sincero, integro e incorruttibile, non ha necessità di mentire, né di temere ritorsioni.
La Verità in Passato ci ha posto in condizioni "scomode".
Ma ci ha liberato dal dover "fingere" ciò che non eravamo e non potevamo essere, dall'obbligarci a compiacere gli altri, dalla triste e complessa dinamica delle alleanze e delle obbedienze.
Ci ha spogliati dalla "non Vita" che stavamo interpretando con così tanto ardore e inconsapevolezza.
Assecondare una Vita che non ci piace, accomodarci dentro alla "tranquilla" routine e sperare che prima o poi qualcuno venga a salvarci dalla nostra incoerenza, è tremendo.
Sentirsi vittime delle nostre stesse scelte, è velenoso.
Novembre ci invita a "dire la Verità".
Agli Altri in primis, ma soprattutto a noi stessi.
A vuotare il sacco. Fino in fondo.
A rinnovarci nell'onestà e nella trasparenza.
La Verità, espressa con chiarezza e amore, salverà il Mondo. Il nostro e, contestualmente, anche quello di chi ci cammina accanto.
Potrà non essere compresa o accolta con favore.
Ma è la Verità. E come tale apre una serie di ampie possibilità di crescita per tutti.
Basterà concedersi di esprimerla. E tutto cambierà.
Ma non sarà la nostra "parte vittima" a parlare. Sarà il Cuore.
Novembre ci guida all'atto finale delle nostre paure e reticenze.
Chiude "cicli di riverenza", "asservimenti al potere", "vittimismi", "timori di ritorsione", "bisogni di riconoscimento".
Chiude i "ricatti emotivi", gli "inchini", le "finte alleanze".
Rompe il silenzio e l'omertà dei "giusti".
Provoca partenze. Tante partenze.
Frantuma tutto ciò che non è retto dall'Onestà interiore.
Sconvolge.
Apre strade nuove. A volte perdendo nuovamente tutto, ma è un "perdere" voluto, partecipato, anelato.
Non è il "perdere della Vittima".
E' il coraggioso "perdere dell'Eroe" che ha ritrovato dentro se stesso la sua amata Itaca.
E la raggiungerà con tutti i mezzi. Dovesse pure ritrovarsi solo tra le onde del mare in burrasca.
Novembre ci stupirà. Ci lascerà assolutamente attoniti di fronte alla Potenza della nostra nuova Struttura Cristallina.
Ci regalerà attimi mozzafiato.
Ci trascinerà nel vortice del cambiamento repentino, veloce, inaspettato.
Faremo i conti con le subdole "bugie" che ancora ci raccontiamo.
E sarà bello vederle animarsi intorno a noi.
Gli Altri ne saranno la proiezione.
E noi sapremo perfettamente che stiamo guardando il nostro mancato coraggio, le nostre paure, le distorsioni che ancora ci impediscono di "cambiare scena".
E ce ne prenderemo carico. Per la prima volta "senza se e senza ma". Senza puntare il dito all'esterno. Senza distribuire colpe o recriminazioni. Senza aspettarci che l'Altro lo faccia per noi.
Con amore e riconoscenza. Con determinazione e forza d'animo.
Le vedremo danzare nel loro atto finale, le vedremo allontanarsi da noi come stormi di uccelli migratori, le saluteremo con la grazie e l'eleganza di chi sa che presto giungeranno nuove Primavere e nuove opportunità di "cambio direzionale".
Sarà bello e commovente. La Gratitudine inonderà i nostri occhi.
Si chiuderà un'Epoca interiore.
Lo sentiremo. Lo stiamo già sentendo.
Ultimi saluti. Ultimi abbracci.
E' tempo.
Fino ad aprile 2025, il nostro viaggio sarà dedicato a congedare persone e luoghi, ad accomiatare automatismi del Passato, a chiudere con parti di noi esaurite nella funzione evolutiva, a rischiarare la Verità dentro ai nostri passi.
E molto, molto ancora.
Ma un gradino alla volta.
La Terra si prepara all'ennesimo scossone. Stavolta si trascinerà via un bel po' di iniquità di Sistema. Attenti a dove mettete i piedi nei prossimi giorni.
Mirtilla Esmeralda
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Una casa sporca e piena di disordine, non è un luogo felice in cui vivere, ha energia negativa e le persone che vivono in questo ambiente ne saranno colpite.
Il disordine ostacola e stagna rendendo molto difficile andare avanti sulle nostre strade.
Lo stress della ricerca delle cose provoca ansia, deprime e porta confusione, per questo l'importanza di buttare via, o donare ciò di cui non abbiamo più bisogno per dare una nuova aria a casa.
La tua casa è il riflesso della tua vita, e questo implica tutto: parte fisica, spirituale, sentimentale, lavorativa, sociale e familiare.
Ricorda sempre che c'è un posto per ogni cosa e ogni cosa deve essere al suo posto, questo aiuta ad essere in armonia e si ripercuote su un migliore flusso di energia.
Bisogna fare pulizia di casa e disfare o ristrutturare tutto ciò che non ci fa stare bene, per lasciare spazio al nuovo.
Non bisogna accumulare cose inutili, togliere di casa tutto ciò che non porta nulla, tutto ciò che non serve o non ti piace più.
Web
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Mi piace il momento in cui, quando stiamo finendo di mangiare, ci rilassiamo e anche dopo aver finito stiamo un tempo più o meno lungo a tavola a non far niente.
È il momento della distensione prima di tornare nelle nostre camere a studiare oppure prepararci per uscire, come faremo oggi.
La mia coinquilina Violetta ha un suo modo tipico di vivere questo momento, che è tutto suo: sposta la sedia leggermente indietro, si mette comoda, solleva la gamba e la poggia allungandola sopra il tavolo. Per lei quella posizione rappresenta il relax più totale, e in quei minuti finiamo di mangiare la frutta, ci prendiamo il caffè e parliamo con una calma e un senso di rilassamento, con quella sua gamba libera sul tavolo a pochi centimetri dalla mia tazzina, con cui esprime tutta la sua presenza fisica in modo quasi inconsapevole.
Quello che mi piace è proprio il clima di quei momenti di rilassamento generale, quella sensazione da lasciarci andare, quasi come se fossimo "sempre in vacanza" anche quando siamo nel pieno dei semestri e delle sessioni, quel senso di corporeità e di presenza fisica delle mie compagne di casa, questo è ciò che mi fa stare bene qua, molto bene.
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Ci sono momenti di lucidità nei quali riesco a capire cosa c'è che non va. Faccio un lavoro che non mi piace e non mi stimola, per altro mi lascia un sacco di ore senza fare nulla e quindi mi dà tanti vuoti che non riesco comunque a colmare.
Mi trovo in un posto in cui non vedo persone interessanti, vedo ragazze molto carine fuori dalla mia portata, nel mio giro neanche una ragazza che mi piace. Sento forti bisogni di natura fisica, che non so in nessun modo come soddisfare. Faccio fotografie come lavoro e non mi dà grandi soddisfazioni perché non riesco a fare ciò che vorrei. Con la pittura posso dire che mi diverto ma senza alcun altro fine.
Sento il bisogno di uscire da questo posto, vorrei qualcosa di più dinamico, sia per il discorso sessuale ma anche perché cerco l'amore. Vorrei fare qualcosa di stimolante, un giro di gente, persone interessanti che mi diano la possibilità di fare conversazioni interessanti. potrei viaggiare ma non trovo la maniera, non lo so fare, non trovo compagnia.
Grazie al cazzo che sto così.
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Io credo che la vera politica sia un'eco profonda, un'onda che si propaga non per imposizione, ma per risonanza. Tutti siamo attori di questa commedia, ma spesso ci dimentichiamo che il nostro ruolo va ben oltre l'essere semplici spettatori. La politica che ci viene propinata oggi è un gioco di potere sterile, un tentativo di modellare gli altri come argilla, ignorando che ogni individuo è un universo a sé.
Ci vorrebbe una politica che sia un faro, che indichi una direzione non con l'imperativo, ma con l'esempio. Una politica che nasca da un'esperienza personale, da una trasformazione interiore. Chi ha sperimentato sulla propria pelle il potere della crescita, chi ha afferrato la bellezza di un'armonia interiore, dovrebbe sentire il bisogno di condividere questa scoperta, non per imporla, ma per offrirla come un dono. Un dono che si riceve, si assapora e, se lo si desidera, si rigenera.
Finché la politica continuerà a essere un gioco di forza, un tentativo di manipolare dall'esterno, non potremo mai conoscere la vera evoluzione. Non capiremo che il potere più grande è quello che abbiamo su noi stessi. Possiamo tentare di controllare il mondo esterno, ma è come cercare di afferrare l'acqua con le mani: più stringiamo, più ci sfugge.
Cerchiamo soluzioni ai mali del mondo, ma non le troveremo mai in leggi e regolamenti. Possiamo costringere le persone a rispettare delle norme, ma non possiamo costringerle a cambiare cuore. Le leggi possono impedire che si commettano reati, ma non possono far nascere un senso di responsabilità e di rispetto per gli altri.
Il problema è che viviamo in un mondo sempre più frammentato, dove l'anonimato regna sovrano e l'indifferenza è diventata la norma. Siamo come atomi che si scontrano senza mai toccarsi veramente. Anche nel mondo virtuale, dove la distanza fisica è annullata, ci nascondiamo dietro maschere e filtri, costruendo identità false e cercando l'approvazione degli altri.
È fondamentale ritrovare il senso di comunità, riallacciare i fili di un dialogo autentico. Dobbiamo imparare a confrontarci con le opinioni degli altri, a rispettare la diversità, a coltivare un pensiero critico. Dobbiamo smettere di cercare risposte preconfezionate e iniziare a porci delle domande.
Io credo che la soluzione passi da ognuno di noi. Dobbiamo essere coerenti tra ciò che pensiamo e ciò che facciamo. Dobbiamo essere i primi a mettere in pratica i valori che predichiamo. Dobbiamo diventare noi stessi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.
Ma torniamo a noi: perché ricerchiamo così tanto il riconoscimento degli altri? Chi siamo veramente al di là delle etichette e dei ruoli che la società ci impone? Perché troviamo più facile seguire la massa, anche quando sappiamo che non è la strada giusta? Cosa ci impedisce di ascoltare la nostra voce interiore e di seguire il nostro cuore? Ognuno di noi dovrebbe porsi queste domande e cercare una risposta sincera.
Io cerco di vivere in armonia con i miei valori. Cerco di essere autentica, di ascoltare gli altri, di imparare dagli errori. Vedo gli altri non come avversari, ma come specchi in cui riflettermi. Osservo le mie reazioni, le mie emozioni, e cerco di comprenderle. Non cerco di cambiare il mondo esterno, ma di trasformare me stessa.
E tu, ti sei mai chiesto se le tue azioni sono in linea con i tuoi valori? Se le tue parole corrispondono davvero a ciò che pensi? Iniziamo da noi stessi, per poi estendere questo cambiamento al mondo che ci circonda.
So che questa è una strada lunga e difficile, ma sono convinta che sia l'unica possibile. Se ognuno di noi facesse un piccolo passo in questa direzione, potremmo creare un mondo migliore, un mondo più giusto, un mondo più umano.
Questo blog è il mio piccolo angolo creativo. Ogni parola e ogni immagine presente in questo post è frutto della mia immaginazione. Se ti piace qualcosa, condividi il link, non copiare.
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@aitan
ah da parte mia sto con Petri.
Interessante che uno che fa il docente citi il padre che dice: «Ci hanno dato questo coso in mano anni fa e non ci hanno dato il libretto delle istruzioni»
Che non dico che sia facile dare le istruzioni... ma nell'inevitabilità, tra proibire e imparare...
Poi va beh, Schettini è un fisico "pro nucleare" ma lo era anche Rubbia quando andava a promuovere il suo Rubbiatron di cui a livello internazionale non se ne è fatto un cazzo etc...
Quindi manco mi ci faccio trascinare nella polemica che una laurea in lettere moderne non valga un cazzo.
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ma può mai skriniar fare così schifo per essere panchinato da beraldo che non ci sta capendo nulla e non ha esperienza a quell'età? so che non è nella migliore condizione fisica però...dico per quanto mi piace la narrazione del panchinaro perché sono vendicativa loool
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