#la bertesca
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russellmoreton · 8 months ago
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Leaving intact the value of the existence of things by Russell Moreton Via Flickr: russellmoreton.blogspot.com/ Futuro, Presente, Passato: Remembering Germano Celant (1940–2020) Shumon Basar and Hans Ulrich Obrist www.e-flux.com The art historian, critic, and curator Germano Celant passed away on April 29, 2020, in Milan. Perennially clad in black, his hair a mane of swept-back white, he was as distinctive a physical presence as his presence has been in the art of the twentieth and twenty-first centuries. Described to us once as “a living Vasari”—a reference to the pioneering sixteenth-century author of Lives of the Most Excellent Painters, Sculptors, and Architects—Celant’s sustained output over the last six decades is a map that connects Italian avant-gardes to accelerated internationalism. Celant’s love for history’s radical turns in turn became the very engine through which he managed to shape institutions old and new. Celant produced and reproduced reality, par excellence. Here, we recall how he did this, and why that mattered. Baroque Beginnings Celant studied the Renaissance and the Baroque with the legendary art historian Eugenio Battisti at the University of Genoa in the early 1960s. Battisti’s 1962 book, L’antirinascimento (The Anti-Renaissance), became one of Celant’s formative influences. L’antirinascimento was later described by Christopher S. Wool as covering “a whole range of material and topics that don’t fit—automata, magic and talismanic images, wonders and portents, the Wunderkammer, astrology, alchemy, the topoi of the witch and the old man.” This eclectic synthesis of knowledge fields became a model for what Celant would later pursue. And from Battisti’s understanding of the Baroque, Celant told us he discovered that “there was no distinction between architecture, design, decoration.” What emerges is a total space where disparate categories can meet. The Baroque’s heightened use of sensory effects to stage drama and emotion, the “need to be surrounded by something,” as Celant said, also became the DNA for all that was to follow in his output. Guerrilla Warfare In 1963, Celant started to write for Marcatré, the leading interdisciplinary magazine in Italy, where art sat alongside cinema, design, and theory. Soon he also joined the architectural journal Casabella. In his capacity as art critic for both publications, he began to visit and befriend artists of previous generations, such as Lucio Fontana. But more importantly, he developed relationships with artists of his own generation throughout Italy. This led Celant in 1967, at the young age of twenty-seven, to curate his first seminal show, “Arte Povera – Im Spazio,” in Genoa’s Galleria la Bertesca. It marked the beginning of Arte Povera as an aesthetic, philosophical movement, whose ideas were refined in a manifesto-like text published in Flash Art the same year, entitled “Notes on a Guerrilla War.” Two years later, an eponymous book was released that included the artists Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Michelangelo Pistoletto, and many others. As Celant put it, “each of these artists chose to live with direct experience, and feel the necessity of leaving intact the value of the existence of things.” (These now feel like premonitory words in relation to the extinction and environmental crisis we face today.) Celant described the need for a “shift that has to be brought about … the return to limited and ancillary projects where the human being is the fulcrum and the fire of research, in replacement of the medium and the instrument.” Arte Povera therefore is “an art that asks only for the essential information, that refuses the dialogue with the social and cultural system and aspires to present itself as something sudden and unforeseen.” It acted as ballast against the loudest art at the time: that of American Pop, which was already perceived as an imperialistic presence in postwar Europe. Indeed, in 1964, Donald Judd had dismissed European art as mere “decoration.” Arte Povera, through Celant’s skills of rhetoric, friendship, and flair, proved there were alternative narratives, and that Italian culture was renewing its critical, countercultural vigor.
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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La poesia lineare di Carla Bertola
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Il “Lasciatemi divertire” di Aldo Palazzeschi, cioè il giocare con le parole, lo troviamo – per fortuna – in un buon numero di poeti contemporanei. Ma perché si gioca con le parole? Si gioca con le parole, no per un semplice divertissement ma ˗ come dice Giangiacomo Amoretti ne Il gioco della poesia1 ˗ « un tentativo di rompere il continuum dell’esperienza quotidiana, dominata dalla coscienza e dal senso della realtà, per aprirlo a una verità diversa», alla traslazione del quotidiano. La sfida dei “manipolatori di parole” è con loro stessi e con il linguaggio che vorrebbero gli appartenesse con la sua piena autonomia eteronima e riproposte ascrivibili non al proprio quotidiano contraddetto dal paradosso e all’antinomia. Ma cosa vuol dire “traslare il quotidiano”? Proprio quello che stavamo dicendo, lavorare per una poesia/linguaggio/scrittura antinomica che non dica di sé, del sé poeta, ma che vada al di là di ciò che quotidianamente facciamo, in modo da postulare un continuo movimento “del fare”. In buona sostanza allontanarsi dal proprio dettato autobiografico, dalla routine di tutti i giorni che forse non interessa nemmeno al poeta stesso. Si sa che la parodia e il nonsense sono due importanti attrattori affinché in poesia emerga il “giocare con le parole”, quasi due anarcoidi, nella forma e nella sostanza, ma non per questo meno curiosi e interessanti. È una «rivoluzione della mente», se vogliamo, come dice Italo Calvino, non meno seria e sensata. E un po’ tutti i poeti, quando il clima si fa tragico ed incerto, «anche la “vecchia” poesia italiana si trasforma, facendosi in essa meno netti i confini tra senso e nonsenso, tra serio e tragicomico ridicule . Sanguineti ad esempio, soprattutto dagli anni Settanta, infila nei suoi libri, quasi uno dietro l’altro, tautogrammi, ribattimenti leporeambici, acrostici acrobatici (da qui un titolo come Acrobistico), invenzioni e scomposizioni lessicali come “versavice viceversa e dice” alla maniera del Carroll di Jabberwocky. C’è poi Antonio Porta, che nella sua famosa antologia per Feltrinelli, Poesia degli anni Settanta, celebra – come scrive lui – “l’ultrasenso del nonsenso” di Toti Scialoja, tanto da rivendicarne una certa organicità al discorso della neoavanguardia. E ancora nell’antologia portiana ritroviamo poeti della Neoavanguardia di seconda generazione ad alto contenuto nonsense come Corrado Costa, Vincenzo Spatola o Giulia Niccolai»2. Uno dei poeti contemporanei che gioca con le parole è senza dubbio Carla Bertola che è anche una eccellente poeta visiva e sonora: Berenice  Berenice bere anice non si addice Il berbero burbero bercia in berberesco ˗ mai bere barbaresco ˗ La bergère berce le berceau ˗ ma non beve solo l’eau ˗ Bere cin zio e cin zia che bere ci formi! Nel bergamasco con voi berrò. La dolce berceuse si fa   berleffe del berillo,    la berghinella     bergola assai, alla berlina non ci va mai? Berk  ber  ché?  Berlicche  lecca  chicche  viaggia  in  berlina  fino  a Berlino, spende berlinghe in berlingozzi  (che almeno s’ingozzi)  alla berlocca.                 Ber ma alle Bermude, cacciando bernacle un poco bernecche,                             berneggiando qua e là.                                          Sfoggiavo    una bernia (dopo la sbornia)    che bernoccolo sotto il berretto! Il berrettaio  ha  la  berretta  facile,  più  del  fucile.  Chi  ha  il  ber retto può bere assai                                  Il bersagliere berrovéria il bersaglieresco ben fresco, anche il bers’aglio ber sà. Ber so,  Berta  cara,  Berta  bello  è  ber  e  berteggiar, ma  attenta  che la                                 bertesca ti addesca. Bertibello, Bertino, Bertocchio, Bertolo finto tonto.       Bertone       lenone, Berto vello di bertuccia. Se    ti     tolgo dal berretto, un     beruzzo di berzemino te lo fai?       (al Bar Zemino mi troverai) (In «Risvolti», n. 1, settembre 1998, pp. 32-33) Carla Bertola vive a Torino dove è nata nel 1935. Artista visuale scrittrice performer promotrice di iniziative culturali ha partecipato a moltissime mostre internazionali. Numerose le mostre individuali così come le performances di poesia sonora e d’azione in varie città europee oltre che in Canada Messico Brasile Cuba. È stata Artist in Residence presso il Sirius Arts Centre in Irlanda nel 2010. Ha editato e diretto dal 1978, insieme ad Alberto Vitacchio, la rivista internazionale multimediale «Offerta Speciale» ed eseguito il maggior numero di performences sonore e pièces denominate  Poesiteatro. Ha pubblicato soltanto due libri di poesie lineari (almeno in Italia), I Monologhi, (SIC, 1973) e Ritrovamenti (Eureka Edizioni, 2016). I suoi libri verbovisuali libri d’artista e poesie si trovano in molti cataloghi, antologie, collezioni pubbliche e private, riviste cartacee e online («Letteratura»; «Altri Termini»; «Carte Segrete»; «Uomini e Idee»; «Anterem»; «Testuale»; «Salvo Imprevisti»; «Amenophis»; «Plages»; «D(o)cks»; «Dopodomani»; «Risvolti»; «L’Intranquille»; «Otoliths»; «Ulu-late»; «Margutte»; «Utsanga»; «Frequenze Poetiche», etc.). Una rappresentativa selezione delle sue opere è presente al Museo della Carale di Ivrea. Tra le antologie segnaliamo Poesia Totale (Mantova, 1998); A point of View Visual ʼ90 (Russia, 1998); Libri d’Artista in Italia (Torino, 1999); International Artists’ Books (Ungheria, 2000). Ma chi è veramente Carla Bertola? Ad una rivista non-rivista on line, «Margutte» (così si definiscono i responsabili, anzi, le responsabili di questa rivista: Gabriella Mongardi e Silvia Pio), così si autodefinisce: «Ho cominciato a scrivere da ragazza, senza nessun indirizzo e poche conoscenze letterarie, anche se leggevo molto già a 15 anni . Verso gli anni ’60 ho iniziato a scrivere poesie di una certa consistenza, ispirate dalle letture dei contemporanei Ungaretti, Quasimodo, Gatto. Mi rendo conto adesso che quello che mi attirava, inconsciamente era la musicalità dei loro versi, il ritmo impresso alla parola. Iniziai anche a pubblicare qualche poesia su riviste letterarie. Squarotti mi recensì dicendo che ero la miglior scrittrice su piazza, peccato che lo dicesse di tutti. Anche se non ci credevo, mi azzardai a inviare dei testi al Premio Città di Amalfi, che era presieduto da Quasimodo, ma non ricordo l’anno. Fatto sta che ebbi il terzo premio e lui morì di crepacuore. Sul finire degli anni ‘60 cominciai a scrivere testi interessanti e nel ’72 Franco Cavallo mi pubblicò un libretto I Monologhi nella collana Sic, che purtroppo ebbe breve durata. Erano anni che si leggeva molto in pubblico e io stessa organizzai delle serate di poesia e partecipai a degli incontri con altri poeti. Leggendo in pubblico ci si ascolta e ci si confronta. Si capisce anche cosa si vuole o non vuole fare. Non saprei dire esattamente come venni a conoscenza di scritture verbovisuali. Certamente con la “scoperta” del Futurismo e del Dadaismo. Per approdare alle esperienze del Gruppo ’63 e sentendo io stessa il bisogno di sperimentare nuove forme di scrittura. Non sono mai stata molto incline al sentimentalismo nella poesia. Anche nei miei testi “seri” si intravedeva una vena ironica e «un’assoluta mancanza di pietà verso me stessa» (a detta di un critico che mi criticava anche, meno male)»: La Ballata dei Saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi la tendenza è forte   ma la carne è in scatola vendita promozionale a chi va bene          a chi va male pochi soldi  saldi saldi saldi sa           tanti saldi sa saldi sa melamangio viva           melavvito al dito dietro di lei il deserto             dopo di lui il diluvio davanti a noi il disastro liquidazione totalitaria saldi oh  yes           soldiiiiissssmmmiiiiii  oh yes svendiamo sìì veniamo ci sveniamo non svenite saldiamo sa sal fuori i saldi o sparo      saldi subito spero Il mio corpo ti salderà 3x2 sei fregato  quante volte la luna ho sognato… saldi… saldi Saldano i bastimenti occassioni  ocasssioni   occasioni stracciate straccioni occasionali i sogni si avverano i saldi si azzerano prezzi pazzi pazzi siamo a pezzi prezzi fissi  siete pazzi signori e signore signore ascoltaci signore dacci la saldezza eterna Macbeth you’ll sleep no more  all is sold so sad no sales nomore Un saldo nel buio tenetevi ai soldi tenetevi saldi teniamoci i soldi saldisolsalsolsasooo si saldi chi può (in «Offerta Speciale», n. 6, novembre 1990, p. 18) Dunque, la poesia bertolana è costellata d’ironia spensieratezza allegria; tristezza malinconia aggressive invettive, che a detta della stessa Bertola sono stati i sentimenti sui quali gli editori (italiani, naturalmente) accampavano sempre qualche scusa per non pubblicarla. La poesia di Bertola si compone anche per accumulo, associazione di vocaboli, dissociazioni, allitterazioni, calembours; una fonetica del significante che viviseziona parole e segni con il ritmo e il suono che incalzano ad ogni angolo del foglio che spesso viene occupato (ma sarebbe più adatto dire invaso) in tutto il suo spazio bianco, creando la cosiddetta “parola che si vede”. E non potrebbe essere altrimenti, visto che Bertola è anche una importante poeta visuale. Potremmo dire anche ˗ forse senza essere smentiti ˗ che la poesia lineare di Carla precludeva e preclude in sé tratti di “visualità” fin troppo evidenti, e soprattutto le linee guida delle sue performances sonore. D’altronde, nella nota a Ritrovamenti, ci confida che «La mia scrittura ha iniziato un’evoluzione costante alla fine degli anni ’70 incontrando la poesia visuale e poco dopo la poesia sonora. Tuttavia, rileggendo i testi degli anni sessanta, sparsi in qualche rivista storica del periodo, ritrovo già un ritmo che doveva segnare il percorso successivo fino alle performances e alle opere visive delle attuali installazioni». Un tempo dicemmo che i suoi testi nascevano da sensazioni momentanee e/o spontanee, senza premeditazioni, da spunti spinti sul foglio alla rinfusa, figli del caos. Ma ben altra è la struttura del suo linguaggio. C’è da ribadire ancora una volta che il ritmo e il suono dei fonemi, spesso squamati come si squama una spigola da indesiderate anossie siderali, sono i cardini del suo discorso poetico, più ˗ forse ˗ della voglia di dire o di fare, che pur “dicono” e “fanno” questi versi. Docile e allo stesso tempo sorniona, Carla Bertola, con gli strumenti della consapevolezza e dell’esperienza, ci conduce nel suo mondo, quasi in punta di piedi, dove ogni cosa viene sostituita dal magma della concretezza, dove ogni azione è fecondata da un’azione più prepotente, sia pure per accumulo di parole frante e scorporate da un io lirico e melense di tanta poesia in circolazione («… Salina Lina sa cosa? / Sa lino e seta e lana e / Salì nella Salicornia e Saliva la Saliva / Sali scendi Salimetro salì metrò / Salmi per una Salma Salmastro per un Salmì / Salmodìa sal mi dia il sal m’odia / Sal modico o poco prezzo…3). Quindi si riscontrano tracce di nonsense («Sa lato per lato per / Salpa salpinge…»), di limerichs, d’irrisione pungente («S’Alice nel Salicento sogna l’aceto…») che Bertola propone (anche se a volte cautamente) come modo, se non l’unico, per uscire dall’impasse, dallo spaesamento che attraversa la nostra letteratura. Di qui il senso fisico di vivere dentro le cose, dentro l’azione del corpo, lo spazio tra una parola e l’altra (a volte quasi “siderale”) come una pulsione struggente che diviene fattore di un tempo di rottura di armonie incantevoli e ipnotiche che rifiuta ogni sistema di certezza di un mondo blatero, col rischio di farsi alleata di una catarsi: Un foglio biancofa paura ha un futuroimprevedibile strappare non servepotrebbe servire meglio   scritto se poi è stampatopubblicato tuttoè concesso come un matrimonio   l’incertezza è logorante crudelmentedisumana specie per quelliche restano purtroppo non tutti   capiscono certe creature se unonon le aiuta persino gli insettinon si lasciano in agoniaho visitato tantibar trattorie affini frequentato   chiese ospedali grandimagazzini la solitudineha sempre un odorequalche volta puzza raramenteprofuma le case nuovesono tristi perché non mancaniente eccetto la polvere ciò le rendedisadatte all’amore (Da Ritrovamenti, Eureka Edizioni, 2016, p. 14) I versi di Carla vivono di una verve spinta e convinta, di un hazard in consapevole controllo: le parole si accostano a vicenda, si sezionano, si scrutano e si spezzano in modo elegante, senza subire violenza, quasi pacificamente, in enjambement fedeli al richiamo di un’analisi ulteriore proveniente dalla conoscenza del poeta. Il che da un lato porta a un automatismo che gira attorno all’enigma, dall’altro ad una parechesi e al divertissement, demistificando la parola nell’uso e nel modo che le sono più congeniali: accoppiandola ˗ è proprio il caso di dire ˗ con segni pieni di virilità di quel suono-ritmo di cui abbiamo già detto. Insomma, la sua praxis poetica, tra anafore e bisticci di parole, pur restando tutto sommato ancorata al formale, nonché agli estremi di un gioco ludico, in realtà possiede gli strumenti per rimettersi alla funzionalità del Testo. Inoltre, nei versi della Bertola non soltanto l’ironia e l’autoironia sono assicurate, ma anche un andamento scanzonato che sprizza come quando apriamo una lattina di coca cola agitata, per scardinare le coordinate, le consonanze col senso comune, partorendo alla luce del sole quei segni nascosti e immagini “nuove” indispensabili per imbastire un ricamo di vita diversa, al di fuori degli ambienti minimali e ipnotici dei significanti corrotti e usurati, scontati, che l’incomunicabilità del postmoderno4 custodisce gelosamente come un segreto che non gli appartiene, e che solo il poeta che azzarda riesce a vedere e a denunciare. ____________________ 1  In «Redaction Magazine», 31 dicembre 2020. 2  Andrea Afribo, Tracce di nonsense nella poesia del Novecento, in «treccani.it magazine», 25 giugno 2008. 3  C. Bertola, Il sale e i suoi derivati, in «Offerta Speciale», n. 5, maggio 1990, pp. 31-32. 4  Secondo Jean Baudrillard (La società dei consumi, Il Mulino), in un mondo frammentario e senza legami, di pura rappresentazione, i modelli finiscono con il sostituire le cose, e il soggetto è spinto ad abbandonare la propria condizione di individuo, declinando le proprie scelte personali, per ridursi a personaggio all’interno del discorso autoreferenziale attraverso cui la società mostra e produce se stessa; un mondo di feticci e simulacri, in cui non c’è alcuna distinzione tra significante e significato, in cui il segno è già di per sé ipersignificativo, è già messaggio. È il famoso capitale “giunto a un tale livello di accumulazione da diventare immagine” (Guy Debord, La società dello spettacolo, Massari editore) (Emiliano Zappalà, Postmoderno e Postmodernità: vivere la nostra epoca, in «sulromanzo.it», 31 agosto 2012).   Read the full article
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mybeingthere · 3 years ago
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Jannis Kounellis was a Greek performance artist and sculptor born in 1936 in Greece (he died in 2017). Kounellis is widely associated with the Arte Povera movement, a radical arts movement focused on the simplistic and working against institutional and established entities. He moved to Rome to study at the Academy of Fine Arts and stayed in the city continuing his artistic practice. He frequently contributed to the Venice Biennale and has had solo exhibitions at the Tate Modern, London , the Neue Nationalgalerie, Berlin, the Albertina, Vienna, the Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid, and many more.
Arte Povera
In 1967, Kounellis became associated with Arte Povera, a movement theorized by curator Germano Celant as a major shift from work on flat surfaces to installations. Kounellis participated in the exhibition Arte Povera – e IM Spazio' at the La Bertesca Gallery in Genoa curated by Celant, which brought together artists whose work was concerned with the space between art and life, and nature and culture. Examples of artists who substantiated this basis of Arte Povera as a movement include Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Giulio Paolini, Pino Pascali and Emilio Prini. To solidify the movement, Celant curated yet another group show, 'Arte Povera', which was exhibited at the De' Foscherari gallery in Bologna in 1968 with similar artists. In the same year Kounellis exhibited 'Senza titolo (Untitled)', which consisted of raw wool, rope and a wooden structure all leaning against a wall. Finally, Kounellis was also included in 'RA3 Arte Povera + Azioni povere' which was organized by Marcello Rumma and curated by Celant.
https://en.wikipedia.org/wiki/Jannis_Kounellis
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milenaolesinska · 3 years ago
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Exposition Art Blog Claudio Costa - Italian Avant Garde Art Claudio Costa (1942 – 1995, in Genova) was a Contemporary Artists from the 1970s avant-garde. Costa's artistic production is divided in several different periods. He explored Arte povera, Conceptual Art, paleontologist and anthropological art, alchemic art. As an artist associated with the Arte Povera movement, Costa's first exhibition took place at the La Bertesca Gallery in Genova directed by Francesco Masnata. He produced a series of "tele acide" (acid canvases) (1970–1971), where he deployed a new pictorial language made of symbolical and magic elements by mixing them with materials and glue-earth-bone-blood-acids. Costa explained the acid canvases in his writings: "
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katiegardendivergent · 3 years ago
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Alighiero Boetti- Artist 5 (Patterns and repetiton)
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Alighiero e Boetti (16 December 1940 – 24 February 1994) was an Italian conceptual artist, considered to be a member of the art movement Arte Povera. Boetti is most famous for a series of embroidered maps of the world, Mappa, created between 1971 and his death in 1994. Boetti's work was typified by his notion of 'twinning', leading him to add 'e' (and) between his names, 'stimulating a dialectic exchange between these two selves'.
From 1963 to 1965, Boetti began to create works out of then unusual materials such as plaster, masonite, plexiglass, light fixtures and other industrial materials. His first solo show was in 1967, at the Turin gallery of Christian Stein. Later that year participated in an exhibition at Galleria La Bertesca in the Italian city of Genoa, with a group of other Italian artists that referred to their works as Arte Povera, or poor art, a term subsequently widely propagated by Italian art critic Germano Celant.
Boetti continued to work with a wide array of materials, tools, and techniques, including ball pens (biro) and even the postal system. Some of Boetti's artistic strategies are considered typical for Arte Povera, namely the use of the most modest materials and techniques, to take art off its pedestal of attributed "dignity". Boetti also took a keen interest in the relationship between chance and order, in various systems of classification (grids, maps, etc.), and non-Western traditions and cultural practices, influenced by his Afghanistan and Pakistan travels.
An example of his Arte Povera work is Lampada annuale (Yearly Lamp) (1966), a single, outsized light bulb in a mirror-lined wooden box, which randomly switches itself on for eleven seconds each year. This work focuses both on the transformative powers of energy, and on the possibilities and limitations of chance – the likelihood of a viewer being present at the moment of illumination is remote. In 1967, Boetti produced the piece Manifesto, a poster listing the names of artists that make up Boetti's creative background.
Active as an artist from the early 1960s to his premature death in 1994, Boetti developed a significant body of diverse works that were often both poetic and pleasing to the eye while at the same time steeped in his diverse theoretical interests and influenced by his extensive travels.
He died of a brain tumour in Rome in 1994 at the age of 53.[
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andreamassarisindaco · 3 years ago
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SABATO 29 MAGGIO Ore 10:00 – Centro giovanile, via Mazzini (ex macello) “Cerchio degli alberi” Inaugurazione Letture di fiabe A cura di MADI’ Associazione culturale Bertesca *in caso di maltempo l’evento è rimandato a sabato 5.06 Ore 11:00 Sala del Consiglio Comunale Patto per la lettura Sottoscrizione Ore 17:00 – in direttaCortile interno del Municipio Ogni viaggio è un libro Mete ed emozioni raccontate A cura delle agenzie di Viaggio di Fidenza Ore 20:30 – in diretta Cortile interno del Municipio Un libro attraversato, Le veneziane di Verdi di Franco Soavi Letture a cura di: Mara Dallospedale e Nino Secchi Accompagnamento musicale: Rocco Rosignoli ANPI sezione di Fidenza (presso Fidenza, Italy) https://www.instagram.com/p/CPcjjTylJpv/?utm_medium=tumblr
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marcogiovenale · 4 years ago
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paola pitagora alla mitragliatrice di pino pascali (2), 1967 (collezione giuseppe garrera)
paola pitagora alla mitragliatrice di pino pascali (2), 1967 (collezione giuseppe garrera)
Paola Pitagora alla Mitragliatrice di Pino Pascali, Genova – Galleria La Bertesca, 1967. Arte Povera – Im spazio.
provino a contatto (particolare)
(collezione Giuseppe Garrera)
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yescarlatommasone · 3 years ago
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Un letto con le cortine ove si consumerà la passione, la bertesca per controllare quando arriva il nemico. A spasso nel tempo #arteiamo #lettureconsigliate #lettureinteressanti #libridaleggere #libribelli #libridaamare #reading https://www.instagram.com/p/CPgOIEJnQkr/?utm_medium=tumblr
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tmnotizie · 5 years ago
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SAN BENEDETTO – Ad 80 anni e da pochi giorni è scomparso l’artista di fama internazionale Germano Celant. Questo il ricordo di Mario Vespasiani.
“A livello grafico il 2020 doveva essere l’anno perfetto, per via di quell’abbinamento cronologico che dona alla forma dei suoi numeri un calcolo facile e pulito, un alternarsi fluente, che serpeggia nel due e si placa nello zero, formando un uroboro immobile ma in eterno movimento, simbolo dell’energia universale che si consuma e rinnova continuamente nella natura ciclica delle cose.
Quattro numeri che sovrapposti come amanti com-baciano e perfino spariscono l’uno nell’alto, forse portando con sé troppi amici e conoscenti  e con essi la libertà di far ciò che ci pare, di andare ovunque e con chi si vuole. Siamo entrati in tempo rallentato, ansioso e sospettoso, che magari condurrà a nuove riflessioni, forse più mature e indipendenti, rispetto alla bulimica voglia di popolarità e di quelle esperienze che sembravano non avere fine.
Dal volere tutto al vedere tutto siamo adesso ognuno col nostro sguardo, che quando evade dal monitor, prosegue e insegue quel panorama che si scorge dalle proprie case, ultimi luoghi sicuri della terra, che resistono agli assalti di un nemico assurdo che predilige le persone fragili, provate e chi ha compiuto buona parte del suo cammino.
Impossibile lavorare con questo clima, soprattutto quando si ha la possibilità di poterlo fare, perché avviene il paradosso in cui mente e corpo si oppongono, anche se si è in piena forma, perchè entrambi percepiscono che l’energia è cambiata e ora va indirizzata altrove, con precisione. Ma principalmente va armonizzata dal pensiero che si muove tra acque agitate e dal futuro gesto fisico da compire, per ritrovare la sua efficace naturalezza.
In una tale riappropriazione del rapporto uomo-natura su cui riflettevo con Mara nei giorni scorsi, netta come la doppia cifra del 2020 ci è apparsa la figura di Germano Celant, scomparso in queste ore in un altro numero pieno, 80 quello dei suoi anni, per via di quel virus che divide e disorienta. Nel 1997 da giovanissimo studente dell’Istituto d’Arte andai a vedere la sua Biennale di Venezia e negli anni a venire acquistai per la mia biblioteca una serie di corposi cataloghi da lui curati.
Critico d’arte, fondatore di quel movimento che evidenziava nell’ importanza del gesto artistico una chiara presa di posizione rispetto a un’arte patinata e consumista che stava prendendo piede alla fine degli anni ’60.  Fece quello che oggi sembra impossibile, visto il solipsismo di critici e artisti, raccogliere intorno a sé un gruppo di artisti e tutti italiani: siamo nella sua Genova alla galleria La Bertesca e ci sono  Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali ed Emilio Prini , uniti nell’abbraccio di un termine “Arte Povera” da lui teorizzato e di cui si sarebbe parlato a lungo.
Attraverso l’utilizzo di materiali di fattura umile, organici o deperibili e privi di valore intrinseco, prese avvio una narrazione che si sarebbe collocata in opposizione alla mercificazione dell’artista e della sua opera. Il movimento rifiutando quell’arte luccicante, derivata dal boom economico e da una società sempre più organizzata e sviluppata tecnologicamente, puntava al recupero dell’azione e del fattore contingente, della concezione antropologica e di un’attitudine poetica, con un occhio al minimalismo e alla land art americana, ma con una spinta mediterranea.
Nato nel 1940 Celant è diventato nel corso della sua lunga carriera di critico militante (guerrigliero anche nell’aspetto) uno dei maggiori curatori al mondo, lo ricordo a Venezia e nelle collaborazioni con la Fondazione Prada, nel suo tipico stile bianconero, lo si distingueva già da una certa distanza per via del contrasto della sua chioma d’argento (Argento anche il nome del figlio) in rapporto al completo scuro, spesso di pelle, arricchito da una serie di ornamenti che come amuleti indossava al polso e sulle dita, debitrici nel gioco del biliardo di quelle geometrie, che come lui ammetteva, lo avevano in qualche modo formato, nel saper dosare abilità e invenzione.
Durante questi anni abbiamo vissuto una trasformazione totale della società, la quale sembra oggi essere la paradossale produttrice dell’uomo e di conseguenza dell’arte, che subisce l’ordine delle cose. Ed anche se ribelle, provocatoria, dai contenuti espliciti deve comunque rimaner confinata all’interno del sistema, come una forma di intrattenimento, in cui perfino i più intransigenti si sono adattati alle regole del mercato.
L’arte ha da tempo perso la qualità visionaria ed iniziatica, che io invece inseguo costantemente nel mio lavoro. Mi auguro che la scomparsa di Celant aiuti a rimettere al centro l’autenticità e le differenze di ciascuno di noi, ognuno col proprio aspetto e stile, con le singole interpretazioni del presente, le quali non devono essere popolari e condivise, né volte alla ricerca del consenso. Al concetto commerciale di “nuovo” dovremmo sostituire quello epico di “originale”, concedendo più tempo alla creazione e ancor più alla comprensione dell’opera, che non può più avere la stessa velocità di assimilazione di un’immagine pubblicitaria e neppure l’appeal appariscente per spiccare tra migliaia nello stand e nel brusio di una fiera.
Così come le opere d’arte devono ritrovare i loro contenuti simbolici, così l’artista deve rintracciare se stesso e riconoscersi in modo netto: dote che apprezzai immediatamente in Germano Celant. Mi appariva misterioso e difficile, sfuggente e garbato, e dall’impostazione che prendevano le cose, individuavo subito che c’era lui e non un altro”.
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gnomobagnolo-blog · 7 years ago
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Se vi siete emozionati con la foto degli undici DAINI a spasso per il paese di Bagno di Romagna, vi invitiamo a godervi questo straordinario video del Sentiero degli Gnomi imbiancato dalla neve caduta in questi giorni, lasciandovi incantare (al minuto 5:38) dall’incontro con due CERVE splendide (di nome Petrella e Bertesca) di ritorno da una visita alla casa del loro fidato amico Gnomo Bàgnolo.
Gli Gnomi e gli animali del Bosco trascorrono tanto tempo insieme e sono legati da sentimenti preziosi: il rispetto e la fiducia!
Sicuramente gli Gnomi del Sentiero avranno organizzato un banchetto per tutti i loro amici animali del Bosco, per offrire loro un pasto caldo in questi giorni difficili, per allietarli con canti e racconti delle loro straordinarie avventure e per scaldarli con le pietre magiche del fuoco.
Esterno della Casa di Gnomo Bàgnolo, dove in inverno molti Gnomi e amici del Bosco si riuniscono per raccontarsi storie e avventure
Interno della Casa di Gnomo Bàgnolo, dove si preparano golosi banchetti e si serve dell’ottimo vino
E voi, avete fatto qualche incontro straordinario in questi giorni di inverno intenso?
Dopo i Daini anche due Cerve in visita al Sentiero degli Gnomi Se vi siete emozionati con la foto degli undici DAINI a spasso per il paese di Bagno di Romagna…
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russellmoreton · 9 months ago
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Leaving intact the value of the existence of things by Russell Moreton Via Flickr: Futuro, Presente, Passato: Remembering Germano Celant (1940–2020) Shumon Basar and Hans Ulrich Obrist www.e-flux.com The art historian, critic, and curator Germano Celant passed away on April 29, 2020, in Milan. Perennially clad in black, his hair a mane of swept-back white, he was as distinctive a physical presence as his presence has been in the art of the twentieth and twenty-first centuries. Described to us once as “a living Vasari”—a reference to the pioneering sixteenth-century author of Lives of the Most Excellent Painters, Sculptors, and Architects—Celant���s sustained output over the last six decades is a map that connects Italian avant-gardes to accelerated internationalism. Celant’s love for history’s radical turns in turn became the very engine through which he managed to shape institutions old and new. Celant produced and reproduced reality, par excellence. Here, we recall how he did this, and why that mattered. Baroque Beginnings Celant studied the Renaissance and the Baroque with the legendary art historian Eugenio Battisti at the University of Genoa in the early 1960s. Battisti’s 1962 book, L’antirinascimento (The Anti-Renaissance), became one of Celant’s formative influences. L’antirinascimento was later described by Christopher S. Wool as covering “a whole range of material and topics that don’t fit—automata, magic and talismanic images, wonders and portents, the Wunderkammer, astrology, alchemy, the topoi of the witch and the old man.” This eclectic synthesis of knowledge fields became a model for what Celant would later pursue. And from Battisti’s understanding of the Baroque, Celant told us he discovered that “there was no distinction between architecture, design, decoration.” What emerges is a total space where disparate categories can meet. The Baroque’s heightened use of sensory effects to stage drama and emotion, the “need to be surrounded by something,” as Celant said, also became the DNA for all that was to follow in his output. Guerrilla Warfare In 1963, Celant started to write for Marcatré, the leading interdisciplinary magazine in Italy, where art sat alongside cinema, design, and theory. Soon he also joined the architectural journal Casabella. In his capacity as art critic for both publications, he began to visit and befriend artists of previous generations, such as Lucio Fontana. But more importantly, he developed relationships with artists of his own generation throughout Italy. This led Celant in 1967, at the young age of twenty-seven, to curate his first seminal show, “Arte Povera – Im Spazio,” in Genoa’s Galleria la Bertesca. It marked the beginning of Arte Povera as an aesthetic, philosophical movement, whose ideas were refined in a manifesto-like text published in Flash Art the same year, entitled “Notes on a Guerrilla War.” Two years later, an eponymous book was released that included the artists Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Michelangelo Pistoletto, and many others. As Celant put it, “each of these artists chose to live with direct experience, and feel the necessity of leaving intact the value of the existence of things.” (These now feel like premonitory words in relation to the extinction and environmental crisis we face today.) Celant described the need for a “shift that has to be brought about … the return to limited and ancillary projects where the human being is the fulcrum and the fire of research, in replacement of the medium and the instrument.” Arte Povera therefore is “an art that asks only for the essential information, that refuses the dialogue with the social and cultural system and aspires to present itself as something sudden and unforeseen.” It acted as ballast against the loudest art at the time: that of American Pop, which was already perceived as an imperialistic presence in postwar Europe. Indeed, in 1964, Donald Judd had dismissed European art as mere “decoration.” Arte Povera, through Celant’s skills of rhetoric, friendship, and flair, proved there were alternative narratives, and that Italian culture was renewing its critical, countercultural vigor.
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arthisour-blog · 8 years ago
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Term coined by the Genoese critic Germano Celant in 1967 for a group of Italian artists who, from the late 1960s, attempted to break down the ‘dichotomy between art and life’ (Celant: Flash Art, 1967), mainly through the creation of happenings and sculptures made from everyday materials. Such an attitude was opposed to the conventional role of art merely to reflect reality. The first ArtePovera exhibition was held at the Galleria La Bertesca, Genoa, in 1967. Subsequent shows included those at the Galleria De’Foscherari in Bologna and the Arsenale in Amalfi (both 1968), the latter containing examples of performance art by such figures as Michelangelo Pistoletto. In general the work is characterized by startling juxtapositions of apparently unconnected objects: for example, in Venus of the Rags (1967; Naples, Di Bennardo), Pistoletto created a vivid contrast between the cast of an antique sculpture (used as if it were a ready-made) and a brightly coloured pile of rags. Such combination of Classical and contemporary imagery had been characteristic of Giorgio de Chirico’s work from c. 1912 onwards.
Arte Povera 1966 – 1971 was originally published on HiSoUR Art Collection
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mybeingthere · 3 years ago
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Jannis Kounellis was a Greek performance artist and sculptor born in 1936 in Greece (he died in 2017). Kounellis is widely associated with the Arte Povera movement, a radical arts movement focused on the simplistic and working against institutional and established entities. He moved to Rome to study at the Academy of Fine Arts and stayed in the city continuing his artistic practice. He frequently contributed to the Venice Biennale and has had solo exhibitions at the Tate Modern, London , the Neue Nationalgalerie, Berlin, the Albertina, Vienna, the Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid, and many more.
Arte Povera
In 1967, Kounellis became associated with Arte Povera, a movement theorized by curator Germano Celant as a major shift from work on flat surfaces to installations. Kounellis participated in the exhibition Arte Povera – e IM Spazio' at the La Bertesca Gallery in Genoa curated by Celant, which brought together artists whose work was concerned with the space between art and life, and nature and culture. Examples of artists who substantiated this basis of Arte Povera as a movement include Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Giulio Paolini, Pino Pascali and Emilio Prini. To solidify the movement, Celant curated yet another group show, 'Arte Povera', which was exhibited at the De' Foscherari gallery in Bologna in 1968 with similar artists. In the same year Kounellis exhibited 'Senza titolo (Untitled)', which consisted of raw wool, rope and a wooden structure all leaning against a wall. Finally, Kounellis was also included in 'RA3 Arte Povera + Azioni povere' which was organized by Marcello Rumma and curated by Celant.
https://en.wikipedia.org/wiki/Jannis_Kounellis
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russellmoreton · 1 year ago
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Leaving intact the value of the existence of things by Russell Moreton Via Flickr: Futuro, Presente, Passato: Remembering Germano Celant (1940–2020) Shumon Basar and Hans Ulrich Obrist www.e-flux.com The art historian, critic, and curator Germano Celant passed away on April 29, 2020, in Milan. Perennially clad in black, his hair a mane of swept-back white, he was as distinctive a physical presence as his presence has been in the art of the twentieth and twenty-first centuries. Described to us once as “a living Vasari”—a reference to the pioneering sixteenth-century author of Lives of the Most Excellent Painters, Sculptors, and Architects—Celant’s sustained output over the last six decades is a map that connects Italian avant-gardes to accelerated internationalism. Celant’s love for history’s radical turns in turn became the very engine through which he managed to shape institutions old and new. Celant produced and reproduced reality, par excellence. Here, we recall how he did this, and why that mattered. Baroque Beginnings Celant studied the Renaissance and the Baroque with the legendary art historian Eugenio Battisti at the University of Genoa in the early 1960s. Battisti’s 1962 book, L’antirinascimento (The Anti-Renaissance), became one of Celant’s formative influences. L’antirinascimento was later described by Christopher S. Wool as covering “a whole range of material and topics that don’t fit—automata, magic and talismanic images, wonders and portents, the Wunderkammer, astrology, alchemy, the topoi of the witch and the old man.” This eclectic synthesis of knowledge fields became a model for what Celant would later pursue. And from Battisti’s understanding of the Baroque, Celant told us he discovered that “there was no distinction between architecture, design, decoration.” What emerges is a total space where disparate categories can meet. The Baroque’s heightened use of sensory effects to stage drama and emotion, the “need to be surrounded by something,” as Celant said, also became the DNA for all that was to follow in his output. Guerrilla Warfare In 1963, Celant started to write for Marcatré, the leading interdisciplinary magazine in Italy, where art sat alongside cinema, design, and theory. Soon he also joined the architectural journal Casabella. In his capacity as art critic for both publications, he began to visit and befriend artists of previous generations, such as Lucio Fontana. But more importantly, he developed relationships with artists of his own generation throughout Italy. This led Celant in 1967, at the young age of twenty-seven, to curate his first seminal show, “Arte Povera – Im Spazio,” in Genoa’s Galleria la Bertesca. It marked the beginning of Arte Povera as an aesthetic, philosophical movement, whose ideas were refined in a manifesto-like text published in Flash Art the same year, entitled “Notes on a Guerrilla War.” Two years later, an eponymous book was released that included the artists Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Michelangelo Pistoletto, and many others. As Celant put it, “each of these artists chose to live with direct experience, and feel the necessity of leaving intact the value of the existence of things.” (These now feel like premonitory words in relation to the extinction and environmental crisis we face today.) Celant described the need for a “shift that has to be brought about … the return to limited and ancillary projects where the human being is the fulcrum and the fire of research, in replacement of the medium and the instrument.” Arte Povera therefore is “an art that asks only for the essential information, that refuses the dialogue with the social and cultural system and aspires to present itself as something sudden and unforeseen.” It acted as ballast against the loudest art at the time: that of American Pop, which was already perceived as an imperialistic presence in postwar Europe. Indeed, in 1964, Donald Judd had dismissed European art as mere “decoration.” Arte Povera, through Celant’s skills of rhetoric, friendship, and flair, proved there were alternative narratives, and that Italian culture was renewing its critical, countercultural vigor.
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milenaolesinska · 3 years ago
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Exposition Art Blog Claudio Costa - Italian Avant Garde Art
Claudio Costa (1942 – 1995, in Genova) was a Contemporary Artists from the 1970s avant-garde. Costa's artistic production is divided in several different periods. He explored Arte povera, Conceptual Art, paleontologist and anthropological art, alchemic art. As an artist associated with the Arte Povera movement, Costa's first exhibition took place at the La Bertesca Gallery in Genova directed by Francesco Masnata. He produced a series of "tele acide" (acid canvases) (1970–1971), where he deployed a new pictorial language made of symbolical and magic elements by mixing them with materials and glue-earth-bone-blood-acids. Costa explained the acid canvases in his writings: " More
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mybeingthere · 3 years ago
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Jannis Kounellis was a Greek performance artist and sculptor born in 1936 in Greece (he died in 2017). Kounellis is widely associated with the Arte Povera movement, a radical arts movement focused on the simplistic and working against institutional and established entities. He moved to Rome to study at the Academy of Fine Arts and stayed in the city continuing his artistic practice. He frequently contributed to the Venice Biennale and has had solo exhibitions at the Tate Modern, London , the Neue Nationalgalerie, Berlin, the Albertina, Vienna, the Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid, and many more.
Arte Povera
In 1967, Kounellis became associated with Arte Povera, a movement theorized by curator Germano Celant as a major shift from work on flat surfaces to installations. Kounellis participated in the exhibition Arte Povera – e IM Spazio' at the La Bertesca Gallery in Genoa curated by Celant, which brought together artists whose work was concerned with the space between art and life, and nature and culture. Examples of artists who substantiated this basis of Arte Povera as a movement include Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Giulio Paolini, Pino Pascali and Emilio Prini. To solidify the movement, Celant curated yet another group show, 'Arte Povera', which was exhibited at the De' Foscherari gallery in Bologna in 1968 with similar artists. In the same year Kounellis exhibited 'Senza titolo (Untitled)', which consisted of raw wool, rope and a wooden structure all leaning against a wall. Finally, Kounellis was also included in 'RA3 Arte Povera + Azioni povere' which was organized by Marcello Rumma and curated by Celant.
https://en.wikipedia.org/wiki/Jannis_Kounellis
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