#innovazione procurement
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SOGIN Avvia la Riorganizzazione dei Processi di Procurement Aziendale con Domenico Casalino
Il nuovo programma mira a migliorare l'efficienza e la qualità dell’approvvigionamento aziendale con l’ausilio di una delle figure più esperte nel settore degli approvvigionamenti pubblici.
Il nuovo programma mira a migliorare l’efficienza e la qualità dell’approvvigionamento aziendale con l’ausilio di una delle figure più esperte nel settore degli approvvigionamenti pubblici. L’8 ottobre 2024, la SOGIN ha annunciato l’avvio di un ambizioso programma di riorganizzazione dei processi aziendali di procurement, avvalendosi del contributo strategico di Domenico Casalino, uno dei…
#approvvigionamenti pubblici#approvvigionamento pubblico#automazione digitale#Consip#Digitalizzazione#Domenico Casalino#Domenico Casalino consulente#efficienza aziendale#ENAV#Gestione aziendale#gestione risorse#innovazione approvvigionamenti#innovazione aziendale#innovazione procurement#leadership aziendale#Luiss Business School#ministero dell’economia#ottimizzazione processi#processi aziendali#procurement Italia#procurement pubblico.#procurement SOGIN#programma procurement SOGIN#riduzione costi gestione#riorganizzazione procurement#semplificazione processi#settore privato#settore pubblico#Sogin#sostenibilità aziendale
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Difesa: approvate dal Consiglio dei Ministri le modifiche al TUOM per la riorganizzazione del Ministero della Difesa
Difesa: approvate dal Consiglio dei Ministri le modifiche al TUOM per la riorganizzazione del Ministero della Difesa Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha approvato il 24 maggio, in via preliminare, il regolamento con le modifiche al Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (TUOM). L'obiettivo del testo è quello di proseguire la riorganizzazione dell'Area tecnico-amministrativa centrale del Ministero della Difesa e degli uffici di diretta collaborazione del Ministro della Difesa. "Il DPCM appena approvato costituisce un ulteriore tassello, essenziale per l'ottimizzazione delle risorse e delle competenze del Dicastero, necessario per processi più snelli e decisioni più veloci, in un periodo storico in cui è fondamentale per il Sistema Paese essere rilevante in contesti strategici globali". Così il Ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il provvedimento ha un duplice scopo: 1) riorganizzare le strutture dirigenziali di livello generale a seguito della separazione delle cariche di Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti (operata con il decreto-legge n.75 del 2023); 2) adeguare il TUOM alle modifiche degli uffici di diretta collaborazione del Ministro della Difesa (disposte con l'articolo 7-ter del Decreto legge 22 aprile 2023, n. 44). La separazione delle cariche di Segretario Generale della Difesa e di Direttore Nazionale degli Armamenti ha fatto sorgere la necessità di una profonda riorganizzazione strutturale del Dicastero per potenziare i settori strategici della ricerca e dell'innovazione tecnologica, della politica industriale e del procurement militare. Il Direttore Nazionale degli Armamenti, sulla base degli indirizzi del Ministro della Difesa e delle direttive tecnico-operative del Capo di Stato Maggiore della Difesa, avrà fra gli altri il compito di proporre le azioni necessarie per armonizzare gli obiettivi del Dicastero con la politica economico-industriale e tecnico-scientifica nazionale, negli ambiti afferenti all'industria e alla tecnologia, all'innovazione, alla ricerca tecnologica, alla sperimentazione, allo sviluppo, alla produzione e agli approvvigionamenti, responsabilità ad oggi attestata nell'unica figura di SGD/DNA. Prevista inoltre la posizione di Direttore per la Politica di Difesa, con funzione di collaborazione, consulenza e assistenza al Vertice Politico del Dicastero nell'esercizio delle sue funzioni nelle materie di interesse militare ed industriale (figura in parte corrispondente a quella del Consigliere militare, abolita nel 2014). Nel provvedimento sono stati inoltre previsti, tra gli uffici di diretta collaborazione, l'Ufficio Comunicazione Difesa, con competenze in materia di pubblica informazione e comunicazione, e l'Ufficio coordinamento studi strategici e innovazione tecnologica, con compiti in tema di ricerca scientifica, nei campi della sicurezza strategica e dell'innovazione tecnologica. Entrambi gli Uffici assorbiranno competenze attualmente presenti nell'Ufficio del Gabinetto del Ministro. Il provvedimento passa ora all'esame del Consiglio di Stato per il previsto parere.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Piano Triennale PA 2024-2026: Guida alla Digitalizzazione nella Pubblica Amministrazione
Piano Triennale PA 2024-2026: Guida alla Digitalizzazione nella Pubblica Amministrazione
Nell'era digitale, la Pubblica Amministrazione Italiana (PA) sta attraversando una trasformazione radicale. Il "Piano Triennale per l'informatica nella PA 2024-2026", dettagliatamente esposto nel libro di Germano Costi, "Digitale al Servizio del Cittadino: Innovazione e Trasformazione nella Pubblica Amministrazione Italiana 2024-2026", segna un'epoca di rinnovamento focalizzata sull'efficienza, la trasparenza e l'accessibilità dei servizi pubblici.
Visione e Obiettivi
Il libro offre una panoramica esaustiva delle iniziative e dei piani strategici volti a integrare la tecnologia digitale nell'operato quotidiano della PA. L'obiettivo è chiaro: migliorare l'interazione tra cittadini e PA, rendendo i servizi più accessibili e fruibili.
Strategie e Sfide
Attraverso un'analisi dettagliata, Costi illustra la visione strategica e le sfide legate alla gestione del cambiamento organizzativo, sottolineando l'importanza del procurement digitale e dello sviluppo di infrastrutture solide.
Ruolo delle Nuove Tecnologie
Il libro esplora il potenziale dell'intelligenza artificiale e dei dati nel trasformare i servizi pubblici, enfatizzando l'importanza di una sicurezza informatica robusta per proteggere i dati dei cittadini.
Verso il Futuro
Nelle sue conclusioni, "Digitale al Servizio del Cittadino" non solo riflette sulle sfide future ma offre anche una prospettiva ottimistica sulle opportunità che la digitalizzazione può offrire alla PA italiana.
Acquista il Libro
Questo libro è un'opera essenziale per chiunque sia interessato alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione italiana. È acquistabile su Amazon attraverso questo link di affiliazione, garantendo accesso immediato a contenuti preziosi e strategie innovative per il futuro digitale dell'Italia.
Conclusione
Il "Piano Triennale PA 2024-2026" rappresenta una pietra miliare nell'evoluzione digitale della Pubblica Amministrazione italiana. "Digitale al Servizio del Cittadino" di Germano Costi è una lettura fondamentale per comprendere e partecipare attivamente a questo cambiamento.
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Dall’Inps una piattaforma per la trasparenza negli appalti
ROMA (ITALPRESS) – Si è tenuto presso la sede Inps di Palazzo Wedekind, un incontro per presentare una nuova procedura di Monitoraggio Congruità Occupazionale negli Appalti (MoCOA), studiata dall’Istituto per fornire agli operatori economici uno strumento di monitoraggio, per tracciare l’operato delle aziende negli appalti pubblici e privati, favorire i comportamenti virtuosi e scoraggiare pratiche sleali, che danneggiano i lavoratori e la corretta competitività. Gabriella Di Michele, direttore generale Inps, nell’aprire i lavori, ha raccontato la nascita della nuova procedura, scaturita dall’idea di far evolvere il Durc e di superarne i limiti. Grazie all’impegno delle professionalità dell’Istituto, si può parlare oggi di controllo del sistema degli appalti e dei subappalti, secondo il principio di “responsabilità solidale”, già espresso nella “Legge Biagi”. Grazie a questo nuovo sistema è già possibile tracciare le aziende e i loro lavoratori, per un maggior controllo sulla contribuzione e retribuzione. Solidarietà, quindi, tra committente, appaltatori e subappaltatori, a garanzia della regolarità del comportamento aziendale. Dall’applicazione di questa procedura, al momento utilizzabile dalle aziende su base volontaria, possono discendere diversi interventi migliorativi in termini di sicurezza sul lavoro, di lotta al lavoro nero, trasparenza degli appalti e tutela dei lavoratori. Ogni stazione appaltante è messa in grado di evitare oneri e sanzioni, cioè di rispondere in solidarietà, quindi ha tutta la convenienza nell’aderire a questa tecnologia. Pasquale Tridico, presidente Inps, ha ricordato come questo progetto, iniziato a marzo 2020 su proposta del Direttore generale e con la collaborazione di Confindustria ed Enel, “è una delle innumerevoli innovazioni realizzate dall’Istituto. La piattaforma del MoCOA consente alle aziende volontariamente di aderire e rintracciare le ditte che hanno partecipato e partecipano ai subappalti. Come per tanti altri nostri progetti, si tratta di una implementazione “bottom up”, scaturito dall’ascolto delle esigenze degli attori del mercato nostre controparti, le aziende, ed ha precorso i tempi del legislatore”. “Vogliamo inoltre spingere – ha proseguito Tridico – sulla buona pratica di un codice unico degli appalti, che possa rintracciare le retribuzioni, il fatturato, il volume d’affari anche nei subappalti, ceduti dai diversi committenti della filiera. Questo permetterebbe la verifica della congruità del volume d’affari e delle commesse al fine di contrastare pratiche elusive, che portano a retribuzioni inferiori al dovuto, dumping salariale, evasione fiscale e contributiva. Sono anche queste le innovazioni per migliorare il sistema economico e sociale del Paese”. Vincenzo Tedesco, direttore centrale Entrate Inps, ha ringraziato i dirigenti e i funzionari dell’Istituto che hanno collaborato alle fasi di studio e implementazione delle nuove procedure, elaborate nel difficile momento dell’emergenza pandemica. Importante l’apporto del mondo imprenditoriale desideroso di avere a disposizione nuovi strumenti di controllo di congruità tra dichiarazioni dei committenti e di appaltatori. Le nuove tecnologie saranno in grado di mettere in moto un sistema virtuoso che gioverà sotto molteplici aspetti. A spiegare più nel dettaglio le caratteristiche applicative della nuova procedura e il percorso che ha portato a questa innovazione sono intervenuti: Enrico Mazzacurati, Dirigente Area Procedure operative gestioni private Inps, Lorenzo Rinaldi, Dirigente Area Gestione aziende e lavoratori dipendenti. A rappresentare il punto di vista degli “stakeholder” dell’Inps, sono invece intervenute: Maria Magri Responsabile Previdenza – Area lavoro, Welfare e Capitale Umano di Confindustria e Alda Paola Baldi, Responsabile Procurement Italy Enel, le quali hanno evidenziato come sia importante per le grandi aziende avere una banca dati delle società appaltatrici virtuose, alle quale affidare le proprie commesse. Per il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha partecipato invece Romolo De Camillis, che ha ripercorso le fasi della sinergia fra le pubbliche amministrazioni e ha prospettato nuovi sviluppi applicativi della procedura, nei vari ambiti di lavoro, del settore pubblico e di quello privato. (ITALPRESS). Read the full article
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Exclusive Networks e Tomorrow Street: nuove opportunità per startup
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Exclusive Networks e Tomorrow Street: nuove opportunità per startup
Exclusive Networks e Tomorrow Street permettono alle startup di accedere a nuove opportunità di crescita. Exclusive Networks aiuterà ad accelerare il processo di crescita delle aziende del portafoglio di Tomorrow Street fornendo supporto alle loro attività e accesso ai suoi ampi canali di distribuzione.
Questa partnership fornirà inoltre a Exclusive Networks l’accesso a nuove tecnologie disruptive e all’ecosistema di innovazione di Tomorrow Street.
Exclusive Networks sigla un accordo con Tomorrow Street
Per Kenneth Graham, CEO di Tomorrow Street, “Exclusive Networks e Tomorrow Street hanno un obiettivo condiviso volto a identificare startup innovative e collaborare con loro per far crescere il loro business. L’ecosistema di Tomorrow Street, unito alla comprovata esperienza di Exclusive Networks per ciò che concerne innovazione, competenze di go-to-market e canali di distribuzione a livello globale, rappresenterà un enorme vantaggio per aiutare le startup a scalare la loro tecnologia in tutto il mondo.”
Andy Travers, EVP Worldwide Sales and Marketing at Exclusive Networks
“Scoprire start-up disruptive, accelerare il loro processo di go-to-market e creare valore sia per il canale che per i vendor fa parte del DNA di Exclusive Networks“, ha sottolineato Andy Travers, EVP Worldwide Sales and Marketing di Exclusive Networks. “Lavorare in sinergia con Tomorrow Street è l’ennesima dimostrazione del nostro approccio disruptive: evolviamo il nostro metodo di ricerca e selezione di nuove realtà che entrano nel mercato e forniamo una proposta per una rapida espansione per le startup in fase late-stage che si differenziano e hanno futuro. Lavorare con Vodafone e Tomorrow Street ci consente di integrare il loro capitale e le loro risorse con le nostre conoscenze di go-to-market e di processi di scalabilità. Un modo per pensare al ‘dopodomani’ dei nostri partner dell’ecosistema!”
Chi è Tomorrow Street?
La società si concentra sul far crescere e scalare le startup late-stage attraverso la forza della rete globale di Vodafone. Il pluripremiato centro di innovazione è una joint venture tra Vodafone Procurement Company e Technoport (l’incubatore del governo del Lussemburgo) ed è riconosciuto come un modello pionieristico che consente a Vodafone di offrire innovazione in modo rapido ed efficace per i suoi clienti e partner, contribuendo al contempo al settore tecnologico in espansione e all’ecosistema di startup in Lussemburgo.
Chi è Exclusive Networks?
Exclusive Networks è lo specialista globale VAD per la sicurezza informatica e le soluzioni cloud – le tecnologie di definizione e interdipendenti dell’era digitale. Le sue capacità sono supportate da portafogli di fornitori best-of-breed, competenze senza precedenti e una serie di servizi, dal supporto tecnico pre e post-vendita al leasing, formazione, servizi professionali e gestione globale dei progetti. Con oltre 50 uffici in cinque continenti e la presenza in oltre 100 paesi, il distributore ha un unico modello di “vendita locale su scala globale” che consente ai suoi partner di raggiungere una portata globale, offrendo al contempo tutto il valore aggiunto di un distributore specializzato a livello locale.
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Cambiare la Calabria cooperando, le proposte di Legacoop ai candidati
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/cambiare-la-calabria-cooperando-le-proposte-di-legacoop-ai-candidati/
Cambiare la Calabria cooperando, le proposte di Legacoop ai candidati
Cambiare la Calabria cooperando, le proposte di Legacoop ai candidati
Cambiare la Calabria cooperando. Questo l’invito mosso da Legacoop ai quattro candidati a presidente della Regione. Si tratta di un manifesto composto da idee, proposte, riflessioni affidate. Legacoop Calabria chiede, infatti, la massima attenzione su temi come: Riordino territoriale e Istituzionale; Governo del territorio rigenerazione urbana; Salvaguardia e tutela del territorio; Infrastrutture regionali; Sviluppo economico: attività produttive, politiche industriali; Ricerca e innovazione; Lavoro e Formazione; Credito e finanza; Appalti pubblici e public procurement; Sicurezza e legalità; Attrattività del sistema territoriale regionale e internazionalizzazione; Economia circolare e gestione dei rifiuti; Mobilità delle persone e delle merci; Sviluppo delle Aree interne; La programmazione dei Fondi strutturali europei 2021-2027; Agroalimentare; Welfare e sanità; Politiche abitative; Politiche culturali e dello sport; Politiche del Turismo. “I cooperatori chiedono di accelerare la ricostruzione del sistema calabrese dando maggiori poteri agli enti locali – si legge inoltre nel manifesto -. Uno degli obiettivi primari da porci nei prossimi anni è il superamento del commissariamento nella sanità. Altra priorità è ridurre la burocrazia che frena gli investimenti ed i programmi delle imprese. In terzo luogo sarà prioritario superare le gare al massimo ribasso che comprimono i diritti dei lavoratori, riducono la qualità dei servizi e premiano le imprese meno qualificate. Su questo punto, chiediamo ai candidati l’approvazione di una legge regionale chiara e semplice che superi questa logica nelle gare pubbliche. Altro tema centrale per la cooperazione è investire nel welfare e sulle fasce deboli della popolazione”. I cooperatori confermano ai candidati “il proprio impegno a dare un contributo al rilancio ed allo sviluppo della regione. In questa prospettiva la cooperazione chiede un impegno per il sostegno della nascita e dello sviluppo delle imprese recuperate dai lavoratori in forma cooperativa (WorkersBuyOut). Queste imprese negli anni della crisi economica hanno permesso di recuperare importanti realtà produttive della regione e di salvare centinaia di posti di lavoro”. “Sarebbe auspicabile la costituzione di un tavolo permanente con gli assessorati competenti (lavoro, attività produttive), il mondo della cooperazione ed i sindacati, quest’ultimi rappresentano le “antenne” più sensibili sulle crisi aziendali – suggerisce ancora Legacoop -. Inoltre la cooperazione chiede ai candidati l’approvazione di una proposta di legge regionale che disciplina le cooperative di comunità, uno strumento innovativo che può essere utilizzato per rivitalizzare le aree rurali e per riqualificare le aree urbane degradate delle città, innescando e favorendo meccanismi di rigenerazione urbana che parta dal basso e che indirizzi gli interventi strutturali verso i reali fabbisogni sociali. Le cooperative sono imprese legate al territorio, che non delocalizzano, che negli anni della crisi hanno resistito e ora sono pronte a lavorare per far ripartire l’economia regionale collaborando con gli attori pubblici, i cittadini e le imprese private”.
Cambiare la Calabria cooperando. Questo l’invito mosso da Legacoop ai quattro candidati a presidente della Regione. Si tratta di un manifesto composto da idee, proposte, riflessioni affidate. Legacoop Calabria chiede, infatti, la massima attenzione su temi come: Riordino territoriale e Istituzionale; Governo del territorio rigenerazione urbana; Salvaguardia e tutela del territorio; Infrastrutture regionali; Sviluppo economico: attività produttive, politiche industriali; Ricerca e innovazione; Lavoro e Formazione; Credito e finanza; Appalti pubblici e public procurement; Sicurezza e legalità; Attrattività del sistema territoriale regionale e internazionalizzazione; Economia circolare e gestione dei rifiuti; Mobilità delle persone e delle merci; Sviluppo delle Aree interne; La programmazione dei Fondi strutturali europei 2021-2027; Agroalimentare; Welfare e sanità; Politiche abitative; Politiche culturali e dello sport; Politiche del Turismo. “I cooperatori chiedono di accelerare la ricostruzione del sistema calabrese dando maggiori poteri agli enti locali – si legge inoltre nel manifesto -. Uno degli obiettivi primari da porci nei prossimi anni è il superamento del commissariamento nella sanità. Altra priorità è ridurre la burocrazia che frena gli investimenti ed i programmi delle imprese. In terzo luogo sarà prioritario superare le gare al massimo ribasso che comprimono i diritti dei lavoratori, riducono la qualità dei servizi e premiano le imprese meno qualificate. Su questo punto, chiediamo ai candidati l’approvazione di una legge regionale chiara e semplice che superi questa logica nelle gare pubbliche. Altro tema centrale per la cooperazione è investire nel welfare e sulle fasce deboli della popolazione”. I cooperatori confermano ai candidati “il proprio impegno a dare un contributo al rilancio ed allo sviluppo della regione. In questa prospettiva la cooperazione chiede un impegno per il sostegno della nascita e dello sviluppo delle imprese recuperate dai lavoratori in forma cooperativa (WorkersBuyOut). Queste imprese negli anni della crisi economica hanno permesso di recuperare importanti realtà produttive della regione e di salvare centinaia di posti di lavoro”. “Sarebbe auspicabile la costituzione di un tavolo permanente con gli assessorati competenti (lavoro, attività produttive), il mondo della cooperazione ed i sindacati, quest’ultimi rappresentano le “antenne” più sensibili sulle crisi aziendali – suggerisce ancora Legacoop -. Inoltre la cooperazione chiede ai candidati l’approvazione di una proposta di legge regionale che disciplina le cooperative di comunità, uno strumento innovativo che può essere utilizzato per rivitalizzare le aree rurali e per riqualificare le aree urbane degradate delle città, innescando e favorendo meccanismi di rigenerazione urbana che parta dal basso e che indirizzi gli interventi strutturali verso i reali fabbisogni sociali. Le cooperative sono imprese legate al territorio, che non delocalizzano, che negli anni della crisi hanno resistito e ora sono pronte a lavorare per far ripartire l’economia regionale collaborando con gli attori pubblici, i cittadini e le imprese private”.
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SAN BENEDETTO – La Direzione di Area Vasta 5 con determina n 141 del 31.01.2019 ha conferito al dott. Marco Giri, primo classificato a seguito di procedura concorsuale, l’incarico quinquennale di Direttore Medico della Struttura Complessa di “Psichiatria Ospedaliera“ del Madonna del Soccorso di San Benedetto del Tronto. Alla determina di assegnazione seguirà la sottoscrizione del formale contratto individuale di lavoro. La UOC Psichiatria Ospedaliera insieme alla UOC Psichiatria Territoriale, costituiscono il Dipartimento Salute Mentale.
Alla UOC Psichiatria Ospedaliera afferiscono due strutture, articolate nei due plessi ospedalieri della AV 5: il Servizio Psichiatrico Diagnosi Cura, dotato di 16 posti letto, ubicato presso lo Stabilimento Ospedaliero di San Benedetto del Tronto. Accoglie ricoveri acuti, volontari e obbligatori (TSO), dal Territorio e dal Dipartimento Emergenza, con oltre 400 ricoveri annui.
Il Day Hospital, dotato di 2 posti letto, ubicato presso lo Stabilimento Ospedaliero di Ascoli Piceno. Accoglie ricoveri diurni programmati, per cicli diagnostici e terapeutici. Entrambe le strutture lavorano in Area Vasta ed integrano l’attività del Dipartimento Salute Mentale con i servizi di prossimità, come le Dipendenze Patologiche, le Cure Tutelari, il Servizio Minori, il Servizio Multidisciplinare dell’età adulta e con i Servizi del territorio: Servizi Sociali, Amministrazioni Pubbliche, Associazioni di Familiari e di Volontariato Sociale e, sempre con maggiore rilievo ed incidenza, con le Forze dell’Ordine, Procure e Tribunali.
La scelta del nuovo Direttore, da anni in servizio presso il Dipartimento Salute Mentale dell’AV5, rappresenta un riconoscimento ed un impegno di sviluppo per il modello operativo della continuità assistenziale ospedale-territorio, da anni teorizzato e praticato dall’intera equipe multidisciplinare, in integrazione con gli altri DSM della Regione Marche.
La Direzione di Area Vasta 5, consapevole dell’impegno professionale richiesto e profuso da tutti gli operatori per garantire qualità ed innovazione nel campo della assistenza e tutela della Salute Mentale nella popolazione provinciale, metterà in campo tutti gli strumenti atti a migliorare l’efficacia e l’efficienza della UOC Psichiatria Ospedaliera e del Dipartimento Salute Mentale.
Il dott. Marco Giri è nato a Montecassiano (MC) il 15-09-1958. Laureato in Medicina nel 1985 presso l’Università “La Sapienza” di Roma, specializzato in Psichiatria presso l’Università Politecnica delle Marche nel 1991. Dal 1992, ha lavorato continuativamente nei Servizi Pubblici con esperienze professionali in Lombardia e presso altri Dipartimenti della Regione Marche. Dal 2002 lavora presso l’Area Vasta 5, con incarichi di tipo territoriale, semiresidenziale ed ospedaliero, acquisendo esperienza professionale globale nell’area della Salute Mentale.
Dal 2017, ha assunto l’incarico di direttore sostituto della UOC Psichiatria Ospedaliera del DSM, sviluppando l’organizzazione dei servizi offerti agli utenti con attenzione all’integrazione territoriale. Da anni, docente di Psicologia Clinica presso la Facoltà di Medicina della Università Politecnica delle Marche e relatore a corsi di formazione ASUR e congressi. Consigliere della Società Italiana di Psichiatria, sezione Marche.
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Edifici Near Zero Energy e dai materiali riciclati, obiettivi a portata di mano
Obiettivo edifici ad energia quasi zero, obiettivo riciclo materiali: l’edilizia oggi ha tutte le carte in regola per centrarli. Normativa, informazione e compentenze sono le chiavi.
La Direttiva europea 31/2010, EPBD 2 (Energy Performance of Buildings Directive), sulla prestazione energetica in edilizia, individua una chiara traiettoria di cambiamento per il settore delle costruzioni: dal 1° gennaio 2019 infatti tutti i nuovi edifici pubblici dell’UE (scuole, sedi comunali, biblioteche ecc..), e dal 1° gennaio 2021 tutti quelli nuovi privati, dovranno essere “Near Zero Energy”.
Ma cosa sono gli edifici a energia quasi zero? E che caratteristiche devono avere? Secondo la definizione piuttosto vaga fornita dalla Direttiva e ripresa dal Decreto di recepimento, l’edifico a energia quasi zero è un “edificio ad altissima prestazione energetica … con un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo, coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema (in situ)“. “Near zero” significa quindi garantire prestazioni di rendimento tali da non aver bisogno di apporti ulteriori per il riscaldamento ed il raffrescamento, oppure che dovranno essere soddisfatti attraverso l’apporto di fonti rinnovabili.
Un obiettivo prestazionale che comporta una innovazione profondissima rispetto alla progettazione e ai cantieri, ed anche alla gestione successiva degli edifici, i quali dovranno garantire queste prestazioni attraverso materiali, impianti e sistemi risultati certificabili.
Dal punto divista progettuale, le scelte che riguardano gli edifici con prestazioni al limite dell’autosufficienza energetica, si inseriscono in un percorso che si è già avviato da tempo e che ha portato anche a determinare in maniera puntuale gli interventi necessari, tra i quali si citano come esempi:
l’uso esteso dei materiali isolanti, di sistemi vegetali ombreggianti, l’installazione di dispositivi schermanti;
la diffusione dei principi costruttivi dell’architettura bioclimatica;
l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili quali fonti energetiche primarie, da utilizzare al massimo delle loro potenzialità e l’attribuzione, per le fonti energetiche convenzionali, di una funzione integrativa e/o di backup per l’edificio;
lo sfruttamento dell’inerzia termica dell’edificio per ridurre le potenze degli impianti;
l’utilizzo della domotica per gestire in modo ottimale i servizi energetici.
Ci sono poi altre novità importanti:
La Direttiva 2008/98/CE, che riguarda invece il riutilizzo e il riciclo dei materiali provenienti da costruzione e demolizione (C&D), indica con chiarezza l’obiettivo del 70% di utilizzo di materiali da riciclo al 2020, e la necessità di accompagnare nei diversi Paesi, attraverso specifici provvedimenti, il target.
A livello europeo sono stati introdotti dei criteri per il Green Public Procurement, ossia criteri da impiegare all’interno delle gare per l’acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni (GPP Criteria for Office Building Design, Construction and Management del Maggio 2016).
Spostandosi in Italia, nel D.Lgs 50/2016, articoli 17-19 (Codice degli appalti) sono state introdotte disposizioni per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali e per agevolare il ricorso agli appalti verdi, da adottare sempre con Decreti del Ministero dell’Ambiente, attraverso la valutazione dei costi del ciclo di vita, inclusa la fase di smaltimento e recupero e l’introduzione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici (CAM).
In questo scenario di evoluzione normativa e scadenze a breve, molti sono i modi in cui la politica e gli enti deputati a legiferare o regolamentare, anche premiando, possono agire come volano per l’attuazione degli obiettivi di efficientamento energetico degli edifici, dello sviluppo delle rinnovabili, del riciclo e recupero dei materiali.
L’Europa, come si è visto, questa strada l’ha già scelta ed è molto chiara, deve però essere supportata da scelte altrettanto chiare e coerenti da parte degli Stati membri che aiutino a superare le barriere tecniche e giuridiche, ma anche di informazione.
Oggi non ci sono più nemmeno motivazioni tecniche che possono essere usate come scuse per rinviare la scelta di un approccio davvero incentrato sulla sostenibilità del settore; i materali e i sistemi certificati innovativi e sostenibili da utilizzare ci sono. Legambiente e Osservatorio Recycle hanno messo a punto un Rapporto di 100 schede, detto anche Libreria MAINN, di tecnologie che permettono di trasformare un problema – ad esempio i rifiuti derivati dalle demolizioni, un tema di proporzioni enormi nel centro Italia dopo i terremoti recenti- in una risorsa, attraverso la trasformazione in mattoni. Oppure di materiali compositi che utilizzano materie naturali con prestazioni certificate attraverso il recupero di usi e competenze antiche. Ma anche di sistemi pensati per migliorare le prestazioni antisismiche nella riqualificazione del patrimonio edilizio – tema purtroppo di grande attualità – o per raggiungere standard energetici e ambientali elevati.
E bisogna sempre tenere presente che tutto ciò che viene ora investito in innovazione consentirà anche in futuro di abbattere i costi di intervento e di lavorare su riqualificazioni meno invasive.
Il settore dell’edilizia che fino a ieri è stato considerato tra quelli con il più alto impatto ambientale e consumo di materiali, oltre che di suolo, oggi può rappresentare un tassello fondamentale della rivoluzione dell’economia circolare e di quella energetica, con un contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento atmosferico.
Attenzione, non è un tema solo per ricercatori o addetti ai lavori. Perchè solo se il settore edilizio diventerà davvero trasparente e credibile, si potrà, oltre che a diffondere questi materiali e tecnologie a beneficio dell’ambiente e della salute, rispettare il diritto di una famiglia a vivere in una casa costruita con materiali naturali e sistemi di risparmio efficaci, come magari gli è stato detto al momento dell’acquisto.
Fonti:
http://www.nextville.it/normativa/1033/direttiva-parlamento-europeo-e-consiglio-ue-2010-3/
https://ift.tt/2pH1CBJ
http://www.cened.it/lombardiapiu
“LombardiA+. L’edilizia a consumo quasi zero in Lombardia”- realizzato dall’Organismo di accreditamento con il contributo del Dipartimento BEST del Politecnico di Milano.
Autore: Maria Antonientta Giffoni, http://www.nextville.it/news/1365
http://fonti-rinnovabili.it/mainn/
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Migranti ancora in alto mare. Tuccillo di Avocats Sans Frontières Italia, "subito un porto europeo". Aiutiamoli a casa loro? "Va bene ma non a chiacchiere”
Probabilmente si arriverà a breve ad una soluzione nella vicenda dei 49 migranti bloccati al largo di Malta sulle navi Sea Watch e Sea Eye. Circa dieci i Paesi che hanno offerto la propria disponibilità ad accoglierli (Italia, Germania, Francia, Portogallo, Lussemburgo, Olanda e Romania) solo e soltanto dopo che il governo di Malta inizierà a collaborare facendo attraccare le navi nei suoi porti. La Valletta, invece, alza la posta e chiede che oltre alle 49 persone a bordo delle due navi delle ong, siano ridistribuiti anche altri 249 profughi salvati nei giorni scorsi. Nessuna disponibilità, invece, dai paesi del blocco Visegrad come la Polonia e l'Ungheria. Oggi Sea Watch, scrive l'Ansa, ha lanciato l'allarme, i migranti a bordo hanno iniziato a rifiutare il cibo. La stessa Ong tedesca in un tweet ha ribadito il timore che "il loro stato psicologico e di salute possa peggiorare sensibilmente". "A bordo di SeaWatch stiamo registrando episodi di persone che rifiutano il cibo - scrive l'organizzazione non governativa - Non possiamo credere che tutto questo stia accadendo a poche miglia dalle coste europee". Intanto la Germania si è detta disponibile a partecipare all'accoglienza dei profughi delle due navi, "nell'ambito di una soluzione solidale europea". Lo ha detto il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert, in conferenza stampa a Berlino, rispondendo ad alcune domande sullo sviluppo della situazione dei profughi delle imbarcazioni della Sea Watsch e della Sea Eye. Berlino, che ha anche "intensi contatti e colloqui" con la Commissione Ue per risolvere l'emergenza, "sostiene gli sforzi di Bruxelles" di queste ore in questa direzione. Fonti del governo italiano ribadiscono che non c'è stata nessuna polemica tra il ministro Matteo Salvini, il presidente Giuseppe Conte e altri componenti del governo sul caso Sea Watch e Sea Eye. Il ministro dell'Interno Matteo Salvini non cambia posizione e ribadisce la contrarietà a qualsiasi arrivo via mare in Italia, per bloccare una volta per tutte il traffico di esseri umani che arricchisce scafisti, mafiosi e trafficanti. La soluzione sono i corridoi umanitari via aereo per chi scappa davvero dalla guerra, già confermati dal ministro Salvini anche per il 2019.
Francescomaria Tuccillo Nell'intera vicenda il segretario generale dell’associazione Avocats Sans Frontières Italia, Francescomaria Tuccillo ha evidenziato per primo il vuoto legislativo che fa da sfondo alle affermazioni del governo e ha presentato, giorni fa, un esposto alle Procure di Roma e di Napoli. In questo periodo Tuccillo si trova in Africa: dopo qualche giorno in Zimbabwe ora è a Nairobi, in Kenya. Rossella D'Averio sulla testata Juorno.it lo ha intervistato per approfondire la delicata tematica. I migranti a bordo della “Sea Watch” e della “Sea Eye” sono in totale meno di cinquanta, ma la loro vicenda sta diventando non solo umanamente inaccettabile, ma anche politicamente simbolica. Oltre delle affermazioni di facciata, dal sapore più o meno propagandistico, come pensa si dovrebbe affrontare il problema delle migrazioni? "Innanzi tutto credo sia bene sottolineare le dimensioni storiche e cronologiche del fenomeno migratorio, che affonda le sue radici nel tempo ed è destinato a durare a lungo. L’impoverimento delle popolazioni africane (di cui i paesi occidentali sono in gran parte responsabili perché hanno consumato per secoli le vaste risorse naturali del cosiddetto “continente nero” senza contropartita alcuna per chi vi vive), associato ai cambiamenti climatici e all’assenza di democrazia in molte nazioni, sono all’origine della migrazione biblica cui assistiamo dal Sud al Nord del mondo, motivata da ragioni di pura sopravvivenza." Chi mette i suoi figli su un barcone insicuro, pagando un prezzo, non compie certo una scelta di diletto: scappa dalla fame, dalla sete, dalle torture e dalla guerra. E continuerà a farlo. Non è quindi proclamando a forza di post e di tweet la chiusura dei porti italiani (peraltro illegale in assenza in un decreto specifico) che si risolverà il problema dei flussi migratori. Il fenomeno meriterebbe una riflessione etica, geopolitica, sociale, economica e legislativa profonda, che vada ben oltre la demagogia di breve termine. In sintesi, quali le paiono le strade da percorrere? La prima, nell’immediato, mi pare l’apertura rapida del porto europeo più vicino, sia esso maltese o siciliano, per prestare immediato soccorso a chi ne ha bisogno. Mi auguro che la concreta solidarietà di cui ha parlato Papa Francesco non resti lettera morta o buona intenzione senza seguito affidata a un giornale o a un post. È noto quali siano le vie lastricate di buone intenzioni. In una prospettiva più ampia, rispondo con due parole: Europa e internazionalità. E mi spiego. È indubbio che l’Europa, tristemente assente dalla scena in questi giorni (e non per la prima volta), dovrebbe invece avere una voce politica forte per poter affrontare con autorevolezza e coesione un dramma che marcherà i prossimi decenni. E sottolineo volutamente l’aggettivo “politica”. Oggi l’Unione non è attrezzata per farlo, perché la sua dimensione è in sostanza puramente burocratica ed economica. Anche se può parere irrealistico, è davvero tempo di ripensare le strutture giuridiche e i trattati europei tornando alle origini, cioè all’idea di Europa dei suoi padri fondatori. Non è questa la sede per approfondire l’argomento, ma occorrerebbe trovare il coraggio di edificare una “nuova” Europa politica in grado di fronteggiare problemi globali che i suoi vecchi e piccoli Stati-nazione di matrice ottocentesca non sanno e non possono risolvere da soli, come dimostrano ogni giorno. Konrad Adenauer scrisse decenni fa: «L’unità dell’Europa era un sogno di pochi. È stata una speranza per molti. Oggi è una necessità per tutti». Mi pare che la citazione si adatti perfettamente al nostro tempo. Senza Europa, senza una nuova Europa, siamo e saremmo inermi davanti all’evoluzione economica, marginali di fronte alle potenze mondiali antiche e nuove e inefficaci – oltre che inumani – nella gestione del problema migratorio. E che cosa intende con “internazionalità”? Nel breve-medio termine, in attesa che questa nuova Europa si costruisca, guardiamo all’Italia e alle sue imprese. Oltre a essere avvocato, sono stato e sono un manager di aziende operanti in diversi settori di attività e ho lavorato per dieci anni in Africa, sia come imprenditore sia come dirigente di grandi gruppi industriali. È a ragion veduta quindi che vorrei sottolineare come l’Italia possieda un saper fare ineguagliato in termini di competenze professionali, innovazione, prodotti industriali e artigianali, infrastrutture, gestione delle risorse idriche e agricole, produzione e distribuzione di beni di largo consumo. Un saper fare che è apprezzato nel mondo, ma non si internazionalizza a sufficienza. Penso soprattutto alle piccole e medie imprese, che sono la colonna vertebrale della nostra economia, e ai paesi africani come mercato di sbocco. Il Nord Italia è pieno di società di questo tipo, eccellenti ma troppo spesso ripiegate sul mercato nazionale, intimorite o non aiutate abbastanza a esportare. I loro prodotti – dalle macchine agricole ai mobili, dagli alimentari alle costruzioni – sarebbero utilissimi alle nazioni africane o, per lo meno, a molte tra esse. Spesso, parlando di Africa, si generalizza a sproposito, sia per quanto riguarda i regimi politici sia per quanto concerne i suoi abitanti. L’Africa è un continente con un miliardo e duecentomila persone e cinquantaquattro nazioni, alcune ancora ancorate a regimi dittatoriali post-coloniali e, in genere economicamente sofferenti. Altre invece in fase di decisa trasformazione, cioè in cammino verso una maggiore stabilità democratica ed economica. Se nelle nazioni poco democratiche l’intervento politico internazionale è prioritario (da cui la necessità di un’Europa forte sulla scena mondiale), in quelle in evoluzione si potrebbe avviare un percorso di crescita benefico sia per la loro economia sia per il nostro business. In altre parole, se le aziende italiane grandi e medie incrementassero le loro attività africane, potrebbero creare valore per se stesse e lavoro per l’Africa. Sarebbe questo il modo migliore per aiutare gli africani «a casa loro» e non solo a parole. Ovviamente per farlo occorrerebbe una politica industriale intelligente, lungimirante e, aggiungerei, “umanistica”, cioè guidata non solo dall’interesse di pochi ma dal bene comune di molti. Più in concreto, quali azioni potrebbero compiersi a breve? Ce ne sono tante. Innanzi tutto, lo ripeto, sarebbero necessarie una politica industriale e una politica estera coerenti tra loro, attive, strategiche, autorevoli, dotate di pensiero lungo e aperte al mondo, non ripiegate su se stesse e sulle proprie urgenze elettorali. Inoltre, per venire ad azioni più immediate, si potrebbe incentivare il counter trading, promuovere un sistema bancario più efficace e competitivo e infine ampliare e dinamizzare il ruolo di Ice, l’agenzia per la promozione all’estero delle imprese italiane, e di Sace, l’azienda della Cassa Depositi e Prestiti che dovrebbe accompagnare l’internazionalizzazione delle aziende con i suoi servizi assicurativi e finanziari. Ice dovrebbe andare oltre compiti puramente rappresentativi e Sace radicarsi nel territorio, fare formazione, aggiornare i suoi dati e comunicare non solo sulle evoluzioni ma anche sulle potenzialità di ogni paese. Le faccio due soli esempi tra i tanti, relativi ai paesi che ho appena visitato o in cui mi trovo. Pensiamo allo Zimbabwe: se un imprenditore italiano di buon senso guardasse la cosiddetta “scheda paese” sul sito web della Sace, non sarebbe mai propenso a investirvi. Purtroppo i dati risalgono al 2017 e non c’è nessuna informazione sulle ultime evoluzioni di questa nazione. A Harare è insediato, dallo scorso autunno, un nuovo governo, che ha posto fine al potere quarantennale assoluto di Robert Mugabe. È stato annunciato un piano quadriennale di stabilizzazione delle finanze, che ha ricevuto l’approvazione e il supporto del Fondo Monetario Internazionale. E le priorità in termini di infrastrutture, beni di consumo e gestione delle risorse naturali sono molte e promettenti. Varrebbe la pena di esplorarle con attenzione. Quanto al Kenya, è la controprova di quanto ho appena detto. Il paese è in crescita, sono già molte le aziende europee e italiane grandi e medio-piccole che vi sono presenti nei settori delle costruzioni edili, dell’arredamento o del food & beverage. E non ci sono kenioti che emigrano. Nessuno qui si sognerebbe di farlo. Senza parlare dell’Angola, nazione ricchissima. Comperare un appartamento in centro a Luanda, la capitale, costa come comprarlo a Manhattan o a Kensington. E addirittura è ora difficile per un italiano ottenere un visto d’ingresso in Angola, così come lo è per un africano ottenerlo in Italia. Insomma, stiamo attenti a dire “Africa”. Stiamo attenti a non cadere nei luoghi comuni generalizzanti che purtroppo sono entrati a far parte del linguaggio corrente di alcuni tra i nostri politici. L’Africa è grande, varia, ricca di risorse e in evoluzione. E stabilirvi relazioni politiche, economiche e industriali costruttive è non solo positivo per noi e per loro, ma diventerà necessario. In sostanza politica, economia e industria potrebbero, se efficacemente condotte e coerenti tra loro, aiutare a risolvere anche il problema delle migrazioni? Sì, in estrema sintesi sì. I problemi epocali del nostro tempo richiedono risposte globali intelligenti e non formule magiche. Una politica lungimirante e generosa, un’economia al passo con i tempi e un’industria aperta davvero al mondo potrebbero, insieme, dare risposte concrete a questo problema. E a molti altri. Read the full article
#Africa#Conte#FrancescomariaTuccillo#Germania#Italia#Malta#Polonia#Salvini#SeaEye#SeaWatch3#Ungheria#Visegrad
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Edifici Near Zero Energy e dai materiali riciclati, obiettivi a portata di mano
Obiettivo edifici ad energia quasi zero, obiettivo riciclo materiali: l’edilizia oggi ha tutte le carte in regola per centrarli. Normativa, informazione e compentenze sono le chiavi.
La Direttiva europea 31/2010, EPBD 2 (Energy Performance of Buildings Directive), sulla prestazione energetica in edilizia, individua una chiara traiettoria di cambiamento per il settore delle costruzioni: dal 1° gennaio 2019 infatti tutti i nuovi edifici pubblici dell’UE (scuole, sedi comunali, biblioteche ecc..), e dal 1° gennaio 2021 tutti quelli nuovi privati, dovranno essere “Near Zero Energy”.
Ma cosa sono gli edifici a energia quasi zero? E che caratteristiche devono avere? Secondo la definizione piuttosto vaga fornita dalla Direttiva e ripresa dal Decreto di recepimento, l’edifico a energia quasi zero è un “edificio ad altissima prestazione energetica … con un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo, coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema (in situ)“. “Near zero” significa quindi garantire prestazioni di rendimento tali da non aver bisogno di apporti ulteriori per il riscaldamento ed il raffrescamento, oppure che dovranno essere soddisfatti attraverso l’apporto di fonti rinnovabili.
Un obiettivo prestazionale che comporta una innovazione profondissima rispetto alla progettazione e ai cantieri, ed anche alla gestione successiva degli edifici, i quali dovranno garantire queste prestazioni attraverso materiali, impianti e sistemi risultati certificabili.
Dal punto divista progettuale, le scelte che riguardano gli edifici con prestazioni al limite dell’autosufficienza energetica, si inseriscono in un percorso che si è già avviato da tempo e che ha portato anche a determinare in maniera puntuale gli interventi necessari, tra i quali si citano come esempi:
l’uso esteso dei materiali isolanti, di sistemi vegetali ombreggianti, l’installazione di dispositivi schermanti;
la diffusione dei principi costruttivi dell’architettura bioclimatica;
l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili quali fonti energetiche primarie, da utilizzare al massimo delle loro potenzialità e l’attribuzione, per le fonti energetiche convenzionali, di una funzione integrativa e/o di backup per l’edificio;
lo sfruttamento dell’inerzia termica dell’edificio per ridurre le potenze degli impianti;
l’utilizzo della domotica per gestire in modo ottimale i servizi energetici.
Ci sono poi altre novità importanti:
La Direttiva 2008/98/CE, che riguarda invece il riutilizzo e il riciclo dei materiali provenienti da costruzione e demolizione (C&D), indica con chiarezza l’obiettivo del 70% di utilizzo di materiali da riciclo al 2020, e la necessità di accompagnare nei diversi Paesi, attraverso specifici provvedimenti, il target.
A livello europeo sono stati introdotti dei criteri per il Green Public Procurement, ossia criteri da impiegare all’interno delle gare per l’acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni (GPP Criteria for Office Building Design, Construction and Management del Maggio 2016).
Spostandosi in Italia, nel D.Lgs 50/2016, articoli 17-19 (Codice degli appalti) sono state introdotte disposizioni per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali e per agevolare il ricorso agli appalti verdi, da adottare sempre con Decreti del Ministero dell’Ambiente, attraverso la valutazione dei costi del ciclo di vita, inclusa la fase di smaltimento e recupero e l’introduzione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici (CAM).
In questo scenario di evoluzione normativa e scadenze a breve, molti sono i modi in cui la politica e gli enti deputati a legiferare o regolamentare, anche premiando, possono agire come volano per l’attuazione degli obiettivi di efficientamento energetico degli edifici, dello sviluppo delle rinnovabili, del riciclo e recupero dei materiali.
L’Europa, come si è visto, questa strada l’ha già scelta ed è molto chiara, deve però essere supportata da scelte altrettanto chiare e coerenti da parte degli Stati membri che aiutino a superare le barriere tecniche e giuridiche, ma anche di informazione.
Oggi non ci sono più nemmeno motivazioni tecniche che possono essere usate come scuse per rinviare la scelta di un approccio davvero incentrato sulla sostenibilità del settore; i materali e i sistemi certificati innovativi e sostenibili da utilizzare ci sono. Legambiente e Osservatorio Recycle hanno messo a punto un Rapporto di 100 schede, detto anche Libreria MAINN, di tecnologie che permettono di trasformare un problema – ad esempio i rifiuti derivati dalle demolizioni, un tema di proporzioni enormi nel centro Italia dopo i terremoti recenti- in una risorsa, attraverso la trasformazione in mattoni. Oppure di materiali compositi che utilizzano materie naturali con prestazioni certificate attraverso il recupero di usi e competenze antiche. Ma anche di sistemi pensati per migliorare le prestazioni antisismiche nella riqualificazione del patrimonio edilizio – tema purtroppo di grande attualità – o per raggiungere standard energetici e ambientali elevati.
E bisogna sempre tenere presente che tutto ciò che viene ora investito in innovazione consentirà anche in futuro di abbattere i costi di intervento e di lavorare su riqualificazioni meno invasive.
Il settore dell’edilizia che fino a ieri è stato considerato tra quelli con il più alto impatto ambientale e consumo di materiali, oltre che di suolo, oggi può rappresentare un tassello fondamentale della rivoluzione dell’economia circolare e di quella energetica, con un contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento atmosferico.
Attenzione, non è un tema solo per ricercatori o addetti ai lavori. Perchè solo se il settore edilizio diventerà davvero trasparente e credibile, si potrà, oltre che a diffondere questi materiali e tecnologie a beneficio dell’ambiente e della salute, rispettare il diritto di una famiglia a vivere in una casa costruita con materiali naturali e sistemi di risparmio efficaci, come magari gli è stato detto al momento dell’acquisto.
Fonti:
http://www.nextville.it/normativa/1033/direttiva-parlamento-europeo-e-consiglio-ue-2010-3/
https://ift.tt/2pH1CBJ
http://www.cened.it/lombardiapiu
“LombardiA+. L’edilizia a consumo quasi zero in Lombardia”- realizzato dall’Organismo di accreditamento con il contributo del Dipartimento BEST del Politecnico di Milano.
Autore: Maria Antonientta Giffoni, http://www.nextville.it/news/1365
http://fonti-rinnovabili.it/mainn/
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Edifici Near Zero Energy e dai materiali riciclati, obiettivi a portata di mano
Obiettivo edifici ad energia quasi zero, obiettivo riciclo materiali: l’edilizia oggi ha tutte le carte in regola per centrarli. Normativa, informazione e compentenze sono le chiavi.
La Direttiva europea 31/2010, EPBD 2 (Energy Performance of Buildings Directive), sulla prestazione energetica in edilizia, individua una chiara traiettoria di cambiamento per il settore delle costruzioni: dal 1° gennaio 2019 infatti tutti i nuovi edifici pubblici dell’UE (scuole, sedi comunali, biblioteche ecc..), e dal 1° gennaio 2021 tutti quelli nuovi privati, dovranno essere “Near Zero Energy”.
Ma cosa sono gli edifici a energia quasi zero? E che caratteristiche devono avere? Secondo la definizione piuttosto vaga fornita dalla Direttiva e ripresa dal Decreto di recepimento, l’edifico a energia quasi zero è un “edificio ad altissima prestazione energetica … con un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo, coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema (in situ)“. “Near zero” significa quindi garantire prestazioni di rendimento tali da non aver bisogno di apporti ulteriori per il riscaldamento ed il raffrescamento, oppure che dovranno essere soddisfatti attraverso l’apporto di fonti rinnovabili.
Un obiettivo prestazionale che comporta una innovazione profondissima rispetto alla progettazione e ai cantieri, ed anche alla gestione successiva degli edifici, i quali dovranno garantire queste prestazioni attraverso materiali, impianti e sistemi risultati certificabili.
Dal punto divista progettuale, le scelte che riguardano gli edifici con prestazioni al limite dell’autosufficienza energetica, si inseriscono in un percorso che si è già avviato da tempo e che ha portato anche a determinare in maniera puntuale gli interventi necessari, tra i quali si citano come esempi:
l’uso esteso dei materiali isolanti, di sistemi vegetali ombreggianti, l’installazione di dispositivi schermanti;
la diffusione dei principi costruttivi dell’architettura bioclimatica;
l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili quali fonti energetiche primarie, da utilizzare al massimo delle loro potenzialità e l’attribuzione, per le fonti energetiche convenzionali, di una funzione integrativa e/o di backup per l’edificio;
lo sfruttamento dell’inerzia termica dell’edificio per ridurre le potenze degli impianti;
l’utilizzo della domotica per gestire in modo ottimale i servizi energetici.
Ci sono poi altre novità importanti:
La Direttiva 2008/98/CE, che riguarda invece il riutilizzo e il riciclo dei materiali provenienti da costruzione e demolizione (C&D), indica con chiarezza l’obiettivo del 70% di utilizzo di materiali da riciclo al 2020, e la necessità di accompagnare nei diversi Paesi, attraverso specifici provvedimenti, il target.
A livello europeo sono stati introdotti dei criteri per il Green Public Procurement, ossia criteri da impiegare all’interno delle gare per l’acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni (GPP Criteria for Office Building Design, Construction and Management del Maggio 2016).
Spostandosi in Italia, nel D.Lgs 50/2016, articoli 17-19 (Codice degli appalti) sono state introdotte disposizioni per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali e per agevolare il ricorso agli appalti verdi, da adottare sempre con Decreti del Ministero dell’Ambiente, attraverso la valutazione dei costi del ciclo di vita, inclusa la fase di smaltimento e recupero e l’introduzione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici (CAM).
In questo scenario di evoluzione normativa e scadenze a breve, molti sono i modi in cui la politica e gli enti deputati a legiferare o regolamentare, anche premiando, possono agire come volano per l’attuazione degli obiettivi di efficientamento energetico degli edifici, dello sviluppo delle rinnovabili, del riciclo e recupero dei materiali.
L’Europa, come si è visto, questa strada l’ha già scelta ed è molto chiara, deve però essere supportata da scelte altrettanto chiare e coerenti da parte degli Stati membri che aiutino a superare le barriere tecniche e giuridiche, ma anche di informazione.
Oggi non ci sono più nemmeno motivazioni tecniche che possono essere usate come scuse per rinviare la scelta di un approccio davvero incentrato sulla sostenibilità del settore; i materali e i sistemi certificati innovativi e sostenibili da utilizzare ci sono. Legambiente e Osservatorio Recycle hanno messo a punto un Rapporto di 100 schede, detto anche Libreria MAINN, di tecnologie che permettono di trasformare un problema – ad esempio i rifiuti derivati dalle demolizioni, un tema di proporzioni enormi nel centro Italia dopo i terremoti recenti- in una risorsa, attraverso la trasformazione in mattoni. Oppure di materiali compositi che utilizzano materie naturali con prestazioni certificate attraverso il recupero di usi e competenze antiche. Ma anche di sistemi pensati per migliorare le prestazioni antisismiche nella riqualificazione del patrimonio edilizio – tema purtroppo di grande attualità – o per raggiungere standard energetici e ambientali elevati.
E bisogna sempre tenere presente che tutto ciò che viene ora investito in innovazione consentirà anche in futuro di abbattere i costi di intervento e di lavorare su riqualificazioni meno invasive.
Il settore dell’edilizia che fino a ieri è stato considerato tra quelli con il più alto impatto ambientale e consumo di materiali, oltre che di suolo, oggi può rappresentare un tassello fondamentale della rivoluzione dell’economia circolare e di quella energetica, con un contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento atmosferico.
Attenzione, non è un tema solo per ricercatori o addetti ai lavori. Perchè solo se il settore edilizio diventerà davvero trasparente e credibile, si potrà, oltre che a diffondere questi materiali e tecnologie a beneficio dell’ambiente e della salute, rispettare il diritto di una famiglia a vivere in una casa costruita con materiali naturali e sistemi di risparmio efficaci, come magari gli è stato detto al momento dell’acquisto.
Fonti:
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Edifici Near Zero Energy e dai materiali riciclati, obiettivi a portata di mano
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La Direttiva europea 31/2010, EPBD 2 (Energy Performance of Buildings Directive), sulla prestazione energetica in edilizia, individua una chiara traiettoria di cambiamento per il settore delle costruzioni: dal 1° gennaio 2019 infatti tutti i nuovi edifici pubblici dell’UE (scuole, sedi comunali, biblioteche ecc..), e dal 1° gennaio 2021 tutti quelli nuovi privati, dovranno essere “Near Zero Energy”.
Ma cosa sono gli edifici a energia quasi zero? E che caratteristiche devono avere? Secondo la definizione piuttosto vaga fornita dalla Direttiva e ripresa dal Decreto di recepimento, l’edifico a energia quasi zero è un “edificio ad altissima prestazione energetica … con un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo, coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema (in situ)“. “Near zero” significa quindi garantire prestazioni di rendimento tali da non aver bisogno di apporti ulteriori per il riscaldamento ed il raffrescamento, oppure che dovranno essere soddisfatti attraverso l’apporto di fonti rinnovabili.
Un obiettivo prestazionale che comporta una innovazione profondissima rispetto alla progettazione e ai cantieri, ed anche alla gestione successiva degli edifici, i quali dovranno garantire queste prestazioni attraverso materiali, impianti e sistemi risultati certificabili.
Dal punto divista progettuale, le scelte che riguardano gli edifici con prestazioni al limite dell’autosufficienza energetica, si inseriscono in un percorso che si è già avviato da tempo e che ha portato anche a determinare in maniera puntuale gli interventi necessari, tra i quali si citano come esempi:
l’uso esteso dei materiali isolanti, di sistemi vegetali ombreggianti, l’installazione di dispositivi schermanti;
la diffusione dei principi costruttivi dell’architettura bioclimatica;
l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili quali fonti energetiche primarie, da utilizzare al massimo delle loro potenzialità e l’attribuzione, per le fonti energetiche convenzionali, di una funzione integrativa e/o di backup per l’edificio;
lo sfruttamento dell’inerzia termica dell’edificio per ridurre le potenze degli impianti;
l’utilizzo della domotica per gestire in modo ottimale i servizi energetici.
Ci sono poi altre novità importanti:
La Direttiva 2008/98/CE, che riguarda invece il riutilizzo e il riciclo dei materiali provenienti da costruzione e demolizione (C&D), indica con chiarezza l’obiettivo del 70% di utilizzo di materiali da riciclo al 2020, e la necessità di accompagnare nei diversi Paesi, attraverso specifici provvedimenti, il target.
A livello europeo sono stati introdotti dei criteri per il Green Public Procurement, ossia criteri da impiegare all’interno delle gare per l’acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni (GPP Criteria for Office Building Design, Construction and Management del Maggio 2016).
Spostandosi in Italia, nel D.Lgs 50/2016, articoli 17-19 (Codice degli appalti) sono state introdotte disposizioni per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali e per agevolare il ricorso agli appalti verdi, da adottare sempre con Decreti del Ministero dell’Ambiente, attraverso la valutazione dei costi del ciclo di vita, inclusa la fase di smaltimento e recupero e l’introduzione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici (CAM).
In questo scenario di evoluzione normativa e scadenze a breve, molti sono i modi in cui la politica e gli enti deputati a legiferare o regolamentare, anche premiando, possono agire come volano per l’attuazione degli obiettivi di efficientamento energetico degli edifici, dello sviluppo delle rinnovabili, del riciclo e recupero dei materiali.
L’Europa, come si è visto, questa strada l’ha già scelta ed è molto chiara, deve però essere supportata da scelte altrettanto chiare e coerenti da parte degli Stati membri che aiutino a superare le barriere tecniche e giuridiche, ma anche di informazione.
Oggi non ci sono più nemmeno motivazioni tecniche che possono essere usate come scuse per rinviare la scelta di un approccio davvero incentrato sulla sostenibilità del settore; i materali e i sistemi certificati innovativi e sostenibili da utilizzare ci sono. Legambiente e Osservatorio Recycle hanno messo a punto un Rapporto di 100 schede, detto anche Libreria MAINN, di tecnologie che permettono di trasformare un problema – ad esempio i rifiuti derivati dalle demolizioni, un tema di proporzioni enormi nel centro Italia dopo i terremoti recenti- in una risorsa, attraverso la trasformazione in mattoni. Oppure di materiali compositi che utilizzano materie naturali con prestazioni certificate attraverso il recupero di usi e competenze antiche. Ma anche di sistemi pensati per migliorare le prestazioni antisismiche nella riqualificazione del patrimonio edilizio – tema purtroppo di grande attualità – o per raggiungere standard energetici e ambientali elevati.
E bisogna sempre tenere presente che tutto ciò che viene ora investito in innovazione consentirà anche in futuro di abbattere i costi di intervento e di lavorare su riqualificazioni meno invasive.
Il settore dell’edilizia che fino a ieri è stato considerato tra quelli con il più alto impatto ambientale e consumo di materiali, oltre che di suolo, oggi può rappresentare un tassello fondamentale della rivoluzione dell’economia circolare e di quella energetica, con un contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento atmosferico.
Attenzione, non è un tema solo per ricercatori o addetti ai lavori. Perchè solo se il settore edilizio diventerà davvero trasparente e credibile, si potrà, oltre che a diffondere questi materiali e tecnologie a beneficio dell’ambiente e della salute, rispettare il diritto di una famiglia a vivere in una casa costruita con materiali naturali e sistemi di risparmio efficaci, come magari gli è stato detto al momento dell’acquisto.
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Obiettivo edifici ad energia quasi zero, obiettivo riciclo materiali: l’edilizia oggi ha tutte le carte in regola per centrarli. Normativa, informazione e compentenze sono le chiavi.
La Direttiva europea 31/2010, EPBD 2 (Energy Performance of Buildings Directive), sulla prestazione energetica in edilizia, individua una chiara traiettoria di cambiamento per il settore delle costruzioni: dal 1° gennaio 2019 infatti tutti i nuovi edifici pubblici dell’UE (scuole, sedi comunali, biblioteche ecc..), e dal 1° gennaio 2021 tutti quelli nuovi privati, dovranno essere “Near Zero Energy”.
Ma cosa sono gli edifici a energia quasi zero? E che caratteristiche devono avere? Secondo la definizione piuttosto vaga fornita dalla Direttiva e ripresa dal Decreto di recepimento, l’edifico a energia quasi zero è un “edificio ad altissima prestazione energetica … con un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo, coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema (in situ)“. “Near zero” significa quindi garantire prestazioni di rendimento tali da non aver bisogno di apporti ulteriori per il riscaldamento ed il raffrescamento, oppure che dovranno essere soddisfatti attraverso l’apporto di fonti rinnovabili.
Un obiettivo prestazionale che comporta una innovazione profondissima rispetto alla progettazione e ai cantieri, ed anche alla gestione successiva degli edifici, i quali dovranno garantire queste prestazioni attraverso materiali, impianti e sistemi risultati certificabili.
Dal punto divista progettuale, le scelte che riguardano gli edifici con prestazioni al limite dell’autosufficienza energetica, si inseriscono in un percorso che si è già avviato da tempo e che ha portato anche a determinare in maniera puntuale gli interventi necessari, tra i quali si citano come esempi:
l’uso esteso dei materiali isolanti, di sistemi vegetali ombreggianti, l’installazione di dispositivi schermanti;
la diffusione dei principi costruttivi dell’architettura bioclimatica;
l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili quali fonti energetiche primarie, da utilizzare al massimo delle loro potenzialità e l’attribuzione, per le fonti energetiche convenzionali, di una funzione integrativa e/o di backup per l’edificio;
lo sfruttamento dell’inerzia termica dell’edificio per ridurre le potenze degli impianti;
l’utilizzo della domotica per gestire in modo ottimale i servizi energetici.
Ci sono poi altre novità importanti:
La Direttiva 2008/98/CE, che riguarda invece il riutilizzo e il riciclo dei materiali provenienti da costruzione e demolizione (C&D), indica con chiarezza l’obiettivo del 70% di utilizzo di materiali da riciclo al 2020, e la necessità di accompagnare nei diversi Paesi, attraverso specifici provvedimenti, il target.
A livello europeo sono stati introdotti dei criteri per il Green Public Procurement, ossia criteri da impiegare all’interno delle gare per l’acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni (GPP Criteria for Office Building Design, Construction and Management del Maggio 2016).
Spostandosi in Italia, nel D.Lgs 50/2016, articoli 17-19 (Codice degli appalti) sono state introdotte disposizioni per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali e per agevolare il ricorso agli appalti verdi, da adottare sempre con Decreti del Ministero dell’Ambiente, attraverso la valutazione dei costi del ciclo di vita, inclusa la fase di smaltimento e recupero e l’introduzione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici (CAM).
In questo scenario di evoluzione normativa e scadenze a breve, molti sono i modi in cui la politica e gli enti deputati a legiferare o regolamentare, anche premiando, possono agire come volano per l’attuazione degli obiettivi di efficientamento energetico degli edifici, dello sviluppo delle rinnovabili, del riciclo e recupero dei materiali.
L’Europa, come si è visto, questa strada l’ha già scelta ed è molto chiara, deve però essere supportata da scelte altrettanto chiare e coerenti da parte degli Stati membri che aiutino a superare le barriere tecniche e giuridiche, ma anche di informazione.
Oggi non ci sono più nemmeno motivazioni tecniche che possono essere usate come scuse per rinviare la scelta di un approccio davvero incentrato sulla sostenibilità del settore; i materali e i sistemi certificati innovativi e sostenibili da utilizzare ci sono. Legambiente e Osservatorio Recycle hanno messo a punto un Rapporto di 100 schede, detto anche Libreria MAINN, di tecnologie che permettono di trasformare un problema – ad esempio i rifiuti derivati dalle demolizioni, un tema di proporzioni enormi nel centro Italia dopo i terremoti recenti- in una risorsa, attraverso la trasformazione in mattoni. Oppure di materiali compositi che utilizzano materie naturali con prestazioni certificate attraverso il recupero di usi e competenze antiche. Ma anche di sistemi pensati per migliorare le prestazioni antisismiche nella riqualificazione del patrimonio edilizio – tema purtroppo di grande attualità – o per raggiungere standard energetici e ambientali elevati.
E bisogna sempre tenere presente che tutto ciò che viene ora investito in innovazione consentirà anche in futuro di abbattere i costi di intervento e di lavorare su riqualificazioni meno invasive.
Il settore dell’edilizia che fino a ieri è stato considerato tra quelli con il più alto impatto ambientale e consumo di materiali, oltre che di suolo, oggi può rappresentare un tassello fondamentale della rivoluzione dell’economia circolare e di quella energetica, con un contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento atmosferico.
Attenzione, non è un tema solo per ricercatori o addetti ai lavori. Perchè solo se il settore edilizio diventerà davvero trasparente e credibile, si potrà, oltre che a diffondere questi materiali e tecnologie a beneficio dell’ambiente e della salute, rispettare il diritto di una famiglia a vivere in una casa costruita con materiali naturali e sistemi di risparmio efficaci, come magari gli è stato detto al momento dell’acquisto.
Fonti:
http://www.nextville.it/normativa/1033/direttiva-parlamento-europeo-e-consiglio-ue-2010-3/
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http://www.cened.it/lombardiapiu
“LombardiA+. L’edilizia a consumo quasi zero in Lombardia”- realizzato dall’Organismo di accreditamento con il contributo del Dipartimento BEST del Politecnico di Milano.
Autore: Maria Antonientta Giffoni, http://www.nextville.it/news/1365
http://fonti-rinnovabili.it/mainn/
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Edifici Near Zero Energy e dai materiali riciclati, obiettivi a portata di mano
Obiettivo edifici ad energia quasi zero, obiettivo riciclo materiali: l’edilizia oggi ha tutte le carte in regola per centrarli. Normativa, informazione e compentenze sono le chiavi.
La Direttiva europea 31/2010, EPBD 2 (Energy Performance of Buildings Directive), sulla prestazione energetica in edilizia, individua una chiara traiettoria di cambiamento per il settore delle costruzioni: dal 1° gennaio 2019 infatti tutti i nuovi edifici pubblici dell’UE (scuole, sedi comunali, biblioteche ecc..), e dal 1° gennaio 2021 tutti quelli nuovi privati, dovranno essere “Near Zero Energy”.
Ma cosa sono gli edifici a energia quasi zero? E che caratteristiche devono avere? Secondo la definizione piuttosto vaga fornita dalla Direttiva e ripresa dal Decreto di recepimento, l’edifico a energia quasi zero è un “edificio ad altissima prestazione energetica … con un fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo, coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta all’interno del confine del sistema (in situ)“. “Near zero” significa quindi garantire prestazioni di rendimento tali da non aver bisogno di apporti ulteriori per il riscaldamento ed il raffrescamento, oppure che dovranno essere soddisfatti attraverso l’apporto di fonti rinnovabili.
Un obiettivo prestazionale che comporta una innovazione profondissima rispetto alla progettazione e ai cantieri, ed anche alla gestione successiva degli edifici, i quali dovranno garantire queste prestazioni attraverso materiali, impianti e sistemi risultati certificabili.
Dal punto divista progettuale, le scelte che riguardano gli edifici con prestazioni al limite dell’autosufficienza energetica, si inseriscono in un percorso che si è già avviato da tempo e che ha portato anche a determinare in maniera puntuale gli interventi necessari, tra i quali si citano come esempi:
l’uso esteso dei materiali isolanti, di sistemi vegetali ombreggianti, l’installazione di dispositivi schermanti;
la diffusione dei principi costruttivi dell’architettura bioclimatica;
l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili quali fonti energetiche primarie, da utilizzare al massimo delle loro potenzialità e l’attribuzione, per le fonti energetiche convenzionali, di una funzione integrativa e/o di backup per l’edificio;
lo sfruttamento dell’inerzia termica dell’edificio per ridurre le potenze degli impianti;
l’utilizzo della domotica per gestire in modo ottimale i servizi energetici.
Ci sono poi altre novità importanti:
La Direttiva 2008/98/CE, che riguarda invece il riutilizzo e il riciclo dei materiali provenienti da costruzione e demolizione (C&D), indica con chiarezza l’obiettivo del 70% di utilizzo di materiali da riciclo al 2020, e la necessità di accompagnare nei diversi Paesi, attraverso specifici provvedimenti, il target.
A livello europeo sono stati introdotti dei criteri per il Green Public Procurement, ossia criteri da impiegare all’interno delle gare per l’acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni (GPP Criteria for Office Building Design, Construction and Management del Maggio 2016).
Spostandosi in Italia, nel D.Lgs 50/2016, articoli 17-19 (Codice degli appalti) sono state introdotte disposizioni per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali e per agevolare il ricorso agli appalti verdi, da adottare sempre con Decreti del Ministero dell’Ambiente, attraverso la valutazione dei costi del ciclo di vita, inclusa la fase di smaltimento e recupero e l’introduzione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici (CAM).
In questo scenario di evoluzione normativa e scadenze a breve, molti sono i modi in cui la politica e gli enti deputati a legiferare o regolamentare, anche premiando, possono agire come volano per l’attuazione degli obiettivi di efficientamento energetico degli edifici, dello sviluppo delle rinnovabili, del riciclo e recupero dei materiali.
L’Europa, come si è visto, questa strada l’ha già scelta ed è molto chiara, deve però essere supportata da scelte altrettanto chiare e coerenti da parte degli Stati membri che aiutino a superare le barriere tecniche e giuridiche, ma anche di informazione.
Oggi non ci sono più nemmeno motivazioni tecniche che possono essere usate come scuse per rinviare la scelta di un approccio davvero incentrato sulla sostenibilità del settore; i materali e i sistemi certificati innovativi e sostenibili da utilizzare ci sono. Legambiente e Osservatorio Recycle hanno messo a punto un Rapporto di 100 schede, detto anche Libreria MAINN, di tecnologie che permettono di trasformare un problema – ad esempio i rifiuti derivati dalle demolizioni, un tema di proporzioni enormi nel centro Italia dopo i terremoti recenti- in una risorsa, attraverso la trasformazione in mattoni. Oppure di materiali compositi che utilizzano materie naturali con prestazioni certificate attraverso il recupero di usi e competenze antiche. Ma anche di sistemi pensati per migliorare le prestazioni antisismiche nella riqualificazione del patrimonio edilizio – tema purtroppo di grande attualità – o per raggiungere standard energetici e ambientali elevati.
E bisogna sempre tenere presente che tutto ciò che viene ora investito in innovazione consentirà anche in futuro di abbattere i costi di intervento e di lavorare su riqualificazioni meno invasive.
Il settore dell’edilizia che fino a ieri è stato considerato tra quelli con il più alto impatto ambientale e consumo di materiali, oltre che di suolo, oggi può rappresentare un tassello fondamentale della rivoluzione dell’economia circolare e di quella energetica, con un contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento atmosferico.
Attenzione, non è un tema solo per ricercatori o addetti ai lavori. Perchè solo se il settore edilizio diventerà davvero trasparente e credibile, si potrà, oltre che a diffondere questi materiali e tecnologie a beneficio dell’ambiente e della salute, rispettare il diritto di una famiglia a vivere in una casa costruita con materiali naturali e sistemi di risparmio efficaci, come magari gli è stato detto al momento dell’acquisto.
Fonti:
http://www.nextville.it/normativa/1033/direttiva-parlamento-europeo-e-consiglio-ue-2010-3/
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“LombardiA+. L’edilizia a consumo quasi zero in Lombardia”- realizzato dall’Organismo di accreditamento con il contributo del Dipartimento BEST del Politecnico di Milano.
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