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#indagatrice
pikasus-artenews · 1 year
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Camille Henrot & Estelle Hoy: Jus d’Orange
Dialogo tra le immagini di Camille Henrot e i testi di Estelle Hoy, amalgamati attraverso una fitta e indagatrice conversazione tra gli artisti
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Franca Leosini, 90 anni per la regina del noir in tv
La storia del crimine privato come “un grande romanzo della vita”, scandagliato attraverso il suo sguardo da attenta indagatrice dell’animo umano che si accosta ai protagonisti non per giudicare, ma per ricostruire cosa li abbia spinti nell’abisso. Il metodo, lo studio meticolosissimo di migliaia di pagine di atti processuali, guidato dalla regola di sempre, “capire, dubitare, raccontare”, e…
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silviascorcella · 10 months
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Sulvam f/w 2018-19: lui, lei, e il nuovo sartoriale
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C’è della grinta eversiva punk che si sfoga su tutto ciò che decora e definisce le cose con supposto rigore, c’è della nonchalance stilosa che fa subito pensare allo streetwear ma che altrettanto subito viene confutata perché non è la sola strada ad essere presa ad ispirazione, c’è del sartoriale esatto e sciolto allo stesso tempo come solo in Giappone san fare: e questo non è messo in dubbio, assolutamente. 
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{Photo backstage © Redmilk Mag}
C’è una visione che resta il minimo indispensabile sospesa nel limbo della progettazione, perché ha fretta di diventare subito realtà concreta: è la visione innovatrice, squisitamente autonoma, e platealmente applaudita di Sulvam. O meglio: di Teppei Fujita, che del brand nipponico è mente pensante, corpo creativo e cuore pulsante. 
Ed è anche la collezione a/i 2018-19: che di questa visione è un nuovo capitolo che prosegue una storia nata poco fa, ma saldamente incamminata nella direzione di evolvere molto del fashion world. Almeno per quel che riguarda il suo elegante versante sartoriale. 
E che tale storia la  prosegue sulla passerella milanese dell’appena trascorsa settimana della moda dedicata allo stile maschile: ma che nell’universo Sulvam può essere altrettanto intesa come femminile, dato che non c’è barriera di genere a cui attenersi, bensì la barriera va abbattuta in nome della libertà. 
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“Gender-free”, appunto! Ma andiam con ordine e riallacciamo tutti i passaggi prima di giungere a tale dichiarazione di libertà.
Il curriculum di Teppei Fujita è il ritratto di una carriera rapida e formidabile, perché intrisa da sempre di sana determinazione: presenta infatti le tappe fondamentali, come il diploma alla scuola Bunka Fashion, la collaborazione lunga e fruttuosa alla Maison Yohji Yamamoto, che della sartorialità concettuale ed esatta eppur rivoluzionaria alla celebre maniera giapponese è uno dei simboli indiscussi, e c’è la fondazione del proprio brand nel 2014 per mettere in pratica i preziosi insegnamenti appresi alla corte del gran maestro e nel frattempo mettere in dubbio l’eleganza rigorosa maschile così come siam soliti conoscerla.
Al contempo presenta anche i traguardi fondamentali: la conquista del il "Tokyo Fashion Award” nel 2014, la vittoria del premio VOGUE "Who is on Next? Dubai" nel 2015, l’ambitissima selezione per il premio LVMH Fashion 2017, le passerelle italiane di Pitti Immagine Uomo prima e quella della città di Milano poi.
Alla base di ogni visione e passo compiuto nel fashion world sta, come fosse inciso sulla pietra, il motto-guida di Teppei Fujita: “Nego i trend del momento. Penso che la moda sia indossare abiti in maniera libera e individuale. Attacco ciò che sento di dover attaccare. Proteggo ciò che devo proteggere. E continuo sempre a mettere in discussione il mondo di oggi dalla prospettiva di un semplice creatore di abiti.” 
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“Gender-free”, appunto! Questo è il titolo della collezione a/i 2018-19, ed al contempo la riconferma che la visione liberatoria e indagatrice di Sulvam è più salda che mai: in passerella scorrono abiti indossati sia da modelli che da modelle, perché lo stile è personale ed il maschile indossato da un corpo femminile acquisisce sensualità senza intaccare la libertà. Libertà di cosa? Di rompere le regole, sfrangiare gli orli dei completi gessati, sfilacciare i confini dei pantaloni sartoriali, strappare via le tasche e riattaccarle in un secondo momento, e solo a patto che facciano fuoriuscire la fodera interna. Trattamento, questo, che viene riservato a qualsiasi rivestimento o imbottitura, che spunta dai tagli consapevoli sui pantaloni ampi, che sbuffa dalle lunghe vesti come fosse un sottogonna: un’aria eversiva che è ribadita dalle forme over, persino del bomber indossato sulla camicia e la cravatta. Troppo laissez-fare? Affatto! C’è anche il lurex dorato del maglioncino che porta luce, i bottoni decorativi sulla cravatta che sono un vezzo, le maxi borse in pelouche che son un gesto dolce. 
E su tutto, l’aria di che qualcosa sta davvero cambiando: dalla passerella alla vita vera è un attimo!
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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agrpress-blog · 11 months
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Mercoledì 25 ottobre alle ore 17.30 nel Museo Hendrik Christian Andersen (Via Pasquale S. Mancini, 20), diretto da Maria Giuseppina di Monte e afferente alla Direzione dei Musei statali della città di Roma, si svolgerà la preview stampa della mostra “Riflessioni di Archiscultura. Fotografia Scultura Architettura” che sarà allestita, a cura di Emilia Ludovici,  negli spazi museali dal 28 ottobre, inaugurazione alle 16,30,  al 28 gennaio 2024 (aperta dal martedì alla domenica  dalle 9.00 alle 19.00).  Attraverso quattro sezioni, la mostra illustrerà temi e momenti salienti nello sviluppo dell’artista danese Hendrik Christian Andersen (1805-75), grazie ad un dialogo fra passato e presente realizzato attingendo al considerevole repertorio fotografico, conservato nell’archivio della Casa - Museo. Da qui provengono le fotografie che Hendrik Andersen ha gelosamente conservato, spesso affidando gli scatti a fotografi professionisti, per immortalare le sue opere una volta terminate o mentre era a lavoro nell’atelier o nelle pause dalle fatiche del laborioso montaggio. Molte sono le fotografie di sculture che saranno esposte nella gipsoteca e nella galleria, altre sono foto di opere in deposito, esposte nel salone centrale per l’occasione e messe a confronto con quelle scattate da David D’Agnelli e Roberto Nisini. Punto di partenza e di arrivo dell’itinerario della mostra sarà un lavoro site-specific di Luigi Russo che ha realizzato un’insolita mini installazione dall’evocativo titolo “Dia-edro. La storia della vita” richiamando il valore del medium fotografico che diventa in questo caso un oggetto di design. “Riflessioni di Archiscultura. Fotografia Scultura Architettura”, tema prescelto dalla mostra, è quello della scultura monumentale e di come questa viene percepita all’interno di uno spazio architettonico unico, quale può essere quello di una casa museo. Il percorso si articolerà in quattro sezioni cercando sempre una connessione fra passato e presente, ricerca, studio e valorizzazione del complesso patrimonio del Museo. Al termine del percorso espositivo il pubblico potrà fotografarsi accanto alla gigantografia di Hendrik Andersen in un selfie. Farà da pendant al percorso museale una sosta nel deposito. In questo spazio, che non sarà sempre accessibile, bensì visitabile secondo un calendario di visite programmate comunicate mensilmente tramite i canali ufficiali e social del Museo, sarà possibile apprezzare il grande modello della “Fontana dell’Immortalità”, un progetto di carattere architettonico e scultoreo insieme in cui Hendrik Andersen ha riprodotto in scala assai ridotta il progetto della fontana. Il modello è stato appena restaurato, dopo un paziente e delicato intervento, curato dalla dottoressa Silvana Costa, coordinatrice del Laboratorio di restauro dei Musei Statali della città di Roma in collaborazione con Antonella Malintoppi e Louis Dante Pierelli. Il restauro ha riportato alla luce le tenui nuances nei toni del verde chiaro e giallo ocra e le piccole e fragili sculture che lo ornano. Scopo della mostra è far conoscere, attraverso gli scatti fotografici, le peculiarità del progetto dell’artista e al contempo svelarne i segreti, gli aspetti più intimi e riposti che la fotografia, per sua natura indagatrice e rivelatrice, riesce a far emergere.
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monacalda · 6 years
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Alla base della relazione perversa narcisistica troviamo sempre qualcuno che tenta di controllare dall’interno un altro, inducendolo ad essere perfetto per i suoi bisogni, e qualcun altro che tenta disperatamente di essere perfetto per i bisogni dell’interlocutore, tentando così, a sua volta, di controllarlo dall’interno. In pratica, il narcisismo dell’uno tenta di controllare il narcisismo dell’altro, e viceversa. Per distinguere questa forma perversa incentrata sul controllo narcisistico dalle vere e proprie perversioni sessuali, Bergeret propone il termine di “perversità” al posto di quello di “perversione.
I perversi non sono autonomi e dipendono sempre dagli altri, per questo sviluppano doti seduttive molto elevate, per avere una riserva umana a disposizione.
La loro seduzione si compone essenzialmente di tre fasi distinte: 1. l’azione di appropriazione dell’altro con l’intento di svuotarlo dei propri pensieri per impiantarne altri, più consoni ai loro infiniti e improvvisi bisogni; 2. una di dominazione nella quale il partner è reso dipendente e sottomesso al loro volere; 3. L’ultima, che ha come obiettivo lasciare un segno nel partner, soprattutto negativo, così da poter vantarsi di essere “indimenticabile”.
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susieporta · 3 years
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L’abbandono è quella capacità, di farsi da parte per lasciare spazio ad altro, di stare in profondo ascolto, senza giudizi, senza velleità, la capacità di essere e di stare a totale disposizione.
Come il Tao – non si può essere qualcuno, inteso come un piccolo me, e incorporare la grazia, gli dei e le Forze. Per fare questo devo DIMENTICARMI DI ME. Dimenticarmi del peso della mia storia, delle mie malattie, delle mie incombenze e necessità, devo farmi foglio bianco, schermo senza immagini, pronta, vigile, attenta, indagatrice, scrutatrice e divina creatrice.
Quello che mi passerà attraverso potrà essere qualcosa di terribile e spaventoso, non me ne dovrò io stessa spaventare, ne mi dovrò identificare con quelle forze, non sarà qualcosa che riguarda me nello specifico, non sarò “bravo o brava”, ne avrò fallito, sarò semplicemente un canale, UNA MEDIUM.
Irene Curto
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poetyca · 3 years
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La ricerca della felicita’- The pursouit of happiness di Jiddu Krishnamurti
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<La ricerca della felicita’> – di Jiddu Krishnamurti 
Traduzione di VINCENZO VERGIANI.
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Avete mai provato a star seduti a occhi chiusi, nella calma più assoluta, a osservare il movimento del vostro pensiero? Avete mai osservato la vostra mente all’opera – o meglio, la vostra mente ha mai osservato se stessa all’opera, giusto per vedere quali sono i vostri pensieri e sentimenti, come guardate gli alberi, i fiori, gli uccelli, la gente, come rispondete ai suggerimenti o reagite alle nuove idee?
Lo avete mai fatto? Se la risposta negativa, vi siete persi un’esperienza notevole. Sapere come funziona la propria mente un fine essenziale dell’educazione. Se non sapete come reagisce la vostra mente, se la vostra mente non consapevole delle proprie attività, non potete effettivamente comprendere che cos’è la società, poichè la mente parte della società, anzi, è la società. Le vostre reazioni, le vostre credenze, la vostra frequentazione del tempio, gli abiti che indossate, le cose che fate e non fate, ciò che pensate – la società fatta di tutto ciò, è la replica di quello che accade nella vostra mente. Dunque, la vostra mente non è separata dalla società, non si distingue dalla vostra cultura, dalla vostra religione, dalle varie divisioni di classe, dalle ambizioni e dai conflitti della maggioranza della gente. Tutto questo è la società e voi ne siete parte. Non esiste un “voi” separato dalla società.
Orbene, la società cerca sempre di controllare, forgiare, plasmare il modo di pensare dei giovani. Dal momento in cui nascete e cominciate a recepire impressioni del mondo, vostro padre e vostra madre sono costantemente occupati a dirvi cosa fare e cosa non fare, in cosa credere e in cosa non credere; vi dicono che Dio esiste, oppure che Dio non esiste, ma esiste lo Stato e che un dittatore ne è il profeta. A partire dall’infanzia vi instillano dentro queste cose, il che significa che la vostra mente – che è molto giovane, impressionabile, indagatrice, curiosa di conoscere, desiderosa di scoprire – viene poco a poco imbrigliata, condizionata, plasmata, in maniera tale da farvi inserire nello schema di una determinata società ed evitare che diventiate dei rivoluzionari.
Dal momento che l’abitudine a pensare in maniera schematizzata è già stata instillata in voi, anche se vi “ribellate”, sempre all’interno di quel determinato schema sociale. E’ come quando i carcerati protestano per avere cibo e servizi migliori – ma pur sempre all’interno della prigione.
Quando cercate Dio, o provate a capire quale può essere un governo giusto, ci si situa comunque all’interno dello schema della società, che dice: “Questo vero e quello falso, questo bene e quello male, questo è il leader giusto, queste persone sono dei santi”. Così, la vostra rivolta, proprio come la cosiddetta rivoluzione fatta da persone ambiziose e intelligenti, sempre vincolata al passato. Quella non è una rivolta, non è vera rivoluzione: semplicemente una forma più elevata di attività, una lotta più valorosa all’interno dello schema sociale. Ma la vera rivolta, la vera rivoluzione, consiste nel distaccarsi dallo schema e indagare al di fuori di esso.
Vedete, tutti i riformatori – non importa chi siano – si preoccupano soltanto di migliorare le condizioni all’interno della prigione. Non vi dicono mai di non adeguarvi, non vi dicono mai: “Aprite un varco nelle mura della tradizione e dell’autorità, scrollatevi di dosso i condizionamenti che limitano la mente”.
Quella è vera educazione: non semplicemente chiedervi di superare esami per i quali vi siete riempiti la testa di nozioni, o mettere per iscritto cose che avete imparato a memoria, bensì aiutarvi a vedere le mura di questa prigione in cui è rinchiusa la mente. La società ci influenza tutti, plasma costantemente il nostro pensiero, e, poco a poco, la pressione esterna esercitata dalla società si traduce in pressione interiore; ma, per quanto penetri in profondità, resta comunque esterna, e non esiste in effetti una vera interiorità fin quando non si spezza tale condizionamento. Dovete conoscere ciò che pensate e sapere se pensate da indù, da musulmano o da cristiano, ossia nei termini della religione a cui il caso vuole che apparteniate. Dovete essere consapevoli di ciò in cui credete o non credete. Tutto ciò costituisce lo schema della società e, a meno che non diventiate consapevoli di tale schema e ve ne distacchiate, continuate a esserne prigionieri, anche se pensate di essere liberi.
Ma, vedete, la maggior parte di noi non vuole altro che una rivolta all’interno della prigione: cibo migliore, un po’ più di luce, una finestra più grande che ci consenta di vedere una fetta maggiore di cielo. Discutiamo se sia giusto o meno che il fuoricasta entri nel tempio; vogliamo abolire il predominio di una certa casta, e così facendo ne creiamo un’altra, una casta “superiore”; in tal modo restiamo prigionieri, e in prigione non esiste libertà. La libertà si trova fuori dalle mura, fuori dallo schema della società; ma, per essere liberi da quello schema dovete comprenderne interamente i contenuti, ossia comprendere la vostra stessa mente. E’ la mente che ha creato la civiltà attuale, questa cultura o società legata alla tradizione; se non avete tale comprensione della vostra mente, il semplice fatto di ribellarvi, in quanto comunisti, socialisti o quel che sia, non significa molto. Ecco perchè è Così importante conoscere se stessi, avere consapevolezza delle proprie attività, dei propri pensieri e sentimenti; e questa è la vera educazione, non è così? Solo quando si è pienamente consapevoli di sè, la mente diventa realmente sensibile e vigile.
Provateci: non prima, o poi, in un futuro vago e remoto, ma domani, o magari oggi stesso. Se ci sono troppe persone nella vostra stanza, se la vostra casa è piena di gente, allora andate da qualche parte da soli, sedetevi sotto un albero, o sulla riva di un fiume e osservate con calma come funziona la vostra mente. Non correggetela, non dite “Questo è giusto, questo è sbagliato”, ma limitatevi a guardarla come si guarda un film. Quando andate al cinema, non prendete parte al film; gli attori e le attrici recitano, voi guardate soltanto. Allo stesso modo, guardate come lavora la vostra mente. E’ davvero molto interessante, molto pi interessante di qualunque film, poichè la mente è il precipitato del mondo intero e contiene tutto ciò che gli esseri umani hanno vissuto.
Capite? La vostra mente è l’umanità intera, e quando percepirete questo, proverete un’immensa compassione. Da tale comprensione deriva una grande capacità d’amare; e allora, vedendo cose belle, saprete davvero cos’è la bellezza.
– of Jiddu Krishnamurti
Taken from:
Jiddu Krishnamurti. THE PURSUIT OF HAPPINESS ‘.
Translation of Vergiani VINCENT.
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Have you ever tried to sit with closed eyes, in the most absolute calm, in observe the movement of your thinking? Have you ever seen your mind the work – or rather, your mind has never seen herself work, just to see what are your thoughts and feelings, as look at the trees, flowers, birds, people, how you respond to react to new suggestions or ideas?
Have you ever done? If not, you missed an experience remarkable. Know your own mind an essential goal of education. If you do not know how your mind reacts, if your mind is not aware of its activities, you can not actually understand what the company, as the mind of society, indeed, is the company. Your reactions, the your beliefs, your attendance at the temple, the clothes worn, the things you do and not do, what you think – the company made of all This is the replication of what happens in your mind. Therefore, your mind is not separate from society, no different from your culture, your religion, by the various divisions of class, the ambitions and conflicts of the majority of the people. All of this is the company and you will are a part. There is no “you” separate from society.
However, the company always tries to control, shape, shaping the way thinking of young people. From the moment you are born and begin to implement impressions of the world, your father and your mother are constantly busy to tell you what to do and what not to do, what to believe and what not to believe, and there say that God exists, or that God does not exist, but the state exists and that a dictator is its prophet. From childhood we instill in these things, which means that your mind – which is very young, emotional, inquisitive, curious to learn, eager to discover – is gradually restrained, conditioned, shaped in a way that you put in the key of a given society and preventing to become revolutionaries.
Since the habit of thinking is already outlined in a been instilled in you, even if “rebel”, always within the given social scheme. It ‘s like when the protesting prisoners for food and better services – but still inside the prison.
When you seek God, or try to understand what may be a government right, there still lies within the scheme of society, which says: “This true and false, good and that this evil, this is the right leader, these people are saints. “So, your revolt, just like the so-called revolution made by ambitious people and intelligent, always tied to the past. That is not a revolt, it is not revolution: simply a higher form of activity, a the most valiant struggle within the social scheme. But given the real, true revolution, is to detach from the board and investigate outside it.
You see, all the reformers – no matter who they are – worry only to improve the conditions inside the prison. Do not say never is not correct, it will never say: “Open a hole in the wall of tradition and authority, scrollatevi off the constraints that limit the mind “.
That’s real education not simply ask you to pass examinations for which you filled my head with notions, or to put writing things you have learned by heart, but help you see the walls of this prison where he locked up his mind. Society affects us all, plasma our thoughts constantly, and little by little, the external pressure exercised by the company results in internal pressure, but, as penetrate deeply, it is still outside, and there is actually a true inner self until you break this conditioning. You must know what you think and know if you think as a Hindu, a Muslim or Christian, that is, in terms of religion that it so happens that you belong. You should be aware of what you believe or not believe. All of this is the pattern of society, and unless you become aware of the scheme and there offices, continue to be prisoners, even if you think you are free.
But you see, most of us wants nothing more than a revolt within the prison: better food, a little ‘more light, a window largest that allows us to see a larger slice of heaven. Discuss whether it is right or not the untouchables to enter the temple, we want to abolish the dominance of a certain caste, and in doing so we create another, a caste “Superior”, thus we remain prisoners, and prison does not exist freedom. The freedom is found outside the walls, outside the framework of society, but, to be free of that pattern you have to understand entire contents, or understand your own mind. And ‘the mind that has created the modern civilization, this tradition-bound culture or society; If you do not have such an understanding of your mind, simply because rebel, as communists, socialists or whatever, does not mean a lot. This is why it is important to know oneself, to have awareness of their activities, their thoughts and feelings, and this is the real education, is not it? Only when you are fully aware of himself, the mind becomes truly sensitive and alert.
Try it: no sooner, or later, in a vague and remote future, but tomorrow, or maybe today. If there are too many people in your room, if your house is full of people, then go somewhere alone, sit under a tree, or on the bank of a river and watch quietly as the works your mind. Do not correct it, do not say “That’s right, this is wrong,” but just watch as you watch a movie. When you go to the movies, not take part in the film, the actors and actresses acting, you look only. Similarly, look at how your mind works. It ‘really very interesting, much more interesting than any film, as the mind is the precipitate of the world and contains everything that human beings lived.
Do you understand? Your mind is the whole of humanity, and when you perceive this, you will feel immense compassion. From this understanding comes a great ability to love, and then, seeing beautiful things, you know what is really beauty.
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fioredialabastro · 4 years
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Caro futuro marito...
Tu ancora non esisti, né so se mai esisterai, ma sono giorni che aggomitolo sensazioni e sentimenti che non posso più tenere in un angolo.
Non mi vendo, né mi svendo, semplicemente attendo. E in questa rassegnata attesa, lascio questo messaggio al vento caldo, quello dei primi giorni d'estate, lento e delicato, a pari passo con il tempo.
Sono una persona empatica, sensibile e profonda, una matura indagatrice dell'anima, pur mantenendo ancora l'instancabile curiosità, la perenne meraviglia e la fervente fantasia della mia infanzia. Quando amo, ogni singola parte di me, corporea e invisibile, ne rimane totalmente coinvolta. Spontaneamente proteggo, divento un alfiere leale e fedele, pronta a mantenere la pace, la serenità, la tranquillità. Il dialogo, l'ascoltarsi reciprocamente, è per me essenziale, direi anche vitale. Amo le piccole cose, che in realtà sono grandi: la bellezza della natura, i gesti gentili e premurosi, gli sguardi dolci e orgogliosi, le risate in compagnia, la poesia, la musica, l'arte, i cieli stellati. Quando amo, sono disposta a farlo per sempre.
Sono cambiate delle priorità, però: mi sono donata per tanti anni ad una persona che credevo fosse quella giusta, per poi scoprire che non era in grado di amarmi. Spontaneamente l'ho protetto, mi sono caricata la sua croce sulle spalle, ho sacrificato tanto per poterlo aiutare, per poi rendermi conto che lui non voleva salvarsi, e quindi non poteva neanche prendersi cura di me. Così ho preso una decisione: ho ridimensionato quello che conta davvero in una relazione.
Caro futuro marito, non mi importa più se mi offrirai la cena al ristorante, se mi aprirai la portiera dell'auto, se mi dedicherai una canzone o se mi regalerai una rosa quando meno me lo aspetto... Sono gesti carini, ma i fatti sono ben altri. A me interessa che anche tu mi protegga (oltre ad essere onesto, fedele, dai sani principi, ovviamente). Non devo essere l'unica roccia, anche io ho le mie fragilità e devo sentire che posso contare sempre su di te. Dobbiamo essere due guerrieri, due amanti, due coniugi, due ancore, due anime indipendenti nella solitudine, ma potenziate nella coppia. È questo il vero romanticismo: Eros e Agape. In realtà, ho sempre cercato tutto questo in una persona, però poi ho perso l'obiettivo, mi sono lasciata abbagliare, come è giusto che accada nell'ingenuità peculiare del primo amore. Ma ora non sbaglierò più: non farò più sacrifici se sarò l'unica a farli. Non donerò totalmente la mia anima a qualcuno senza aver prima constatato che tutti i pilastri ci siano effettivamente, soprattutto nelle difficoltà.
Non mi vendo, né mi svendo; semplicemente attendo che il vento caldo d'estate soffi via questi liberi pensieri e che Dio faccia di me la sua volontà.
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unfilodaria · 4 years
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A volte ho la sensazione di vivere in una terra di mezzo non perfettamente quantizzabile in estensione e localizzazione. Di cose penso di conoscerne non poche, ascolto musica di vario genere, seguo letterature di vari periodi e nazionalità, ho visto un numero considerevole di film, mi aggiorno, ho visitato musei... Eppure da un lato so che ci sono persone che conoscono ben poco (e non mi soffermo sul perché: c'è chi non ha voluto, chi non ha potuto e chi semplicemente non ha avuto i mezzi). Dall'altro lato persone che ne sanno molto ma molto più di me. Ci sta, è fisiologico, lo scibile umano è infinito per cui ci sarà sempre qualcuno che ne sa di più e in modo notevole e dettagliato.
Quello che mi lascia interdetto è che nella cerchia delle mie conoscenze, persone che hanno avuto le mie medesime possibilità, un grado di cultura più o meno come il mio, ti sfornino di tanto in tanto conoscenze musicali, letterarie, artistiche a me totalmente ignote. Ci può stare anche questo ma quello che mi perplime è che per sapere tanto, aver visto tanto, aver vissuto ancor di più significa aver avuto un tempo maggiore del mio per potersi dedicare a tutto questo perché la conoscenza, al di là di capacità più o meno innate di apprendimento e memorizzazione, richiede, senza ombra di dubbio, tempo per viverla e soprattutto dedizione. Allora, mentre vago in questa terra di mezzo dove non identifico i confini, mi sorge spontanea una domanda: cosa ne ho fatto del mio tempo? Non ne ho avuto? (forse si perché la vita in quel lasso di tempo chiamata gioventù mi ha portato a fare altro) Oppure il tempo a mia disposizione l'ho sprecato, dissipato o peggio vissuto male?
È come se avessi perduto tanto. È come se avessi sprecato. È come se fossi stato defraudato di tutto quello di cui mi rendo conto non sapere. È come se non avessi vissuto una parte della mia vita.
Mi si dirà: ma tu hai fatto altro, cosa vuoi? Perché ti lamenti?
Si ho fatto altro ma spesso mi sono dovuto piegare all'altro, ho seguito l'onda, rinnegando la mia natura curiosa ed indagatrice. Ed ora, a distanza di anni, so che certe esperienze sono perse per sempre (si le potrei ancora vivere ma ogni cosa ha un luogo e un tempo e sono andati e non ritorneranno o quanto meno non avranno lo stesso sapore).
A volte penso che pur volendo resteranno vuoti incolmabili. Spero solo che gli anni a venire, che gli eventi futuri, che l'attesa di vita, mi concedono la possibilità non di recuperare ma almeno di vivere il presente ed il futuro, di riprendere qualcosa che ho dovuto mettere da parte e di cominciare a vivere sul serio e a non perdermi quel che giusto che io viva.
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ma-pi-ma · 5 years
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Perché la parola ha la capacità del ricordo perché ho cercato giustificazioni al silenzio quando avevo la pupilla del cuore insonne. Perché i passanti avevano il tuo stesso sguardo triste, Faccio questo mestiere, esortazione al verso in una notte di febbraio incomprensibile, e ansia indagatrice che testimonia l’integrità del sentimento. Oggi scriverò sul foglio - complice dell’ansia - quello che mai ha detto all’alba, passando la notte da te, quando fumavamo la vita cercando mozziconi. Eravamo duttili e tuttavia, La penna decifra meglio i ricordi, amore.
Città del Messico, 1977
Marisa Trejo Sirvent, Passando la notte da te, La capacità di un ricordo
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giovanna-dark · 5 years
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“Uccello senza corpo, piegato su se stesso, in una mantellina nera, gli scarponi neri pesanti; silenziosa, straniera e indagatrice, seduta in disparte, brutta a prima vista, almeno da adulta; il corpo assente, devastata dalla miopia, con gli occhi protesi a osservare il mondo da siderale distanza e acuta prossimità, avevi l’impressione di trovarti davanti ad un corpo estraneo, forse maledetto, e così poco umano”.
(Marcello Veneziani scrive di Simone Weil)
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Vorrei poter dire di essere superficiale, apatica a tratti, invece sono sempre più presa, sempre più indagatrice, senza però capire a cosa ciò mi porti
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Okay, sarò molto onesta e molto breve (anche se ho letto che non si dovrebbe dire ma BLABLA): sono ancora nella fase in cui sto cercando di sbloccarmi per tornare a scrivere in tranquillità quindi questa cosa è scritta un po' di corsa, un po' senza un'idea precisa. E si vede. Spero solo che sia una cosa vagamente leggibile! Also, side note: lo so che sono una patata sociale e sono incapace di rispondere ai commenti perché sono fatta male, però li leggo e li rileggo tutti trecentomila volte e sono molto molto grata per questo fandom. Ora vadoh.
Come find me (su AO3)
La prima volta che lo vede Fabrizio si tira su con uno scatto perché è disteso su una panchina che in realtà è solo un blocco di cemento, ma c'è ancora il sole perché sono le sei di sera ed è solo metà Settembre, quindi c'è sole ma non troppo, quel tanto che basta a giustificare il fatto che se ne stia disteso con le gambe accavallate.
Roberto gli ha mandato un messaggio dieci minuti fa dicendogli un quarto d'ora e arrivo e poi una serie di consonanti che Fabrizio ci ha messo tre minuti buoni a decifrarla, ad estrapolare un questo posto fa schifo, chiedi a tuo padre di assumermi a cui Fabrizio ha solo arricciato un angolo delle labbra in un sorriso che non era proprio un sorriso.
E ora è lì, col cellulare tirato su a fargli ombra sul viso, una giacca di pelle buttata sulle spalle perché non voleva presentarsi all'Università solo con la canottiera degli AC/DC che ha più buchi e macchie d'olio che stoffa, e quando lo vede si tira su di scatto e il cellulare gli scivola tra le mani e gli cade in grembo.
Ermal – prima che sia Ermal, quando ancora è quel ragazzo coi ricci che gli cadono sugli occhi e i jeans neri stretti e l'abbronzatura che ancora non gli è andata via, quando è ancora quel ragazzo che gli fa cadere il cellulare di mano, e forse non smetterà mai di esserlo, in realtà – cammina lentamente, con le mani infilate nelle tasche dei jeans anche se riesce ad incastrarci solo le dita, una giacca di pelle buttata su una spalla, lo zaino sull'altra, ha le guance colorate di rosa e si spinge i ricci via dalla fronte. Cammina lentamente perché mette un piede davanti all'altro come i bambini che immaginano di camminare in equilibrio su una distesa di lava.
Fabrizio non sa che Ermal è Ermal, non ancora, ma poi si scorderà del momento prima di questo, prima di Ermal.
Ora è a sedere sulla panchina, ha recuperato il cellulare senza farlo cadere per terra e gli occhi del ragazzo – di Ermal, si chiede sempre quando Ermal abbia smesso di essere il ragazzo e forse direbbe adesso, ora che lo guarda e Ermal ha quegli occhi scuri e luminosi che sono un po' la fine di Fabrizio, lo guarda e Fabrizio ci mette un attimo a capire che è perché sta camminando accanto a Roberto e Roberto lo ha visto e gli rivolge un breve cenno con la mano.
Fabrizio si alza e si strofina le mani sui jeans – i jeans strappati che un tempo erano strappati intenzionalmente e ora sono solo un disastro.
Roberto si ferma ad un paio di passi da lui, Ermal con un secondo di ritardo, ancora impegnato a camminare sulla sua distesa di lava. Un po' gli toglie il fiato così da vicino, un po' di più che mentre lo guardava da lontano.
Roberto lo abbraccia brevemente, con un braccio solo, e Fabrizio gli lancia un'occhiata indagatrice perché non è da lui, riesce a distrarlo da Ermal per qualche secondo prima che gli dica: “Lui è Ermal,” e Fabrizio si ritrovi a guardarlo di nuovo, a stringergli la mano per un attimo.
“Fabrizio,” gli dice, e Ermal sorride in quel modo che poi Fabrizio avrà modo di imparare, quello che gli addolcisce lo sguardo.
Roberto gli tira una mezza spallata e Fabrizio si infila le mani nelle tasche della giacca. “Stavamo pensando di andare a bere qualcosa più tardi.”
Fabrizio scrolla le spalle, stringe per un attimo le labbra, si fa due calcoli; è relativamente sicuro che suo padre non lo licenzierà se arriva in ritardo la mattina dopo. Relativamente.
“Ci porti tu?”
Fabrizio alza gli occhi al cielo. “Ho alternative?”
Roberto sorride, il suo sorriso a trentadue denti: “No.”
Fabrizio ruota gli occhi.
Ermal sorride con un angolo delle labbra mentre li osserva. Ha i ricci illuminati dagli ultimi raggi di sole, e anche gli occhi, di striscio, e Fabrizio poi ci ripensa e un po' lo sa perché si ricorda poco e niente del prima di Ermal.
*
Devono parcheggiare ad un paio di strade dal locale. Roberto ha invitato Gemma perché ci vede lungo, e quando Fabrizio ha aggrottato le sopracciglia in un'espressione preoccupata ha alzato gli occhi al cielo, gli ha tirato uno scappellotto e ha detto: “Ha una spilla con scritto pride attaccata allo zaino.”, e Fabrizio si è sentito vagamente meglio.
Ermal li sta aspettando fuori dal locale, la giacca di pelle a coprirgli le spalle e una maglietta bianca e sottile con lo scollo a V; sta muovendo distrattamente le dita sullo schermo del cellulare, senza guardarlo davvero.
Roberto richiama la sua attenzione con un Oi che gli fa alzare il capo; gli si stendono le labbra in un sorriso mentre si fa scivolare il cellulare nella tasca dei pantaloni neri su cui si curva la luce, e Fabrizio si passa nervosamente le dita tra i capelli, spingendoli all'indietro.
Due ragazze si stanno baciando a pochi passi da Ermal, tutte risate che sanno di alcol e mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans.
Roberto si lascia scivolare il cellulare in tasca: “Gemma dice di cominciare a prendere un tavolo.”
Fabrizio si scansa per far entrare Ermal prima di lui.
Ermal gli sorride, e quando abbassa il capo i ricci gli ricadono sugli occhi.
*
Finiscono a ballare.
Prima finiscono su un divanetto stretto perché Roberto e Gemma occupano quello di fronte, e Fabrizio scopre che Ermal ha le gambe lunghe quanto le sue e le loro ginocchia continuano ad urtare il tavolino o scontrarsi quando seguono il ritmo della musica.
Fabrizio prende solo una birra, Ermal scuote il capo quando si offre di prendere qualcosa anche a lui. Roberto e Gemma sono nel loro mondo e Fabrizio si schiarisce la voce due volte prima di chiedere ad Ermal dell'Università.
Ermal studia Lingue, come Roberto. Fabrizio lavora nell'officina di suo padre. Nessuno dei due sa bene cosa se ne faranno di queste cose con cui si riempiono le giornate. Ermal dice: “Non c'ho mai capito assolutamente niente di macchine,” mentre se ne sta col mento poggiato sul palmo della mano, il gomito sul tavolo; si è tolto la giacca e Fabrizio pensa che ora ogni tanto lascia che le loro ginocchia si scontrino apposta.
Fabrizio fa un mezzo sorriso, prende un sorso di birra. “Col padre meccanico per forza di cose,” lascia un po' la frase in sospeso.
Ermal si fa vibrare un breve mmmh tra le labbra e non gli chiede altro, lascia vagare gli occhi sul resto del locale semibuio dove c'è gente che balla. Gli chiede: “Ti va?” e inclina il capo, i ricci che seguono il movimento.
Fabrizio dice: “Ballo malissimo.”, perché è equo che lo avverta.
Ermal ride: “Anche io.”
*
Finiscono a ballare. Malissimo.
Non hanno idea di cosa fare, non finché Ermal non prende un respiro profondo prima di allacciargli le mani dietro al collo con un passo avanti e Fabrizio poggia le proprie sui suoi fianchi, esitando per un attimo finché Ermal non gli preme il viso contro l'incavo del collo.
È più semplice quando Ermal gli poggia le labbra contro la pelle e Fabrizio gli stringe le dita sui fianchi, quando smettono di seguire la musica e sentono solo il sangue che gli scorre nelle orecchie e i loro respiri leggermente affannati.
È semplice quando Fabrizio gli chiede: “Vuoi venire da me?” e Ermal annuisce con gli occhi lucidi e le labbra gonfie. Fabrizio si sente un livido sottopelle vicino alla clavicola.
*
Ermal si lascia scappare una risata quando vede la Punto e si copre immediatamente le labbra con le mani, gli occhi spalancati che ancora ridono. Fabrizio gli lancia un'occhiataccia che avrebbe più effetto se non fosse distratto dal modo in cui i ricci di Ermal sono stati scompigliati dalle sue dita.
Ermal solleva le mani in un gesto di resa: “Non ho diritto di parola, io mi sposto in metro.”
“Ecco.”
Ermal tamburella con le dita sulle proprie gambe mentre Fabrizio guida – prova a guidare, non riesce a smettere di seguirne il movimento.
“Qualche problema?”
Fabrizio gli lancia un'occhiata, distogliendo lo sguardo dalla strada o dalle sue dita per un momento, vede il sorriso furbo sulle labbra di Ermal, il modo in cui solleva le sopracciglia in una piccola sfida. Si sente un sorriso sulle labbra quando ci passa la mano, forzando il proprio sguardo sulla strada, tra le proprie dita mormora: “Stronzo.”
Ermal butta la testa all'indietro e ride.
*
Ermal ha i ricci sparsi sul cuscino, le guance e il petto colorati di rosa, di rosso dove Fabrizio ha posato le labbra, ha le gambe avvolte attorno ai suoi fianchi, le cosce che gli scivolano contro la pelle, ha gli occhi chiusi e la bocca spalancata anche se non emette un suono, solo gemiti di gola che rimangono incastrati tra le sue labbra e quelle di Fabrizio.
Fabrizio ha la voce roca che inciampa nei respiri con cui cerca di riempirsi i polmoni quando mormora: “Prima tu.”, ed Ermal getta la testa all'indietro, la gola scoperta, la mano di Fabrizio tra di loro, solo respiri pesanti e pelle contro pelle nel silenzio della stanza.
*
Fabrizio fuma. Si sente troppa energia sottopelle.
Ermal gli lancia un'occhiata di sbieco, le palpebre pesanti; non sembra abbia intenzione di muoversi. Ha le gambe ancora mezze intrecciate a quelle di Fabrizio. “Quella roba uccide,” biascica.
Fabrizio guarda per un attimo la sigaretta prima di poggiarci contro le labbra: “Così dicono.”, che non ha molto senso e metà parole gli finiscono nella sigaretta che ha tra le labbra.
Ermal ruota gli occhi. Ha ancora i ricci sparsi sul cuscino, le mani che vagano pigramente sul petto; allunga un braccio come se gli costasse una fatica immensa e gli toglie la sigaretta di bocca, ignora l'ehi di Fabrizio che non è difficile da ignorare e se la porta alle labbra, le guance incavate mentre prende una boccata prima di spegnerla nel posacenere sul comodino.
Butta un braccio attorno ai fianchi di Fabrizio e chiude gli occhi.
Fabrizio ci mette un minuto buono a smettere di guardarlo.
*
La sveglia sul comodino suona e Fabrizio si sveglia di colpo anche se tiene a malapena aperti gli occhi, c'è un peso rassicurante sul suo stomaco e un calore contro il suo fianco che non gli è familiare – sbatte le palpebre e i ricci di Ermal sono la prima cosa che vede, ha la spalla che gli sta facendo da cuscino ed è ancora nudo e ha bisogno di una doccia prima di andare a lavoro e merda.
Ermal arriccia il naso in un'espressione scontenta quando Fabrizio sfila il braccio da sotto la sua testa, sbatte lentamente le palpebre con uno sbadiglio mentre Fabrizio è già in piedi, della biancheria pulita buttata sul braccio.
“Addirittura cerchi di scappare dal tuo stesso appartamento,” dice Ermal attorno ad uno sbadiglio, la voce ancora profonda che distrae Fabrizio, “Non pensavo fosse stato così male.”
Fabrizio si gira a guardarlo con un'occhiata incredula – che è un errore perché Ermal è ancora nudo nel suo letto, ha rimpiazzato Fabrizio con un cuscino e ci ha poggiato il mento, e Fabrizio si sporge senza pensarci, gli preme un bacio contro le labbra che è più denti e respiro che altro e si sente le dita di Ermal sulla nuca. “Devo andare a lavoro.”
Ermal si mordicchia il labbro inferiore. Ha le guance tinte di rosa. “Okay,” dice, con quel tono che viaggia appena sopra il suo respiro e Fabrizio ha già imparato ad associare ad una certa luce nei suoi occhi.
“Dovremmo rivederci,” gli dice, di getto.
Ermal alza gli occhi da sotto i ricci, un sorriso lento e assonnato sulle labbra: “Decisamente.”
*
Fabrizio trova un numero di telefono scarabocchiato su un post-it sotto il posacenere nella camera da letto quando torna da lavoro, i vestiti macchiati d'olio e dei lividi sul petto su cui ogni tanto preme le dita.
*
Hai da fare stasera?
Dimmelo tu.
*
Hanno Netflix aperto sul portatile di Fabrizio e una pizza a testa, e Fabrizio non sa se sia così che deve funzionare ma Ermal lo sta guardando col suo sorriso furbo.
“Che?” gli chiede alla fine, esasperato dal silenzio e dagli occhi di Ermal che continuano a studiarlo mentre scorre inutilmente la sezione dei film consigliati.
Il sorriso di Ermal si allarga solo in parte, chiuso a metà dove i denti gli affondano nel labbro inferiore: “Niente. Mi sto chiedendo quanto ti ci vorrà a venire a baciarmi.”
Fabrizio chiude il portatile.
Non molto.
*
Ermal riempie quegli spazi che prima erano vuoti di cui Fabrizio non si era nemmeno accorto.
Riempie le sere dopo che Fabrizio è tornato da lavoro, le Domeniche pomeriggio che gli pesano nello stomaco, il suo appartamento la mattina presto quando ha lezione più tardi. Riempie il suo letto e i Sabati notte quando tenta di accendersi una sigaretta prima che Ermal gliela tolga di bocca e si metta a parlare.
Gli parla dei corsi che sta seguendo e degli esami che dovrà dare e ha una ruga tra le sopracciglia su cui Fabrizio passa le dita. Poi lo bacia. A volte lo bacia e basta.
Roberto gli tira un calcio sotto al tavolo quando si presenta alla mensa dell'Università per la prima volta, ma un angolo delle sue labbra è arricciato verso l'alto.
Impara una cosa di Ermal che glielo fa odiare per qualche ora, quando Ermal si presenta a casa sua con un maglione arancione con sopra una zucca nera il giorno di Halloween, una busta piena di caramelle che gli pende da un braccio: Ermal è innamorato della vita. Ne è innamorato in quel modo che fa più male che bene, in quel modo che viene solo dopo averla odiata e che gli fa chiudere gli occhi quando c'è vento, e che ha a che fare con le cicatrici che ha sulla schiena. Ne è innamorato in modo insopportabile, non se ne rende neanche conto del modo in cui brilla senza sforzo, come se gli venisse da dentro, un fuoco sempre acceso e Fabrizio si sente un idiota, travolto, con la sua piccola vita e il suo piccolo appartamento e le sue piccole ambizioni che nemmeno ha il coraggio di dirsi a bassa voce.
Gli chiude praticamente la porta in faccia con una mezza parola e si lascia divorare dal senso di colpa fino a notte fonda mentre fuma una sigaretta dopo l'altra. C'è Ermal anche nelle dannate sigarette.
Puoi venire da me stasera?
Per favore
Non dirò niente se non vuoi
Ermal ha gli occhi rossi e il viso pallido, i ricci tenuti indietro da una fascia. Ha le braccia incrociate sul petto.
Fabrizio fa per prendergli lo zaino come farebbe sempre prima di premergli un bacio sulle labbra, ma Ermal ha qualcosa negli occhi che lo inchioda alla porta.
“Sono un idiota,” gli dice, gli si spezza la voce. Lo è.
Ermal si schiarisce la voce: “Dimmi qualcosa che non so.”
Fabrizio lo prende alla lettera: “Mi sono licenziato.”
La posa di Ermal crolla, le braccia gli pendono vicino ai fianchi. Fabrizio si sposta di lato per lasciarlo entrare.
*
Ermal ha le braccia avvolte attorno alle ginocchia mentre Fabrizio cerca di spiegare. Che Ermal ama la vita in un modo che costringe Fabrizio ad amarla un po' di più. Che gli ci è voluto un po' a riconoscere che era amarezza che si sentiva nello stomaco. Che ora si sente insopportabilmente vivo e certe cose gli vanno troppo strette – ma non Ermal. Mai Ermal.
Ermal lo guarda, sbatte lentamente le palpebre: “Non sono niente di quello che stai dicendo.”
A Fabrizio viene da ridere, un suono isterico che gli esplode tra le labbra, distoglie lo sguardo da Ermal e scuote leggermente il capo: “No, sei solo – tutto.”
È anche tutte le cose che lo terrorizzano.
Ma la cosa è che – quando non hanno più voce Ermal prende posto prepotentemente sotto al suo braccio, col visto affondato testardamente nel suo maglione, un altro vuoto di cui Fabrizio non si era accorto. E Fabrizio non ha paura.
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opheliablackmoon · 2 years
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ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ  ㅤㅤ         sᴛᴏʀʏʟɪɴᴇ  ❚  london, uk        new update  ﹫  opheliagrimaldi           h. 13.57, june 02nd, 2022             ❪      🌑      ❫ ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Tensione. Apprensione. Timore. Forse erano queste le sensazioni che spiccavano nell'animo della monegasca mentre, uno dopo l'altro, le persone davanti a lei varcavano la soglia del balcone reale. Si sentiva piccola, come se il tempo si fosse fermato e avesse cominciato a correre al contrario, portandola in un tempo che era così lontano da essere quasi dimenticato. Era come quando era piccola, sgambettante qui e là, con vestiti color panna che le arrivavano fino alla caviglia, e piccole scarpine che avrebbero fatto sciogliere il cuore anche del più forte. Si sentiva orgogliosa di appartenere a famiglia Grimaldi, si sentiva fiera di poter accompagnare il nonno nelle manifestazioni ufficiali con quei grandi occhi curiosi che sembravano memorizzare ogni particolare. Ed ora a distanza di anni, si sentiva alla stessa maniera. Vi era qualcosa di diverso, tuttavia. Respirava. Uno, due, tre. Ancora una volta. Erano piccoli respiri quelli messi in atto dalla principessa, mentre attendeva il suo turno. Cosa le aveva detto il dottor Hughes? Quando lo senti arrivare, chiudi gli occhi e respira, ritrova il tuo equilibrio. E lo stava facendo, perlomeno ci stava provando. Un passo dietro il suo futuro marito, ella osservava la scena come se fosse spettatrice e non protagonista. Sentiva il cuore battere così velocemente che avrebbe voluto sentire solamente la voce di chi avrebbe potuto dare pace alla giovane, eppure non era altro che un desiderio impossibile da realizzare. Come avrebbe potuto anche solamente pensare di farlo? Socchiuse gli occhi, sentì il vociare lontano che proveniva dalla parte esterna di Buckingham Palace, e portò la destra al petto. Il palmo andò a sistemarsi all'altezza del cuore, come se fosse lì da dover stare, fermandolo da una corsa pazza e insensata. Era quella la posizione che assumeva quando lo sentiva arrivare, rapido come una lepre, ma insidioso come un rapace. Lo sentiva crescere sempre di più, e solamente il rosso avanti a lei le scoccò un'occhiata indagatrice. Massaggiò lo sterno come se avesse avuto a che fare con qualcuno di delicato, qualcuno che non avrebbe mai potuto lasciare solo. Ma si poteva lasciare solo il proprio cuore? Si vestì del suo solito sorriso di circostanza, quello che sua nonna le aveva fatto promettere di esporre nelle situazioni più complicate. Inspirò. Uno, due, tre. Ancora una volta. Poteva farcela, poteva resistere, poteva fare tutto se lo avesse voluto. Abbassò il capo al passaggio della Regina, un saluto di cotale rispetto che ricordò tutta l'etichetta che tutti i presenti avevano ormai imparato fin da neonati e solamente quando la giovane si ritrovò in piedi con la famiglia reale, un sentimento di orgoglio crebbe in lei. Era sola in quel mare, una goccia tanto profonda da essere dimenticata, irriconoscibile perfino a se stessa, e sarebbe potuta annegare da un momento all'altro mentre tutto attorno a lei brulicava di energia e calore. Solamente due paia d'occhi non smettevano di osservarla. I primi osservavano i suoi movimenti con affetto, con quell'interesse che si sarebbe potuto osservare di un ragazzo preoccupato, mentre gli altri, più vecchi ma ugualmente scaltri avrebbero continuato ad osservarla come un 𝒑𝒓𝒆𝒛𝒊𝒐𝒔𝒐 𝒃𝒐𝒕𝒕𝒊𝒏𝒐.
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iltrombadore · 2 years
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Ricordo di Marisa Volpi, del suo amore per l’arte, la scrittura e l’occhio “senza tempo”
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14  Maggio 2015. Mi telefona il caro amico pittore Sergio Ceccotti incaricato di darmi la dolorosa comunicazione: Marisa Volpi si è spenta nella notte.Aveva quasi ottantasette anni, portati talmente bene che mi sembrò quasi una ragazzina tutta sorridente quando due anni fa ricordammo il ventennale della scomparsa di mio padre assieme a lei e ad altri. Era una donna speciale. Una borghese liberale di famiglia agiata marchigiana, era cresciuta a Roma nella casa di Via Tolmino, tra corso Trieste e la Via Nomentana, che poi divenne il titolo di un suo prezioso racconto autobiografico. Appassionata d'arte, Marisa aveva militato tra gli universitari del PCI fino al 1956, ma se ne era allontanata per quello spirito di libertà intellettuale che ne distingueva il profilo di donna sensibile e indipendente. Marisa si era formata al magistero fiorentino di Roberto Longhi, e da lui aveva ereditato l'arte di scrivere sull'arte, quella trasposizione letteraria del linguaggio artistico, che tanto si confaceva al suo temperamento di scrittrice, quale si rivelò in seguito col suo romanzo Il Maestro della Betulla ( Vallecchi, Premio Viareggio 1986). 
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Non credevo che per lei il tempo dovesse passare. Era sempre felicemente stupita delle cose del mondo, nostalgica e saggiamente fantasiosa, come attraversata dal desiderio di plasmare esteticamente ogni aspetto dell'esistenza dimenticando così i dolori e il brutto del mondo. La ho conosciuta bene negli anni Ottanta e diventammo subito amici. Insegnava all'Università di Roma la storia dell'arte. Ma soprattutto viveva a contatto con gli artisti, di cui era estimatrice ( Consagra, Scialoja, Dorazio, sadun, Twombly, e tanti altri con loro) alternando la critica d'arte al commento storico, dall'impressionismo al simbolismo, dall'espressionismo all' astrattismo.'L'arte di scrivere sull'arte' la portò sempre più lontano dalla critica d'arte dopo che le venne a noia il ripetersi del neoavanguardismo (con le ricadute 'transavanguardiste'). 
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Preferì la narrativa dando alle stampe una decina di volumi  con racconti che hanno per soggetto episodi della vita di artisti come Berthe Morisot, Arnold Böcklin, Edgar Degas. Fu molto legata a Plinio De Martiis collaborando con lui ai quaderni de La Tartaruga e negli anni Ottanta sostenne i pittori che Plinio amava di più come contraltare della postavanguardia dilagante (Franco Piruca, Aurelio Bulzatti, Maurizio Ligas). Dopo di che, la scrittura: tersa, dolcemente divagante, indagatrice del vissuto, memorialismo privato elevato ad emblema, piccoli cammei che restano prezioso documento di una testimone discreta e di una osservatrice profonda, meditativa, emotivamente partecipe. Ricordo tra gli altri il breve e intenso libro 'Uomini', un riassunto di incontri, amicizie, sentimenti, esperienze di amore e vita morale. Ma varrebbe ancora parlare di 'Non amore', un altra prova letteraria di finissima qualità che la distinse, ed altre ancora realizzate negli anni Novanta, con la rievocazione del mondo preraffaellita inglese, di Bocklin, e di altri importanti amori che Marisa ebbe per episodi dell'arte europea, per i suoi maestri e protagonisti. 
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Appassionata com'era, e per nulla superficiale, Marisa amava entrare nei personaggi di cui ripercorreva l'esperienza vitale ed estetica. Si immedesimava in loro per ricavarne una lezione sempreverde, al di là del tempo e delle circostanze storiche, tracciando assieme al saggio critico una parafrasi letteraria ricca di pathos e fantasia. Nel far vivere, rivivendole, le cose belle del passato consisteva la sua migliore qualità di scrittrice e di sapiente esperta d'arte. Non a caso per i suoi ottanta anni (2008) venne festeggiata all'università di Roma con un volume intitolato 'L'occhio senza tempo.Saggi di critica e storia dell'arte contemporanea. (Lithos, Roma 2008). Per l'occasione parlai anche io facendole festa e mille ringraziamenti per la sua vitalissima lezione di una ricerca disinteressata del bello 'senza tempo' che la distingueva come intellettuale di primo ordine. Senza tempo, era Marisa, e tale voleva che fosse la sua opera. E adesso, che anche per lei il tempo si è fermato, la sua opera continua a far rivivere le emozioni che ha saputo trasmettere  al di là di sé stessa. Il mio più caro abbraccio, Marisa.
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dis-am-i-stade · 6 years
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“Lodava sé stessa lodando la luce, senza vanità, poiché era rigorosa, era indagatrice, era bella come quella luce. Era strano, pensò, come ci si appoggi alle cose quando si è soli, alle cose inanimate; alberi, ruscelli, fiori; come si senta che ti esprimono; che si mutano in te; che ti conoscono, che in un certo senso sono te; e si sente così una irrazionale tenerezza come per sé stessi.”
“Ogni posto è una miniera.”
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