#incantesimo di divorzio
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medyumhoca88 · 4 months ago
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ilarywilson · 5 years ago
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her marriage
Nel 2071 i giornaletti di gossip hanno annunciato il suo fidanzamento con Sebastian Waleystock (l'allora cacciatore dei Montrose MagPies) descrivendo il loro imminente matrimonio come "il classico clichè del quidditcharo e la modella".
Il 7 novembre 2071 ha sposato Sebastian Waleystock in una radura di Argleton (nel Suffolk) dove è sorta Wilstock House (ora rifugio wwffb).
Il 17 aprile 2076 è avvenuto il suo rocambolesco divorzio da Sebastian Waleystock. Si narra che... lo sposo sia venuto senza testimone rischiando di far saltare tutto, la sposa abbia dato colorito spettacolo, l’altra testimone abbia proposto la vedovanza per risolvere più in fretta la questione, che il giudice abbia chiesto di tenergli da parte una copia del libro su questo rocambolesco teatrino che hanno chiamato ‘matrimonio’ e che l’unica parvenza di serietà sia sia stata grazia della funzionaria ministeriale Kim Delation. 
her&wwffb
E' stata il volto tedesco di Utopia, la nota linea di cosmetici magici cruelty free.  Le sue polaroid per “Tonico Fatato” - “Polvere di Stelle” e “Lozione Floreale” hanno campeggiato per un po' sul muro delle meraviglie del Red Carpet, a Diagon Alley.
Ma di lei si ricorda soprattutto la splendida campagna condotta per il lancio di Utopia in Germania e qualche articolo pubblicato su WAND (la rivista del wwffb).
Nel 2072 ha disegnato e poi realizzato abiti innovativi per la sfilata di Diversity Matters, in collaborazione con il DAAC e lo stilista Peter Lethbridge.
Ha preso parte al progetto "Utopia Routine" dedicando un
workshop estivo di Tessimanzia agli studenti di Hogwarts. Insieme a loro ha ideato (e poi realizzato) le divise per le squadre di Cheerleading scolastico.
Ha ideato una raccolta fondi per la ricostruzione di Fortebraccio, vendendo magliette a tema, con la collaborazione di Jacqueline Pearse e Faunya Florent.
Nel 2076 ha donato Wilstock House all’associazione, che ne ha fatto un rifugio per creature magiche.
just her
E' stata infermiera ad Hogwarts per due anni ('73-'74 e '74-'75) e condotto una lezione di incantesimi curativi a dir poco estrema e anticonvenzionale con l’allora docente della materia, Nihe Spooner. 
Per un po' ha insegnato Incantesimi, Erbologia e Tessimanzia al Pink Hunter di Hogsmeade (nov 2074 - giu 2075).
Se siete assidui frequentatori del San Mungo, potete averla vista (e potrebbe avervi medicato con tonnellate di ironia inopportuna) al IV piano, Rep. Whilelmina Oragon - Lesioni Temporanee da Incantesimo.
La potete trovare spesso a disegnare al DNA Cafè. Il locale è sempre pieno di suoi bigliettini da visita da ritrattista ambulante wannabe.
Porta sempre con sé il kit del primo soccorso.
Soffre di vertigini e di chiacchiera cronica.
Dal 18 maggio 2075 vive in un palazzo giallo canarino con Rachel, in quel di Notting Hill: Pollon’s.
A sera (ma non solo) la si può incontrare sempre troppo spesso al The Maze di Londra.
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paucanonbonadicta · 5 years ago
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La musica migliore del 2019
ALBUM
1. Lana Del Rey, Norman Fucking Rockwell!
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Il decennio che stiamo per archiviare ha visto trasformarmi da suo occasionale ascoltatore compulsivo (a partire dagli imprescindibili primi singoli) a fanatico seguace di Lana Del Rey. La mia ammirazione è stata ricompensata quest’anno da un capolavoro supremo che è anche l’apoteosi del suo personaggio, vero o costruito che sia (a tale proposito è scoppiata un’accesa diatriba innescata dall’artista stessa) e della sua estetica, a metà tra il divismo in bianco e nero della Hollywood dei tempi d’oro e il sogno affogato negli oppiacei dell’America contemporanea, a cui, questa volta, vuole arrivare come consolazione. Da «Your poetry's bad and you blame the news / But I can't change that, and I can't change your mood» (“Norman Fucking Rockwell”) a «Hello, it's the most famous woman you know on the iPad» ("Hope Is a Dangerous Thing for a Woman Like Me to Have – but I Have It") è tutto inconfondibilmente Lana e tutto innegabilmente bello.
2. Miranda Lambert, Wildcard
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Devo tutta la mia passione per la musica country a Miranda Lambert, la regina del genere che mai delude. Stavolta, però, temevo il peggio al pensiero che, dopo l’inarrivabile capolavoro del 2016, il doppio album The Weight of These Wings, in cui era riuscita a sublimare in maniera mirabile il dolore del divorzio, una brutta discesa fosse inevitabile. Grazie a Dio, sebbene non come la precedente (ma come avrebbe potuto?), Wildcard è un’opera splendida, dai toni spesso allegri e scanzonati: la delusione ha lasciato il posto all’accettazione della vita per ciò che è, per come viene, per gli alti e i bassi di montagne russe comunque divertenti da affrontare. Dagli errori non si impara quasi mai, soprattutto in materia sentimentale, e la nostra, «innamorata dell’amore», continuerà ad inanellare, come ha sempre fatto, storie su storie, una tacca dopo l’altra della sua personale misura (“Track Record”), tanto Dio ha creato la candeggina per lavare ogni macchia, vera o metaforica che sia (“It All Comes Out in the Wash”). In fin dei conti, se l’amore continua a riservarti limoni, puoi sempre spremerli nel tuo drink (“Wildcard”) e brindare in onore d’una vita che è, tutto sommato, «pretty bitchin’» (“Pretty Bitchin’”).
3. Octo Octa, Resonant Body
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Octo Octa celebra la dance music, la sua forza unificante e il suo incantesimo che scende come balsamo su corpo e mente, dando un party maestoso, aperto a tutti, in cui si balla, ci si bacia e si piange, come da missione della sua etichetta T4T LUV NRG. A te non resta, tra breakbeats incontenibili e synth esuberanti, che «move ya body to the sound» (“Move Your Body”) e sentire l’estasi venire.
4. Holly Herndon, Proto
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Avete mai sentito un’IA cantare? In Proto ad insegnarglielo sono Holly Herndon e il gruppo di compagni chiamati a raccolta per questo ennesimo progetto sperimentale, che combina, per fini artistici, le potenzialità umane con quelle offerte dalla teconologia, con risultati a volte imprevisti e disorientati, che non fanno altro che aumentare il fascino di un’opera che funziona comunque alla grande a prescindere da tutto. Tra tante voci distorte, processate, manipolate, non si capisce più chi è che cosa, umano o robot. Ed è solo l’inizio.
5. Myss Keta, Paprika
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Questo è stato senza dubbio l’anno della consacrazione di Myss Keta, fenomeno che, da milanese e fighetto, è diventato nazionale, a tal punto che su di lei si è detto e scritto di tutto. Comunque la si pensi, è indubbio che l’album dell’affermazione definitiva spicca davvero, anche grazie all’apporto di produttori italiani particolarmente ispirati (shout out to Populous) che spaziano dalla trap all’elettronica di tutti i tipi fino allo spaghetti western, senza che Myss, in splendida forma, faccia una piega. Dovunque la si metta, non sembra mai meno che splendida. C’è stato un periodo, quest’anno, in cui le mie risposte su WA non erano altro che citazioni della nostra presente e futura Sturm und Drang Queen.
6. Terror Jr, Unfortunately, Terror Jr
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Unfortunately, Terror Jr è l’album pop perfetto, dall’inizio alla fine: produzione moderna ed impeccabile, ritornelli ficcanti e tutto il mondo d’oggi sotto la specie di canzonette facili all’orecchio. Dopo il primo ascolto non avrei mai detto che ci sarei tornato così tante volte.
7. DaBaby, Kirk
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Nel giro di soli sei mesi, DaBaby è passato dall’essere un totale sconosciuto ad essere il rapper più ricercato con due album in un anno, uno più bello dell’altro, e il primo posto delle classifiche americane. Il suo segno distintivo è la velocità, sia delle tracce, sempre molto brevi, sia del flow devastante, che, con formula sempre identica (ma perché cambiare se funziona tanto bene?), trita tutto, beat e versi, dalla morte del padre a quanto si divori tutti gli altri in un sol boccone, come se fosse la stessa cosa. Non è mancanza di rispetto, è che il padre non l’avrebbe mai sopportato come piagnucoloso crybaby.
8. Tanya Tucker, While I’m Livin’
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Vecchia gloria del country ormai quasi ritiratasi, Tanya Tucker decide, a dieci anni di distanza dall’ultimo album, di tornare e di farlo in grande stile con un’opera dirette e concisa che le sta talmente bene come un abito su misura che anche le cover sembrano scritte da lei (ed invece il suo nome compare tra gli autori di una sola canzone). Il viaggio non è stato facile e la voce ne porta le tracce (ed è per questo tanto più espressiva), ma, nonostante l’età, non è pronta a mollare, c’è ancora tanta strada da fare. Ma se il Signore venisse a bussare alla sua porta, sarebbe comunque sicura di aver ottenuto tutto ciò che voleva e pure di più (“The Day My Heart Goes Still”).
9. Megan Thee Stallion, Fever
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È sempre un piacere quando un artista che apprezzi da tempo arriva alla consacrazione. Questa volta è toccato a Megan Thee Stallion, che con il suo colorito rap, fatto di riferimenti sessuali espliciti ad ogni piè sospinto e di un’irresistibile baldanza, si ricollega, da un parte, alla tradizione delle rappers indomite che l’hanno preceduta e, dall’altra, alla scena di Houston, sua città natale. Il caso vuole che mi piaccia spararla a tutto volume nelle mie traversate provinciali durante gli esami di maturità: l’estate è cominciata o sta per farlo ed io sono in modalità rich bitch.
10. The Highwomen, The Highwomen
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Non ci sono solo le Pistol Annies. Quest’anno abbiamo salutato con fervore l’avvento di un altro supergruppo country femminile, The Highwomen, alla cui tavola affollata c’è posto per tutti e il pane si spezza insieme (“Crowded Table”). L’unico difetto dell’album, il messaggio socio-politico di canzoni troppo infuse, per i miei gusti, dello Zeitgeist, viene riscattato dalla scrittura brillante, grazie soprattutto alla sempre impeccabile Natalie Hemby, e alla celebrazione del country come genere, tra tutti, in cui la vita si riflette più naturalmente. Dopotutto il paradiso è un honky tonk e sulla bocca di ogni uomo morente c’è l’alleluia di un coro che canta con accento del sud (“Heaven is a Honky Tonk”). 
EP
Hailey Whitters, The Days
Schacke, Met Her at the Herrensauna
Aurora Halal, Liquiddity
Koffee, Rapture
Bézier - 府城
Anz, Invitation 2 Dance
Mark Broom, Break 97
India Jordan, DNT STP MY LV
Rema, Rema
Violet, Visions
TRACCE
Rosalía, “Con altura”
Miranda Lambert, “Pretty Bitchin’”
Schacke, “Kisloty People”
Lana Del Rey, “Bartender”
Hailey Whitters, “Red Wine & Blue”
Myss Keta, “Le ragazze di Porta Venezia (Remix)”
Koffee, “Toast”
Jenny Lewis, “Heads Gonna Roll”
Shay, “Même pas bonne”
Madonna, “Medellín”
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pangeanews · 5 years ago
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“Come vorrei che mia moglie morisse”: un racconto candidamente cinico di Anthony Burgess
Hanno trasmesso lo scorso mercoledì 29 su tv8 Melissa P. Un film vecchio come il cucco del 2005. È basato su un libro che vende ancora molto al Nord Europa. Però da allora i costumi privati sono stati influenzati dalla pornografia online e oggi l’abbozzo delle scene di sesso ci pare molto ingenuo.
*
Solo dieci anni fa si parlava di quel film nelle scuole come di cosa irrevocabilmente perduta e vederlo era fuori discussione. Serviva del genio per trovare il film piratato (oltre a un discreto impegno che non era da tutti profondere in quella “caccia”).
*
A guardare qualche sera fa Melissa P., però, senza usare troppe lenti intellettuali, il film non sembrava esagerato. C’è questa voce fuori campo, diaristica se vogliamo, che dà un suono freddo rispetto al calore del personaggio Melissa. (“Voglio distruggere io ora i sentimenti degli uomini” e simili). Anche se poi è un film costruito su una buona dose di fantasia, di invenzione, di manipolazione, tutto sembra andare tutto avanti come un’eco. Manca la struttura che regge le pagine di Sade, se vogliamo. Un po’ come American psycho, quando l’autore di 27 anni costruisce tutto quel sesso & violenza con l’immaginazione, con il sentito dire…
*
Melissa P. è un film vecchissimo che con la pornografia online è diventato più antiquato dell’Odissea. Tanto vecchio quanto la barba di Freud. Il nome Melissa rimanda all’isteria e agli infusi di acqua & melissa per curarla. Povero Freud che curava l’isteria femminile non rendendosi ancora conto che era una forma di reazione alla repressione dell’orgasmo. E vai con gli infusi, da bere o da sorbirsi in analisi… finché non è arrivata la liberazione sessuale che alla fine ci ha imprigionato tutti di nuovo, perché il corpo si è liberato lasciando imprigionati gli affetti: ed ora sono rinchiusi nelle segrete dell’inquisizione sociale più di ogni altra epoca.
*
In mancanza d’altro mi sono messo a scartabellare nei testi di Anthony Burgess in difesa della pornografia. Un paio di anni fa stamparono in pompa magna la sua conferenza maltese Obscenity and the Arts del 1970. Non è un lavoro straordinario, manca di effetti. Le solite idee su Joyce che Burgess espresse in miglior luogo con due libri appositi. Forse il Burgess migliore si trova nelle sue invenzioni. C’è un racconto Come vorrei che mia moglie morisse (I wish my wife was dead). Qui si raccolgono con la macchina fotografica di Cechov le sensazioni di un inglese sentimentale, mai naif e molto strafottente. Altro che Carver. Finora inedito, ve lo traduco in fondo.
*
E in effetti, dietro il titolo c’è lui in persona.
Nel 1968 Burgess si risposa dopo la morte della prima moglie. Aveva conosciuto la donna migliore della sua vita in mezzo a una vicenda di contorni pittoreschi: Liana Macellari era reduce da un matrimonio fallito e da una storia finita per un incidente tragico, era andata in UK nel 1963 per incontrare l’autore di Arancia meccanica. Aveva trovato sensazionale quella storia e voleva inserirla nell’Almanacco Bompiani. I due, com’è come non è, si piacciono tanto da avere un figlio fuori dal matrimonio di lui. Nel frattempo (ma quanto può essere lungo un frattempo) muore la prima moglie. Beveva troppo.
*
Burgess sposa la Macellari che lo aiuta a tradurre i sonetti erotici di Belli, cercando poi di piazzarli su Playboy e Spectator. Bei tipi: oggi si imbarazzano i polli se gli ricordi che anche Calvino scriveva le note sensuali del Sole giaguaro per Playboy. Ben venga Burgess, bellone English, con tanto di moglie romana!
*
Fu un matrimonio ben assortito. Che dire della passione postuma che Liana portò a Burgess, quando alla sua morte nel 1993 si batté come una leonessa per far valere tutti i diritti su pellicole e libri con risultati miracolosi? Ottenne più di tre milioni di dollari che furono devoluti alla Fondazione Burgess di Manchester, all’ Harry Hansom Center (Texas) e all’università di Angers. Altro che pornografia online, altro che Melissa P. Evviva il sentimento.
Andrea Bianchi
***
Anthony Burgess, Come vorrei che mia moglie morisse
John Sturges diede alla sua amata, il cui nome (per quanto improbabile) era Miss Lilith Kodaly, un bacio che era adesso tiepido e grato di riconoscenza, non più torrido e carico di aspettative. Quel che le signore romanziere chiamano “l’ora dopo l’amore” era conclusa ed era tempo per Sturges di andare a casa da sua moglie e, dando anche un po’ di spazio allo stress dei suoi doveri manageriali, era il momento di subire le insistenze, le insistenze e ancora le insistenze della moglie per tutto il tempo che sorbiva la sua minestra, poi quando guardava la televisione fino a quando fossero spente le luci, e forse anche dopo. Appesa la cravatta allo specchio, pensò: “Ancora giovane, sembro ancora giovane”. Lilith era stesa sul letto, bionda, pelle chiara, piedi belli rosa e lunghetti, sembrava molto giovane, e tale era. Imbronciò la bocca a culo di gallina in modo sensuale dicendo: “Non usciamo mai. Non mi porti mai in giro”. L’eterno compianto dell’amata. Ma certo anche eterno compianto della moglie, a pensarci su un attimo. “Lo sai che è pericoloso,” disse Sturges. “Meglio evitare il chiacchiericcio”. “E anche se chiacchierano?”. “Non voglio perdere il mio lavoro”. Perché l’impero di supermercati Eichendorff, di cui lui era il manager a Lafayette (Nebraska) era di alta moralità e sponsorizzava le scuole domenicali. C’erano anche, ai tavolini dei saloon locali, copie omaggio di una Bibbia stampata Eichendorff. “Ma,” disse Sturges, “chi lo sa? Uno di questi giorni…”
“Mi hai detto che lei non chiederà mai il divorzio, qualsiasi cosa tu faccia, perché lei non crede al divorzio”.
“Una convinzione che comunque condivide con molti milioni appartenenti alla sua Chiesa. Ma anche se non fosse così lei non vorrebbe perdermi mai e poi mai. Ha bisogno di me per le sue frustrazioni. Però ho la mia soddisfazione in fin dei conti. Cinquanta milioni di bacioni nel suo testamento”.
“E se muori prima tu?”
“Sì,” disse Sturges. “Ho avuto a volte questo pensiero. Ma dobbiamo pur sperare o no? Ha vent’anni in più di me, ricordatelo.”
“A volte,” disse Lilith allungandosi sul letto, “ti disprezzo. Sposare una donna così vecchia. Sei una sorta di gigolò.”
“Non saprei,” disse Sturges. “Avevo vent’anni e lei quaranta. Avevo bisogno del tipo più anziano. Alcune donne sanno essere molto attraenti a quarant’anni.” Guardò Lilith. Sarebbe stata attraente a quarant’anni? Pensò di no. Eppure con lui a sessantaquattro anni… “Ammetto,” disse Sturges, “di aver fatto un errore. Pensavo che avesse un patrimonio maggiore di quel che poi dimostrò nei fatti. Mi vidi per un momento a scrivere poesia a casa, in giacca di velluto, adorato dalla mia moglie quarantenne. Le cose non sono andate in questo modo, ecco tutto”.
“Vorrei che morisse,” disse Lilith, senza un vero tono vendicativo.
“Bene,” disse Sturges, “non vorrei dover esser io a portare il coltello, come dicono i libri di scuola. Ma se dovesse morire prima di mezzanotte senza dolore, senza modifiche al testamento, be’… immagino che sarebbe conveniente per noi due. Cucciola,” aggiunse. “Piccolo amore mio”. Il desiderio in lui stava come sbadigliando e stiracchiandosi ma era troppo tardi. Era ora di andarsi a beccare le frustrazioni durante la minestra e la televisione.
“Potremmo mollare questa noiosona” disse la piccola Lilith. “Potremmo andarcene via in Florida o in California o in qualche altro posto”.
“Sembra che lei sia in salute,” sospirò Sturges, “benché vecchia. Presumo che dovremo aspettare ancora a lungo.”
“Non essere così sicuro che starò qui ad aspettarti,” disse Lilith, mentre il suo corpo stava supino sul letto sfatto e intorno alla zona peristaltica c’erano quei movimenti graziosi , come la promessa di amore per qualcuno più giovane più carino e più ricco eppure ancora sconosciuto anche se uno dei suoi attributi doveva essere chiaro – doveva essere un single, un benedetto single.
“Dolcezza,” disse Sturges. Stava appoggiato sulle ginocchia come per recitare le preghiere ma le sue labbra erano lì in un atto profano, per niente da preghiera.
“Finiscila. Devi andare”.
Sospirò, accovacciandosi infine sulle ginocchia. “Immagino di sì. Ci vedremo domani. Stesso orario”.
“Cosa ti fa essere così sicuro che sarò ancora qui?” si imbronciò lei. “Potrei essere da qualche altra parte”.
“Aspetta, tutto qui,” disse Sturges. “Devi solo avere pazienza, dolcezza. Verranno bei tempi”.
Sturges andò a casa dalla moglie e lei attaccò il nastro. Aveva sessantaquattro anni ed era di una snellezza non attraente per i quarantaquattro di lui, belli pieni di ciccia, una biondina secca del Delaware e di famiglia svedese, stessa carnagione della carta ingrigita, convertita dal Luteranesimo al Cattolicesimo quando aveva quarant’anni. Si era fatta una passione dell’eterna validità dei voti matrimoniali. La lunga monodia si impuntò quando arrivarono alla solita minestra sostanziosa fino al brasato e carote e alla apple pie che andava tanto di moda, poi prese un tono duro mentre guardavano la televisione (spettacoli che andavano storto con molte dentature splendenti e disperate e sul fondo musica altissima; poi i notiziari con gli speaker che si eccitavano per tutte le notizie che annunciavano), e continuò fino a mezzanotte inoltrata. La monodia minacciosa per certi versi era veramente come la musica: non aveva altra ragione al di fuori di se stessa. Lei era una di quelle donne che russano come gli uomini. Mentre russava Sturges rimase sveglio dicendosi: “Crepa crepa crepa per favore. Per favore Dio falla crepare”. E questo incantesimo lo fece addormentare.
Il giorno dopo andò come al solito per Sturges. Fino alle sei di sera, quantomeno. Era nel suo ufficio sul retro del supermercato a dettar lettere alla sua segretaria spersonalizzata (solo segretarie consimili possono candidarsi per un lavoro presso i supermercati morali Eichendorff. Sia benedetta tra le donne la signora Eichendorff). Stava lì a gestire lamentele, faceva i suoi giri per la stanza, contava l’incasso di fine giornata e lo metteva al sicuro. La sua segretaria si era già prontamente messa il rossetto e aveva indossato la giacca quando annunciò:
“Il Signor Schultz è qui per vederla, Signor Sturges. Dall’ufficio superiore”.
“Schultz? Schultz? Benissimo, lo faccia entrare, Signora Kapatanakis”.
Entrò nell’ufficio un signore carino e sorridente, del tipo spagnolo scuro e della stessa età di Sturges, chiaramente non uno Schultz. Abbastanza chiaro che non lo era perché parlava con accento britannico. Tirò fuori la mano dicendo “Ti trovo bene John.” Sturges rabbrividì. “Oh,” sorrise il Signor Shultz, “non è necessario che Miss Kapatanakis rimanga qui, giusto?”
“Direi di no, Signor… Signor…”.
“Ti conosco John”, disse il Signor Schultz, “ma tu non mi conosci. Siediti” e gli fece un cenno di invito. “Mettiti comodo”. E prese una sigaretta dalla scrivania ordinata di Sturges, la accese con un accendino dorato e aspettò, sbuffando, finché i piedi di Miss Kapatanakis si furono allontanati fuori dalla porta e infine disse: “Questa, che tu l’abbia capito o no, è una minaccia”.
“Perdonami,” disse Sturges. “Per poco io…”
“Una minaccia,” disse il Signor Schultz. “Forse nei hai viste così nei film o in televisione. Voglio i tuoi soldi John.” E fece balzare un sacco appiattito sulla scrivania. “O semmai i soldi dell’industria. Sono in quella cassaforte. Nessuno ti torcerà un capello. La ditta non perderà soldi essendo assicurata contro questo genere di cose e non penso ci sia bisogno di essere infidi. Quindi apri quella cassaforte e dammi i soldi”.
“Se non lo faccio?”
Il Signor Schultz sospirò. Disse “Ti chiedo di credermi per quello che sto per dirti. Hai sentito quel che ti ho appena detto – i film e la televisione – quindi penserai che è tutto un bluff. Ma per quanto la vita reale tenda ad imitare i film, sono di gran lunga i film ad essere un’imitazione della vita reale. Ora il mio collega e io abbiamo preso quest’idea della minaccia dai film ma questo non rende meno vera la minaccia. Mi sono spiegato?”
Sturges mise la mano al telefono. Schultz disse: “Fa’ tutto ma non chiamare la polizia. Puoi chiamare al massimo tua moglie che al momento si trova di fronte alla canna di una pistola automatica ben oliata e carica. Quest’arma è impugnata dal mio collega, un uomo stupido ma gentile senza alcun predisposizione alla compassione o al rimorso. Penso tu conosca la procedura. Usiamo tua moglie come una sorta di scudo”.
“Vuoi dire,” disse Sturges, “che se non vi do i soldi uccidete mia moglie. È così?”
“Ebbene sì. Alvin, il mio collega, è giovane e felice di imbracciare l’arma. Il suo dito desidera premere il grilletto. Un utile idiota. Mi protegge perché sono un’anima sensibile, mi protegge dal bisogno di violenza. Odio la violenza. Tu e io sediamo qui come gran signori senza alcun pensiero violento. Andrai alla cassaforte e mi darai i soldi e poi andrò via con un sorriso e una parola gentile. Raccoglierò Alvin e la tua signora moglie e guideremo lontani usando chiaramente lei come scudo e poi, a tre miglia dalla città, la scaricheremo, anche se non devi vedere una sfumatura negativa in questa espressione. Ci accerteremo che abbia dieci centesimi per andare alla cabina telefonica ma chiaramente noi dovremo lasciarla a un’ora a piedi da questa cabina. Poi Alvin e io saremo al sicuro oltre il confine nazionale, ben soddisfatti. Come lo sarete anche tu e tua moglie una volta che vi sarete riuniti. E la ditta Eichendorff non ci perderà nulla”.
“Oooo vedo,” disse Sturges con vero accento inglese. E aveva ragione di usarlo; non era solo una presa in giro. “L’iiindustria Eeeechendorf nooon avvvrà niente”.
“Bene bene,” disse Schultz. “Dovresti fare teatro. Ora su, non sprechiamo tempo, come si dice.” Ma Sturges prese il telefono e disse: “Passatemi la polizia”. Sorrise al preteso Schultz. Il quale disse: “Perché tu… vuoi che tua moglie muoia?”.
“Sì,” disse Sturges. “Oh, polizia? Mi stanno trattenendo. Da Eichendorff in via del sicomoro. Mandate rapidamente qualcuno. E mandate qualcuno anche alla strada privata delle querce, 51a. Un pazzo sta minacciando mia moglie. Di corsa”.
Schultz, o qualunque fosse il suo nome, tentò di attaccare John Sturges che era forte e pieno di speranza e il finto Schultz ne fu sconcertato. Sturges prese dalla scrivania un fermacarte raffinato e lo lanciò contro Schultz che andò in frantumi. Poi Sturges compose il numero di casa. “Eiiii” disse con accento inglese. “Sei Elvin, eeeh?”.
“Sì capo.” Era un tono ruvido, di voce stupida e violenta.
“Dalle quel che si merita. Suuu!”
“Capo?”
“Spara e ammazza, dannazione a te. Voglio sentire lo sparo.”
“Okay capo. Sei tu il capo”. Poi Sturges sentì il respiro ruvido, urla e infine un rumore molto rumoroso. E poi Alvin, sempre ruvido, “Fatto capo. Come dicevi tu.”
“Bella roba. Aspettami all’angolo”.
“Okay capo”. Sturges mise giù il telefono, poi disfece un poco i suoi vestiti, si diede un buffetto – nulla di offensivo – sulla fronte col fermacarte, poi (e questo richiedeva gli occhi chiusi) passò il pugno lungo il vetro infranto. Era tutto una pozza di sangue.
La Polizia di Stato apprezzò la situazione: avevano inseguito questo presunto Inglese che andava sotto i nomi più assurdi; Alvin (che poi era il suo vero nome) era effettivamente ricercato in Ohio per rapina a mano armata. Espressero a Sturges le loro condoglianze e lo elogiarono per il suo coraggio e sangue freddo. La ditta Eichendorff andò in estasi religiosa per la lealtà di Sturges che andava oltre la solita linea del dovere. Pagarono loro i funerali della moglie (enormi corone sulla tomba col marchio EICHENDORFF bello in vista) e gli diedero per giunta un bonus sostanzioso. Lo mandarono con ogni riguardo in Florida in vacanza dando risalto alla cosa. Lì incontrò una ragazza affascinante a nome Miss Lilith Kodaly. Dopo la vacanza in Florida Sturges fu promosso al ruolo di manager del più grande supermercato Eichendorff di Trenton. (Aveva sempre voluto andare a est, in effetti)
Miss Lilith Kodaly – che sposò prudentemente dopo un decoroso periodo di attesa – si dimostrò una mogliettina ragionevolissima. Le amate, quando si dia loro la chance (e nonostante tutte le sciocche storie che dicono l’opposto) fanno di solito come lei.
Anthony Burgess
*traduzione di Andrea Bianchi. Il testo originale su The Transatlantic Review, No. 33/34 (Winter 1969-70), pp. 40-44.
L'articolo “Come vorrei che mia moglie morisse”: un racconto candidamente cinico di Anthony Burgess proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2GLVIIr
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italianaradio · 5 years ago
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L’hotel degli amori smarriti: Al cinema dal 20 febbraio
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/lhotel-degli-amori-smarriti-al-cinema-dal-20-febbraio/
L’hotel degli amori smarriti: Al cinema dal 20 febbraio
L’hotel degli amori smarriti: Al cinema dal 20 febbraio
L’hotel degli amori smarriti: Al cinema dal 20 febbraio
Officine UBU annuncia all’interno della cornice della 42ᵃ edizione delle Giornate Professionali di Cinema in corso a Sorrento, l’uscita al cinema il 20 febbraio di L’hotel degli amori smarriti (titolo originale: Chambre 212) di Christophe Honoré. Presentato con successo al 72° Festival di Cannes, il film è valso alla protagonista Chiara Mastroianni il Premio per la Miglior Interpretazione nella sezione Un Certain Regard. Un riconoscimento che ha fatto da apripista all’uscita in Francia, dove il film ha totalizzato ad oggi più di 400.000 spettatori.
La talentuosa attrice e figlia d’arte Chiara Mastroianni interpreta Maria, docente universitaria attorno alla quale ruota una vicenda ricca di colpi di scena, dove i ricordi della protagonista prendono vita e la portano a riflettere sul suo matrimonio, sui saliscendi della vita di coppia, sull’infedeltà, sulla persistenza del desiderio e sul divenire. Una commedia “coniugale” che affronta le problematiche di coppia con romanticismo e originalità.
L’hotel degli amori smarriti: la trama
Dopo vent’anni di matrimonio, Richard scopre che Maria lo tradisce. Lei decide di lasciare il domicilio coniugale e di trasferirsi nell’hotel di fronte, dal quale avrà una vista privilegiata sul suo appartamento, su Richard e sul loro matrimonio. Nella stanza 212 Maria riceverà delle visite inattese dal suo passato, con le quali rivivrà i ricordi di amori sognati e perduti in una magica notte che le cambierà la vita.
L’hotel degli amori smarriti, il film
L’anticamera svizzera
Come spesso accade, anche L’hotel degli amori smarriti proviene da un altro film che non è mai stato girato, a malapena è stato scritto, ma che è la sua fonte segreta. L’avevo intitolato Les Fleurs (I fiori). La storia era ambientata durante l’occupazione e fino agli anni ’50. C’era un pittore immaginario, un pianoforte, la regione della Picardia, l’Opéra Garnier e due personaggi femminili che custodivano un segreto inaccessibile. Ho rinunciato a quel progetto dopo l’uscita di Plaire, Aimer et Courir vite, per paura che mi portasse a un livello eccessivamente solenne. Sono sempre più diffidente nei confronti di soggetti autoriali che alcuni film impongono al cinema stesso. Sono diffidente nei confronti di soggetti autorevoli e di registi pretenziosi. In poche parole, non volevo impegnarmi in questo progetto eccessivamente elevato. Era l’inizio dell’estate, ero al lago di Ginevra e mi ero sistemato al Vidy Theatre per provare “Les Idoles”, uno spettacolo che chiudeva un progetto autobiografico di narrativa in tre parti. Non avevo fretta di scrivere il prossimo film, e onestamente mi sentivo quasi libero di non avere alcuna idea in mente, quando una sera mi sono ritrovato a guardare L’orribile verità di Leo Mc Carey: Irene Dunne e Cary Grant interpretavano una coppia perfetta anche dopo il divorzio. “Da quanto tempo sei in una relazione?”, ho iniziato a chiedermi. E subito dopo: quanti cineasti si sono interessati al tema della conversazione coniugale? Quella stessa notte ho iniziato a scrivere con impazienza e gioia.
La stanza verde
Proust ha detto che “Gli scrittori che ammiriamo non possono servirci da guide, perché dentro di noi abbiamo qualcosa con un ago calamitato o un piccione viaggiatore che rappresentano il nostro senso dell’ orientamento”. Credo che sia lo stesso con i registi. Non è così facile deviare dal nostro percorso personale. Potremmo pensare che una sequenza girata in uno stile preso in prestito da altri, darà l’idea di un film costruito da più persone, ma non è così. Un’ondata solitaria, tenace e travolgente, porta via il film e noi stessi, in una terra promessa e inaspettata. I film di altre persone sono spesso paesaggi con cui si incrociano e su cui si lanciano occhiate a destra e a sinistra, sentendosi sorpresi e rassicurati nel trovare la stessa idea, lo stesso movimento con il quale stai girando. Ed è una dolce gioia sentirsi meno soli nelle proprie ossessioni, nei propri vicoli ciechi, per constatare poi che altri prima di noi hanno cercato di esprimere la stessa sensazione, lo stesso sentimento. Continuiamo sulla nostra strada, un po’ meno preoccupati, accompagnati dalla speranza di finire un po’ più universali di quanto pensassimo. Scrivendo e girando L’hotel degli amori smarriti, ho guardato diversi film di Sacha Guitry, Ingmar Bergman, Woody Allen e ognuno di loro, senza saperlo, e con un senso di fratellanza che ero l’unico a sentire, mi ha permesso di dare un’identità a questo nuovo film.
La stanza con vista
Volevo che L’hotel degli amori smarriti esprimesse, in modo sentimentale e testardo, il mio attaccamento al cinema di finzione dove il “facciamo finta” ha più valore del “facciamo così com’è”. Qui intendo “finzione” nel senso di “incantesimo”. Mi sono lasciato trascinare in una danza dai passi dimenticati, affascinata da questo incantesimo. E a poco a poco mi è sembrato che non ci fosse niente che reclamasse, in questo giorno e in questa epoca, i preziosi strumenti di recitazione, di metafora, che favorissero la magia del backstage, dei trucchi, in un’opera che mirasse a creare la vita durante un film. Nabokov ha scritto: “Definire una storia  -una vera storia- è un insulto all’arte e alla verità.” Sin dall’inizio, volevo che la mia storia assomigliasse più a un racconto coniugale che a un resoconto sulla vita di coppia. 
La stanza dell’amore
“Non dovresti dimenticare che avevo venticinque anni e che mi amavi follemente quando avevo quell’età!”. Durante gli anni ho imparato molto dalle storie d’amore che hanno punteggiato la mia vita. “Era quando stavo con X o quando stavo con Y”, le mie storie di un anno, un mese o una notte sembravano essere i punti più alti della mia esistenza… Poi ho iniziato a fare film, e i film hanno sostituito le relazioni amorose, almeno come indicatori del tempo. “Prima o dopo Les Chansons d’amour?” … “Durante la post-produzione di Non ma fille, tu n’iras pas danser o durante la preparazione di Homme au bain?” …ho notato che più giravo, più le mie storie duravano nel tempo. Come se le relazioni romantiche mi permettessero di moltiplicare i progetti. Sono consapevole che è alquanto arbitrario e forse irrilevante sollevare queste due parole, veridicità e film. Eppure, sono piuttosto tentato di affermare che amare lungamente (oh, che avverbio atroce) mi ha certamente permesso di girare più spesso.
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L’hotel degli amori smarriti: Al cinema dal 20 febbraio
Officine UBU annuncia all’interno della cornice della 42ᵃ edizione delle Giornate Professionali di Cinema in corso a Sorrento, l’uscita al cinema il 20 febbraio di L’hotel degli amori smarriti (titolo originale: Chambre 212) di Christophe Honoré. Presentato con successo al 72° Festival di Cannes, il film è valso alla protagonista Chiara Mastroianni il Premio per la […]
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Redazione
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tmnotizie · 6 years ago
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PORTO SAN GIORGIO – Paolo Genovese, regista di “Perfetti sconosciuti” e di “The Place” sarà mercoledì 11 luglio, alle ore 18, nella splendida cornice di villa Bonaparte a Porto San Giorgio per l’anteprima del festival sostenuto dall’Assessorato alla Cultura “Il mare dentro”.
Si tratta di un evento di grande rilievo per la città che ospita uno dei più grandi protagonisti del cinema italiano, reduce da successi internazionali e da un unanime consenso di critica e di pubblico.
Genovese presenterà il suo nuovo libro “Il primo giorno della mia vita” pubblicato da Einaudi e già diventato uno dei più letti dell’estate. L’incontro sarà introdotto da Gino Troli, direttore artistico del festival, e Giulio Troli, collaboratore alla sceneggiatura di “Dogman”, il film pluripremiato di Matteo Garrone. Il pubblico potrà dialogare con il regista e acquistare le copie autografate del libro nel “firma copie” conclusivo.
Romano, 51 anni, vincitore del David di Donatello 2016 per il miglior film “Perfetti sconosciuti”, vanta lusinghieri responsi ai botteghini con “La banda dei Babbi Natale” (2010, con Aldo, Giovanni e Giacomo, più di 20 milioni di euro di incasso), Immaturi (2011) e il suo seguito Immaturi – Il viaggio (2012), Una famiglia perfetta (2012) e Tutta colpa di Freud (2014).
Ha lavorato come sceneggiatore  e in tandem con Luca Miniero (Incantesimo napoletano, 2002; Nessun messaggio in segreteria, 2005; Questa notte è ancora nostra, 2008). Il libro che presenta mercoledì parla  di un uomo, due donne e un ragazzino convinti di aver toccato il fondo: improvvisamente incontrano un personaggio misterioso che regala ad ognuno sette giorni per scoprire come sarebbe il mondo senza di loro. E, se possibile, per innamorarsi ancora della vita.
Genovese, le riesce più facile scrivere un libro o dirigere un film?
“Sono due cose diverse. Nel film gestisci un centinaio di persone, i rapporti interpersonali sono importanti. Il prodotto è frutto di un grandissimo lavoro di squadra mentre nella scrittura si è soli, con un foglio ed una penna”
Nel libro che presenta mercoledì a Porto San Giorgio c’è storia e fantasia: nelle sue pellicole si ispira a fatti realmente accaduti?
“No, ma la materia prima viene presa dalla realtà. Parto dall’osservazione di quello che mi sta intorno, dalle persone, dalle situazioni: questi aspetti danno l’imput alla creazione di storie”.
Chi le ha trasmesso l’amore per il cinema?
“Credo dalla passione di raccontare storie. Ho scoperto uno dei tanti modi, usando le immagini e le parole”.
Con lei s’inizierà a parlare del libro e si finirà al grande schermo. Come è cambiato il cinema italiano dagli anni 90’ ad oggi?
“E’ cambiata la società e, di conseguenza, il cinema che la rappresenta e la racconta. Negli ultimi trent’anni credo abbia avuto molte meno fratture rispetto al passato. Prima c’erano stravolgimenti profondi, dalla politica alla società (gli anni di piombo, l’aborto, il divorzio, le battaglie per i diritti). Ci siamo lasciati alle spalle periodi stimolanti sul fronte culturale. Viviamo un appiattimento, c’è più minimalismo”.
Quali sono i tuoi progetti?
“Per adesso niente”.
A cosa sta lavorando?
“Alla promozione del romanzo”.
Approfitterà della tappa sangiorgese anche per riposarsi e conoscere il territorio?
“Devo ripartire, purtroppo ho diversi impegni. Ma il Fermano e Porto San Giorgio li conosco bene. Mio nonno era di Piane di Falerone, ho ancora una casa li. E al mare, quando ero da quelle parti, andavo a Porto San Giorgio”.
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medyumhoca88 · 9 months ago
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ilarywilson · 7 years ago
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[Una civetta delle nevi dovrebbe consegnare una missiva a Madama Wilson con la posta del mattino. La grafia è decisamente riconoscibile, ma insieme alla pergamena vi è anche un ciondolo, stavolta a forma di goccia]
MI SPOSO!
Bene, ora che ti ho probabilmente fatto sputare la colazione o almeno fatto domandare "ah, sei ancora viva?" prima di iniziare la tua giornata tra vomitevoli marmocchi appestati, credo tu conosca il motivo di queste righe...
No, non voglio incontrarti per parlare di quell'esaurito di tuo marito. No, non voglio neanche sapere come se la passa Hogwarts o la principessina reale,tantomeno i suoi genitori. Voglio una serata di verità o bevuta. Ricordi? Come quelle sull'Hogwarts Express con l'Incendiario di nascosto. Ci stai?
A.
[La civetta torna indietro con la risposta vergata dalla solita calligrafia tondeggiante di Illy] IO DIVORZIO!
Incredibile, siamo fatte per non essere in sintonia proprio mai, eh? La colazione non l'ho sputata, ma mi ci sono quasi soffocata se può consolarti. 
Ci sto. Io porto il succo di zucca e i dolci e tu pensi all'incendiario. È bello saperti viva, restaci ok? Almeno fino a martedì. Illlly
La porta di casa è stranamente socchiusa, primo particolare che denota l`attesa di una sola e specifica persona, ma se questo non dovesse bastare un cartoncino verde smeraldo è stato affisso sulla stessa porta: "scompartimento manticoscienza, lasciare le scarpe all`esterno". La conclamata vena teatrale della Aritmanta è dunque stata messa a servizio di Madama Wilson, questa sera, al punto che varcata la soglia vi è come la sensazione di calpestare effettivamente l`erba del parco di Hogwarts mentre più avanti, grazie a qualche incantesimo di estensione e replicazione mnemonica, un singolo vagone dell`Hogwarts Express attende come unica fonte illuminata, abbandonato a se stesso. Cigola un poco, il predellino che introduce al punto in cui il membro della Lega ha trovato rifugio al momento, seduta a gambe incrociate su uno di quei sedili che rimandano a viaggi intrapresi chissà quante volte, da e per il castello. «I dolci come pegno, grazie» le braccia dovrebbero esser già protese in avanti per far proprio ciò che l`altra ha promesso di portare con sé
Forse la pergamena è stata presa troppo sul serio, o forse è stata un`intuizione maledettamente giusta quella di presentarsi alla porta di casa di Anne in vecchie e sdrucite Magiconverse rosse -esistono ancora sì- indossando un paio di jeans scuri a pois colorati e la maxi felpa rossa di Grifondoro che era solita sfoggiare ai tempi della scuola e che porta stampata sulla schiena la scritta "WILSON". I capelli biondi, ormai diventati troppo lunghi, sono raccolti in una treccia morbida cui sfuggono svariate ciocche a contornarle il visino serico d`Utopia; forse ha addirittura preso un chiletto o due a furia di divorare dolci. Gli stessi che allungherà a Miss BBB dopo aver rubato al sacchetto giusto una cioccorana, in caso il pegno non contemplasse condivisione, una volta messo piede nel cigolante vagone solitario preannunciata dal solito tintinnio dei braccialetti. «Wow, ti sei davvero superata» si congratula, mentre con una mezza giravolta sparge un po` di camomilla in giro prima di prendere posto sul sedile di fronte al suo. «Sentirò anche sferragliare ed ondeggiare, adesso?» domanda speranzosa, osservando fuori dal finestrino quasi s`aspettasse di veder cambiare il paesaggio oltre il vetro.
«A cosa devo il regalo?» se parli proprio del ciondolo, o della seduta di verità-o-bevuta, non è dato saperlo.
«La pioggia ti è sempre piaciuta, se non ricordo male» e la goccia in fondo la rappresenta al meglio, insieme al ricordo delle corse di Ilary e Juliet sotto i temporali o nelle pozzanghere, uno dei primi traumi della vita sociale della verde-argento. «Facciamo che inizio io con una verità» e con tanto di incendiario che viene sistemato anch`esso sul tavolino posto tra loro. «Sono una Mannara».
È sul bicchiere appena riempito di incendiario che va ad avvolgere le dita, ben decisa a buttar giù una generosa sorsata del liquido ambrato infischiandosene del bruciore alla gola che le fa strizzare gli occhi lacrimanti. In certi casi ci vuole. «Verità anche per me» facciamo così, tanto per vendetta o per togliersi il pensiero. «Ho... lasciato Sebastian» ... «Perché non me lo hai detto prima?»
«Perché questo stesso lasso di tempo è servito a me per accettare quel che sono» ... «E` qualcosa di definitivo?»
«Credo di sì».
Scompartimento Manti-Coscienza, 10 aprile 2074. “Anne, Illy, the past and the updates: a short sad story". 
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