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cooperatoresveritatisinfo · 1 month ago
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L’immagine cristiana dell’uomo - un inedito di Benedetto XVI-Ratzinger "emerito"
Così lo presenta Sandro Magister: “Il testo inedito riprodotto più sotto è la parte finale di uno degli scritti autografi che Joseph Ratzinger / Benedetto XVI ha voluto fossero pubblicati solo dopo la sua morte. Lo scrisse tra il Natale e l’Epifania dell’inverno 2019-2020, e lo consegnò il 9 gennaio a don Livio Melina, curatore assieme a José Granados del volume “La verità dell’amore. Tracce per…
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diceriadelluntore · 2 years ago
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Divinità
Sotto questa riga scritta, c’è un reperto eccezionale: il volto di Dio
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o meglio l’elaborazione composta dall’intelligenza artificiale su indicazioni di un campione rappresentativo di cristiani statunitensi, in uno studio pubblicato nel 2018 dall’Università della Carolina Del Nord. Il sistema prevedeva la visione al campione di una serie di volti umani generati al computer, divisi per valori etici, spirituali e sociali. Tutti i volti erano in scale di grigio: la media ottenuta dette questo risultato, che oltre la familiarità (la NBC riprendendo la notizia disse che Dio somiglia a Elon Musk) mostra chiaramente l’associazione del volto divino a quello di un uomo statunitense di origine caucasica, secondo le loro stramba tassonomia.
D’altronde nel libro del Genesi (Cap. 1, vv 26-27) Dio dice: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò
Se Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, dovrebbe essere piuttosto “semplice” stabilire come è fatto Dio. È con questo desiderio che Francesca Stavrakopoulou, professoressa di Bibbia Ebraica e Religione Antica all’Università di Exeter, e autrice televisiva e radiofonica di interessanti documentari per la BBC, ha scritto questo meraviglioso saggio:
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L’autrice immagina di ispezionare il corpo del divino in ogni sua parte, in un percorso “fisico” che assomiglia a quello immaginato in un famoso testo medioevale, Membra Jesu Nostri (1250 ca.). Il corpo di Dio è diviso in sezioni: Gambe e Piedi, Genitali, Torace, Braccia e Mani, Testa fino ad un finale, sconvolgente, che si intitola Un’Autopsia. Non se ne raccontano solo le caratteristiche fisiche, ma anche quelle relative ai sensi di quelle parti (tatto, udito, vista, odorato) e altre cose affini (il profilo, il respiro, i vestiti, i sandali e così via). Il fulcro principale dello studio della Stavrakopoulou è interessantissimo: cosa ha spinto nel tempo a declinare la descrizione fisica del Divino, che in tutta la Bibbia (intesa sia come Antico Testamento, che Nuovo Testamento, secondo la divisione cristiana) è fortissima e ricorrente, nel Dio “immateriale” che siamo pensati a pensare?
L’autrice parte da lontano, cioè dal passaggio dal politeismo al monoteismo: Yahweh infatti era una divinità del pantheon guidato da El, nel culto delle popolazioni dell’Asia orientale verso il 1500 prima della nascita di Gesù. Il passaggio, che ai più sembra dirompente, lo si ritrova ancora nella etimologia sia di El (cioè Dio), sia nel nomi ebraici cari a Yahweh: Emanuele, Gabriele, Samuele, Sariele, Elia e così via. Dato che El nei racconti delle popolazioni autoctone aveva la sua epopea e il suo corpo, nel passaggio al Dio Unico non si sono affatto perse le caratteristiche “fisiche” delle sue braccia, gambe, mani, testa, collo, busto, cosce e sesso, così Dio doveva avere in misura simile, ma non uguale (è per sempre un essere superiore!) le stesse parti del corpo. E la questione si complica ancora di più quando entra in scena Gesù, corpo di Dio: non sto qui a ricordare la fondamentale questione sulla natura di Dio Uno e Trino, che ha tenuto impegnati i teologi per circa mille anni, dal Concilio di Nicea del 325 a quello “conclusivo” Quarto Lateranense del 1215, in cui la questione sulla “sostanza” di Dio viene messa nera su bianco nel famoso dogma substantia seu natura simplex, sostanza o natura assolutamente semplice. Stavrakopoulou arriva a ciò con una vertiginosa analisi filologica sui termini, la maggior parte dei quali del tutto epurati del significato letterale rispetto a quello simbolico odierno dalle successive traduzioni e interpretazioni dei testi, in cui i profeti che incontrano Dio ne descrivono le fattezze. Lascio a chi ha voglia di leggere un saggio scritto come un romanzo (nonostante la mole gigantesca di dati, citazioni e riferimenti evidentemente tecnici) di capirne i raffinati meccanismi, le meravigliose sfaccettature e le questioni politiche che ogni scelta suo malgrado alimenta, ma non posso esimersi dal raccontare qualche storia divertente che, nonostante la scelta “politica” che ho appena accennato, lascia trasparire come la dimensione corporale della divinità, seppur epurata, sia del tutto fondamentale nella vicenda biblica.
Nel Libro dell’Esodo, sulla sommità del Monte Sinai, per continuare il faticoso viaggio per condurre gli israeliti fuori dall’Egitto verso la Terra Promessa, Mosè chiede a Dio: Mostrami la tua gloria!. Yahweh accetta con il solo limite di non poter vedere il viso. Sebbene altre volte abbia accettato di parlare faccia a faccia con Mosè, stavolta decide diversamente e permette a Mosè, nascosto in una grotta, di intravedere il suo corpo che gli cammina davanti, coprendo con la sua mano il volto divino, guardandolo verso le spalle. Orbene, oltra la meravigliosa scenografia del gesto, e la sua simbologia, Yahweh permette a Mosè di guardare il suo “deretano”, poichè il termine più antico, che adesso viene tradotto con ”spalle”, era lo stesso usato nella stessa Bibbia per definire il posteriore di un animale che deve essere lavato prima del sacrificio.
La questione se Gesù fosse stato circonciso, in quanto ebreo, è chiarita dal Vangelo di Luca (2, vv 21-24): Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre. Presentazione di Gesù al tempio. Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Del suo prepuzio, considerata reliquia preziosissima, si raccontano numerose leggende: la più famosa vuole che una levatrice che assistette all’operazione lo conservò con l’aiuto del figlio profumiere in una ampolla di alabastro in un prezioso olio. Era ricercatissimo il Santo Prepuzio, tanto che la sua scoperta, in varie zone e in vario numero di doppioni, veniva considerata come segno divino dell’ubiquità santa del Cristo. La più famosa fan della reliquia è  Santa Caterina da Siena, che in una delle sue famose lettere, scritta nel Giorno della circoncisione di Gesù, 1° gennaio, dice: “Sposi a Te l’anime nostre con lo anello della tua carne (...) ben vedi che tu sei sposa, e che egli t’ha sposata, e te, e ogni creatura, e non con anello d’argento: ma con anello della carne sua. Vedi quello dolce pargolo, che in otto dì quando è circonciso si leva tanta carne, quanta è una estremità di anello”.
Uno che ha lasciato un solco fondamentale nella visione fisica del divino è Michelangelo. Le sembianze di Dio che ci vengono in mente unanimemente alla fisionomia divina sono relative alla figura del Dio che crea Adamo negli stupefacenti affreschi della Cappella Sistina. Ma da giovane fece altro, scolpendo il primo Gesù nudo della scultura occidentale. Conservato presso il Monastero di San Vincenzo a Bassano Romano, è meravigliosamente bello e nudo
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L’opera del 1514-1516 tuttavia fu rifatta poichè nel marmo, all’altezza del volto del Cristo, si presentò una suggestiva vena nera nella pietra che Michelangelo considerò non appropriata all’opera e al prestigio dei committenti (dei potentissimi canonici di San Pietro).
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Ne fece una seconda versione, terminata nel 1520, e conservata presso la Basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma. Nella seconda versione che era lo stesso nuda fu apposto un panneggio dopo il Concilio di Trento
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scienza-magia · 5 months ago
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Il Sabba nella stregoneria europea
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Una delle credenze più importanti riscontrabili nella stregoneria era quella che le streghe che facevano patti col Diavolo lo adorassero anche collettivamente effettuando anche riti blasfemi e immorali. La credenza nel Sabba fu una precondizione essenziale alla grande caccia alle streghe. Come la credenza nel patto rendeva indispensabile perseguire le streghe analogamente e la credenza negli incontri notturni delle streghe spingeva le autorità europee a ricercare i loro complici . Senza la credenza del Sabba la caccia alle streghe in Europa sarebbe stata un qualcosa di meno significativo . Sebbene due credenze fossero strettamente collegate le due idee derivavano in un certo modo da fonti diverse . Per fare un esempio il più famoso trattato di stregoneria il Malleus Maleficarum si dilunga molto sul patto ma non sull’adorazione collettiva sul Diavolo e contiene solo qualche cenno alle specifiche attività che essa avrebbe comportato . La credenza nel Sabba ha sia una origine genericamente psicologica che un origine storica specifica . Le sue radici psicologiche sonno quelle che producono incubi e fantasie circa attività antiumane e immorali in molti tipi di società . Si sa che ogni cultura ha sempre prodotto miti relative a persone che sovvertirebbero le norme morali e religiose della società e che perciò rappresenterebbero una minaccia per quella società. Si può dedurre anche una credenza nell’esistenza di simili individui sia necessaria per definire quelle norme o quantomeno per rafforzare quelle che sono generalmente accettate. In una certa misura la credenza nel Sabba delle streghe che comportava sia il danzare nudi che l’infanticidio cannibalistico rappresenta l’ultima versione di questo classico e anche universale incubo . Al tempo stesso il Sabba europeo aveva molte caratteristiche che rispecchiano l’influenza della cristianità medievale. Certamente la forte enfatizzazione degli aspetti erotici del Sabba deriva dall’atteggiamento negativo della Chiesa medievale nei confronti del sesso . Anche la parodia della messa cattolica rispecchia l’orrore tipicamente cristiano nei confronti della dissacrazione delle sue cerimonie più sacre. La parodia non comportava mai la celebrazione di una messa nera una elaborata cerimonia che alcune streghe dei giorni nostri effettivamente celebrano sul corpo di una donna nuda. Ma alcuni dei Sabba che avrebbero avuto luogo nel 500 e nel 600 comportavano la recitazione a rovescio del credo di Nicene. La rappresentazione tipicamente cristiana ed europea dell’anti-società che si manifesta nelle confessioni delle streghe ha la sua origine principalmente nelle invettive retoriche che i monaci scagliavano contro gli eretici nel 1200-1300. Minacciati dalla diffusione di eresie come quelle dei valdesi e dei catari quei monaci costruirono intenzionalmente l’immagine di una società eretica immorale allo scopo di prevenire la crescita di tali movimenti e incoraggia la repressione . Nel costruire quelle immagini i monaci si rifecero non solo all’immagine universale di un’anti-società ma anche a un certo numero di fonti specifiche . Una di queste era l’immagine che i romani avevano elaborato dei cristiani e delle origini come membri di una organizzazione segreta che praticava l’infanticidio cannibalistico e l’incesto . Tale immagine aveva acquistato popolarità sia perché i cristiani effettivamente sin incontravano in segreto sia perché il rito fondamentale della cristianità o l’eucarestia si prestava facilmente a essere frainteso come una forma di cannibalismo . Un'altra fonte del Sabba era l’immagine che gli autori della Patristica avevano degli eretici considerati idolatri e figli di Satana. Una terza fonte era la convinzione che gli eretici come i primi cristiani dell’epoca romana si incontrassero segretamente . Una quarta fonte era il contenuto dell’eresia stessa o più precisamente l’interpretazione che dell’eresia veniva data. I catari per esempio erano dualisti il che significa che essi accentuarono i poteri del Diavolo e specialmente il suo dominio sul mondo materiale . Il catarismo fu enfaticamente anti-demonico ma è facile vedere come l’esagerazione del potere del Diavolo nell’Universo e la sua elevazione a una posizione di quasi parità con Dio potesse condurre nei difensori dell’ortodossia a dipingere i catari come adoratori del Diavolo. Analogamente il disprezzo dei catari per la procreazione ritenuta opera del Diavolo poteva esporli all’accusa di praticare l’aborto . I monaci del periodo a cavallo tra il XII e XVI secolo facente ricorso a tutte quelle fonti costruivano uno stereotipo dell’eretico come un adoratore segreto del Diavolo. Questa immagine per molti aspetti aveva acquistato una vita propria e pertanto poteva essere applicata ad ogni individuo deviante dall’ortodossia cristiana. Verso la fine del medioevo si applicò di fatto agli eretici ai maghi e alle streghe. Un altro elemento importante della concezione del sabba era la credenza che le streghe potessero recarsi al Sabba volando. Questa credenza per molti aspetti era un corollario del Sabba nel senso che forniva la spiegazione che la capacità delle streghe di partecipare a riunioni notturne segrete in luoghi remoti senza che fosse notata la loro assenza da casa. Quando il Sabba si teneva in luoghi molto distanti e quando si credeva che il numero di partecipanti fosse eccezionalmente elevato la credenza della capacità delle streghe di volare fungeva da corollario necessario. La credenza che le streghe potessero volare aveva chiaramente origini molto più popolari dell’altra credenza che facessero patti col Diavolo o partecipassero a riunioni notturne. La prima era la credenza riconducibile all’epoca classica che le donne potessero trasformarsi di notte in rapaci che mangiavano i bambini. La seconda credenza era che le donne partecipassero a cavalcate notturne in compagnia di Diana la dea romana della fertilità frequentemente associata alla luna. Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso sul Sabba. Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
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esperimentox · 7 months ago
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PLATONE AVEVA RAGIONE
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Il grande filosofo Platone, una delle menti più grandi della storia umana, sul finire della sua carriera venne deriso dai suoi contemporanei a causa di uno scritto che stava componendo. La delusione fu così grande che egli decise di non completare il secondo dei tre racconti sull’argomento, e di non iniziare nemmeno a scrivere il terzo (doveva essere, infatti, una trilogia). Perché i Greci, un popolo abituato ad ascoltare storie di ogni genere, e spesso a crederci, derisero nientemeno che il grande Platone?
Ebbene, nel dialogo “Timeo” e nel dialogo parziale “Crizia” (rimasto incompiuto), Platone racconta che alcuni “misteriosi sacerdoti egiziani” della città di Sais, raccontarono al celebre statista ateniese Solone (638 a.C. – 558 a.C.) una storia. Platone (428 a.C. – 348 a.C.), circa 200 anni dopo, ricevette per vie traverse questa storia, e l’ha usata come una delle fonti da cui ricavare il suo racconto. E fin qui nulla di strano.
In questo racconto Platone dice molte cose. Tra l’altro, racconta l’esistenza di una “Grande Isola” vicino alle “Colonne D’Ercole”. Lui la chiama “Atlantide” o “Terra di Atlante”. I greci del suo tempo sapevano che oltre 40 anni prima di Platone, il celebre storico Erodoto (484 a.C. – 430 a.C.), nelle sue “Storie” chiamò con il nome “Atlante” la catena montuosa dell’odierno Marocco. Tra l’altro, ancora oggi conserva quel nome: Monti dell’Atlante. Per un greco di quel tempo, il nome “Atlantide” o “Terra di Atlante” indicava una terra che si trovava evidentemente ai piedi del monte Atlante. Ma tutti sapevano che non c’era nessuna “grande isola” ai piedi dell’Atlante.
Nel suo racconto, citando i “misteriosi sacerdoti egizi”, Platone affermava che quell’isola esisteva 9.000 anni prima di Solone, quindi 11.500 anni fa. E qui scoppiarono le risate. Per la gente di quel tempo, 9.000 anni prima di Solone il mondo non esisteva nemmeno (per esempio, la tradizione ebraico-cristiana pone la nascita del mondo al 4.000 a.C. circa). Per circa 2.000 anni la gente ha riso di questa affermazione di Platone. Non trovando nessuna “Grande Isola” vicino al monte Atlante, diversi scrittori la hanno “piazzata” un po' ovunque: chi in Sardegna, chi in Irlanda, chi a Cuba, chi in Indonesia. Onesti tentativi di risolvere il “rebus”.
Ma “la Terra di Atlante” è sempre rimasta lì, dove aveva detto Platone. Infatti, pochi anni fa, un piccolo, minuscolo oggetto di metallo, il satellite giapponese PALSAR, ha reso giustizia al celebre filosofo greco. Chiunque siano stati i “misteriosi sacerdoti egiziani” che avevano raccontato a Solone (e tramite lui a Platone) che vicino ai monti di Atlante, nella Terra di Atlante (o Atlantide) esisteva una grandissima isola, avevano ragione. L’articolo della rivista “Nature”, del 10 Novembre 2015, intitolato “African humid periods triggered the reactivation of a large river system in Western Sahara”, a prima firma di C. Skonieczny, parla “di un grande sistema fluviale nel Sahara occidentale, che trae le sue sorgenti dagli altopiani dell'Hoggar e dalle montagne dell'Atlante meridionale in Algeria. Questa cosiddetta valle del fiume Tamanrasett è stata descritta come un possibile vasto e antico sistema idrografico”. L’articolo continua scendendo nei dettagli dal punto di vista geologico. Per farla breve, il PALSAR ha scoperto un mega-fiume gigantesco, oggi inaridito, che partiva proprio dai monti di Atlante e tagliava tutto l’angolo a Nord-Ovest dell’Africa, sfociando nella odierna Mauritania.
La “valle del fiume” del Tamanrasett ha una ampiezza di 90 km circa. La foce di questo mega-fiume, oggi situata sotto il mare, era larga 400 km. Era un “mostro” paragonabile al Rio delle Amazzoni, un fiume così grande che in diversi punti è indistinguibile dal mare. Questo vuol dire che questo fiume poteva raggiungere una ampiezza simile da costa a costa. Immaginate un osservatore a livello del terreno. Come avrebbe fatto a capire che si trattava di un fiume, oppure di un mare, se la costa opposta era a 90 km di distanza? Ad eccezione della salinità delle acque (ma non sappiamo se questo aspetto fosse compreso), nulla avrebbe permesso a quell’osservatore di capire se si trattasse di un fiume o di un mare. Tanto per dire, è una distanza superiore allo stretto di Messina e allo Stretto di Gibilterra messi insieme.
Guardando la regione dall’alto, si comprende che quando scorreva il mega-fiume Tamanrasett, durante “l´Ultimo Periodo Umido Africano”, (tra 14.500 e 7.000 anni fa circa, con strascichi fino a 5.500 anni fa), tranne che per un piccolissimo pezzettino a Nord-Est, la “Terra di Atlante”, o “Atlantide”, o territori a Sud del Monte Atlante, era davvero un´isola. A Nord era circondata dal Mar Mediterraneo. Ad Ovest era circondata dall’Oceano Atlantico. A Sud era circondata dal mega-fiume Tamanrasett. Ad Est era quasi completamente circondata dallo stesso fiume, tranne un pezzetto costituito dalla catena montuosa di Atlante. Si può davvero chiamarla “isola”? Nel senso greco “Sì”.
Tutti conosciamo cosa è il Peloponneso, una delle zone più importanti della Grecia. Ebbene, il Peloponneso ha esattamente la stessa conformazione geografica della “Terra di Atlante”. È una “quasi isola”, attaccata alla terraferma da un piccolo istmo. Cosa vuol dire il termine Peloponneso? Questa parola deriva dal greco Πέλοπος νῆσος (Pelopos Nesos), vale a dire “Isola di Pelope”. Questa è una prova non confutabile che per i greci dei tempi antichi, una “quasi isola” come il Peloponneso poteva essere considerata un νῆσος, o “isola”. Nulla di strano quindi se Solone, e dopo di lui Platone, chiamarono la “quasi isola” del Monte Atlante, o Atlantide, con νῆσος, o “Nesos”, il termine che noi traduciamo con isola nel senso moderno del termine.
Quella era davvero l’Isola di Atlantide? Quella “quasi isola” non può essere considerata “Atlantide” se non supera “l’esame dei cerchi”. Cosa vogliamo dire? Nel suo racconto Platone dice che nelle vicinanze dell’Isola di Atlantide si trovavano 2 strutture uniche nel loro genere. Secondo il racconto, una di queste strutture geologiche naturali era stata creata direttamente da Poseidone, e quindi la chiamiamo “Isola di Poseidone”. Si trattava di una montagnetta centrale, attorno alla quale c’erano 3 anelli di mare e 2 di terra, perfettamente concentrici. Non viene detto nulla riguardo alla sua grandezza. Viene detto che era “sacra”, inaccessibile e disabitata.
La seconda struttura, su cui gli umani edificarono una città, la possiamo chiamare “Isola della Metropoli”. Era una struttura geologica naturale che ricalcava molto da vicino la precedente, ma in questo caso vengono date le sue misure. C’era un’isola centrale pianeggiante ampia circa 900 metri, seguita da 3 cerchi di mare e 2 di terra, perfettamente concentrici. Il totale dell’ampiezza era circa 5 chilometri. Attorno a questa struttura geologica naturale (in cui risiedeva il re e la nobiltà) si estendeva la città vera e propria di Atlantide.
Quante possibilità ci sono di trovare vicino al percorso dell’antico fiume Tamanrasett non una, ma due strutture geologiche naturali formate da cerchi concentrici, una delle quali deve essere ampia 5 chilometri, e avere una specie di isola centrale ampia 900 metri? Direte: “Nessuna!”. Ebbene, come viene detto nel libro “Atlantide 2021 – Il continente ritrovato”, ancora una volta grazie ai satelliti, queste due strutture sono state scoperte proprio lungo il percorso del fiume Tamanrasett.
La prima struttura geologica naturale viene chiamata “Cupola di Semsiyat”. Si trova sull'altopiano di Chinguetti, nel deserto della Mauritania, a 21° 0' Nord di latitudine e 11° 05' Ovest di longitudine. Le sue misure sono esattamente quelle indicate da Platone per l’Isola della Metropoli. La sua ampiezza massima è esattamente di 5 chilometri. Al centro si trova una formazione ampia esattamente 900 – 100 metri, quanto era “l’isola centrale” della Metropoli di Atlantide. Si intravede anche un secondo cerchio interno, esattamente della misura descritta da Platone. La seconda struttura si chiama “Struttura di Richat”, e si trova a circa 20 chilometri di distanza. È ampia circa 40 km, ed è composta da una zona centrale dalla quale partono una serie di “cerchi di roccia”. Ci sono i chiari resti che indicano che una volta quello era un lago da cui affioravano dei “cerchi di terra”. È la rappresentazione perfetta “dell’Isola di Poseidone” descritta da Platone.
Oggi i satelliti hanno mappato tutta la superficie terrestre. Non esistono altre strutture simili sulla Terra che abbiano quelle misure o quelle caratteristiche. Sono “uniche”. Quindi, finché non verrà scoperto nulla di simile in giro per il mondo, in base a tutte le prove fornite dalla più moderna tecnologia, possiamo dire di aver davvero trovato la terra di cui parlava Platone: Atlantide.
Quindi i “misteriosi sacerdoti egiziani” non avevano mentito a Solone, e di conseguenza a Platone, quando gli dissero che ai piedi del monte Atlante, circa 11.500 anni fa, si trovava “una Grande Isola”. Ma questo fa sorgere altre importantissime domande: come lo sapevano? Quale civiltà era a conoscenza di fatti accaduti tra 14.500 e 7.000 anni fa? Questa zona dell’Africa è mai affondata? E che relazione ha “Atlantide” con Nan Madol e il “Continente sommerso” di Sundaland e Sahuland, recentemente scoperto dai ricercatori? Dove sono andati a finire tutti quanti? Il libro “Atlantide 2021 – Il continente ritrovato” risponde a queste domande, basandosi sempre ed esclusivamente su lavori di celebri scienziati, pubblicati su autorevoli riviste come “Science” e simili.
L’articolo continua sul libro:
HOMO RELOADED – 75.000 ANNI DI STORIA NASCOSTA
Puoi trovare una copia del libro a questo link
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dominousworld · 8 months ago
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PLATONE E LA GNOSI CRISTIANA
PLATONE E LA GNOSI CRISTIANA
di Alexander Malato Palermo COME SALTA FUORI QUESTO DEMIURGO MALVAGIO? Nel dialogo del “Timeo”, Platone introduce il Demiurgo come l’artefice dell’universo, una figura benevola che organizza il caos preesistente in un ordine armonico, utilizzando le forme eterne e perfette come modello. Il Demiurgo di Platone, nella sua immagine mitica ( il che significa che non era un dogma o un credo ma un…
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ildiariodibeppe · 8 months ago
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DALLA PAROLA DEL GIORNO
Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio […] “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
(Mt 21, 33-37.42-43)
Come vivere questa Parola?
La protagonista di questa parabola è una vigna, per la quale il padrone ha una grande premura. Al tempo dei frutti, che sono suoi, manda dei servi dai coltivatori a prenderne il raccolto, ma questi servi saranno uccisi! Sappiamo che la vigna è il popolo eletto di Dio e questi servi sono i profeti, i quali hanno sempre richiamato il popolo ad un cambiamento, ad una conversione. I richiami sono rimasti inascoltati, ma Dio non si stanca, moltiplica con generosità i suoi appelli. Il suo amore arriva fino a mandare il Figlio, ma davanti a Lui il muro del rifiuto si alza consistente, si arriva ad ucciderlo fuori delle mura della città. Ma dal rifiuto della prima Alleanza il Padre farà nascere una nuova ed eterna Alleanza proprio con il sangue del Figlio
Noi entriamo a questo punto della storia della salvezza. Il Signore ha dato ad ognuno di noi il dono grande della libertà. La libertà è il dono dato ai figli, creati a sua immagine e somiglianza. La libertà è il dono che ci fa simili a Lui e noi, questo dono, come lo usiamo? Per accogliere o difenderci dall’Amore, per respingere il dono dell’Alleanza o diventare con Gesù parte viva di questa nuova Alleanza?
Il tuo Spirito Signore ci renda accoglienti alla tua proposta d’amore! Convertici a Te!
La voce di Papa Francesco
“L’urgenza di rispondere con frutti di bene alla chiamata del Signore, che ci chiama a diventare sua vigna, ci aiuta a capire che cosa c’è di nuovo e di originale nella fede cristiana. Essa non è tanto la somma di precetti e di norme morali, ma è prima di tutto una proposta di amore che Dio, attraverso Gesù, ha fatto e continua a fare all’umanità. È un invito a entrare in questa storia di amore, diventando una vigna vivace e aperta, ricca di frutti e di speranza per tutti. Una vigna chiusa può diventare selvatica e produrre uva selvatica. Siamo chiamati ad uscire dalla vigna per metterci a servizio dei fratelli che non sono con noi, per scuoterci a vicenda e incoraggiarci, per ricordarci di dover essere vigna del Signore in ogni ambiente, anche quelli più lontani e disagevoli.”
(ANGELUS, 8 ottobre 2017)
Commento di Sr Monica Gianoli FMA
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daimonclub · 1 year ago
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Mamma, morte e memoria
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Madonna con bambino Mamma, morte e memoria, un articolo di Carl William Brown che analizza il valore della memoria, della madre e della letteratura con riferimento a Marcel Proust, con varie citazioni sull'argomento. Le tre grandi divinità madri dei popoli orientali sembra fossero generatrici e annientatrici insieme; dee della vita e della fecondità nello stesso tempo che dee della morte. Sigmund Freud Mia amata mamma, adesso sarai per sempre così. Prima di ricordare in un post specifico la figura di mia madre e dedicare alcune pagine di aforismi alla "mamma" in generale, o narrare le sue vicende sanitarie nel testo Ars Longa Vita Brevis, in occasione dell'evento doloroso e tragico che mi ha colpito in questi giorni, ovvero la sua dipartita, voglio rammentare Proust, con alcune sue citazioni e una sua piccola biografia, perché mi ha sempre impressionato quello che ha scritto a riguardo di questo argomento così emozionante. Devo inoltre aggiungere che in questo momento così triste, mi ha confortato un po', sapere che anche per lui, la perdita della madre, era stato un evento assolutamente nefasto per il suo morale, anche se da questa mancanza, nascerà poi il capolavoro della Recherche. La mamma dunque, come musa ineguagliabile, che anche nel mio caso, negli anni della mia seconda e terza infanzia, mi ha infuso l'amore per la letteratura e per la scrittura, aiutandomi sempre a comporre quelli che una volta, alle elementari, chiamavano i pensierini. Questa breve premessa per sottolineare l'importanza della letteratura e della memoria delle persone scomparse che vivranno sempre nella nostra mente per il resto dei nostri giorni. Tale nutrimento dei giardini della nostra memoria, verrà stimolato anche dalla lettura appunto di vicende simili raccontate dai personaggi creati dai vari scrittori, e ci farà rivivere tanti momenti del passato, enfatizzando sia gli aspetti più piacevoli, sia purtroppo quelli più problematici, portandoci sempre una grande malinconia e magari molti sensi di colpa. E' un processo di rielaborazione della perdita che non avrà fine se non con la nostra morte, e in questo la letteratura ci potrà aiutare un poco.
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Mamma di Carl William Brown La figura della madre con bambino, che riguarda ogni persona del mondo, e ci rievoca la sublime immagine della madonna della religione cristiana, è qualcosa di unico e grandioso, da non dimenticare mai. Ci riporta alla nostra infanzia, alle nostre origini e in lei ci identifichiamo, vediamo noi stessi e la nostra mamma. Poi si cresce e poiché la vita è dolore, come diceva sempre anche il Buddha, la figura del Cristo sulla croce ci rievoca le innumerovoli sofferenze che il genere umano ha dovuto affrontare, e al tempo stesso ci consoliamo rivedendo i vari periodi della nostra vita, ora ci sembrano tutti spensierati e bellissimi, anche se all'epoca potevano essere caratterizzati da litigi, aspre discussioni e grandi arrabbiature. Come ci ricorda pure il Leopardi, la felicità infatti non è mai presente, o è passata o forse sarà futura, e da questo concetto l'arte, la letteratura, la poesia, il cinema e la fotografia traggono proprio la loro essenza rievocativa che riesce appunto a stimolare le nostre emozioni, a mitigare e confortare le nostre sofferenze, a farci meditare dando così un senso, seppur flebile, alle nostre vite. In tutto ciò la religione cattolica contribuisce a rendere la grande importanza che merita alla figura della madre, mentre nella religione islamica, la figura della Madonna non è presente come nel cristianesimo. La religione islamica è strettamente monoteista e non ammette la venerazione di figure divine o semi-divine come Maria, madre di Gesù. Nell'Islam, uno dei principi fondamentali è la fede in un solo Dio, Allah, che non ha partner, figli o consorti. La figura centrale della religione islamica è il Profeta Maometto, considerato l'ultimo profeta inviato da Allah per guidare l'umanità. Maria (in arabo, Maryam) è menzionata nel Corano come la madre di Gesù (conosciuto come Isa in arabo), ma viene descritta principalmente come una donna virtuosa e pia, senza alcun attributo divino. Per ritornare alla funzione della memoria e della letteratura, certamente non possiamo essere tutti come Proust, la cui opera è ispirata e stimolata dalla propria madre, ma in ogni caso anche tutti noi riviviamo l'esperienza cerebrale del grande scrittore francese, anche se poi non siamo in grado di generare un capolavoro come la Recherche; tuttavia anche le nostre esistenze, se pur non conosciute da un vasto pubblico, hanno certamente un valore etico ed estetico, proprio perché sono l'opera artistica dei nostri genitori, e soprattutto di nostra madre, che ci riapparirà sempre nei nostri ricordi per il resto della nostra vita.
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Carl William Brown da piccolo In tristitia hilaris, in hilaritate tristis, era il motto di Giordano Bruno ed è anche il mio. Dunque con tanta malinconia e angoscia nel cuore, voglio ricordare mia mamma, mentre mi aiutava a fare i compiti di Italiano quando ero piccolo, mentre mi faceva il bagno, mentre lavava, stirava o preparava da mangiare, quando andava a fare la spesa, quando ritornava dal lavoro e doveva poi fare le faccende di casa, quando andavamo a fare compere durante i saldi, o mentre litigavamo, e infine mentre l'assistevo, durante il periodo della sua malattia mentale, durato ben più di un decennio, quando ormai era anziana, e mi faceva più tenerezza di una bambina. Last but not least, quando si è giovani non ci si rende conto dell'importanza dei genitori e spesso ci si ritrova in aspro contrasto con loro, quando poi si cresce magari non gli si dedica il tempo e le attenzioni che meritano, alcuni quando poi sono anziani e ammalati magari li scaricano anche in qualche casa di riposo e tutto questo non contribuisce di certo al nutrimento della nostra umanità, la quale si spegne a poco a poco per mancanza di cura ed interesse, ed è proprio contro queste tendenze che si concretizza l'impegno di tanti artisti, poeti, letterati, religiosi, medici e volontari di tanti settori che si prodigano per cercare di non farci dimenticare i grandi valori della nostra esistenza, e tra questi in primis quello di nostra madre. Carl William Brown Ora c'è una cosa che posso dirti: godrai di certi piaceri che adesso non potresti nemmeno immaginare. Quando avevi ancora tua madre, pensavi spesso ai giorni in cui non l'avresti più avuta. Ora penserai spesso ai giorni passati." quando l'hai avuta. Quando ti sarai abituato a questa cosa orribile che saranno per sempre gettati nel passato, allora la sentirai dolcemente rinascere, ritornare per prendere il suo posto, il suo intero posto, accanto a te. Non è ancora possibile. Lasciati inerte, aspetta che la forza incomprensibile... che ti ha spezzato ti ripristini un po', dico un po', perché d'ora in poi manterrai sempre qualcosa di rotto in te. Dillo anche questo a te stesso, perché è una sorta di piacere sapere che non amerai mai di meno, che non sarai mai consolato, che ricorderai sempre di più. Marcel Proust D'ora in poi voglio immaginarmi la morte come una tenera e affettuosa mamma che con estremo amore, stringendomi sorridente al suo seno per tutta l'eternità, invece di darmi la vita me la toglierà. Carl William Brown La vita è un paradosso assurdo. Quando avrei dovuto amare mia madre avevo in testa tutt'altro, quando poi in età avanzata si è ammalata, l'ho assistita con tutto l'affetto, la dedizione e l'amore possibile, ma ormai la sua mente non poteva che rendersene conto in maniera limitata e io per lei forse non ero più nemmeno suo figlio, ma soltanto una figura fraterna della sua infanzia, purtroppo assai sfumata e lontana, anche se comunque benevola e degna della sua riconoscenza. In questi anni il dolore e la sofferenza sono così riusciti a dare un senso alla mia esistenza; ma ora che è scomparsa non mi resta che soffrire con tutta la tristezza e la melanconia che il mio spirito riesce ad elaborare. E in questo frangente purtroppo non riesco inoltre a ricavarne alcun senso, se non che rendermi conto che la vita in fondo non è che una ruota, della tortura però. Carl William Brown Gesu' Cristo, non sembrava nemmeno una persona defunta, e la morte sembrava averle dato persino ancora un po' di vita, privandola di tutta la sua sofferenza e donandogli al contempo una mistica serenità! Ma il suo dolore non era andato lontano, bastava guardare il mio volto. Carl William Brown
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Marcel Proust Difficile esprimere meglio di Proust il legame che unisce un figlio alla propria mamma. La mia vita ormai ha perduto il suo unico scopo, la sua sola dolcezza, il suo solo amore, la sua sola consolazione. Marcel Proust La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio non appena fossi stato a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi quando nel corridoio dalla doppia porta trascorreva il fruscio leggero della sua veste da giardino di mussola azzurra, dalla quale pendevano dei cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso. Era l’annuncio di quello che sarebbe seguito, quando mi avrebbe lasciato, quando sarebbe ridiscesa. Di modo che quella buonanotte che amavo tanto, giungevo a desiderare che venisse il più tardi possibile, perché si prolungava il tempo di tregua durante il quale la mamma non era ancora venuta. Talvolta quando, dopo avermi baciato, apriva la porta per uscire, io volevo chiamarla, dirle «dammi un altro bacio», ma sapevo che subito ne sarebbe rimasta infastidita, giacché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione salendo ad abbracciarmi, recandomi quel bacio di pace, irritava mio padre, che trovava assurdi quei riti, e lei avrebbe voluto tentare di farmene perdere la necessità, l’abitudine, ben lungi dal lasciarmi prendere quella di chiederle, quando era già sulla soglia dell’uscio, un bacio in più. Ora, vederla adirata distruggeva tutta la calma che mi aveva recato un istante prima, quando aveva chinato sul mio letto il suo viso amoroso, e me lo aveva teso come un’ostia per una comunione di pace alla quale le mie labbra avrebbero attinto la sua presenza reale e il potere d’addormentarmi. Ma quelle sere in cui la mamma finiva per restare così poco in camera mia, erano ancora dolci a confronto di quelle in cui avevamo gente a cena, e lei, a causa di ciò, non saliva a darmi la buonanotte. La gente si limitava normalmente al signor Swann che, salvo qualche forestiero di passaggio, era quasi la sola persona che venisse da noi a Combray, qualche volta a cena, come avviene tra vicini (più raramente, dopo che aveva fatto quel cattivo matrimonio, in quanto i miei non volevano ricevere sua moglie), altre volte dopo cena, all’improvviso. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Volume primo: La strada di Swann, 1913. Marcel Proust nasce a Parigi nel 1871 da Adrien Proust (1834-1903), medico insigne e futuro professore di Igiene alla Facoltà di Medicina e da Jeanne Weil (1845-1905), discendente di due ricche famiglie di origine ebraica. Sin da piccolo Marcel rivela una salute cagionevole il che spingerà la madre a nutrire nei suoi confronti un atteggiamento affettuosamente protettivo e talora morboso. Nel 1873 gli nasce un fratello, Robert (1873-1935), destinato a seguire la carriera paterna di medico. Nel 1987 si innamora della principessa Radziwill, ma il suo sentimento non è corrisposto e, tra l'altro, i suoi genitori decidono di allontanarlo dalla fanciulla poiché temono che le forti passioni possano essere dannose per la sua salute. Compie i suoi studi al liceo Condorcet ricevendo alcune menzioni. Nel 1888 prende corpo la sua vocazione letteraria. In quest'anno, tra l'altro, inizia i corsi di filosofia. Introdotto. fin da giovane, nell'ambiente arisiocatico, in questo periodo Proust inizia a frequentare i salotti, incontra così numerosi artisti, si interessa oltre che alla letteratura, di architettura, di pittura e di scultura e si fa apprezzare come amabilissimo conversatore. Nel 1889 ottiene il baccalaureato in Lettere e subito si arruola volontario un anno nel 76esimo reggimento di fanteria di stanza ad Orléans, al fine di risparmiarsi i tre anni di leva. Nel 1893 trova lavoro come bibliotecario, cominciando nel frattempo a preparare una seconda Licence in Lettere che otterrà nel 1895. A quest'anno risale, secondo alcuni, la sua prima vera esperienza omosessuale. Nel 1896 pubblica, con una prefazione di Anatole France, la sua prima opera (Les plaisir et le jours), in cui raccoglie scritti eterogenei e inediti. Ma non incontra molto successo. Nel 1900 inizia a collaborare al noto quotidiano Le Figaro e visita, con la madre, Venezia e Padova. Nel 1902 muore suo padre e nel 1905 gli muore la madre. Proust "cade nella disperazione più profonda della sua esistenza. Tutto gli appare perduto; è roso dai rimorsi di aver contribuito alla morte della madre facendola soffrire con la sua vita non ortodossa, sia per quanto riguarda la sopravvalutazione della propria salute (da tempo si corica all'alba e si alza nel tardo pomeriggio) sia per le sue inclinazioni affettive "particolari".
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La mamma di Marcel Proust Scrive a Montesquiou: "La mia vita ormai ha perduto il suo unico scopo, la sua sola dolcezza, il suo solo amore, la sua sola consolazione". Egli ha 34 anni, ma si può dire che solo adesso, dopo la scomparsa della mamma ha fine la sua infanzia. Debolissimo, straziato dal dolore e dalla malattia, ma non povero, in quanto aveva ereditato un capitale di 42 milioni di franchi francesi, ovvero l'equivalente odierno di 6 milioni e mezzo di Euro, ora aveva un unico desiderio, quello di non mancare ad una promessa fatta a sua madre. Nel Dicembre del 1905 si ricovera così in una clinica nel tentativo di guarire dai suoi mali: l'asma, l'insonnia e l'esaurimento nervoso. Ma dopo solo sei settimane abbandona la cura e va ad abitare in un appartamento di boulevard Hausmann, appartamento che egli farà successivamente foderare di sughero per isolarlo dai rumori esterni. Ritiratosi sostanzialmente dal mondo e conducendo una vita claustrale, in una solitudine che egli definì da "Arca di Noè", iniziò a lavorare alla sua imponente opera: Alla ricerca del tempo perduto (un grande ciclo narrativo costituito da sette opere). La prima di queste (Dalla parte di Swann) Proust l'aveva già terminata nel 1911. Per essa però l'autore non riuscì a trovare un editore che fosse disposto a pubblicarla. E cos', nel 1913, la fece uscire a sue spese da Colin. I tre volumi successivi (All'ombra delle fanciulle in fiore, I Guermants, Sodoma e Gomorra) furono tutti editi da Gallimard negli anni che vanno dal 1919 al 1922. Tra l'altro, nel 1919, con all'ombra delle fanciulle in fiore ottenne il premio Goncourt. E sulla scia della sua fama letteraria, che si stava consolidando in Francia e all'estero, l'anno successivo gli venne conferita la Legion d'Onore. Le ultime tre opere del ciclo (e cioè: La prigioniera, Albertine scomparsa, Il tempo ritrovato) vedranno luce postume tra il 1923 e il 1927. Infatti Proust muore nell'ottobre del 1922 mentre stava correggendo manoscritti e dattiloscritti della sua opera, a cui aveva posto fine solo nella primavera di quell'anno. Il 1905 è stato per Montesquiou e Proust l’anno dei lutti inconsolabili. Nell’arco di pochi mesi entrambi perdono le persone più amate nella loro vita. Rispettivamente, Gabriel Yturri, segretario personale, amico fraterno e amante di Robert, e Jeanne Weil, madre di Marcel. Dall’epistolario si riproducono qui la lettera di Proust che risponde alle condoglianze del conte e la toccante, ispirata poesia che Montesquiou dedica all’amico. A Robert de Montesquiou, poco dopo il 28 settembre 1905 Caro signore, Non so come potrò mai ringraziarvi di tante gentilezze. Quando sarò, non dico meno infelice giacché non lo sarò mai, ma meno gravemente malato di adesso, appena potrò parlare e alzarmi, verrò da voi. La vostra pietà verso il mio sconforto è una interpretazione nuova e magnifica del Car la feuille de lys est tournée au-dehors. Ed è in questi momenti che voi siete «più splendido di Salomone in tutta la sua gloria». Giacché «l’ordine della carità è al di sopra di tutti gli altri». La mia vita oramai ha perduto il suo unico scopo, la sua unica dolcezza, il suo unico amore, la sua unica consolazione. Ho perduto colei la cui incessante premura mi portava, in forma di quiete e tenerezza, l’unico miele della mia vita che ancora assaporo a tratti con orrore, in quel silenzio che ella sapeva far regnare così profondamente per tutto il giorno accanto al mio sonno, e che, grazie all’abitudine dei domestici da lei istruiti, sopravvive ancora per inerzia alla sua cessata attività. Sono stato abbeverato da tutti i dolori, l’ho perduta, l’ho vista soffrire, credo che abbia saputo che stava per lasciarmi, senza potermi fare quelle raccomandazioni che per lei, forse, era angosciante tacere; ho la sensazione di essere stato, per via della mia pessima salute, il dispiacere e la preoccupazione della sua vita. La stessa eccessiva smania di rivederla mi impedisce, quando penso a lei, di percepire quel che accade sotto i miei occhi, salvo da un paio di giorni due immagini particolarmente dolorose della sua malattia. Non riesco più a dormire e se per caso mi assopisco il sonno, più prodigo di dolore della mia coscienza desta, mi opprime con pensieri atroci che, perlomeno, quando sono sveglio la ragione cerca di dosare, e di contrastare quando diventano insopportabili. Una sola cosa mi è stata risparmiata. Il tormento di morire prima di lei e di sentire l’orrore che un tale evento le avrebbe procurato. Ma lasciarmi per l’eternità, sapendomi così incapace di lottare nella vita, dev’essere stato per lei un supplizio davvero grande. Deve aver compreso la saggezza dei genitori che prima di morire uccidono i loro bambini. Come diceva la suora che la curava, per lei avevo sempre quattro anni. Perdonatemi caro signore, Esiodo ha detto che gli infelici son o chiacchieroni e ben disposti a parlare delle loro pene. Ma tra tutti i dolori s’instaura una specie di fraternità. «Così il povero è fratello di Gesù Cristo». Non dimenticherò mai la vostra dolcezza, la vostra bontà, la vostra magnanima pietà. Il vostro profondamente grato, Marcel Proust. Read the full article
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vorticimagazine · 1 year ago
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La vita accade
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Ci sono libri che s’incontrano in un momento particolare della propria vita.Quest’affermazione forse, a chi legge, potrebbe apparire esagerata o difficile da comprendere.
Vi sorprenderà scoprire che alla sottoscritta è accaduto proprio questo, il 13 Agosto scorso, durante la presentazione del libro: La Vita accade (Mondadori Editore) del dottor Alberto Pellai (vincitore quest’anno, della Seconda edizione del Premio Città del Libro e della Famiglia, nonché del Premio Letterario Emily).
Mi sono accorta immediatamente che stavo assistendo a qualcosa di diverso dal solito e non parlo solo in termini esclusivamente professionali. Ho letto il libro in pochi giorni, coinvolta dalla trama. L’autore si è reso disponibile pochi giorni fa a rilasciare a noi di Vortici.it un’audio-intervista, di cui sono immensamente grata. Prima decidiamo di proporvi un estratto del libro per aiutarvi immergervi nell'atmosfera del racconto.Leggi l'intervista completa...  
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Alberto Pellai è medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano. Nel 2004 il ministero della Salute gli ha conferito la medaglia d’argento al merito in Sanità Pubblica. È autore di molti bestseller di parenting e psicologia, tra i quali Tutto troppo presto, L’età dello tsunami, Il metodo famiglia felice. Da Mondadori ha pubblicato Da uomo a padre (2019), La vita accade (2022) e, insieme a Barbara Tamborini, Zitta! (2018), La bussola delle emozioni (2019), Tabù (2020), Accendere il buio, dominare il vulcano (2021). I suoi libri sono tradotti in più di quindici nazioni e hanno vinto numerosi premi. Dal 2010 cura su «Famiglia Cristiana» la rubrica settimanale «Essere genitori». Su Facebook gestisce una pagina dedicata ai consigli sull’educazione seguita da 140.000 follower, mentre su Instagram è seguito da 40.000 persone. Immagine di copertina: Mondadori Editore Potrebbe interessarti anche la nostra rubrica Libri consigliati Read the full article
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beppebort · 1 year ago
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I preti che personalizzano troppo: non resterà più niente dopo il loro passaggio ad altro incarico. Breve nota di Andrea Lonardo
Scritto da Redazione de Gliscritti
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Teologia pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (24/7/2023)
Esiste un dramma, sovente dimenticato, che è costretto a vivere il prete che rende la “sua” proposta pastorale troppo legato alla propria persona. Un dramma a cui costringe la sua comunità nel tempo a venire.
Chi personalizza troppo vedrà svanire, dopo la propria partenza, dopo la propria promozione ad altro incarico, tutto ciò che ha fatto nel giro di un breve lasso di tempo.
Perché chi viene dopo è obbligato a modificare le cose, perché così come le ha immaginate quel presbitero sono improponibili, perché sono troppo legate al suo modo di fare e alla sua visione delle cose.
La forza di una parrocchia – ma anche di una diocesi - sta nella sua ordinarietà, nel suo non ammettere troppe personalizzazioni, nel rimanere nei solchi della tradizione, di modo che tutto possa poi proseguire.
Dove, invece, tutto viene proposto come originale e assolutamente nuovo, ecco che svanirà nel giro di breve tempo.
Quel presbitero sarà condannato a veder morire tutto ciò che ha fatto, nel suo migrare da un luogo ad un altro, e quelle comunità in cui ha vissuto saranno obbligate a rendersi conto una dopo l’altra che la vita ordinaria cristiana è un’altra cosa.
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libroazzurro · 1 year ago
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È PIÙ SACRO VEDERE CHE CREDERE - LA DISSOLUZIONE DELLA CIVILTÀ
Plutarco usò l’immagine della morte del grande dio Pan per significare la dissoluzione della civiltà antica. Lo stesso fece, nell’Ottocento, Proudhon per significare il progressivo decadimento della civiltà borghese: “Pan è morto, la società è caduta in basso”. Anche il pio e casto Nietzsche, con un compiacimento che attingeva alla disperazione e all’euforia inconsistente del terrore, ha dichiarato, in quel secolo, che Dio era morto per constatare il decesso della civiltà cristiana e infine positivista. Possiamo facilmente evincere da questa breve osservazione che senza la licenza e la sfrenatezza sessuale esemplificata da un dio di cui siamo tutti figli non si dà ordine sociale e civiltà alcuna.
Nell’immagine “Fauno con rhyton”, disegno di Franz Von Stuck eseguito a inchiostro di china su pergamena (immagine di pubblico dominio, tramite Wikipedia Commons).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.
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oqposto · 2 years ago
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LA VIA CRUCIS
Lo so che siamo nati per soffrire, questo anatema è stato “sputato” addosso ai nostri genitori, ai nostri nonni, così tante volte dai pulpiti di tutte le chiese d’Italia, che non posso non essere convinto che sia così. Certo che a fronte di tale “sofferenza”, il prelato di turno, offriva per nome e per conto del Signore Iddio, la vita eterna e la salvezza dell’anima: chiunque avrebbe accettato di buon grado un simile scambio! Poi i tempi sono cambiati, quei pochi pulpiti ancora al loro posto sono solo una muta testimonianza di quel tempo, l’offerta è rimasta purché ci si penta dei peccati. E la sofferenza? Beh, quella è stata trasferita in altre situazioni, in altri momenti della nostra vita, e ce ne accorgiamo quotidianamente: Angri ne è l’esempio più calzante. Quando Gesù Cristo con la croce sulla spalla si avviò verso il Golgota per subire la crocifissione, il suo cammino doloroso e penoso, era accompagnato oltre che dai suoi discepoli, dai seguaci e dai suoi cari più stretti, anche da un folto numero di centurioni romani, che provvedevano a tenere a bada chi voleva aiutarlo mentre lo costringevano a proseguire verso la sua fine. Questo momento “topico” della fede cristiana viene definito Via Crucis e si celebra a Pasqua di ogni anno; e siccome noi siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, ne consegue che ognuno di noi ha la “sua croce” (espressione usata comunemente per rappresentare le difficoltà quotidiane). Certo non ci si può paragonare a quello che passò Gesù durante la sua passione, ma ci sono momenti in cui veramente ci sentiamo vicini a Lui a seguito delle nostre sofferenze terrene, specialmente se siamo intimamente convinti di non meritare certe punizioni da girone infernale. Che per migliorare se stessi si debbano affrontare delle difficoltà è cosa nota, vedi ad esempio se si vuole dimagrire (è necessario seguire una dieta) , se si vuole migliorare il proprio aspetto fisico (le donne si autoflagellano sottoponendosi al rito della ceretta), se si vuole raggiungere un traguardo importante (il duro impegno per completare i propri studi); lo stesso succede se si vuole migliorare la qualità della vita in un paese civile (vedi ad esempio i lavori stradali e quello che ne consegue). Ma anche Gesù, durante la sua passione che lo portò alla morte, venne “sostenuto”, è vero che era solo acqua e aceto, però i centurioni romani, lo fecero ed è un fatto; ad Angri invece veniamo inesorabilmente lasciati soli anche quando veramente non lo meritiamo. Secondo me è eticamente sbagliato, oltre che normativamente, accontentarsi di segnalare un disagio, non è sufficiente dire: “Via don Minzoni è chiusa per lavori, arrangiatevi su via Concilio”, non è giusto che un cittadino debba “inginocchiarsi”ad ogni stazione della via Crucis (afflusso su piazza san Giovanni, innesto con via Murelle, deflusso su via dei Goti o G. D’Anna) e chiedere perdono per i suoi peccati, elemosinando il diritto a potersi inserire nel traffico. Come detto in precedenza, anche a Gerusalemme c’erano i centurioni a dirimere le questioni, ad Angri manco un vigile ad aiutare nella quotidiana eutanasia che ognuno di noi implora perché finiscano le sofferenze. Tutto ciò è vergognoso. E la consapevolezza più grande che ho raggiunto sta nel fatto che non è chi ci amministra a doversi vergognare di quello che succede o che non succede, sono io che debbo vergognarmi perché lascio che tutto accada o non accada. Non ci sono scuse, il mondo va come va perché sono io che lascio che vada così, ed è il momento che mi renda conto che se Gesù quale figlio di Dio, poté resuscitare tre giorni dopo la morte, io se muoio è per sempre. E Amen.
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personal-reporter · 2 years ago
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Il Monte Calvario, dove venne sepolto Gesù
Uno dei luoghi simbolo della fede nel mondo… I Vangeli raccontano che i Romani  presero Gesù e lo condussero al luogo del Golgota, luogo del Cranio, dove lo crocifissero con altri due condannati, uno a ciascun lato,  il colle si trovava vicino alla città, cioè  fuori dalla cinta muraria. Dove fu crocifisso Gesù si trovava un orto, con un sepolcro nuovo e, poiché era la Parasceve dei giudei ed era vicino, il Figlio di Dio venne deposto in quel luogo. Le ricerche archeologiche hanno trovato altre tombe della stessa epoca vicino al Calvario, alle quali si può accedere dalla basilica, un fatto che conferma come si trovasse fuori da Gerusalemme, poiché la legge giudaica proibiva la sepoltura all’interno delle mura. Alcuni studiosi hanno identificato la zona con una cava abbandonata, della quale il Golgota sarebbe stato il punto più alto, come sostengono varie testimonianze, che descrivono un terreno roccioso, con numerosi frammenti di pietra. I cristiani di Gerusalemme conservarono la memoria del luogo e nel 135, dopo aver soffocato la seconda ribellione dei giudei contro Roma, l’imperatore Adriano ordinò che la città santa fosse rasa al suolo, e sopra ne costruì una nuova, con il nome di Aelia Capitolina. L’area del Calvario e del Santo Sepolcro, inclusa nella nuova superficie urbana, venne ricoperta con un terrapieno, e lì si innalzò un tempio come raccontò San Gerolamo nel 395 “Dai tempi di Adriano fino all’impero di Costantino, per centottanta anni, nel luogo della resurrezione si dava culto a una statua di Giove, e sulla roccia della croce a una immagine di marmo di Venere, posta lì dai pagani. Senza dubbio gli autori della persecuzione si immaginavano che, se avessero contaminato i luoghi sacri per mezzo degli idoli, ci avrebbero tolto la fede nella resurrezione e nella croce” Ma la costruzione che nascose il Golgota alla venerazione cristiana contribuì a conservarlo fino al IV secolo infatti,  nel 325, il vescovo di Gerusalemme Macario chiese e ottenne il permesso di Costantino per demolire i templi innalzati sui Luoghi Santi. Sopra il Sepolcro di Gesù e il Calvario, una volta scoperti, si progettò un grande complesso e, come disse in una lettera l’imperatore al vescovo “Conviene pertanto che la tua prudenza disponga e preveda tutto il necessario, in modo che non solo si realizzi una basilica migliore di qualsiasi altra, ma che anche tutto il resto sia tale che tutti i monumenti più belli di tutte le città siano superati da questo edificio” Grazie alle fonti e agli scavi archeologici del XX secolo si sa che il complesso era costituito di tre parti, che erano un mausoleo circolare con il sepolcro al centro, chiamato Anastasis,  un cortile quadrangolare con portici su tre dei quattro lati, dove si vedeva il Calvario,  e una basilica per celebrare l’Eucaristia, con cinque navate e un atrio. Di questo monumento oggi resta molto poco, infatti fu  danneggiato dai persiani nel 614 e restaurato dal monaco Modesto,  ma subì terremoti e incendi fino a quando fu distrutto nel 1009 per ordine del sultano El-Hakim, mentre l’attuale complesso deriva dai restauri dell’imperatore bizantino Costantino Monomaco del XI secolo, all’opera dei crociati del XII secolo e ad altre trasformazioni posteriori. Read the full article
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corallorosso · 3 years ago
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Ma quanto era figo il Pci? Un amico insegnante che mi invia sempre delle foto straordinarie legate all’attualità, Giampiero Monetti, mi fa cominciare l’anno con una fitta negli occhi che voglio, anzi devo assolutamente condividere. La foto che vedete ritrae il grande scrittore Gianni Celati, scomparso il 2 gennaio all’età di 84 anni, appoggiato a un muretto con indosso una sgargiante camicia rossa contro una serie di bellissimi, eloquentissimi manifesti del Pci. L’autore di questa immagine non è un fotografo della domenica. È un grande artista che si chiamava Luigi Ghirri, purtroppo scomparso nel 1992 a soli 49 anni, le cui foto sono state e vengono tuttora esposte in tutto il mondo. Siamo probabilmente a Mantova, come indica la targa di una 500 posizionata ad arte nell’inquadratura, e nonostante l’impressionante nitidezza dell’immagine ci troviamo altrettanto probabilmente a metà degli Anni Settanta, in pieno sogno di sospirata prevalenza del Pci nei confronti dell’immarcescibile Democrazia Cristiana. Siamo proprio lì, sulle spallucce del piccolo Enrico Berlinguer alla testa di una folla sterminata, con il vento in poppa, abbagliati dal sol dell’avvenire che verrà spento poco dopo dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro. Quando ho visto questa foto ho pensato immediatamente cose semplici. Le espongo senza giri di parole. Ma quanto era figo il Pci?! Quanto belli erano quei manifesti del Pci? Quanto forte era la spinta ideale del Pci? Quanto potere di attrazione rappresentava per i giovani quel Pci? Quanto immune da sensi di colpa era quel Pci? Quello che si prova è ben più rabbia che nostalgia. La rabbia per un partito dei giovani che non c’è più per colpa di partiti monopolizzati da vecchi che non hanno più pensato a spingere giovani, a proporre giovani, a far largo ai giovani, a portare al proscenio giovani. Adesso dovrei fare esempi di questo peccato mortale, dovrei citare alcuni giovani di allora che ancora oggi, quasi mezzo secolo dopo, spadroneggiano nel vuoto della sinistra, ma non ne ho voglia. Preferisco starmene al sole, appoggiato a quel muretto, accanto a Gianni Celati che ci manca tanto. David Grieco
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thegianpieromennitipolis · 3 years ago
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Tratto da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO PRIMO - di Gianpiero Menniti
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IL BUIO E LA LUCE 
Sebastiano del Piombo e Raffaello. Come dire, senza nulla togliere alle qualità e al talento del primo, Michelangelo che compete con Raffaello. Due giganti che occupano lo spazio e il tempo dell'arte nel primo ventennio del '500. Sebastiano Luciani (1485-1547), detto "del Piombo" poiché divenne custode dei piombi o sigilli del vaticano, proveniva da ambiente veneziano - fu allievo di Giovanni Bellini -  e seppe interpretare quelle basi artistiche traendo ispirazione anche da Leonardo.  Fino a quando, giunto a Roma, si lasciò influenzare sia dal Maestro della "Sistina", del quale divenne sodale, che dal Raffaello delle "Stanze". Queste esperienze, unite alle sue indubbie doti, lo resero protagonista di una commissione prestigiosa: Giulio de' Medici gli chiese di realizzare, alla fine del 1516, una pala d'altare destinata dal cardinale alla sua sede vescovile a Narbonne. Il tema assegnato era la "Resurrezione di Lazzaro". Contemporaneamente, lo stesso de' Medici (che di lì a pochi anni, nel 1523, diventerà Papa col nome di Clemente VII) commissionò un'altra pala d'altare, sempre per la cattedrale francese, a Raffaello (1483-1520), affidandogli la raffigurazione della "Trasfigurazione". Dunque, uno dei massimi artisti della Roma rinascimentale si venne a trovare in competizione con un pittore di scuola eccelsa ma pur sempre di caratura inferiore. Ma, dietro le quinte, è il Buonarroti a dettare la composizione al suo fin lì fidato discepolo, come scrisse il Vasari chiarendo come la pala in questione venne realizzata «sotto ordine e disegno in alcune parti di Michelagnolo». Quel confronto disegna una delle pagine più controverse della storia dell'arte.  La "Trasfigurazione" rimarrà l'ultimo dipinto di Raffaello. L'opera, iniziata nel 1518 e rimasta incompiuta nell'aprile 1520, venne posta nella camera ardente del maestro urbinate, quasi a suggello della sua estrema capacità lirica e tensione mistica. Un'opera di luce: dominata dalla trasformazione di Cristo in una fonte luminosa di splendore accecante («si trasfigurò davanti a loro, e la sua faccia splendette come il sole e le sue vesti diventarono bianche come la neve» Matteo 17,2), l'ispirazione raffaellesca divenne celebre per il contrasto tra la scena metafisica che sovrasta la composizione e la convulsa, terragna rappresentazione, in basso, del "miracolo dell'ossesso". Come mai l'introduzione arbitraria di un testo così dissonante nella rappresentazione principale? La risposta si trova nel testo pittorico di Sebastiano del Piombo, terminato già nell'aprile dell'anno prima: probabilmente, Raffaello vide, o ne fu informato, la "Resurrezione" del suo rivale.  Comprese l'intonazione drammatica che l'altro dipinto, anche per via del tema, aveva raggiunto e decise di non essere da meno "aggiungendo" una scena che possedesse comparabile intensità. Già, perché l'opera del pittore veneziano, intrisa d'ispirazione michelangiolesca, apparve carica di un contenuto molto denso: Cristo è tra la folla dei fedeli e degli increduli mentre, issato su un podio, mostra la solenne potenza del gesto e della parola.  Sullo sfondo i tratti della città emergono da un sipario oscuro che si salda al movimento agitato di una folla sciamante e atterrita.  Questo è il Michelangelo che presentiva l'esigenza di una profonda riforma della cristianità, fondandola sulla rappresentazione del "timor di Dio" quale soglia insostituibile della fede.  La città è il mondo corrotto e vacuo dal quale promana l'umanità incerta, bisognosa di un Dio che affermi il dominio incorruttibile sulla vita e sulla morte: nel gesto che "salva" c'è tutta la teleologia cristiana. La possanza dell'opera s'imponeva nella sua oscura immagine. Così, Raffaello, con scelta geniale, immette nella sua "Trasfigurazione" la medesima accezione concettuale, includendo in un cono di prospettiva perfino l'immagine di una città dalla quale proviene fino ad uno scenario di buia roccia, la massa brulicante che non ha altro appello se non al Cristo, unica fonte di luce e di salvezza. E' l'umanesimo tragico che ridefinisce l'orizzonte dell'arte sacra e segna l'arte di "maniera" che verrà affermandosi nella crisi: non solo nello stile figurativo, ma nei sentimenti profondi, nel buio dell'errare alla ricerca della luce.
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ildiariodibeppe · 1 year ago
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«Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto». Nei vangeli il lievito è una immagine ambivalente. Viene usata come similitudine per descrivere la presenza efficace nella storia umana del regno di Dio, «simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staia di farina, finché sia tutta fermentata».
Dunque il regno come qualcosa di invisibile, ma essenziale affinché ogni ambito al quale si trova mescolato cresca e diventi nutriente per la vita. L’immagine funziona anzitutto per una comunità cristiana e il suo contesto di relazioni, che – animata dallo Spirito – dovrebbe risultare aperta e nutriente per la vita, capace di accogliere senza giudizio e sviluppare relazioni il più possibile sane e sananti e liberanti.
Qui, invece, Gesù parla del lievito dei farisei. Immagine che descrive ancora le relazioni dentro un gruppo di credenti dove è diffusa l’ipocrisia, la mancanza di trasparenza e di sincerità, la ricerca del consenso, dei primi posti, dove ci si elogia in pubblico e ci si critica alle spalle. Atteggiamenti che hanno la forza del lievito e fanno crescere ambiti che non nutrono e condizionano in negativo la vita e la fede. Che il Signore ci dia di riconoscere queste dinamiche mortificanti e di resistervi con buoni esercizi di umiliazione e una pratica sana della correzione fraterna.
PAN DI VIA
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ragazza-nuvola · 3 years ago
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"Sei fatta così. Hai sofferto e chi ha sofferto lo vedi, lo riconosci.
Hai sempre paura che le persone ad un certo punto inizino a metterti da parte. Dovresti vivere le tue giornate in maniera diversa e invece hai sempre questa paura che qualcuno possa ferirti, deluderti, farti a pezzi e così facendo vivi a metà, vivi immersa nella paura per ogni azione altrui che non ti comprende. Credi che le persone ti facciano male apposta e trovi difetti anche quando non ci sono.
Sei un’insicura, una persona che vorrebbe solo qualcuno che la facesse sentire il centro del mondo perché se le cose non vanno come te le sei immaginate allora inizi a pensare che qualcosa non va, inizi a viaggiare con quella testolina e ti vai a infilare in cose che conosci solo tu perché la realtà è che nessuno è nato con l’obbiettivo di farti male, di distruggerti. Nessuno vuole farlo, nessuno mai si prenderà la briga di svegliarsi il mattino e pensare “io voglio ferirla”.
Il problema è che le tue insicurezze diventano muri, castelli, favole che conosci solo tu e forse non sono gli altri a sbagliare, non sono gli altri che non ti danno attenzioni, non sono gli altri che ti mettono da parte ma .. sei solo tu che non ti apprezzi, che non ti fai valere, che non combatti e che non vinci mai.
Impara che nella vita ciò che conta sei tu, rialzati e riprenditi ogni volta che ti perdi, ogni volta che cadi, ogni volta che hai paura di non essere abbastanza guardati allo specchio e ritrovati perché non sono gli altri ma sei solo tu."
-Cristiana Tognazzi-
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