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#il Graffio della Pantera
marcogiovenale · 1 year
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video completo dell'incontro "dove graffia la pantera. la stampa indipendente racconta i movimenti"
cfr. https://slowforward.net/2023/05/10/dove-graffia-la-pantera-la-stampa-indipendente-racconta-i-movimenti/
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ilmerlomaschio · 3 years
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Racconti erotici
-mindful-Wattpad
-6-
Aria pesante.
Questa è la prima cosa che sento appena apro la porta della camera. La luce è spenta, la persiana è abbassata malgrado siano le undici del mattino. Il letto è sfatto e vedo il suo corpo avvolto dalle coperte, il volto è rivolto dall'altra parte e noto solo i capelli scompigliati.
Lentamente mi avvicino, salgo sopra il letto e una volta vicino inizio ad accarezzargli la testa con movimenti delicati. Lo sento mugugnare e muoversi appena ma non sembra volersi alzare. Decido allora di infilarmi sotto le coperte e stringermi a lui. Gli accarezzo il petto mentre gli lascio dolci baci sulla schiena. La mia mano destra scivola dolcemente sui suoi pettorali fino all'elastico dei boxer, in un percorso immaginario e delicato. Sento che si muove sotto il mio tocco e mi asseconda. Gli dico parole dolci e d'incoraggiamento, sembra quasi che stia parlando con un bambino che fa i capricci per alzarsi.
Gli racconto di cosa ho preparato da mangiare e le cose che potremmo fare insieme, ma per tutta risposta si volta e senza guardarmi mi sale sopra, poggiandosi mollemente sul mio corpo e coprendomi come se fosse una coperta.
Mi lascio sfuggire un gridolino per la sorpresa e ridacchio alla sua reazione. < Voglio restare qui con te> sospira sul mio collo. Intenerita lo accarezzo e continuo a cullarlo assecondandolo. L'atmosfera è rilassata, ma non passa molto tempo prima che cambi.
Inizia a muoversi sul mio corpo, preme la sua erezione sul mio ventre, come a mostrarmi e farmi sentire quanto sia eccitato. <Non hai più sonno, eh?!> gli dico sorridendo. Per tutta risposta mi afferra le cosce e me le fa aprire così che si possa mettere nel mezzo. <Pensavo di rendere più produttiva la mattinata> soffia sul mio viso prima di baciarmi. Subito porto le mani sui suoi capelli e li stringo approfondendo il bacio, che in poco tempo si fa più spinto e presagisce cosa accadrà di li a poco.
Lui per tutta risposta mi stringe un fianco saldamente e preme in modo ancora più deciso la sua erezione sulla mia intimità eccitandosi ed eccitandomi. Entrambi sospiriamo e prendiamo fiato dal lungo bacio, ci guardiamo negli occhi.
Desiderio. Passione. Eccitamento e amore comunichiamo tramite lo sguardo. Sento il suo corpo sul mio, i suoi muscoli che si flettono, il suo profumo mi invade le narici ancora di più, il suo corpo mi trasmette calore, forza, sicurezza.
Mi muovo seguendo il suo ritmo, i suoi movimenti si fanno sempre più concitati e i vestiti diventano sempre più ingombranti. Porta le sue mani sul bordo della mia maglietta e me la sfila con un gesto veloce, quasi spazientito. Per pareggiare i conti porto una mano sul suo sedere e lo palpeggio giocosamente, infilo poi la mano dentro i boxer e ne accarezzo la pelle stuzzicandolo con dei movimenti circolari, sento che ha i brividi e sorride al mio gesto. Ma non si ferma. Afferra saldamente i pantaloncini e le mutandine e lentamente le sfila, nel compiere il movimento si abbassa anche lui fino a portare il volto all'altezza delle mie ginocchia. Mi guarda dal basso, < Molto meglio> sogghigna. Sono completamente nuda, distesa sul letto e lui inginocchiato tra le mie gambe, mi guarda ardentemente, se potesse mi salterebbe addosso subito, ed è quello che desidero di più, esposta in questo modo davanti a lui non posso fare a meno di sperare che faccia presto, che mi prenda in questo istante, ma i suoi piani sono altri.
Vedo che si muove lentamente, come una pantera che punta la sua preda, ma la preda non sono io, o meglio è una parte precisa del mio corpo, la mia intimità.
Porta la testa tra le mie cosce e poggia un casto bacio proprio nel mezzo, facendomi rabbrividire e sospirare per il breve contatto. Alza appena gli occhi con un sorrisetto compiaciuto stampatogli in volto.
Gli passo le dita tra i capelli, facendogli capire che lo voglio, voglio la sua bocca su di me, sentire la sua lingua accarezzare la mia intimità, che mi bagni con la sua saliva, che mi assapori.
E lui mi soddisfa subito.
La prima cosa che sento è il suo respiro, ha soffiato appena sulla mia intimità risvegliando in me una miriade di sensazioni, un veloce brivido mi attraversa; subito dopo appoggia le sue labbra sul clitoride e lo succhia appena, risvegliandomi dallo stato di trance appena creato. Ansimo quando sento la sua bocca concentrata sul mio centro. I suoi movimenti sono calcolati, lo stringe tra le labbra che muove appena, chiudendolo dentro la sua bocca e che sfiora con la lingua. Tutte queste sensazioni non fanno che aumentare la mia eccitazione.
Si sistema meglio e con le braccia mi circonda i fianchi tenendomi ferma e spalancandomi ulteriormente le gambe. Stringo maggiormente i suoi capelli mano a mano che il piacere si intensifica. Un calore intenso mi parte dall'intimità fino ad arrivare al volto, sento che sto arrossendo, mi formicola tutto il corpo. Il mio respiro si fa più pesante e gli occhi si chiudono per l'eccessivo piacere. Sento la sua lingua fare movimenti circolari sul mio clitoride e ogni tanto portare la sua attenzione sulla mia entrata, raccogliendo la mia eccitazione, assaporandola e poi unirla alla sua saliva per bagnarmi tutto il sesso. Gli afferro le braccia, lo stringo, lo graffio, gli riprendo i capelli, mi muovo verso di lui. Non riesco a stare ferma, voglio sentirlo più nel profondo, voglio il suo corpo sul mio.
Aumenta il ritmo, la sua lingua ora è totalmente focalizzata sul clitoride, insiste e lo divora famelico, insieme a questo sento che porta un dito alla mia entrata e comincia a tracciarne i contorni, stuzzicandomi.
Versi sconnessi mi escono dalla bocca, il mio sesso si contrae, inizia a pulsare, anche lui famelico e insoddisfatto dal misero contatto esterno.
Senza preavviso si alza e mi osserva, percepisco subito la mancanza e alzo anche io la testa e con sguardo interrogativo gli chiedo perché abbia smesso; per tutta risposta si pulisce le labbra, ormai rosse e gonfie, e il mento dai miei umori sulla mia coscia. Si sposta di lato e risale il letto accostandomi al mio corpo attento e pronto a qualsiasi cosa voglia fare. Vedo la sua erezione tendere in modo quasi vergognoso all'interno dei boxer e subito mi viene l'acquolina in bocca. Allungo le mani afferrandolo e portandomelo addosso, così che il suo bacino sia all'altezza del mio viso, appena è in posizione afferro i boxer e senza preamboli glieli abbasso, ritrovandomi di fronte un'erezione di tutto rispetto.
Il suo cazzo è grosso, leggermente pendente e lungo, solo a guardarlo dubito di riuscire a prenderne anche solo metà in bocca.
Da galantuomo, si avvicina ulteriormente e me lo sbatte in faccia dandomi colpetti sulla bocca, muovendolo con la mano <Apri piccola> e io non posso non obbedire. Schiudo le labbra e lui me lo mette in bocca fino a riempirmela. <Cazzo...> la testa gli cade all'indietro, chiudo la bocca e avvolgo con le labbra la sua lunghezza e con la lingua cerco in qualche modo di fare dei movimenti ma è così grosso che sono limitata e riesco solo ad accarezzarlo senza poterla muovere troppo.
Inizia a fare dei piccoli movimenti del bacino facendo uscire ed entrare il suo cazzo dalla mia bocca. Vado in contro ai suoi movimenti, cerco di accoglierlo più che posso ma ogni volta che tocca il fondo della gola un senso di vomito mi parte dalla base della gola e dopo un paio di affondi mi ritrovo a scostarmi non riuscendo a prenderlo così in fondo. <So io di cos'hai bisogno. Stenditi e prendi in bocca solo la cappella, rilassati piccola. Adesso ci penso io>.
Faccio esattamente come mi dice e cerco di rilassarmi, il suo profumo caratteristico mi inebria, chiudo gli occhi per concentrarmi sulle sensazioni che provo.
Il suo cazzo ha un retrogusto salato ma piacevole, è caldo e morbido, la cappella è gonfia e ne traccio i contorni con la lingua trovando anche il piccolo buchino all'estremità, faccio una leggera pressione su questo e lo sento sospirare. Continuo a leccarlo ascoltando il suo respiro e cercando di capire cosa gli piaccia finché non sento qualcosa di bagnato sfiorarmi il clitoride, per la sorpresa e il piacere apro la bocca e prendo ulteriormente il suo cazzo in bocca.
Riapro gli occhi e lo vedo leggermente piegato su di me, un braccio teso tra le mie gambe e l'altro con cui si sorregge appoggiato alla testiera del letto. Ha uno sguardo compiaciuto e osserva il punto esatto in cui il suo cazzo e la mia bocca si uniscono.
Lui è una visione, i capelli gli ricadono sul volto, le braccia tese mettono in risalto i muscoli, il petto messo in risalto dai movimenti che fa per respirare, gli addominali tesi e la parte restante del sul cazzo sembra come chiamarmi e implorarmi di potere entrare nella mia bocca.
Un suo dito entra inaspettatamente dentro di me, mugugno muovendomi istintivamente verso la sua erezione, spalanco la bocca e cerco di prenderne ancora. La sensazione di essere penetrata ed essere riempita in due posti contemporaneamente mi accende ancora di più. Le labbra mi formicolano e tirano appena, inizio a muovere la testa a ritmo delle sue spinte sul mio sesso, prima affondi lenti, calcolati, incentrarti nell'assaporare il suo cazzo e tastarne le dimensioni, così come lui si muove dentro di me, toccando la mia carne, cercando i punti giusti ma senza soddisfarmi a pieno.
<Così piccola...> mi incoraggia e ricompensandomi toccando un punto delicato dentro di me, al suo tocco mi muovo in modo ancora più concitato verso di lui.
La mia gola si rilassa sempre più mano a mano che l'eccitazione cresce, una sensazione di calore mi invade in attimi di picco di piacere, versi di compiacimento escono dalla mia bocca, ma sono deformati dalla presenza ingombrante.
Più lui mi porta verso l'orgasmo con le dita più io lo succhio avidamente, maggiore è l'intensità con cui lo succhio maggiore sarà la sua eccitazione portando la sua erezione a crescere maggiormente e al crescere di questa crescerà il mio desiderio di prenderlo più a fondo.
I nostri corpi si muovono, ormai, in sincrono, la mia testa oscilla sulla sua asta in modo autonomi direi, non presto più attenzione alle sue dimensioni o a quanto stai andando a fondo, lo prendo più che riesco concentrata sull'orgasmo che cresce. La sua mano sul mio sesso si muove con movimenti rapidi, precisi, vuole farmi venire e vuole venire, non c'è dubbio.
Il collo fa male, la mandibola è sotto sforzo, la mia lingua si muove accarezzando il suo cazzo come se fosse una seconda pelle, lo avvolge, gli gira attorno, lo lubrifica così che possa muoversi con ancora più facilità nella mia bocca fino alla mia gola. Il mio naso si scontra ripetutamente contro il suo pube e sapere di arrivare a toccarlo vuol dire solo una cosa, lo sto prendendo tutto.
La consapevolezza mi eccita, facendomi bagnare ulteriormente, portandomi a roteare gli occhi per il piacere che mi invade, per il piacere che gli sto dando.
Respiro appena, voglio venire, voglio che venga dentro la mia bocca.
Lo guardo e lo trovo ancora intento ad osservarmi, ormai sudato e stanco. Continuo a muovermi, ma per fargli capire che non posso resistere ancora molto, faccio passare il mio braccio destro tra le sue gambe, piego il gomito e gli afferro una natica per poi spingere il suo bacino verso il mio volto. In risposta, col pollice mi strofina il clitoride mentre continua a scoparmi con altro due dita.
Bastano pochi movimenti del pollice a farmi venire.
Presa dall'orgasmo non mi rendo conto di cosa accade, sento una sua mano tenermi la testa e percepisco appena il suo bacino battere con insistenza contro la mia faccia, i movimenti delle sue dita continuano imperterrite per prolungare il più possibile il mio orgasmo, così che possa scoparmi la bocca alla velocità che preferisce e che gli serve per venire.
Sento che non posso resistere altro, sono arrivata al limite, se continuassi a venire ne risentirei dopo. Decido dunque di scostare la sua mano dalla mia intimità, facendogli intendere che può bastare, ma alla mancanza del contatto ritraggo anche la testa e faccio uscire il suo cazzo dalla mia bocca con un ultimo risucchio, che a quanto pare è il colpo finale.
Non appena perde il contatto con le mie labbra, viene. Riversa il suo sperma su parte della bocca e sul mio collo. Al primo getto chiudo gli occhi, ma resto immobile aspettando che finisca di venire. Quando non sento più niente posarsi sulla mia pelle apro piano gli occhi e lo trovo seduto col fiatone e con le mani appoggiate sulle ginocchia. Sollevo il busto per avvicinarmi a lui, ma si allontana preoccupato che voglia dargli un bacio con ancora il suo sperma sulla bocca. <No, non ci provare...> mi avverte mettendo le mani avanti così che possa stare a distanza di sicurezza. <Che c'è? Non ti piaccio?> dico sbattendo le palpebre e facendo una faccia imbronciata. < Sei stupenda piccola, ma se vuoi un mio bacio devi prima pulirti, lo sai che mi fa schifo se hai ancora la mia sborra sulla faccia quando mi baci.> si lamenta schifato.
Alzo gli occhi al cielo, e mi alzo per andare in bagno a lavarmi, ma quando sto per sorpassarlo mi volto velocemente e gli lascio un bacio veloce sulla guancia, vicino alle labbra, iniziando a correre e ridendo di gusto alla sua faccia schifata e sorpresa.
<Sara! Piccola stronza...>
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levysoft · 6 years
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[...] Dunque, cosa impariamo di più del polimorfico Wilde? Che “da adolescente pensò di diventare cattolico romano (e per questo il fratello ha minacciato di diseredarlo)”, che, studente a Oxford, fu insediato tra i massoni, nel 1875, che chiese di essere impiegato nell’azienda di John Ruskin per il gusto di stare di fianco a uno dei suoi miti, che “avrebbe voluto fare l’ispettore scolastico, secondo l’esempio di Matthew Arnold – e dobbiamo ringraziare la provvidenza se non ha realizzato questo intento” (così Anthony Quinn nella divertita recensione pubblicata dal Guardian). Sfarfallii inutili, si dirà. In questo caso, pare non sia vero perché anche l’alluce biografico di Wilde ha l’evidenza di un’opera letteraria. Dal tour statunitense del 1882, per dire, Wilde torna con un amore da appendersi alla camicia. “Quando penso all’America, ricordo soltanto labbra come petali cremisi di una rosa estiva, occhi come agata oscura, il fascino di una pantera, il graffio di una tigre, la grazia di un uccello”, scrive Oscar alla misteriosa lei, nominata semplicemente ‘Hattie’. Beh, il baldo biografo ha scoperto l’identità della felina fanciulla, riassunto del creato tutto: si chiama Harriet Crocker, all’epoca aveva 23 anni, ed era “figlia di una magnate delle ferrovie di San Francisco”. Che la tizia avesse i soldi lo dimostra, tra l’altro, un ritratto del 1887, griffato Giovanni Boldini, in cui ‘Hattie’ appare nella sua ruggente bellezza. Wilde, come si sa, passata la passione, portò all’altare, in un florilegio di pettegolezzi, Constance Lloyd. D’altronde, il divo che alla dogana di New York pronunciò la frase fatidica, “non ho nulla da dichiarare tranne il mio genio”, fece, in Usa, un mezzo fiasco: a Washington una donzella, evidentemente ignifuga al suo carisma, sbottò, “si tagli i capelli e si presenti con dei pantaloni più lunghi”. Effetti del divismo.
La domanda, ad ogni modo, resta: perché c’importa ancora di Wilde? Propongo alcune risposte.
a) La moda. Wilde cavalca la moda dello scandalo a tutti i costi – capisce, per dire, l’importanza del sesso e del corpo nella fedina estetica di un uomo ‘pubblico’ – più lo offendono più rilancia, esagerando. Usa lo stesso meccanismo degli uomini dello spettacolo via social: non risponde alle accuse, reclama una attenzione sempre più morbosa. Wilde crea nuove mode, sta sempre ‘sul pezzo’, è imbarbarito dal desiderio di fama. Il recensore del Times gongola scrivendo di Wilde: “Quando Sarah Bernhardt arrivò in Inghilterra nel 1879… Wilde le gettò una bracciata di gigli… Tempo dopo, la diva ricordò gli ‘occhi luminosi e i lunghi capelli’ del suo nuovo amico poco più che ventenne. Questo è l’Oscar che conosciamo: sempre in posa, floreale all’eccesso, paladino del bello, opportunista, seguace delle star”. La parola precisa è star-stalker. Wilde vuole essere amico di tutti quelli che contano e essere ammesso dappertutto. Per poi sputtanare tutto.
b) Affascina che un uomo “fisicamente poco attraente – goffo, dinoccolato, faccione” con un talento non certo assoluto, abbia avuto il successo che avuto. Merito del carisma. “Per Dante Gabriel Rossetti e Algernon Swinburne era un signor nessuno”: lui riuscì a diventare il “sacerdote dell’estetismo”. Un uomo sostanzialmente modesto, sa imporsi in modo duraturo, seppellendo molti più talentuosi di lui.
c) Nel mondo del reality perpetuo, della dichiarazione continua, dell’asfissia social, Oscar Wilde, pioniere di un individualismo un po’ pacchiano, ha dimostrato non tanto che la vita è un’opera d’arte ma che il mondo è un palcoscenico. Ha recitato. Ogni cosa che ha scritto non ha l’autenticità della confessione, non dice il vero: Wilde scrive per il lettore, tutto è posa, nudità data in pasto al guardone.
d) La dissipazione. Gli ultimi anni di Wilde sono una profezia allucinata, un molosso a squarciarti le cosce. Povero, vagabondo, braccato, senza soldi e senza denti, grasso. Rubava per procacciarsi spiccioli. Ha pisciato in testa al bel mondo finché tutti gli hanno voltato le spalle: è precipitato, ed è questo a rendercelo simpatico, “è diventato la sentinella della sua catastrofe”, scrive Sturgis. Non si chiede altro, alla vita, in fondo: giocarsi in una posa, inabissarsi in una poesia, anelare che gli applausi dei fan si trasformino in glaciale condanna, consapevoli che tra palco e altare sacrificale, tra stage e patibolo non c’è differenza. (d.b.)
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pangeanews · 6 years
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Siamo pagliacci e troviamo la grazia nel più cupo dei naufragi: per i primi 20 anni di “Graphie” (ovvero, sulla inattuale necessità delle riviste)
In un bel libro pubblicato da Aragno nel 2006, Il secolo dei manifesti, Giuseppe Langella, fin da subito (“Se la rivista è un’invenzione tipicamente moderna, il Novecento ne costituisce di sicuro il secolo d’oro”), ribadì un fatto: la storia della letteratura recente s’è fatta su rivista, mica sui libri. La rivista è la lancia, la nave slanciata su cui si son combattute le battaglie intellettuali. La cosa, nota, è ribadita dagli esempi forniti (“le centoventi testate”) che sono, comunque, “soltanto la punta emergente di un iceberg di dimensioni enormi, quasi inimmaginabili”. Proprio così. Nel secolo le riviste son proliferate come le idee, non c’era isolotto intellettuale che non avesse il proprio ‘organo’, organico ai pensieri propugnati da chi lo ha creato. Non va dimenticato che i grandi testi della letteratura recente – chessò, La terra desolata e l’Ulisse – sono passati, prima che sul libro – oggetto archetipico e archeologico – su rivista.
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Poi, le riviste, fiorite in abbondanza, sfiorirono.
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Il nuovo millennio, però, poiché l’uomo, in fondo, è un paradosso inafferrabile rispetto alle sue creazioni, rivede il proliferare di riviste. Esse assumono nuova forma, nei deserti digitali, come Pangea, piccolo Isaia che non sa se il sole sfama o uccide. Oppure. Di recente Castelvecchi ha radunato un caravanserraglio di teste fini – Giorgio Manacorda, Walter Siti, Alfonso Berardinelli, Paolo Febbrario – intorno a una rivista L’età del ferro, che sta tra l’accademico e l’eccentrico – ormai, gli aggettivi sono equivalenti in questo tempo spurio. Poco prima è nata, con altri intenti, Il Maradagàl – ogni allusione a Gadda è omaggio – con Sara Calderoni al timone e cervelli sani a scrivere (a volte, sempre gli stessi, dacché la cultura italiana è un continente in un ditale).
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Intendo dire. Se l’editoria è fiacca – bisogna far soldi, e per farli si pubblica un po’ di tutto – la rivista, come genere, torna a veleggiare, in una sorta di cavalleria dell’intelletto (si scrive gratis).
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Anch’io, per ciò che conta, son nato nel seno di una rivista. Atelier. Fondata da Marco Merlin e da Giuliano Ladolfi, nel 1996, in un periodo, francamente, galvanizzato per le riviste. Pochi anni dopo Atelier, infatti, nasce, a Cesena, per merito di Marisa Zattini, che di mestiere si occupa d’arte, è artista, e ibrida il verbo con il fatto artistico, Graphie. Era il dicembre del 1998 e il primo editoriale – griffato ‘La Redazione’ – era già il lancio di un sasso in fronte al destino. “Un’altra rivista inizia il suo percorso in Romagna. Quante saranno? Fino a poco tempo fa solitamente si constatava che ogni media città italiana ne avesse almeno una; ormai temiamo che il conto fosse sbagliato per difetto. Comunque: buon segno! Indica creatività, voglia di affermare qualcosa e rischiare tempo e denaro. Ma anche: cattivo segno per la dispersione di forze, la divisione, l’assenza di criteri di selezione che il fenomeno implica. Anzi, veramente un grande ‘selettore’ è rimasto: il tempo, dato che gran parte di queste iniziative cessano presto, per stanchezza dei curatori, mancanza di lettori, esaurimento dell’impeto di partenza”.
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Col senno di poi, la sfida è andata bene, il sasso ha colpito in fronte il millennio, Graphie festeggia vent’anni con un numero dal titolo fascinoso, “Delle Grazie & dei Naufragi”. La festa, per altro, si fa davvero: per chi passa da quelle parti, a Cesena, nel luogo mistico, la Biblioteca Malatestiana, da questo pomeriggio – ore 16 – fino a domenica, rassegna di convegni con chi della rivista è stato protagonista – tra i tanti, cito Gian Ruggero Manzoni, Francesca Serragnoli, Gianni Fucci, Nevio Spadoni, Vittorio D’Augusta – e mostra, dedicata a Federico Fellini, e concerto – sabato, ore 16, con Paolo Chiavacci, e l’Orchestra ‘archi del Conservatorio ‘Maderna’.
*
Di Graphie affascina il titolo: grafia, certo, ma anche graffio; colpo felino sull’ansia vetrificata dell’era. Incisione sulla pietra della Storia, direi; atto un poco bambino e un poco barbarico. E l’eleganza, sorprende, di Graphie – merito dell’ideatore-editore, Marisa, che concepisce l’editoria (date sguardo alla collana dei suoi libri, edito come Il Vicolo) come gesto formale ineccepibile, atto d’architetto, geografia del disporre i caratteri, dell’orientare le rubriche. C’è un’etica nella forma pura: si resiste vent’anni se si è, oltre che intelligenti, ‘belli’. E la bellezza è sempre scanzonata, la canzonatura dell’eleganza, il gesto atletico – perciò, armonico – del tipo che fa ruotare la pietra e la sgancia in faccia al mostro.
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Mi sorprende capire oggi che avevano capito tutto allora – o è la storia che ha valuta di serpe. Janus, nel primo articolo della rivista di allora, 1998. Titolo. Dove va l’arte contemporanea? Risposta. “Da nessuna parte. Dove potrebbe mai andare? Ha perso il senso dell’orientamento. Brancola nel buio. È angosciata. I grandi modelli del passato premono su di lei suscitando sensi di colpa e di smarrimento”. Da questo nessun luogo e nessun posto dell’arte, da questa angoscia papale, però, mi pare, è rinata la caccia. Esausti dal tempo che annienta, gli artisti imparano a cavalcare la pantera – senza addomesticarla. Dove si va lo decide lei, questione di salto e di fame.
*
In quel primo numero, intagliato, di Graphie, c’erano nomi che sarebbero apparsi spesso: Gianni Fucci, Stefano Maldini, Franco Loi, Tonino Guerra, Marina Sangiorgi, Tolmino Badassari, Nevio Spadoni. Con quella disciplina d’eccellenza artigiana che è italica: partire dal proprio posto, dal luogo specifico, dalla terra, per conquistare altre terre, trafugando il provincialismo con un balzo. Fare del campanile – di cui non bisogna godere dell’ombra, occorre scalarlo – un faro per anelare altre vite, immaginare altre lande. Nel primo numero firmava Gianfranco Lauretano, poeta, di Cesena, che proviene da una rivista nobile, ClanDestino, e ne fonda un’altra, Graphie, appunto (l’etica del nome è sua). Nell’editoriale dei primi vent’anni di Graphie, oggi, scrive, “Noi siamo un po’ pagliacci, un po’ comici, certamente circensi alla maniera di Fellini. E il pagliaccio, si sa, ride anche nel mezzo della disgrazia, anzi è questa la peculiarità del suo mestiere. Ma non è tutto qui, e non si tratta solo di pagliacci. C’è anche un’esperienza più profonda, perfino antica: nell’evenienza più dura e difficile, nel momento di maggior disgrazia, può sempre trovarsi una speranza, un colpo di coda della vita, un senso magari laterale che rovesci la faccenda. L’ossimoro è sempre possibile, per noi, per i più veri di noi: siamo sempre pronti a sfidare le circostanze per scorgere una grazia anche nel più cupo dei naufragi”.
*
Vedete, che grandezza. La vita vince la morte, la grazia accade nel naufragio, il pagliaccio risolve lo stridore di denti in sorriso. Il graffio di Graphie resiste, ed è ancora la poesia a imbambolare il Cerbero della Storia, trovando grani di bene nel nulla – per ferirsi, per amore. (d.b.)
L'articolo Siamo pagliacci e troviamo la grazia nel più cupo dei naufragi: per i primi 20 anni di “Graphie” (ovvero, sulla inattuale necessità delle riviste) proviene da Pangea.
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marcogiovenale · 1 year
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oggi: "dove graffia la pantera. la stampa indipendente racconta i movimenti"
@ Zalib, via della Penitenza 35, Roma, oggi sabato 13 maggio, alle ore 18:00, Monica Di Sisto (Ass. Pantera 90 Archivio), Massimiliano Cafaro (Ass. Pantera Archivio) e Laura Cortina (red. Avvenimenti) introducono l’evento. interverranno:Claudio Fracassi: direttore AvvenimentiRoberto Angotti e Checchino Antonini: redazione inserto “il Graffio della Pantera“Alessandra di Pietro: giornalistaLe…
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marcogiovenale · 1 year
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dove graffia la pantera. la stampa indipendente racconta i movimenti
@ Zalib, via della Penitenza 35, Roma, sabato 13 maggio, alle ore 18:00, Monica Di Sisto (Ass. Pantera 90 Archivio), Massimiliano Cafaro (Ass. Pantera Archivio) e Laura Cortina (red. Avvenimenti) introducono l’evento. interverranno:Claudio Fracassi: direttore AvvenimentiRoberto Angotti e Checchino Antonini: redazione inserto “il Graffio della Pantera”Alessandra di Pietro: giornalistaLe redazioni…
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