#i dannati della terra
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Estratto di “Les Armes miraculeuses” di Aimé Césaire nel libro “I dannati della terra” di Frantz Fanon
#Aimé Césaire#Les Armes miraculeuses#i dannati della terra#frantz fanon#libro#frasi#pensieri#colonialism#anti colonialism
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I dannati della terra da una parte, i borghesi dall'altra, hanno, fondamentalmente, una sola idea, diventare ricchi e rimanere ricchi, è tutto uguale, il rovescio è lo stesso, la stessa moneta, nei cuori nessuna differenza.
Louis-Ferdinand Céline
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(...) come siamo passati da “Je suis Charlie” a “Je suis Hamas”? Questa metamorfosi è inseparabile dalla comparsa di un nuovo antisemitismo. Certo, ci sono stati segnali d’allarme e precursori nel passato che, in nome dell’anticolonialismo, dell’antimperialismo o dell’antisionismo, hanno approvato o giustificato il terrorismo (Jean-Paul Sartre nella prefazione ai “Dannati della terra” di Frantz Fanon che invitava a uccidere gli europei in Algeria, Jean Genet che appoggiava il terrorismo palestinese, il giovane Edwy Plenel che esprimeva il suo sostegno all’organizzazione Settembre nero responsabile degli attentati alle Olimpiadi di Monaco), ma il fattore religioso era all’epoca assente e soppiantato dalla mobilitazione a favore dei movimenti di “liberazione nazionale”. Un cambiamento notevole si è verificato con Michel Foucault, che si entusiasmò per la rivoluzione islamica in corso in Iran nel 1979. Il brillante intellettuale, rapido nello sviscerare le norme repressive delle democrazie, si schierò con la dittatura religiosa dei mullah senza vedere l’inizio di una contraddizione.(...)
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Banda Bassotti - Comunicato Nº38 (25 Aprile)
E c'è chi compra i suoi diritti a cambiali Così tutta la vita fino ai funerali Posto sicuro in una fabbrica di veleno Ma che fortuna! chissà quanti progetti che faremo Solo 8 ore e un po' di straordinario serale E vedrai che bei regali ci faremo a Natale Maternità un grosso guaio per la produzione Nessun ricatto se sei per caso moglie del padrone E i caporali a nord e a sud sono tutti uguali Pane e lavoro li troverai sotto i loro stivali E vanno via la luna e il sole e ancora un altro giorno Tutta la vita come uno schiavo come un animale C'è chi ha la casa bella e riscaldata e c'è chi vive per la strada C'è chi si compra un vestito al giorno e chi non ha nessuno intorno E chi va al cesso con il cellulare chi non ha i soldi per il pane E chi ripete si signore ogni giorno e chi si vuole ribellare E c'è chi pensa ai dannati della terra E a questa guerra risponderà con un'altra guerra E il minatore che nella miniera ha perso il sole E Vincenzino uscito dal cantiere senza la vita E chi quel giorno aspettava un treno nella stazione Forse il suo sangue avrebbe dato per un mondo diverso E per te chi ha pagato E perché l'ingiustizia è un diritto É per te che hai detto no, e sei stato incatenato E perché chi si ribella sarà torturato E perché chi si ribella sarà ammazzato E se la morte avesse la memoria ricorderebbe i vivi che in galera ci hanno chiuso la storia E chi sta fuori ha dimenticato che fuori nulla è cambiato e dentro niente è cambiato e che sarebbe stato diverso e quel lontano 25 Aprile Compagno non lasciare quel fucile
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Il Salvatore
SECONDA PARTE
Redenzione soprannaturale offerta
Avendo compreso l’azione di redenzione presente nell’evoluzione interiore, possiamo passare a capire la più complessa redenzione offerta.
Pensate a un santo che è vicinissimo all’unione con Dio, vive nella pace, ha già le sue lotte per via dell’azione redentrice spontanea ma viene consolato immensamente dalla pace che gli infonde lo Spirito Santo e dona facilmente a Dio il dolore che gli provocano. Se questo santo è cristiano sa di avere una scelta, lo impara e ci crede per fede: se vuole farsi simile al suo Maestro può offrirsi vittima. Deve farlo volontariamente perché non è un’azione spontanea, non è parte delle leggi che governano il mondo nonostante le sfrutti, non è evolutiva, è molto di più, è un’invenzione soprannaturale che solo chi conosceva perfettamente le leggi di Dio, il suo stesso Verbo, poteva creare.
Non essendo spontanea va espresso il proprio fiat, la volontà personale di offrirsi come vittima per i peccatori.
Ma chi sono questi peccatori? Tutti noi? Ah sì certo lo siamo tutti e tutti dobbiamo proseguire senza sosta la nostra purificazione ma, alla luce di quanto abbiamo detto prima (precedente articolo), chi sono i peccatori?
I distruttivi. Quelli che mai vorrebbero guardarsi dentro, mai vorrebbero migliorare, mai vorrebbero purificarsi, quelli che hanno tonnellate di impurità e irrisolti, risposte distruttive inconsce e dolori occultati che quando salgono fanno un male cane. Sono coloro che, tra l’altro, spingono tante altre persone manipolabili, che di loro non sarebbero cattive, al male. Sono quindi anche pedine importantissime nella lotta contro il male. I distruttivi, nel cristianesimo, sono definiti dannati, lo sono già o sono vicinissimi ad esserlo. Sono gli irrecuperabili. Se ci pensate, anche a detta dei maggiori esperti di psicologia, la possibilità della conversione alla semplice bontà umana e naturale, nei narcisisti maligni, è talmente rara da poter essere convenzionalmente negata. È talmente insolita che gli psicologi stanno agendo al contrario, non potendo aiutare loro che non vogliono farsi aiutare, aiutano tutte le vittime e i complici, più o meno consci di esserlo, a conoscere il fenomeno e a liberarsi dalle trame negative innescate da questi individui. Se siete vittime di un narcisista maligno vi si dirà di scappare perché non cambiano. Potete cambiare mille terapisti ma la risposta rimarrà la medesima.
Gesù ha però creato, attuato e diffuso, sulla terra, un potente contrattacco, che agisce proprio sui distruttivi, l’unico che ha un potenziale di riuscita altissimo. Chi si offre vittima, infatti, prende sulle sue spalle il carico del peccatore, prova al suo posto quei dolori nascosti che quando salgono fanno un male cane, paga al posto suo e lo riscatta. Tornando alla metafora del pentolino col latte, l’azione del santo-vittima è proprio quella di trascendere tutta l’ebollizione del narcisista senza creare caos, senza schizzare, senza macchiare, senza scatenare distruttività, solo in nome dell’amore di Dio e dei fratelli, con l’ovvio risultato di togliere la distruttività dal mondo. Non solo quella presa in carico, perché quando il distruttivo fa del male, colui che lo riceve, a meno che non sia un santo, gestirà male il dolore a sua volta e lo trasformerà in ulteriori risposte distruttive o, per lo meno, nevrotiche o auto-distruttive. La propagazione del dolore e della distruttività è virale. Inoltre, come già accennato, quelli che erano, o sarebbero stati, influenzati al male dal distruttivo vengono liberati sia in caso fossero complici diretti sia che fossero manipolati inconsciamente al male. Infine c’è l’effetto, forse il più importante, di annullare la punizione che quella distruttività porta con sé. Tutto questo male infatti si paga e quando arriva il conto a livello di specie travolge con punizioni e catastrofi che l’uomo causa praticamente a se stesso, attirando su sé la distruttività. Per capirlo di più vi sprono alla lettura de ‘la comprensione della mente’, testo più dedicato agli aspetti del meccanismo psicologico dell’inconscio, che scatena questo fenomeno di restituzione inconscia della distruttività, a livello personale e di specie, per puro tentativo di risoluzione.
Questo concetto è simile a quello del karma, che è molto compreso e diffuso ormai in tutto il mondo, però è molto poco compreso in termini cristiani. Il karma viene inteso quasi sempre come personale e sottintende la continuità della vita sulla terra, ma si sa che ci sono effetti karmici anche più ampi, a livello di nazione, di specie e più veloci come quelli del karma istantaneo. Il concetto che il peccato si paghi caro e la nozione delle punizioni divine, invece, che sono identici nel senso, ad esclusione della credenza in molteplici vite, fanno quasi allontanare dalla cristianità, che si vede come religione severa, accusatrice, nonché triste, per via della speciale missione che assolve. Un trattamento più ingiusto a chi sta garantendo la salvezza dell’essere umano come specie non è stato riservato mai a nessuno, fuorché al suo Capostipite. Stiamo trattando queste perle di Santi e di saggezze esattamente come abbiamo accolto Gesù. Per questo la traduzione spicciola in linguaggio semplice e comune di alcuni dei capisaldi della cristianità può tornare utile, almeno spero, a far capire il suo infinito valore.
Tornando alla punizione, che sia personale, di massa, di nazione o addirittura di specie, io personalmente credo che pochissime di queste siano dovute a diretti interventi divini. Ci sono anche questi sicuramente e a volte avvengono proprio attraverso i santi. I figli di Dio diventano infatti delle ‘prove’ per gli altri e come vengono accolti è un test e un giudizio per tutti coloro che orbitano intorno a lui. Molto più spesso, però, siamo semplicemente soggetti alle leggi di natura che conosciamo e sfruttiamo bene a livello esteriore ma non capiamo affatto a livello interiore. Tali leggi operano perfettamente e quando noi le trasgrediamo, prendendo come un insignificante dogma quello della conseguenza del peccato e non sapendo come funzioni il nostro inconscio, ci attiriamo sciagure, guerre, devastazioni e catastrofi, causate solo ed unicamente dalla nostra negligenza nell'evolvere interiormente. Dobbiamo allora capire come operano queste leggi e cos’è il peccato.
Se non capiamo che ogni nostra azione ha conseguenze gravissime sia per noi stessi che per gli altri e se non capiamo il grande ruolo che copre la gestione del dolore nel ripulire le nostre azioni esterne, non riusciremo a capire il Mistero della Croce.
LEGGI E RUOLO DEL DOLORE
Partiamo dalle leggi. La coscienza stessa è dotata intrinsecamente di un potere proiettivo per risolvere le dinamiche psicologiche irrisolte. Interiormente siamo delle opere incompiute ed essendoci urgente bisogno di evolvere e migliorare, meno ci si dedica alla pulizia della propria coscienza più si richiama una proiezione, ossia un’esperienza esterna, che dona possibilità di farlo, per cambiare.
Queste esperienze comportano un nuovo passaggio attraverso il dolore, poiché il ruolo del dolore è cruciale, essendo il sentimento spartiacque tra distruttività e creatività. Avendolo precedentemente buttato nell’inconscio e trasformato in distruttività, l'inconscio causa esperienze esterne atte alla sua risoluzione. Il processo di proiezione di cui parliamo è dunque di dinamiche prettamente psicologiche. Più si ignora l’inconscio più esso fa baccano esternamente. Non è una punizione, in realtà, ma un’eccellente meccanismo di riproposizione delle dinamiche psicologiche arretrate nell’essere umano. Possiamo addirittura dire che se il contenuto celato nell’inconscio è ignorato e distruttivo, il meccanismo che lo ripropone è invece super conscio e tende a costringerci alla purificazione nonché all’evoluzione della coscienza umana, proprio per evitare che arriviamo ad auto-distruggerci come specie.
Il dolore vissuto, risolto e trasceso porta amore in sé e per gli altri, comprensione, empatia e compassione. A livello personale, più si vigila interiormente e più pace e ordine si proverà, l’unico limite a tale pace è dato dal fatto che oltre ad essere individui siamo parte di una specie e viviamo comunque nella proiezione della distruttività insita nella coscienza umana. Per questo i più evoluti stanno meglio da soli.
La proprietà di riproposizione degli irrisolti garantisce l’opportunità di cambiare ed evitare che il dolore si trasformi in distruttività, a tutti. La reazione però, come detto, può essere estremamente diversa. Se per chi si dedica alla propria santificazione è una purificazione e per i manipolati inconsciamente al male è un’opportunità di risveglio e conversione al bene, diventa giudizio per chi si rifiuta di guardarsi dentro e mettersi in discussione. Quando il narcisismo è distruttivo, come dicevamo, il cambiamento è davvero poco probabile. Nonostante non ci sia nessun impedimento, l’atteggiamento superbo di negazione e di proiezione verso gli altri delle proprie colpe, trasforma la grazia in giudizio. La grazia di essere venuto in contatto con un figlio di Dio che lo costringe alla purificazione diventa giudizio quando il maligno punisce il suo catalizzatore. Quando questo giudizio si compirà non sta a noi saperlo. Nel cristianesimo è nota la nozione che i peggiori vivono il giudizio e la punizione alla morte quando la coscienza finalmente si apre e si palesa per ciò che è, restituendo tutto il male dato e pensato.
Se capiamo il potere proiettivo dell'inconscio a livello individuale e lo portiamo a livello di nazione o addirittura di specie, come purtroppo è il nostro caso, capiremo facilmente che, vivendo la maggioranza senza guardarsi dentro, senza volersi purificare e mettere a posto la coscienza, la stessa coscienza umana proietta forti esperienze dolorose per dar modo a tutta la specie di svegliarsi da questo torpore interiore e fare il proprio dovere evolutivo come esseri umani. Questo purtroppo equivale a vivere guerre, calamità e catastrofi che nessuno vuole vivere.
La vigilanza interiore, la pulizia della coscienza, la meditazione, la lectio divina, la preghiera, tutti questi sono gli strumenti che abbiamo per evolvere interiormente e sono parte integrante del cristianesimo. Colgo l’occasione per spezzare una lancia anche per la confessione, tanto poco apprezzata e capita. Essa tenta di costringere i più pigri a guardarsi dentro con onestà, anche quel tanto che basta per riferire ciò che si è visto con chiarezza nella coscienza. È un tentativo di spingere l’attenzione del tiepido dentro di sé per cominciare il lavoro di conoscenza di sé indispensabile alla purificazione interiore; è un primo freno alla distruttività personale.
In parole povere dobbiamo rendere conscio l’inconscio, ciò che ignoriamo in noi, le risposte distruttive non solo esterne bensì interiori. La pulizia interiore è più importante del controllo delle azioni, perché è da ciò che abbiamo dentro che scaturiscono le risposte e le azioni e solo una coscienza pulita può operare il bene.
Se quanto detto e, spero, meditato, ha aperto un orizzonte sul funzionamento e sull’impatto del nostro mondo interiore sul mondo esterno, potrete tranquillamente capire ora l’amore perfetto di Gesù nonché il Mistero della Croce, a cui dedicheremo il prossimo articolo, rendendo evidente il ruolo di Salvatore di Gesù Cristo.
Abbiamo già anticipato che ci sono tre gradi nell'evoluzione interiore, considereremo i primi due brevemente per aiutarci a capire più agevolmente il più raro e potente di tutti: l’immenso mistero della Croce.
Nel primo grado l’individuo soffre per la distruttività che ha dentro e per il suo dolore personale precedentemente mal gestito. Se si occupa in autonomia della sua purgazione interiore sta progredendo semplicemente come individuo dalla necrofilia (distruttività-odio) alla biofilia (creatività-amore).
Chi invece si dedica costantemente a questa opera di purificazione e lo fa interiormente, comincia a purificarsi più profondamente, ad assorbire e trasmutare il male in bene, la distruttività in amore, a livello di specie. Questo è il secondo grado. Come specificato, diventa un catalizzatore di purificazione in modo localizzato, ossia per chi è in contatto con lui e aiuta tutti coloro che si impegnano in questa trasformazione.
Il terzo grado è raggiunto da pochi. L’amore perfetto di Gesù è una vera e propria presa in carico del dolore altrui, personale o generale, per porre un freno alle inevitabili conseguenze che l’inconscio proietterebbe esternamente. Questo amore non ha alcun limite spazio temporale, è del tutto soprannaturale.
Non è perdono o trascendenza è molto, molto di più. La redenzione offerta è la goccia che non fa traboccare il vaso.
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📺 The White Lotus S01E03
📖 Sexual Personae, Camille Paglia
📖 I dannati della terra, Franz Fanon
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*i giorni passavo come le stagioni, ed io... qui a scrivere le mie memorie per essere ricordata, che 𝓛𝓪 𝓓𝓪𝓶𝓪 𝓞𝓼𝓬𝓾𝓻𝓪 è vissuta in queste mura lontano dalla vista di tutti, in questo casato, ma in un'altra terra lontana; saziarmi di prede ai miei occhi dannati e il piacere della linfa scorrere lungo la mia gola*
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Stelle. Oggi ti parlo delle stelle e di quanto io ami guardarle, quasi come guardo te o con te, chissà. Vorrei, mostrarti la mia vita e tutte quelle cose che non vanno, e non perché fa moda, ma perché sono un dannato che non sa stare tra i dannati e allora poggio i miei piedi, mi districo, tra terra, terriccio, erba e rugiada e poi la neve. Che cada dal cielo o dagli occhi ha importanza? Il mio cuore è ferito, e per essere meno vista lo calpesto su alti tacchi: vorrei, quella maschera che mostrasse agli altri la tua essenza più profonda, così profonda che a conoscerla sei solo tu. Sei d'accordo? Vorrei raccontarti, di quella tristezza che mi abita il cuore e non se ne va, neanche se pulisco le orecchie con le quali la sento e le mie mani danzano. Tra cuore e schiene, fianchi e petto, cercano di trovare una direzione e il cuore le guida: creano disegni, lensicono sbagli tramite carezze, loro vivono, quello che guarda il cuore con i suoi occhi e piano tra un bacio balbetta "sei la causa della mia euforia" quell'attimo di felicità che contiene tutta la vita del mondo. Oggi guardo le stelle, ed è una di quelle notti in cui stare da sola, cadere nell'abisso nero delle acque per purificarti e imparare a nuotare; difficile? Forse, ma la vita è di ste cose, e io senza lei non ci so stare, perciò scelgo di nuotare nel mio mare senza affogare. Oggi ti parlo delle stelle, riesco a guardarle con o senza di te, e se tu hai scelto di nuotare nel tuo mare, io ho scelto di restare nella mia notte, non posso fare poi molto anche se ho le stelle: avrei voluto un nuovo giorno, ma con te é bella anche la luna, perciò me la godo, non metto più le mie scelte sbagliate, ma i suoi crateri sono i tentativi che ho fatto per stare bene e quanto cuore ci ho messo e mi è battuto in petto. Perciò goditi l'alba, io devo imparare a stare nei tramonti che sanno d'addio.-Jetaime
È vecchissimo come testo. MA stolas, Octavia e vlizø sono sempre presenti
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What will you be reading this weekend? Luca Baccolini - "Bravi e dannati"
Ogni volta che ci passavo davanti, mi incuriosiva. Esposto lì, in una grande libreria, assieme ad improbabili autobiografie, libri fotografici e manuali sul calcio. Il titolo che parafrasava un film epico di Gus Van Sant, “Belli e dannati” con Keanu Reeves e River Phoenix. Un libro che a prima vista, dalla copertina, mi sembrava commerciale e scontato. Dopo una, due, tre volte che ci passai davanti, decisi però di portarmelo via. “Bravi e dannati” è una corposa raccolta di brevi, a volte brevissimi biografie riguardanti calciatori che nelle loro carriere sono stati capaci di accomunare genio e sregolatezza, talento e spreco, impegno politico e vittorie. L’autore, il giornalista sportivo bolognese Luca Baccolini, ci racconta le loro imprese, calcistiche e non, analizzandole come fulmini a ciel sereno, contestualizzandone la narrazione nello spazio e nel tempo, riuscendo a coprire un secolo di storie da sviscerare in tutta la loro umanità.
I “Carneadi” (termine che ricorre tantissimo nelle pagine del volume ) di Baccolini ci vengono raccontati con spudorata umanità e uno stile molto giornalistico, che evita ripercussioni emotive. Le storie descritte sono tristi, violente, iperboliche e a lieto fine. Appartengono a vite di calciatori, e quindi di esseri umani, e forse la bravura dell’autore risiede proprio nel raccontarle in maniera distaccata e disillusa, senza soffermarsi su giudizi e opinioni personali. Spetta quindi al lettore trovare spunti di riflessione e farne, in seguito, tesoro. La sgroppata trionfale di Saeed Al-Owarian nella partita contro il Belgio a USA 94, che fu classificata come il sesto gol più bello di sempre nella storia dei Mondiali, viene così narrata in contrapposizione all’intera carriera del trequartista saudita, conclusasi senza mai aver avuto la possibilità di giocare in un campionato europeo. Dino Ballacci, poi, il difensore partigiano che militò nel grande Bologna del dopoguerra, ci viene inquadrato nella sua più totale normalità di uomo che, oltre alla fede calcistica, visse la propria vita in nome di ideali libertari e di uguaglianza. Poco importa se si presentò al rinnovo del contratto portando con sé una pistola, perché sapeva che il presidente Dall’Ara ne avrebbe avuto con sé una. E poi la tragica storia di Fashanu e del suo soffertissimo coming-out, la Via Crucis giudiziaria a cui fu sottoposto Beppe Signori, la morte nel disastro del Vajont di Giorgio de Cesero. Persino la collocazione in rigido ordine alfabetico dei protagonisti ci fa rimanere con i piedi ben saldi a terra, e la parte finale, dedicata a citazioni e aforismi più o meno famosi, fa da corollario alla ricerca sociale dell’autore. “Bravi e dannati” trasuda di cultura e storia. Di politica e divertimento, di illusioni e vittorie. “Spiazzato di netto, il portiere egiziano si alza e proietta le braccia al cielo in un urlo liberatorio. Simultaneamente, tutti i giocatori del Camerun le portano dietro alla testa in un gesto di disperazione collettiva, condiviso da un Paese intero. Womé, l’eroe degli undici metri, questa volta ha tradito. Ma per lui, quello, è solo l’inizio dell’incubo. La sera stessa un gruppo di tifosi inferociti entra nella sua casa in Camerun e si porta via tutto. Nella fuga sfasciano anche l’automobile, rendendola inservibile. Non sfugge alla loro ferocia nemmeno il negozio della compagna del calciatore, saccheggiato e dato alle fiamme. Womé, nel frattempo, è stato scortato dalla polizia locale e imbarcato a bordo del primo aereo in partenza per l’Europa, come in un film di spionaggio. Quando atterrerà in Italia, ascolterà dalla bocca del suo compagno di squadra Samuel Eto’o un doloroso retroscena, che forse avrebbe preferito non venisse divulgato: >, rivelerà l’attaccante del Barcellona.”
#lucabaccolini#football#footballculture#ufficiosinistri#pierrewome#footballliterature#thebeautifulgame#maradona#book#braviedannati#fashanu#dinoballacci#readingisnotacrime#footballstories#beppesignori#andrade
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Maria Valtorta, Quaderni, 31 ottobre 1943.
La grande morte è quella che uccide ciò che è immortale: lo spirito vostro.
Dice Gesù:
«Due sono i generi di morte. Già l’ho spiegato. Vi è la piccola morte, quella che vi leva dalla Terra e libera il vostro spirito dalla carne. E vi è la grande morte, quella che uccide ciò che è immortale: lo spirito vostro. Dalla prima risorgete. Dalla seconda non risorgerete in eterno. Sarete per sempre separati dalla Vita: ossia da Dio, Vita vostra. Più stolti degli animali, che ubbidendo all’ordine dell’istinto sanno regolarsi nel cibo, nei connubi, nello scegliersi le dimore, voi, con le vostre continue disubbidienze all’ordine naturale e soprannaturale, molte volte vi date la morte prima e seconda da voi stessi. Intemperanze, abusi, imprudenze, mode stolte, piaceri, vizi uccidono la vostra carne come tante armi maneggiate da voi in delirio. Vizi e peccati uccidono poi la vostra anima. Perciò Io dico: “Non andate a cercare la morte cogli errori della vostra vita e la perdizione con le opere delle vostre mani”.
Ve l’ho detto: Dio, che tutto ha creato, non ha creato la morte. Opera sua il sole che splende da secoli di millenni; opera sua il mare contenuto nei suoi limiti su un globo che rotea negli spazi; opera sua le infinite stelle per cui il firmamento è come uno spazio su cui siano sparsi i gioielli caduti da un aperto forziere smisurato; opera sua animali e piante: dai colossali, come elefanti e baobab, ai più esili, come la esile piuma del musco e l’effimero moscerino del fragoleto; opera sua voi uomini, dal cuore più duro del diaspro e dalla lingua più tagliente del diamante creati e sepolti dall’Eterno nelle viscere del suolo, dal pensiero più oscuro del carbone creatosi negli strati terrestri con decomposizione di millenni, dall’intelligenza potente come aquila negli spazi ma dalla volontà cocciuta e ribelle come quella di una scimmia. Ma la morte non l’ha creata. Quella è stata generata dal vostro sposalizio con Satana. Il vostro padre, nell’ordine del tempo terrestre, Adamo, l’ha generata prima di generare suo figlio. L’ha generata quel giorno che, debole davanti alla debolezza della donna, cedette alla volontà sedotta di lei e peccò dove non s’era mai peccato, peccò sotto al sibilo del Serpente e le lacrime e i rossori degli Angeli. Ma la piccola morte non è un gran male quando con essa cade solo, come foglia che ha fatto il suo ciclo, la carne. È anzi un bene, perché vi porta là donde veniste e dove un Padre vi attende.
Come non ha fatto la morte della carne, Dio non ha fatto la morte dello spirito. Ha anzi mandato il Risuscitatore eterno, il suo Figlio, a darvi Vita quando già eravate morti. Il miracolo di Lazzaro, del giovane di Naim e della figlia di Giairo non sono gran che. Erano degli addormentati: Io li ho destati. Grande è invece il miracolo quando di una Maddalena, di uno Zaccheo, di un Disma, di un Longino, morti nello spirito, ho fatto dei “vivi nel Signore”.
Esser vivi nel Signore! Non vi è cosa più grande in bellezza, in gioia, in durata, in splendore di questa. Credetelo, o figli, e cercate di esser “vivi”. Vivi in Dio Uno e Trino, vivi nel Padre, vivi per l’eternità. Voi che chiamate inferno la Terra, e per quanto infernale l’abbiate resa coi vostri sistemi feroci è un paradiso rispetto alla dimora di Satana, non date per ultima mèta l’inferno al vostro spirito. Dategli Dio che è Paradiso allo spirito vostro e lasciate l’inferno agli inferi, ai dannati, ai maledetti che hanno rigettato la Vita, cibo ripugnante al loro cuore di pervertiti, e accolto la morte di cui erano ben degni. Se tutto finisse sulla Terra, sarebbe ancor poco male apparire malvagi per poco tempo. Gli uomini presto lo dimenticherebbero, perché il ricordo è come nuvola di fumo che presto dilegua. Ma la Terra non è tutto. Il tutto è altrove. E in quel “tutto” troverete ad aspettarvi ciò che avete compiuto sulla Terra.
Nulla sarà senza giudizio. Pensatelo. E come dementi non dilapidate le sostanze che Dio vi ha dato, ma fatele fruttare per la vostra immortalità. Non muoiono coloro che vissero nel Signore. Quanto quaggiù fu dolore, avvilimento, prova, si muterà per essi nell’aldilà in premio, in trionfo, in gioia.
Né pensate che Dio è ingiusto nel distribuire i beni della Terra e la durata della vita. Questo è quello che pensano coloro che già sono fuori di Dio. I viventi nel Signore, delle privazioni, delle pene, delle malattie, della precoce morte se ne fanno una gioia, poiché in tutte le cose vedono la mano del Padre che li ama e che non può dare loro che cose utili e buone; quelle cose, del resto, che ha dato a Me, suo Figlio.
Essi, già proiettati fuori da questo mondo, pensano e desiderano unicamente la gloria di Dio, e Dio li rivestirà di gloria per l’eternità. Saranno dimenticati o ricordati con orrore i malvagi; ma ai santi, ai giusti, ai figli di Dio verrà dato culto duraturo e santo, perché dei suoi diletti ha cura il Signore e non solo si cura di dar loro la gioia nel Cielo, ossia Sé stesso, ma fa dare loro onore vero dagli uomini, facendo brillare come nuova stella lo spirito di un santo agli occhi e alla mente degli uomini.»
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Bilbao: Anselmo vs Ghery
Se nella terza decade del XXI secolo ha ancora senso usare l’aggettivo “figurativo”, è giusto applicarlo all’enorme ragno della Bourgeois che, ondeggiando sulle sottilissime zampe, percorre lo spiazzo antistante il fiume attorno al Guggenheim di Bilbao: chi durante una delle malattie infettive che perseguitano l’infanzia non ha sognato di essere imprigionato nella rete di Aracne e di finire nelle sue grinfie? Invece non ho remore a usare la parola “incubo” per connotare l’enorme edificio progettato da Frank Ghery.
Mi dispiace per questo fantasioso architetto americano, rappresentante principe del postmodern internazionale, ma dal Ria, dal ponte che lo attraversa e da tutte le strade che lo circondano non si capisce proprio cosa sia destinato a contenere: un asilo per pazzi scatenati? anzi il principe degli asili per claustrofobici? il municipio di amministratori di una città uscita fuori dalla fantasia di uno Swift? Invece è il quarto e più famoso contenitore dell’immensa e prestigiosa collezione d’arte appartenente a una famiglia americana, raccolta soprattutto negli anni del surrealismo da Peggy, ricchissima erede di un magnate perito nel disastro del Titanic (e amante, se non vado errato -anche- di Max Ernst, l’unico di quel movimento di cui forse vale ancora la pena parlare; la collezione è poi stata arricchita successivamente di opere molto importanti un po’ di tutti gli artisti emergenti sulla scena). Il Guggenheim museum è emblema e baricentro di quella Svizzera marina che è la regione basca, di cui Bilbao è chiaramente la capitale (finanziaria e industriale).
La città, circondata da colline verdi e attraversata da un fiume, mostra chiaramente di essere una sede adatta agli agi di quella piccola borghesia che ormai trionfa su tutto il pianeta e in particolare in Europa. Qui si dimenticano volentieri le contraddizioni che ci propina quotidianamente internet, le guerre, le favelas, i mucchi di garbage in cui frugano “i dannati della terra”. A Bilbao, con un portafoglio tutto sommato medio, si vive bene: vino eccellente, alta cucina nei numerosissimi pubs sparsi un po’ dovunque (fortissima l’influenza dell’epoca vittoriana inglese coi suoi cottages e le sue ville revivals nel porto affacciato sul Golfo di Biscaglia), donne fresche di parrucchiere, marciapiedi immensi, non un graffito, parchi senza un filo d’erba fuori posto dove pullulano panchine e sculture rigorosamente del bronzo più retorico comune in tutto il mondo, ecc. Sarà un caso che il quarto Guggenheim sia stato localizzato qui?
Basta con le maligne analisi urbanistiche, qui sista bene e tutte le strade conducono a Roma, pardon, al museo (non un angolo che non ne faccia pubblicità, anche nel centro storico (dove qualche graffito, è la prima volta vi confesso, mi tira un po’ su). Tutte, compresa quella che attraversa il Ria sul ponte frutto dell’’inventiva di un Calatrava, forse il più leggero che mi sia stato dato di attraversare. Ma che ci sta a fare questo tocco di eleganza nerviana (onore a te, Pierluigi, padre e mentore dello spagnolo) accanto al mostro gheryano, uno sputo nel mare ondeggiante dei suoi contorti e un po’ ridicoli volumi?
Per essere espliciti una volta per tutte e spero chiari: l’architettura è chiamata, sempre, a proteggere la vita nelle sue forme più varie e, nel caso di un museo, quella dell’arte e delle memorie dello spirito inventivo dell’animale più curioso sulla faccia della terra. L’architettura è decisamente un mestiere difficile, proprio a causa del suo diretto coinvolgimento con il sociale; insomma deve essere anche pratica, alla portata di ogni più elementare bisogno e non solo quello di proteggerci dalla pioggia o dai terremoti. Nel caso di un edificio museale è chiamata a conservare ed esporre la memoria della punta di diamante dello spirito, l’arte, di cui essa stessa fa parte. Ma per riuscirci deve fare non uno bensì più passi indietro. La sua funzione è quella di dare spazio ai colleghi, coloro che dovranno occuparlo, sia pure momentaneamente. L’ha avuto ben chiaro uno come Zumthorn a Bregenz, dove ha progettato un museo che rappresenta uno splendido esempio nel contempo di modestia, funzionalità e bellezza minimale. “Reduced” direbbe Wiener (un connazionale dell’architetto americano che campeggia in una sala a piano terra del G., a commentare le splendide e un po’ eccessive spirali di un altro americano, Richard Serra che, come tutti loro, pensa alla grande, alla rinascimentale. Il conflitto moderno-postmoderno, è un’invenzione recente di menti incolte: alla faccia di Ghery, Borromini muove lo spazio inventato da Brunelleschi e Piero, perché la vita, comunque precaria e difficile, non perde il suo rapporto con la religiosità. La tensione spirituale che dovrebbe impegnare l’arte contemporanea è il corrispettivo laico della fede dei secoli di Monteverdi e Bach: è un fatto innegabile. Ma se l’americano s’è agitato forsennatamente nello spazio è solo per esprimere la propria singolarità, la propria originalità, impedendo in qualche modo di parteciparla ai colleghi che espongono nelle viscere di quello da lui esibito. E’ proprio una questione di misura, la stessa che distingue i pesantissimi orpelli del S. Nicola di Bilbao dal S. Carlino o il S. Ivo di Roma. Una misura che manca del tutto all’edificio progettato da Ghery. Basta un’occhiata a denunciarlo: il museo mette a disposizione dell’esposizione forse nemmeno un terzo dello spazio occupato dai suoi contorti volumi: qualsiasi fotografia lo rende evidente senza bisogno di ricorrere a piante e prospetti.
E qui chiudo con il tanto osannato edificio. Ma ancora una domanda: che ci fa Giovanni Anselmo lì dentro? Come ha potuto confrontarsi con l’americano? Come ne è uscito?
2° Oltre l’orizzonte
Se ho tirato in ballo Piero, Filippo e il Francesco d’un secolo dopo è perché questo connazionale contemporaneo ne conserva la memoria. E che altro deve fare un artista se non ridire quanto già affermato dai colleghi che lo hanno preceduto e ridirlo con parole comprensibili nel secolo in cui è vissuto? Magari aggiungendo qualcosa per cui non si possa più tornare indietro? Sì, perché Giovanni Anselmo è stato il poeta che, col suo pallino dell’energia fisica, ha fatto tramontare definitivamente i “valori plastici”, faticosamente tenuti in vita dall’arte del secolo scorso, e lo ha fatto con la semplicità di un Piero della Francesca e la fantasia spaziale di un Borromini. Non ci sarebbe altro da aggiungere per commentare la sua retrospettiva ospitata al secondo piano dell’immenso edificio di cui ho parlato nel post precedente e mi auguro che questo sia sufficente a convincere tutti gli artisti che oggi intendono ancora lavorare a muovere le chiappe per constatare de visu la verità di quanto ho affermato: c’è trippa per gatti, per tutti, ad esclusione di quelli floreali di quel zuzzerellone di un Koons (davanti all’ingresso del monstrum).
Ma la mia fiducia nella perspicacia dei visitatori non pigri può ingannarmi e mi rimane il compito certamente difficile di argomentarre un po’ queste affermazioni, senza tradire quanto deve prima essere constatato coi propri occhi. Sono venuto apposta da Milano nella lussuosa Bilbao perché il lungo sodalizio spirituale avuto con il torinese lanciato da Germano Celant lo esigeva: una retrospettiva completa è ben più complessa da organizzare di una sia pur impeccabile mostra come quella recente dalla Lia Rumma a Milano. Il compito dei suoi curatori è stato arduo, non solo perché si è trattato di mettere in piedi 70 anni di attività dell’artista, ma anche di farlo in un luogo che, l' ho cercato di dimostrare, fa a pugni con chi ospita in generale, ma in particolare con l’opera di quest’artista.
Ho parlato di semplicità, ma devo specificare esclusivamente visiva e suffragarlo con qualche esempio: non basta dire energia della sofficità, bisogna vederla coi propri occhi in azione attraverso un cespo d’insalata piuttosto che una spugna; non basta sentire la stretta di un panno strizzato, occorre verificarlo attraverso la resistenza della sua massa compatta; non basta dire tramonto, ma dispiegare l’evento attraverso una sequenza di quanto più banale si possa inquadrare in cornicette modeste in fila indiana; e ancora, non basta parlare di paesaggio grigio verso oltremare, ma occorre metterlo in scena nella sua drammaticità pesante (i tempi sono questi, ahimé) e a ciò è sufficiente la posizione audace e la dimensione ridottissima di un rettangolo spatolato di colore denso.
Tutto è tensione nella retrospettiva, anche quella dolce della capillarità o di un panno tirato in orizzontale. Dico solo che vale la pena di un viaggio di cinque ore per immergersi in questo mondo poetico proprio per la sua semplicità, per la sua elementarietà, oserei dire per il suo ottimismo. L’orizzonte oltre il quale Anselmo ci invita ad andare (“Beyond the horizon” il titolo della mostra) è di una semplicità sconcertante, di un naturalismo calmierante (tutti oggi parlano di ecologia, ma chi lo fa senza tradirla?) L’architettura di riferimento per lui è l’universo attraversato dal lieve magnetismo indicato dall’ago di una bussola immerso nella pietra più dura della terra: il granito. I massi incombenti retti da un assembramento di tele intelaiate (lo strumento principe dell’arte del passato - sottolineo passato) sono dinamica pura, senza ambiguità, al limite del banale.
Castello di Rivoli: sulla sinistra il sunset, sulla destra la mano che lo indica
Nella retrospettiva gli esempi si sprecano e io ora non ho nessuna voglia di proseguire nell’elenco. Ho parlato di ottimismo, un atteggiamento che, insieme alla convinzione che l’energia non sia solo fisica ma anche psichica, accomuna Anselmo a un altro grande artista, il tedesco Joseph Beuys. E poi, a girare attorno al concetto, ma questa volta senza alcun ottimismo, dobbiamo annoverare il lavoro di un altro italiano, Fabio Mauri che, in apparente contrapposizione, afferma essere l’energia anche politica, nel senso più nobile della parola. Essa cioè deve fare i conti con la storia, quindi l’ideologia, pena il precipitare inesorabilmente nei disastri planetari che nulla hanno a che vedere con quelli naturali; ne sono prova addirittura due guerre mondiali con un paio di olocausti di mezzo. Ma questo è un discorso che impegna uno spazio ben più ampio.
Devo proseguire?
Due parole ancora sul rapporto di Anselmo con l’architettura, quest’ancilla delegata a ospitare il suo grande teatro. Il penchant per il naturalismo lo porta oltre, appunto: beyond. L’architettura è l’universo del cielo stellato, delle forze elementari come la peso o la magnetica (mi stupisce che non abbia mai fatto niente con l’elettrica o la cristallizzante (l’energia intuita da Euclide 2500 anni fa): l’architettura è un incidente di percorso, che sia un Guggenheim, un Rivoli o un Maxi, non importa: il concetto di energia è puro, è quello offertoci da una mano disegnata a punta d’argento su un grande foglio di carta spolvero; la storia che coinvolge l’architettura, la memoria che si porta pesantemente appresso, sono fatti contingenti.
E le stelle stanno a guardare,
le stelle che lo hanno accolto circa due mesi fa.
FDL
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I dannati della terra (Frantz Fanon)
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I dannati della terra da una parte, i borghesi dall'altra, hanno, fondamentalmente, una sola idea, diventare ricchi e rimanere ricchi, è tutto uguale, il rovescio è lo stesso, la stessa moneta, nei cuori nessuna differenza.
- Louis-Ferdinand Céline (Les Beaux Draps)
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Poligono di tiro
Qualcuno prende la mira
su quelle sagome che di là si scorgono
stupidi manichini pieni di sangue
carne viva e palpitante
solo un colpo la separa da uomo a cadavere
un urto freddo e duro
per una morte che sorride sguaiata
materia inerte che il sole di novembre bagna di brina
sparate adesso!, oppure mai, ma la bolgia è
già al completo e i dannati stanno nudi
su materassi di gomma, all'aperto, mentre da lontano
si sentono gli echi ringhiosi e soffocanti
che lacerano le orecchie e rendono cilestre il cielo
chiedo ragguagli sul mio stato di salute, la lingua
è un rasoio e la cintura un cappio, dottori ditemi
che non ci sarà bisogno che mi mettiate la
museruola alla bocca, o che la tenda ad ossigeno è
in realtà un divano in una casa confortevole
col camino fumante e tutto al suo posto
un tavolo operatorio o un campo di battaglia
invece della guerra vomito la pace
odio ciò che odo, mostro i denti e mastico
quest'aria colma di detonazioni come fosse
rugiada distesa sui campi elisi,
nere piccole lesioni sulla pelle del mondo:
così siamo stati creati, ad immagine di un incubo:
un sudario ci ha accolti una volta usciti
dalla sala parto, feti orribili a vedersi,
urlanti, anche se piangere non serve a niente
la vita è una scena del crimine
c'è grande confusione e le luci che illuminano i corpi
con molto sporco e puzza e piscio per terra
dove detective che fumano ossessivamente
cercano invano gli indizi dell'omicidio appena
commesso.
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Dalle profondità della terra al cielo: i risorti nel Giudizio
Il giorno del Giudizio è arrivato. Mentre Cristo al centro della scena rivolge il suo sguardo verso i dannati, dalla parte opposta, al di sotto del braccio levato, iniziano a risorgere dai sepolcri coloro che in terra si guadagnarono il Paradiso. Capisco sia complicato far caso ai dettagli quando ci si trova nella Cappella Sistina. La folla, la confusione e la voglia di abbracciare tutto con lo…
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POESIA COMPOSTA. Esercizio di Cut Up.
La notte in cui trovai l’antica via.
Incontrai un viandante di una terra dell'antichità, Che diceva: “Due enormi gambe di pietra stroncate Stanno imponenti nel deserto... Nella sabbia, non lungi di là, Mezzo viso sprofondato e sfranto, e la sua fronte, E le rugose labbra, e il sogghigno di fredda autorità, Tramandano che lo scultore di ben conoscere quelle passioni rivelava, Che ancor sopravvivono, stampate senza vita su queste pietre, Alla mano che le plasmava, e al sentimento che le alimentava: E sul piedistallo, queste parole cesellate:
Ora, a mezzanotte tutti gli agenti e la ciurma sovrumana vengono fuori ed arrestano tutti quelli che ne sanno più di loro Poi li portano alla fabbrica e la macchina per l'infarto viene fissata sui loro petti E poi il cherosene viene gettato giù dai castelli da assicuratori che vanno a controllare che nessuno stia scappando al vicolo della desolazione
Oltrepassai la cresta del sentiero ed ecco spalancarsi alla mia vista una valle di morti e di dannati: Vagavano nei campi i fuochi fatui, ed esalata da paludi infette
una nebbia smentiva ogni pensiero che avessi conosciuto mai quel luogo.
C’era nebbia tutt’intorno – e a me davanti la Galassia infinita e le sue stelle... nessuna mano venne a trattenermi la notte che trovai l’antica via.
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