#ho mangiato una cifra
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Serate alternative
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D. Compró un tartufo da duecento cinquanta euro in macelleria. Immagino il suo orgoglio medio-borghese arricchito, quando lo ha visto e pagato, ed il suo olfatto saturo di due pacchetti al giorno suoi e della compagna che fatto quattro pacchetti tra fumati e respirati dall'etá di vent'anni fino a quel giorno che ne aveva sessantaquattro, dire senti che profumo. Il tartufo nel vasetto tornó a casa pronta la festa per assaggiarlo, con i cugini di lei e me. Giungemmo, la sera, a tavola ed il suo orgoglio mostrato raccontando la storia del tartufo -si capiva dalle sue parole, che non aveva avuto nessuna remora ne difficoltà a pagare, quelli sono pensieri da poveri, da chi non ha un soldo o da chi pur avendoli ha sempre paura di finire in disgrazia e ricordarsi poi di quel tartufo come tempi di gloria -si spense e tramutò in delusione, una delusione tutta sua, perché quel profumo tanto decantato non lo sentiva più come prima, era cambiato, ed io invece, lo sentivo. Di fronte a quella scena ho solo pensato che uno è capace pure di immaginarsi le cose pur non sentendole, per simulare a se stesso ricchezza, nonchalance, per strisciare una carta in macelleria con una cifra a tre zeri di fronte al pensionato che si ha preso tre fette di pollo da tre euro e quaranta faccia mezzo chilo non di più. Non aveva fatto i conti con suo essere fumatore, ed io lo sapevo che in quella casa c'era bisogno di più di tutto, non solo nelle azioni ma anche nel mangiare, più salato, più piccante, più speziato, più stretto, più abbondante. Io quel tartufo, da studente universitario squattrinato, me lo sono goduto, ma in fondo non era comunque niente di che, perché intorno al tartufo non ho immaginato alcuna storia di riscatto sociale, nessun profumo di vittoria, ma un cibo come un altro e con quei duecentocinquanta euro sì ci avrei pagato l'affitto della mia stanza condivisa e pure mangiato due settimana e pure portato una due volte a bere la mia ragazza di allora nella trattoria del paese, come piaceva a noi. Ho visto di queste scene dai 14 ai 24 anni con particolare concentrazione nell'ultimo anno, quando in quella casa, ci ho vissuto per 8 mesi ed ho assistito all'inizio della parabola discendente di una azienda gestita con i piedi, che ha retto nonostante i tartufi sino a che la crisi l'ha messa in ginocchio definitivamente nonostante i fatturati alle stelle.
Me ne andai di punto in bianco dalla sera alla mattina, per delle ragioni che qui non posso scrivere e quella coppia non la vidi più sino ai miei ventotanni quando lei in fin di vita chiese di me. Spogliata di tutto, in un letto di Hospice carica di morfina mi disse che tutto era passato, che se mai si sarebbe rialzata, quante balle si raccontano ai terminali, avrebbe passato le vacanze da noi, a casa. Lei era mia zia, e morì la mattina dopo di fronte ai miei occhi. La prima e l'ultima persona che ho visto spegnersi di fronte a me e la prima che ho visto senza vita distesa in una bara. Tornai in quella casa, nella quale anni prima assaggiai quel tartufo. Penso che non mi dimenticherò mai che cosa era quella casa, c'erano già i germi dell'accumulo compulsivo, del disordine cronico, e non mi accolse il profumo della lamp Berger che tanto si accendeva ma il tanfo di fumo che cercava di coprire, che riconobbi ma del quale evidentemente mi ero assuefatto in quel triste periodo di convivenza. Cercammo i vestiti con mia madre, ne trovammo un'infinita comprati e mai messi, uno più costoso dell'altro, ci muovevano in quella casa così stretta e disordinata con fatica. Fu l'ultima volta che vi entrai. Chiusi quel capitolo della mia vita, non senza amarezza e soprattutto il pensiero che non è possibile ridursi così, abbacinati dai soldi che cercano di riempire delle voragini interne di antica memoria. ho pensato se mai abbia avuto il tempo per realizzare, per fare i conti con se stessa, se ne abbia avuto la lucidità con i cocktail di pastiglie che prendeva. Non mi ha mai fatto capire che sapesse che la fine era vicina, parlava di futuro, nessuno le aveva detto la verità, come quel giorno a tavola, in cui ricacciai dentro ogni pensiero che solo oggi ho avuto il coraggio di scrivere.
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Psicologia: soldi facili, denaro sporco e avidità
Sono uno psicologo ufficialmente iscritto all’albo degli psicologi del Veneto ed esercito la mia professione da circa 4 anni più o meno. A breve conseguirò a soli 31 anni il titolo di psicoterapeuta e di ciò ne sono molto orgoglioso.
Mi preme parlare di una esperienza che mi è successa tra l’ottobre del 2018 e il gennaio del 2020. In questo lasso di tempo ho fatto parte di uno studio psicologico che si trova nella provincia di Verona. Tale studio in una sola settimana raccoglie qualcosa come ottanta pazienti tra bambini, adolescenti, adulti e anziani. Ognuno con le proprie difficoltà, ognuno col proprio dolore, ognuno con la propria storia e sopratutto coi propri soldi. Il modo in cui la responsabile di questo studio attira a sé i futuri e ipotetici pazienti sono i più disparati, ingegnosi, subdoli e incredibili. Ognuna delle tecniche utilizzate ha come obbiettivo finale quello di far rimanere nelle sue tela, e nei suoi piani, il più a lungo possibile il povero malcapitato. Così la signora, iscritta all’albo degli psicologi come me e e rappresentante come me l’intera categoria, diagnostica ad ognuno delle persone che varca la soglia del suo studio, una depressione, un disturbo post traumatico da stress, un disturbo dell’apprendimento, un ritardo cognitivo, un abuso sessuale, un disturbo dissociativo ...e chi ne ha più ne metta perché più malattie ci sono meglio è...
Non esci dal quella porta senza una etichetta diagnostica.
Poi se il paziente - già immaginato come tale al ciglio della sua porta - viene accompagnato da qualcuno, la signora cerca di coinvolgere nella sua tela anche la persona con cui è stato accompagnato.
Così se il “paziente” è un bambino sicuramente sarà necessario prima di tutto fargli fare dei test cognitivi (solo con questi la signora potrebbe farsi un weekendino fuori porta) a cui poi seguiranno delle cosiddette riabilitazioni cognitive accompagnate da una terapia supportiva per i genitori “incapaci” di far fronte alle “difficoltà” che i test hanno sorprendentemente rilevato e che nessuno degli insegnati che ha modo di vedere il bambino tutti i giorni è stato capace di cogliere.
Se invece il paziente il questione è un adolescente, le possibilità di lucrare diventano spaventosamente più alte. Anzitutto perché per la signora ogni adolescente ai problemi scolastici (quindi di apprendimento a cui PER FORZA deve esserci una diagnosi di adhd o dsa) segue altrettanto forzatamente una terapia sul “lavoro delle emozioni” e sulle difficoltà che l’adolescente ha nel ralazionarsi col sesso opposto, coi genitori, i gruppi sportivi di cui fa parte ecc.
Se questi è invece un adulto le cose potrebbero complicarsi dal momento che gli adulti, salvo quelli che fortunatamente per lei sono meno sani, godono di più decisionalità sulla propria vita riuscendo così a capire meglio se hanno ancora bisogno di farsi aiutare o proseguire il loro cammino da soli. Tuttavia quest’ultimo caso cerca tristemente di non considerarlo nemmeno lontanamente in quanto non tollererebbe che qualcuno le impedisse di rinunciare all’agiatezza di cui lui e tanti altri la fanno stare.
La signora però paradossalmente lucra sopratutto sui suoi collaboratori, circa una decina. Attenzione. Collaboratori. Non colleghi. Non psicologi. Collaboratori.
Se entri nella sua ragnatela perdi la tua individualità, diventi un SUO collaboratore, una SUA proprietà. Una mezzo che serve per lei, i suoi affari, i suoi bisogni, le sue tasche, le sue vacanze. Ogni collaboratore deve infatti pagare una cifra approssimativa a partire da centocinquanta euro per poter risiedere nei suoi sei studi..fino a trecentocinquanta euro al mese.
Più pazienti hai, più paghi.
Più paziente hai più devi versare contribuiti a lei.
Più soldi fai più soldi devi dare lei.
Non solo. Ogni paziente, ha fatto sapere ai collaboratori in un dialetto veronese accompagnato da bestemmie, è SUO dacchè questi è venuto in quello studio solo per la SUA fama, per il SUO talento e che per tali motivi il cinquanta percento della terapia va a lei che a malapena conosce il nome della persona di cui prende la “miseria” del cinquanta percento.
Quando però il SUO collaboratore capisce il gioco della signora e i compromessi a cui obbliga questi, il collaboratore prova ad andare via perché sa che a capo della psicologia vi è il rispetto della dignità del dolore e che su questo non si può scherzare, non si può lucrare, non si possono fare piani alcuni. Così la signora comincia a manifestare tutto il suo dissenso, la sua bruttezza interiore, la sua malignità, un passato da cui non è riuscita trarci niente se non miseria, povertà d’animo e di cuore. La signora comincia una battaglia legale per mezzo di un avvocato che agli psicologi...ops collaboratori....si trova a dover scrivere sempre le stesse identiche cose: scarsa professionalità, abbandono dei pazienti, violazione del codice deontologico.
Chissà se il sig. Avvocato si sia mai chiesto come mai tutti andavano via dopo circa un’annetto di collaborazione con la signora.
Chissà se il sig. Avvocato si sia mai annoiato a dover riscrivere sempre le stesse cose.
Chissà cosa ci guadagna a chiudere gli occhi e le orecchie davanti alle lettere che scrive sempre identiche, sempre per gli stessi motivi.
Chissà se un dubbio l’abbia mai avuto a riguardo.
La battaglia non esclude niente e si caratterizza da una parte (quella della signora) di minacce, insulti, ricatti, volgarità e dall’altra (quella del collaboratore) di paura e timore circa le conseguenze delle millanterie della signora.
Tuttavia è anche la signora che si spaurisce. E non di certo perché sa di mentire circa le minacce che fa ai collaboratori che vogliono andare via. E non di certo perché teme di essere finalmente smascherata, radiata, messa in scacco, scoperta. La sua paura nasce dal timore che il SUO collaboratore andandosene non le paghi anzitutto l’affitto e che chiaramente le porti via i pazienti che si sono affezionati, secondo lei sotto minaccia e manipolazione del collaboratore, a lui. La signora chiaramente non sa che farsene dello psicologo in questione come del paziente. Loro non valgono niente. A valere sono chiaramente il luccichio dei loro soldi. Tutto è pensato, vissuto, respirato, annusato, defecato, mangiato con a mente dove poter lucrare e speculare al meglio. Per tali ragioni e non altre che lei convince il sig. Avvocato a scrivere quelle minacce. Non per amore della professione, non per avere l’equipe migliore che possa esserci, non per il rispetto del dolore. Solo. Per. Amore. Della. Pecunia. Nient’altro.
Quando poi il collaboratore va via non finisce mica la partita, il gioco, il tormento. Si va ai supplementari, ai rigori e se andasse male di andrebbe avanti con una partita di ritorno ecc ecc ecc ecc e ancora ecc ecc ecc.
A volte succede che la signora dimenandosi nella disperata ricerca di nuovi adepti-collaboratori si metta a raccontare a quest’ultimi che i vecchi collaboratori fossero andati via perché "scopavano" sulle sue scrivanie o che avessero una relazione che lei non accettava. Altre volte invece succede che i collaboratori uscenti portandosi il materiale con cui avevano adibito il SUO studio con oggettistica pagata di propria tasca si trovino ad essere insultati perché le lasciano una stanza vuota e ovviamente una stanza che è spoglia non porta pazienti...scusate soldi... . Il collaboratore andando via riceve in cambio non di certo un diplomatico e simbolico “grazie” ma solo l’umiliazioni date dalle grida e dalle offese della signora nel bel mezzo delle terapie in corso, nel bel mezzo di due o più terapie in corso di minori.
Il collaboratore si trova poi fuori dallo studio della signora riempito di insulti, minacce (e sulla testa una possibile radiazione dall’albo) e con la beffa di avere anche le tasche vuote, senza i soldi che gli spetterebbero. La signora gioca d’attacco e in attacco. Gioca sul fatto che non ci sono contratti, vincoli a cui rispondere. La signora gioca col nero..ops scusate...gioca la sua partita vestita tutta di nero...”alla diabolik” con acceni di Lupin. Allo stesso modo la signora è abilissima ed espertissima di porte blindate, password, lucchetti ecc. In un misto di Diabolik e Lupin accusa i collaboratori di aver avuto accesso a questi e di aver rubato i SUOI soldi e che in conseguenza di questo “mistero dei soldi scoparsi” obbliga tutti a versare una somma per riparare il danno subito. Allo stesso modo alle prestazioni portate in fattura da un SUO collaboratore, lei per non pagare la fattura, risponde, come se fosse anche un pò pistolero, con un’altra fattura.
La signora è un genio. Non si può fermare. E’ inarrestabile. Io però sto provando a farlo. Ho provato a chiamare l’ordine degli psicologi per informarlo di quanto so ma questo non sa cosa farsene delle mie parole. La giustizia la puoi avere se sei ricco. Se sei come lei. Capite che, così intesa, la giustizia a cui penso è inesistente se non hai la pecunia che dispone la signora.
Avere giustizia significa fare i conti con la frustrazione, con il dover tollerare che al potere ci sia non solo l’incompetenza ma anche l’avidità, la smania di denaro che straborda anche dalla bava, come i cani. Avere giustizia significa avere a che fare con un sistema che vuole azzittirti, farti diventare sporco, corrotto, schifoso come lui.
Cosa deve poter fare questa donna per poter essere radiata dall’ordine degli psicologi? Cosa deve pensare di poter infrangere oltre a quello che ha già infranto: ha fatto denaro in nero, ha minacciato pazienti e collaboratori, gridato sul posto di lavoro (con bestemmie e insulti), non ha versato i compensi ai propri colleghi, ha vessato i propri colleghi, ha più volte infanto la privacy e i dati sensibili dei pazienti, fatto e sputato diagnosi senza appurarle e - non ultimo - ha denigrato più volte i suoi collaboratori direttamente ai pazienti.
Per essere radiati cosa bisogna fare? ....scusate eh. Scopare con un minore in studio? Offrirgli della cocaina o magari fumarla insieme per poi far passare il tutto come se fosse parte della terapia. Cosa bisogna fare? Aiutatemi. Io sto impazzendo. Io un senso non lo trovo.
#pazienti#denaro sporco#soldi facili#la psicologia è una cosa seria#radiazione#albo degli psicologi#incompetenza#psicologia#avidità
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Faccio pure io una lista di domande perché ne vedo tante in giro di queste liste e molte sono stupide forte. Quindi per non essere da meno ne faccio pure io un po'.
1. Perché?
2. Come si può conciliare la panna con la carbonara?
3. È il tuo ultimo pasto ma c'è solo la pizza all'ananas, la mangi o preferisci morire digiuno?
4. Mai visto "Una Pallottola Spuntata"?
5. Soffri di tripofobia?
6. Qual è la tua fobia più grande?
7. Hai visto l'errore nella domanda numero 6?
8. Lo stai ancora cercando? *
9. Mai cercato di capire il curling?
10. Meglio un trapianto di capelli o rasarseli a zero?
11. Mai ascoltato Boccherini? (Non facciamo i maliziosi, per favore)
12. Fino a dove si lavano la faccia i calvi?
13. Ti ricordi il primo tumblero/a che hai seguito una volta iscritto?
14. Mai visto l'alba sul mare?
15. Hai mai visto un tramonto sull'Adriatico?
16. Meglio i vampiri o gli zombie?
17. Sei scaramantico più di venerdì 13 o di venerdì 17?
18. Che ora è quando un elefante si siede sullo steccato?
19. Ma chi potrebbe venire in mente di avere un elefante sullo steccato?
20. Sai quanto dura l'orgasmo di un maiale?
21. Sai a chi può essere venuto in mente di controllare la durata dell'orgasmo di un maiale?
22. Hai mai fatto o conosci qualcuno che abbia mai fatto un atto di fede?
23. Il mistero più grande che vorresti risolvere?
24. Il mistero più piccolo che vorresti risolvere?
25. Chi te lo fa fare?
26. Meglio "dai la cera, togli la cera" oppure "togli giacchetto, metti giacchetto"?
27. Meglio quando si stava peggio?
28. "Non è bello ciò che è bello" oppure "ma che bello, che bello, che bello"?
29. A che ora vorresti la fine del mondo?
30. Dove ti metti per assistere alla fine del mondo?
31. Vai forte in matematica?
32. Seriamente, a che servono le potenze?
33. E le radici quadrate?
34. Mai mangiato il tofu?
35. Mai mangiato la carta?
36. Meglio "lo studente può ma non si applica" oppure "lo studente si applica ma non può"?
37. Multipli di 3 o di 2?
38. Ma l'uomo, deve puzzare?
39. Se sì, di cosa?
40. Cosa ci stanno nascondendo?
41. Qual è il segno più cattivo dello zodiaco? E perché proprio lo scorpione?
42. Il numero giusto di domande è più o meno di 50?
43. Mai baciato un fumatore?
44. È vero che a baciare un fumatore si fuma un po'?
45. Alcol o fumo?
46. Bianco, nero o tante sfumature intermedie di grigio?
47. Mutande: sono meglio tutte gialle o tutte marroni?
48. Sai che colore è "malva"?
49. Stai giocando a bocce e ti comunicano che è l'ultimo giorno sulla Terra. Che fai?
50. Se non ci fosse più l'energia elettrica he faresti?
52. Dì la verità, eri una frana in matematica?
53. Hai notato che manca la 52?
54. Hai notato che non è la 52 a mancare ma la 51?
55. Di che colore è la lettera A?
56. Numero preferito?
51. Ti sei accorto che ho messo i numeri delle domande a caso?
57. Non di tutte, solo dalla 50 in poi. Hai notato che c'è la 51?
58. "Stretta ma foglia larga ma via..." come continueresti la frase?
59. Meglio essere il primo amore di qualcuno o il suo ultimo amore?
Nessuna cifra tonda nel numero di domande perciò mi fermo a 59.
Divertitevi, se vi va, con questa cagata. Tanto una più o una meno che vi cambia? Ops ma questa sarebbe la sessantesima domanda!
* non c'è nessun errore nella domanda 6 perché "qual è" va senza apostrofo, capra!
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Seconda tappa (serale) “di come rischiai la vita in una locanda straniera, tra dame di rosso vestite e orchi neri”
Fame, tempo nero e aria umida, lasciamo la triumphetta ferma al parcheggio, ombrello serrato nel pugno e ci incamminiamo all’esplorazione del quartiere e possibilmente anche di cibo, siamo fortunati, non tanto per il cibo, ma perché forse c’è una piccola storia da raccontare.
Pizzeria d’asporto, il solito localetto di periferia, povero ma costruito con criterio, mattonelle bianche e banconi a giorno il forno è a vista, dentro ci lavorano quattro persone tre indiani e Giovanni, belle facce sorridenti che mettono bene, Giovanni non è esattamente indiano e nemmeno esattamente italiano, Giovanni è un diciassettenne dalla faccia che ispira fiducia, un tipo brillante ma che forse non è bene tenere alla cassa, non ci’ha cazzi di imparare a memoria il listino prezzi e credo che non abbia nemmeno voglia di impastare pizze, ha voglia di ridere e di sparare cazzate, per quanto mi riguarda va benissimo così, di fronte a lui una sua coetanea, una biondina bianca come il latte e tirata in un vestitino rosso, uno di quelli che cominciano troppo tardi e finiscono un po’ troppo presto, troppo elegante per qualsiasi posto di quella città, fuori luogo come un vibratore in chiesa ma ugualmente divertente, provate ad immaginare...esatto, avete delle menti zozzette ragazzi miei, comunque, lei rideva, ma a Giovanni questa cosa non andava giù, Giovannino se ne esce con una sparta infelice, “a Giovannì,e come te lo devo dì, ‘sta tipa di rosso vestita non era qui per me, e stava sorridendo a te, avevamo detto che eri uno sveglio”, la biondina di rosso vestita prende le pizze se ne va.
Ordiniamo, pizza e crocchette, Giovannino mi va in crisi mistica, prova a richiamare qualche cosa nel suo database cerebrale e spara una cifra, “sette e cinquanta”, “otto” gli risponde il cuoco, dai “quasi” ribatte, ti serve anche un piatto per le crocchette? No guarda faccio il giocoliere, e lì , lì accade il fatale errore, mi consegna un piatto con 5 crocchette e 2 patatine fritte, quelle piccole, i rimasugli, quelle chi ti rimangono nel piatto alla fine, ecco, sto mangiando nel piatto in cui ha mangiato un altro, un piatto non pulito, morirò, questo è sicuro, ho rischiato la vita tante volte ma morirò per un piatto sporco, fossi fuori dal locale avrei già fiondato tutto dentro il secchio, ma sono dentro ed attendiamo le pizze, mi sento osservato da 6 occhi indiani, Giovanni no, Giovanni spippola con il cellulare, mangio e prego di non morire, ma sento i batteri esultare.
Una renegade si ferma nel parcheggio, ne esce un tipo tutto pompato e anche tutto tatuato indossa una canotta con sopra stampata un aquila imperiale, “ci siamo messi eleganti” penso tra me me e me, “ci mancava un fascista questa sera in cui rischio la setticemia”, il tizio entra e inizia a lanciare frecciatine ai proprietari, comincia a denigrare l’offerta degli alcolici, ma i proprietari lo gestiscono con intelligenza d’altronde loro sono indiani mica fascisti ( questa arriva con calma...molta calma, arrivata?), il tizio prende le sue birre e se ne va, deve essere il giorno rosso fascista e magari i loro bar sono chiusi, sbraniamo le due ottime pizze paghiamo ed usciamo, domani mette pioggia e il gioco si fa serio.
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Madre! ~ Noi, Lei e Lui
Come iniziare a parlare di questo film? Le cose da dire le ho in testa tutte, ma a questo punto devo solo capire come metterle in ordine.
Partiamo dalle basi e muoviamoci da lì: mi è piaciuto. Mi è piaciuto perché è uno di quei film che, quando finisce, continua al di fuori della visione, stimolando riflessioni e discussioni, invitando ad una critica e, in questo caso, ad un’autocritica. Prima di passare alla recensione vera e propria, forse è il caso di fare un piccolo sunto della trama: Lui e Lei (i nomi non ci vengono mai detti), marito e moglie, vivono in questa magione al centro di una foresta, precedentemente distrutta da un incendio e che Lei ha restaurato da sola. La quiete e la routine quotidiane vengono stravolte dall’arrivo di un visitatore inaspettato e, in seguito, dalla di lui famiglia (moglie e due figli). Da lì, una vera e propria discesa agli inferi, con un susseguirsi di citazioni e riferimenti biblici così numerosi che quasi si scade nella didascalia.
Entrare nell’atmosfera allegorica del film è abbastanza difficile, se non si è preparati: in questo caso io ho giocato sporco perché ho iniziato la visione sapendo già che, oltre al livello superficiale, se ne trovavo uno sotterraneo. Il film, infatti, si presta almeno a tre livelli di lettura.
Se ci fermassimo a quello letterale, il film si presenterebbe come il classico home invasion movie, dove i protagonisti si trovano a fronteggiare la stessa situazione inverosimile e fuori controllo in maniera diametralmente opposta, fino all’allucinato finale. Ma proprio analizzando questo, invece, si capisce che c’è di più. Arriviamo così a parlare del secondo livello di lettura, quello biblico.
In quest’ottica Lui sarebbe Dio: un poeta, un creatore, colui che dona la propria parola al prossimo per farne strumento salvifico. Durante lo svolgimento della trama, però, vediamo che questo Dio è (citazioni altissime) gracile, vanitoso, egocentrico, ingenuo e, in qualche modo, menefreghista. Menefreghista nei confronti della propria casa (che, continuando l’allegoria, sarebbe il Mondo) e della moglie (la Madre Terra), in nome dell’abbandono ai fan (l’Umanità) e alla propria vanità. La moglie-madre che dà il titolo al film cerca in tutti i modi di proteggere la casa-mondo dagli assalti dell’umanità, incarnata dal primo visitatore (palese allegoria di Adamo) e della sua famiglia (Eva, Caino e Abele), senza tuttavia riuscirci e non potendo impedire che questi macchino la casa col peccato e la morte. La cacciata dall’Eden è rappresentata dalla scena in cui la coppia distrugge un prezioso cristallo che il poeta conservava gelosamente. In risposta a ciò, egli chiude il suo studio con delle assi di legno, impedendo a chiunque, persino se stesso, di accedervi nuovamente. Emblematico il fatto che, subito dopo che ci viene mostrata una scena di sesso tra Adamo ed Eva, nella casa sopraggiungano i loro figli, come a voler rappresentare il modo forsennato e frenetico in cui l’umanità si riproduce. Sempre più gente continua ad arrivare dentro la casa, mancando di rispetto alla madre e all’edificio stesso, finché l’incuria degli uomini non provoca la rottura di un tubo e l’allagemnto dell’edificio: palese richiamo al diluvio universale. Il figlio di cui Lei resta incinta è invece Gesù Cristo, ed è destinato a fare la sua stessa fine quando una nuova Parola del Poeta, circolata all’esterno della casa e pubblicata in tutto il mondo, provoca l’arrivo di una nuova pletora di visitatori, che, nell’indifferenza totale del Poeta stesso e nella disperazione della Moglie, distruggono la casa, rubano, stuprano, uccidono. Tutto in nome della “condivisione” predicata dal Poeta e nel Suo nome. Non avete bisogno del mio aiuto per capire che qui si va a criticare il rapporto di DIo con la Terra e i suoi abitanti: Aronofsky sembra puntare il dito contro il Creatore, accusandolo di svendere la sua casa e colei che la tiene in piedi in nome di un rapporto con i “fan” di cui, nella sua cieca vanità, non può fare a meno, fino ad ipotizzare il perdono per coloro che hanno ucciso, smembrato e mangiato il suo stesso figlio. Dio, suggerisce il regista, ha talmente bisogno dell’Umanità da dimenticarsi della Terra e dei suoi bisogni, finendo per diventare (da Dio vendicatore e punitore) un semplice fantoccio insignificante, di cui chiunque può effigiarsi nonostante la propria caratura morale. Alla fine la Madre, vessata, picchiata, resa insignificante e privata del proprio figlio sacrificato in nome di un’umanità corrotta e per cui non esiste possibilità di redenzione, decide di dare fuoco alla sua stessa casa, per sfuggire definitivamente ad una situazione diventata fuori controllo. Il suo gesto è tuttavia inutile: Dio, immortale, infantile ed egoista, ricrea tutto daccapo, e il ciclo ricomincia, in un infinito susseguirsi di Vita e Morte.
Se si legge il film in questa chiave, l’architettura stessa della casa può essere guardata in chiave allegorica, con la cantina a rappresentare l’inferno e le fiamme, in una premonizione di quanto avverrà nel finale, il pianterreno, appunto, stante la Terra e i piani superiori i Cieli divini e il Paradiso. Mi resta tuttavia oscuro il ruolo giocato dalla polverina gialla che la Madre di tanto in tanto scioglie in acqua e poi beve e che finisce per buttare quando crede che il suo rapporto col Creatore sia finalmente diventato esclusivo. Mentre se la guardiamo sul piano più superficiale potremmo interpretarlo come un tonico o un antidepressivo che le permette di sfuggire ai suoi “attacchi di panico” (accompagnati dalla vista della casa bruciata e da un fischio acuto), dal punto di vista allegorico non riesco a spiegarmelo: forse la luce solare e il culto del dio Sole? Forse l’equilibrio che permette alla vita di autobilanciarsi e di resistere così ai cambiamenti?
C’è infine, un altro livello, che è quello artistico: il rapporto, cioè, che intercorre tra Vita e Arte, tra l’Artista e il Mondo. Lui resta così il poeta, l’artista, mentre lei diventa un’allegoria della sua ispirazione (tant’è che viene anche chiamata così in una delle scene finali del film). Le persone che invadono casa loro sarebbero invece il pubblico, il grande pubblico, e la polverina gialla l’uso di droghe, molto frequente da parte degli artisti di ogni tipo per “rilassarsi” ed “evadere”. In parte questa chiave di lettura ricalca quella biblica, specialmente per quanto riguarda la figura di Lui: l’artista, che inizialmente riesce a smuovere le folle e gli animi, a condizionare la vita delle persone con la sua opera, diventa poi insignificante, incapace di comunicare col mondo, inutile; arriva a svendere la propria ispirazione, la propria famiglia, la propria stessa morale, pur di ottenere il suo quarto d’ora di celebrità, il suo momento sotto i riflettori, sacrificando quanto di più importante c’è al mondo (la vita, il bambino) per ottenere il plauso e il consenso delle folle. Si parla quindi di quello che per il regista è il ruolo dell’artista nella società moderna: una visione disincantata che dipinge il mondo dell’arte come folle, vertiginoso, estremo in tutte le sue declinazioni. Il gesto finale della Madre potrebbe essere visto quindi come un tentativo da parte dell’artista di ricominciare, di fare terra bruciata e iniziare qualcosa di nuovo, un “nuovo progetto”, migliore del primo e in grado di cambiare il mondo in positivo. Tuttavia, il finale circolare ci fa capire che questo è impossibile, in quanto non si può sfuggire al richiamo del grande pubblico, del successo, dei riflettori. L’arte è e vuole restare morta, ma l’amore dell’artista per essa e per il successo gli impedisce di vedere questa verità e lo spinge a ricominciare daccapo, in un uroboro infinito.
Il cerchio, il ripetersi continuo e incessante di uno stesso ciclo, è la cifra stilistica e la chiave di volta di questo film: lo vediamo nei movimenti di macchina, che spesso si muovono appunto in movimenti circolari; lo vediamo nella stessa architettura della casa, che si impernia attorno ad una scala che sale a spirale. Aronofsky sembra quasi suggerire che l’uomo è destinato a ripetere i suoi sbagli. E così anche Dio che, avendo plasmato l’uomo a sua immagine e somiglianza (o e l’uomo ad aver plasmato Dio?), non può sfuggire al suo ruolo e alla sua natura.
Girare in tondo, sul posto, senza poter andare avanti, fino alla morte e alla (auto)distruzione. Questo sembra essere il destino dell’umanità dipinto così efficacemente in questo film.
#mother#movie#film#madre#dio#terra#uomo#jennifer lawrence#Darren Aronofsky#recensione#bibbia#allegoria
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#Storia 7 pt.2
Un film per ricominciare
il film era veramente il più palloso della storia, colonne sonore tristi, era pure in bianco e nero, davvero non vedevo l’ora che finisse.
Ovviamente durò 2 ore e mezza.
Uscimmo dalla sala e mi chiese: “é bellissimo il messaggio di questo film non trovi?”
Io volevo solo sparire, non avevo minimamente seguito il filo logico di un film con una ragazza che piangeva, un ragazzo che piangeva, la mamma che piangeva, tutti che piangevano.
Mi venne in mente anche la volta in cui tu piansi, sulla porta...
Di getto le risposi una frase scomposta, senza arrivare ad un punto preciso, temporeggiavo insomma, mentre le lampadine al neon dell’uscita ci illuminavano di una luce rossastra.
Arrivati appena fuori dal cinema ci perdemmo in 4 chiacchere, ma non riuscivo a capirla del tutto, cosi mi giocai un jolly..
“senti, ci andiamo a mangiare qualcosa, un amico ha un ristorante molto carino a pochi km da qui, che ne pensi?”
“verrei volentieri, purtroppo ho l’autobus per tornare a casa ed è l’ultimo è anche molto tardi...”
Avete presente quella sensazione di completa impotenza di fronte a una risposta che non lascia via di scampo? ECCO.
Non volle nemmeno che la accompagnassi alla fermata dell’autobus, non capivo davvero, eppure mi salutò con un sorrisone e un bacio sulla guancia. Non capivo dove avevo sbagliato.
Avevo la faccia da psicopatico? o con 5 dollari pensava che la volessi comprare?
MARTEDÌ
Arrivo in ufficio, John sta distruggendo in sala riunione Paul, indovinate perchè?
Si era dimenticato di chiamare la JYNK Corp., nota azienda giapponese che ci aveva commissionato un’altra app per 5 milioni di dollari.
Affare saltato. Paul saltato. Piano finanziario saltato.
John esce sbattendo la porta imprecando e urlando di prendersi due giorni di pausa, Melanie la sua assistente lo insegue raccogliendo tutti i documenti che lancia per aria, gli stagisti non alzano nemmeno lo sguardo, qualcuno ride, qualcuno fa finta di niente, Kate, la mia segretaria mi fissa come se aspettasse un cazziatone...
Non dico nulla e vado nel mio ufficio mentre Paul...se ne va.
Mi siedo sulla poltrona e sento la pelle della poltrona tirarsi sotto il mio peso, inclino un pò il capo e tiro un lungo sospiro, che settimana di merda mi aspetta.
MERCOLEDÌ
Sono le sei e mezzo, il sole sta tramontando su Charleston, tutti stanno andando via, John non risponde nemmeno al cellulare, Kate mi chiede un permesso per il giorno dopo, annuisco senza nemmeno guardarla.
Rimango solo nel mio ufficio, gli ultimi tiepidi raggi del sole entrano dalle finestre del mio ufficio.
L’ho preso apposta qui, con visuale su un parco, mi mette tranquillità.
Mi vieni in mente, quante volte abbiamo fatto sesso su questo tavolo quando andavo via tutti, quante volte eri dall’altra parte del telefono e mi dicevi di tornare presto a casa, quante volte ancora ti penso.
Non farò mai più il tuo nome.
GIOVEDÌ
Orario di pranzo, Kate non c’è, è in ferie, massacro gli stagisti di compiti per la giornata e mi prendo 3 ore per andare a NY. Devo sbrigare delle commissioni.
Mentre guido sono stranamente felice.
Per un momento ripenso a Caroline, chissà se la vedrò ancora.
Anche questa giornata passa in fretta, sto quasi cadendo nella monotonia, non passo nemmeno dall’ufficio, chiamo il guardiano e gli dico di chiudere tutto.
Era fidato. Un signorotto di 58 anni che veniva dal Texas, poche passioni, belle donne e birra. ma sopratutto birra.
Arrivo a casa, finalmente, mi faccio una lunga doccia, mentre mi rilasso sento squillare il telefono, cerco di asciugarmi alla buona e corro.
“Ehi abbiamo chiuso un affare milionario, quelli di Goklm hanno saputo dell’affare saltato e si sono proposti al doppio della cifra! dobbiamo festeggiare!”
Era John che mi chiamava in delirio di onnipotenza, era a las vegas, festeggiava ancora prima della firma del contratto, ma portava sempre bene quindi glielo facevo fare, mi dice che prenota dei biglietti anche per me e devo raggiungerlo subito, c’è un’amica di Celine per me.
Rido e dico a John che avremmo festeggiato al ritorno.
Mentre accendo il proiettore, mi arriva un messaggio automatico dalla banca, accredito di 150.000 dollari dal conto della società.
Rido, John festeggiava cosi in anticipo dandomi e dandoci delle quote su affari ancora non chiusi.
Mi siedo sul divano e affondo i piedi nel tappeto orientale che mi comprò mia madre, si ha arredato la casa con me, figuriamoci. sono riuscito a scegliere solo location e toni delle stanze.
Vivevo in un loft all’ultimo piano di una palazzina borghese, era un pò la mia tana, open space, finestre stile americano sulla 54esima strada, parquet italiano, cucina nera e quadri di vario tipo.
Ero molto minimalista, poche cose ma ordinate, mi piaceva il lusso non visibile, contando che solo l’appartamento mi era costano quasi 800.000 dollari tra acquisto e ristrutturazione.
Ma i soldi, come detto prima non erano un problema e li gestivo bene, non avevo vizi ne grilli per la testa, bella casa, bella macchina e vacanze nei posti giusti, una vita tranquilla nel mio letto ad acqua preso in Giappone in un momento di completa pazzia.
Bene sono un 22enne annoiato con 150.000 dollari freschi sul conto cosa faccio? NIENTE
Apro facebook. Cazzeggio, commento foto, guardo video di gatti...
Finchè non mi viene un idea...CAROLINE.
Posso cercarla su facebook! Ovviamente la ricerca solo del nome mi porta a milioni di risultati, cosi cerco di fare una geolocalizzazione, sperando almeno di restringere il campo, ovviamente tra le ragazze di Charleston non la trovo.
In realtà ancora non sapevo perchè mi incuriosisse cosi tanto, Sapevo solo che avevo ancora il suo profumo di pesca ancora in testa.
Ora, non so voi, ma io credo nel destino, dopo quasi 1 ora di ricerca, ancora non la trovavo, mi ero quasi arreso.. finchè...
AGHATA, quel film ultra palloso che mi ero sorbito solo per lei, sicuro sarà tipo fan della pagina, o dell’autore, o dello sceneggiatore o di qualsiasi persona che ha partecipato alla creazione di quel film.
MIRACOLO.
Scorgo un viso quasi noto tra le valutazioni del film sulla pagina ufficiale
Caroline Westrem, eterocromica, capelli legati e studentessa. Trovata.
Profilo più blindato di una banca, va bene lo stesso. La aggiungo immediatamente agli amici.
Era molto tardi e sapevo che non sarebbe successo niente di li a poco, cosi vado a letto speranzoso l’indomani di leggere una sua notifica.
VENERDÌ
Il cinguettio degli uccellini mi sveglia 5 minuti prima della sveglia, il sole entra da uno spiraglio della finestra che avevo lasciato scoperto.
Mi alzo e vado verso la cucina, mi preparo un buon caffè brasiliano aromatizzato alla vaniglia, eh si, qualche chicca lasciatemela, e addento un cornetto al cioccolato.
Mi ricordo della richiesta inviata a Caroline, prendo il cellulare, ancora niente, solo messaggi di lavoro. Uffa.
In ufficio il clima è sereno, John ha un nuovo schiavetto, Jimmy, sembra più sveglio, speriamo, Kate mi saluta sorridendo, la trattavo come un’amica e lei era felice e lavorava bene per me, eravamo tutti contenti per il nuovo affare che avrebbe lanciato la società ancora più in alto.
Finisco la riunione delle undici e mezza, ormai è pranzo, mi slego la cravatta, faceva veramente caldo, era afoso in ufficio, batteva perennemente il sole, decido di mangiare qualcosa in un bar e approfittarne per farne una passeggiata e chiamare mia madre per organizzare il week end.
Come al solito mia madre mi tiene al telefono più del dovuto, mentre cerco di camminare tra i bambini che escono dalla scuola sulla 3 strada, non sentivo nemmeno cosa mi diceva, rispondevo solo “ok” “si domani torno” “si ho mangiato” “Ok” “si” e ancora “Ok”... classica telefonata.
Ad un tratto dell’altra parte della strada, in un bar con il free wifi scritti a caratteri cubitali sulla facciata, noto una ragazza con i capelli raccolti...non ci credo è CAROLINE.
Riaggancio a mia madre senza pensarci, e attraverso la strada.
Ma perchè poi? cosa pensavo di fare? mi aveva già mezzo rifiutato una volta perchè continuare...già perchè continuare..mi dicevi.
Entro nel bar e lei era seduta nei tavoli rettangolari che danno sulla strada, stava scrivendo al computer.
“ehi Caroline, ma che ci fai qui?”
“Dylan! ma che piacere! Sto scrivendo un articolo e tu?”
ma come si ricorda ancora il mio nome? poi mi snobba, va bhè, le donne.
Mi siedo e parliamo del più e del meno, di cosa studia lei, giornalismo, di quanto sia difficile e altre cose su di lei, noto che non mi fa domande.
Cosi le chiesi: “Ieri ti ho aggiunto su facebook.. ma forse non hai visto!”
SBAM, altra figura di merda, ma come fai a non vedere che il sito ti invia una notifica anche sul cellulare.. partiamo malissimo.
“No l’ho visto invece. Però Dylan, mi dispiace ma..siamo troppo diversi, non so nemmeno come spiegartelo, è complicato.”
Era surreale, non c’era modo e mi bloccava anche solo per una richiesta di amicizia, davvero non sapevo nemmeno cosa risponderle.
le chiesi un minimo di aiutarmi a capire o se avessi sbagliato qualcosa nei comportamenti e potevo averla offesa in qualche modo.
“No Dylan, figurati tu sei stato sempre carinissimo con me, ma davvero preferirei cosi, non voglio crearti problemi.”
Davvero ero scioccato, ma di fronte a tanto ostinazione e nessun’altra informazioni non potevo fare altro che arrendermi.
“Ok, non posso sapere chi sei, ma almeno se hai voglia di parlare o anche vedere un film noiosissimo di cui ancora non ho capito niente, scrivimi.”
Mentre le scrivevo il numero su un pezzettino di un tovagliolo, scorsi un sorriso frenato sul suo volto, si sposto i capelli dietro le orecchie e mi disse “Lo farò.”
Passarono 4 giorni, niente.
Non ho avuto nessun cenno da parte sua, eppure quegli occhi mi nascondevano qualcosa.
Noi uomini siamo così, quando non capiamo una cosa, cominciamo ad impazzire, specialmente un rifiuto non spiegato.
Caroline aveva quel non so che, classe, femminilità nelle movenze, lessico di una persona che aveva studiato, occhi profondi come l’oceano, aveva qualcosa da raccontarmi e io volevo saperlo.
E in più mi piaceva un casino, guanciotte piene, mento appena appena marcato, i capelli le cadevano perfettamente sugli zigomi e avevano dei riflessi dorati vicino alle punte, aveva delle mani bellissime e curate, e ancora mi ricordo di quel vestito nero del cinema, sottolineava le sue forme.
Non capivo perchè portasse sempre i capelli legati.
Era semplice, anche nell’abbigliamento mi colpiva molto.
Rigorosamente stivaletti neri, leggins neri e una camicia celeste con una canotta bianca, portava un bracciale sottilissimo e dorato al polso sinistro, mentre al destro aveva una specie di corda, quelle per i bracciali per intenderci, ma legata più volte intorno al polso.
Ma io riuscivo solo a perdermi nel suo maledetto profumo che mi colpiva dritto al cuore ogni volta.
Dicono che i profumi che ti colpiscono entrano dritti dentro fino all’anima e penso che lei abbia fatto esattamente questo con me.
i suoi sguardi mi colpivano nel profondo, come quando visiti un posto per la prima volta e rimani a fissare il panorama imbambolato, io mi sentivo cosi ogni volta che lei mi guardava, nei suoi occhi vedevo le emozioni che mi erano mancate da tempo.
Basta devo avere un’altra occasione. Sono ricco e ho i mezzi, è ora di usarli e da chi vado subito secondo voi?
“Kate, come faccio a conoscere una ragazza di cui so solo il nome e nient’altro senza finire in galera per stalking?”
“Ehm.. Dylan, in che senso?”
“Mi servono informazioni su una ragazza, non importa come o quanto costa, devo sapere” sembravo un pazzo psicopatico.
Nel giro di due ora nel mio studio si presenta un tizio che afferma di avere una società di spionaggio matrimoniale e quindi può ottenere facilmente informazioni. Non ho voluto sapere nient’altro. Io chiesi solo l’indirizzo di casa, volevo presentarmi la e parlare con lei. Quindi niente di troppo illegale no?
Due giorni dopo, di rientro da una sessione dal massaggiatore, trovo dei documenti sulla mia scrivania.
“risultato indagini” erano le informazioni che avevo chiesto. Finalmente.
Non so bene se fosse una cosa giusta o sbagliata, ma mi ero ripromesso di non perdere più occasioni, di volermi bene e seguire il mio cuore, mi ero ripromesso di inseguire le mie emozioni e non di soffocarle. Questa volta non volevo mollare, non come hai fatto tu con me.
Esco dall’ufficio alle otto e tre quarti, fuori è buio ed è ormai sabato, non avevo niente da fare e cosi decisi di andare all’indirizzo scritto nei documenti.
Sarà uscita, al rientro forse se sono fortunato potrei incontrarla per sbaglio, mi piazzo in qualche bar, qualche locale che ci sarà li vicino e aspetto.
Mi sbagliavo alla grande.
L’indirizzo indicato non esisteva sul mio navigatore, mi trovava la cittadina, Hamden, ma non la via, girovago per qualche minuto, ma era tutto chiuso, ero un pò spaesato e anche incosciente, recarmi ad un’indirizzo datomi da un fantomatico investigatore, da solo, essendo a capo da una società milionaria.
Trovo una signora ad un distributore automatico e chiedo informazioni, mi dice che l’indirizzo che sto cercando è ai confini della città dove inizia la statale.
Bene mi reco subito sul luogo, non mi ero accorto che avevo gia fatto due ore di strada ed erano quasi le 11.
Mentre esco dalla città, noto un certo degrato, non era come Charleston, qui era davvero quasi tutto abbandonato, cosa ci faceva una come Caroline qui?
Intravedo una stradina quasi sterrata che imbocca nella statale, vedo anche un cartello di legno “ bredley street”.
Ecco era l’indirizzo, almeno credevo. Di fronte a me una casa in legno, decisamente messa male, un capanno semi distrutto e oggetti sparsi ovunque per il giardino.
Era l’ultima casa in fondo alla statale che usciva da Hamden e andava a Tuchson, praticamente lontano da tutto.
Non trovavo il collegamento tra quella studentessa che non usciva dalla mia testa e tutto questo contesto. Era strano.
Parcheggio all’inizio del vialetto con il muso rivolto alla statale, sia per scappare sia per vedere se Caroline si fosse materializzata, e spengo la macchina.
Dopo circa mezz’ora di noia e rumori abbastanza molesti tutt’intorno, scorgo una sagoma nera che cammina nella mia direzione lungo la statale, capisco che è una ragazza e cosi accendo i fari dell’auto che illuminano la sagoma e scendo.
Era lei, Caroline, capelli arruffati, giubbotto chiuso fin sotto il mento e tuta, non il massimo ma era comunque carina.
Più che altro sembrava davvero distrutta, ma cosa fa questa ragazza la super eroina a caccia di criminali?
“Ehi caroline! ciao sono Dylan!”
“Dylan?? ma sei pazzo? che cazzo ci fai qui?”
Bhè non era esattamente l’accoglienza che avevo previsto. Pensavo le facesse piacere una sorpresa
“Sei impazzito? come mi hai trovato? ti avevo detto che....”
“ehi ehi calmati, visto che non mi hai chiamato avevo piacere a vederti, tutto qui! pensavo fosse un gesto carino”
“Carino un cazzo Dylan! tu non sai nulla, non dovresti nemmeno essere qui!”
Avevo fatto un errore madornale, ma cosa pensavo di ottenere presentandomi a casa di una sconosciuta?
“Dylan devi andare via sul serio, non puoi stare qui”
Discutemmo per qualche minuto, volevo solo farle capire che non ero uno psicopatico, ma volevo solo vederla.
I suoi occhioni metà verdi metà nocciola, immersi nelle lacrime mi implorarono di andarmene subito, non avevo scelto, acconsentii.
Se ne andò senza nemmeno guardami in faccia, ero distrutto, la vita mi aveva messo di fronte a una cosa cosi bella dopo tanto tempo e ora me la toglieva in questo modo meschino.
Salgo in auto, non parto, sto fisso con gli occhi sulla strada.
nella mia mente un susseguirsi di pensieri contorti, non ho un focus preciso, sono in preda ad emozioni contrastanti, non riesco a pensare lucidamente.
Eppure c’era qualcosa che non quadrava, che mi diceva di non andarmene da lì.
Decisi per la scelta che poteva distruggere tutto, anche la mia vita.
Scesi dall’auto e in preda ad un’adrenalina pazzesca, decisi di spiare dalla finestra, se piangeva c’era un motivo, doveva essere un motivo.
Mi avvicino lentamente, cercando di non fare rumore, mi accosto alla finestra della cucina dal lato sinistro della casa, un piccola lampadina illumina la cucina di piastrelle rosse bianche con una strana fantasia, sul tavolo qualche frutto e due piatti, c’erano scatole e barattoli aperti ovunque, e due casse di birra al fianco del frigorifero. Ma non vedevo nient’altro, dalla porta scorgevo solo un’angolo del divano e un mobile.
Capisco che il salotto è dall’altra parte e mentre cerco di fare il giro della casa sento un tonfo proveniente dal piano di sopra, mi paralizzo, silenzio, ancora silenzio, riprendo a camminare, avevo quasi finito il giro intorno alla casa ero a pochi metri dalla finestra, quando sento sbattere violentemente una porta.
Iniziale le urla, un casino assordante, non so cosa fare, mi avvicino piano alla finestra.....è un’inferno.
La tele è accesa, c’è sporcizia ovunque, dalla finestra chiusa trapassa un odore nauseabondo di umido e chiuso, ci sono cartoni della pizza a terra e anche qualche bicchiere rotto, era come se nessuno mettesse piede in quel salotto da settimane, forse mesi.
Mi appoggio con le spalle al muro per calmare la respirazione, ero in ansia, avevo paura e non capivo cosa stessi facendo, le urla al piano di sopra si fanno davvero pesanti ma non capisco cosa dicono, dalle scale sento dei passi, sbate violentemente una porta, mi accuccio per terra, sento il van che si accende mette in moto e va via di fretta.
Silenzio, nessun rumore per qualche minuto, altri passi dalle scale interne, mi accosto leggermente alla finestra giusto per intravedere qualcosa.
L’immagine che sta per seguire, turba ancora i miei sogni, come un fulmine a ciel sereno, qualcosa che non ti aspetti.
Caroline è seduto sul divano, con la testa tra le mani, in lacrime.
Non vedo altro, piange, li da sola, ma non capisco il motivo, finchè non si tira su e mentre si asciuga le lacrime con le maniche della felpa noto sul suo volto un livido rosso vicino alla tempia destra.
Panico, non so cosa fare, entrare potrebbe anche essere violazione di domicilio, se quello fosse stato il suo ragazzo? magari avevano litigato, magari ha sbattuto contro la porta (certo) un susseguirsi di ipotesi che mi fecero uscire pazzo, corsi alla mia Bmw e misi immediatamente in moto, grazie a dio il mio parcheggio ai bordi del vialetto non risulto sospetto e non diede nell’occhio.
Mentre guido non riesco nemmeno a pensare, anzi si, penso solo a una cosa, quello di Caroline non era un rifiuto ma una richiesta di aiuto.
fine parte 2
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Su Tumblr i bug sono la normalità. Vuoi saperne alcuni carini che a me capitano sempre? Allora:
Hai presente le tag seguite? Col numerino che conteggia i post nuovi? Va a cazzo di cane. Magari vedi un 10+ ma, quando vai a spulciare la tag, i post sono gli stessi da sei mesi. In difesa di Tumblr, potrebbe essere un bug di xkit (santo xkit comunque, ti salva la vita)
Questo è nuovo di pacca: una persona che ti ha bloccato pubblica qualcosa di nuovo? Teoricamente non dovresti poterlo sapere, ma Tumblr ti fa la spiata mostrandoti intere pagine di post vuoti, bianchi, senza note o con un numero di note sempre a cazzo di cane, quando qualcuno che segui reblogga il suddetto post della persona che ti ha bloccato. Più inquietante della famosa testa di cavallo nel letto. A 'sto punto preferivi non saperlo.
Le notifiche: a volte non compaiono per settimane e ti perdi reblog, tag, cuoricini e cose varie. A volte il numerino cresce ma nella pagina delle attività non si muove foglia. A volte il suddetto numero resta bloccato su una cifra random, l'ultima volta ebbi un 8 fisso per quasi un mese. Così, because fuck you here's why.
Le ask: a volte compare la notifica ma l'askbox è vuota e silente. Poi qualche giorno dopo la apri per curiosità, senza che ci siano notifiche, e leggi quattro ask minimo di qualcuno che, pure giustamente, ti chiede perché non l'hai cagato di striscio. E gli devi dire che Tumblr si è mangiato le ask, tipo 'maestra, il cane mi ha mangiato i compiti'.
Quello che io chiamo il 'TI HO DETTO DI NO': vuoi rebloggare o pubblicare qualcosa. La connessione a internet è perfetta, sai di non essere nella block list dell'OP, le stelle sono allineate, ma quando cerchi di pubblicare...LOL, NOPE. E tu provi e riprovi, ma Tumblr fa lo gnorri. Poi si sblocca e ti accorgi di aver pubblicato sedici post uguali (true story).
Questo posto è meraviglioso ❤
Cioè, adesso non arrivano nemmeno più le notifiche? Staff, che cosa sta succedendo?
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Scarpe Golden Goose Deluxe Brand Uomo Sei migliori abitudini per lo scopo del rilievo finanziario
Una società può rinunciare al suo lungo termine di abbinamento con i potenziali acquirenti - è davvero Golden Goose Scarpe Uomo Offerte apace di produrre profitti acquistandoli che aiuteranno a comprare e poi a comprare di nuovo, per qualche guadagno breve promesso di un profitto immediato. Esattamente quante volte hai visto tutto questo accadere? Fedele alla nostra perseveranza con indiscutibilmente i 'barattoli', noi due abbiamo iniziato ad avere le spese del budget stanziate per aiutarvi nel conto dei fondamentali, inoltre abbiamo raggiunto piani di ristrutturazione delle abitazioni usando il vostro denaro a lungo termine per l'assegnazione del conto . Accompagnati da noi abbiamo l'abitudine di godersi le serate disponibili nei ristoranti, i test medici i vini più pregiati e anche lo champagne francese con proventi da giocare all'aperto. Posseggo dire che i principali mesi sono sembrati questo tipo di sogno, le bollette sono state pagate completamente, il cibo è su ogni tavolo, ho avuto rrdeas per un nuovo prato specifico, allo stesso tempo abbiamo avuto eccitanti risorse di spesa come bene e tutto il mio uovo di nidificazione Golden Goose Superstar Saldi egli investimenti stava probabilmente crescendo. Prima di lasciar andare qualcuno, informati sempre sull'eventualità che gli impiegati alla fine siano davvero i più agili oltre ai lavoratori flessibili che si mantengono. Per l'intera crisi economica è senza dubbio fondamentale, in modo da pensare davvero di godere di una piccola impresa unita a un bastone mentre si usano le persone che senza sforzo multi-task. Alcuni numerosi più tardi ho cambiato il lavoro nel nido di vespe e ho Scarpe Golden Goose Deluxe Brand Uomo orso per raggiungere il loro scopo per questa società di servizi elettronici. Lui o lei aveva uno specifico grande impianto di produzione da una macchina per arricciare i bigodini del giardino del cortile che funzionava 24 ore al giorno; ogni mese di tutto l'anno, ad eccezione del Natale. Il sito era obsoleto da cinque o sei anni e la società offriva molta esperienza utilizzando e minimizzando i costi controllando la macchina. Il business era in effetti un bene, molti di noi rappresentavano tutto ciò che la nostra azienda poteva avviare. Ma tutti i tipi di cose che abbiamo messo insieme erano alti su quella singola macchina e anche se è stato considerato impossibile puoi ottenerne uno particolare, a meno che tu non abbia molti progetti di pianificazione, sviluppo e navy che permettano la realtà che abbiamo mangiato carri armati associati con solventi come resina all'interno di questa tecnologia. Dato che entrambi abbiamo prodotto numerosi prodotti diversi, il sistema di erogazione della birra è stato continuamente riadattato e anche questo significa che è stato fermato senza problemi, adattato e riavviato praticamente per un po 'di tempo. La decisione è Scarpe Golden Goose Uomo Saldi stremamente. Quando si crea debito di carta di credito non garantito senza sforzi abbondanti e nemmeno pensiero, queste aziende sono carenti e mancano di credenze che frequentano il livello più oscuro, un subconscio. 'Semplicemente non possiamo trascurare la particolare selezione creata dai quartieri, è in realtà diminuita quando gli stabilimenti, in aggiunta anche le famiglie usate presenti nelle riprese, perché finisce spostandosi verso l'alto con un favoloso ringiovanimento del viso sempre sulla cifra del settore. Al contrario della maggior parte del sacro proverbio di 'è tutto per quanto riguarda i soldi', per Michiganders non è sempre stato, ma si vede, i soldi. È anche nel ringiovanire il tuo livello di economia di qualità, premiando le nuove opportunità online, la speranza e inoltre un nuovo grande senso di orgoglio. Concedici di non vendere in alcun modo la nostra gioia individuale come per una quantità di merci in percentuale e l'aumento della domanda, spesso il ggdb outlet è possibile impostare più un altro nido un altro stato molto più accogliente, 'ha detto Keleman. L'Ohio è considerato in attesa di ottenere il Michigan, che può vacillare per iniziare davvero il proprio programma bonus. Ariana Huffington di Huffington Post, è stata la prima cosa assolutamente ok - il problema a sostegno di Obama è considerato come il tipo e la lunghezza dei suoi consiglieri includono ancora scegliere uno libero e screditato Free Market Standard e operare come presupposto che possiamo riportare il dispositivo alla vita. Un po 'di tempo ha spinto oltre le teorie particolari legate sia a Marx che a Adam Smith. Le società di prestiti non sono considerate la creazione dell'universo più importante e, di conseguenza, agire come se fossero virtualmente identici all'addestramento per sapere che l'appartamento della loro terra è davvero invulnerabile, la maggior parte potrebbe essere rotonda.
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L’idea di andare a Corfù a fine maggio è data dalla volontà di fare qualche giorno di mare e dal prezzo del volo Ryanair, circa 30,00 A/R.
Atterrata all’aeroporto di Kérkyra, come la chiamano i greci, dopo cinquanta minuti di volo, prendo un taxi che mi porta in albergo il Mon Repos Only Adult, costo della corsa 12,00 euro, troppo per un chilometro, doveva essere almeno la metà, e questa la prima fregatura. In realtà volevo noleggiare un’auto ma poi ho pensato che alloggiando a Corfù città magari non era necessario, sbagliato! Per raggiungere le spiagge belle serve l’auto o comunque un mezzo dotato di motore.
In sostanza se viaggi sola Corfù città è una soluzione ottima perché il centro storico è molto bello e pieno zeppo di negozi, botteghe e tanti ristoranti e locali, dove fare soste interessanti e passare dei piacevoli momenti, però non offre niente di attraente a livello spiaggia.
L’albergo è fronte mare e molto carino, in particolare le parti comuni e la veranda. La camera un po’ piccola ma carina, bagno non nuovo anche se un po’ sistemato con tenda nella vasca, una caduta di stile…
La stanza è dotata di terrazzino, non proprio pulitissimo e qui arriva la seconda fregatura, nel senso che la “vista giardino” in realtà è vista su un cumolo di macerie, ho chiesto se ci fossero errori nell’assegnazione della camera adducendo che avevo prenotato un camera vista giardino, ma mi hanno risposto che non ci sono errori. In effetti un giardino non c’è, l’albergo dà sulla strada e oltre c’è il mare. Morale: se prenotate il Mon Repos e siete animi romantici o cultori del bello: solo “vista mare”.
Mi tuffo sotto la doccia anche per rimuovere il disguido e infatti mi dimentico ben presto della questione. Indosso un abito e via a piedi verso il centro storico. Percorro il lungo mare, accompagnata dalla vista del sole che sta calando in qual mare punteggiato di yacht ormeggiati al largo.
Nella città vecchia di Corfù si respira aria di casa per noi italiani, in particolare per noi veneti, infatti la lunghissima dominazione veneziana, ha segnato parecchio l’architettura, in questa parte di Grecia l’atmosfera turco-orientale pare non aver trovato spazio. La dominazione veneziana, inoltre, insieme alla breve ma intensa stagione inglese (dal 1815 al 1864) ha consentito un dialogo migliore tra edilizia antica e moderna, cosa particolarmente evidente nel centro storico della città di Corfù.
La piccola isola conta circa 120.000 abitanti, un terzo dei quali vive nel capoluogo è quindi molto viva anche d’inverno.
Il centro storico di Corfù che è Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 2007, merita una visita anche se alloggiate in altra parte dell’isola.
Tra i quartieri più affascinati senza dubbio: Campiello, un dedalo di strette viuzze fiancheggiate da alti palazzi. La sua architettura antica dall’aria vissuta nonché in gran parte sopravvissuta alla seconda guerra mondiale, conferisce un fascino retrò al quartiere. #DELIZIA
Il fulcro della città è senza dubbio la Spianada, la piazza principale che si trova davanti la Fortezza Antica, una delle due cittadelle fortificate – l’altra è la Fortezza Nuova -, utili all’avvistamento e difesa dei pericoli provenienti dal mare. Nella Fortezza Antica sorge la Chiesa di San Giorgio che fu costruita dagli inglesi, il suo segno distintivo è il colonnato della facciata esterna molto simile a un tempio dorico.
Antica Fortezza
Nuova Fortezza
Temoio San Giorgio
Nella zona troviamo anche il Palazzo Reale, in stile neoclassico, anch’esso edificato dagli inglesi con pietra arenaria portata da Malta, anch’essa all’epoca sotto dominazione inglese.
Liston, Spianada
Palazzo Reale
È possibile visitare La Fortezza Antica, il Palazzo Reale, il Museo Bizantino e gli altri musei presenti con un unico biglietto acquistabile in una qualsiasi delle strutture.
La zona sotto i portici nei pressi della Spianada a me è piaciuta tutta, per l’architettura vissuta e dai colori pastello, per la pavimentazione antica consumata dal calpestio, dal tempo e dagli eventi, e per i tanti petali colorati che fioriscono con la bella stagione. #DELIZIA
Ma anche per le sue botteghe tipiche e i suoi negozi recenti che sembrano quelli di casa nostra e per i suoi locali storici o di recente concezione, ben arredati con dehors creativi che le trasmettono un’aria vagamente francese, perché se i molti anni di dominio veneziano l’hanno modellata è Napoleone che l’ha fatta sviluppare e diventare vanitosa. #DELIZIA
Insomma sappiate che a Corfù non manca nulla per quanto riguarda atmosfera coloniale, cultura, vita notturna e meravigliose spiagge (delle quali parlerò più avanti).
In realtà mancano: un inceneritore per i rifiuti e infatti i cumuli di sacchetti della spazzatura sono disseminati per la città a formare immense dune maleodoranti nonché un campo di recupero per i mezzi da rottamare che, molto spesso, si trovano abbandonati nei parcheggi della città. Vero è che, per una piccola isola, lo smaltimento è parecchio difficile. Per questo #CROCE
Avendo realizzato che un mezzo motorizzato sull’isola è necessario, l’indomani mi reco al noleggio più vicino, che poi sono tutti vicini, quando leggerete “noleggio in aeroporto” o “noleggio in centro città” sappiate che non c’è molta differenza è tutto molto vicino, in venti minuti al massimo a piedi si arriva a qualsiasi noleggio.
L’errore fatale è stato non prenotare l’auto online all’arrivo dato che ne avevo ravvisata la necessità, avrei speso un terzo di quello che ho speso sul posto e per giunta per un’auto senza clima, mai avrei pensato che la Panda nuovo modello ne fosse sprovvista. La cosa si è rivelata spiacevole per le temperature e particolarmente sgradevole quando, in coda, toccava stazionare nei pressi dei cumuli di spazzatura, che grazie alle temperature di quei giorni emanavano odori tremendi. #CROCE
Il mio appuntamento con centro storico di Corfù per tutta la vacanza era la sera, tutte le sere, qualche volta ci sono andata la mattina ma trovare parcheggio è veramente difficile, seppur possibile parcheggiare praticamente ovunque. La sera parcheggiavo nel centralissimo parcheggio a pagamento (3,00 euro giornalieri) della Spianada, che la mattina era sempre chiuso perché full.
Il giorno mi sono dedicata alle spiagge, che raggiungevo con la mia Panda sprovvista di aria condizionata, scorrazzando per le strade scassatissime dell’isola. Le spiagge sono molto spesso a margine di pittoreschi villaggi, con interessantissimi punti di ristoro, ecco le MIE spiagge. #DELIZIA
UNA SPIAGGIA AL GIORNO TOGLIE IL MEDICO DI TORNO
Giorno uno: ISSOS – La mia preferita, senza dubbio, si trova a circa 35 km dalla città di Corfù. Da non confondere con Ipsos. Le alte dune, l’acqua cristallina e l’ambiente tranquillo, dove, fortunatamente, il turismo di massa non è ancora arrivato, senza alberghi nelle retrovie, sono l’ideale per passare una giornata in relax a leggere e abbronzarsi senza troppa fatica, in quanto una leggera brezza tiene compagnia tutto il giorno e rende piacevole stare sotto il sole. Unica nel suo genere, altre spiagge così a Corfù non ce né…
La spiaggia offre due sezioni di ombrelloni, una davanti al bar e una affianco, quella che ho scelto io (ombrellone e due lettini 5,00 euro). La spiaggia è adiacente alla laguna protetta di Korission, pertanto non ci sono strutture in riva al mare.
La spiaggia si raggiunge attraverso un’unica una strada stretta, appena fuori la zona adibita a parcheggio, vi aspetta un’accogliente taverna greca dove io, di ritorno dalla spiaggia, verso le 17.00 del pomeriggio, non avendo pranzato, ho mangiato uno straordinario branzino ai ferri, appena pescato, con patate e una birra media al modico prezzo di 13,00 euro.
Vicino la spiaggia di Issos c’è Agios Georgios area turistica che dispone di alberghi, bar e altre spiagge.
Giorno due: SIDARI – Non proprio comodissima da Corfù, si trova a Norda a circa quaranta chilometri dalla città.
Ho letto che è la meta degli innamorati a Corfù. Si tratta il braccio di mare stretto tra singolari formazioni rocciose di diverse tonalità di ocra, noto come Canale d’Amour. Leggenda narra che abbia effetti benefici sulle coppie che lo attraversano a nuoto, le quali si sposeranno a breve.
Sidari
Che crediate o meno alla leggenda e che l’abbiate o meno questa necessità, visitatelo ugualmente il caratteristico villaggio di Sidari e le altre graziose spiaggette nei dintorni.
Emones
Giorno tre: GLYFADA e EMONES – L’idea era di andare a Glyfada, su suggerimento dello staff dell’albergo, dopo aver passato la mattinata a Corfù. Quando ci arrivai, dopo buoni 40 minuti, si trova a diciassette chilometri da Corfù, ma come saprete le strade non sono esattamente un retilineo, anzi, l’ho trovata troppo caotica per i miei gusti, anche se ben organizzata, quindi ho cercato qualcosa altrove.
Dopo tutta una serie di curve e tornanti, seguendo l’indicazione spiaggia, arrivo per caso nel parcheggio riservato a un ristorante, Taverna Maria, entro per consumare una birra e chiedo se posso lasciare la macchina e andare un paio d’ore nella spiaggia subito di fronte, ovviamente la vista dal ristorante sulla spiaggia e sul mare è bellissima. Il proprietario, gentilissimo, che parla un buon italiano, mi indica addirittura dove noleggiare ombrellone e sdraio.
La prima sezione di ombrelloni è riservata all’imponente albergo sulla collina, dove è possibile noleggiare la postazione ma è molto più caro rispetto all’altra sezione, un tantino meno elegante ma alla cifra di 3,00 euro mi hanno fornito lettino e ombrellone. Ci si può passare un paio d’ore perché Corfù offre ben di meglio.
Giorno quattro: PELEKAS – Qui merita una visita il borgo che è adagiato sulla costa occidentale a soli 13 chilometri da Kerkyra, è il luogo dove Guglielmo II amava andare a meditare. Offre un paesaggio suggestivo e straordinario. Pelekas è circondato da ulivi e arroccato su una roccia a 270 metri d’altezza, offre un’affascinante piazzetta centrale con le tipiche taverne greche, da dove si possono ammirare degli strepitosi tramonti.
La spiaggia di Kondogialos con sabbia è soffice e fondale è basso, si trova poco distante il paese ed è raggiungibile a piedi, anche in auto ma le strade sono strette e non c’è molto parcheggio.
Da non perdere La spiaggia di Pelekas è una distesa di sabbia magnifica con un piccolo porticciolo dove si trovano anche alcune buone taverne per ristorarsi.
Giorno cinque: BARBATI – Considerata dai più la spiaggia più bella della costa orientale, una fascia di ciottoli bianchi circondata da colline ricoperte di vegetazione e bagnata da un mare di un brillante color turchese. Senza dubbio l’ideale per gli amanti della natura, che possono bearsi di un paesaggio bucolico.
Gli sportivi possono scalare il monte Pantokrator passando dal sentiero che parte dalla spiaggia. Dista circa 18 chilometri da Corfù, e si trova dopo Dassia, che non consiglio, ci ho fatto una tappa ma niente di che, anzi…
Giorno sei: AGIOS STEFANOS – Si trova a circa 35 chilometri dalla città di Corfù ed è, senza dubbio, una delle spiagge più suggestive e amate di Corfù grazie al suo mare turchese. La sabbia di ciottoli è incorniciata tra le rovine delle Basiliche cristiane scoperte dall’archeologo Lorenzi e decorate con mosaici. La parte a Nord è la più bella e dove si trova una landa sabbiosa racchiusa da scogliere calcaree.
Rovine della Basilica
Aspettate il tramonto, è un momento da non perdere!
Insomma alla fine mi sono fatta un bel po’ di chilometri e non solo per raggiungere belle spiagge anche per visitare l’isola e posso dire che alla fine non mi sono pentita di aver scelto Corfù città per alloggiare, da sola in altre località mi sarei rilassata troppo e forse un po’ annoiata.
Corfù è vivace e dinamica a tutte le ore ma dall’ora dell’aperitivo serale in poi l’atmosfera è ancora più ricca e gioiosa, i locali frequentatissimi
Io adoro il mare e preferisco quello a Nord perché troppo sole non fa per me, a margine del mare cerco borghi, villaggi, arte, architettura e luoghi dove fare soste culinarie ed enoiche!
Corfù: croce e delizia L’idea di andare a Corfù a fine maggio è data dalla volontà di fare qualche giorno di mare e dal prezzo del volo Ryanair, circa 30,00 A/R.
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Dove NON mangiare sul lungofiume di Bangkok: The Jam Factory
Quando un paio di settimane fa vi ho parlato del particolare centro culturale/commerciale LHONG 1919 lungo il Chao Phraya sul versante di Thonburi, vi avevo detto che vi avrei parlato del ristorante dove ci eravamo fermati a pranzo.
The Jam Factory Bangkok
The Jam Factory Bangkok
The Jam Factory Bangkok è al tempo stesso spazio creativo, ristorante, caffetteria e libreria in quella che prima era una vecchia fabbrica, restaurata due anni fa. In effetti il posto è molto carino, interessante, piacevole. Se siete a Bangkok di sabato o domenica controllate gli eventi in programma sulla loro pagina Facebook e andate a passare il pomeriggio nella loro galleria d'arte, fra le bancarelle dei piccoli artigiani e artisti che amano incontrarsi lì e, perché no, ascoltate un po' di musica (i concerti iniziano in genere intorno alle 18). Però dovete evitare di mangiare in uno dei loro 2 ristoranti, il Never Ending Summer o il The Summer House Project!
The Summer House Project si autoproclama "Fine Euro Bistro, che vuol dir tutto e non vuol dir nulla, ma pare serva a giustificare i prezzi. Non che il cibo sia cattivo, anzi devo dire per dovere di cronaca che la qualità dei prodotti usati è decisamente superiore a quella di molti altri ristoranti ma sapore e porzioni non giustificano il costo per piatti che in altri ristoranti trovate a prezzi più bassi e con gusto affatto peggiore. Per non parlare dell'Acqua Panna, che per carità è buona ma qui la vendono un po' troppo cara per essere comunque acqua! Cosa abbiamo mangiato? Devo essere sincero,
solo se faccio uno sforzo mi ricordo che abbiamo preso un'insalata piccante di pollo e fiori di banano, dei gamberetti con curry e una fetta di dolce, il tutto accompagnato da del riso... per la modica cifra di 550 baht a testa.
Se proprio state morendo di fame, andate sul lungofiume, passate davanti all'Hilton e andate a "Be My Guest": per molto meno mangerete molto meglio! Informazioni utili:
Orario del The Jam Factory:tutti i giorni dalle 10 alle 20;
Indirizzo: 41/1-41/2 Charoen Nakorn Rd., Bangkok;
Telefono: 02-861-0950;
Zona: Klongsan;
Posizione su Google Map: clicca per vedere su Google Map>;
La creatività è contagiosa. Trasmettila. Albert Eistein
#Thonburi#LHONG 1919#mangiare#ristorante#ristoranti#The Jam Factory#The Jam Factory Bangkok#Jam Factory
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Scalare una montagna è meno faticoso, ma ne vale la pena!
Allora, partiamo dal presupposto che per me andare alla Fiera del Riso a Isola della Scala equivale a affrontare una seduta dal dentista, una giornata a stirare e 35 prelievi del sangue tutto insieme. Diciamo che se potessi evitare di: sclerare per scegliere il giorno giusto in cui andare (dura quasi un mese, ma non è mai il giorno giusto perché nei fine settimana, mettetevela via, c’è sempre strapieno) e il posto giusto dove parcheggiare, perdere un’ora di tempo facendo lo slalom tra i banchetti e la gente un pelo addormentata che va a passo di lumaca per raggiungere i padiglioni, passare un’altra ora in fila alla cassa per prendere il biglietto e altrettanto tempo per recuperare i risotti, sarebbe meglio! Senza contare poi che per raggiungere il Palariso si è COSTRETTI e ripeto costretti a seguire un percorso fatto di banchetti e bancarelle che propinano le cose più disparate: dal folletto ai flauti tibetani, dalla lavanda ai tappeti autopulenti, dai dolcetti siculi agli ombrelli che si chiudono al contrario. E tu ti ritrovi lì, con una fame da bbbestia, costretto a percorrere un km di bancarelle, seguendo la massa che scorre facendo un passo ogni 5 minuti, cercando di evitare passeggini e nonnine, tenendo per mano chi ti segue (e se ti stacchi sono cazzi! Non lo ritrovi più! Perduto, per sempre, dovrai aspettare che cali la notte e lo ritroverai da solo, in un angolino, impaurito, mentre sibilando il tuo nome, ormai senza voce, si terrà stretto tra le braccia, cullandosi con movimenti ripetitivi per autorassicurarsi).
Senza parlare dell’inferno in cui si entra una volta varcata la soglia dei padiglioni, 67867565 gradi infuocati, roba che se riuscite per miracolo a trovare un posticino in una delle tavolate, vi ritroverete probabilmente a mangiare nudi dal caldo che fa, e a desiderare che quel supplizio termini presto.
Questa è la dura realtà della Fiera del Riso di Isola della Scala. Tuttavia, mi conoscete e sapete che nulla, NULLA, mi può fermare se dall’altra parte mi aspetta del buon cibo! Perciò, convinto il mio ragazzo con suppliche e favori sessuali, una soleggiata mattina di Domenica, partiamo alla volta di Isola della Scala.
Alle casse, dopo 78 ore di attesa, decido di acquistare due mezze porzioni per assaggiare due risotti, alla modica cifra di 8,00€ (un rene praticamente). Decido che non prenderò il classico riso all’Isolana, ma opterò per qualcosa di diverso, di innovativo, che stimoli le mie papille gustative con nuovi sapori.
Vi dico solo questo: partenza ore 12:00, arrivo ore 12:30, risotto fumante davanti agli occhi 13:30, ripartenza 13:45. Scappiamoooo! Ma ne è valsa la pena, dai.
Venite a cena con me!
Location
Non c’è molto da dire a questo proposito. Sono due, i padiglioni, uno (il Palariso) totalmente telonato, in plastica, che trattiene per benino tutto il calore, 6 casse centrali (di cui una solo pago bancomat, che poi io mi chiedo, ma fai le casse automatiche, no? Come in stazione! Sai che comodità? Sai quanta fila in meno. E poi non capisco, se siete una famiglia di 35 persone, perché dovete fare tutti e 35 la fila? Non basta uno? Due? Vi mettete apposto dopo con i soldi, dai!). Gli stand dei vari risotti sono tutti a ridosso delle pareti. Nel centro taaanti tavoloni lunghissimi con panchine.
Il secondo padiglione (il Palarisitaly) è quello figo, quello dei risotti strani. Tutto in legno con grandi vetrate ma lo stesso calore dell’altro padiglione, se non altro ci si vede meglio! Anche qui due o 3 casse centrali e gli stand disposti alle estremità. Anche qui, taaanti tavoloni lunghissimi con panchine.
Niente di che insomma, una sagra, una fiera di paese, versione gigante.
Menu
Il menu si trova nella brochure distribuita direttamente in fiera, con annesso calendario dei risotti (quali risotti trovare, quando e in che stand) o scaricabile dal sito internet: https://www.fieradelriso.it/it/Risotti-Fiera-Riso-2017
Hanno tutti lo stesso prezzo e si può scegliere di acquistare o una porzione intera o mezza porzione (al costo relativo di 6,00€ per l’intero e 4,00€ per la mezza porzione). I risotti sono tantissimi, dai più tradizionali ai più ricercati e stravaganti. Ovviamente quasi tutti gli stand propongono la loro versione del classico Risotto all’Isolana (che buono!). Ricordatevi di dare sempre uno sguardo alle date sul calendario della fiera, perché alcuni risotti cambiano a seconda delle settimane!
Cosa ho mangiato & bevuto
Piatto unico n1: Riso integrale con erbe aromatiche ed ortaggi al burro di mandorla. Dopo avere ottenuto con moltissima fatica i miei biglietti per la mezza porzione mi fiondo come una Bugatti Veyron allo stand prescelto, che ovviamente si trova nell’altro padiglione (quello figo di legno, il Palarisitaly) e quindi slalom, spintoni, manate, voglio il mio risotto e lo voglio NOW!
Arrivo allo stand e fortunatamente ci sono solo 4 persone davanti a me, ma, ovviamente ci mettono un’ora ognuna perché indecise se sopra al risotto vogliono una spolverata di gomasio (tipico condimento giapponese composto di sale marino e semi di sesamo tostati e tritati) o ricotta salata. Arriva il mio turno e ovviamente io ci metto un nanosecondo, perché quando il cameriere mi guarda e mi chiede: “sopra ci vuoi il gomasio o il pecorino?” “TUTTI E DUE!” E così, in men che non si dica mi ritrovo con il mio primo risotto per le mani e decido di dare un’occhiata al secondo stand, quello dove mi aspetta la seconda mezza porzione prescelta. Non c’è nessuno, viaaa! Fate largo! Arrivo in un batter d’occhio e subito mi riempiono il piattino (ahimé piccolo) di caldo e fumante risotto caldo con verzette, pancetta tirolese e gorgonzola. Da lontano scorgo due posti liberi e corro subito ad accaparrarmeli (mamma che ansia ‘sta fiera).
Ma andiamo con ordine: il primo risotto, quello integrale con erbe aromatiche ed ortaggi al burro di mandorla. Su-pre-mo. Buonissimo. Il riso integrale è cotto aldente e perciò rimane croccante così come i tocchettini di carota e questo contrasta con la morbidezza degli altri ortaggi, come la zucchina, che invece è morbidissima, creando un gioco di consistenze perfetto. Il sapore poi, le erbe aromatiche e il profumo di mandorla giocano un ruolo decisivo nell’impatto al naso e al palato perché esaltano la neutralità del riso e della verdura. Il condimento infine è azzeccatissimo, il gomasio è profumato, saporito e croccante, il che aggiunge ancora più consistenza al piatto. La ricotta salata invece, da quella nota di morbidezza veramente strong al risotto, amplificandone il sapore. Una festa di sapori e consistenza insomma.
8/10
Piatto unico n2: risotto con verzette, pancetta tirolese e gorgonzola. Ok, fermi tutti. Io esigo subito di poter avere altri 6kg di questo risotto. Non ho parole, una delle migliori abbinate di ingredienti che io abbia mai assaggiato in un risotto.
Verzette, mobide, intense, l’odorino che emanano dice tutto (so che per molti non è così, ma a me piace un sacco l’odore della verza), si amalgama perfettamente con il gorgonzola, pungente e cremoso, e con il riso, ben cotto e tenero al punto giusto, non troppo salato, proprio per lasciare spazio alla potenza del gorgonzola e alla sapidità della pancetta, che, croccantissima, rende il tutto consistente. Il gusto è delicato, ma forte e saporito allo stesso tempo, la consistenza così vellutata conferisce al piatto una scioglievolezza (grazie Lindt) estrema, tuttavia la pancetta riamanda ad un sottofondo croccante e sostanzioso. Una mescolanza di profumi, sapori e densità diverse, ma perfettamente incastrate.
Veramente, veramente ottimo.
10/10
Acqua/bibite: Sarò onesta e senza vergogna alcuna: l’acqua, frizzante ovviamente, l’ho portata da casa! Hahahahaha! Tirchia!
Qualità & Prezzo
Cari. Troppo cari. Togliamo il fatto che per organizzare una fiera del genere ci vorranno sicuramente un sacco di soldi (ma chi li vuole tutti quei banchetti di cianfrusaglie? Chi? Io no, e lì si risparmierebbe già tantissimo). Aggiungiamo invece il tempo che passa dall’arrivo in paese al ritiro del piatto allo stand preferito, che è tantissimo. Aggiungiamo il caldo, il casino, il ricaldo afoso, il ri-casino assordante, il poco spazio, le file alle casse, le file agli stand, le file tra i banchetti, la mancanza d’aria, la ressa per trovare posto a sedere, magari al centro di una tavolata, dove non gira un filo d’aria, mi manca il respiro già ora. Aggiungiamo quindi il prezzo: 6,00€ per una porzione intera e 4,00€ per mezza porzione, dai, è inverosimile! Ogni anno che passa il prezzo a piatto aumenta sempre più. Aggiungiamo poi che se prendete una porzione intera o avete uno stomaco over-size o assaggerete un solo risotto, perché la porzione è comunque abbondante e il riso lievita, quindi terminato il piatto non farete in tempo a mettervi di nuovo in fila che la vostra pancia inizierà a dilatarsi e chiedere pietà! Aggiungiamo che se invece volete assaggiare più risotti, e quindi opterete per la soluzione mezze porzioni, spenderete un macello di soldi (2,00€ in più, che sono 4 mila Lire! Cioè un una pizza margherita e dell’acqua, oppure una coppa gelato, oppure un pacchetto di sigarette, oppure tante altre cose) per mangiare la stessa quantità della porzione intera, senza contare le file nei vari stand e tutto lo stress che ne deriva. Insomma, una tragedia sotto ogni punto di vista logistico-organizzativo. Rimane però il fattore qualità: il riso è veramente molto buono, almeno quelli che ho assaggiato io, e il classico riso all’Isolana di Melotti non delude mai (ho assaggiato quello del mio ragazzo). Avrei volentieri assaggiato un’altra mezza porzione di un risotto ad un gusto particolare, ma la sola idea di rimettermi in fila alle casse e allo stand mi ha fatta desistere, io, desistere! Vi rendete conto? Dicevo, se prendiamo in considerazione il solo rapporto qualità-bontà/ prezzo allora ci può stare, è comunque un po’ caro, ma ci sta, alla fine ho assaggiato piatti che non avevo mai mangiato prima (certo, pagare 4,00€ mezzo piatto di risotto all’Isolana mi avrebbe fatta incazzare parecchio, perché a casa mia con 4,00€ ne faccio 5 kg di risotto all’Isolana). Se invece mettiamo in conto contesto, servizio (poveri cristi i camerieri degli stand, sudatissimi e sempre di corsa, concentrati e seri come non mai, e ci sta benissimo), posateria di plastica, che spesso e volentieri si rompe (roba che mangi il risotto con la forchetta monodentata), location, clima, rumore…direi che allora no, non ne vale la pena! Anche se io, una volta all’anno, pur di assaggiarli questi risottini, mi armo di pazienza e corro incontro la muerte.
Tirando le somme
Consigliato, ma solo se andate di martedì, a pranzo! Quando non c’è nessuno. Davvero. So che la maggior parte delle persone è libera solo nei fine settimana, però potreste optare per una cena infrasettimanale, sicuramente non troverete lo stesso caos del weekend, e magari il percorso bancarelle obbligato non risulterebbe neanche così interminabile e causa di nervoso estremo. In qualsiasi caso, io ci sono andata, sono riuscita nell’intento e mi sono sfamata (non come vorrei, ma va bene dai) con dei risotti niente male. Quindi, vi lascio tutte le info qui sotto, anche se ormai per quest’anno la fiera è terminata, e voi direte: utile questa recensione, davvero molto utile! Ma vi potete rifare benissimo l’anno prossimo e, memori dei miei preziosi consigli, andare in un giorno feriale (confesso, ho appena chiesto a dio Google la differenza tra feriale e festivo, perché a 30 anni non la conosco ancora!).
Questo è l’indirizzo: via Bastia ad Isola della Scala (Vr). (Vi consiglio di parcheggiare davanti a casa di uno a caso e non nei parcheggi della fiera, se non volete ritrovarvi la macchina ocra). Il numero di telefono: +39 045-7300089
Il sito web, dove consultare orari, risotti, date ed eventi è: https://www.fieradelriso.it/
La pagina Facebook è questa: https://www.facebook.com/FieradelRiso/.
Mi raccomando, ci siamo capiti, non nei weekend!
(Risotto) Fiera del Riso, Isola della Scala, Verona – Italia Scalare una montagna è meno faticoso, ma ne vale la pena! Allora, partiamo dal presupposto che per me andare alla…
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Una modesta proposta per evitare che i lavoratori precari siano di peso ai loro genitori e al paese e per renderli utili alla società
Parodia fantapolitica contemporanea di un pamphlet di Jonathan Swift
È causa di tristezza per chi percorre a piedi queste grandi città, o viaggia per il paese, o naviga su internet, vedere le vie, le strade, le piazze, i forum, i blog, i lounge bar, stipati di giovani, di laureati, di lavoratori a progetto, co.co.co., co.co.pro., voucher socialmente utili e socialmente noiosi e petulanti, che assillano politici, assessori, consiglieri, o semplici portaborse, per ottenere stabilizzazione.
Orde di operai e stagisti che disturbano la quiete dei datori di lavoro, che cercano di scompigliare i loro piani di business, solo per avere un lavoro più sicuro, più dignitoso, mostrando un'assoluta mancanza di coraggio e volontà di mettersi in gioco in un mercato globale e flessibile: oggi come oggi se non sei flessibile fino a toccarti le punte dei piedi con le mani, sei decisamente fuori mercato.
Considerata l'attuale deplorabile condizione in cui versa il regno, pardon, il paese, penso che tutti convengano che questo straordinario numero di lavoratori precari, sulle spalle dei loro datori di lavoro, quando ce l'hanno, altrimenti alle calcagna di qualche politico che per un voto ha ingenuamente promesso qualcosa, sia un ulteriore enorme fardello; e pertanto chiunque riesca a escogitare un modo veloce, semplice, non obbligatoriamente legale, tanto si può subito ricorrere ad un decreto legge che lo redima agli occhi, spesso miopi, dei giudici, chiunque riesca a escogitare un modo moderno, bipartisan, che metta d'accordo anche i sindacati, non per forza tutti, anche due su tre mi sembra un risultato che impone rispetto, chiunque riesca a trovare una proposta che possa trasformare questi lavoratori precari in sani e utili membri della comunità, trarrebbe tanta gratitudine tra la gente che conta nel nostro paese, da meritare un premio, una statua, un ministero, magari di quelli inutili e senza portafoglio.
Il mio scopo, tuttavia, non si limita a risolvere il problema dei lavoratori precari.
Esso è decisamente di più ampio respiro, e prenderà in considerazione anche i disoccupati, gli inoccupati, quelli che cercano lavoro e quelli che hanno smesso pure di cercarlo, fino a quelli che non l'hanno mai cercato tanto è inutile; prenderà in considerazione anche quelli che rischiano il posto di lavoro, i cassa integrati, i lavoratori in nero e tutti quelli che non ricevono stipendi nati da genitori che, come onesti impiegati che pagano le tasse, siano ormai inadeguati a sostenerli.
Per quanto mi riguarda, avendo esaminato, per molti anni, questo problema spinoso, e avendo ponderato in modo equilibrato e superpartes varie proposte di altri progettisti, ministri, economisti e comici, ho sempre rinvenuto in essi grossolani errori politici e di calcolo, o meglio, di calcolo politico.
È vero che un laureato appena messo al mondo dell'inoccupazione può essere sostenuto dai suoi genitori senza quasi ricorrere ad altre risorse, per un costo complessivo per lo più non superiore ai 500 euro o l'equivalente in cibo, benzina e vestiti, cifra che i genitori riescono a procurarsi in virtù delle legittime professioni di impiegati, o operai, o commercianti; ed è proprio quando compiono il primo di anno di inoccupazione che intendo occuparmi di loro, scusate il gioco di parole, in modo tale che, invece di essere un peso per i genitori, i nonni con l'accompagnamento e quelli senza, o di aver bisogno di cibo, vestiti, benzina e soldi per il resto dei loro giorni, essi contribuiscano invece a nutrire e, in parte, vestire molte migliaia di persone.
Un altro grande vantaggio della mia proposta è che essa impedirà che questi inoccupati comincino a delinquere, o peggio si riversino tutti in qualche callcenter, spaventosa abitudine, ahimè troppo frequente, che dovrebbe commuovere e straziare anche gli animi più selvaggi e disumani: ormai c'è un centralinista per ogni consumatore, stiamo in rapporto uno a uno.
Italia, paese delle eterne divisioni: quelli che votano monarchia e quelli che votano repubblica, quelli che si sentono padani e quelli che si sentono italiani, quelli che votano democristiano e quelli che votano comunista, quelli che votano e quelli che si astengono (pensando sia la stessa cosa che votare contro), quelli guelfi e quelli ghibellini, quelli con don Camillo e quelli con Peppone, quelli che votano Berlusconi e guardano Sanremo e quelli che dicono che non hanno mai votato Berlusconi né hanno mai visto Sanremo. L'Italia, con l'avvento dei callcenter, e dopo l'enorme afflusso di laureati inoccupati e disoccupati ai telefoni, si trova davanti all'ennesima spaccatura: il paese è diviso tra quelli che chiamano e quelli che rispondono.
Il paese dello squillo.
L'Istat stima che nel secondo trimestre 2017 ci sono circa 13.408.000 italiani che né lavorano, né cercano un impiego.
In Italia ci sono 13.408.000 rassegnati.
Se prendessero come impegno solo quello di votare tutti insieme lo stesso partito, governerebbero l'Italia: con una astensione allo 0%, con 47.160.244 alla Camera, avrebbero il 30%.
Di non minore importanza è il dato sull'accoppiamento: i celibi di età compresa i 15 e i 64 anni sono 8.530.056, mentre le nubili della stessa età sono 6.810.246: c'è un disavanzo di 1.719.810 celibi che, in mancanza di italica materia prima, tali resteranno e graveranno quindi sulle loro famiglie di appartenenza.
La questione, dunque, è come sia possibile crescere e provvedere questi, considerato che, come ho già notato, nelle condizioni attuali, tutti i metodi finora proposti sono apparsi assolutamente inefficienti.
I nostri commercianti mi assicurano che i lavoratori precari, soprattutto se con poca esperienza, non sono merci vendibili, e anche quando riescono ad avere un curriculum con almeno 1 master di primo livello, uno di secondo, 5 o 6 stage non retribuiti, ed un paio di lavoretti in nero, raggiungono soltanto un valore di 1000 euro lordi mensili; anche esportandoli dove la commercializzazione degli organi tra vivi è legale e vendendoli a pezzi, non ci si guadagna un granché.
Un rene, ad esempio, se ben tenuto, è venduto a circa 5000 euro: gli imprenditori e alcuni sindacalisti italiani, però, hanno scoperto che per aumentare la produttività di un'azienda basta far pisciare gli operai 1 sola volta in 8 ore di turno (altro che tutte quelle fandonie sulla qualità del prodotto, l'innovazione e quant'altro...), questo purtroppo a scapito della qualità dei loro reni, che quindi non frutterebbero più di 2500 euro a lavoratore precario (tenuto conto anche della limitazione di poterne vendere solo uno dei due presenti).
Questa cifra non indennizza né i genitori né lo stato, se si considera che le spese sostenute per nutrirli e vestirli fino al raggiungimento di un certo curriculum sono molto superiori.
Procederò quindi a esporre, umilmente, le mie idee, che spero non susciteranno la minima obiezione.
Uno studioso in management delle risorse umane, nonché appassionato di antropologia, ultimamente molto attratto da uno studio sulla setta indù degli Agori, mi ha assicurato che un lavoratore precario trentenne, sano e ben nutrito, offre una carne molto molto deliziosa, nutriente e salutare, sia che venga servita in umido o arrostita, al forno o bollita, all'interno di un panino da fast food occidentale, e non dubito possa andare ugualmente bene se utilizzata per kebab, sia con piadina che nel piatto.
Propongo dunque, umilmente, all'attenzione del pubblico, parlante e figurante, degli spettatori e telespettatori, delle elettrici e degli elettori, che degli 13.408.000 inattivi, 500.000 siano destinati solo alla riproduzione; che i rimanenti 12.908.000 vengano venduti, ad un anno dalla laurea, ai milionari di tutta Italia, ai grandi imprenditori del paese, consigliando sempre alle famiglie di farli mangiare in abbondanza fino all'ultimo giorno, così che diventino ben grassi e paffuti per un buon pranzo.
Un solo lavoratore precario permetterà di preparare almeno due pietanze di un pranzo di lavoro tra business manager e, quando l'imprenditore si troverà a pranzare da solo, in giro per il mondo, il quarto davanti e di dietro del laureato inoccupato offrirà un pranzo decente e, condito con un po' di pepe e sale, sarà ottimo bollito anche dopo quattro giorni.
Ho calcolato che, secondo i parametri dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, un uomo regolare ha un indice di massa corporea tra 18,50 e 24,99, perciò se è alto 1 metro e 70, peserà circa 70 kg.
Mi rendo conto che il costo di questa carne sarà notevole, molto adatto quindi alle tasche di politici di un certo livello e di manager di alta fascia: dopotutto, questi hanno mangiato l'Italia e mi sembra opportuno abbiano più diritto di altri a mangiarsi anche gli italiani.
La carne di laureati italiani in cerca di occupazione sarà di stagione tutto l'anno, ma si troverà più facilmente, nelle macellerie interinali specializzate, soprattutto nei mesi estivi, perché pare che gli italiani preferiscano laurearsi prima dell'estate per meglio godersi il meritato riposo: ad un anno da questo momento, quindi intorno al mese di giugno, saranno pronti per la vendita.
I più frugali (e ammetto che la frugalità è un obbligo di questi tempi), quelli abituati a trarre il massimo profitto dal lavoro dei precari, possono scuoiare l'inoccupato dalla cui pelle, una volta che questa sia stata ben conciata, ricaveranno eccellenti guanti per le signore e ottime pelli per le poltrone dei consigli di amministrazione.
Quanto alla nostra Roma capitale, è possibile piazzare allo scopo dei banchi da macellaio nei luoghi più adatti, come nel Ministero del Lavoro, nelle sedi dei sindacati o, ancora meglio, nei centri per l'impiego.
Poco tempo fa, una persona molto rispettabile, un vero patriota delle cui virtù faccio gran conto, discorrendo della questione si è compiaciuto di suggerire un modo per migliorare il mio progetto. A suo dire, molti gentiluomini del nostro paese stanno ultimamente sterminando alcune specie di mammiferi: il WWF Italia ha anche stilato una Lista Rossa delle specie in estinzione.
La fauna italiana include 110 specie di mammiferi (specie autoctone), e 70 di queste, ovvero circa il 64% del totale, sono presenti nella lista.
Circolano voci che questa lista sia rossa proprio perché tra le specie di mammiferi in estinzione in Italia ci sarebbero anche le donne e gli uomini della sinistra italiana: in effetti questa ipotesi non regge visto che le donne e gli uomini della sinistra italiana non sono “in estinzione”, bensì già estinti o rottamati.
La persona molto rispettabile di cui sopra, ha dunque pensato che la carenza di cacciagione potrebbe essere ben colmata dalle carni dei precari destinati alla macellazione. Ha immaginato campi e boschi, gestiti da centri per l'impiego, da società di lavoro interinale, o direttamente dal Ministero di competenza, nei quali far scorrazzare liberi i precari come prede per cacciatori di teste.
Si è pensato anche a dei laghi artificiali dove far nuotare disoccupati, non troppo paffuti e pesanti, dove gli imprenditori e i loro piccoli eredi potranno divertirsi praticando una salutare pesca sportiva.
Ma con tutto il dovuto rispetto per un amico così stimabile e un patriota così lodevole, non posso essere del tutto d'accordo con lui perché, tra l'altro, non è improbabile che in un paese come il nostro, qualche schizzinoso si metta a riprovare una pratica del genere (seppure in maniera del tutto ingiustificata) accusandola di essere un tantino crudele, atteggiamento che, devo ammetterlo, ho sempre considerato la più grossa obiezione a qualsiasi progetto, per quanto ben intenzionato.
Ma ho divagato troppo e torno perciò al mio argomento.
Penso che i vantaggi della proposta da me avanzata siano molteplici ed evidenti, nonché della massima importanza.
In primo luogo essa ridurrebbe considerevolmente il numero di potenziali comunisti, cigiellini, fiommisti, che ci infestano di anno in anno con le loro idee e le loro pretese che rappresentano il peggiore degli ostacoli per la buona e piena riuscita di un piano di rinascita per il nostro paese.
In secondo luogo, gli affittuari più poveri possiederanno finalmente qualcosa di valore: i loro figli laureati precari. Per legge essi potranno essere sottoposti a sequestro in modo da contribuire a pagare l'affitto che i genitori devono al proprietario, essendo loro già stato confiscato ogni bene materiale, fino anche alla propria dignità.
In terzo luogo, aumenterà la ricchezza del nostro paese, e oltre tutto il denaro circolerà tra noi e le merci saranno prodotte e fabbricate interamente entro i nostri confini: precari a chilometro zero.
In quarto luogo, lo Stato guadagnerà sugli ammortizzatori sociali, perché i giovani disoccupati saranno un peso per la società solo per un anno.
Gli effetti di questo punto in Italia non saranno molto evidenti, poiché gli ammortizzatori sociali sono un po' scarichi: un disoccupato se prende una buca sente una notevole botta sul culo.
In quinto luogo il nuovo cibo porterà una clientela di prima scelta nei ristoranti e gli chef italiani, rinomati nel mondo, useranno ogni accortezza per procurarsi le ricette migliori per prepararlo al meglio attirando, dunque, gli italiani che contano nei loro locali sulla costa Smeralda.
In sesto luogo, la mia proposta incentiverebbe considerevolmente il matrimonio tra eterosessuali, mettendo quindi d'accordo anche i cattolici eventualmente scettici nei confronti della mia umile proposta: mettere al mondo un figlio e farlo studiare, non sarebbe più fonte di preoccupazione, ma bensì di onesto guadagno.
Aumenterebbe la sollecitudine e l'affettuosità delle madri verso i figli, dal momento che queste sarebbero rasserenate dal fatto che i loro poveri bambini troverebbero una sistemazione definitiva, assicurata in qualche modo dalla società che garantirebbe alle madri un profitto annuo senza alcuna spesa.
Assisteremmo a un'onesta competizione tra le donne, che farebbero a gara a chi mette sul mercato il bambino con più carne, e gli uomini mostrerebbero nei loro confronti lo stesso affetto che ora mostrano nei confronti delle cavalle, delle mucche e delle scrofe che figliano, e non si metterebbero a picchiarle e prenderle a calci.
Si potrebbero citare molti altri benefici, ma non ne parlerò avendo a cuore la concisione.
Non riesco a immaginare nessuna obiezione contro questa proposta, se non forse quella secondo cui, in questo modo, il numero di abitanti della nazione ne sarebbe molto diminuito. Lo ammetto senza esitazioni, ma del resto questo era uno degli obiettivi principali del progetto quando l'ho proposto.
Chiedo di considerare che il mio provvedimento è concepito unicamente per l'Italia e per nessun altro paese che fu, è o, credo, sarà sulla faccia della terra.
Perciò non mi si venga a parlare di altri espedienti: di promuovere il senso dello Stato, delle istituzioni; di abbandonare le faziosità, lo scontro violento, evitando di massacrarci fra poveri mentre un esercito di potenti invade le nostre città e le nostre vite; di stare un po' attenti a non svendere il nostro Paese e la coscienza per nulla; di infondere nei giovani il senso di giustizia e meritocrazia; di esortare i politici a partecipare alla vita delle istituzioni solo per un periodo limitato della propria esistenza e gli uomini di affari a uno spirito di onestà e competenza, soprattutto quando questi uomini d'affari sono anche i nostri politici.
L'Italia è un grande paese, non un grande affare.
Perciò, lo ripeto, nessuno mi venga a parlare di questi o altri espedienti simili, se non esiste la pur minima speranza che qualcuno provi sinceramente e appassionatamente a metterli in pratica.
Ci siamo fiaccati per anni nel tentativo di proporre idee vane, futili e visionarie, e per quanto mi riguarda, sono giunto al punto di disperare del successo: ho avuto la fortuna di concepire questo progetto, che, essendo interamente nuovo per il nostro paese, ha qualcosa di concreto e tangibile, non prevede alcuna spesa e quasi nessun incomodo, regge completamente sulle nostre forze e su quelle delle classi più povere e disperate del nostro sistema, e dunque non comporta pericolo di creare disturbo alle lobby e alle caste del nostro paese.
Non sono il presidente del consiglio in carica, né quello ombra, né un ministro dell'attuale governo, perciò non sono perdutamente innamorato della mia opinione: non respingerei qualsiasi progetto, presentato da uomini assennati, che risultasse altrettanto semplice, conveniente, realizzabile ed efficace.
Dichiaro, in conclusione, di non avere il minimo interesse personale nell'avanzamento di questa opera necessaria, e di non avere altra motivazione se non il bene pubblico del mio Paese: sono solo un italiano che propone un modo che sacrificherà le carni dei suoi giovani compatrioti, ma ne salverà finalmente il loro onore.
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Vomito..
Oggi è stata una giornata memorabile! Mi pento solo di non aver portato La Polaroid.. dunque, oggi sono andata a vedere questi benedetti voti di maturità. Sono ufficialmente matura! Con 87. Sono happy, ho lo stesso voto di Martën. Siamo andati così da Mimmo a festeggiare. C'erano tutti. Arm, Albarosy, Carlomaio,Tudor, Ancona, Paolo e Mascia.. è la classe. Ci siamo divertiti un casino, i prof si sono ubriacati con noi, hanno detto una cifra di parolacce e hanno finalmente svelato altarini. Inoltre un nostro compagno di classe, rosicava e fa "strano che loro so uscite con lo stesso voto.." e G, si è incazzato e fa "pensa a te che non dovevi nemmeno essere ammesso. Non parlare di chi è bravo da sempre e non solo all'esame." Lo amo. Io e Toast ci siamo messi anche a cantare "Dragostea din tei" e ballarla intorno a tutti in modo monotono. Io ho mangiato la frittata con le zucchine mischiata alla torta di Mirtilli. Infatti ho vomitato. Ma era più colpa delle birre. Le 5 birre. Quelle grandi.. Saëd,Toast e Yli che cantano Dragostea Din Tei come nel video⬇️
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Limbo
Io lo capisco perché molti ragazzi della mia età, tra i 25 e i 30 anni, decidono di farla finita. Tra 25 e 30 anni dovresti creare la tua vita, gettare le fondamenta del tuo futuro, e iniziare a darti una stabilizzazione. Più ci si avvicina alla cifra tonda e più sale l’ansia di sentirsi realizzati.
Se, come me, hai preso la facoltà sbagliata e l’hai continuata per fare felice qualcuno che ami, e nel frattempo non hai avuto abbastanza palle per mettere i puntini sulle “i” ed iniziare con qualche esperienza lavorativa vera, fuori dal nido, allora ti senti affogare, perché quello che fai non ti piace e non lo vorrai fare per lavoro, per cui rimandi e rimandi il momento in cui dovrai scendere davvero nell’arena.
Se anche tu ti sei chiuso/a dentro casa, per cercare di dare quei fottuti esami maledetti e pesantissimi, ma che puntualmente evitavi di prendere in mano o preferivi fare altro, anche guardare una mosca interessantissima svolazzare e posarsi sul muro, per ben nove anni, ritrovandoti a 28 anni con tutti gli esami fatti e ne manca solo uno, tesi pronta e non riesci a trovare la forza per finire ... Be’, benvenuto nel club!
Se ti sei privato/a di tutto, usando un pc come unica finestra sul mondo, lanciandoti in amicizie sbagliate, niente vacanze vere, feste con gli amici, storie d’amore per chat, amori disperati e inconcludenti, foto osée e tanto tempo perso, senza mai qualcuno che ti abbracciasse o ti prendesse veramente per mano, qui c’è un’altra deficiente che ha fatto tutto questo.
Se negli anni che hai passato ad una scrivania, hai mangiato per colmare i vuoti, arrivando ad ingrassare e a pesare più di cento chili... e tutti i tuoi vestiti, la tua bellezza, la capacità di fare sesso come lo facevi a 23 anni sono finiti nel cesso.. presente!
Ma allora dovrei mollare? Ma manco per niente. Queste crisi, questo limbo, mi deve aiutare a capire chi io sia veramente e quello che voglio davvero, conoscermi, amarmi, capirmi, e, sì, prendermi le mie responsabilità, perché di quelle che si parla. Io ho sempre avuto paura di diventare grande e di confrontarmi con l’esterno, ho sempre cercato protezione, quando si sa, nella vita vera non c’è mai e bisogna buttarsi!
Non è colpa della luna o delle stelle della mia infelicità, ma solo di me stessa, perché non mi amo e non lavoro duro per cambiare il mio destino, la mia persona, la mia vita.
Ormai è tempo... Tempo di uscire dal limbo!
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Chapter 36 - Coffee Pet Restaurant
Ginevra
Ha riempito le tazze di caffé a due clienti che stanno consultando dei libri. Ha scambiato qualche chiacchiera cortese con loro, per poi tornare verso il bancone. Indossa una gonna ampia verde e una camicia rossa i cui primi bottoni sono lasciati aperti. Ha anche la cravatta del direttore, con il nodo perfetto, ma lasciato lento ad appoggiarsi sul petto proprio sotto quei bottoni aperti. Anche le calze sono rosse e ai piedi indossa gli anfibi, allacciati per bene. Lascia la caraffa al suo posto e si siede sullo sgabello, attiva il McBook e scorre un file già aperto sullo schermo. Solo il tempo di controllare qualcosa, poi avvicina uno dei libri posati sul bancone. E' uno dei libri antichi arrivati in mattinata, l'agente ha controllato la scatola, producendo un certo nervosismo in Ginevra. Avvicinato uno di quei libri; afferra una matita e dopo aver raccolto i capelli in una specie di chignon dietro la nuca, li blocca proprio con quella. Lo sguardo e tutta la sua attenzione sono ora per quel libro di cui per prima cosa controlla, quasi millimetro per millimetro la copertina.
Malcolm
Torna solo ora dalla sede dell’FBI, senza fermate intermedie. Un agente lo molla all’ingresso della libreria e la sorveglianza si scarica da un agente all’altro. Varca la soglia, indossa un completo grigio, una camicia bianca e una cravatta blu con righine sottili e chiare disposte in diagonale. «Buonasera Miss Durand» saluta educatamente avvicinandosi al bancone, è rivolto verso di lei col corpo e lo sguardo, forse pronto a salire su al primo piano. E’ piuttosto stanco, non quanto ieri naturalmente, ma comunque non sono certo i suoi giorni migliori. Osserva quel libro che Ginevra aveva per le mani, cerca di fare conversazione, col suo modo sempre piuttosto formale, benché pacifico, ed anche piuttosto impacciato. «Sembra antico.» constata, un po’ teso e a disagio. Forse il bancone lo nasconde ma sta già picchiettando le dita sulla gamba nel suo solito modo.
Ginevra
Apre la copertina e resta a fissare la firma dell'autore sotto il titolo. Apre un cassetto sotto il bancone e ne tira fuori un raccoglitore che apre e inizia a sfogliare quasi con rabbia, si ferma su una pagina specifica e riprende il libro che avvicina, sta confrontando le firme «e che cazzo!» esclama, facendo voltare l'agente e i clienti «lo sapevo! Non ci si avvicina nemmeno lontanamente!» Chiude la copertina del libro e se lo dà sulla fronte tre, quattro volte, poi lo posa sul bancone espirando dal naso. Resta a guardarlo, assorta. Poi chiude il raccoglitore e lo rimette al suo posto. Rovescia il libro per guardarne il dorso, e in quel momento arriva Malcolm di cui però perde il saluto. Alza lo sguardo su di lui quando ormai è al bancone e commenta il libro «Signor Barnes!» stupita di vederlo lì, sia lì, direttamente al bancone, che lì proprio, quando avrebbe potuto farsi accompagnare a fare una passeggiata o qualsiasi altra cosa, lontano da lei. «Il libro è antico» conviene «e anche di valore» fa una pausa «diciamo orientativamente intorno ai settantamila dollari» serra le labbra, finora ha parlato con tono normale, quando riprende lo fa con tono seccato, di rimprovero al nulla «se un qualche cretino non avesse deciso di metterci la firma dell'autore per farci più soldi e rendendolo ... Inutile!» parlando ha sollevato il libro e sull'ultima parola lo sbatte sul bancone.
Meredith
«La ringrazio, ecco a lei» si rivolge all’autista del taxi con cortesia, quindi scende, poco distante dalla libreria. Si avvicina al portabagagli, lo apre e recupera una busta di cartone rigido con il logo Armani ed un borsone, richiude, facendo attenzione a non sbattere. Si distanza dalla macchina e fa cenno al tassista che può ripartire, lui alza una mano in segno di saluto, ma lei è già di spalle, che si avvia verso il Coffee Pet Restaurant. Indossa un sobrio completo grigio ghiaccio, giacca e pantaloni , dal taglio semplice ma elegante, una camicetta bianca e decolleté nere. Non indossa make – up ed i capelli sono sciolti, leggermente mossi, lunghi quasi tutta la schiena. Sul viso il lieve cruccio, quell’aria di star sempre valutando mentalmente qualcosa. Cammina verso la libreria con passi svelti, decisi, di chi ha una meta ed una certa premura di raggiungerla.
Malcolm
Accoglie il suo stupore pur senza capirlo, poi la ascolta: oggi effettivamente ha parlato davvero molto poco, anche all’FBI. «Hm» mormora, vagamente sorpreso di quella cifra ma solo perché sono davvero moltissimi soldi. Quando la vede innervosirsi per via di quella firma mancante, quasi arretra di un piccolo passo: non è spaventato, questo no, ma più che altro nuovamente sorpreso. «E, a parte questo, come sta?» le domanda, forse un po’ preoccupato ma non lo dà troppo a vedere. Ancora non si avvede di Meredith perché è appunto concentrato su Ginevra, ma sicuramente quando entrerà darà istintivamente un’occhiata alla porta e cercherà di andarle incontro, probabilmente per liberarla dal peso del borsone.
Ginevra
Certo è che la reazione avuta è dettata non solo dall'aver trovato una filma falsa su un libro di valore, i falsi nel suo campo sono quasi la normalità. Tutto un insieme di cose, che covano, sembra trovare il suo fulcro in quel libro che riprende in mano «ma come si può...» commenta a se stessa e lo fa ricadere nella scatola mentre lo sguardo torna su Malcolm. Solo ora si accorge che si è distanziato e la cosa per qualche motivo le fa abbassare lo sguardo che, subito dopo, va a rivolgere al tavolo con i due clienti «bene, oggi sono entrati persino ben due clienti» calca con la voce quel "ben due" e prosegue come fosse parte dello stesso discorso «Cleo non ha mangiato quasi niente» corruga la fronte «forse devo scrivere a Joyce ed anche ad Aleksander» annuisce poi a confermarsi che deve «volevo anche uscire in bicicletta, ma...» alza le spalle e guarda verso l'agente «lui non era d'accordo a corrermi dietro»
Meredith
Continua a camminare verso la Libreria, il ritmo della sua camminata è scandito dal rumore dei tacchi, si muove più svelta quando raggiunge il marciapiede. Controlla l’interno attraverso la vetrina per pochi istanti, quindi si avvicina alla porta e la apre con la mano con cui tiene la busta. La spinge e mentre guarda dentro saluta con tono non troppo altro «buonasera» individua Ginevra e Malcolm al bancone, quindi si dirige verso di loro.
Malcolm
Ascolta tutta quella concatenazione di frasi, sul come stia lei, e non si aspettava qualcosa di buono ovviamente, anche perché la reazione di Ginevra gli risulta più che comprensibile. Qualunque siano i motivi. Quando lei parla dell’agente di guardia, Malcolm si volta un momento a guardarlo senza alcuna espressione particolare, per poi tornare su Ginevra e avvicinarsi di nuovo. «Mi dispiace» afferma per l’ennesima volta in questi giorni, con un tono basso e sincero. In questo caso gli dispiace di tutta questa situazione in cui ha ficcato Ginevra, privata a tutti gli effetti della sua libertà. Dice solo questo, due parole sicuramente sentite anche se resta sempre serio e granitico. Con un certo sollievo si dedica quindi all’ingresso di Meredith che attira la sua attenzione. «Miss Moreau, buonasera» ricambia il saluto e come abbiamo detto, le va incontro per liberarla quanto meno del borsone. «Dia pure a me» afferma con una formale gentilezza. «La ringrazio» dice quindi, riferendosi al fatto che si è data la pena di andare a casa sua e prendere quello che è stato chiesto. Non le esprime la sua preoccupazione sull’ordine che vigerà ora, perché sa che non è normale, come non è normale avere la roba appesa in modo equidistante, o piegata e disposta perfettamente allineata. Quindi torna da Ginevra: «Miss Durand, spero non le dia fastidio l’ingombro di questo borsone in casa» dice con sincerità, si sente a dir poco invadente anche se è una cosa necessaria.
Ginevra
Scrolla le spalle «non è mica colpa tua» mormora in risposta a Malcolm e riporta lo sguardo su di lui, dischiude le labbra per proseguire ma non lo fa. Non può certo dirgli che va bene avere due clienti al giorno e non poter usare la bicicletta pur di svegliarsi e vederlo dormire. Proprio non può e il pensiero le produce una espressione imbarazzata, ma per fortuna arriva Meredith. Si fa per dire, per fortuna. Finalmente, per la gioia di Malcolm saranno in quattro in casa, loro due, la moglie di Malcolm e Rachel. Osserva l'agente entrare e le sorride spontaneamente, nonostante il fardello che porta con sè «Buonasera Meredith» stavolta il nome lo ricorda. Guarda poi il borsone di cui Malcolm parla e che ingombro vuole dare un borsone rispetto alle foto richieste... «nessuno» risponde al giornalista, esprimendo ad alta voce la parte terminale di quel pensiero «e comunque ho fame» aggiunge
Meredith
Quando Malcolm le va incontro lo osserva, quindi gli lascia il borsone con una certa delicatezza, come se contenesse qualcosa di fragile. Lei si è perfettamente resa conto di quanto l’ordine sia a dir poco importante per Malcolm, essendo stata nel suo alloggio e avendo raccolto la sua roba, praticamente sta attenta a non smuovere troppo il borsone perché, per quanto possibile, li dentro ha messo tutto in ordine. Quando lui aprirà il borsone troverà l’ordine degli indumenti esattamente identico a come si trovava nei cassetti del suo alloggio, ogni pila indumenti ha lo stesso numero di elementi e le pile non si sovrappongono. Insomma per quanto possibile ci ha provato. «Di nulla. Nel suo alloggio ho fatto attenzione a non scomporre ciò che non era necessario e a rimettere a posto quel che ho mosso, o cercato per quanto possibile di lasciare tutto esattamente com’era. Nel borsone c’è quello che ha chiesto» spiega con la solita calma, il tono che non supera mai un certo volume, gli rivolge un cenno di sorriso, quindi gli porge anche la busta «qui c’è la scatola, se se lo stesse chiedendo, non ho curiosato, ho aperto solo per controllare fosse la scatola giusta e quindi ho visto solo cosa ci sia in cima» sembra del tutto sincera, la discrezione è evidentemente una cosa importante per lei, il tono è quello di chi offre delle semplici spiegazioni che ritiene utili. Quindi rivolge un cenno di sorriso anche verso Ginevra, che osserva in tutta la sua sfavillante discromia «come va oggi?» con una punta di cordialità.
Ginevra
Osserva il passaggio di consegne e quando è certa che Malcolm non la veda, solleva lo sguardo al cielo ed espira dal naso. Quando riabbassa lo sguardo, lo punta direttamente su Meredith «Bene grazie! Lei?» le sorride di nuovo «è stata a casa del Signor Barnes, pensi che io nemmeno ho l'indirizzo» lo dice a mò di normale conversazione, prosegue come fosse parte della stessa frase «a lei piacciono i gatti, Meredith?» fa una pausa brevissima «penso che ora chiamo il ristorante giapponese per ordinare del sushi» corruga la fronte «ma non so se lui lo mangia» perplessa e con "lui" ovviamente si riferisce a Malcolm
Meredith
Lascia a Barnes le sue cose, quindi presta attenzione alla donna che le si rivolge e fa spallucce «tutto bene, credo di dover trovare un alloggio» la butta lì, evidentemente una cosa a cui stava pensando. «beh, attualmente coincide con il suo, no?» cenna di nuovo un sorriso, sempre sollevando l’angolo delle labbra e sorridendo con gli occhi, senza sorridere apertamente con le labbra. «piacere forse non troppo, li trovo affascinanti, piuttosto» spiega, in tutta franchezza, mentre si gira intorno, come cercando il gatto che ha visto la sera dell’inaugurazione «Non saprei, il sushi è un cibo molto ordinato, forse gli piace» sollevando leggermente le spalle, non c’è ombra di giudizio nel suo tono, anzi, sembra effettivamente interessata alla questione.
Ginevra
«mh...ordinato, eh?» pensandoci su, poi annuisce «vedremo...» scuote il capo, per poi sollevare le sopracciglia «ah un alloggio! Ha visto le case al Garden District? A poter permettersela una casa con giardino e piscina!» sorride e afferra la scatola con i libri arrivati e che ancora è sul bancone, per poi chinarsi e posarla a terra «Ogni vado a passeggio lì e mi fermo a guardare i giardini, quelli che sono visibili dalla strada almeno. Vuole un po' di caffè?» indicandole le caraffe con il caffè e le tazze non distanti «si serva pure. La coabitazione coatta non è proprio un bel modo di condividere un alloggio» insomma... l'ordine nell'espressione dei pensieri non fa certo parte delle abitudini di Ginevra, ma non è colpa sua, è che i pensieri sono tanti e tutti spingono per uscire e qualcuno ogni tanto salta la fila e viene fuori quando non c'entra niente.
Meredith
Annuisce lievemente quando chiede “ordinato eh?”, quindi ascolta il resto e scuote lievemente il capo «in realtà non ho avuto molto tempo di girare, sono qui da un paio di giorni» cenna un sorrisetto «a potersela permettere si..» fa spallucce «ma io non sono nella posizione di pensare stabilmente ad una casa del genere, sono stata trasferita tre volte in tre anni» il tono è assolutamente leggero, da conversazione che non nasconda disagi per quello che si afferma. «Le sembrerà strano, ma sono un’americana a cui non piace il caffè» ammette guardando verso la caraffa per un istante «sono sicura che se fosse una sconosciuta o una persona di cui non si fida, il signor Barnes non avrebbe accettato di restare qui con lei» la osserva qualche istante «vi conoscete da molto?»
Ginevra
«oh» sorpresa «ma allora quando è venuta all'inaugurazione era appena arrivata!» esclama «ma che bello! E' venuta subito qui» le sorride spontaneamente, compare la fossetta sulla guancia sinistra «scelga un libro, Meredith!» indicandole poi l'insieme della libreria «qualsiasi libro, ne scelga uno ed è suo!». Appoggia le mani sul bancone e «qualche mese...» abbassa poi lo sguardo e prosegue abbassando la voce «io invece sono sicura che preferirebbe uno sconosciuto a me» si stringe nelle spalle e rialza lo sguardo sulla donna, le sorride di nuovo, come se non avesse detto quanto ha appena detto «Quale è il suo genere preferito?»
Meredith
Annuisce con un sorriso lievemente più aperto, probabilmente contagiata dall’inaspettato entusiasmo di Ginevra «Esattamente, il tempo di poggiare i bagagli in albergo e farmi una doccia» quando viene invitata a scegliere un libro si gratta appena con l’indice destro dietro la nuca «hum, scelgo a caso?» non si fa pregare, ama i libri, non è un caso che sia andata all’inaugurazione dopo averne avuto notizia. «io credo proprio di no. Come mai pensa questo?» rispondendo alla donna mentre guarda gli scaffali di libri, cercando di capire se siano ordinati per genere, per autore o per titolo «narrativa, poesia, noir» guarda tra gli scaffali, cercando quelle categorie, decisa a pescare casualmente, affascinata dall’idea di scegliere ed essere scelta da un libro.
Malcolm
Mugugna solo un verso che nasce sulle labbra, nel momento in cui Ginevra gli ricorda che non è colpa sua: lascia cadere l’argomento, è sicuramente meglio. D’altronde poi arriva l’agente Moreau. Recupera il borsone da Meredith e immaginiamo già la tranquillità di quando lo aprirà e noterà tutte le accortezze. L’agente lo informa della delicatezza avuta nell’appartamento e lui si ritrova a guardarla con una strana aria di profonda gratitudine, come se un qualche pezzetto di questo caos che dura da qualche giorno fosse tornato al suo posto. «Grazie» risponde infatti molto seriamente e con un tono piuttosto eloquente su quanto apprezzi lo sforzo. Forse c’è anche un certo imbarazzo, dato giusto dal sapere perfettamente cosa Meredith abbia trovato negli armadi, un ordine quasi alienante. Gli viene porta anche la busta e il giornalista posa per un momento il borsone a terra, prendendo quella busta con entrambe le mani, proprio ad attribuirle fondamentale importanza. A quel punto gli viene anche comunicata la discrezione presa nei riguardi del contenuto, abbassa lo sguardo: «E’ stata molto gentile» commenta soltanto, sentendosi enormemente grato. D’altronde sa bene quale foto c’è in cima e non gli dispiace che Meredith abbia visto quel volto, visto che è capitato. Istintivamente, a questo pensiero, mentre sposta la busta in una mano sola e si accinge a prendere il borsone, il pollice della mano sinistra va a strofinare un momento la fede sull’anulare. Un dettaglio molto fugace, prima di recuperare anche il borsone ed informare Ginevra. Annuisce in merito al non-ingombro dato dal borsone e non immagina (o forse sì ed ignora volutamente il pensiero) che Ginevra reputi così intrusive quelle foto. Per lui è così normale considerarle parte di se stesso, da non considerare eccessivo l’attaccamento. «L’agente mi ha portato un po’ di indumenti e le foto che avevo chiesto.» le spiega con un tono meramente informativo. «Vogliate scusarmi, salgo su a lasciare queste cose.» dice, per poi sparire appunto di sopra e ricomparire dopo un po’: il tempo di aver aperto il borsone (da dove tuttavia non ha tolto nulla), il tempo di guardare quelle foto come è sua (maniacale) abitudine fare e rinfrescarsi un po’ la faccia, per lavare via stanchezza, emozioni e preoccupazioni.
Ginevra
Segue con lo sguardo Meredith, i libri sono organizzati per genere e poi in ordine alfabetico per Autore e ovviamente distinti per casa editrice. Sta per risponderle, ma sente Malcolm scendere le scale alle sue spalle e quindi glissa «scelga a caso, o almeno non badi al prezzo» annuendole, poi si volta verso Malcolm «lei mangia giapponese? A presto!» la seconda parte ovviamente è rivolta ai due clienti che lasciano la libreria. Riporta lo sguardo su Malcolm e, per qualche motivo, è di nuovo a disagio. Solleva il piede destro piegando indietro a gamba e va ad appoggiarne il collo al polpaccio sinistro.
Meredith
Alla gratitudine di Malcom avrà risposto un semplice «Di nulla», seguito da un sorriso appena accennato. «si figuri, non mi sembra corretto intromettersi nella vita di qualcuno senza il suo permesso» una pausa, riflette su quanto ha detto e si rende conto che probabilmente stride con quello che fa per vivere «a meno che non sia un criminale, chiaramente» il tono ironico, risponde a Barnes prima che lui salga e quindi ora è li che sta vagando per gli scaffali citati, chiude gli occhi, si muove un po’ avanti, un po’ indietro, quindi allunga una mano e la fa scorrere sui bordi dei libri. Si ferma, ne sfiora un paio con le dita sottili, quindi ne sceglie uno e lo sfila dalla sua collocazione, per poi aprire gli occhi e puntarli curiosamente sulla copertina «Tai-Pan» una pausa «di James Clavell» legge ad alta voce, per farsi sentire da Ginevra «che ne pensa?» apre il libro e lo sfoglia brevemente e con delicatezza, con cura, inspirando per sentirne l’odore.
Malcolm
Tempo di scendere le scale e Ginevra parte all’attacco con una domanda sul cibo. «Oh..» dice un momento, per tornare con la mente ai discorsi di Ginevra. «Sì, mangio un po’ tutto.» conferma senza problemi, stringendosi anche un momento nelle spalle, come a dire che giapponese o pizza, lui si adatta. In fondo è un giornalista investigativo e ha girato un sacco, basta questo per immaginare che non si possa fare molto gli schizzinosi. «Non so usare le bacchette, semmai» rivela così, tanto per completare il quadro di lui che mangia giapponese. Con le bacchette è proprio impedito. A Meredith che a quanto pare ha scelto un libro e chiede un parere, lui risponde quasi istintivamente, perché è abituato a sentirsi rivolgere queste domande. «Andava molto ai miei tempi. Fu un best-seller nel ’66 e per ben dieci anni, se non sbaglio. Un romanzo storico se si apprezza la storia cinese.» spiega, anche se non glielo ha chiesto nessuno. Viene chiamato il Professore, ci sarà pure un motivo no?
Ginevra
Sorride sentendo il titolo, è un sorriso quasi malinconico «l'avventura coloniale in Cina, la fondazione di Hong Kong...» annuisce e sorride «è un ottimo libro» lo indica «quella poi, è una prima edizione, del 1966. Sono certa che ne sarà affascinata e poi...» sorride di nuovo, più ampiamente ora «è stato il libro a sceglierla, non può mica rifiutarlo» vagamente divertita e si volta verso Malcolm che spiega il libro, rubandole il lavoro praticamente. Resta ad osservarlo qualche secondo in più, per il fatto che abbia letto quel libro e non per l'attimo del "salgo in cattedra". Abbassa poi lo sguardo «chiamo il ristorante» quello giapponese ovviamente. Apre il cassetto sotto la cassa ed estrae lo smartphone, cerca in rubrica «pronto a dirmi cosa prende» guarda poi Meredith e l'agente «anche voi ovviamente! Anzi... ecco» con la mano libera posa un blocco e una matita sul bancone «scrivetelo qui»
Meredith
Ascolta le informazioni fornite da Malcolm mentre guarda le pagine del libro, soffermandosi poi sulla prima e chiudendolo infine «perfetto, sarà interessante allora, grazie mille» a Malcolm, per l’apprezzatissima breve lezione, lo guarda nel ringraziarlo, sofferma lo sguardo su di lui qualche istante, chissà a cosa starà pensando in quel frangente, quindi si avvicina a Ginevra, tornando verso il bancone «la ringrazio per il dono, avrò cura di questa prima edizione» la guarda negli occhi nell’esprimere la propria gratitudine che suona a appare sincera e molto sentita. Quando viene invitata a prendere parte alla cena rivolge un’occhiata all’Agente che sta li, non sembra esserci confidenza tra i due, dopotutto lei li non conosce nessuno se non da poche ore. Sembra riflettere sulla proposta qualche istante, quindi solleva appena le spalle e si avvicina al blocco, afferrando la matita «e sia» rispondendo ad alta voce alle domande poste solo nella propria testa a se stessa. Scrive il nome di alcuni tipi di sushi tra i più classici e conosciuti, immaginando che siano con più probabilità nel menù del ristorante in cui non ha ovviamente mai mangiato.
Malcolm
Quando si ritrova con Ginevra che lo guarda più a lungo, ricambia con uno sguardo dapprima un po’ interrogativo e poi dubbioso: «Scusi» dice comunque, supponendo di essere stato invadente a parlare del libro, quando la libraia lì è proprio lei. Quando poi è il suo turno di scrivere sul blocco cosa vuole mangiare di giapponese, appunterà sushi di salmone e/o tonno. Sì, scrive proprio “e/o” ad indicare la possibilità che sia un misto o un sushi esclusivo di uno dei due pesci. Mentre Ginevra sta ordinando al ristorante, Malcolm riprende a parlare con Meredith con la solita distaccata cordialità: «Se poi le interessa James Clavell, è stato piuttosto attivo anche in campo cinematografico.» le dice soltanto, ma senza che stavolta spieghi niente di più, l’informazione si apre e si conclude lì.
Meredith
Si poggia la bancone su un fianco, dall’altro lato infila la mano nella tasca del pantalone del completo. Alterna lo sguardo tra Ginevra e Malcolm, quindi si sofferma su quest’ultimo quando le offre quell’ulteriore spiegazione. Annuisce e l’espressione si fa interessata « Sono sempre una frana come i nomi dei registi, anche dei film che mi colpiscono raramente ricordo il loro nome» lo ammette come una colpa, sembra la cosa le dispiaccia effettivamente. «Che film ha fatto? Sempre a proposito di storia cinese?» l’interesse è confermato dalle ulteriori domande, dopotutto il cinema e la letterature sono entrambe cose che l’appassionano particolarmente.
Malcolm
Non avendo nulla da fare, ascolta Meredith mantenendosi sempre molto serio, persino la sua postura un po’ rigida ed estremamente composta esprime la serietà. Riflette per qualche momento così da poter rispondere all’agente. «Be’ non sono esperto di James Clavell, ma … a proposito di storia cinese mi pare abbiano adattato proprio il romanzo che ha scelto. Per il resto conosco solo due titoli a lui attribuibili, però come sceneggiatore. Ma non sono su quell’argomento. Uno è “La grande fuga” con Steve McQueen e l’altro è “La mosca”, un horror fantascientifico dai toni molto kafkiani» la informa, con quel tono un po’ accademico che si ritrova ad avere, soprattutto perché mantiene costantemente una cortesia formale.
Ginevra
Intanto lei ha effettuato l'ordine e ne ha approfittato per inviare un sms prima di riporre il cellulare. «tra massimo venti minuti saranno qui» lo mormora appena per non disturbare la loro florida conversazione. Si sposta dal bancone passando dietro Malcolm e va a sistemare i tavoli in modo che ci stiano tutti, allontanandosi così dai due. Sposta i tavoli e le sedie scompagnate con un modo che sembra altamente concentrato.
Meredith
Inconsapevole di essere un diversivo al nulla da fare, o forse consapevole della cosa, ascolta, ed annuisce lievemente, dando cenno di aver sentito e capito « detesto gli Horror, un genere di cui non capisco il successo» sembra contrariata dalla cosa, il tutto palesato da un'espressione quasi di fastidio, con la rughetta al centro tra le due arcate sopracciliari che si fa più marcata. La sua postura è altrettanto composta, caratterizzata da quella rigidità militare sporcata da una grazia ed una femminilità innata, affatto ricercata. «Grazie» a Ginevra, quando annuncia il termine di arrivo del sushi. La sua espressività non tradisce altro che tranquillità, ma in se sente un certo disagio al momento, ad essere li, una vaga sensazione di intrusione nell’aver accettato l’invito, cosa che ha fatto per un misto di educazione e curiosità.
Malcolm
«Ottimo, grazie» replica a Ginevra che li informa delle tempistiche della cena e intanto si accorge dell’arrivo di un sms visto che sente la vibrazione del telefono nella tasca dei pantaloni. Ma prima di dare un’occhiata, risponde a Meredith: «Sì, anche io, in realtà. Quelli e la maggior parte dei western» rivela riguardo alle preferenze cinematografiche. Solo a quel punto, dopo un: «Mi scusi» va a guardare l’sms arrivatogli e aggrotta la fronte in un moto di perplessità, proprio di chi si sta ponendo qualche domanda. Poi rimette a posto il cellulare e va ad osservare Ginevra e il modo in cui sta sistemando tavoli e sedie. Si allontana verso di lei e cercherebbe di affiancarla, standole molto vicino, più di quanto sia confortevole per lui ma deve parlare sotto voce perché non vuole che sentano i due agenti. «Cosa significava?» domanda, sinceramente perplesso, sussurrando a brevissima distanza da lei.
Aleksander
La Lamborghini si ferma poco fuori quella vetrina, li dove ha rivissuto l'esperienza "fantastica" del vedere qualcuno morire.. perchè è li? fondamentalmente non lo sa neppure lui, l'orologio che lo tiene sotto controllo da parte di quelle menti deviate, è sempre al suo posto, così come la minaccia che rappresenta, nessuna comunicazione in quei giorni, e nessuna scossa letale - ha presunto anche quella - il che gli lascia ben sperare che non lo abbiano scoperto, e li ora è alla fin fine per accertarsi, nonostante rischi, di come stia Ginevra, vista visibilmente scossa, con ovvie ragioni, per quanto accaduto, pertanto rischio o meno, parcheggia quell'auto e scende. Avvolto in un semplice completo blu scuro, alta sartoria come sempre, ma nulla di vistoso o fuori dalle righe, camicia bianca sotto, nessuna cravatta, gemelli ai polsi e quell'espressione stanca, un volto smunto ma non sofferente, la migliore maschera è inserita su quel volto, come sempre, come è costretto ad essere, recitando su quel palco per proseguire a vivere
Ginevra
Alza lo sguardo da quanto sta facendo, si rivolge all'agente «Eh no, agente, lei mangia con noi!» gli dice e allarga le braccia «qualcuno, poi, il cibo dovrà assaggiarlo per essere certo che non sia avvelenato!» eeeeeeh i pensieri felici, ma insomma come scusa per l'aver mangiato in servizio dovrebbe andar bene. Guarda Malcolm che le si avvicina. Si avvicina. Si avvicina. Si avvicina. Insomma è proprio vicino! Questi pensieri le fanno venire sul viso una espressione di perplessità e di dubbio, poi al suo mormorare «cosa?» con l'aria di chi cada dalle nuvole e così, dal nulla, «naaaa naaaa naaaa nanana na nanana na Hey jude!» inizia a canticchiare con un ritmo un po' più rock dell'originale muovendosi verso la porta per aprire al ragazzo delle consegne. E anche Aleksander in arrivo, da fuori, potrà vederla arrivare davanti la porta a vetri praticamente saltellante a tempo di quello che sta cantando.
Meredith
Alla risposta di Malcolm annuisce brevemente, quindi lo osserva armeggiare con il cellulare e poi dirigersi verso Ginevra, quando i due sono vicini distoglie lo sguardo, per non essere indiscreta, con un lievissimo sospiro abbassa lo sguardo e poi prende il libro che ha pescato poco prima, lo apre e si mette a leggere la prima pagina. O almeno così sembrerebbe, forse però al posto di leggere le parole stampate su quella vecchia carta sta ragionando sul restare o andare con una qualsiasi scusa.
Malcolm
Le si avvicina e sussurra, ma Ginevra fa finta di cascare dalle nuvole e il nostro brontolone non lo sopporta, perché a quel punto quella gli sembra quasi una presa in giro. Soffia un respiro quando Ginevra inizia a canticchiare e va ad aprire al fattorino del ristorante giapponese. Malcolm invece resta lì e scuote leggermente il capo, mandando giù un groppo fastidioso. La osserva ancora e nota pure Aleksander in arrivo. E insomma, si prospetta una cosa con troppe persone e Malcolm non ne ha voglia. Lo si chiami pure brontolone e asociale, ma non è in vena di fare una cena fra amici (??) a brevissima distanza da dove è morto Phil. Guarda nel punto in cui ricorda il cadavere, si perde per un lungo istante e prende un respiro consistente. Aspetterà che siano tutti più o meno capaci di sentirlo e soprattutto l’educazione impone che saluti il nuovo arrivato: «Buonasera signor Romanov» tono educato ma sostanzialmente piatto ed evasivo. Sì, sta una favola anche lui. Quando saranno tutti dentro e i saluti di rito svolti, dirà rivolgendosi in generale a tutti: «Vogliate scusarmi, ma sono molto stanco. Buon proseguimento.» dice, e stanco lo è effettivamente, ma fino a pochi momenti prima sembrava piuttosto disponibile a cenare. Invece ora, ancora per un giorno, a letto senza cena. Cerca in effetti di avviarsi verso il bancone così da salire al piano superiore.
Aleksander
Mani in tasca della giacca scura, lasciata leggermente aperta, la barbetta incolta, brizzolata come sempre, i capelli scomposti, che non seguono un senso preciso, due occhiaie leggere attenuate da crema probabilmente, si pongono sotto quegli occhi scuri. Apre così la porta di quel caffè letterario per far capolino all'ingresso nel suo metro e novanta d'altezza, l'artista privo di security o quant’altro, mai montato, sempre riservato, e forse la sua croceè stata questa, non avere bodyguard o che , in quel caso quella dannata sera.. troppi se o forse, sono le certezze ora il problema, e con quelle deve convivere. Arriva con il fattorino giapponese in pratica a quanto abbiamo capito, e fa capolino dalla porta elargendo un cenno verso Ginevra, scorgendo poi Meredith e Malcom «oh buona sera.. » allungando gli occhi scuri su Malcom che lo chiama per cognome «Mister Barnes... buona sera a lei..» sorrisi no, non li finge, a questo non riesce ad arrivare, non in quel luogo, e Malcom si congeda si, lui da canto suo resta un attimo muto, riflessivo, annuendo «certo... buon riposo.. » volgendosi poi verso Meredith e Ginevra, soffermandosi su questa «spero di non disturbare, ero venuto per sincerarmi .. bhe per sapere come stavi» bello spiccio insomma
Ginevra
Lascia entrare il fattorino «Prego, prego... metta tutto lì» indicandogli il tavolo «si, si, è tutto sul mio conto, grazie» e l'attenzione viene catturata da Aleksander «Hey!» gli sorride, spontaneamente, con la fossetta sinistra che compare sulla guancia sinistra «entra... sto bene e...» si volge verso Malcolm che sta andando verso il bancone, corruga appena la fronte «entra» di nuovo ad Alek e gli indica i tavoli «mangia qualcosa, conosci già l'agente Meredith?» agente e nome di battesimo.. perfetto. Suona benissimo. E all'agente si rivolge ora «Meredith» gli indica Aleksander «Lui è... beh... Aleksander... iniziate a mangiare» aggiunge in fretta «scusate» e si muove come se avesse una urgenza e infatti ce l'ha: intercettare Malcolm ai piedi della scala.
Meredith
Se ne sta ancora li, ferma, con un fianco poggiato al bancone. Con la destra tiene il libro, mentre la sinistra è poggiata al petto e le dita sottili giocherellano con il ciondolo a forma di fiocco di neve che porta al collo e che è visibile dallo scollo formato dai primi bottoni della camicetta bianca, fuori dalle rispettive asole. Al saluto di Aleksander solleva lo sguardo verso di lui, e nel riconoscerlo esita un istante prima di rispondere, quindi replica con un normalissimo «Buonasera» e quindi ascolta Malcolm ed il suo inaspettato annuncio, lei che sa fare calcoli ben più complicati con le persone, quelle semplici addizioni le risolve in poco, avendo osservato Malcolm e Ginevra durante la serata. Lo guarda e solleva le spalle «beh, buonanotte allora..» il tono palesa il suo scetticismo per la stanchezza del giornalista, ma non commenta altro. La presentazione di Ginevra la fa quasi ridere, non si era effettivamente mai sentita appellare con agente e nome di battesimo, con il lieve sorriso suscitato da quel principio di risata si volta verso Aleksander ed allunga la mano destra verso di lui «Piacere» il tono seppur basso suona cordiale, intanto fa cenno al fattorino di avvicinarsi.
Ginevra
Il cellulare vibra sul bancone, ma non se ne rende conto, raggiunge i piedi della scala, dove Malcolm sta per salire «Signor Barnes...» a richiamarne l'attenzione, sia mai che voglia ignorare il suo arrivo lì «Devi mangiare» glielo soffia tra i denti, quel "devi" è calcato, ma più che un ordine, suona come una supplica. LO guarda in viso con quell'espressione mista tra la supplica e la domanda. Non comprende cosa sia successo, non sembrava poco incline alla cena, ma qualcosa è cambiato e lei non sa cosa sia
Aleksander
Si ritrova in quell'attimo di empasse e semplicemente per ora va a fingere che quell'orologio al polso non esista, pensa ad altro e bhe c'è di che pensare li c'è da dirlo.. Già vedere Ginevra che sorride spontanea è un toccasana, non sta male, non è sotto shock ed è una cosa che sicuramente registra, accenna un sorriso ma lo sguardo resta serio, «ne sono felice..» muove qualche passo e si trova ad incrociare lo sguardo con Meredith intercettata solo in poche parole a quella stessa inaugurazione «no, non ho avuto il piacere, non formalmente» Abbassando quindi il capo e allungando la mano verso quella della donna «piacere mio » lui è proprio necessario si presenti suvvia?.. un attimo di silenzio,una stretta sicura e salda, ma non "materiale" un che di composto ed elegante anche in quel fare, lasciando poi andare la mano della donna, e richinando il capo, diciamo che non va di baciamano solo perchè poi me lo chiamate bacucco e vorremmo evitare ecco, ma alle parole di Ginevra la fronte che si aggrotta, quella stanchezza e nervosismo che viene dissimulato dalla stanchezza, seguendo i passi di Ginevra via «si certo, ma non volevo scomodarti.. mangiate voi, tranquille» alternando lo sguardo sui presenti e distogliendolo, da Malcom/Ginevra vedendo la direzione del passo di lei, quindi volgendo lo sguardo scuro verso Meredith «agente di?.. se posso chiedere ovviamente » chiedendo quindi per interesse, avendo visto quella sera presente polizia e fbi e quindi non sapendo la collocazione specifica della donna, al contempo non propriamente tranquillo dello star in presenza di un esponente delle forze dell'ordine, con l'ovvio terrore che chi lo tiene sotto controllo possa sentire ogni parola e sapere con chi si trova insomma, quante persone sta mettendo in pericolo dannazione.
Malcolm
«Grazie» risponde in generale sia a Meredith che ad Aleksander «Buonanotte» aggiunge, abbassando lo sguardo, prima di voltarsi e raggiungere il bancone e poi la scala, dove però viene fermato da Ginevra che lo richiama. Lui sospira, si ferma mentre stava per salire il primo gradino e si volta, non interamente. «Non ho fame» ribatte a voce piatta, la solita risposta che ha dato ultimamente. Poi si volta del tutto verso Ginevra «Mi spiega cosa significava quel messaggio?» domanda col viso un po’ contratto, in un’espressione fra la perplessità e la tristezza.
Ginevra
Corruga la fronte a quella dichiarazione sulla fame «perché mi sta mentendo? Ha persino ordinato» indicando verso i tavoli «non lo avrebbe fatto se non aveva fame» afferra un istante il labbro inferiore tra i denti prima di rispondere alla sua domanda «non volevo che fosse a disagio» ammette abbassando lo sguardo sui propri piedi.
Malcolm
La ascolta e risponde sincero ma cupo: «Non le sto mentendo. Priva avevo poca fame e ho fatto uno sforzo. Ora non ne ho.» la questione è molto semplice e lui la rivela senza problemi. Sente quella spiegazione di Ginevra e la scruta più a lungo, giusto qualche secondo: «A disagio? Perché dovrei essere a disagio?» domanda alla donna, con l’aria di chi vuole proprio saperlo. Perché non riesce effettivamente a seguirla.
Meredith
Non ha bisogno della presentazione, in effetti, è una sua ammirata ascoltatrice ma non lo dice ne sembra dimostrarlo, non mostra particolare entusiasmo, ne imbarazzo, ma sembra piuttosto sollevata, forse perché c’è qualcuno con cui condividere quell’atmosfera particolare, che poi sia anche tra i suoi cantanti preferiti è un dettaglio. Alla stretta risponde con una presa delicata, ma ferma. Guarda Ginevra con Malcolm solo per un istante, quindi parla con il fattorino, pagando «la ringrazio, arrivederci» lo osserva andarsene e di nuovo guarda verso Aleksander «mangi pure, ho la vaga sensazione che altrimenti mangerei da sola» parla a voce bassa, non in modo da nascondere quel che dice, ma in modo da non disturbare chiunque sia nel locale e non sia coinvolto nella conversazione. «Agente Federale» specifica «anche se Agente Meredith sembra più il titolo di una qualche buffa sitcom» lo dice con ironia ma sembra piuttosto convinta della cosa «come sta? Non è stato uno bello spettacolo l’altra sera» lo osserva, analitica come sempre, soppesandone le parole, la mimica e la gestualità.
Aleksander
Lascia a Malcom e Ginevra modo di poter parlare tranquillamente, non pare più rivolger loro attenzione, comprendendo nel post serata - inerente alla passata serata - come le cose siano un po peculiari, e quindi rivolgendosi a Meredith della quale post stretta lascia la mano notando il suo pagare il sushi e accogliendone l'invito «bhe, almeno ve lo avrei offerto volentieri io.. » essendo un bar non aveva portato nulla per non apparire strambo, ma ora pare sentirsi in colpa quasi. Si avvicina quindi al bancone e osserva il cibo «al Sushi difficile dire no, e sinceramente mi dispiacerebbe anche lasciarla a cenare sola » abbassando la voce così da non importunare gli altri due, una voce bassa, leggermente graffiata, profonda, più arrochita nel parlato che non nel cantato li dove si estende il diaframma e si espande la sonorità, addosso la solita acqua di colonia che sa di tabacco benchè non fumi, e un retrogusto di whisky lascia rivelare il suo profumo, figlio di un cicchetto fatto prima di recarsi li, del resto reggere quelle maschere, quella vita degli ultimi giorni, non è semplice no. Si avvicina al bancone quindi con Meredith e gli rivolge un accenno di sorriso, «oh, complimenti...» ma diciamocelo sentire un agente del fbi li lo porterebbe a fuggire se solo potesse o urlare della situazione terribile in cui si trova se solo non rischiasse la vita lui ed altre persone, quindi tace e si limita a quel sorrisetto annuendo «effettivamente, ha un che di buffo lo ammetto » commenta scuotendo il capo «ma la prego, se non le è problematico, mi dia pure il tu» alla fine estremamente alla mano e semplice nonostante la vita che fa e la propria fama «sto bene.. » ma si spariamomezze verità, quell'ultima morte è solo un altra goccia, e per fortuna nulla che ha a che fare con lui o almeno così pare, quindi una sorta di tranquillità la prova «non glielo chiedo di rimando, è un agente sarà temprata fino al midollo..»
Ginevra
Scuote il capo restando con lo sguardo verso il basso, si prende qualche secondo prima di rispondere «già è costretto a stare qui e non vuole» fa una pausa prima di riprendere «essere costretto anche a stare necessariamente in mia compagnia...» lascia un che di sospensione in fondo alla risposta, alza lo sguardo su di lui «perché devo sempre rispondere a tutte le domande e tu invece» fa un gesto vago con la mano a indicare un tutto o il non sapere come proseguire «fai sempre finta di niente e ciao» protesta, il tono di voce rimane comunque basso perchè quanto dice sia al solo beneficio di Malcolm
Malcolm
Resta ad ascoltarla, poggiandosi stancamente di lato al muro della scala, abbandonando un po’ quella postura rigida. Cerca di elaborare quello che gli viene detto da Ginevra e non è semplice andare a risponderle, dopo aver ignorato le sue proteste. «Non sono a disagio a stare qui, né in sua compagnia.» dice a voce bassa e un po’ esausta, abbassando la testa, si fa più cupo e triste. «Anzi è stato meglio. Da solo sarei impazzito probabilmente.» confessa ancora, senza il coraggio di guardarla negli occhi. E’ parecchio teso e stringe più volte la mano sinistra a pugno, tormentando compulsivamente anche le dita. Quindi si mette a sedere sul primo gradino della scala, poggiando il viso su una mano, ad occhi chiusi e si costringe a controllare il respiro. «Lo so che ho fatto una scenata, me ne dispiace. Non dormivo da tre giorni, è successo quello che è successo, ed ero chiuso dentro da troppe ore, in uno spazio che vedevo sempre più stretto e soffocante. Non sono a disagio per lei, d’accordo?» si risolve, cercando di spiegare un po’ i motivi di quel crollo, mentre si massaggia nervosamente la fronte. «E non sono mai stato bravo ad adattarmi a cambiamenti così improvvisi.» afferma velocemente, come se fosse una frase da far sfuggire all’orecchio umano. «Ora posso andare?» domanda esausto.
Ginevra
Serra le labbra, solo un momento «No» con un che di protesta infantile a rispondere alla sua ultima domanda. «Non pensi mai che qualcun altro possa aver bisogno di qualcosa che non siano i tuoi sensi di colpa?» fa una breve pausa «perché anche quelli riguardano te, non gli altri» sembra aver deciso di vomitar fuori i pensieri degli ultimi giorni, con la voce leggermente incrinata e il tono sempre basso «mentre giocavi a fare l'agente dell'FBI, oggi, hai mai pensato che io ero qui» alza il braccio ad indicare verso il punto in cui Phil, pace all'anima sua, è morto «con il fantasma di Phil, per tutto il santo giorno?» lasciando ricadere il braccio «oppure hai pensato a come ci si senta ad essere esclusa da tutto.. non mi hai detto cosa ti ha riferito» Phil, ovvio «non mi hai detto di Eva» allarga le braccia per lasciarle ricadere «no, certo, il signor-collaboro-con-l'FBI non ha tempo per questo» quanto dice non nasconde accuse, è solo il modo che ha trovato per dire come sta lei «Hai chiesto di che cosa avessi bisogno io?» scuote appena il capo e deglutisce, indica la scala oltre Malcolm «hai le tue foto, ora, per chiuderti nel tuo mondo in cui non c'è spazio per nessun altro» non c'è, nemmeno nel tono, alcuna intenzione di ridicolizzare quelle foto o il perché se le sia fatte portare, non c'è nemmeno accusa o sarcasmo, ma solo la consapevolezza che possono essere in due, in tre, in quattro, lì dentro lei continua e continuerà ad essere da sola.
Malcolm
Sospira quando si sente rispondere il primo “No” da Ginevra e quindi si costringe a stare lì. La ascolta, le prime frasi hanno lo stesso effetto di un pugno violento nello stomaco. Bastano quelle per coprire anche tutto il resto, resta a testa bassa ad incassare i colpi senza poter effettivamente dire molto. Resta immobile, sembra quasi indifferente alla cosa, ma in pratica sta piangendo. Le foto recriminate gli tornano alla mente, ora probabilmente è il momento giusto per tornare a guardarle. Infatti si alza in piedi per cercare di avviarsi salendo all’appartamento. «E’ per questo che mia moglie mi ha lasciato.» commenta con la voce rotta e la testa bassa. «Esattamente per questo. Io sono un egoista con sensi di colpa, è questa l’unica verità» e non lo sta dicendo per vittimizzarsi ma perché ci crede davvero, specie ora. «E non posso dare niente di diverso a lei né a nessuno.» commenta, tornando a salire lentamente per le scale per andare a dormire, dopo aver sfogliato le sue fotografie come fa tutti i giorni.
Ginevra
Si metterebbe a urlare e battere i piedi e invece lo osserva salire i primi gradini per poi rispondergli, a tonalità da essere udita e se sentono anche gli altri, beh, saranno educati e faranno finta di niente «e io invece sono ancora qui» abbassa poi la testa, mentre lui si chiude in casa, espira profondamente e resta qualche minuto ferma lì. Si volta poi e si avvicina al bancone da cui recupera il cellulare. Legge un messaggio ricevuto e risponde velocemente, torna poi verso Aleksander e Meredith, non perde di rivolgere uno sguardo all'agente che nei pressi delle vetrine sta mangiando il suo sushi, attento a tutto quello che accade fuori. Lui, la vera vittima di tutto questo, costretto a lunghe giornate con due disadattati. «Com'è il sushi?» domanda ai due, raggiungendoli, non finge una allegria che non ha, non ne sarebbe nemmeno capace.
Aleksander
Ci sono gli onigiri? no perchè se ci sono lo si vedrà intento ad azzannarne uno, stavolta con la destra mano e non con le bacchette ovviamente, un po di salsa di soya, che ci piace e non poco, e ecco che il pezzo è portato alle labbra, non commenta in alcun modo, si limita ad un cenno e a quel sorriso stanco, la maschera sul volto regge bene ma la stanchezza, quella si è palese, Meredith non si sbilancia, lui accenna quel sorriso si, «mm mi sa che le lettere di rimostranza non le accetta.. » vedessi che papirone avrebbe scritto lui Meredith guarda!, ma tralasciando questo, le parole di Ginevra vengono udite si, ma appunto siamo educati e quindi Alek fa finta di nulla, e si limita a trovarsi quella domanda di Meredith li fra capo e coda, deglutisce quel pezzo e prende un ampio respiro «io ci sono nato ... » alza le spalle «quando ci nasci, quando volente o nolente sei "il figlio di" e tuo padre oltre ad essere famoso, c'è anche morto in tutto ciò, allora impari a convivere con questa realtà, a far vedere agli altri solo quello che vogliono vedere » sincero in effetti, traendo un ampio respiro, e quindi volgendosi verso Ginevra che torna «buono... mangia qualcosa su.. » preoccupandosi per la donna ovviamente e invitandola a sedersi
Meredith
Mangia un secondo pezzo di sashimi al salmone, che sembra la cosa che predilige tra quelle presenti, ed annuisce circa la rimostranza. Quando sente Ginevra non si volta verso gli altri due, fa evidentemente finta di non sentire ed intanto ascolta la risposta, guarda Aleksander, resta in silenzio un istante, come indecisa sul rispondere o meno, ma poi dischiude le labbra, palesemente scegliendo la sua schiettezza al posto di sorridere ed annuire come forse converrebbe fare «ma io ho chiesto come fai, non cosa fai » lo dice con un mezzo sorriso, sottolinea quella differenza come se ciò che le interessasse sentire non fosse presente in quella risposta che è anche ovvia, essendo lei una totale sconosciuta qualsiasi «ma questa forse è solo un altro modo di intromettersi nella vita di qualcuno solo perché è famoso» aggiunge, in una sincera autocritica, arrivata da una riflessione avvenuta quasi in concomitanza con quanto detto poco prima, lei che mette sempre in dubbio tutto, se stessa per prima. Quindi si volta verso Ginevra e le porge uno dei pacchettini di bacchette «è molto buono» commenta, con tono gentile.
Ginevra
«No, grazie, mi è passata la fame» si stringe nelle spalle «e tra poco vado a dormire, sto dando tempo a Barnes di fare le sue cose» fa una pausa poi sembra rendersi conto «ma voi restate, tanto l'agente» lo indica con un cenno del capo «ha le chiavi, apre e chiude e fa un po' come cavolo gli pare» alza le mani girandosi verso l'agente «giustamente agente!» con tono appena divertito, che non è finto. E' che Ginevra è così, i tram la investono, fanno anche retromarcia dopo averla investita, per finire il lavoro, ma lei si spolvera i vestiti e si mette a inseguire puffi o gnomi (con l'accetta, gli gnomi, non lei). «Grazie per essere passato Aleksander» si avvicina anche per dargli un bacio sul lato della fronte, se lui permette, e va con una mano a scompigliargli i capelli, in un gesto d'affetto, perché questo anziano signore con l'Alzheimer le è simpatico, con quella sua aria da vicino di casa, nonostante il nome «peccato solo non poterlo mettere su Twitter» sospira «avrei fatto il botto con "rinchiusa sulla scena di un crimine, ma Romanov passa a trovarmi"!» cita l'ipotetico Tweet. «A proposito, hai visto quanto cuori e likes al nostro Selfie?» si rivolge quindi a Meredith «La celebrità, qui» indicando Alek «ha accettato di fare un selfie con me, così che potessi farmi la splendida» sorride «Grazie Agente Meredith e...» guardandoli entrambi «scusatemi se vi ho abbandonati per cena, è solo che qui...» lascia sospesa la frase e scuote il capo prima di avviarsi anche lei verso la scala
Aleksander
e quindi nulla, lui mastica quasi distratto, e Meredith va a notare quella sfumatura, lui aggrotta la fronte, pare rifletterci «in parte ti ho risposto anche a quello, benchè sia forse difficile da comprendere fra le parole dette » ammette lui riflessivo «ci sono nato, questo implica che o lo fai o lo fai, e pertanto il "come" si esaurisce nell'atto pratico del "cosa" » Lei si autocritica, lui scuote appena il capo «figurati, domandare è lecito» Ginevra è il solito vulcano, in modo particolare come sempre, seppure con quelle sfumature differenti, «Tranquilla.. » glielo dice di cuore e si lascia assestare quel bacetto in fronte e la scompigliata di capelli, quantomeno se fosse oggetto delle mire di chi lo controlla, sa che ha chi la tiene al sicuro, ovvero l'fbi, e questo in parte lo tranquillizza, «Di nulla Ginevra.. anzi, prima di andar via ti lascio il mio numero , così se hai bisogno di qualunque cosa puoi contattarmi direttamente » sicuro in quello esalando poi un sospiro «facciamo finire tutta questa storia, poi tutti i selfie che vuoi.. » una promessa eh, annuendo poi al suo dire sui like «ho visto ho visto» prende un ampio respiro, scuote il capo «davvero, non preoccuparti, ora torno anche io, sai l'età.. la stanchezza » cercando di scherzarci su sulla falsa riga del loro solito fare, alzandosi e lasciando un bigliettino sul bancone «li sta il numero te lo prendi domani con calma » sorridendole «buona notte. cerca di riposare Ginny... » scuotendo appena la mano come dandole modo di non aggiungere altro, osservandola muoversi verso la scala, prossimo anche lui al congedo in tutto ciò parrebbe
Meredith
Resta per qualche istante con le bacchette incartate sollevate, verso Ginevra, poi le posa si nuovo sul tavolo ed annuisce. Sorride divertita dalla reazione della donna e dal suo scambio con l’agente di guardia, apprezzandone la leggerezza, nonostante tutto. Apprezzamento che si può evincere forse solo dal sorriso un po’ più convinto degli altri soliti. Ascolta il resto, guardandola ed annuisce con la stessa espressione semi-sorridente, quando la chiama di nuovo Agente Meredith la guarda dubbiosa, valutativa «che dice, mi prendono sul serio se in ufficio sulla targa scrivo Agente Meredith?» una, pausa, quindi risponde ancora «non si preoccupi, sono giorni difficili» comprensiva, osservandola poi andare via «Buonanotte Miss Durand» saluta, quindi poggia le sue bacchette sul bancone e torna a guardare Aleksander alle cui parole non risponde nulla, lo guarda e basta, con il suo solito susseguirsi di ragionamenti e considerazioni solo nella sua testa. «vado anche io, qui mette a posto il nostro fantastico Agente» con un’occhiata verso la vetrata, si tasta le tasche dei pantaloni del completo, come a sincerarsi di avere con se tutto e tira fuori il telefono «immagino a te non serva un taxi» mentre compone il numero per chiamarne uno
Ginevra
Sorride e annuisce ad Aleksander per il biglietto da visita, quindi a Meredith «e perchè non dovrebbero?» perplessa, davvero, per lei dovrebbero prenderla molto sul serio anche perché è un agente e si chiama proprio Meredith, insomma il ragionamento non fa una piega. Nella sua testa. Solleva la mano a saluare entrambi. Sale senza alcuna fretta la scala ed entra in casa, dopo aver sostato qualche istante sul pianerottolo. Chiude la porta alle sue spalle, a chiave ovviamente, anche se sa che non serve a niente chiudere le porte contro i fantasmi. Va direttamente verso il bagno per prepararsi per la notte, ne uscirà dopo circa venti minuti, indossando il suo pigiama dal taglio classico in grigio-argento, pantalone largo e giacca. Ha sciolto i capelli. Dopo aver rivolto uno sguardo a Malcolm già addormentato, si infila nel letto dal lato opposto a quello occupato dal giornalista, spingendosi verso il margine esterno. Fa girare il cuscino per abbracciarlo appoggiandosi sopra la guancia e anche stanotte impiegherà molto tempo a prendere sonno e quando lo farà sarà un sonno condito di incubi e spesso interrotto.
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