#ho chiamato SEI volte in una settimana per un problema LORO e stasera mi è stato risposto malissimo
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riconoscimenti per accedere alla banca be like "cordialmente ci invii i suoi documenti, la targa dell'auto, un campione di dna, la taglia dei piedi, una copia delle chiavi di casa sua, la password di netflix, la sacra sindone, i documenti di immigrazione del suo quatrisnonno greco"
#domani entro in banca e cago alla reception basta#ho chiamato SEI volte in una settimana per un problema LORO e stasera mi è stato risposto malissimo#poi ho richiamato e mi è stato risposto meglio da un altro operatore#impiegata zoccola di intesa san paolo sappi che ti ho messo il malocchio
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Sacrifice, Chapter 28
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Tu questa sera ti dichiarerai..."disse Steve
"Cosa? No! Non esiste!"
Poggiato di spalle sulla cucina dello scantinato di Sam, James Barnes stava trovando ancora una volta una scusa per non potersi dichiarare a Wanda. Aveva raccontato loro, pochi giorni prima, di come si era preoccupata quando è dovuto scappare via a casa il venerdì prima. Oppure di come, sempre la stessa, lo aveva chiamato due giorni dopo l'accaduto. Ma aveva omesso il fatto che quella sera stessa si era addormentato e aveva fatto quel sogno.
"Non voglio sentire repliche, tu lo farai e basta"anche Sam era d'accordo.
"Sam non è così facile come credi"
"Certo che sarà facile! Insomma vi mangiate con gli occhi, ci fosse una volta in cui non la guardi mentre parla o spiega qualsiasi cosa, l'accompagni a casa tutte le volte. Non smetti di parlare di lei, se mi dici che non sarà facile allora spiegami quale sia il problema"
"Steve, è la stessa cosa che accade fra te e Natasha..."
"Non deviare il discorso..."rispose il sottoscritto deviando il suo.
"Beh può essere ma sappiamo perché Steve non corre con Natasha, ricordi l'episodio di Rumlow?"
"Okay ma..."
"Ma cosa? James ancora non lo capisci? Wanda è la ragazza perfetta per te, ti ascolta, ti supporta e ti aiuta. Un mondo completamente diverso da quello di Sharon, se starai con lei ti sentirai libero finalmente..."
"Va bene, va bene...mettiamo che io stasera lo faccia e se potrebbe andare qualcosa storto?"
"Cosa potrebbe andare storto?"chiese Steve un po' interrogativo.
"Ho un un presentimento, come se ci fosse qualcosa di grandissimo fra noi due che non mi permetta di stare insieme a lei"disse lui buttando fuori la sua paura di fronte ai suoi migliori amici.
"Può essere qualsiasi cosa James..."disse Sam.
"Non mi dire che questo presentimento ha a che fare con la questione di tuo padre"disse invece Steve
"No, lui non c'entra è...è come se fosse qualcosa che io non riuscirò mai a superare..."
"Sei il mio migliore amico, so quanto sei forte. E so benissimo che qualsiasi cosa sia potrai affrontarla benissimo"disse Steve avvicinandosi e poggiando le sue mani sulle spalle di James.
"Per ora supera la paura di poterti dichiarare a lei"disse Sam un po' spiritoso.
James abbassò di poco lo sguardo, riflettendo sulle sue parole mentre Steve e Sam continuavano a guardarlo. Sapevano entrambi che aveva passato una settimana infernale e il meglio che potevano fare era quello di rimanere al suo fianco.
"Io andrò a prendere il resto..."disse Sam rompendo il silenzio che si era creato.
"Vengo subito..."disse Steve.
Darlene, la mamma di Sam, sapendo delle serate che suo figlio passava insieme al resto dei ragazzi si offriva sempre di cucinare qualcosa. E diciamo che conveniva a chiunque ed era l'unica possibilità di vedersi tutti insieme, una volta alla settimana senza troppe esagerazioni. Era divertente, era bello. James se ne era dimenticato, visto che fino a poco tempo fa era solito a partecipare, in fondo era costretto, a quelle feste che Sharon organizzava ogni fine settimana nella sua casa enorme. Ma ritrovata la pace con sé stesso, i suoi vecchi amici e qualcuno di nuovo, credeva che qui, questo posto era adatto per lui.
"Ehi, James..."una voce lo fece girare e di fronte a sé comparve lei.
La guardò dalla testa ai piedi e anche con qualcosa di semplice addosso non la smise di guardare. Avevano ragione, Sam e Steve avevano fottutamente ragione. Indossava una gonna nera a vita alta, una maglia a tre quarti bordeaux e sopra un maglioncino grigio chiaro. Le calze velate e gli anfibi erano dello stesso colore della gonna. Infine, anche stavolta, i suoi occhi verdi erano cerchiati di nero, ma giusto di poco.
"Wanda..."
Lei si avvicinò di poco e senza che lui si aspettasse questo gesto, lo abbracciò. James rimase veramente sorpreso ma piuttosto che pensare a questo gesto improvviso, riuscì a goderselo. Wanda aveva le braccia attorno il suo collo e James circondava la sua schiena con le braccia. E lui avrebbe voluto rimanere cosi per sempre.
"Come stai?"chiese lei.
Stando abbracciati era come se la voce di Wanda risuonasse di più del normale, era come se James sentisse la sua voce nel cervello.
"Meglio...ora"disse lui stringendola un po' di più e affondando con la testa nel suo collo sentendo il suo profumo.
Wanda sorrise di poco e prima che scesero gli altri tre si staccò da lui ma si continuarono a guardare. E quando Steve, Natasha e Sam scesero e lì videro non restarono per niente sorpresi.
Sam e Steve gli fecero un sorriso un po' ammiccante, convinti del fatto che James si fosse dichiarato ma non è stato così. Natasha invece sorrise semplicemente e per fare in modo che l'attenzione non fosse completamente su di loro, andò a poggiare la ciotola con i popcorn sul tavolino di fronte alla TV.
"Allora? Diamo il via a questa serata?"chiese lei.
Passarono tre ore, tutti e cinque erano esausti per colpa delle mille risate che si fecero ma subito dopo il divertimento svanì lasciando il posto alla noia. Avevano pensato a fare di tutto, ma nulla sarebbe servito per far passare il restante del tempo.
"Mi sto annoiando"disse Natasha sbadigliando.
"Mi aggrego"disse Sam.
"Ho provato a rendere la serata un po' divertente ma ora non ho più idee..."disse Wanda andandosi a sedere sulla poltrona.
"Si è stata divertente ma non quando quel cretino mi si è buttato addosso"disse Sam.
"Potevi tranquillamente spiccare il volo uccellaccio, se pensi che io sia pesante"rispose James all'esortazione di Sam che era ancora dolorante.
Dolorante per cosa? L'idea di Wanda è stata quella di un Twister improvvisato, solo che lei dettava regole, posizioni e colori mentre il resto giocava e ovviamente non poteva succedere diversamente. E mentre giocavano, James e Sam erano gli unici ad essere rimasti in gara. Solo che per colpa di una mano messa male James è caduto su Sam provocando che il secondo si facesse male e che il primo scoppiasse a ridere insieme agli altri tre.
"Oddio, quella scena è stata troppo divertente"disse Steve iniziando a ridere.
"C'è un modo per poter rendere la serata ancora divertente"disse Sam alzandosi definitivamente.
"Quale sarebbe?"chiese James bevendo dal bicchiere.
"Potremmo fare un salto..."
"...alla festa della Carter"continuò Sam.
"Cosa? No, non esiste!"disse Wanda andando nel panico.
"Sam, credi sia veramente una buona idea?"chiese Steve mentre guardava Natasha.
"Ho detto solo un salto, non dovremmo stare tutta la notte! Dai andiamo, che sarà mai?"chiese lui.
"Sai che io non ho proprio voglia di vedere Sharon e la stessa cosa anche lei?"chiese Wanda di rimando.
"Oh andiamo Wanda, ci saremo noi con te. Ci sarà James...e la stessa cosa vale per Nat, voglio solo uscire per un'ora da questa casa e te lo giuro non succederà niente"
Beh, facile a dirsi per Sam che non aveva problemi con le feste come Wanda. Preferiva veramente restare qui, con loro senza l'ansia che troppi problemi si sarebbero creati con sua madre oppure proprio con se stessa. Ma diciamo pure che per una volta voleva anche lei rompere un po' le regole, quindi anche se solo per poco avrebbe voluto andare via da lì anche lei.
"Okay, basta che a mezzanotte torno a casa"disse lei rivolgendosi a tutti quanti e notò solo ora che James stava guardando male Sam.
"Tutto okay?"chiese lei ma non ebbe risposta poiché subito uscirono di casa per andare alla festa.
Arrivarono ad una casa enorme, con tre piani e un portico grandissimo. Nel giardino dell'entrata si poteva sentire già la musica a palla che proveniva dall'interno e le voci, che più che voci erano urla, della tanta gente che Sharon questa sera aveva invitato.
"Sai quanta gente ci sarà?"chiese Steve.
"Sai quanto sarà ubriaca quella tanta gente che ci sarà?"chiese di rimando Sam.
"Resteremo per un'ora Sam, non per tutta la notte vedi di trovare parcheggio da qualche parte"disse invece James seduto dietro.
"Io direi di andarcene"disse Natasha presa dal panico improvvisamente.
"Che ti prende?"chiese Wanda mettendole una mano sul ginocchio.
"Natasha odia questo posto, non solo per Sharon..."spiegò Steve a grandi linee.
"E allora per cosa?"chiese Wanda.
Ma la bionda non le rispose, Sam trovò subito parcheggio e scesero tutti e cinque insieme dirigendosi verso il marciapiede di fronte e proseguendo arrivando fino alla mega entrata della villa della Carter. Steve aveva un braccio attorno a Natasha che si stringeva di più al suo petto, Sam camminava dietro di loro e James camminava di fianco a Wanda con gli occhi bene aperti.
"Sai cosa succede a Natasha?"chiese lei a James.
"Non mette piede qui dentro da tre mesi, da quando si è litigata con Sharon..."
"Sharon e Natasha erano amiche?"
"Si, anche se non ho mai capito il motivo per cui abbiano litigato"
"Beh, colpa di Sharon credo, no?"chiese lei in maniera retorica mentre saliva gli scalini dell'entrata ma James la fermò subito prendendole il polso.
"Cosa c'è?"chiese lei guardando il suo polso avvolto nella mano di James e anche lui. Un contatto che le faceva venire i brividi.
"Resta sempre al mio fianco, non ti muovere da vicino a me. Qui dentro non sai la gente che trovi, non voglio che ti venga fatto del male..."disse lui guardandola.
"Okay"
"Wanda, sono serio..."
"James, sei l'unica persona di cui potrei fidarmi di più in mezzo a tutta questa gente. Lo so che sei serio"
Lui sorrise, le prese la mano e insieme entrarono nell'enorme casa di Sharon. Dall'entrata si sentiva già la musica assordante messa dal DJ e la puzza di alcool mischiata a fumo di sigarette o peggio ancora. I due, ancora con le mani intrecciate, raggiunsero gli altri vicino al bancone. Steve stava parlando con uno dei componenti della squadra di basket che Wanda vide per la prima volta a quella partita.
"Oh, ci avete raggiunti! Ero convinto che vi foste persi. Wanda lascia che ti presenti Thor, fa parte della squadra di basket"
"Thor? Davvero? Come il Dio del Tuono?"
"Si, i miei nonni sono scandinavi e quindi hanno trasmesso questa tradizione di chiamare i propri figli come gli dei"
"Wow, figo!"
"Si, Carol non poteva scegliere fidanzato migliore,un dio norreno"disse Natasha.
"Carol?"
"È la mia ragazza..."disse Thor rispondendo alla domanda di Wanda.
"...aspetta devi conoscere mio fratello, lui si chiama Loki, è un tipo dark, sempre sulle sue"disse il biondino ma James lo fermò.
"Thor, facciamo che Wanda conoscerà tuo fratello in un'altra occasione, okay? Sai benissimo che se porti qui Loki porterà anche Rumlow e vuoi che ti ricordi come è andata a finire l'ultima volta fra me e lui?"disse James.
"Loki è diverso da Rumlow..."disse lui.
"Davvero?"chiese ironicamente Steve
Ma niente, neanche le loro chiacchiere furono in grado di poter fermare l'avanzata dei due verso di loro. Stava succedendo quello che avevano appena previsto.
"Ehi fratello! Vedo che sei insieme a nuove compagnie, ti va di presentarmeli?"
"Oh beh, sono persone che già conosci tranne per lei..."
"Wanda"disse lei allungando la mano in segno di piacere ma Loki la prese e le fece il segno del baciamano, come da vero e proprio cavaliere.
"Loki, incantato"
"Bene, bene, bene...vedo che qualcuno è tornato alle origini"disse Rumlow che era arrivato proprio dietro Loki.
"Si torna sempre dove si è stati bene, giusto?"chiese retoricamente James alla provocazione di Brock.
"Beh, non posso fare altro che darti ragione, ma non credo che a Sharon faccia piacere..."
"Tu, Sharon e la vostra opinione potete anche andare a farvi fottere"
"Ehi, ehi calmo capitano...volevo solo vedere come reagivi, vedo che sei molto legato a lei. Non fartela scappare, non sai quali braccia potrebbe incontrare per la strada"disse lui facendo un cenno verso Wanda.
"Sta sicuro che non saranno le tue"disse lui avvicinandosi a Rumlow
"Davvero? Perché senza quella gonna starebbe benissimo..."
Non passò neanche un secondo che subito James spinse a terra Rumlow e iniziò a riempirlo di pugni. Potevano toccargli qualsiasi cosa, la famiglia, la scuola, il basket ma Wanda no. Wanda proprio ora, no. Wanda è diventata il suo punto debole e lo sarebbe stato per sempre, fin quando non avrebbe avuto l'occasione di averla con sé per sempre.
"Cosa cazzo sta succedendo?"
Eccola lì, la voce squillante di Sharon Carter si fece spazio in tutta la stanza e arrivò in quel luogo. Steve e Sam tenevano lontano James da Rumlow con le braccia e lui, invece, era mantenuto da Loki e Thor.
"Devi fare sempre cazzate?"chiese lei rivolta al suo attuale ragazzo.
"Beh, guarda chi ha fatto il suo ritorno..."disse lui facendo un cenno con la testa verso James e la bionda lo guardò con ribrezzo.
"Cosa ci fai qui?"
"Non devo spiegarlo a te"
"Certo che devi...porti a casa mia degli sconosciuti, scateni delle risse e non vuoi spiegarmi che cosa è successo...sei ridicolo"
"No, tu sei ridicola..."la voce di Wanda finalmente si fece sentire.
"...credi che il mondo giri tutto attorno a te? Non sei il centro dell'universo, non sei il presidente degli Stati Uniti d'America oppure il re di Asgard. Pensi che tu sia acclamata solo per le tue scarpe firmate o per il tuo armadio che contiene mille abiti ma la verità è che per quanto sei acida nessuno resterà con te per sempre, alla fine ti ritroverai depressa a mangiare gelato nella tua cabina armadio, triste perché sarai grassa e tutti quegli abiti non ti andranno più"
"Come scusa?"chiese lei.
"No, no non lo ripeto una seconda volta, penso ti serva anche una visita dall'otorino"
"Senti stronzetta, vuoi che te lo faccia capire con le buone o con le cattive?"disse lei andando velocemente verso Wanda che non si mosse di un millimetro.
"Con le cattive non credo possa capirlo, anzi non voglio che ti rovini i bei capelli che hai, sai che peccato dopo?"
La bionda in questione fece un sospiro profondo ma se lei dimostrava di essere invincibile, Wanda invece era molto più forte di lei. Con le parole sicuramente, ma col corpo?
"Ehi...metti una traccia"disse lei rivolgendosi ad una ragazza che era dietro alla consolle e subito la fece partire.
Con le braccia conserte e le gambe leggermente divaricate Wanda guardava la scena davanti a sé di Sharon che ballava o quello che si poteva considerare tale, visto che muoveva più le chiappe che il resto del corpo. C'era chi le faceva dei fischi, chi l'accompagnava con le mani ma per Wanda era tutto sprecato. Nulla di ciò che aveva appena fatto Sharon poteva considerarsi un ballo.
"Bene, ti faccio i miei complimenti il tuo culo è stato visto da tutti i presenti nella stanza"
"Sai fare di meglio?"chiese lei.
"Meglio di te"disse lei e intanto si tolse il suo maglioncino grigio mettendolo fra le mani di Natasha che le sorrise incoraggiandola.
"Cosa vuoi fare?"le chiese James.
"Sta a vedere..."
Wanda in quel momento non stava pensando a che cosa avrebbe comportato se avrebbe fatto una cosa del genere. Non stava pensando al fatto che se avrebbe ballato davanti a tutti, forse poi avrebbe avuto l'attenzione di tutti quanti i presenti su di sé. Oppure peggio ancora, che una volta finito si sarebbe scatenato l'inferno, specie per lei. Quella era la sua occasione di riscatto, di tutte quelle volte che si è sentita sottovalutata per le parole di Sharon. Ora era arrivato il suo momento, dove si sarebbe mostrata per ciò che era. Salì prima su una sedia e poi da lì sul tavolo e subito dopo la musica partì. A primo impatto nessuno la guardò se non per poche persone, fra queste i suoi amici ma quando la canzone iniziò ad andare avanti iniziò a muovere i fianchi insieme alle braccia. Uno spettacolo completamente diverso, rispetto a quello dato da Sharon. Per tutto il tempo, Wanda ebbe gli occhi di tutti addosso ma quelli che non si mossero un secondo dalla sua figura, furono quelli di James che la stavano guardando da quando la musica era partita. I suoi occhi facevano su e giù, dalla testa ai piedi, mentre lei si muoveva a ritmo di musica.
"Sapevi che si muoveva così?"chiese Sam distraendolo.
"No..."
"È davvero grande...non credevo che potesse ballare"disse invece Natasha.
"Tutti possono farlo Nat"disse Steve.
"Si, ma non come lei...è fantastica, credi veramente che una come Sharon possa ballare come lei? Andiamo Wanda la supera in tutto"
"La canzone poi è fantastica..."disse Sam muovendosi di poco sul posto.
"Fra tutte le cose pensi alla canzone?"chiese James guardandolo.
"È Jennifer Lopez, la senti?"chiese Sam iniziando a muoversi di più e James poggiò una mano sulla fronte per la troppa stupidità del suo amico.
Intanto Wanda aveva appena finito di ballare ed era circondata da applausi, da grida e da fischi. Una bella figura, considerata la faccia di disprezzo che le rivolse Sharon. Si avvicinò ai suoi amici ma non ebbe il tempo di fare anche solo un passo in più che stava per svenire. Per fortuna James la prese al volo, ma stavolta non sarebbe stata come quando erano solo loro due a Central Park. Nel suo corpo Wanda ormai sentiva che nulla rispondeva, come se le sue ossa e i suoi muscoli fossero diventati completamente gelatina. Sapeva esattamente cosa stava succedendo e non avrebbe dovuto fare quello che ha appena fatto. Ma non si pente di nulla, aveva avuto la sua occasione di riscatto, aveva mostrato a tutti e persino a Sharon Carter che non era quella ragazza che tutti pensavano che fosse. Ed ora, anche se non se ne importava, le sue solite e amate conseguenze stavano tornando. Di chi era la colpa? La sua, di James o anche di Sam che voleva tanto andare via da casa sua per un po' chi se ne frega. Ormai, il danno è stato fatto.
"Ehi, ti senti bene?"chiese James iniziando a guardarla dalla testa ai piedi come per analizzare cosa stesse succedendo ma Wanda ancora non gli rispose.
"Non mi sento più le gambe..."
"Cosa?"chiese lui scioccato.
"Non riesco a camminare..."disse lei che pian piano perdeva anche la voce.
"Vuoi che faccia la stessa cosa dell'altra volta, posso portarti..."
"No, non farlo..."ma non ebbe neanche la possibilità di finire la frase che subito svenne del tutto fra le braccia di James.
"Wanda!"disse ad alta voce lui ma lei aveva già perso i sensi.
"Che le è successo?"chiese Natasha allarmata.
"Non lo so, credo che abbia avuto un calo di pressione. Mi aveva detto che è solita ad averne ma ora non riusciva a camminare..."
"James mantieni la calma, sarà veramente solo un calo di pressione"disse Steve per tranquillizzarlo.
"Non hai sentito quello che ho appena detto?"
"Sto cercando solo di farti restare calmo"
"Non posso stare calmo, fra mezz'ora dovrebbe stare a casa e non posso dire a sua madre che è svenuta senza neanche sapere perché..."
"Allora portiamola in ospedale"disse Sam.
James prese in braccio Wanda come l'aveva presa già precedentemente e tutti e cinque si diressero alla macchina di Sam.
"Se non vuoi che ti sclero addosso ti conviene accelerare Sam"disse James seduto dietro di lui con in grembo Wanda che aveva i piedi sulle gambe di Natasha.
"Non può essere che un semplice calo di pressione possa addirittura non farla camminare"disse Natasha.
"È quello che lei mi ha detto, non lo credo neanche io ma bisogna fare presto..."
"A quanto vuoi che vada? Sto facendo il possibile anche io James..."disse Sam che stava guidando.
Intanto il castano aveva gli occhi fissi sul corpo di Wanda che non dava nessun segno di vita, le mise una mano attorno al collo per vedere se il suo battito cardiaco c'era ed era molto lieve. Solo pochi minuti dopo arrivarono davanti all'entrata del pronto soccorso e subito alcuni medici videro Wanda fra le braccia di James. La misero su una barella e la portarono via, lui provò a fare un passo per raggiungerla ma fu fermato.
"Mi dispiace ma se non è un familiare della ragazza non può andare con lei"
"Ho bisogno di sapere se sta bene, sono l'unico che può farlo...la prego mi faccia andare con loro"disse lui indicando il resto dei medici che portavano via Wanda.
"Ed io ho bisogno che lei rimanga qui, già le ho detto che non può entrare...aspetti qui, la informerò se ci saranno problemi"
James fece un respiro profondo e si arrese, dietro di lui Sam, Natasha e Steve fecero la loro comparsa con un leggero fiatone.
"Dove l'hanno portata?"chiese Natasha un po' preoccupata.
"Non lo so, credo le faranno degli esami, una TAC o una risonanza..."
"Non ti hanno fatto andare con loro?"chiese Steve.
"No, se non sono un familiare non posso entrare con lei...che casino!"disse lui passandosi le mani sul viso e sedendosi sulla sedia nella sala d'aspetto.
"Non è mai successo quando eravate solo voi due?"chiese invece Sam che si sedette dopo di lui.
"Solo una volta...quella volta si era bloccata con la schiena ma nient'altro. L'avevo portata in braccio fin quando non eravamo arrivati a casa sua. Non pensavo che sarebbe successo peggio"
"Può succedere..."
"No, Steve non può succedere così improvvisamente può essere che c'è altro sotto"
"Cosa intendi dire con altro sotto?"chiese Natasha.
"Non lo so Nat, non lo so proprio...è colpa mia, solo colpa mia"disse lui con un magone in gola.
"Andiamo Buck, non è stata colpa tua...è successo, speriamo che sia veramente come crediamo"disse Steve.
"E se non sarà così? Se sarà peggio? Ho già corso il rischio di non vederla perché per una notte è stata da me, ora sua madre mi ucciderà se verrà a sapere che sua figlia è in ospedale"
"James non l'hai fatto intenzionalmente, non sei uno che l'ha drogata..."
"Sam, non capisci! Sto andando in panico, non riesco più a gestire un cazzo, la mia vita è diventata un casino da quando ho scoperto che mio papà ha un'amante, che mette le mani addosso a mia madre perché lei non può avere figli e quando mi sembra di incontrare una persona che mi renda felice anche con la sua sola e semplice presenza, rovino tutto ugualmente. Io non..."
James aveva appena buttato fuori tutto quello che si era tenuto dentro in una settimana. E l'aveva fatto in una maniera che agli occhi degli altri poteva sembrare pazza ma che i suoi amici capivano benissimo.
"Scusate ragazzi, non volevo prendermela con voi..."
"Va tutto bene, James. Non devi preoccuparti, siamo tuoi amici"disse Natasha poggiandogli una mano sulla spalla.
"Hai tutto il diritto di sentirti oppresso amico"disse Sam.
"Vieni, andiamo a farci due passi..."
Steve prese per mano James e subito dopo gli mise un braccio attorno le spalle, mentre il castano si asciugava le poche lacrime che erano uscite dai suoi occhi. Sam e Natasha, invece, restarono nella sala d'aspetto.
"Credi che starà meglio?"chiese Natasha.
"Ora è distrutto...ma si, credo che lo sarà"disse Sam confidando nel buonsenso del destino.
Passarono tre ore, Sam e Natasha erano ancora nella sala d'aspetto. Lei poggiata con la testa su una delle sue spalle, completamente addormentata e lui con la testa poggiata al muro tra veglia e sonno. Solo in quel momento Steve e James fecero il loro ritorno e il castano sembrava essersi ripreso ma dentro di lui regnava ancora un senso di ansia e preoccupazione.
"Veramente James...prendi in considerazione ciò che ho detto"
"Ne dovrò parlare con mia madre, ha l'appoggio del suo avvocato ma penso che quell'associazione di cui mi hai parlato può servirle"
"Servirà anche te, sei il mio migliore amico e non voglio che a soli 18 anni ti riempi di responsabilità"
"Steve..."
"Lo so, lo so fa parte di te ma ho ancora bisogno di vedere il mio migliore amico spensierato come prima"
"Ci penserò, va bene?"chiese lui e Steve annuì.
Tutti e due si diressero verso gli altri ma la stessa infermiera che non aveva permesso a James di proseguire ora aveva fermato entrambi.
"Scusatemi...se volete potete raggiungermi"
James guardò Steve per un attimo e lui gli fece cenno di dover andare da lei, ma quando stava per andare una voce alle sue spalle lo fermò.
"Non così in fretta ragazzo..."
Si girò di scatto e trovò dinanzi a sé la signora Maximoff che veniva verso di lui come una furia e con un'espressione di disprezzo sul suo viso.
"Signora Maximoff, senta, mi dispiace...io non volevo che succedesse tutto questo..."
"Non una parola in più Barnes, avrei dovuto aspettarmelo che avresti potuto mettere mia figlia nei guai..."
"Sa benissimo che non avrei mai avuto il coraggio di fare questo a sua figlia"
"Allora perché lei è qui? È tutta colpa tua, Barnes...te lo scordi che vedrai mia figlia di nuovo, non te lo permetterò"
"Aspetti, lasci che le spieghi..."
"Non c'è nulla che tu possa spiegarmi che possa farmi cambiare idea...ora togliti di mezzo, non vorrei che mia figlia rimanga paralizzata"
La madre di Wanda lo spinse via e lui la guardò andare verso la stanza dove l'avevano collocata con un'espressione confusa e spaventata sul volto.
"Lei non te l'ha detto?"
Si girò di nuovo verso l'entrata, vedendo che il signor Barton era dietro di lui e di fianco a Steve.
"Cosa avrebbe dovuto dirmi? Non so cosa sta succedendo..."disse lui quasi con le lacrime agli occhi.
"Ha un tumore al midollo osseo, non può fare sforzi, se li farebbe potrebbe rimanere paralizzata...scusa devo andare"
Ci volle un minuto prima che James realizzasse tutto quello che gli era stato detto. Nella sua testa risuonavano solo le parole che Barton gli aveva appena detto. Era confuso, non sapeva cosa fare e niente in questo momento sarebbe servito, l'unica cosa che regnava in questo momento nella sua testa era solo il silenzio, insieme al suo cuore rotto in mille pezzi.
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28 maggio 2019
Siamo già al 28 maggio? Dio... Ieri in Accademia ho chiesto ad una ragazza se fosse il 24, e sono rimasta sconvolta nello scoprire che non era così.
Sono stanchissima, davvero stanchissima, e non so nemmeno bene spiegare perché. Sì okay, ho fatto cose, sono stata su e giù fra Lucca e Firenze... ma non credo di poter giustificare una stanchezza così. Forse tutto sommato è anche una stanchezza “emotiva”, dato che mi sento purtroppo anche molto vuota e con un senso di tristezza al quale non so attribuire un motivo specifico.
Depressione, la chiamano. Ed io penso che personificarla nella figura di un Dissennatore sia davvero un paragone perfetto. Non a caso c’è chi dice che la Rowling avesse immaginato i Dissennatori proprio come riflesso della sua, di depressione.
Stamattina sono stata dalla psicologa prima e dalla dietista poi. Dalla psicologa stavolta ho raccontato tanto, eventi passati che ancora non le avevo chiarito bene ma che già sapevo (dalle terapie effettuate in passato) che hanno grande impatto sul mio presente. Non è ce sia stato un incontro pesante, dato che sono fatti che già ho ripetuto molte volte... ma prevedo colloqui difficili nel prossimo futuro.
Dalla dietista è andata nì... nel senso che abbiamo preso il peso, stavolta accertandomi di essere nelle condizioni più “favorevoli” al prendere il mio peso più correttamente possibile... e non è che il riscontro sia stato così positivo. Da quando ho iniziato ad avere crolli emotivi maggiori il mio peso è sceso nuovamente un po’, in seguito ad un periodo di “stasi” pseudoconcordata (nel senso che la mia dietista vorrebbe che io ricominciassi a salire, ma ha accettato il fatto che in questo momento io non sia pronta). Il patto però era che io comunque non scendessi, ma sono sincera nel dire che non lo ho fatto apposta. Cercherò di stare più attenta, ma non è affatto facile...
Comunque forse qualcuno si starà chiedendo come sia andato lo scorso fine settimana, che tanto temevo, e come mai io ieri abbia scritto che non avrei pubblicato il diario perché stavo male.
(continua)
Questo fine settimana ci sono state finalmente le riprese del corto di cui già vi ho raccontato nei diari precedenti (li trovate anche con il tag “my journey”). Le abbiamo finite? No, perché uno degli altri due attori ci ha dato buca domenica perché lo hanno chiamato per altre riprese. C’è da dire che per quelle altre riprese lo pagavano mentre per noi era gratis, quindi posso colpevolizzarlo solo fino ad un certo punto. Il regista mi farà sapere poi se le inquadrature mancanti richiederanno anche la mia presenza o meno. Comunque stare là, sul set, come ogni volta è stato bellissimo. Sui set mi sento molto più a mio agio che nella vita reale, ed ormai ho capito che il mio posto nel mondo è lì.
Purtroppo, come avevo previsto, ci sono stati non pochi problemi con l’aspetto alimentare. Vi risparmio le acrobazie da “davanti a loro mangio mezza mela e poi mi nascondo per il resto del pasto” perché sarebbero davvero deprimenti e mi ci sono soffermata fin troppo nell’ultimo diario. Il vero problema, e non esagero, è stato sabato sera.
Firenze è ad un’ora e mezza di treno circa da dove sto io, quindi il regista (non sapendo a che ora avremmo finito, e dato che a causa sua già un’altra volta non ho disdetto l’ostello in tempo ed ho dovuto pagare una notte inutilmente) mi ha offerto il suo posto letto a casa dei suoi genitori, dato che lui ora convive da un’altra parte con la sua ragazza. I suoi erano a cena fuori, dunque per fortuna sarei stata per tutta la serata da sola. Ovviamente l’ultima cosa che avevo intenzione di fare era usare la loro cucina, dato che quella stanza era il Caos puro, quindi avevo programmato come già fatto altre volte di comprare qualcosa di pronto al supermercato. In genere, se è un qualcosa su cui sono scritti valori nutrizionali e tutto il resto, non ho particolari problemi.
Peccato che il supermercato fosse in chiusura, e l’unica cosa che sono riuscita a prendere è stato un pezzo di pizza. Certo, anch’esso imbustato con il peso e la tabella dei valori nutrizionali bella in vista... ma non è bastato.
Ci sono ancora alcuni alimenti, che qualcuno definisce “cibi fobici”, che mentalmente non riesco a sopportare. E la pizza è uno di questi. Nonostante dopo averla mangiata sapessi benissimo di non aver ecceduto di kcal rispetto al mio piano, nonostante sapessi che non aveva un senso logico... non sono riuscita a sopportare i sensi di colpa, ed ho vomitato anche l’anima. Sfinita, sono crollata a letto dopo essermi fatta una camomilla.
Questo. Questo è il disturbo alimentare. Il disturbo alimentare non è la ragazzina graziosa dalla taglia 36 che vedi mangiare un’albicocca e poi dire “sono sazia” mentre cammina per la strada con le sue gambe magrissime. Il disturbo alimentare è la stessa ragazza che piange, che si punisce, che vomita o che corre o che prende qualsiasi cosa le venga in mente “per compensare”, che sta male e vorrebbe solo che tutto finisse, lei compresa. O che tutto non fosse mai iniziato, lei compresa.
Sono le lacrime ed il sangue e l’insonnia ed il freddo e la sensazione di non avere più niente sotto controllo e la solitudine e la tristezza ed il veleno che sembra antidoto ma poi si rivela per quello che è. È lo sparire desiderando di apparire, è cercare la vita nella morte, è l’aggrapparti a qualcosa che credi ti salverà mentre è esso ad avvinghiarsi a te e ad impedirti di allontanarti.
È l’ansia che ti soffoca dal nulla durante una lezione, opprimendo il tuo petto ed irrigidendoti i muscoli. Facendoti sentire che nulla funzionerà mai, che sei solo una perdente ed un fallimento. E tu sai che quell’attacco d’ansia non ti ucciderà, ma quasi vorresti che lo facesse perché le sensazioni che ti rimanda sono fin troppo vere.
Sì. Questo mi è successo ieri in Accademia. Una crisi d’ansia fortissima mi ha presa all’improvviso, senza lasciarmi capire perché proprio in quel motivo. Nemmeno le gocce di ansiolitico che prendo al bisogno mi sono servite, e venti minuti dopo ero a piangere a dirotto sul terrazzo assieme ad una ragazza della segreteria che era riuscita a farmi respirare di nuovo.
Questo fine settimana sarò fuori per Vilegis, ma davvero non vorrei. Non ne ho voglia, non me la sento, non mi sento motivata. Magari mi divertirò tantissimo, ma in questo momento vedo solo quello che è andato storto lo scorso anno, quello che è andato storto in questi giorni, i soldi che ho speso, il tempo che potrei usare in altro modo. Vedo le persone che incontrerò, e so che a pochi importa davvero della mia presenza. E so che a Luca della mia presenza non importa quasi più, che anzi forse considera colei che un tempo voleva vicino a se come una scocciatura che lui stesso si è portato “in casa”.
E colei sarei io. Io, che la nostra amicizia la vorrei ancora ma che la ho vista da tempo svanire senza un perché.
Perdonatemi se anche stasera il tono del post è davvero basso. Spero non sia troppo noioso, spero che non sembri una ricerca di compatimento.
Sono le 22:20, sono sfinita, ma posso stare certa che ancora per ore non riuscirò a chiudere occhio.
Sweet dreams.
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The one with the right person
Fabrizio sbuffò sentendo il telefono squillare.
Allungò la mano sul pavimento per recuperare il cellulare che aveva abbandonato lì poco prima tenendo gli occhi chiusi, infastidito dalla luce che illuminava lo studio.
L'influenza era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, ma meglio ammalarsi in quel momento piuttosto che la settimana successiva, quando sarebbe dovuto andare a Sanremo, duettare con Niccolò e soprattutto rivedere Ermal.
Puntò uno sguardo sullo schermo del cellulare nascondendo una smorfia quando vide il nome di Ermal. Sicuramente aveva visto la sua storia su Instagram e lo stava chiamando per rimproverarlo di non avergli detto di essere malato.
Accettò la chiamata mentre si schiariva la voce, cercando di non sembrare in fin di vita come invece si sentiva in quel momento.
"Ehi."
"Perché non mi hai detto che stavi male?"
Fabrizio si strofinò gli occhi. "Perché non sto così tanto male. Ho qualche linea di febbre, ma niente di che."
"Ci siamo sentiti al telefono meno di un'ora fa, potevi dirmelo."
"Hai altro a cui pensare" rispose Fabrizio, coprendosi meglio con la sciarpa.
Sentiva un freddo terribile nonostante il riscaldamento fosse piuttosto alto.
"Bizio, onestamente non me ne frega un cazzo del concerto. Cioè, ovvio che me ne frega ma tu sei più importante" disse Ermal.
Fabrizio sorrise. Non poteva negare che lo facesse stare bene sentirlo così preoccupato per lui.
All'inizio era sempre stato lui quello che si preoccupava per Ermal.
Si era preoccupato per lui quando avevano iniziato a lavorare insieme e Fabrizio temeva che per Ermal fosse un problema andare fino a Roma. Anche quando Ermal gli aveva detto che non c'erano problemi, Fabrizio aveva continuato a preoccuparsi e a chiedergli continuamente se la cosa gli andasse bene.
Si era preoccupato a Sanremo, quando attorno a loro e alla loro canzone si era accesa la polemica. Si era preoccupato talmente tanto da finire nel bagno di una camera d'albergo a tenere i capelli di Ermal mentre vomitava. Si era preoccupato talmente tanto che aveva iniziato a sentire lo stomaco fargli male per la rabbia, ma non era rabbia per ciò che stava accadendo a sé stesso. Era rabbia perché non era disposto a vedere Ermal ridotto in quel modo per qualcosa in cui lo aveva trascinato lui.
Si era preoccupato durante il concerto al Forum di Assago, quando Ermal aveva avuto una piccola crisi prima di salire sul palco e lui l'aveva semplicemente abbracciato cercando di fargli capire che sarebbe andato tutto bene. E poi si era preoccupato pochi giorni dopo, alla finale dell'Eurovision, quando Ermal sembrava particolarmente depresso dai punteggi delle giurie, che sembravano intenzionate a premiare tutti tranne loro.
Si era preoccupato per tutta l'estate, chiamando Ermal almeno un paio di volte a settimana per sapere come stesse.
Si era preoccupato per lui quando l'aveva chiamato dopo l'intervista fatta a Verissimo, in cui aveva dovuto parlare di Silvia.
E ovviamente si era preoccupato quando Ermal, una sera d'agosto, era andato a trovarlo a Roma e poi, dopo aver ascoltato uno dei suoi inediti, l'aveva baciato e gli aveva detto di provare qualcosa per lui. Fabrizio gli aveva detto che sarebbe stato difficile stare insieme, che Ermal meritava una relazione da poter vivere alla luce del sole. Si era preoccupato più dei sentimenti di Ermal che dei suoi.
Insomma, era sempre stato Fabrizio quello che sentiva di più il senso di responsabilità verso l'altro, quello che si sentiva quasi in dovere di preoccuparsi.
Ma doveva ammettere che gli faceva piacere che anche Ermal si preoccupasse per lui, rubandogli ogni tanto il suo ruolo da fidanzato iperprotettivo.
"Stai tranquillo, non sto così male. Anzi, ora mi metto a lavorare un po'" disse Fabrizio, sperando di rassicurare Ermal.
"Vorrei essere lì con te."
Fabrizio sospirò. "Lo vorrei anch'io. Pensami stasera."
"Ti penso sempre, Bizio."
"E allora stasera fallo un po' di più."
Ermal si ritrovò ad annuire, anche se consapevole che pensare a Fabrizio durante un concerto poteva essere un rischio.
Pensare a Fabrizio, lo estraniava dal mondo, facendogli dimenticare qualsiasi altra cosa.
Ma avrebbe corso il rischio. Solo per quella sera, la sua testa e il suo cuore sarebbero stati totalmente rivolti a lui e non alla musica.
Alla fine era successo.
Pensare a Fabrizio durante il concerto aveva avuto le sue conseguenze. Niente di compromettente o di troppo palese, ma Ermal era certo che gli occhi più attenti avessero notato quel dettaglio.
Era successo mentre cantava l'ultimo ritornello di Le luci di Roma.
In un attimo si era ritrovato con la mente a una calda serata di giugno, in cui era stato ospite di Radio Subasio.
Anche quella volta aveva pensato a Fabrizio mentre cantava - anche se in quel caso non era stata una cosa voluta, ma semplicemente una conseguenza del continuo nominare Fabrizio da parte del conduttore - e aveva sbagliato un pezzo di quella canzone. E lo aveva anche ammesso con estrema tranquillità, come se non ci fosse nulla di ambiguo nell'ammettere che aveva sbagliato un pezzo perché pensava a Fabrizio.
E in effetti, almeno all'epoca, di ambiguo non c'era ancora nulla.
I ricordi di quell'evento lo avevano colpito mentre faceva scorrere le dita sulle corde della chitarra, inducendolo inevitabilmente a sorridere proprio sul punto in cui quella volta aveva sbagliato.
Era stata questione di un attimo, un dettaglio che alla maggior parte delle persone sarebbe passato inosservato. Ma non a tutte, e questo Ermal lo sapeva bene. E onestamente non gli importava, anzi gli andava bene così.
Non gli importava poi molto che la gente facesse supposizioni sul perché aveva sorriso in quel punto preciso della canzone.
Ciò che contava davvero era che aveva sorriso e che lo aveva fatto perché aveva pensato a Fabrizio per tutto il tempo. E ciò che contava era che di questa cosa ne fossero a conoscenza lui e Fabrizio. Di ciò che pensavano gli altri, gli importava poco.
Si infilò una maglietta pulita e poi si accasciò malamente su una sedia del camerino. Finalmente poteva rilassarsi un attimo.
Afferrò il cellulare controllando rapidamente le notifiche e sorrise leggendo un paio di tweet di persone che erano state al concerto quella sera.
Era la prima volta che faceva un concerto simile, che dava una nuova veste ai suoi brani, e per un attimo aveva avuto paura che ai suoi fan potessero non piacere quelle nuove versioni. Leggere che invece tutti si erano emozionati tanto quanto si era emozionato lui a cantare, lo faceva sentire bene.
Così bene, che sentiva il bisogno di condividere quella gioia con qualcuno.
Cercò velocemente il numero di Fabrizio tra le ultime chiamate e si portò il telefono all'orecchio sorridendo, impaziente di sentirlo.
Era tardi e Fabrizio aveva la febbre, quindi probabilmente si era già addormentato. Ma Ermal lo conosceva troppo bene e sapeva che aveva volutamente lasciato il telefono acceso e con la suoneria al massimo perché anche lui era impaziente di sentirlo.
Infatti, rispose dopo appena due squilli.
"Ehi. Com'è andato il concerto?"
Ermal sorrise sentendo la voce di Fabrizio. Era incredibile come il solo sentirlo parlare gli scaldasse il cuore.
"Bene, Bizio. Benissimo. È stato... Non lo so, non riesco nemmeno a descriverlo" rispose Ermal entusiasta.
"Sei felice" constatò Fabrizio sorridendo.
Sentire Ermal così felice per qualcosa, era una delle cose che Fabrizio preferiva di più al mondo.
Il solo sentirlo parlare in quel modo, gli faceva venire voglia di sorridere a sua volta.
"Sì, sono felice. E tu sei stato con me tutto il tempo."
"Che vuoi dire?" chiese Fabrizio.
"Che ti ho pensato. Ti ho pensato così tanto che ho sorriso mentre cantavo Le luci di Roma, perché mi è tornata in mente quella volta in cui l'ho sbagliata per colpa tua" rispose Ermal sorridendo.
Fabrizio si lasciò sfuggire una risata. "Colpa mia? Ma se non ero nemmeno lì!"
"Era come se ci fossi. E continuava a uscire il tuo nome, continuavano a parlare di te..."
"Cazzate" lo interruppe Fabrizio. "Sono tutte cazzate, Ermal. L'ho vista quella diretta. Mi hanno nominato una volta, poi hai fatto tutto tu e così gli hai dato modo di continuare. Addirittura quando il conduttore ha cercato di cambiare discorso, tu ti sei messo a specificare il punto preciso della canzone in cui avevi sbagliato. Assumiti le tue colpe."
Ermal sbuffò, consapevole che Fabrizio avesse ragione.
Gli costava ammetterlo, ma era così.
Bastava che qualcuno facesse il suo nome anche solo una volta, ed Ermal iniziava a pensare e parlare per conto suo senza rendersi conto che facendo così peggiorava soltanto la situazione.
"Va beh. Comunque pensavo a te" disse Ermal dopo qualche secondo.
"Anch'io ho pensato a te questa sera."
"Ah, sì? Che pensavi?" chiese Ermal curioso, sistemandosi meglio sulla sedia.
"Che mi manchi. E che vorrei averti qui."
Ermal sentì il cuore battere improvvisamente più veloce di fronte a quell'ammissione
Sorrise e disse: "Non ti facevo così."
"Così come?"
"Romantico. Attaccato alla persona con cui stai, quasi succube della sua presenza. Mi sei sempre sembrato più il tipo di persona che vuole i suoi spazi, che si sente limitato dalle relazioni" spiegò Ermal, tirando fuori per la prima volta un pensiero che aveva tenuto nascosto per tanto tempo.
"Lo ero. Poi sei arrivato tu e mi sono accorto che si sta bene anche se si hanno dei limiti. E anzi, forse quando stai con la persona giusta, i limiti non li hai. Quindi inizio a pensare che avessi tutti questi problemi con le relazioni solo perché non avevo ancora trovato la persona giusta."
"E ora l'hai trovata?" chiese Ermal, consapevole che Fabrizio stesse parlando di lui ma avvertendo la necessità di sentirselo dire apertamente.
Fabrizio rimase in silenzio per un attimo.
L'aveva trovata, quella persona. Anche se ad Ermal non l'aveva mai detto chiaramente, anche se non aveva mai trovato il coraggio di dirgli che lo amava.
Tra loro era sempre stato così. Sapevano ciò che provavano l'uno per l'altro, ma non avevano mai detto nulla apertamente.
Fabrizio non aveva mai trovato il coraggio di dire ad Ermal che si era innamorato di lui così tanto da cambiare la sua idea sulle relazioni; così come Ermal non aveva mai detto a Fabrizio di aver ritrovato in lui quell'amore che ti consuma ma che ti completa, quell'amore che non pensava avrebbe potuto ritrovare dopo la fine della sua storia con Silvia.
Non avevano mai detto le cose chiaramente, forse per paura di rendere troppo grande e difficile da gestire un sentimento che fin da subito aveva fatto paura a entrambi. Ma questo non voleva dire che ciò che provavano non fosse sincero.
Anzi, forse non parlarne aveva reso ancora più importanti i loro sentimenti.
Ma dopo tutto quel tempo passato insieme, Fabrizio iniziava a pensare che valesse la pena dire certe cose. Anche se non era da lui, anche se lui non era mai stato il tipo che dice certe parole.
"L'ho trovata" rispose un attimo dopo. Poi, dopo qualche secondo, aggiunse: "Ti amo, Ermal."
Ermal si premette maggiormente il telefono contro l'orecchio, come se servisse a sentire meglio, a sentire Fabrizio più vicino. "Dillo di nuovo."
"Ti amo" ripeté Fabrizio sorridendo.
Sentì Ermal sospirare dall'altro lato e per un attimo temette di aver sbagliato a dirglielo. Per un attimo pensò che forse in quella relazione era un passo più avanti, che forse Ermal non si sentiva ancora pronto a dirgli ciò che provava, che forse addirittura non provava le stesse cose.
Ma i dubbi svanirono nel momento in cui Ermal parlò di nuovo.
"Tu non hai idea di quanto mi dia fastidio non potertelo dire di persona, guardandoti in faccia. Ma ora che tu me l'hai detto, mi sembra di non potere più aspettare."
Prese un respiro profondo, consapevole che ciò che avrebbe detto avrebbe segnato un punto di svolta - perché un conto era sapere di essere innamorato, un altro era dirlo ad alta voce -, e disse: "Ti amo anch'io, Bizio."
Fabrizio sorrise mentre sentiva gli occhi farsi un po' più lucidi, e non a causa della febbre.
Quelle parole gli erano state dette altre volte, da altre persone, e ogni volta a modo suo era stata speciale. Ma nessuna volta prima di quella, aveva sentito il cuore fermarsi e poi riprendere a battere velocemente come in quel momento. Nessuna volta prima di quella, si era sentito così felice di essere amato da qualcuno che lui amava con la stessa intensità.
Quella fu la prova che davvero aveva trovato la persona giusta.
Probabilmente si erano trovati a vicenda, accettando i pregi e i difetti dell'altro, facendosi carico di problemi che prima non li riguardavano, entrando lentamente l'uno nella vita dell'altro senza fare rumore ma sconvolgendola del tutto.
E nessuno dei due era mai stato così felice che qualcuno gli sconvolgesse la vita.
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Capitolo 45 - Jordan, i ragni e i coltelli spuntati
Nel capitolo precedente: Eddie, rientrato alla galleria, condivide con la band il testo che ha scritto per la canzone che sentiva attraverso la porta. Il pezzo si chiama Oceans. Inventa poi una scusa per andare via prima, dato che deve uscire con Angie, scusa accettata senza storie da Stone, anche lui impegnato in un appuntamento segreto. Meg telefona alla galleria per parlare con Mike e proporgli di vedersi, lui comincia ad avere dei dubbi per quanto riguarda un eventuale riavvicinamento e sembra intenzionato a rifiutare l'invito della ragazza. Arriva finalmente il momento del tanto agognato appuntamento tra Eddie ed Angie, ma Angie non sa che è un appuntamento: era convinta che sarebbero usciti anche con gli altri ragazzi della band. Eddie, colto alla sprovvista, decide di non rivelare le sue vere intenzioni e di stare al gioco, perciò racconta ad Angie che gli amici hanno tirato il pacco per i motivi più disparati. I due escono ugualmente. Eddie trova nella macchina di Angie una cassetta che lei ha fatto per lui, vorrebbe sentirla, ma Angie è fermamente decisa a non dargliela prima della sua partenza. I due trascorrono l'intera serata al Pike Place Market. Prima di salutarsi Eddie dice a Angie che gli piacerebbe uscire di nuovo da solo con lei. Una volta tornata a casa, Angie scopre del due di picche di Mike, Meg viene a sapere dell'uscita tra Eddie e la sua amica e la tempesta di domande alludendo a possibili risvolti romantici, che però vengono respinti al mittente. Stone riaccompagna Grace a casa dopo la loro uscita, che a quanto pare è andata molto bene, e scopre che la sedia rotta è stata sostituita. Grace però, dopo aver finto nonchalance, rivela che non riesce a darsi pace per quella sedia “estranea” in casa. Stone propone di risolvere il problema mischiando le sedie, ma Grace non glielo permette perché impazzirebbe all'idea di non sapere qual è la sedia incriminata. Dopo un piccolo botta e risposta Stone e Grace si baciano.
***
“Ma io dico, si può perdere così?” domando incredulo al mio socio, seduto all'altra estremità del divano, mentre mi passa la ciotola dei popcorn, o almeno di ciò che ne resta.
“Già... però che partita, eh?”
“I Bulls stanno crescendo, potrebbero pure conquistarselo questo campionato. Certo, evitare di perdere da stronzi aiuterebbe”
Eddie, con la bocca piena di una manciata di popcorn, risponde con un cenno di assenso, mentre sullo schermo della tv scorrono le immagini dell'intervista a caldo del coach dei vincenti San Antonio Spurs e il telefono comincia a squillare.
“Chi sarà?” chiede Eddie masticando.
“Non lo so, sicuramente qualcuno che avrebbe rischiato seriamente la morte se avesse chiamato anche solo cinque minuti fa” borbotto cercando di allungarmi verso la poltrona accanto per acchiappare il cordless senza alzarmi dal divano. E facendolo ovviamente cadere. Ma la sfortuna non può nulla contro la mia pigrizia, un paio di strattoni al tappeto ed ecco il telefono magicamente nelle mie mani. Eddie osserva la scena in un misto di perplessità e totale rassegnazione all'avere a che fare con un deficiente.
Premo il pulsante per rispondere alla chiamata e ancora prima di avvicinarmi all'orecchio il telefono sento dei colpi di tosse provenire dall'apparecchio.
“Pronto?”
“Ehi Jeff”
“Angie?” la riconosco subito e nel preciso istante in cui la nomino Eddie si volta verso di me di scatto. Il poverino non si aspettava di trovarmi lì, pronto, a fissarlo col mio sorrisetto del cazzo, in attesa una sua reazione, così per dissimulare il suo interesse mi fa segno di ripassargli la ciotola, dove ormai rimane giusto qualche briciola e qualche chicco di granturco non scoppiato, fingendo un'improvvisa crisi di astinenza da pop corn.
“Bravissimo! La demenza senile non ha ancora preso il sopravvento su di te. Come va?”
“Io tutto bene, grazie, ma, a giudicare dalla voce, non posso dire altrettanto di te, cara giovincella”
“Sono un po' raffreddata, tanto per cambiare”
“Non ci provare nemmeno”
“Cosa?”
“Ad accampare scuse per non venire al concerto di domani sera”
“Non sto accampando scuse e non ho nominato il concerto” certo, come se non ti conoscessi!
“Intanto stai cominciando a mettere le mani avanti”
“Ma io ci vengo al concerto, non ti preoccupare!”
“Ecco, lo spero per te, o è la volta buona che io e Stone ti togliamo il saluto per sempre”
“Quante storie! Allora io cosa dovrei fare dopo l'altra sera? Non rivolgervi più la parola?”
“L'altra sera? Che sera?” non so di cosa stia parlando, ma il rumore della ciotola dei popcorn che rotola a terra alla mia sinistra mi fa capire a chi potrei chiedere chiarimenti in proposito.
“La settimana scorsa, ci avete tirato tutti quanti un pacco grande come una casa, non fare il finto tonto!”
“Io non tiro pacchi, aspe-”
“OH JEFF! JEFF! GUARDA, STANNO INTERVISTANDO JORDAN!” il piccolo coglione con cui condivido l'appartamento ha raccolto al volo il casino che ha fatto in terra e ora sta alzando al massimo il volume della tv, mentre mi scuote per una spalla cercando di distrarmi dalla conversazione telefonica. Pensa davvero che io sia così stupido?
“Ah bene, c'è anche Eddie! Poi... poi me lo passi per favore? Dovrei chiedergli ehm una cosa...”
“Certo... aspetta solo un secondo, ok?” mi appoggio la cornetta al petto e con calma prendo il telecomando dalle mani di Vedder, per poi premere MUTE “Allora?”
“Allora che?” mi fissa inebetito come se davvero non sapesse di cosa sto parlando.
“Cos'è questa storia di Angie e del pacco? E come mai sento che c'entri tu?” continuo sottovoce.
“Non ne ho idea, non so di cosa stai pa-”
“Eddie, piantala”
“E' una sciocchezza, non vale neanche la pena parlarne”
“Se vuoi che ti regga il gioco e ti pari il culo devi dirmi tutto, se no cazzi tuoi”
“Uhm... ok, va bene, ti dirò tutto... dopo” si arrende subito il caro Eddie.
“Allora c'entri tu sul serio?”
“Sì” ammette e io, soddisfatto, posso tornare trionfante alla chiacchierata con quel catorcio di Angie.
“Eccomi, si era incastrato il tasto del telecomando. Scusa per l'attesa... e per il bidone dell'altra sera. Avevo da fare, sai com'è”
“Sì sì, Eddie me l'ha detto, però potevi portare anche Laura. Insomma, capisco che vogliate anche starvene un po' per i cazzi vostri, non dico di no, ne avete tutto il diritto, però potevamo almeno cenare insieme”
“A volte si ha bisogno di un po' di intimità Angie, non so come spiegartelo, ti faccio un disegnino e domani sera te lo porto, ok?”
“Spiritoso”
“Dai, scherzo, era solo una battuta per rimarcare il fatto che domani ci devi essere”
“Ci sarò, non dubitare”
“Perfetto, ti passo Eddie allora. E per una sera lascia stare ascensori e macchine da scrivere, mi raccomando!” porgo la cornetta a Eddie mentre Angie mi sta ancora insultando tra un colpo di tosse e l'altro “Vuole parlare con te”
“Oh ok...” Eddie prende riluttante il telefono, ma appena se lo mette all'orecchio, al solo dire “Pronto”, ancora prima di sentire una qualsiasi risposta dall'altra parte, ha già cambiato espressione, assumendone una sognante con sorrisone annesso. Sarei curioso di seguire tutto l'iter della telefonata, ma il mio amico si sente subito osservato e mentre parla con Angie accertandosi della sua salute si allontana come se nulla fosse prima in cucina, con la scusa di portare via la ciotola ormai vuota e un paio di lattine da buttare, e poi direttamente in camera sua, dalla quale esce una decina di minuti dopo, senza telefono, ma con felpa, giacca e Chuck Taylor slacciate ai piedi.
“Esci?”
“Sì, faccio un giro” risponde sedendosi sul divano e chinandosi per allacciarsi le stringhe.
“Con Angie?”
“Ma va... no! Mica vado da Angie!” se stringe quei lacci un altro po' gli verranno i piedini come le povere geishe.
“No?”
“Nah, mi devo beccare... con Ian, il mio collega di lavoro. E poi forse andiamo da Cornell” spiega senza guardarmi.
“Cornell”
“Sì”
“Quello che abita di fianco ad Angie?” aggiungo con un ghigno.
“Non vado da Angie, punto” ribadisce scocciato.
“Ok. Ti vedi spesso con Cornell ultimamente o sbaglio?”
“Sì, può essere... Perché?” domanda guardandomi con sospetto.
“Non è che poi Angie è gelosa?”
“Vaffanculo, Jeff” sbuffa alzandosi e filando di nuovo in camera sua, per prendere chissà cosa.
“Dove vai?” gli chiedo di nuovo quando lo vedo sgattaiolare verso la porta senza salutare.
“Non vado da Angie! Quante volte te lo devo dire?!”
“Ok ok, ho capito, ma... non stai dimenticando qualcosa?”
“Vuoi venire anche tu?” e mentre lo chiede si vede lontano un miglio che sta bluffando e mi piacerebbe dirgli di sì, tanto per vedere come ne uscirebbe. Ma non sono così stronzo, non sono Stone.
“Nah, domani abbiamo il concerto e il mattino dopo partiamo, preferisco non fare niente stasera”
“E quindi? Vuoi il bacio della buona notte?”
“No, voglio sapere a che punto sei con Angelina, che cazzo hai combinato e che c'entriamo io e gli altri” elenco i tre punti di mio interesse contandoli uno per uno sulle dita.
“Adesso?”
“Adesso”
“Sbaglio o avevi detto che non avresti più accennato all'argomento e avremmo fatto finta di non averne mai parlato?”
“Consideralo un piccolo break”
“Beh, ecco...” Eddie tentenna all'inizio, ma poi cede e racconta del suo approccio malriuscito con Angie e del nostro presunto bidone di gruppo, rimanendo però molto vago su come sia andata la loro uscita vera e propria.
“Cazzo Eddie, però, anche tu...”
“Avevi detto di chiederle di uscire, no? E io gliel'ho chiesto”
“Sì, ma non ha neanche capito cosa cazzo le stavi chiedendo!”
“Pensavo fosse chiaro”
“Ma quando hai capito che lei non aveva capito... perché non gliel'hai spiegato?” se la tua bella ha delle lacune, sta a te colmarle, amico.
“Mi ha preso alla sprovvista!”
“Sei un idiota”
“Comunque è andata bene”
“Lo capisci che non è un appuntamento se lei non lo sa, vero? Insomma, non vale”
“Va beh, non deve essere necessiariamente un appuntamento, perché bisogna sempre dare un nome alle cose? Basta con queste etichette, insomma, siamo stati bene, stiamo bene, perché farsi tante paranoie?”
“Ok” lo fisso brevemente e infine rispondo con un'alzata di spalle.
“Ok”
“E' già qualcosa. E se va bene a te...” che tradotto sarebbe se te la fai troppo sotto per provarci seriamente, cazzi tuoi.
“Mi va bene, benissimo” risponde lui a bocca quasi serrata mentre si alza.
Stronzata megagalattica.
“Vai?”
“Sì, buona notte”
“Non fare casino quando rientri... se rientri” quanto mi piace farlo incazzare, sto diventando sadico come Gossard e non mi vergogno ad ammetterlo.
“Certo che rientro! Ci vediamo”
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Diversamente da Diane Keaton nel film intravisto non molto tempo fa, io mi sento tremendamente in colpa nel momento stesso in cui metto giù il telefono dopo aver parlato con Eddie. Perché va bene tutto, l'amicizia, i patti, la fiducia, ma oggettivamente non puoi chiamare una persona alle dieci e mezza di sera e chiedergli così, di punto in bianco, di attraversare la città per... per cosa? Per una cazzata, su, ammettiamolo! Chiamiamo le cose col loro nome.
Però non è colpa mia se Meg è dovuta uscire con Melanie proprio stasera.
Ma cosa c'entra?! Non sei più una cazzo di bambina, sei un'adulta. E una normale persona adulta non si comporterebbe così, una persona normale risolverebbe il problema in cinque minuti, con una ciabatta, o una scopa viste le dimensioni, una scopa molto robusta, senza tante storie e senza scomodare gli altri. E allora che senso ha andare a vivere da sola, lavorare ed essere indipendente, se poi continuo a rivolgermi agli altri per queste stronzate?
Però è stata un'idea di Eddie, in fondo.
Certo, perché Eddie è un buon amico, è leale e mantiene le promesse e ancora prima di telefonargli sapevi già che sarebbe venuto se lo avessi chiamato.
Però la colpa è anche di questo essere immondo, non poteva sistemarsi in sala? Si sta anche più caldi qui... beh, si fa per dire. Certamente di più che in bagno. Io avrei potuto barricarmi tranquillamente in camera mia, cosa che per altro sto già facendo causa frebbre. Oppure avrebbe potuto semplicemente nascondersi un pochino meglio e saltare fuori dopo la mia pipì serale, per poi essere libero (o libera?) di fare il bello e il cattivo tempo in tutto il resto della casa, almeno fino all'arrivo di Meg.
Come no, perché la natura e ogni elemento che ne fa parte sono tenuti ad essere a conoscenza delle tue abitudini e comportarsi di conseguenza, certo.
Il mio dibattito interiore è così avvincente che non mi accorgo del tempo che passa, oppure sarà colpa della febbre: suonano al citofono, Eddie è già qui. Gli apro e apro anche la porta dell'appartamento, stringendomi nella coperta marroncina che mi trascino ovunque peggio di Linus, e nell'attesa che il mio eroe arrivi, vado in fissa sulla vestaglia di peluche rosa appesa all'attaccapanni nell'ingresso, mentre vengo assalita da un'irrefrenabile voglia di metterla. Sarà anche vero che mi fa assomigliare a un marsh mallow, ma sicuramente mi darebbe un aspetto più presentabile rispetto al look in stile taco con troppo ripieno. Quando, nel silenzio del corridoio esterno, sento il rumore della porta dell'ascensore che si apre e si chiude, mi srotolo la coperta di dosso e la lancio nel ripostiglio, infilandomi la vestaglia al volo. Mi risistemo anche il mollettone sulla testa, specchiandomi brevemente e, allo stesso tempo, cercando di resistere all'urto di vomito causato dalla mia faccia ancora più pallida del solito, eccezion fatta per le occhiaie nere da panda e il naso rosso.
“Ehi” mi sorride appena mi vede e mi sento improvvisamente più rilassata. Ma anche più imbecille.
“Eddie sono mortificata” metto subito le cose in chiaro, mentre Eddie mi abbraccia, indugiando qualche secondo nell'accarezzare il morbido tessuto della vestaglia sulla mia schiena.
“Oh, il mio antistress preferito”
“Lo so che sono malata di mente, me ne rendo conto”
“Non stare sulla porta, entriamo che fa freddo” mi scioglie dall'abbraccio ed entra nell'appartamento tirandomi dietro a sé, mentre io continuo a chiedere perdono.
“Scusami se sono una cretina”
“Oddio, non che dentro cambi più di tanto? Non hanno ancora fatto aggiustare i riscaldamenti?” domanda un po' imbronciato.
“Non dovevi venire”
“E allora perché mi avete chiamato, Vostra Maestà?” il suo sguardo si addolcisce mentre mi trascina in sala e io sembro aver dimenticato come camminare.
“Perché Meg non c'è, è uscita con Melanie e non so dove sono andate, non ho neanche il numero di casa sua. E comunque anche se ce l'avessi non avrei chiamato, ultimamente è piuttosto giù, non voglio rovinarle una bella serata”
“Hai fatto bene, la mia serata era rovinabilissima invece” commenta mentre scorre con le dita tra le riviste sul tavolino e ne sceglie una, non so per quale ragione.
“Oddio, scusa Eddie, mi dispiace tanto!”
“Ahah ma guarda che non ero ironico, era una serata noiosamente inutile, neanche la partita le ha dato un senso, ci volevi tu”
“Hai visto che merda! Come cazzo si fa a farsi rimontare tutti quei punti alla fine?? Io non lo so”
“L'hai guardata anche tu allora, donna che è solo superficialmente interessata al basket?”
“L'ho vista di sfuggita, per distrarmi. E per sapere quando sarebbe finita, così avrei potuto chiamarti”
“Potevi chiamarmi anche prima, stupida, puoi chiamarmi quando vuoi”
“Dubito che Jeff sia dello stesso avviso. A proposito, non gliel'hai detto vero? Gli ho già dato abbastanza ragioni per prendermi per il culo per due vite, non mi sembra il caso di aggiungere altro materiale”
“Non gli ho detto nulla, tranquilla, nemmeno che venivo qui”
“Grazie”
“Di nulla...” mi circonda le spalle con un braccio e fa scontrare delicatamente e senza un motivo le nostre tempie, per poi prendere a studiare il mio viso da vicino con quegli occhi penetranti, probabilmente si sta chiedendo se per caso sono morta e non lo so “Andiamo subito al sodo, che dici?”
“Eh?”
“Dov'è il mostro?”
“Ah! E' di là, in bagno” indico il corridoio con l'indice e lui fa per andarci subito.
“Aspetta! Non ucciderlo, mi raccomando”
“Sì, lo so, tranquilla”
“Cioè, solo se è strettamente necessario, ma se non lo fai è meglio”
“Va bene”
“E se usi il giornale per prendere il ragno, poi buttalo”
“Addirittura?”
“Non fare domande, esegui e basta. Ehm ehm, per favore?”
“D'accordo, mia regina”
Il tutto dura due minuti di orologio, dopodiché sento il rumore dello sciacquone, poi quello della porta del bagno e vedo Eddie comparire di nuovo in soggiorno.
“L'hai ucciso?!”
“No”
“Non mentire, ho sentito che hai tirato l'acqua...”
“Ah quello! No, ne ho approfittato per andare in bagno, sai com'è”
“Allora è vivo?”
“Presumo di sì”
“Come presumi??”
“Non so, io l'ho accompagnato fuori dalla finestra, poi non so cosa ne è stato di lui”
“O lei”
“O lei eheh, già. Non so che ha fatto dopo, io l'ho liberato, ora deve camminare sulle sue gambe. Tutte e otto”
“Brrrrr non farmi pensare alle sue zampe!”
“Comunque se non ho visto male è finito su un davanzale del secondo piano”
“L'infermiera che ci odia! Questo è karma, Meg sarebbe fiera di te”
“E tu? Sei fiera di me?” domanda avvicinandosi e afferrando un capo della cintura della mia vestaglia con le dita.
“Sì, moltissimo, grazie!” gli do una pacca sulla spalla, dopodiché corro in direzione del bagno “Scusa se ti pianto qui da solo, ma devo fare quello che avrei voluto fare un paio d'ore fa”
“Ahahah vai tranquilla!”
Al ritorno dal bagno, trovo Eddie stravaccato sul divano, intento a sfogliare la rivista di prima. Non saprò mai se l'ha usata o meno per accompagnare fuori l'ospite indesiderato e non ho intenzione di chiederglielo.
“Grazie mille Eddie, sei stato un vero amico. Ora puoi andare”
“Mi stai mandando via?” risponde alzando lo sguardo dal giornale facendo il faccino triste.
“Cos... no, ovviamente no! E' che... beh, sono piena di microbi e tu hai un concerto domani, nonché un tour nelle prossime settimane, il primo vero tour con la band, non posso permettermi di farti ammalare”
“Nah, non mi ammalo mica per così poco”
“Ti sei ammalato dopo un giorno che eri a Seattle”
“Dov'è finito il televisore? L'hai lanciato al ragno per eliminarlo ed è finito anch'esso fuori dalla finestra?”
“Scherzi? Col rischio di mancarlo e farlo incazzare aizzandolo ancora di più contro di me? Non lo avrei mai fatto. Comunque la tv è in camera mia, l'abbiamo spostata lì perché è quello il luogo dove vegeto da un paio di giorni a questa parte”
“Hai la febbre? Fa' sentire” Eddie si alza dal divano e mi mette una mano sulla fronte, dopodiché appoggia l'altra sulla sua, con lo sguardo pensieroso rivolto chissà dove. A un certo punto tira giù entrambe le mani e le posiziona sulle mie spalle, mentre accosta una delle sue guanciotte alla mia fronte. La cosa in sé mi fa sorridere, perché è lo stesso metodo che usava mio padre per misurarmi la febbre quando stavo male e mamma non c'era, anziché mettersi a cercare il termometro, che tanto non avrebbe trovato perché mio padre non trova mai niente, non sa nulla di cosa ci sia in casa e dove sia esattamente, le uniche stanze che conosce a menadito sono la camera oscura e quella delle chitarre, ha problemi anche a rintracciare oggetti nel suo stesso studio. Tuttavia il mio sorriso è solo mentale, all'esterno sono un rigido pezzo di legno che non sa bene che fare, visto che è Eddie quello che sta strofinando la sua pelle contro la mia.
“Quindi le tue armi hanno anche funzione di termometro?”
“Ahahah a volte”
“E che dicono?”
“Che avrai ancora qualche lineetta, devi stare al caldo. Impresa ardua in questa specie di frigorifero”
“Era proprio quello il mio piano. Me ne torno a letto a guardare per l'ennesima volta Essi vivono finché non crollo vittima del paracetamolo”
“Essi vivono? Mai visto”
“Che?! Come puoi non averlo visto, è un filmone!” esclamo sconcertata, perdendo probabilmente quel po' di voce che mi restava, mentre lui reagisce facendo spallucce.
“Di che parla?”
“Alieni e occhiali da sole”
“Mi stai prendendo per il culo?”
“No, e il protagonista è un wrestler”
“Ok, mi stai prendendo per il culo”
“Ahahah no, è la pura verità, è un bellissimo film”
“Ho capito, è uno di quei film talmente brutti e trash che fanno il giro e diventano belli”
“No no, ti giuro, è un film bello sul serio, è un film di fantascienza, ma anche un horror, e con un bel po' di commedia che non ci sta male. E ha anche un messaggio socio-politico non indifferente”
“Una commedia horror fantascientifica impegnata?”
“Esattamente! Ti ho mai detto che adoro il tuo dono della sintesi?”
“No, non mi pare. Ed è una gran bella sensazione, dimmele più spesso cose del genere”
“Dai, adesso devi guardarlo per forza, vieni” faccio per prenderlo per un braccio, ma non sembra intenzionato a muoversi.
“Ma forse tu volevi stare tranquilla da sola... non stai bene”
“Appunto, non sto bene, mi fai compagnia, su!”
“E se mi ammalo?”
“Ci penserà Stone a imbottirti di farmaci e farti alzare il culo, non ti preoccupare” ribadisco strattonandolo più forte e riuscendo finalmente a farmi seguire nella mia stanza.
“E' di Mapplethorpe?” Eddie è seduto sul mio letto mentre io armeggio con il videoregistratore e sembra interessato a tutto tranne che a quello che sto facendo.
“No, è di una fotografa che si chiama Judy Linn” spiego riferendomi alla foto di Patti Smith che campeggia sulla porta.
“E' molto bella, mi piace il suo sguardo, e i guanti bianchi. E la videocamera che sta reggendo, mi piace il modo in cui l'obiettivo, beh, è come se uscisse dalla foto, come se andasse oltre” Eddie elenca praticamente ogni singolo dettaglio che io stessa amo di quello scatto.
“Mi piace un sacco quella foto. Allora sei pronto? Pronto a mettere gli occhiali da sole e scoprire la verità?” una volta finito di riavvolgere la cassetta, la faccio ripartire e mi siedo sul letto accanto a Eddie, sistemandomi il cuscino dietro la schiena.
“Non ancora, prima volevo sapere come sono andati gli esami” Eddie mi guarda e sorride mentre tocca a sua insaputa il tasto più dolente.
“Credo che il film sia già abbastanza spaventoso di suo, non aggiungiamo altro orrore”
“Eheheh dai, non dire cazzate, sarà andata benissimo”
“E invece no, non è andata affatto benissimo, è andata male,” confesso sospirando “peggio di quanto pensassi”
“Addirittura? Non li hai passati?”
“Ma no, li ho passati tutti”
“Allora lo vedi che dici cazzate, sono andati benone!”
“Ok, ma non basta passare. Li ho passati praticamente tutti con poco più della sufficienza, Letteratura comparata proprio per un pelo, quasi col minimo, quello che mi è andato meglio è stato l'esame di Tedesco, dove comunque non ho preso un voto esagerato” spiego mentre sullo schermo scorre l'elenco dei divieti di riproduzione e copia pirata del film.
“Ach so”
“Ho creato un mostro” nascondo a fatica il mezzo sorriso che è riuscito a strapparmi.
“Eheh dai, è normale, almeno penso lo sia. Sai, in un attimo di follia avevo deciso di tentare una carriera universitaria a San Diego, ma dopo il primo trimestre ho mollato, quindi il mio giudizio in proposito non è autorevole. Diciamo che il passaggio dal liceo all'università è sempre difficile e i primi esami sono un po' un'incognita perché non sai cosa ti aspetta, ti servono più che altro per orientarti”
“Per il momento mi sono serviti per capire che sono una capra”
“Non dire così, una capra non li avrebbe mai passati quegli esami, se non altro per la difficoltà di impugnare una penna con gli zoccoli”
“Se non li avessi passati mi sarei ritirata un minuto dopo averlo saputo”
“Perché? Ad Angie Pacifico non è permesso sbagliare?” scherza, ma non so fino a che punto, visto che ci ha preso in pieno.
“No. Non fraintendermi, io non sono mai stata una secchiona, diciamo che ho buona memoria e me la so cavare con le parole, aggiungici un po' di studio e mi è sempre andata bene. Ma qui è diverso, non sono al liceo, sono all'università, un'università che ho scelto io, che pago fior di soldi, non faccio materie che mi vengono imposte di cui non me ne frega niente, sono argomenti che mi interessano, è la mia passione, quello di cui vorrei occuparmi lavorativamente parlando, il mio sogno. Mi aspetto di eccellere in tutto, non di arrancare anche solo per passare”
“Il fatto di essere appassionati di una materia non la rende automaticamente facile, Angie”
“Quindi se tu frequentassi... boh, l'Università del rock e prendessi una sufficienza risicata all'esame sugli Who saresti comunque fiero di te stesso?”
“Oddio, dov'è l'Università del rock? Voglio andarci!”
“E' facile, giusto accanto alla Rock'n'roll High School” ribatto sorniona.
“Senti, ok, capisco che tu sia un po' delusa, magari devi solo inquadrare meglio il metodo, insomma, come devi studiare, perché sul quanto non mi pare ci siano pecche da parte tua”
“Infatti, quello è uno dei problemi fondamentali. Sono sempre stata abituata a studiare in maniera diversa, prendere appunti, memorizzare i concetti chiave, trattare in maniera più approfondita i temi su cui insiste il professore durante la spiegazione e fare in maniera più veloce il resto, invece qui è tutto diverso. Per l'esame che è andato peggio, ad esempio, ho cannato in pieno cosa studiare, ho studiato un mare di roba inutile e saltato a pié pari cose che invece si sono rivelate importanti”
“Beh, direi che hai ben chiara la situazione. Insomma, hai capito dove hai sbagliato, no? I prossimi andranno meglio, non ti coglieranno impreparata”
“Stavo pensando di rifiutare il voto di quell'esame e ridarlo la prossima sessione”
“Cosa? E perché?”
“Per cercare di tirare su la media e per non dare al professore l'idea che io sia una fancazzista che si accontenta di galleggiare, una cazzona che ha scelto la scuola di cinema perché non ha voglia di studiare. Non voglio pensi che non ho fatto nulla per mesi, perché questo è ciò che viene fuori da quell'esame, è così che sembra, ma non è la realtà. Quell'esame e quel voto non mi rappresentano, voglio dimostrare chi sono veramente”
“Wow, beh, mi piace questo slancio di orgoglio da parte tua, una volta tanto”
“Grazie!”
“Peccato venga fuori nel momento sbagliato, perché in questo caso faresti una grandissima cazzata, scusa se te lo dico”
“Perché?” chiedo perplessa dopo che mi ha smontata in due secondi. Onestamente non è il tipo di reazione che mi aspettavo, stanno sempre tutti a menarla sulla mia scarsa autostima e fiducia in me stessa e nelle mie capacità, per una volta che penso sinceramente di meritare di meglio speravo in un po' più di supporto, specialmente da parte di Eddie.
“Perché alla prossima sessione avrai altri esami, no?”
“Beh, sì...”
“Quindi non solo dovresti studiare per quelli, e dovresti studiare bene per alzare la media, come dici tu, ma ti troveresti il vecchio esame ancora sul groppone, che significa altra roba da studiare. E' facile immaginare come finirebbe, o ti concentreresti sul vecchio esame tralasciando gli altri o faresti un esame tale e quale al primo, faticando anche con gli altri perché non hai avuto abbastanza tempo per studiare tutto”
“Beh...”
“E poi, chi ti dice che andrebbe meglio una seconda volta? Che accadrebbe se per disgrazia non lo passassi o ottenessi un voto inferiore?”
“Senza dubbio, opterei per seguire la sorte del ragno, ma senza aggrapparmi al davanzale del secondo piano”
“A me sembra che tu voglia ridare l'esame essenzialmente per una questione di brutta figura, non tanto per te stessa, ma piuttosto per gli altri, i professori, i tuoi genitori, chi lo sa, magari anche per noi cazzo, perché tutti noi ti vediamo come una ragazza studiosa. Voglio dire, che cazzo te ne frega di cosa pensano gli altri e tantomeno i professori? Che poi, quasi sicuramente non pensano nulla. Puoi rifarti coi prossimi esami, perché devi andare a incasinarti di più col rischio di toppare sia l'uno che gli altri?”
“Forse hai ragione”
“Certo che ho ragione. Sei troppo severa con te stessa, dovresti apprezzare di più quello che hai ottenuto, anziché avvilirti per quello che hai sbagliato. Cazzo, studi e lavori sodo, ti mantieni e ti paghi l'università a quanto ho capito”
“Per metà, l'altra metà la pagano i miei. E' anche per loro che avrei voluto fare di più, comunque c'è un loro investimento dietro, e non solo economico”
“Beh, fai tutte queste cose e hai perfino una vita sociale e ciononostante hai passato tutti gli esami. Ora, io non conosco tua madre, ma ho avuto l'occasione di conoscere Ray e non mi dà l'idea di uno che disconosce la figlia perché non ha il massimo dei voti. Credo sia orgoglioso di te a priori, o sbaglio?”
“Già...” non sbagli affatto, probabilmente sarebbe orgoglioso di me anche se rapinassi banche, è proprio per quello che la sua opinione non fa testo.
“Sinceramente, pensaci bene prima di prendere decisioni di questo tipo, non voglio fare il saggio della situazione e ti assicuro che a sentirmi parlare così un po' sto spaventando me stesso, ma in questo caso si può dire che ne va del tuo futuro. Fossi in te io accetterei questi voti e direi 'ok, abbiamo scherzato fin qui, adesso facciamo sul serio'. Che ne dici?”
“Effettivamente Letteratura comparata sono tre libri da studiare più la dispensa e tutte le schede, nonché i film da vedere. E' un bel mattone e non posso neanche dire, va beh, un po' l'ho già studiata, perché la dovrei praticamente ristudiare da capo”
“Appunto. Quindi?”
“Quindi devo prendere quei voti del cazzo, portarmeli a casa e stare zitta, vero?”
“Credo sia la cosa più saggia da fare”
“Mi sa di sì... Però non posso fare a meno di essere delusa”
“La delusione ti spingerà a fare meglio al prossimo giro”
“Al momento mi sta solo spingendo sempre più lontano da una qualsiasi borsa di studio. Ne dovrò servire di hamburger per continuare a studiare!”
“Allora, lo vediamo o no questo capolavoro della cinematografia?”
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“Meg, devo confessarti una cosa”
“Mmm ok”
“Mi vergogno come una ladra, però devo dirtelo per forza”
“E devi dirmelo per forza qui sul pianerottolo”
“Oh... eheheh no, scusa, entriamo prima” i ricci di Melanie vengono scossi dalla sua risata sommessa mentre infila la chiave nella toppa e apre la porta del suo appartamento. Sono le quattro e mezza del mattino e dopo una nottata passata esclusivamente a bere e ballare, accetto volentieri l'invito a casa sua per un caffè di ripiglio. Chissà se mi concederebbe anche il suo divano se glielo chiedessi. Giusto per qualche ora, onde evitare di irrompere in casa mia e svegliare la coinquilina già malaticcia all'alba. Chissà se sta un po' meglio, almeno abbastanza da poter venire all'Off Ramp... che poi, io non so neanche se ci vado. Voglio dire, lo so che ci devo andare e alla fine ci andrò, ma con che faccia guarderò Mike dopo il suo discorso?
L'appartamento di Melanie è esattamente come te lo aspetti conoscendola: arredamento semplice, ma elegante, divanetto e poltrone in pelle, televisore ultimo modello, idem per lo stereo, fotografie in bianco e nero di moda alle pareti, lampade di design, trionfo dei colori pastello.
“Allora, che mi devi dire di così tragico? Non mi dire che quando mi sono allontanata ti sei fatta l'avvocato viscido” le chiedo riferendomi a uno dei falliti che ha tentato di abbordarci nel locale.
“Che? Sei pazza, no! Per carità!” si difende lei schifata, mentre si avvicina con due tazzone bollenti di caffè e me ne porge una, prima di sedersi accanto a me sul divano.
“E allora cos'è successo?”
“Non so come dirtelo”
“Prova con parole tue”
“Ieri sono andata da Mike”
“Oh mio dio! Non credevo l'avresti fatto davvero, gli hai davvero rigato la macchina?? Pensavo lo dicessi tanto per sfogarti. Che insulto gli hai scritto?”
“No, era giusto uno sfogo infatti, non ho fatto niente, nessun atto vandalico”
“Che hai combinato allora al poveretto?” chiedo cercando di nascondere con un ghigno il mio imbarazzo nel parlare di lui.
“Beh ecco io...”
“E' così tremendo?”
“Dipende dai punti di vista: gli ho detto che potevamo tornare assieme” risponde lei innocentemente e se non sputo caffè su questo cazzo di divano azzurro di merda è solo perché nel momento in cui me lo dice ho già mandato giù il sorso.
“Prego?”
“Sì, insomma, gli ho detto che lo perdonavo e che forse avevo un po' esagerato... non guardarmi così, lo so cosa stai pensando”
“Non credo proprio, te lo assicuro”
“Che sono un'incoerente del cazzo, dato che fino all'altro giorno sputavo merda su Mike e non perdevo occasione per inviargli maledizioni varie”
“Beh, effettivamente”
“E' che mi sono accorta che stavo ingigantendo la cosa in una maniera esagerata, perché alla fine Mike avrà un sacco di difetti, ma non ha fatto nulla di grave, voglio dire, parlando con te ho capito che non c'è stato più niente tra voi da quando avete smesso di frequentarvi, e allora che mi incazzo a fare? Per cosa? Perché ha omesso di parlarmi della vostra storia precedente? Se l'ha fatto è anche perché so essere rompicoglioni come poche, voleva evitare che piantassi un casino per niente, cosa che poi inevitabilmente ho finito per fare”
“Però hai anche ribadito più volte, citando decine di aneddoti, che le cose non andavano granché bene già da prima... o sbaglio?”
“Sì, ma alla fine la colpa non sta mai da una parte sola in una coppia, non credi? Chiaramente lui si stava allontanando da me, e su questo non ci piove, ma io ho sbagliato perché avrei dovuto cercare di capire i motivi per affrontarli, anziché approfittare del suo primo passo falso per scaricarlo. Sembra quasi che non aspettassi altro che una scusa per mollarlo, ma in realtà non è così, io ci tenevo a lui. Ci tengo tuttora” continua lei mentre sprofondo sempre di più nel divano stritolando l'angolo di uno dei cuscini tra le dita senza farmi vedere.
“Ok, e allora? Ti vergogni perché sei tornata con Mike dopo averne parlato male con me? Mica ti devi vergognare, non mi devi nessuna spiegazione, alla fine devi fare quello che ti senti, se avete fatto pace buon per voi”
“Non abbiamo fatto pace. E non sono tornata con lui” sono le parole magiche che salvano il cuscino dalla distruzione totale.
“Come no? Ma se hai appena detto-”
“Ho detto che gliel'ho chiesto, ma lui ha detto di no, non ne ha la minima intenzione. Capisci, non ne vuole più sapere di tornare con me! Gli sono stata così addosso che l'ho allontanato definitivamente. Brava Melanie, complimenti!” appoggia la tazza colma del caffè che non ha praticamente ancora toccato sul tavolino accanto al divano e si fa un applauso ironico da sola.
“E perché? Cioè, che ti ha detto di preciso? E' arrabbiato o cosa?” cerco di estorcerle qualche informazione in più, chissà che a Melanie non abbia dato una spiegazione più specifica di devo capire cosa voglio.
“Penso di sì, ma lui ha detto che ha bisogno di chiarirsi le idee, che non sa cosa prova per me, che deve capire... Che cazzo deve capire? Fino a qualche giorno fa mi amava, abbiamo litigato, ora il motivo del litigio è rientrato, dovrebbe tornare tutto come prima, no? E invece no! E perché no? Non lo so, non capisco. Davvero, non ci capisco più nulla, so solo che ho fatto un gran casino per niente, perché ci stavo bene con Mike”
“Prima non dicevi proprio così però”
“Lo so! Te l'ho già detto, sapevo che mi avresti presa per una malata di mente, ma davvero non so che mi prende. La rabbia è svanita di colpo, ora mi sembra di vedere tutto più chiaramente. Hai presente quando la sera non riesci a dormire dopo aver visto un film horror perché sei preda delle paranoie più assurde e poi la mattina dopo ridi di te stessa e le cose che ti facevano paura ti sembrano tutte cazzate?”
“Ah io non ho quel problema, ho Angie. Ci pensa lei a distruggermi tutta la poesia, o meglio, in questo caso lo spavento, raccontandomi decide di dettagli insignificanti su effetti speciali e dietro le quinte di ogni cazzo di film. Poi fa dei commenti a caldo da farti ribaltare, è riuscita a farmi ridere con L'Esorcista, ti ho detto tutto” cambio argomento anche perché mi sento stranamente più rilassata. Stranamente perché, in fondo, per quanto mi riguarda non cambia niente, Mike non ha fatto altro che ripetere anche a Melanie quello che aveva già detto a me per telefono. Sarà che alla fine mal comune, mezzo gaudio vale sempre e sapere che sia io che quest'altra disgraziata siamo sulla stessa barca mi fa sentire meno di merda. Però da qui a gioire della disgrazia condivisa ce ne corre, ecco perché mi sento deficiente a mandar giù sorsate di caffè senza soluzione di continuità per nascondere dietro la tazza il sorrisetto involontario che continua a stamparmisi in faccia.
“Voglio dire, non era una relazione perfetta, ma chi ce l'ha la relazione perfetta? Nessuno. Ma finché c'ero dentro potevamo sistemarla questa storia, adesso che cavolo sistemo? Un bel cazzo di niente” le mie serate film con Angie non bastano a distrarla e la sua mente non si schioda da Mike. La mia invece si è limitata ad archiviarlo nuovamente come single e a richiudere lo schedario con un allegro colpo d'anca.
Sono le cinque passate quando mi congedo da Melanie e mi rimetto in macchina per tornare a casa. Non mi ero accorta quanto mi mancasse avere un auto finché non ne ho avuta di nuovo una. In questa occasione specifica, ad esempio, senza macchina mi sarei ridotta a chiedere a Melanie di poter chiamare un taxi, al che lei mi avrebbe detto che sarei potuta rimanere a casa sua a dormire. Che poi era il mio piano originario, almeno fino a quando l'idea di dormire da lei non si è concretamente trasformata nella possibilità di rimanere lì a sorbirmi ore di paturnie su Mike e su come abbia lei potuto mandare a puttane la loro fantastica e promettente storia d'amore. Invece ho la mia amata Black Ghost, soprannome affibbiato da Angie sia a questa che all'auto che l'ha preceduta, come semicitazione della macchina di Baretta, e la libertà di andarmene via da qualsiasi luogo e situazione quando e come cazzo mi pare, senza dover dipendere da nessun altro. E sarebbe davvero figo avere questo tipo di libertà anche nella vita sociale, poter decidere di andarmene quando voglio, non quando gli altri decidono che è arrivato il momento di cancellarmi dalla loro esistenza; di chiudere una storia perché ho davvero deciso che non ne voglio più sapere e non perché l'altra persona non si decide; di mettere fine a un inciucio segreto perché non ha senso e sarebbe solo fonte di guai, non perché il lui di turno si pente e vuole evitare casini. Ma poi la saprei sfruttare nel modo giusto questa libertà? Sto sempre lì a lamentarmi, a struggermi, per capire cosa vogliono gli uomini, ma io lo so cosa voglio? La voglio davvero una storia seria? Che sentimenti provo per Mike? E per Matt? Andrà a finire che, tra tutti, forse l'unico che ha davvero le idee chiare è proprio l'insospettabile McCready.
Apro la porta di casa cercando di fare il minor rumore possibile e per lo stesso motivo scendo dai miei trampoli ed entro nell'appartamento scalza e con le scarpe in mano. Accendo la piccola lampada in corridoio, giusto il tempo di arrivare alla mia stanza, dove accendo la luce, dopodiché torno indietro a spegnere il lume. Mi cambio per la notte (beh, notte... mattina ormai) molto velocemente, onde evitare di trasformarmi in un surgelato con questo cazzo di freddo, e scappo in bagno a struccarmi. Prima di infilarmi definitivamente nella mia stanza decido di dare un'occhiata alla mia amica malata, per nessun motivo in particolare, giusto per vedere se è tutto ok, se è sveglia, se si è di nuovo addormentata con la tele accesa o se sta dormendo con la bocca aperta ed è il caso di prendere una macchina fotografica. Mi avvicino in punta di piedi alla sua camera, apro pianissimo la porta e la scena che mi si presenta davanti richiederebbe effettivamente l'impiego immediato di una macchina fotografica, ma non so se più per immortalare la scena in sé o la faccia che devo avere io nel momento in cui vedo Angie a letto con Eddie. Che poi non è proprio così, nel senso, io vedo Eddie, Angie la intuisco, non la vedo, almeno non subito. Eddie è sotto le coperte, sdraiato sul fianco sinistro e rivolge verso la porta, e quindi verso di me, l'espressione più serena e soddisfatta che io abbia mai visto stampata sul viso di uno che dorme. Solo a una più attenta osservazione mi accorgo del braccio che gli cinge la vita da dietro e della mano che stringe nella sua nel sonno. Inconsciamente, senza rendermene propriamente conto, avanzo di qualche passo per vedere meglio, più per incredulità che per curiosità morbosa, e non posso che constatare che è la piccola bugiarda a dormire con la faccia affondata tra i riccioli di Eddie. A questo punto realizzo che cazzo sto facendo, qui impalata al centro della stanza a spiare due che dormono assieme, raccolgo la la mia mandibola caduta a terra e indietreggio velocemente verso la porta, che praticamente richiudo sbattendola senza pensarci, tanto quella stronzetta di Angie ha il sonno pesante.
Quando apro gli occhi qualche ora dopo, verso le 11 circa, Eddie è ancora qui, lo so perché sento la sua voce dal corridoio, e ci vuole tutta la mia forza di volontà per impedirmi di uscire dalla mia camera in pompa magna e coglierli in flagrante mentre amoreggiano come due colombi. Faccio la brava, non voglio commettere gli stessi errori e irrompere a passo di elefante nella vita privata sentimentale di Angie anche questa volta, aspetto di sentire un Ciao, a stasera e il rumore della porta del nostro appartamento che si apre e si chiude. Esco di soppiatto e corro in cucina, ma probabilmente lo faccio con passo veramente felpato perché quando Angie scorge la mia sagoma appoggiata al tavolo ha più o meno un mezzo infarto.
“CRISTO SANTO, MEG!” le sue imprecazioni stonano un po' col vestaglione rosa a cuoricini e il pigiama coi ricci. E la mise stona pure col resto, diciamocelo, non è l'abbigliamento più consono per farsi travolgere dalla passione.
“Oh buongiorno Angie”
“Quando ti sei alzata? Mi hai spaventata a morte!”
“Come vedi, non sei l'unica campionessa in questo sport”
“Eheh vedo, l'allieva ha superato la maestra” commenta ridendo. Ma che ti ridi? Adesso ti sistemo io.
“Come stai? Ti vedo decisamente meglio stamattina”
“Sì, va meglio, non ho più la febbre... credo... e anche la tosse va meglio”
“Eh sì, certe medicine fanno miracoli...” osservo catturando una banana dal cesto alle mie spalle sul tavolo.
“Quelle bustine che mi hanno dato in farmacia sono una bomba, devo ricordarmi di non buttare la scatola”
“Oh beh, certo, anche quelle”
“Tu? Com'è andata la serata?” che carina, fa la gnorri.
“Bene. Melanie ha provato a tornare con Mike e lui l'ha rimbalzata alla grande” le spiattello tutto velocemente, in modo da sbrigare subito la pratica e poterci poi dedicare all'argomento più succulento del giorno.
“Cosa?! Ma... lì, con te presente?” chiede allibita mentre io sbuccio il frutto con tutta calma.
“Nah, un'altra sera. Comunque niente di che, me l'ha raccontato e io ho fatto la finta tonta”
“Capisco... cavolo, che situazione”
“Alla fine ha detto anche a lei che vuole tempo per capire, quindi i casi sono due: o è la storia che ha deciso di rifilare a tutte quelle di cui si è rotto le palle o è la verità”
“Credo sia la verità, Meg. Alla fine è-”
“Sì sì, lo so anch'io. Ma non è di questo che volevo parlare con te”
“Uhm ok, che volevi dirmi?” chiede un po' spiazzata.
“Io niente. Tu? Non hai niente da dire?”
“Io? In che senso?”
“Non c'è niente che mi devi dire? Nulla di nuovo da raccontare?” la incalzo prima di addentare la banana.
“No, perché?”
“Non so, vedi tu”
“La smetti di parlare per allusioni? Cosa c'è? Che è successo?”
“A me niente, a te invece le cose da dire non mancherebbero... se solo volessi”
“Non penserai ancora che mi drogo, vero?”
“Ahahah no, mi riferisco a un altro tipo di dipendenza”
“Di che cazzo stai parlando?”
“Dipendenza da maschietti! Cazzo, Angie, non ti facevo così mangiatrice di uomini. Prima Jerry, poi Dave e adesso...”
“Adesso chi? Che cosa?”
“Mah non saprei, magari qualcuno che casualmente si è fermato a dormire qui stanotte, che dici?”
“Ma chi? Eddie?”
“AH ECCO! ALLORA NON ME LO SONO SOGNATO!”
“Ha dormito qui, e allora?” Angie fa spallucce, anche se un po' intimorita dal mio tono di voce.
“E allora? E allora dimmelo tu”
“E allora niente, è passato a trovarmi e ci siamo addormentati davanti alla tv, visto che si è fatto un po' tardi gli ho detto che poteva dormire qui”
“Qui? Proprio qui?” domando ironica, indicando il pavimento e il tavolo”
“Ahah va beh, come sei letterale. Ha dormito sul divano ovviamente”
“Sul divano?”
“B-beh, sì. Perché?”
“Strano, non l'ho visto quando sono rientrata”
“Ma tu a che ora sei tornata?”
“Un po' dopo le cinque”
“Eh beh, per forza non l'hai visto, eheh, a quell'ora ronfavamo davanti alla tv. Ci saremo svegliati alle, boh, sei meno un quarto, gli ho detto che poteva dormire qualche ora sul divano se voleva”
“Sei meno un quarto?”
“Sì”
“Sei meno un quarto me lo chiami un po' tardi?”
“Beh sì, nel senso che è talmente tardi che è praticamente presto”
“Angie, si capisce che non sei ancora guarita del tutto, di solito menti meglio di così” osservo finendo la banana e buttando la buccia nella spazzatura, per poi tornare al posto di prima.
“Che dici, io non sto ment-”
“Sì, invece, lo so che Eddie ha dormito con te, quindi taglia corto con le stronzate e comincia a raccontare” incrocio le braccia e godo sapendo che la mia vittima sta per capitolare.
“Ma che ne sai, non è vero!”
“Vi ho visti, quindi è inutile che cerchi di arrampicarti sugli specchi”
“CHE COSA?”
“Prima di andare a letto ho sbirciato in camera tua per vedere se stavi bene, se avevi bisogno di qualcosa”
“MEG!”
“E ho visto che no, non avevi bisogno di nient'altro, avevi già tutto quello che ti serviva” accompagno il commento con un occhiolino, che ovviamente per lei peggiora la situazione.
“Oddio, guarda che eheh non è come pensi”
“E allora dimmi com'è, avanti, sono tutta orecchi”
“Ci siamo addormentati davanti alla tv e-”
“Ancora con questa cazzata”
“No, è la verità! Abbiamo visto un film, poi lui ha iniziato a fare zapping e siamo finiti su quelle cazzo di telepromozioni che gli piacciono tanto. Tra i residui di febbre e la sonnolenza da medicinali, sono crollata tempo zero”
“Seh, va beh, e vi siete risvegliati alle sei meno un quarto”
“No, molto prima, verso le due e mezza”
“Questo mi sembra già un pochino più credibile. Poi?”
“Eddie mi ha svegliata, beh, ci ha provato”
“Spero abbia aspettato che fossi sveglia prima di provarci” lo so, sono una stronza.
“Piantala Meg! Intendevo che ha provato a svegliarmi, io mi ricordo a malapena, ero nel dormiveglia, ho dei vaghi ricordi di lui che mi dice che è tardissimo e che va via e io che gli propongo di fermarsi a dormire qui vista l'ora, era anche senza macchina”
“E a quanto pare Eddie è un altro che prende tutto alla lettera, visto che si è infilato sotto le tue lenzuola”
“Mentre ero mezza addormentata mi pare mi abbia chiesto una coperta per sistemarsi sul divano e io devo avergli detto qualcosa del tipo che poteva dormire anche lì, che tanto il letto era grande, o una cosa del genere”
“E brava Angie! Questa era geniale, mi sa che da addormentata sei più sveglia che di solito”
“E basta, è finita lì, non è successo niente”
Non così sveglia a quanto pare.
“Come niente?”
“Niente! Abbiamo dormito, poi si è svegliato, mi ha salutato e se n'è andato, cinque minuti fa”
“Avete dormito”
“Certo!”
“E avete scopato prima di dormire o dopo?”
“MEG MCDONALD!”
“O tutt'e due?”
“Né prima né dopo, io e Eddie non abbiamo fatto... quello!”
“Oddio, non riesci nemmeno a dire scopare e Eddie nella stessa frase, allora ti piace sul serio!”
“No, l'accostamento è semplicemente troppo ridicolo per poter essere pronunciato”
“Ridicolo, eccome, da ammazzarsi dalle risate proprio”
“Risate o no, non c'è stato niente, chiaro?”
“Sei seria?”
“Serissima, abbiamo dormito e stop”
“Beh... però da com'eravate messi sembrava tutt'altro” sferro il mio secondo attacco senza aspettare che si riprenda totalmente dal primo.
“Che vuoi dire? Perché? Com'eravamo messi?”
“Vicini, per dirla con un eufemismo”
“Il mio letto ha due piazze, non quarantacinque, è normale essere vicini”
“Sì però voi occupavate la stessa piazza in due”
“Ahahah che cosa?”
“Eravate teneramente accoccolati uno sull'altro, non fare la finta tonta”
“Te lo stai inventando” Angie cerca di mantenere una certa compostezza mentre mi guarda spalancando gli occhi.
“Lo giuro su quello che vuoi: dormivate abbracciati”
“Esagerata, magari si sarà girato dalla mia parte nel sonno e-”
“No no, Eddie era per i fatti suoi, eri tu a invadere la sua metà del letto”
“COSA?!”
“Eravate così, tu sei Eddie e io sono te.” corro dietro di lei e l'afferro per i fianchi, tuffando il naso nei suoi capelli mentre ridacchio “Gli respiravi direttamente nell'orecchio”
“CAZZATE”
“Te lo giuro sulla mia macchina nuova” lei si volta e io mi allungo per guardarla negli occhi e vedo il momento stesso in cui il terrore si impossessa di lei.
“Oh merda”
“Eravate carini”
“OH MERDA” urla dirigendosi in sala.
“Deduco che non vi siate svegliati così stamattina” la seguo fino al divano, dove si lascia cadere mollemente.
“Quando mi sono svegliata Eddie era già in piedi”
“Allora solo lui si è svegliato tra le tue braccia, forse”
“OH MERDA!” Angie si copre la faccia con un cuscino del divano.
“Dai, ho detto forse! Magari poi dormendo l'hai liberato”
“Sono una cazzo di molestatrice” borbotta lei da dietro il cuscino.
“Dai, non esagerare, non hai fatto niente di male”
“No, infatti, che male c'è ad avvinghiarsi a una persona che dorme? Perché è un ragazzo, cosa diresti se fosse stato il contrario invece? Se un uomo palpeggia una donna nel sonno non è un maniaco? Cosa sono questi, due pesi e due misure?”
“Allora punto primo, non l'hai palpeggiato, l'hai abbracciato; punto secondo, dormivi anche tu, quindi non l'hai fatto apposta”
“Ok, ma povero Eddie comunque”
“Oh sì, povero Eddie... aveva una faccia... si vedeva proprio che era dispiaciutissimo di stare tra le tue braccia!”
“Ma che cazzo c'entra, dormiva! Mica sapeva dove stava. Magari stava facendo un bel sogno, che so, magari sognava la sua tavola da surf o gli Who al Kingdome” ribatte levandosi il cuscino dalla faccia e appoggiandoselo sulle ginocchia.
“O Angelina Pacifico che gli faceva i grattini sulla pancia”
“OH MERDA” Angie si butta in avanti in picchiata e riaffonda il viso nel cuscino.
“Ahahah dai, la fai più grave di quanto non sia”
“Se eravamo così quando si è svegliato, mi ammazzo”
“La fai molto grave, direi”
“Uff, questa cosa con Eddie mi sta sfuggendo di mano” Angie si alza, lascia cadere questa affermazione come il cuscino sul divano e se ne va in camera sua, sperando di chiuderla così.
“Questa cosa cosa?” le chiedo andandole dietro come un cagnolino.
“Cosa?”
“Cosa sarebbe questa cosa?”
“Di che cosa stai parlando?” se spera di farmi uscire di testa si sbaglia di grosso.
“Hai detto questa cosa con Eddie... Vuol dire che tra te e Eddie c'è qualcosa, no?”
“Io e Eddie siamo amici”
“Seh, come no”
“Amici... un po' speciali” ammette sedendosi sul suo letto, proprio dal lato dove stava Eddie fino a qualche ora fa.
“HA! Lo sapevo!”
“Ma non nel senso che intendi tu” Angie inizia a raccontare del patto di reciproco aiuto nei momenti di difficoltà imbarazzanti, delle loro conversazioni, della dolcezza di Eddie nei suoi confronti, delle confidenze e delle coccole davanti alla tv che lei chiama con un altro nome più complicato e meno realistico. Da un lato sono soddisfatta nell'apprendere che non mi sono sognata tutto e che il mio sesto senso ci ha azzeccato in pieno, dall'altro non posso fare a meno di sentirmi un po' triste perché, voglio dire, dov'ero io mentre succedeva tutto questo? Come ho fatto a non accorgermene prima? Il periodo in cui Angie era arrabbiata con me è ormai passato e archiviato, ma gli effetti di quella piccola lite si vedono tutt'ora, nella distanza creata dalle cose non dette, dai consigli non dati e non richiesti. La mia amica me ne sta parlando ora e va bene, anzi, benissimo, perché vuol dire che è tornata a fidarsi di me, ma resta il fatto che per un certo lasso di tempo, seppur breve, non ho fatto parte della sua vita, o almeno non abbastanza, e la cosa mi brucia un po'.
“Ok, allora, fammi capire: ti chiama solo per sentire la tua voce, ti fa le coccole, ti compra la cioccolata, ti salva dai ragni, ti porta a vedere le stelle... Diciamo che il senso che intendevo io era leggermente più porno e meno rosa, ma si avvicinava molto” commento restando ancora sulla porta.
“Quanto sei scema”
“No, la scema sei tu, tesoro. Non può essere semplicemente che gli piaci?”
“No”
“E perché no?” chiedo perplessa, aspettandomi il solito pippone sul suo essere un cesso e cagate simili.
“Perché me l'ha detto”
“Come te l'ha detto? In che senso?”
“Me l'ha detto, quanti sensi conosci?”
“Ti ha detto che non gli piaci?” la raggiungo sul letto incredula. Beh, se così fosse, sarebbe stato onesto da parte sua, ammettere di volerla solo come amico, senza prenderla in giro. Però non puoi dire una cosa e poi nei fatti andare nella direzione opposta.
“Non così, ma sì, me l'ha fatto capire” Angie ridimensiona la cosa e io tiro un sospiro di sollievo.
“Ah! Allora non te l'ha detto”
“Me l'ha fatto capire!”
“E come?”
“Beh, tanto per cominciare mi ha detto che gli mancava la sua ragazza”
“Gli mancava? Quando te l'ha detto?”
“Alla sua festa di compleanno”
“E' passato più di un mese, magari non gli manca più”
“Invece sì, anche se non parla più di lei, si capisce che ci sta ancora male, anzi, lo si capisce proprio perché non la nomina più”
“O magari non la nomina più perché gli interessa un'altra persona”
“Sì, infatti c'è un'altra ragazza: la tipa che si è inventato per scaricare Violet” risponde con un ghigno.
“La cotta immaginaria...” ripeto tra me e me mentre le rotelline del mio cervello cominciano a lavorare.
“Anche il fatto che non esca mai con nessuna ragazza... E' ovvio che è ancora sotto per Beth”
“Questo non è esatto: è uscito con te”
“Io sono un'amica”
“Ma sei anche una ragazza. Una ragazza con cui è molto affettuoso”
“Eddie mi ha lasciato intendere chiaramente che gli manca la sua ragazza, la sua presenza... Se è affettuoso probabilmente o è nel suo carattere o è perché gli manca... beh sì, un po' di calore umano, per colmare l'assenza di Beth”
“Che cazzata, se volesse solo del calore umano ci proverebbe con tipe qualsiasi, non credi? Che glielo darebbero volentieri”
“Non lo farebbe mai, col rischio che l'altra persona fraintenda o che la cosa dia inizio a un coinvolgimento più o meno emotivo, come poteva succedere con Violet per esempio, che è poi il motivo per cui l'ha evitata” continua lei ed è quando pronuncia il nome di Violet che un set di sveglie comincia a suonarmi in testa all'unisono.
“Che è poi il motivo per cui se n'è uscito con la storia della presunta cotta”
“Esatto”
“ESATTO UN CAZZO, ANGIE! NON HAI CAPITO??” salto in piedi sul letto, non prima di averle dato una sonora pacca sulla schiena.
“Meg, sei impazzita?”
“SEI TU, CAZZO!”
“Il potassio della banana comincia a fare effetto, vedo. Mai sottovalutare i sali minerali” ribatte sarcastica, mentre continuo a saltellare sul letto.
“Ti reputo una persona intelligente, perciò rifletti: stava con un suo amico, poi si sono lasciati e in seguito frequentava un altro”
“Ma chi?”
“La tipa immaginaria che ha rubato il cuore a Eddie, non ti ricordi, questo è quello che ha raccontato a Violet, giusto?”
“Sì, e allora?”
“E allora, quella cretina ha pensato a me, ma non è tutta colpa sua, dopotutto ci sono cose che lei non sapeva”
“Di che diavolo stai parlando, Meg? E puoi smetterla di saltare sul mio letto?”
“No. Tu con chi stavi quando hai conosciuto Eddie?”
“Tecnicamente con nessuno”
“E non tecnicamente? Dai, su, non rendere le cose più difficili”
“Con Jerry? E quindi?”
“Jerry lo possiamo definire un amico o conoscente di Eddie, no?”
“Più o meno”
“Poi vi siete lasciati male, giusto?”
“Giusto”
“E poi chi hai frequentato?”
“Nessuno”
“Ahahah davvero? Non dire cazzate”
“Non capisco dove vuoi arrivare”
“Allora mettiamola così: con chi sei uscita un paio di volte rispolverando i vecchi tempi e, a quanto pare, solo quelli?”
“Ok, con Dave. E quindi?”
“E quindi non ti sembra una coincidenza molto strana?” con un ultimo salto torno in posizione seduta, proprio di fronte a lei.
“No, che coincidenza?”
“Angie, non fare finta di non capire, per piacere”
“E va bene, ho capito cosa stai insinuando, ma preferisco far finta di non capire perché non voglio offenderti ridendoti in faccia”
“E' così assurdo che Eddie possa avere una cotta per te?”
“Sì, talmente assurdo da non essere vero”
“Mmm ok. Tu invece?”
“Io cosa?”
“Tu che provi?”
“Che vuol dire che provo? Niente”
“Non provi niente? Ti è indifferente? Non ti interessa di lui?”
“Certo che mi interessa, ci tengo... da amica”
“Da amica e basta?”
“Sì” risponde troppo in fretta.
“Non è che anche a te fa piacere questo scambio di calore umano?”
“Sì... cioè, no... oddio, mi fai sentire una persona orribile!” Angie si infila sotto le coperte imbronciata.
“Ahahah orribile? E perché mai?”
“Perché mi stai praticamente dicendo che sto usando Eddie perché mi sento sola”
“Che è poi la stessa cosa che tu stai dicendo di lui da quando abbiamo iniziato a parlare”
“E' diverso, Eddie non mi sta usando”
“Ah quindi se lo fa Eddie va bene e se lo fai tu no?”
“Eddie non lo fa con malizia, non consapevolmente”
“E invece tu...?” e qui ti volevo.
“Io... uff...” Angie si tira il piumone sopra la testa per nascondersi.
“ALLORA TI PIACE, AMMETTILO!” la aggredisco attraverso le coperte.
“No”
“Devo ricominciare a saltare?”
“E va bene, mi piace, ok? E' un bel ragazzo ed è anche interessante. E affettuoso. Ed è un caro amico e io dovrei reagire con distacco e invece no, sono stronza!” Angie riemerge dalle coperte, il broncio trasformato in una smorfia sofferente.
“Angie, non c'è niente di male se ti fai coccolare un po'...”
“E invece sì, perché nonostante tutto finirò per illudermi, lo so già”
“A volte le illusioni diventano realtà, anzi, a volte siamo così confusi da scambiare la realtà per illusione”
“O viceversa”
“Senti, io non conosco bene Eddie, non quanto lo conosci tu, e non so se ha effettivamente una cotta per te, ma se c'è una cosa di cui sono sicura al 100% è che ci tiene a te e ti rispetta troppo per usarti come dici tu”
“Lo so”
“E che ha un bel culo, anche quella è una solida certezza” aggiungo riuscendo finalmente a farla ridere, ma anche a farle scatenare una guerra di cuscini all'ultimo sangue.
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“EDDIE! EDDIE!” la voce ancora un po' rauca di Angie mi chiama a gran voce attraverso la porta del camerino.
Beh, camerino è una parola grossa, diciamo stanza con divanetto e posacenere dove le band che suonano all'Off Ramp possono cazzeggiare prima e dopo il concerto e lasciare il proprio segno chissà quanto indelebile sulle pareti, già interamente ricoperte di scritte e firme. Devo essermi appisolato mentre ero sovrappensiero.
“Sì, ci sono”
“Sì può?” chiede di nuovo bussando.
“Certo, entra” rispondo nascondendo con un calcio sotto il divano la maglietta sudata che mi sono cambiato dopo il concerto.
“Ehi, che fai lì impalato? Ti stanno aspettando tutti. Beh, quasi tutti, Stone è già partito senza di te”
“Scusa, stavo... stavo scrivendo e ho perso la cognizione del tempo”
“Il live di stasera ti ha ispirato?” continua chiudendosi la porta alle spalle e avanzando verso di me.
“Sì, eccome”
“Beh, ci credo, è stato fantastico. E tu sei davvero migliorato, devo dare ragione a Jeff”
“Oh grazie”
“Molto più energico e appassionato, mi sei piaciuto!”
“Mi fa piacere, la tua opinione è importante per me”
“E anche l'alchimia tra di voi, si vede che suonate insieme da più tempo”
“E il pezzo nuovo?”
“Ehm che?”
“La canzone nuova... Oceans... quella che ti ho dedicato... che ne pensi?” non so come mi è venuto, non so come posso aver fatto una cosa del genere. Forse il vino che ho bevuto prima di salire sul palco per sciogliere i nervi ha avuto un ruolo in tutto questo.
“Oh quella! Bellissima, un po' strana...”
“Già, non c'entra molto col resto”
“Però mi è piaciuta, molto... come dire... suggestiva”
“Sono contento. E ti è piaciuto anche quello che ho detto? Voglio dire, su di te, eccetera...” ho dedicato la canzone a lei definendola una persona speciale che adoro e che avrei sperato di vedere dopo il concerto. Mentre lo dicevo mi immaginavo che sarebbe fuggita per la vergogna dopo cinque secondi, invece è rimasta lì, impietrita e rossa come un peperone, ma pur sempre lì. E ci è rimasta per tutto il tempo della canzone e per tutto quel tempo non le ho tolto gli occhi di dosso.
“Oh beh, sì, mi ha un po' sorpreso, cioè, più di un po'” risponde con lo sguardo fisso sul pavimento e le mani dietro la schiena.
“Non volevo metterti in imbarazzo” però l'hai fatto, grandissima testa di cazzo.
“No, tranquillo, figurati”
“E' che la canzone... beh, l'ho scritta per te, e mentre ero là sopra ti ho vista e allora non ho potuto farne a meno, mi è venuto spontaneo”
“E' una bellissima canzone, Eddie”
“E' merito tuo”
“Eheh no, l'artista sei tu! Comunque mi piace moltissimo il testo, quando parli del legame, sottile come un filo, ma allo stesso tempo indistruttibile, e del fatto di esserci sempre per l'altra persona, del ritornare sempre” spiega venendosi a sedere accanto a me sul micro-divano.
“Già”
“E' una gran canzone sull'amicizia, quella vera” aggiunge sorridendo e a questo punto non resisto più.
“Angie, in quel brano ci sono tantissime cose, ma l'amicizia non è fra quelle”
“No?” domanda stranita.
“No, te lo posso assicurare”
“E allora cosa c'è?”
“Non l'hai ancora capito?”
“Come posso capirlo se non me lo dici?”
“Hai ragione anche tu”
“Allora dimmelo” Angie accavalla le gambe e così facendo sfiora leggermente la mia e il fatto che abbia deciso di mettere una gonna, oltre all'estrema vicinanza, non mi aiuta affatto a concentrarmi.
“Non sono bravo con le parole”
“Disse colui che con le parole ci lavora” ironizza lei col suo adorabile sorrisetto.
“E' diverso”
“Allora non usare le parole” suggerisce con un tipo diverso di sorriso, uno malizioso, che non le ho mai visto, che mi colpisce come una scossa elettrica.
Baciarla non è una decisione ragionata, non è un'azione che compio attivamente, è più che altro un atto inevitabile a cui decido di non oppormi minimamente, sono spettatore di me stesso che le prendo il viso tra le mani e premo le labbra contro le sue, mentre lei mi abbraccia per i fianchi, stringendo più forte nel momento in cui insinuo la lingua nella sua bocca.
“EDDIE!” stavolta è Jeff che mi chiama al di là della porta.
“Sì!” rispondo affannato, staccandomi a malincuore da quel bacio.
“EDDIE SEI VIVO? TI MUOVI?!”
“Eddie?” stavolta è la voce più dolce di chi mi sta accanto a chiamarmi, mentre io ho lo sguardo fisso verso la porta, almeno finché Angie non mi prende il mento tra le dita e mi forza a guardarla. E' stupenda, le guance in fiamme, i capelli un po' spettinati, la matita sull'occhio sinistro leggermente sbavata quasi sicuramente da me, le labbra dischiuse.
“Sì?”
“Potresti spiegarti meglio?”
“Eh?” chiedo con i pugni del bassista sulla porta in sottofondo.
“Quello che mi dovevi dire, senza parole... Non ho capito bene” spiega seria seria, scuotendo la testa.
“COME NON HAI CAPITO?? MA CHE CAZZO, ANGIE, MI SEMBRA CH-” mi sale in un attimo il sangue al cervello, fino a quando lei non mi punta l'indice sulla bocca zittendomi.
“Eh sì, non ho capito, perciò me lo devi rispiegare... nel senso che dovresti continuare a spiegarmelo, come hai fatto prima, ancora per un po'...” Angie sostituisce il dito con le sue labbra, che sussurrano la sua richiesta sulle mie.
“EDDIE! TOCCA A NOI!” il mio collega urla, ma io non capisco neanche il senso di quello che dice.
“AAAH! Sì, beh, volentieri, ma... ecco... c'è Jeff che mi chiama e...”
“... e chi se ne frega” ribatte prima di stamparmi una fila di bacini sul solo labbro inferiore, che poi cattura tra i denti.
“Ma infatti...” bofonchio io con la bocca mezza occupata “Che cazzo me ne frega”
“AH NON TE NE FREGA EH? ASPETTA CHE LO DICA A STONE!” spalanco gli occhi a quell'urlo e mi ritrovo Jeff in piedi davanti a me a braccia conserte e sguardo metà torvo e metà divertito.
“Ehi Jeff, che caz-” confuso, mi tiro su mettendomi a sedere meglio sul divano, su cui non c'è nessuno a parte me.
“Ma che fai? Dormi? Tocca a noi, suoniamo tra cinque minuti!”
“Mi sa che mi sono appisolato” commento realizzando che il concerto non c'è mai stato, non ancora. E nemmeno tutto il resto.
“Ahahah non è il momento di dormire questo, cerca di svegliarti su!”
***
“Ma il pezzo nuovo?” domanda Angie, rompendo il silenzio all'interno del mio pick up dopo che abbiamo accompagnato Mike a casa.
“Che? Quale pezzo?”
“L'altra sera non mi hai detto che avevi scritto un pezzo nuovo, diverso dagli altri?”
“Ah quello! Sì, beh, molto diverso, troppo. Più che altro è un lento, abbiamo già Release, volevamo che il resto del set fosse più energetico ecco” spiego arrampicandomi sugli specchi. In realtà Stone aveva proposto di farla proprio al posto di Release, ad aprire il concerto, ma mi sono opposto, spalleggiato stranamente da Jeff. Ancora più stranamente l'abbiamo avuta vinta.
“Capito. Il mistero si infittisce” commenta ridacchiando e io butto per l’ennesima volta lo sguardo sulle sue gambe, che vedo per l’ennesima volta fasciate dai jeans e non scoperte come nel mio stupido sogno.
“Hai sonno, Angie?”
“Beh, no, cioè, non esageratamente, perché?”
“Perché io non ne ho”
“Ommioddio, che cosa strana!” scherza sgranando gli occhi.
“Non voglio andare a casa subito, che dici, facciamo un giro?” le propongo fingendo che l'idea mi sia venuta così sul momento, quando in realtà ho pianificato tutto quasi nei minimi dettagli. Ho preso il mio pick up apposta calcolando che dopo il concerto e dopo la riunione al pub Jeff se ne sarebbe andato via con Laura a casa di lei, Dave sarebbe andato dalla fidanzata e Stone e Mike avrebbero preso il furgone della band. Angie mi aveva anche anticipato al telefono che Meg sarebbe venuta solo al concerto, onde evitare scene imbarazzanti con McCready, e se ne sarebbe poi tornata a casa per i fatti suoi. Avevo il quadro della situazione e ci avevo quasi preso, il quasi soltanto perché non avevo calcolato Grace. Stone si è presentato mano nella mano con lei, e non si sono certo limitati alle mani, senza ovviamente dare alcun tipo di spiegazione sulla rapida evoluzione del loro rapporto, cosa che dopotutto non era tenuto a fornirci. Buon per loro! Un po' meno per me, perché alla fine mi sono ritrovato con un chitarrista non previsto in macchina. Mike però, non so se apposta o per caso, ha insistito perché lo accompagnassi a casa per primo e Angie non si è opposta alla richiesta.
“Mmm ok, dove?”
“Partitella?” le propongo nel momento in cui passiamo davanti al campetto vicino a casa sua.
“Ahahah a quest'ora?!”
“Perché no?”
“E la palla dove la troviamo? Ce l'hai dietro?”
“Ah già” che cazzo, potevo pensarci!
“Facciamo un giro in centro magari” propone, lasciando intendere che allora non le dispiacerebbe passare un altro po' di tempo con quel coglione di Eddie.
“Aggiudicato!” esclamo mentre pigio un po' di più sull'acceleratore “Mi è anche venuta un'idea”
“Devo cominciare ad aver paura?”
“Nah. Non ancora, almeno”
***
“Tu sei scemo” le sento dire quando sono in cima alla breve scalinata che porta alla biglietteria, mi volto e la vedo ferma ai piedi delle scale, che mi guarda come se fossi pazzo. O scemo, per l’appunto.
“Dai, perché?”
“Hai detto che mi portavi all'acquario”
“Lo so,” rispondo beffardo indicando la cima dello Space Needle “ho cambiato idea: questo mi sembra più divertente”
“A me no”
“Hai detto che non soffri di vertigini”
“Invece sì, ti ho detto che a volte mi da fastidio guardare gli edifici alti”
“E noi ci saliamo in cima, così dall'alto non ti creerà nessun fastidio” rispondo scendendo di nuovo giù per raggiungerla.
“Col cazzo”
“Perché? Di che hai paura?”
“Come di che ho paura? Come ci si sale secondo te sul tetto dello Space Needle? Con una scala a pioli?”
“Ah! L'ascensore!”
“Già, l'ascensore”
“Ma è veloce, ci mette pochissimo”
“Un ascensore razzo, molto rassicurante. Grazie, ora sì che ho voglia di salirci”
“E poi è trasparente, è come se fosse aperto, non ti dà il senso di claustrofobia”
“Perfetto, così potrò vedere con precisione dove andremo a sfracellarci quando precipiterà al suolo con noi dentro” ribatte serissima e io non riesco a non scoppiargli a ridere in faccia.
“Ahahah come sei drammatica!”
“E' la stessa cosa che dirò io a te quando piangerai come un vitello prima dello schianto”
“Ah! Allora vuol dire che ci vieni” esclamo prendendola per mano, sperando di averla già incastrata.
“Col cazzo”
“E' il simbolo della città, non puoi non esserci stata”
“Tu ci sei già stato?”
“No”
“E allora!”
“E' proprio per questo che voglio salirci, con te” provo a tirarla verso di me, niente.
“Io che c'entro, non sono un'attrazione di Seattle” questo lo dice lei.
“Dai, cazzo, è come andare a Parigi e non visitare la Torre Eiffel”
“Io ci sono stata a Parigi, la Tour Eiffel l'ho vista da lontano e mi reputo ugualmente soddisfatta”
“Sei andata a Parigi? Mi piacerebbe visitarla un giorno, non sono mai stato in Europa” non sono mai stato in un sacco di posti.
“Né mai ci andrai se muoriamo stasera su questo cazzo di ascensore” stacca la mano dalla mia e incrocia le braccia.
“Ahahah senti, Angie” mi avvicino ancora e lei cerca di evitare il mio sguardo guardando a terra.
“No, non ne voglio sapere” illusa.
“Ascoltami” le metto le mani sulle spalle e praticamente la obbligo a guardarmi.
“No”
“Non moriremo” che poi non lo so, magari moriremo, in fondo ce ne andremo tutti prima o poi, e allora tanto vale fare quello che l'istinto ci dice di fare quando ne abbiamo voglia, finché siamo in vita. E l'istinto mi dice che prima di morire voglio baciare Angie su quel cazzo di ponte di osservazione.
“Che ne sai?” chiede come se fosse davvero una domanda seria.
“Te lo prometto, va bene?” non mi sembra il caso di spiegarle il mio punto di vista e mi limito a rassicurarla.
“Uffa, Eddie” sbuffa.
“Fidati di me”
“Guarda che lo so che non è razionale, che sto facendo la figura della deficiente, ma ho paura”
“Ma non devi”
“Non ci posso fare niente”
“Ci sono io con te”
“A meno che tu non sappia volare come Superman, non vedo come la tua presenza possa essermi d'aiuto in questo caso specifico”
“Dai, accompagnami” non capisce che è la sua presenza ad aiutare me e io non so come altro farglielo capire.
“No”
“Sarà divertente” sorrido e le stringo leggermente le spalle.
“Piantala”
“Per favore” sorrido di più.
“Te le spiano col ferro da stiro quelle fossette di merda”
“Grazie, so che per te è stato un grande sforzo accettare, significa molto per me” le dico quando siamo dentro, dopo aver comprato i biglietti.
“Significa che sei uno stronzo”
“Anch'io ti voglio bene” le dico senza pensarci e anche Angie sembra non farci caso più di tanto, sarà troppo distratta dalla fifa.
“E se prendessimo le scale?” chiede mentre ci mettiamo in fila per uno degli ascensori. C'è poca gente, non dovremo aspettare molto.
“Le scale?”
“Sì”
“Non ci sono scale, Angie”
“Ci saranno per forza, ci devono essere. Per il personale, la manutenzione, anche per le emergenze”
“Non credo ci siano. E anche se ci fossero... ti fai sessanta piani di scale?”
“Volendo”
“Per evitare un minuto di ascensore?”
“Perché, ci mette così tanto?” mi afferra per il braccio e mi guarda seriamente spaventata.
“Nah, magari anche meno, ho sparato a caso”
Quando le porte dell'ascensore si aprono e i visitatori che hanno finito il loro giro scendono, Angie capisce che tocca a noi e avanza rassegnata verso il suo destino, senza mollare il mio braccio, cosa che non mi dispiace affatto. Io vorrei rimanere davanti, per guardare il panorama durante la salita, ma Angie mi trascina dietro, in fondo all'ascensore, e anche se un po' mi scoccia, penso valga la pena fare un piccolo sacrificio per lei. Le porte si richiudono e non appena l'ascensore si stacca da terra, Angie mi stringe così forte con entrambe le mani che quasi mi trapassa il braccio con le unghie. Durante la salita, il ragazzo dell'ascensore ci informa che stiamo viaggiando a circa dieci km all'ora e racconta una breve storia della costruzione della torre, ma non credo che Angie senta nulla di tutto questo. E nemmeno io sento più niente, visto che ormai ho perso la sensibilità al braccio. Quando arriviamo in cima tiriamo un sospiro di sollievo in due, lei perché è ancora viva e io perché mi tocco l'arto e scopro con piacere che è ancora attaccato al corpo.
“Visto? Non siamo morti” le dico mentre iniziamo a percorrere il perimetro della terrazza.
“Non cantare vittoria, posso sempre buttarti di sotto se non la smetti di stuzzicarmi” una Angie decisamente più rilassata mi spinge via e si appoggia alla balaustra, per godersi il panorama. La nottata è limpida e la vista è fantastica. Mi indica da che parte dovrebbe essere casa sua, la mia, le case di tutti i nostri amici, l'Off Ramp, poi le montagne Cascade e la Elliot Bay, quella che abbiamo visto l'altra sera, da molto più in basso a Pike Place. Io faccio finta di guardare ogni volta, in realtà non le stacco gli occhi di dosso, aspettando che mi veda, che si accorga di me, che si crei quella piccola parentesi di imbarazzo che precede un bacio, ma lei non mi caga proprio. Avanziamo lungo la terrazza e mi indica una serie di parchi e via via altri luoghi di interesse di Downtown Seattle. A questo punto provo a concentrarmi sul panorama, ma la mia attenzione è catturata da qualcos'altro.
“Wow!” esclamo dopo aver afferrato due dei cavi orizzontali di sicurezza che circondano la terrazza e averci infilato in mezzo la testa per guardare meglio “La vista è tutta un'altra cosa senza barriere”
“Eddie che fai? Non si può” sento Angie darmi un paio di strattoni alla giacca.
“Com'è il detto? Se ci passa la testa, ci passa anche tutto il corpo...”
“Che razza di detto è? Io non l'ho mai sentito”
“Ti va un souvenir?”
“Sì, già che sono qui andrò a prendermi una cartolina e un paio di calamite prima di andare. Sai che le colleziono?”
“Sì, ne ho intravista giusto qualche decina a casa tua”
“Esagerato”
“Comunque io pensavo a qualcos'altro, qualcosa di più particolare, di prezioso” sottolineo sporgendomi un po' di più.
“Del tipo?”
“Tipo quelle” rispondo infilando anche il braccio destro tra i cavi e indicando gli oggetti di mio interesse.
“Quelle cosa?”
“Quelle,” spiego indicando di nuovo la fila di luci appollaiate su un sostegno di acciaio a circa tre metri da qui “stavo pensando di andare a prendere una di quelle lampadine”
“Ahahah seh, come no”
“Quello sarebbe il souvenir definitivo” levo la testa dai cavi e mollo la presa, mi guardo attorno constatando che non c'è nessuno negli immediati paraggi e per un paio di secondi Angie è ancora convinta che io stia scherzando, almeno fino a quando non mi siedo con un balzo sulla balaustra e mi infilo di nuovo tra i due cavi, stavolta fino al petto.
“EDDIE?!”
“Shhhhhh non gridare o qualcuno verrà a vedere che succede”
“Oh lo spero e spero porti con sé una camicia di forza robusta. Sei impazzito??” Angie mi afferra di nuovo per la giacca.
“Perché?”
“Siamo sopravvissuti all'ascensore e vuoi morire facendo free climbing sulla torre?”
“No, voglio solo farti un regalo” provo a uscire dalla recinzione, ma Angie non molla.
“Il regalo migliore che puoi farmi in questo momento è scendere di lì”
“Perché non sarebbe solo una lampadina, sarebbe un simbolo, di quello che sono e di ciò in cui credo”
“Credi nel suicidio?”
“Credo nell'oggi, nell'adesso, nel vivere ogni momento come fosse l'ultimo perché non sappiamo quanto ci resta. L'hai detto anche tu, può succedere, potrei morire su quell'ascensore del cazzo nella discesa e non aver mai provato la sensazione di stare sospeso a più di 150 metri da terra” e nemmeno la sensazione di baciarti, se è per questo, che poi sarebbe il motivo per cui ti ho portata qui, come se fosse necessario un posto particolare per baciare una persona. Il fatto è che adesso mi sono fissato con quelle cazzo di lampadine e non c'è nulla che possa distogliermi da questo pensiero.
“E io non ho mai provato la sensazione di prenderti a calci nel culo, me lo fai questo regalo?” ringhia guardandosi attorno.
“Guarda che sono bravo ad arrampicarmi, ce la faccio”
“Scordatelo”
“Sarebbe una vera figata!”
“Queste figate falle quando non ci sono io. O non farle proprio, che è meglio”
“Senti, io vado” faccio per muovermi e Angie mi afferra un piede e mi tira all'ingiù così bruscamente che per un attimo mi sbilancio per davvero.
“Se ti muovi di un solo millimetro caccio un urlo così forte da svegliare tutta Seattle e ti faccio arrestare”
Alla fine, dopo qualche altro minuto di battibecco, seppur con riluttanza, desisto dalla mia impresa e ritorno coi piedi per terra. Beh, per terra, più o meno. Per tirarla su le compro tre cartoline e quattro calamite, poi mi lamento un po’ perché ho perso l'occasione di provare un brivido per colpa sua, lei mi insulta con epiteti più o meno volgari. E' così che trascorriamo il resto del nostro giro, tanto che quando mi ritrovo in macchina con Angie quasi non mi rendo conto di come ci sono arrivato. Vivere l'attimo eh? Carpe diem? L'attimo con Angie non l'hai colto però, l'hai perso alla grande. E mentre ci penso non mi rendo conto che il tempo che passa è fatto di moltissimi attimi, che si potrebbero sfruttare, o meglio, me ne rendo conto, ma nessuno sembra quello giusto. Arrampicarsi su una torre è più facile che dichiararsi a una ragazza?
“Comunque guarda che stavo scherzando, non sarei mai salito lassù” le spiego mentre saliamo le scale del suo condominio.
“Ti stavi già arrampicando”
“Ahah ero solo seduto sulla ringhiera, facevo finta per vedere cosa dicevi”
“Beh, ho detto un sacco di parolacce, contento?”
“Abbastanza”
“Comunque non è vero, adesso dici così per farmi stare calma”
“E' la verità”
“Sto meditando di non darti la cassetta”
“No, la cassetta no! Me l'hai promesso!”
“Ti starebbe bene, come punizione”
“Dai, seriamente, sei arrabbiata davvero?”
“Non sono arrabbiata, solo un po' spaventata” ammette fermandosi su un gradino.
“Per cosa? Non è successo niente”
“Ma poteva succedere”
“Comunque la vista era uno sballo, vero?”
“Vero, era stupenda, anche vista attraverso la barriera” risponde ricominciando a salire.
“Quindi sei contenta di essere venuta?” la incalzo seguendola.
“Sì, ma non ci rimetterò mai più piede ovviamente”
“Ovviamente”
Raggiungiamo il quarto piano e ci incamminiamo lungo il corridoio in silenzio, fino ad arrivare alla porta del suo appartamento.
“Eccoci arrivati. Beh, buona notte Eddie”
“Buona notte a te”
“E buon viaggio per domani”
“Grazie”
“Grazie a te del passaggio, e del giretto”
“Anche se ti ho fatta spaventare?”
“Se te lo risparmiavi era meglio, ma sì, grazie ugualmente”
“Sei troppo buona, non ti merito” rispondo abbracciandola e facendola ridere.
“Ahah già, ti meriti un'amica che ti incita a scalare l'Empire State Building a mani nude e poi ti fa un video mentre cadi” commenta mentre la stringo.
“La videocamera gliela presti tu?”
“Certo che sì” borbotta staccandosi da me e aprendo la porta di casa.
“Immaginavo”
“Allora, ciao Eddie, fai buon viaggio. E fatti sentire ogni tanto in queste tre settimane”
“Sarà fatto”
“Buona notte” Angie fa per entrare, ma la blocco sulla porta.
“Angie, aspetta”
“Sì?”
“Stiamo dimenticando qualcosa non credi?”
“Cosa?”
“Beh... la mia cassetta” rispondo, perdendo l'ennesimo attimo.
“Ah già! Scusami,” Angie apre la borsa e ravana un po' prima di tirare fuori una cassettina per me “Però non devi ascoltarla prima di partire”
“Ok” faccio per prenderla, ma Angie la allontana.
“Prometti!”
“Te lo prometto Angie, grazie” le dico mentre me la porge, poi ne osservo la custodia, completamente bianca “E i titoli?”
“Sorpresa! Perché anticiparti le canzoni quando invece puoi vivere l'attimo e scoprire di cosa si tratta di volta in volta?”
“La finirai mai di prendermi per il culo per la storia del vivere l'attimo?”
“No, non credo”
“Oh menomale, ci speravo!” esclamo, mentre Angie mi saluta di nuovo con un breve abbraccio e si ritira nel suo appartamento, definitivamente.
Sono un coglione. Me lo ripeto a bassa voce una decina di volte, mentre prendo a leggere testate la porta di casa di Angela. L'attimo va vissuto anche nelle piccole cose quotidiane, non solo nelle imprese eccezionali. Dovevo solo portarla lassù, dirle qualcosa di carino, abbracciarla e baciarla, e invece? Perché cazzo è tutto così difficile? Salto in macchina e sono tentato di mettere su la cassetta di Angie, ma non sarebbe giusto, una promessa è una promessa. Accendo allora la radio e lo zio Bruce mi sveglia dalle mie paturnie.
A volte, piccola, è come se qualcuno prendesse un coltello
Tagliente e spuntato
E incidesse un solco di sei pollici
Lungo tutta la mia anima
La notte mi sveglio con le lenzuola fradice
E un treno merci in corsa che mi attraversa la testa
Solo tu, tu puoi placare il mio desiderio
Oooh brucio dal desiderio
Sorrido. So cosa devo fare e lo devo fare adesso.
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