Lettera atonale
Mentre digito lettere e numeri sulla tastiera di fronte a un foglio word, da una playlist in riproduzione più o meno casuale parte la canzone al pianoforte che ho ascoltato con te in treno, e per un istante immagino che il frutto del movimento delle mie dita sia quella melodia, e non una serie di parole e cifre di cui poco importerà a qualcuno. E poi immagino te a suonarla e, anche se è solo un gioco della mia fantasia e del fantasma delle tue parole, è un’immagine che m’illumina il cuore.
Provo a razionalizzare quel che è successo, ma ogni tentativo di razionalizzazione diventa una distruzione di ciò che sento: d’altronde non è successo nulla - due persone che siedono casualmente vicine in un lungo viaggio in treno e scoprono d’avere tanto da dirsi, una cottarella adolescenziale anche se l’adolescenza è passata da un pezzo, qualcosa che muore sul nascere perché non c’è neppure un presupposto che sia corretto. Non dico che sia una situazione da tutti i giorni ma, raccontata così, con la voce dei fatti, non mi sembra neppure niente di così speciale - niente dell'assurdo che è stato.
Allora, per spiegare e soprattutto per tenere memoria, prima che le sensazioni che porto dentro s’inabissino nel mare ovattato dei ricordi e nel torpore della quotidianità, proverò a usare delle parole che so che capiresti (o capirai, in un futuro che è molto meno che un’ipotesi):
cadere in un lungo sonno e risvegliarsi all’improvviso in un giorno di sole, percepire la luce, il suo calore sulla palle, l’aria che fresca fluisce nei polmoni. sentire il sapore delle prime gocce di pioggia dopo una lunga siccità. stupirsi perché si è ancora in grado di richiamare le parole dal profondo se cercate con il giusto sguardo, quando si pensava - anzi, si era certi di non esserne più in grado. riuscire ad aprire lo scrigno dell’alterità e guardarci dentro per davvero, trovandoci di tutto - somiglianze, differenze, abissi, incoerenze, e trovare tutto, comunque, bellissimo. osservare le affinità dell’anima rimanere effuse in un magnetismo, destinate a rimanere tra le righe di questa piccola lettera atonale scritta per non essere spedita mai.
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Oggi è uno di quei giorni in cui il mio fisico è seduto in ufficio ma la mia mente è in un museo del centro di Firenze, mentre guardo quadri che già conosco a memoria, fuori le gocce di pioggia leggera si posano delicate sui vetri, c'è profumo di cornetti caldi che arriva dalla caffetteria, un brusio educato e costante si diffonde per i corridoi. Non ho impegni sul calendario. Cammino lenta e, se mi va, torno anche indietro, perchè il tempo oggi non esiste. La sensazione di non avere impegni, scadenze. Poi, quando la sera arriva, gentile, ti mando un messaggio per una cena insieme e tu mi rispondi: ma così, all'ultimo, senza preavviso?
E io ti dico certo, e come sennò? All'improvviso, quale tempo migliore per essere noi due?
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UN CONTRIBUTO PER CAPIRE
CHE IL PROBLEMA È
SOPRATTUTTO CULTURALE.
"Drogate e stuprate: succederà ancora"
A cura di Ilaria Maria Dondi
Essere drogate e stuprate: è una storia vera, che si moltiplica per tutte le donne cui è successo o accadrà in futuro.
'21h - Les détails' è il corto, sceneggiato dalla scrittrice Nadia Busato e interpretato dall'attrice Sveva Alviti che fa parte di 'H24 - 24 heures dans la vie d’une femme', un progetto corale internazionale ispirato a 24 storie vere di donne, scritte, interpretate e dirette da donne.
“Avevo 19 anni, una patente fresca di rilascio e la voglia matta di godermi l’ultima estate prima dell’università. Con l’amica di sempre aspettavamo elettrizzate l’inizio del festival rock più grosso della provincia. Finalmente, abbiamo passato il cancello e ci siamo fermate a bere un bicchiere, poco oltre l’ingresso.
Abbiamo brindato, ci siamo avvicinate al palco, abbiamo iniziato a cantare il primo pezzo e …bum!
Nessuna di noi ricorda nulla della serata finché, ore più tardi, siamo ritornate in noi stesse. In più di vent’anni abbiamo provato più volte a rimettere insieme la memoria di quella sera, ma tutto è cancellato, scomparso.
Agli inizi del millennio non c’erano né i social né il Me-too.
Erano gli anni dell’uomo che non deve chiedere mai. Famiglia, scuola, televisione insegnavano a noi ragazze di ogni età, che quando ci succede qualcosa di inquietante, brutto, violento, la colpa è nostra: ce la siamo andata a cercare; che è diritto di ogni uomo usare i corpi delle donne come meglio crede; ed è parimenti suo diritto non avere seccature inutili, come il consenso esplicito.
Se lei dice no, intende sì: quante volte l’abbiamo letto, sentito, detto ridendo?
Ripenso spesso a quella notte. Io e la mia amica, insieme, non pesavamo quanto un uomo adulto. Io anoressica, lei longilinea per costituzione: saranno bastate poche gocce.
Sarei davvero curiosa di sapere cos’era.
Le più famose sono le Ghb, Gbl e Bd, si trovano anche in medicinali che, ciclicamente, vengono ritirati dal commercio e poi re-immessi in altre formulazioni, per altre patologie.
Si chiamano droghe da stupro perché succede quello che è successo a noi: dopo non ricordi nulla.
Ci sono voluti diversi anni perché avessi almeno un nome da dare a quello che ci è capitato.
Chissà se chi l’ha fatto si è limitato a noi, quella sera. Se avesse voluto farlo ad altre ragazze, niente l’ha fermato. Magari l’ha fatto per tutta l’estate e le estati seguenti, magari lo fa ancora oggi. Immagino lo trovi divertente e, all’occorrenza, utile.
Quando Valérie Urrea e Nathalie Masduraud mi hanno chiesto di sceneggiare questo episodio di H24 ci ho messo dentro quello che succede a me, che da più di vent’anni cerco di rimettere insieme i ricordi e cerco gli indizi.
Esattamente come la protagonista di questa storia (che è tratta da una storia vera), tutto ciò che ricordo davvero era la banalità della serata: nessun segnale di pericolo, una normale sera d’estate tra amiche.
Esattamente come la protagonista (interpretata dalla bravissima Sveva Alviti) anche io mi sono sentita dire che sono stata fortunata: nessuna gravidanza, nessuna MST, nessun segno evidente di abuso, nessuna memoria, l’opportunità di dimenticare e riderci su.
Paradossale che qualcuno provi a consolarti ricordandoti che ci sono certamente donne a cui va molto molto molto peggio di te.
Quindi: allegria, dai, basta pensarci, mettitela via.
A noi, che abbiamo assecondato questo sistema educativo per intere generazioni.
A noi, che abbiamo sempre incolpato le ragazze ovunque, in pubblico e in privato.
A noi, che abbiamo guardato Fedro Francioni nella casa del Grande Fratello raccontare di aver stuprato un’amica incapace di reagire senza andare a distruggere gli studi di Cinecittà.
A noi, che leggiamo gli articoli assolutori su Alberto Genovese dando un colpetto annoiato di spalle perché le modelle e le attrici, come ci hanno più volte spiegato in TV, molti alti esperti, medici, opinionisti, politici e giornalisti, sono prostitute a caccia di tornaconto.
A noi, che sentiamo dire frasi come:
“…però lo sa che funziona così; cosa si aspettava?; ha avuto anche lei i suoi vantaggi;… e se lo ricorda dopo tanti anni?; bisognerebbe sentire la versione di lui; a me non sembra uno stupratore; lei è una facile; chissà chi c’è dietro”
e preferiamo non iniziare nemmeno una discussione.
A noi, che in un paese dove il cattolicesimo sostituisce lo stato di diritto sui corpi delle donne, ci stupiamo genuinamente dei numeri della violenza e dei femminicidi.
A noi, che chiamiamo la polizia se sentiamo il rumore di un furto ma non ci intromettiamo nella casa del vicino che picchia da anni moglie e figli.
A noi, che il femminismo bianco è sempre moderato e sorridere è meglio che alzare la voce.
A noi, che ormai questi uomini non li cambi più ed è meglio sperare nel futuro.
A noi , che voi vi lamentate ma siete fortunate.
A noi, che… e io che ci posso fare?”
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