Tumgik
#genotipo
Text
Tumblr media Tumblr media
1 note · View note
ecosistemaglobal · 1 year
Text
que son los alelos, el fenotipo y los genes
que son los alelos Los alelos son variantes de un mismo gen que codifica una misma proteína o función en un organismo. Cada individuo tiene dos alelos para cada gen, uno de cada padre, y es el alelo dominante el que se expresa en la fenotipo. La combinación de los alelos de un individuo determina su genotipo y puede influir en la apariencia y características físicas y de comportamiento. que es un…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
abr · 1 year
Text
Anche se non lo dicono (e anche se siamo a Liorno) è chiaro a tutti che questo livello di degrado appartiene a gente dal genoma poco italico.
Al che si può reagire da struzzo woke: è una mera coincidenza, il problema vero è il patriarcato.
Oppure si reagisce prendendo atto che lo struzzo woke AMPLIFICA la (a questo punto più che sana) diffidenza e pre-giudizio (la base del giudizio) che la gente normale nutre nei confronti di questi portatori di genotipo, imprinting culturale (=pre-giudizi loro) e sovente anche di fenotipo poco italico.
33 notes · View notes
3nding · 1 year
Text
LA PSA IN PROVINCIA DI PAVIA, FATTI E CONSIDERAZIONI - di Elisa Trogu, suiatra
Per approcciare correttamente il problema Peste Suina Africana (PSA), ritengo che in primis sia necessario chiarire un aspetto epidemiologico che sta venendo travisato anche sui media: la Peste Suina Africana NON è una patologia scatenata/causata/esacerbata dagli allevamenti intensivi. La PSA in Sardegna è presente dal 1978, e in Sardegna gli allevamenti intensivi sono pochissimi: nel contesto sardo la persistenza dell'infezione è stata mantenuta dai suini bradi illegali, animali quindi liberi e che vivono in un contesto di benessere assoluto. In Penisola Iberica, dove l'ingresso del virus si è avuto nel 1960, si è risolto definitivamente il problema depopolando gli allevamenti estensivi che utilizzavano una peculiare tipologia di strutture dove albergava un ben determinato tipo di zecca molle, Ornithodoros erraticus, che, come accade in Africa con Ornithodoros moubata, è serbatoio dell'infezione. Anche in questo caso, quindi, il problema NON erano affatto gli allevamenti intensivi. In molti paesi del Nord Europa oltre ai cinghiali il problema sono i piccoli allevamenti familiari, estensivi o semiestensivi, i cosidetti "backyard".
Veniamo a noi: la PSA in Italia sul Continente è arrivata tramite l'uomo, verosimilmente con qualche scarto alimentare. Nell'autunno 2021 ha iniziato ad infettare e uccidere i cinghiali in Piemonte/Liguria (focolaio scoperto nel gennaio 2022, quando ormai il virus era diffuso su un'area enorme), dopo la Pasqua 2022 la stessa problematica si è avuta a Roma (in un parco cittadino, probabilmente causata degli scarti di qualche grigliata), quindi in provincia di Salerno e poi Reggio Calabria. Queste sono tutte zone a bassissima, se non nulla, presenza di allevamenti intensivi. Interessante notare come in tutti i casi il numero di cinghiali morti sia enormemente superiore rispetto ai focolai negli allevamenti (unica eccezione Reggio Calabria, dove semplicemente con "allevamenti" si intendono piccolissime realtà familiari, anche di 1-2 capi per autoconsumo, e contestualmente la ricerca delle carcasse di cinghiale, in zone come l'Aspromonte e la Sila, non è affatto agevole): nella nostra realtà è proprio Sus scrofa ad essere il serbatoio dell'infezione e i numeri assolutamente folli delle popolazioni di questi animali, anche in contesti urbani, stanno rendendo difficilissima l'eradicazione della PSA.
Ma cos'è successo in provincia di Pavia?
Il giorno 18 agosto 2023 il Centro di Referenza Nazionale ha confermato la positività alla PSA di un piccolo allevamento (un agriturismo con 166 suini stabulati) a Montebello della Battaglia: dopo la morte di un paio di soggetti l'allevatore aveva contattato l'ASL, che in data 16 agosto ha effettuato un sopralluogo. In quel momento gli animali mostravano unicamente una lieve sintomatologia respiratoria. Il 19 agosto erano rimasti in vita 39 animali che sono stati abbattuti.
Chiariamo anche questa cosa: la PSA non uccide gli animali in maniera rapida e improvvisa: è lenta a diffondersi, strisciante, ma il genotipo attualmente circolante (il 2) manifesta una mortalità prossima al 100%.
A Montebello viene completata d'indagine epidemiologica da parte dei Colleghi di ATS Pavia e da essa si evince che il focolaio è stato causato da falle nella biosicurezza: l'allevatore infatti possiede e lavora molti terreni, i suoi mezzi agricoli entrano ed escono dall'allevamento e in zona sono stati ritrovati cinghiali positivi (il virus della PSA è estremamente resistente e può essere veicolato anche con le ruote dei mezzi, oltre che con le calzature). L'unico allevamento intensivo in zona di protezione (che seguo io) è negativo, e a fronte della presenza delle adeguate misure di biosicurezza rafforzata i maiali non vengono abbattuti.
lo e tutto il resto dei suiatri del Nord Italia ci illudiamo, per un istante, che il disastro sia evitato. II 24 agosto scoppia il bubbone: una collega di ATS Pavia si reca per un controllo di routine (fissato giorni prima proprio a seguito del primo focolaio) presso un allevamento di Zinasco. Al suo arrivo si trova davanti un allevamento vuoto (la mattina stessa erano stati inviati gli ultimi tre camion di suini al macello, in fretta e furia) e una trentina di carcasse. Grazie alla sua competenza comprende immediatamente la situazione e riesce ad intercettare i camion prima che i suini vengano scaricati nei macelli, allerta l'ATS e la Regione. Quello che emerge è AGGHIACCIANTE: da tre settimane (le prime ricette alla farmacia erano arrivate ai primi di agosto), nell'allevamento in questione (circa 1000 capi), i suini stavano morendo. In tre settimane erano morti circa 400 maiali (il 40%), erano state fatte innumerevoli ricette e nessun campionamento. Né l'allevatore né il veterinario che segue i maiali avevano segnalato la mortalità abnorme, al contrario avevano scientemente omesso la cosa e venduto tutti gli animali, anzitempo, pur di nascondere la situazione. I maiali infetti erano stati inviati in 4 strutture del Nord Italia, ma fortunatamente il virus non si è diffuso, probabilmente anche grazie alla prontezza a alla competenza della collega, che ha evitato che gli ultimi suini venissero scaricati nei macelli di destinazione. Ad oggi tre persone, tra le quali il soccidario e il veterinario, sono indagate; è opinione diffusa che ci siano altri individui implicati, ma sarà la magistratura a fare luce sulla cosa. Personalmente spero tanto che le pene siano esemplari.
In seguito a questo focolaio l'ATS ha iniziato una serie di controlli: altri due allevamenti intensivi, nello stesso comune di Zinasco, sono risultati positivi (anche in questo caso, considerato che il virus stava iniziando a circolare in quel momento, la mortalità era lievissima o assente). Tutti i maiali vengono chiaramente abbattuti, come stabilito dalla normativa.
Il 31 agosto risulta positivo un piccolo allevamento familiare (5 capi), dove era morto 1 suino. I restanti vengono soppressi.
II 4 settembre, viene ufficializzata la positività del "santuario" Cuori liberi. I responsabili avevano segnalato la morte di 2 soggetti su 40 e le analisi confermeranno che i maiali erano morti per la PSA. Da qui parte la follia. Mentre i focolai fortunatamente si fermano (si avranno ancora un caso a Dorno sempre il 4 settembre e un ultimo caso l'8 settembre a Sommo, sempre in zona di protezione), l'ATS inizia a scontrarsi con i tenutari del "santuario". Invito tutti a guardare la loro pagina: è allucinante. Non vi era nessuna minima misura di bio sicurezza: una foto del 28 giugno ritrae tre persone, con normalissime scarpe, senza calzari, che sono all'interno di un box con i suini. Il 16 aprile invece si trova l'immagine di visitatori esterni, anche questi privi di calzari e camici usa e getta, che accarezzano un minipig.
Vediamo di chiarirla questa cosa: la PSA se la sono tirata in casa loro. Loro non hanno tutelato minimamente i suini che avevano in stalla. Vi ricordo che la provincia di Pavia, per la vicinanza con quella di Alessandria dove i casi di cinghiali positivi sono numerosissimi e in espansione geografica, è sempre stata considerata ad alto rischio! Questa situazione di allerta era nota a chiunque si occupi di maiali, dai veterinari agli allevatori. I suini di "Cuori liberi" sono stati contagiati a causa delle persone che entravano senza nessuna attenzione dentro la struttura (vi ripeto che l'ATS è stata chiamata proprio perché due maiali erano morti) e stavano morendo per la PSA già ai primi di settembre.
II 4 settembre vi erano 38 maiali vivi. Quando è stato attuato l'abbattimento degli ultimi maiali in data 20 settembre ne erano rimasti in vita 9.
Gli altri sono morti e no, non è una bella morte quella da PSA: nel caso migliore (raro) la forma più acuta causa una morte repentina; negli altri casi i soggetti sviluppano febbre, sindrome emorragica, vomito e diarrea con presenza di sangue. Questo è quello che è stato fatto sopportare a quelle povere bestie.
Intanto l'ATS si rende conto della delicatezza della situazione: viene contattata anche la facoltà di Medicina Veterinaria di Lodi e viene deciso un protocollo farmacologico per l'abbattimento. In data 14 settembre il Collega Chiari (regione Lombardia) chiarisce la cosa durante un aggiornamento via web con gli stakeholder. La stessa sera mi chiama un caro amico, suiatra, che mi racconta di essere stato contattato da qualcuno del santuario che gli ha chiesto se può occuparsi della soppressione farmacologica dei suini rimasti. Lui, chiaramente, dice di no. Perché? Perché nessun veterinario suiatra vuole avere a che fare con quelle persone. Su alcune pagine vengono pubblicati video girati con i droni durante gli abbattimenti programmati (che tra l'altro interesseranno anche alcuni allevamenti negativi, ma correlati epidemiologicamente con altri infetti o comunque in zona di protezione) oltre che messaggi dai toni in alcuni casi quasi deliranti. Si inizia a leggere la parola "assassini" collegata a chi sta semplicemente eseguendo quanto imposto dalla legge. La violenza di queste persone è evidente e in aumento, giorno dopo giorno.
Intanto dal "santuario" continuano i messaggi strappalacrime, con richieste di soldi e di presenziare ai blocchi. Decine di persone si accalcano DENTRO e FUORI l'area, creando un pericolo enorme: molti di questi soggetti infatti hanno a che fare con altri suini in altri santuari. Di conseguenza in data 19/09 Regione Lombardia emette una circolare con oggetto "Sorveglianza santuari correlati con focolaio PSA 190PVO44" nella quale, al termine di una serie di misure di biosicurezza, viene riportata la frase "In caso di necessità la vigilanza di cui al punto precedente può essere effettuata anche con il supporto delle forze dell'ordine". Siamo arrivati al punto di dover esplicitare un'evenienza simile, manco stessimo parlando degli ippopotami di Escobar
La mattina del 20 settembre, a fronte di una situazione di stallo da una parte e di elevatissimo pericolo epidemiologico dall'altra, i pochi suini rimasti in vita sono stati abbattuti. Si poteva fare altro? No.
La PSA è catalogata nel Regolamento di esecuzione (UE) 2018/1882, che è uno degli atti derivanti dalla Animal Health Law (Regolamento UE 2016/429, in categoria A + D + E:
«malattia di categoria A»: malattia elencata che non si manifesta normalmente nell'Unione e che, non appena individuata, richiede l'adozione immediata di misure di eradicazione (articolo 9, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2016/429);
«malattia di categoria D»: malattia elencata per la quale sono necessarie misure per evitarne la diffusione a causa del suo ingresso nell'Unione o dei movimenti tra Stati membri, di cui all'articolo 9, paragrafo 1, lettera d), del regolamento (UE) 2016/429);
«malattia di categoria E»: malattia elencata per la quale vi è la necessità di sorveglianza all'interno dell'Unione (articolo 9, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) 2016/429).
Da settimane i suini del santuario stavano morendo. La PSA è stata introdotta dalla totale mancanza di attenzione dei tenutari. Alcuni scrivono che il loro veterinario avrebbe potuto occuparsi dell'eutanasia dei maiali: chi è il collega? Perché non l'ha fatto visto che sono stati contattati Veterinari esterni? Ma soprattutto: questo collega perché non ha tutelato i suini a fronte della situazione epidemiologica del Nord Italia? Vi ricordo che il 18 agosto vi era stato il caso di Montebello, ad una manciata di chilometri: perché nessuno ha fatto nulla per evitare il contagio? Incompetenza? Menefreghismo?
Vi è poi un altro aspetto che vorrei chiarire: i suini non amano affatto essere toccati da persone che non conoscono e il contenimento per questi animali è fonte sempre di grandissimo stress (considerate che già entro due minuti dall'inizio del contenimento si hanno alterazioni del leucogramma). Per i suini quindi le manipolazioni necessarie per la soppressione farmacologica comportano senza dubbio una sofferenza maggiore rispetto, ad esempio, a un improvviso e rapidissimo colpo alla testa.
Comunque, l'ATS aveva concesso ai tenutari del santuario di utilizzare il metodo farmacologico, proprio per cercare di risolvere la situazione. Inoltre, nei maiali lo "scodinzolare" non è sovrapponibile a quello dei cani, bensi in moltissimi casi è indice di un atteggiamento aggressivo e di difesa: basta con la storiella dei maialini che correvano felici incontro ai loro carnefici. Pensiamo invece come per due lire c'è chi li tratta come i cetacei dei delfinari, obbligandoli a contatti con umani che non conoscono ma che sono disposti a versare un obolo per la foto da postare sui social.
Ricordatevi poi che a, fronte di una situazione epidemiologica tanto grave, i Colleghi delle ATS devono giustamente sottostare a quanto riportato dalla Normativa (e dal Regolamento di Polizia Veterinaria del 1954 all'Animal Health Law (Regolamento (UE) 2016/429) molte cose sono cambiate, ma certi capisaldi permangono), oltre che ad eventuali Decisioni della Commissione: i Colleghi che una massa di violenti esaltati sta minacciando di morte hanno semplicemente eseguito quanto prescritto da norme che sono il frutto di studi, conoscenze decennali, oltre che di competenze acquisite tramite il lavoro di migliaia di persone ed anche, perché negarlo, la morte di milioni di animali. Che si abbia la decenza di tacere almeno di fronte a questo.
Inoltre vorrei riportarvi due articoli del nostro Codice Penale:
Articolo 500: Diffusione di una malattia delle piante o degli animali Chiunque cagiona la diffusione di una malattia alle piante o agli animali, pericolosa all'economia rurale o forestale, ovvero al patrimonio zootecnico della nazione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se la diffusione avviene per colpa, la pena è della multa da euro 103 a euro 2.065.
Articolo 416: Associazione per delinquere
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.
Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Infine, una semplice domanda: cosa rende diversi i suini dei "santuari", o comunque "non DPA", rispetto ai suini di un allevamento intensivo? Perché un esemplare di Sus scrofa domesticus di tot anni, stabulato in un contesto assolutamente inadatto (come ad esempio un appartamento), obbligato a defecare ed orinare su di una traversina, con calori mensili a vuoto, obeso, impossibilitato a grufolare, privo di interazioni con i conspecifici, MALATO, dovrebbe essere più tutelato di un maiale di tot mesi SANO che, sebbene destinato al macello, sta in quel momento vivendo la sua vita tranquillamente, senza alcuna sofferenza?
Voi che vi stracciate le vesti, che urlate, minacciate, postate frasi allucinanti di una violenza assoluta, me la spiegate la differenza? Perché io, che da più di un mese non riesco a dormire una notte intera, che passo i fine settimana a studiare, correggere piani di Biosicurezza, che passo ore al telefono con i Colleghi per cercare un confronto, o anche solo conforto, che da anni combatto davvero affinché i suini degli allevamenti soffrano il meno possibile, io, che i suini se serve li uccido con le mie mani, per evitare sofferenze inutili, io, questa differenza, non riesco proprio a vederla.
Dr.ssa Elisa Trogu, medico veterinario
22 notes · View notes
daniela--anna · 7 months
Text
Tumblr media
🐝 🍯REAL FOOD.
Royal jelly, polyn, honey are foods offered by bees, which are processed inside the hives (natural bee nests).
Each hive is capable of hosting 50,000 bees, which are well organized and clearly divided
in different castes:
🐝worker bees, queen bees and drones (male bees that die immediately after fertilizing the queen).
🐝Only the queen can generate life in a hive, and she is killed when she is unable to lay new eggs.
🐝Worker bees and the queen bee have the same DNA, genotype, but have completely different appearance and characteristics.
It happens that the nutrients, the microRNAs, the exosomes of royal jelly, exert a positive modulation on the DNA which will make the difference between queen bees and worker bees.
🐝The action of the microRNA contained in the exosomes of royal jelly has also been studied on human stem cells, showing a positive action.
Stem cells are the parent cells of other cells.
In order not to die, the human body must renew itself every day through stem cells.
🐝🍯Honey, pollen and propolis contain exosomes derived from flowers in different doses.
The most current scientific research is offering an explanation to the popular traditions that have lived the food gifts of bees with great respect.
Nature: flowers, bees, humans united and interconnected in their biological life, however remain a wonderful mystery.
Doctor Pier Luigi Rossi.
University professor.
Specialist in Food Science.
Specialist in Preventive Medicine.
📚The treasure chest of nature
🐝 🍯IL CIBO REALE.
Pappa reale, poline, miele, sono alimenti offerte dalle api, che vengono elaborati all'interno degli alveari (nidi naturali delle api).
Ogni alveare è in grado di ospitare 50.000 api, che sono ben organizzate e nettamente suddivise
in differenti caste:
🐝api operaie, ape regina e fuchi,(le api maschi che muoiono subito dopo aver fecondato la regina).
🐝Solo la regina può generare la vita in un alveare, e viene uccisa quando non è in grado di deporre nuove uova.
🐝Le api operaie e l'ape regina hanno lo stesso DNA, genotipo, ma hanno aspetto e caratteristiche del tutto diverse.
Succede che i nutrienti i microRNA, gli esosomi della pappa reale, esercitano una modulazione positiva sul DNA che farà la differenza tra ape regina e api operaie.
🐝L'azione del microRNA contenuti negli esosomi della pappa reale, è stata studiata anche sulle cellule staminali umane evidenziato un'azione positiva. Le cellule staminali sono le cellule madri di altre cellule. Il corpo umano per non morire, si deve rinnovare ogni giorno proprio attraverso le cellule staminali.
🐝🍯Miele, polline e propoli, contengono in dosi diverse esosomi derivati dai fiori. La più attuale ricerca scientifica sta offrendo una spiegazione alle tradizioni popolari che hanno vissuto con grande rispetto i doni alimentari delle api.
La natura: fiori, api, umani uniti interconnessi nella loro vita biologica, restano comunque un meraviglioso mistero.
Dottor Pier Luigi Rossi.
Professore Universitario.
Specialista in Scienza Dell'alimentazione.
Specialista in Medicina Preventiva.
📚Lo scrigno della natura
5 notes · View notes
infoiberico · 20 days
Text
📰🐷🔊AHORA PUEDE ESCUCHAR LAS PUBLICACIONES DE INFOIBERICO.COM AQUÍ👇 [spotifyplaybutton play="https://open.spotify.com/episode/2gznItcSsv03Ww0A7umdeW?si=JXyNnqp5QLeHfjv15MhyOQ"] La Peste Porcina Africana (PPA) sigue cobrándose víctimas en las granjas porcinas del norte de Italia. Solo en las regiones del norte, este año, hasta ahora, 23 granjas porcinas se han infectado, lo que ha llevado al sacrificio de decenas de miles de cerdos. Según la legislación europea, todos los cerdos deben ser sacrificados si se detecta el virus de la PPA en las instalaciones. El número exacto de cerdos sacrificados es difícil de precisar, ya que en 2024 las actualizaciones oficiales relacionadas con la PPA a la Organización Mundial de Sanidad Animal (OMSA) han dejado de incluir detalles precisos sobre el tamaño de las granjas afectadas. Varios sitios web de noticias en Italia, mencionan cantidades sustanciales de sacrificios, llegando a cifrarse en 41.000 cerdos sacrificados solo este verano. Mientras otros, sugieren que hasta la fecha, 75.609 cerdos estaban presentes en las granjas que fueron confirmadas como positivas en PPA este año. En 2023, Italia tuvo que sacrificar alrededor de 20.000 cerdos debido a la presencia directa de la PPA. PPA en jabalíes La presencia de la PPA en las granjas es resultado de la aparición del genotipo 2 del virus en la población de jabalíes de Italia en enero de 2022. Esto ocurrió primero en el norte, seguido por una zona de brote separada alrededor de Roma. Desde entonces, el genotipo 2 del virus se ha propagado a 5 zonas diferentes en Italia. Sin duda, la zona en el norte de Italia, en las cercanías de las ciudades de Génova y Milán, es la más preocupante, ya que coincide con el corazón de la producción porcina de Italia. Esta zona incluye las regiones de Lombardía, Liguria, Piamonte y Emilia-Romaña. En estas regiones, desde 2022 hasta ahora, un total de 2.262 jabalíes (en su mayoría cadáveres) han dado positivo al virus de la PPA. De esas regiones, Lombardía ha recibido el golpe más duro. Esto es especialmente cierto para la provincia de Pavía, donde el virus apareció por 1ª vez en granjas en agosto de 2023. Pavía tuvo 9 granjas infectadas en 2023, y el recuento en 2024 asciende a 12, destacando que de un año a otro, el número de cerdos ha disminuido drásticamente, pasando de 230.000 cabezas, a 100.000 hoy en día. Según algunos medios, el sector porcino de Pavía tiene un valor de casi 220 millones de euros, con 170 granjas y ofrece empleo a 400 personas. Regulaciones más estrictas para contener la propagación de la PPA Para las zonas de restricción 1, 2 y 3 han implementado nuevas regulaciones. Para prevenir una mayor propagación, está prohibido transportar animales fuera de las granjas, excepto para el sacrificio, hasta mediados de septiembre, lo que provoca que espacios dedicados para 100 animales, se conviertan en espacios para 200. Los productores denuncian que los reembolsos hayan sido suspendidos hasta el 30 de noviembre. La PPA sigue expandiéndose en los jabalíes Esta semana, se encontraron las primeras granjas infectadas en la provincia de Lodi, también ubicada en la región de Lombardía. En total, se confirmaron 3 granjas infectadas, cerca de las localidades de Borghetto Lodigiano, Sant’Angelo y Marudo. El área donde se encuentra la PPA en jabalíes también se ha estado expandiendo. El virus ha sido observado en cadáveres de jabalíes cerca de la ciudad de Fornovo di Taro, a menos de 25km de la ciudad de Parma, conocida por sus productos de jamón y queso.
0 notes
resistantbees · 1 month
Link
0 notes
gueparda · 2 months
Text
Contentos los replicantes ecologistas del obrar del empresario Jerónimo, no solo recorrieron letra por letra todo su genotipo, sino que después le clonaron, y para mayor seguridad al Jerónimo vuelto a la vida le sometieron al tratamiento de la Máquina del Olvido. No sufriría por lo que había sido, no lo añoraría, y sería numerado como sujeto experimental en el laboratorio de perfeccionamiento de hombres máquina, labor que de mucho les estaba valiendo para comprender el momento evolutivo que juntos protagonizaban.
A Jerónimo II el clonado, antes de enviarle de regreso a la Tierra, se le hipnotizó en el invernadero de la nave merced al arte hipnotista de las deidades vegetales, para que continuase sin dudas ni temores difundiendo el mensaje de salvación por la iluminación verde, el camino de oxígeno limpio, que habría de servirles hacia la Plena Conciencia hasta saber el Gran Misterio del Origen guardado por el tiempo...
0 notes
torosytoreros6 · 3 months
Text
¿A qué se dedica la familia Miura además de a criar toros? Estas son sus importantes inversiones
Hablar del hierro de Miura es hacerlo de una de las vacadas más importantes de nuestro campo bravo, un hierro que ha sobrepasado los 175 años de historia gracias a la búsqueda de un toro con personalidad, un animal distinto al resto tanto por en su fenotipo como en su genotipo. Desde su asentamiento en … La entrada ¿A qué se dedica la familia Miura además de a criar toros? Estas son sus…
0 notes
guagomez · 5 months
Text
Todos tenemos dos copias de cada uno de los genes, uno que heredamos de la madre y otro del padre.
A la combinación de genes que hemos heredado se le denomina genotipo, mientras que el fenotipo es como refleja nuestro cuerpo el ser portador de estos genes y la interacción con el medio ambiente.
Lo claro es, como información general, que los genes se heredan.
https://www.facebook.com/share/p/yqRWH7jtiFjFHs2w/?mibextid=oFDknk
0 notes
yo-sostenible · 7 months
Text
► Un estudio, con participación de la Universidad de Córdoba y la Universidad Autónoma de Barcelona, demuestra la presencia de anticuerpos frente al SARS-CoV-2 en el felino más amenazado del planeta, tras analizar 276 individuos. El ejemplar que presentó la infección fue muestreado en condiciones de libertad y no tenía signos clínicos de enfermedad. Lince ibérico. / Pixabay El lince ibérico es el felino más amenazado del mundo. Aunque la población en libertad ronda actualmente los 1.600 ejemplares, lo que supone un aumento exponencial respecto a inicios del siglo XXI cuando apenas quedaba un centenar de individuos, el lince sigue estando en peligro de extinción, por lo que es necesario seguir desarrollando planes de conservación y vigilancia sanitaria. En este sentido, el estudio de enfermedades que podrían suponer una amenaza para el lince, como el SARS-CoV-2, es clave. Sobre todo, teniendo en cuenta que algunos félidos, como los gatos domésticos o los leones, son susceptibles a la infección por el virus de la covid-19 debido a la gran afinidad que existe entre el virus y unas células receptoras que estos animales tienen en los pulmones. Un estudio, publicado en Veterinary Microbiology y en el que han participado el Grupo de Investigación en Sanidad Animal y Zoonosis (GISAZ) de la Universidad de Córdoba y el Grupo de Virología Clínica y Zoonosis del Instituto Maimónides de Investigación Biomédica de Córdoba (IMIBIC), ambos del grupo CIBERINFEC, junto a otros investigadores de la Universidad Autónoma de Barcelona, el Centre de Recerca en Sanitat Animal (CReSA) y gran parte de las instituciones implicadas en la conservación de la especie, ha demostrado por primera vez que el lince ibérico también puede infectarse del virus de la COVID-19. Riesgo de transmisión e infección bajo Con muestras de suero provenientes de linces ibéricos en libertad y en cautividad (centros de cría y centros del programa de conservación ex situ del lince ibérico), el estudio confirmó la presencia de anticuerpos frente a SARS-CoV-2 en uno de los 276 animales. El lince positivo era un animal muestreado en condiciones de libertad que no presentó signos clínicos de enfermedad. Aunque el riesgo de infección y transmisión es bajo, los resultados sugieren que las poblaciones de lince pueden tener contacto con este virus en España, por lo que “es necesario realizar la vigilancia epidemiológica de este tipo de enfermedades en fauna silvestre”, destaca Ignacio García Bocanegra, responsable del grupo GISAZ. Pero a los linces no les afectan solo los virus emergentes, sino también otro tipo de enfermedades infecciosas como las parasitarias. Un estudio internacional en el que también ha participado el grupo GISAZ, así como investigadores del Centro Nacional de Microbiología y de las Universidades Complutense y Alfonso X el Sabio de Madrid, entre otros centros, ha encontrado una amplia circulación de dos parásitos digestivos causantes de diarrea en animales y personas, Cryptosporidiumspp. y Giardiaduodenalis, en las poblaciones de lince ibérico de la Península Ibérica. Los análisis moleculares de las muestras fecales han permitido conocer los “nombres y apellidos” concretos de los dos parásitos, esto es, saber cuáles eran los genotipos circulantes de cada especie de parásito. En este sentido, el estudio, publicado en la revista Animals, ha detectado una alta variedad de genotipos diferentes de estos parásitos, muchos de ellos localizados tanto en las presas de las que se alimenta el lince ibérico (roedores o conejos), como en las personas. Referencia: Ignacio García-Bocanegra, “Exposure to severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) in the endangered Iberian lynx (Lynx pardinus)”, Veterinary Microbiology.  Fuente: SINC
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
mundoagropecuario · 9 months
Link
0 notes
jorgemarquet · 9 months
Text
El genotipo transportador de serotonina propio de la descendencia, independientemente del materno, aumenta comportamientos similares a la ansiedad y la depresión y altera los marcadores de neuroplasticidad en ratas - ScienceDirect
0 notes
diario-vespertino · 11 months
Text
“La revolución intersex será íntima, social y política”
Tumblr media
Entrevista a la activista intersex M, la voz protagonista del documental francés Ni d´Eve, ni d´Adam, une historie intersexe. A los 27 años, M empieza a identificarse con la categoría intersex. Gracias a su participación en el documental ‘Ni d´Eve ni d´Adam, une histoire intersexe’, conoce a otras personas con experiencias similares a la suya. Este proceso marca un punto de inflexión personal y político en su vida. Desde entonces, se ha convertido en una imparable activista por los derechos humanos de las personas intersex. La activista intersex, M, es una joven francesa de 30 años que ama jugar al badminton y escalar montañas cada vez más altas. Siempre acompañada de su bicicleta, busca los márgenes de las ciudades para desconectar de la sociedad y encontrarse con su yo interior. Es, también, la voz protagonista del documental francés Ni d´Eve, ni d´Adam, une historie intersexe, dirigido por Floriane Devigne. Un film sobre intersexualidades que ganó el premio DOK del Zinegoak 2019, el Festival Internacional de Cine y Artes Escénicas Gaylesbitrans de Bilbao, así como la mención especial del Premio de Diversidad y Derechos Humanos. Como ella reconoce, “le apasionan los retos, investigar cosas muy complicadas y hacer pedagogía”. Para M, participar en el documental implicó un impulso hacia su desarmarización intersex, la privada y la pública. Desde entonces, no ha dejado de vivirse y de vivir su revolución. Admite que el proceso no ha sido sencillo, pero ha aprendido a reconciliarse con su cuerpo, a reapropiarse de él. Hoy, visibilizar su experiencia y luchar colectivamente por los derechos humanos de las personas intersex se han convertido en objetivos prioritarios. Así nos lo ha querido contar en esta entrevista. -¿Cuándo fuiste consciente de tu cuerpo intersex? -Desde los 17 años ya sabía que había algo. Recuerdo ir varias veces al hospital. Me operaron, por primera vez, cuando era pequeña. Más adelante me dijeron que no era fértil. Pero lo único que sabía era que me habían extirpado los ovarios porque podrían haber sido cancerígenos y que tenía que tomar hormonas desde los 11 años. Y desde hace siete años, me enteré de otra manera, quería saber. Así empecé todas las investigaciones. Investigaciones personales, cuestionando a los aparatos médicos. Tienes algo en ti, que te dicen que hay que guardar en secreto, un caso raro que no se da con frecuencia, un tabú que te convierte en algo impensable. Eso aumentó el estigma sobre mi cuerpo. Hasta que decidí poner fin a este trauma y a ese mundo que me ponía nerviosa. Elegí irme fuera de mi país, tenía que alejarme de mi familia, de las personas que sabían el secreto. Al volver me reconecté con ese secreto, empecé a reunir toda la información que había en casa de mis padres. Encontré algunos informes médicos, diagnósticos, terminologías clínicas. A partir de ahí, entendí que yo había tenido unos testículos internos que me habían sacado y que había contradicciones entre mi genotipo y mis genitales. ¿Cómo fueron esos años de reconectar contigo misma? -Fue entre los 22 y los 27. Veía a una psicóloga una vez a la semana. Durante esa hora yo explotaba, era una explosión controlada, intelectual. No lo hablaba con nadie más. Eso era encarcelador. Tenía crisis nerviosas, necesitaba explotar. Fue pasar de tener un síndrome que no podía decir, que no sabía qué era, a conocer a otras personas que me permitieron terminar con esa injusticia y conectar conmigo, con el bien. La única vez que pude hacerlo fue escribiéndolo. Empecé a sentir que mi cuerpo es válido, que mi experiencia es válida, que existo. Entonces se acabó el secreto. Del tabú social a mi tabú personal. Quise acabar con ambas cosas. Mi identidad es política y social, ahora puedo elegir cuándo lo digo. Me enteré dos veces de quién era, a los 22 leyendo mis informes y más adelante, con 27, cuando empecé a conocerme de otro modo. Para mí es muy poderoso pensarme así. –¿Por qué decides participar en un documental contando tu historia?, ¿cómo fue ese proceso? -A finales de 2015, la directora del film, escribió en un grupo de emails de personas intersex en Francia. Aún no había una organización, solo existía esa lista de correos. Yo estaba de manera anónima ahí, con otra mucha gente, y leí el email. Había mucha gente interesada en hacer documentales, pero el suyo me pareció diferente y cercano. La pregunta que más me animó fue: “¿Qué sería un buen documental para vosotras?”. Yo le contesté algo que fue fundamental para comenzar el film. Para mí lo bueno era hablar sobre la vergüenza, el anonimato, sobre el cuerpo, y cómo salir de ahí para empoderarme, para hacerlo público. Ese proceso era lo interesante, hablar desde la gente invisibilizada. Le hablé de que tenía cosas escritas, y ella quería que yo fuera la voz de la película. Además, me dijo que no saldría nada que no quisiera. Fue muy largo, yo me opuse varias veces, pero insistíamos. –¿Fue a partir del documental cuando conociste, por primera vez, a otras personas intersex? -Sí, Floriane me puso en contacto con otras personas de Suiza. Eso fue muy positivo. A partir de ahí, empezamos a contactar entre nosotras y a contarnos nuestras experiencias, durante todo 2016. Así conocí a Deborah, otra de las participantes. Ella, además, vino a París y me animó a que asistiésemos juntas a un evento organizado por el Collectif Intersexes et Allié.e.s, del que ahora formo parte. Al principio yo tenía miedo, no quería, pero cuando empecé a conocer a más gente me sentí muy cómoda. Éramos como diez personas, pero sabíamos que había más en Francia. Más adelante, fui a Bruselas a un evento organizado por la ILGA, International Gay Bisexual Trans Intersex Association, y conocí a más personas de otros países. -Después de incorporar estas experiencias a tu vida, ¿cómo definirías las intersexualidades?, ¿qué supone para ti ser intersex? -Para mí habría dos definiciones. Por un lado, somos personas con características sexuales que no responden a la norma binaria: masculina o femenina. Por otro lado, desde una posición política, son todas las experiencias que hemos tenido por tener estas características sexuales diferentes. Ser intersex viene de la invisibilización, de la negación, y de la erradicación de ese tipo de cuerpo. La biología es muy diversa y, aun así, sigue habiendo personas que se niegan a ver esa diversidad. Ser intersex supone haber conocido –vivido– una negación social, tener un cuerpo que ha sido rechazado a nivel social por una definición clínica. Esto implica un abanico de negaciones sociales de la diversidad, desde la ausencia total de representaciones culturales hasta los tratamientos clínicos impuestos. Mi cuerpo no existe dentro de ese sistema binario. Por eso es político, porque habla de esas experiencias sociales a raíz de que nuestros cuerpos han sido rechazados. – ¿Y, ahora, ¿cómo te identificas? -Con mi familia, soy M. Con mi familia intersex, soy intersex. Para la institución, a lo mejor soy una variación. Pero, en definitiva, soy una mujer intersex. Aunque no suela decirlo públicamente. –Eres la única participante del film que no muestras tu cara públicamente… -Fue un proceso muy largo. Al principio yo no quería participar y, si lo hacía, el anonimato era clave. Hablando sobre esto con Floriane, a ella también le parecía muy interesante reflejar el tabú de algún modo, darle protagonismo. Esa fue la mejor forma de hacerlo.
Tumblr media
. Imagen tomada del documental ‘Ni d´Eve ni d´Adam, une histoire intersexe’. –Además, utilizas un pseudónimo, ¿por qué es importante para ti? -Ser intersex es tener una experiencia social desde ese cuerpo. Normalmente, la gente tiene un imaginario erróneo sobre tu cuerpo por desconocimiento, por falta de visibilidad, o por haber escuchado los mitos y leyendas que existen: el del hermafrodito griego y el de los aparatos clínicos. Desde luego, es algo privado, pero al estar tan invisibilizado es necesario que haya gente que tome la palabra, que hable desde ahí, que ayude a crear nuevos imaginarios, y que invite a poner caras. Pero es importante que se haga cuando cada persona lo decida, siempre de forma libre, eligiendo dónde o cómo. Yo lo hago de forma anónima, y explico que es parte de la destrucción que ha habido contra mí. Hay que aceptar la falta de información que existe socialmente y las dificultades que eso sigue suponiendo. -Entiendo que esas dificultades también tienen que ver con la idea de concebir socialmente el sexo como un binario muy estricto, ¿qué opinión tienes sobre este tema? -Me gusta hablar de la imagen de una constelación, la constelación de los sexos. Todas las características sexuales son parte de esta constelación. Hay ramificaciones alrededor de la palabra sexo, que serían las variaciones de las características, los cromosomas, las gónadas, los aparatos internos, externos, todo. Cada ser, al final, es único si lo entendemos así. Es mucho más lindo hablar desde ahí, desde esa posición. Si vemos el sexo como una línea con dos extremos opuestos, todo lo del medio sería lo diagnosticado, lo contradictorio, lo anti-natural. –Antes has mencionado al Collectif Intersexes et Allié.e.s del que formas parte en Francia, ¿cuáles son las líneas desde las que trabajáis? -Hay dos grandes líneas. Por una parte, trabajamos junto a adultes intersex y nuevas familias. Es importante que vivan sus procesos y ritmos, que se recuperen, compartamos vivencias. Es un trabajo comunitario, convivencias, charlas, formaciones. Por otra, trabajamos en una línea más política exigiendo y reivindicando las necesidades que tenemos como colectivo. Existe un fuerte trabajo de sensibilización y activismo político. Formamos a ONG´s, asociaciones por los derechos humanos, colectivos LGTBI+ y feministas. También creamos alianzas con organizaciones intersex de otros países. Es importante tejer redes porque el trabajo político es muy duro y complicado, está lleno de incertidumbre. -¿Cuáles son esas necesidades y reivindicaciones? No someter a tratamientos no consentidos y no necesarios, como los tratamientos hormonales, los diagnósticos, las cirugías y todo lo que no es consentido ni necesario para la vida de una persona. Con esto pretendemos, poco a poco, salir de la patologización de nuestros cuerpos. Hay que terminar con los tratamientos innecesarios y luchar contra la patologización de los cuerpos que no encajan en la norma binaria. Esto se consigue con formación, a todos los niveles y en todas las áreas culturales, incluida la formación a equipos clínicos. En Francia, estamos intentando prohibir todas las intervenciones que no sean estrictamente por temas de salud y todo tratamiento médico que involucre una alteración de las características sexuales de la persona sin su consentimiento expreso y sin ser previamente informada de una forma clara. – ¿Y respecto a las luchas compartidas con la comunidad LGTB? -Compartimos fobias y discriminaciones. El enemigo es un mismo sistema tránsfobo, homofóbico, interfóbico, patriarcal y heteronormativo. Tenemos que luchar desde ambas partes, desde fuera y desde dentro de los colectivos LGTBIQ+. Es necesario hacerlo colectivamente pero también de manera independiente, desde la i, porque, como cualquier otro grupo, tenemos especificidades. Siempre vigilando no dañar a los demás colectivos y poniendo el foco en la población trans por la cuestión de intervenir sobre los cuerpos. Hay que dejar claro que desde la comunidad intersex defendemos la cuestión desde el consentimiento. Siempre que tú quieras y lo decidas libremente, está bien. –En algunos lugares se reivindica la creación de una tercera categoría, ¿forma parte de las demandas del colectivo intersex identificaros como un tercer sexo? -A nivel europeo, las organizaciones intersex están en contra de que exista una tercera categoría en las identificaciones estatales. Lo que existe en Australia permitió lo contrario, encasillar, y dar argumentos a los aparatos clínicos y jurídicos. Se dieron cuenta de que las cirugías aumentaron tras aceptarla. Por eso, en Francia, defendemos que no tiene que existir, que no es necesario. Igual que la raza fue sacada de esas categorías, de la misma forma el sexo. Sabemos que es una utopía ahora. Pero no es una cuestión que salga de nuestras voces. No queremos una categoría que cree una nueva forma de discriminación. Aún así, hay países donde si existe porque se está demandando por parte de otras identidades, y eso es genial, pero hay que dejar claro que no forma parte de las demandas de la comunidad intersex internacional. Para nosotres, crear una tercera categoría seguiría estigmatizando unos cuerpos y daría argumentos a equipos clínicos para seguirlos discriminando. En Alemania estaría reservada para personas intersex pero, ¿quién decide qué es intersex? –Desde el punto de vista legal, ¿están siendo efectivas las leyes en materia de intersexualidades que hay en otros países? -Hay leyes que están ahí, pero que siguen sin funcionar. En Malta existe una ley que proponía cambiar los protocolos. El día que tuvieron que sentarse en la mesa a hacerlo, no se hizo. En Portugal y en California pasó lo mismo. Hay un compromiso por parte de los gobiernos, pero después no se lleva a la práctica de forma efectiva. No existe. No se puede legislar poniendo la i si no existe un texto de referencia, guías, si no hay información sobre la i, si no cuentan con nosotres. Lo único que hay hasta ahora son recomendaciones y textos jurídicos. Como las del Consejo Europeo, que habla de mutilaciones genitales y defiende acabar con ellas. El Parlamento Europeo está en la misma línea. País por país, existen comités de la ONU que denuncian y condenan este tipo de protocolos. -Como sociedad, ¿qué responsabilidades tenemos? -Hay personas que no quieren saber que existimos, que no validan nuestras experiencias fuera de los diagnósticos y las enfermedades, que promueven imágenes sobre nuestros cuerpos que son falsas o erróneas. Esto genera muchas discriminaciones. Es muy importante educar, la educación, en todos los ámbitos, empezando desde los colegios. Por supuesto, desde el enfoque de los derechos humanos es por donde tenemos que seguir trabajando. Hay tantas variaciones en cada cuerpo, incluso independientemente de las características sexuales. No pueden ocurrir ni existir más tratamientos así, la sociedad tiene que ser más tolerante respecto a los cuerpos y sus diversidades. –¿Por qué nos recomendarías ver el documental? -Porque aunque no toda la gente pueda identificarse con la narración intersex, sí puede hacerlo con cosas vinculadas a nuestra sociedad patriarcal que todes compartimos: los tabúes, las normas sociales de cómo tienen que ser los cuerpos, o el poder de los aparatos clínicos y la medicalización. Este documental, en este sentido, es una nueva manera de leer las discriminaciones, de deconstruirlas y de crear nuevos imaginarios colectivos. -Una frase final para cerrar la entrevista. -La revolución intersex será íntima, social y política. Imágenes tomadas del documental ‘Ni d´Eve ni d´Adam, une histoire intersexe’ :::Mer Gómez/Pikara Magazine::: Read the full article
0 notes
infoiberico · 7 months
Text
Las dehesas son uno de los paisajes más característicos de la Península Ibérica. Se trata de un bosque abierto, formado principalmente por encinas y alcornoques y que sirve de motor económico de muchas zonas rurales. Sin embargo, una enfermedad está provocando la muerte de muchas de esas encinas y alcornoques: la seca. Lo hace a través de un patógeno, Phytophthora cinnamomi, que vive en el suelo y pudre las raíces de los árboles impidiéndoles la absorción de agua y nutrientes y causando su decaimiento. La comunidad científica y los sectores implicados llevan años buscando cómo hacer frente a esta enfermedad que pone en peligro un ecosistema que alberga la producción de cerdo ibérico. En este sentido, la Universidad de Córdoba (UCO) acogió una reunión del grupo de trabajo "Mejora Genética de Quercus Mediterráneos". Un grupo encargado por el Ministerio para la Transición Ecológica y el Reto Demográfico y que en 2019 puso en marcha el “Programa de Mejora y Conservación de los recursos genéticos de la encina y el alcornoque frente al síndrome de la seca”. Este programa busca tanto obtener genotipos y materiales vegetales de estas especies que sean tolerantes a la seca, de manera que puedan servir en el futuro para restaurar focos de afección y ayudar en la lucha contra esta enfermedad, como afrontar los aspectos productivos de la misma que cada vez están teniendo más relevancia para el desarrollo rural. La UCO ha participado en el Programa de Mejora a través de 2 grupos de investigación (Bioquímica, Proteómica y Biología de Sistemas Vegetal y Agroforestal y Evaluación y Restauración de Sistemas Agrícolas y Forestales) y con el liderazgo de los catedráticos Jesús V. Jorrín Novo y Rafael María Navarro Cerrillo, quien ha señalado durante la inauguración de la reunión la implicación de la UCO con el problema de la seca por 3 motivos principales: la necesidad ante la degradación de uno de los sistemas socioambientales más importantes de la Península Ibérica, el compromiso de la institución por su componente agroforestal y su localización geográfica para dar soluciones a los sectores afectados, y la contribución con la capacidad de innovación científica y tecnológica. Navarro Cerrillo también ha destacado la comunidad que se ha creado en el entorno del programa. Bajo la coordinación del Ministerio, el grupo de trabajo ha contado con la participación de empresas, administraciones públicas, universidades y centros de investigación como las Comunidades Autónomas de Andalucía, Extremadura y Castilla-La Mancha, TRAGSA, las universidades de Huelva, Extremadura, Valencia, Politécnica de Madrid y Autónoma de Madrid, IMIDRA, Misión Biológica de Galicia (CSIC) y ICIFOR-INIA (CSIC). A lo largo de 2 días, los diferentes actores participantes presentaron los resultados de los 4 años de trabajo y la propuesta de nuevos caminos para el futuro: evaluación de tolerancia a la seca, marcadores moleculares relacionados con la tolerancia y para la identificación del material, componente biológico del suelo, propagación vegetativa (por injerto y por micropropagación), ensayos y huertos semilleros, micorrización in vitro. Además, el encuentro finalizará con una jornada dirigida a propietarios de fincas de dehesa y monte alcornocal para difundir los resultados del programa y agradecerles su colaboración. Así, los cuatro años de trabajo han servido para aumentar considerablemente el conocimiento científico-técnico sobre el problema de la seca. En palabras de Jorrín Novo, “hemos intentado dar un pasito más, estar más cerca de lo que puede ser la futura solución al problema de la seca”. Sin embargo, los diferentes actores implicados en el grupo de trabajo son conscientes de que hay que seguir investigando: “este programa ha supuesto obtener unos resultados muy prometedores respecto a la obtención de materiales de encina y alcornoque tolerantes a la seca, aunque aún queda mucho camino por recorrer, pues los programas de mejora genética de especies de árboles forestales
son a largo plazo, debido a los amplios ciclos que tienen estas especies”, ha explicado Felipe Pérez Martín, jefe de Área de Recursos Genéticos Forestales de la Subdirección General de Política Forestal y Lucha contra la Desertificación. La jornada fue inaugurada por María José Polo, vicerrectora de Política Científica, quien señaló la importancia de apostar y generar conocimiento a partir de ideas que al principio puedan parecer arriesgadas, que no consigan resultados a corto plazo y que supongan involucrar a actores muy diversos tanto del sector investigador como de los encargados de llevar a cabo las políticas. En la inauguración, también estuvieron presentes la coordinadora de Proyectos de I+D+i de TRAGSA, Beatriz Cuenca Valera y el director del Centro Universitario en la Comarca de los Pedroches de la UCO, Alfonso Carbonero Martínez.
0 notes
resistantbees · 11 months
Link
0 notes