#fughe auto
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Perché i poliziotti americani toccano il fanalino posteriore o il retro dell'auto quando fermano qualcuno?
Scopri il significato di un gesto apparentemente semplice ma carico di implicazioni di sicurezza e strategia.
Scopri il significato di un gesto apparentemente semplice ma carico di implicazioni di sicurezza e strategia. I poliziotti americani hanno l’abitudine di toccare il fanalino posteriore o il retro dell’auto quando fermano un veicolo per un controllo. Questo gesto, che potrebbe sembrare casuale, in realtà ha una storia lunga e motivazioni ben precise legate a sicurezza, raccolta di prove e…
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singinthegardns · 28 days ago
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Sembri più felice da quando hai smesso di sperare nel ritorno di qualcuno che ha saputo solo trattarti male. È stancante, non credi? Aspettare un cambiamento che non arriva mai, ascoltare scuse e promesse sapendo, in cuor tuo, che è tutto inutile. Ti ha perso nel momento esatto in cui ha deciso di metterti al secondo posto, e poi al terzo, al quarto e cosi via. Pensava di trovarti sempre la, ma senza rispetto finisce anche l'amore piu forte. Non si tratta di sbagli, ma di disattenzioni. La voglia si era assottigliata, i sorrisi erano spariti. Eravamo arrivati al punto di non darci nemmeno il buongiorno. Come si arriva a tanto? A dimenticarsi così. Come si smette di amare qualcuno? Sognavamo una casa, un cane, le mattine insieme, i progetti, una routine da costruire, le fughe in auto dalla città, i weekend altrove, la mia testa sulla tua spalla, la tua mano nella mia.
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napoli-city · 2 months ago
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EsiCam Dash Cam Modalità parcheggio per auto, moto, bicicletta, monitoraggio del...
Price: (as of – Details) Descrizione del prodotto: Se vuoi proteggere la tua auto da atti vandalici o colpi e fughe mentre è parcheggiata, potresti chiederti quale dash cam è più adatta a questo scopo. Questa è la nostra nuova soluzione EsiCam per telecamera di parcheggio, la maggior parte delle dash cam con modalità park nel mercato attuale ha poco tempo di batteria che è solo 1-2 ore o meno,…
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macabr00blog · 11 months ago
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STORIA DI UN PAPAVERO & DI UN TULIPANO
Negli occhi le ultime immagini di recinzioni, dita che strappano i fiori. E’ luglio ma coesistono due stagioni. L’una calda ma da brividi sul collo, l’altra estinta e allunata dove il sole ci scortica la faccia. Ti presenti il mattino, la tua decadenza corporale resa finta nelle smanie e nelle parole, finzione da paura che pulsa, cartografia della tua nudità sulla sdraio di iuta, e te ne vai quando cala il sole, la polvere della terra della strada in riparazione che si alza al contatto con la gomma scesa della ruota della tua bicicletta, gazzella a pedali che mangia tracce di catrame, selvaggia e intossicata. I miei scheletri di epidermide di arrossamenti sulle tue dita soffici, mi accarezzi una guancia ed è agosto, era mattino e la notte mi aveva avuto nelle sue mani, mi aveva avvolto in un foglio di spine. Ti ho detto che l'estate aveva l’aria di terra straniera, ma dimenticavo i carnevali di maturazione violenta spinto contro pareti di mattonelle fredde, il battito dell’infedeltà, ispezionavo lo spazio circostante. Sentivo ronzare la mia fatica nell’avvicinarmi ad una storia che mi facesse meno male. La sequenza era confusa e nel frattempo i fatti avevano surclassato le intenzioni e la riflessione non sussisteva dopo i cinquanta chilometri di distanza, non sapevo che tu dovessi andartene fino a quando non te ne sei andato, non immaginavo potesse esistere un mondo dove tornavamo orfani. L’indebolimento mi porta alle porte dell’inverno. Un anno di lamenti soffusi, non ricordo nient’altro, impressioni semplici e principi notturni, procuravo eccezioni per intrattenermi, era soltanto una parata silenziosa, non serviva a nulla tranne a convincermi del mio stato di adeguamento. Quando, realmente, non mi davo pace. La mia era una battaglia di retroguardia continua. Trovare radicali nello stabile, no insicurezze né dubbi, non c’è spazio per una nuova terra di esplorazioni, di una nuova carezza se poi prevedo l’allarme. Io lo sento, suona ovunque, è il canto di una sirena che mi conduce all’acqua.
E nell’acqua ti ritrovo.
Sono passati due anni e io sono padrone di niente. Freno la mia incombenza, il mio corpo rattrappito dal controllo, il tuo scavato dall’apatia, ci guardiamo in convinzioni uniformi, è una mattina ed è di nuovo estate. Parcheggio della villa a Malcesine, io diventato piromane dopo l’incendio che ha usurpato il mio corpo nel ghiaccio, tu naufrago per la troppa pioggia che ha creato una distruzione da alluvione. Siamo uno davanti all’altro, incapaci di gesti, forse deumanizzati, sicuramente spregevoli come eravamo tempo fa. Nella notte prime fughe, galleggiare come mosche in un contenitore di vetro, la costruzione del nostro rapporto consunta che si fa ciondolare da un filo, è un acrobata o è un suicida? Ci baciamo sulle scale, sulla porta, in auto, nei parcheggi, nelle spiagge, nelle retrovie, bocca su bocca come impronta su impronta, tra qualche mese svanirà, no fossili, no segni indelebili. Evaporiamo su diversi strati di temperatura, i pomeriggi tu sparisci d’improvviso, ti saldi nel ricordo e nessuno ti viene a cercare. Farti sapere, la notte, che io ti ho pensato tutto il tempo, tu mi dici che i pensieri d’evasione sono marciume, finiremo come corpi su una montagna di discarica, finiremo con la memoria delle zanzare che risalgono la baia, non c’è niente al di fuori di questa sorte e di questo silenzio di luna. Non posso aspettarti, non devo aspettarti, devo solo tastare la polvere, la terra, devo imparare a stare solo, la mascella stretta con i denti scheggiati, devo educarmi all’abbandono. Eppure la placca invisibile dell'aria mi sembra così buona sulle mie palpebre, la memoria della terra umida dove sono uscito, i piedi ancora sporchi di fango come quando nascere era soltanto nascere, come quando ero solo un bambino e desideravo solo esserlo. All’interno del mio corpo e del tuo, noi figure scure su uno sfondo blu notturno, disgregati i pezzi di magma delle memorie. Dalla villa divampa un incendio, è il fal�� estivo. Stiamo bruciando i resti delle bestie che abbiamo nella pancia. Il mio e il tuo animale. Perché non c’è più tempo per questo.
E nel fuoco ti ritrovo.
Non riuscivo a distinguere l’altezza dei miei piedi, ero troppo leale per essere un adolescente, ero troppo adolescente per essere fedele, tu nel buio hai selciato la disgrazia con bastoni, tu sei uno scrittore, rivolta nell’essenza di ombra. Mi hai detto che mettere insieme delle parole trova la luce. Ti ho chiesto allora del senso di un Dio, tu hai detto che la religione è una casa per tanti, ma è una casa di cartone. Ed ora sul mondo piove, serve solo uno scevro poetico, uno straccio di luce, e la luce arriva e arriva e arriva. La poesia non ha acqua nella quale morire.
I nostri valori sono cresciuti su questo, dunque, perché non ci serve nient’altro. Dimentichi le nostre sagome deformi, dimentichi il bagliore che riflette sulla baia, dimentichi i rumori di riverbero, il caos delle nostre veglie abbuffate di baci, tutte quelle cose che sembravano stelle, sembravano galassie, ora sono solo luci. Si accendono e si spegnono. E tu dimentichi. Buio. E ricordi. Luce. E appunti. Luce. E scarabocchi. Luce. E accartocci. Buio. E te ne vai e te ne vai e te ne vai, e io me ne vado e me ne vado e me ne vado, e ti dico cosa abbiamo fatto a quelle povere bestie innocue che ci vivevano dentro? Ma tu non hai risposta per me, sembro uno sciocco, grido come un padre con i gomiti ruvidi, l’espressione che aveva il tuo e che hai cercato di rimuovere per la paura di tornare ad affogarci dentro, cosa hai fatto alla mia bestia?
Ci siamo lasciati nella luce, volevo che fosse chiaro. Era settembre e uscivo da casa tua con una vecchia valigia rossa.
Lazio e Emilia e Lombardia e…?
E nell’aria ti ritrovo.
Anni di terre mute, il mio dissapore nelle mani che impacciate si muovono, la mia lingua cerca di impossessarsene invano, qui c’è solo un campo coltivato e un colpo di stato e un altro campo coltivato e poi nulla per chilometri. Ricordo delle tue labbra asciutte del mezzogiorno, tutto questo deserto che si riempiva di suoni, crescevano dal nulla. L’abbandono insegna, occorre che io resti muto, senza fede, senza tonnellate di gloria inconcepibile, senza Dio nei crepuscoli. Offro l’idea della carne viva che brulica e che emerge dal fumo, intrattenimento becero, porto all’esterno i dettami dei miei sogni, agilità compatta di vecchi membri. Incido con potenza e graffio le ennesime parole senza suono. Mi sono educato a stare bene e stavo bene, ma era affondare nel perbenismo, io subisco la mia stessa felicità, il tempo mi rimane secco sulle dita.
Tu crei il virus per praticare il contagio e io sono sfinito dalla pestilenza, sono sfinito dall’incanto, dall’eco della malattia, e ti chiedo di farmi entrare. Fallo nella notte, dico, nei freddi tremori. Ma ho dimenticato che c’è stato del tempo in mezzo alle nostre vite, ora sei fiero, ora sei salvo, ti sporgi con le mani, hai smesso di morire ad ogni pezzo di nuova stagione, ti sporgi con la bocca e mi baci. In mezzo a quel mondo che ripudiavi, nessun senso di vergogna, sei una morsa affettuosa, la tua fatalità resa immagine. Perché mi hai fatto entrare solo ora?
Io sono un papavero. Ho trascorso l’infanzia da solo. Ero sempre da solo, soprattuto nei mesi estivi. Guardavo le schiene curve che sorreggevano le balle di fieno, le schiene che portavano tutto dappertutto, e in quel tutto io ero compreso. Mio padre con le sue mani tozze e indurite, è svanito nel rincorrersi delle voci attorno, tutte quelle voci su un mucchio di carne. L’acqua sporca e salata della sua bocca irrigava, i capelli schiacciati dal peso del grasso denso. Io ero in disparte, ascoltavo i discorsi, i monologhi, in quelle parole albergava sporadicamente quanto avevo bisogno di ascoltare: la distanza dall’obbedienza, dalle regole imposte, e intanto perdevo un pezzo di mio padre. Il mio lessico si faceva disturbante, antagonismo che si voleva deostruire, io non capivo di esserne sempre stato schiavo. E perdevo un pezzo di mio padre. Io sono un papavero, i miei petali sono troppo fragili per essere ancora intatti dopo che sono stati sfiorati. Non so dire cos’è reale per un padre, non so chiamarlo mentre se ne va.
E i tulipani sono i miei fiori preferiti, perché non sono i preferiti di nessuno, e assomigliano alle tue gambe accanto a me e all’incavo del tuo collo di petali morbidi. E tu resisti per pochissimo, ma rimani bello da morto, i tuoi colori ancora lucenti dopo mesi di solitudine, appari così dolce tra i molari. Perché ora hai smesso di averne paura.
Ero sempre da solo, soprattuto nei mesi estivi. Negli occhi le ultime immagini di recinzioni, dita che strappano i fiori, saranno più belli domani, dentro un vaso a morire. Sarai più bello domani, quando ti presenterai al mattino.
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valeriamuteri · 11 months ago
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il metodo ziamaria
Ho una memoria molto precisa di un giorno alla sartoria, a casa di mia zia Maria, la sorella maggiore di mio nonno Pino. Ci passavo giornate intere in quella sartoria, che in realtà era la stanza grande della casa, che dava sul cortile di ingresso. Mia zia, sarta di esperienza, lavorava e portava avanti quella che si chiama 'mastra': maestra nel suo lavoro, insegnava il mestiere ad altre. Mia nonna Anna era una di queste: andava alla mastra da lei da quando aveva quattro anni e li' aveva conosciuto mio nonno, di undici anni piu' grande, molto prima di potere immaginare cosa fosse un marito.
La zia Maria era una donna austera e diretta, e spiegava le cose muovendo la testa e le braccia. Nonostante fosse magra e ossuta, per accompagnare le parole che valeva la pena sottolineare, usava tutto il peso del corpo. A volte rallentava con la mano quando erano parole da scandire, da memorizzare e ti guardava fisso con due occhi cerulei cosi chiari che sembravano di vetro trasparente, quasi a doppiare le due lenti enormi che aveva cucite sul viso. I vetri erano spessi con due mezzelune basse, che credo fossero i progenitori delle lenti progressive, considerato che spendeva un tempo lunghissimo piegata su un dettaglio, tra le dita e l'ago. La ricordo un tutt'uno con un meraviglioso manichino di legno e velluto grosso, su cui veniva montato il pezzo su cui si stava lavorando. Si mostrava l'abito, per commentarlo insieme con le altre sarte, imparando facendo, dettaglio per dettaglio, da una mano esperta, a una abile, fino a quella dell'ultima arrivata, in una catena sociale che permetteva a tutte di imparare, limitando il margine di errore con una protettiva staffetta generazionale, che aveva l'obiettivo comune di 'fare le cose per bene'.
Quello della sarta era un lavoro faticoso. Il lavoro di un ragno, che costruisce una tela fragile con tempo, e saliva e della cui bellezza non si gode mai personalmente. Non ricordo un vestito che non fosse nero indosso a mia zia: era rimasta vedova dello zio Tanino molto giovane, con quattro figli e un lavoro che era diventata la sua principale eredita'. Ma stiamo parlando degli anni cinquanta in un paese della Sicilia occidentale, il concetto di donna in carriera non esisteva e certo non era contemplato a quelle latitudini.
Percio' non era accettabile nemmeno per una maestra e persona rispettabile come lei che qualcuno altro le facesse le pulizie di casa. Non certo per una di rango semplice come quello a cui apparteneva. Una sera, dopo cena, mia nonna mi chiese di accompagnarla a portare alla zia qualcosa di urgente, abitava a pochi metri, non ci avremmo messo tanto. 'Mari' ciao, ancora travagghi?' mia nonna accarezzo' mia zia con queste parole, trovandola nel semi buio della sala, piegata sulle ginocchia. Ancorata con un braccio tra lo straccio bagnato e il secchio, raccoglieva con le mani sfilacci di tessuto, briciole, forse gesso che si nascondevano tra le fughe del pavimento. La voce di mia zia cambiava quando non aveva l'ago in mano 'e cu l'ava a fari sti cosi, si un puliziu iu?'. La voce diventava tremate e quasi bambina, un po' sconsolata, un po' sola e certo auto consolatoria. Mia nonna, da lavoratrice dipendente, taglio' corto con quello che doveva fare, per lasciarla finire, nel rispetto assoluto della sua fatica e con la sorellanza di chi la conosce bene.
Mi sorprese percio' come uno schiaffo ingiusto il commento che fece mentre prendendomi la mano, imboccavamo la viuzza per lasciare il cortile. 'La zia passa la pezza vagnata senza passari la scupa bonu, lu capisti?'. Chissà perché aveva tenuto cosi tanto a giustificarsi con me? Come se quello fosse stato un cattivo esempio da dimenticare: non si può passare lo straccio sopra un pavimento che non hai scopato a dovere prima! e' da 'lorde', da sporche.
L'autorevolezza della professionista non bastava se non eri prima e anche una casalinga impeccabile. Non era accettabile. Nemmeno se eri di una precisione proverbiale nel tuo lavoro, crescevi da sola quattro figli e davi lavoro ad altre donne.
Oggi ho portato mia figlia all'asilo perche' sono ammalata, ieri ero sfiancata, oggi in ripresa e ho appena finito di passare lo straccio in una una meta' del mio appartamento. Sono settimane che incrocio lo sguardo giudicante del secchio che mi ricorda che pulire per parti oggi volta che si sporca, non basta. Come non basta avere scelto un pavimento altamente lavabile e igienico, con una bambina di un anno e mezzo che fa il pesce pulitore con ogni briciola che ci trova sopra.
Mentre mi piegavo a inseguire il bastone dentro lo zoccoletto della cucina, ho portato a galla dal battiscopa ingegnosamente rientrato, una quantità enorme di briciole, semini, chicchi, e qualche carota di legno giocattolo. Allora il linoleum verde del mio appartamento e' diventato una superficie di piastrelle grosse e io sono diventata la zia Maria, la schiena dolorante, il corpo magro e le mani stanche.
Se ho archiviato come prezioso quel ricordo nella mia mente, e' perche' già allora la bambina che ero, aveva trovato troppo duro quel giudizio a cui mia nonna aveva dato voce, pur essendone essa stessa vittima. E sono riuscita non solo a perdonarmi per non stare pulendo 'per bene' ma addirittura a congratularmi con me stessa per il fatto di stare facendolo, nonostante tutto.
L'amore per la zia Maria mi ha regalato questo ricordo e la stima per lei quella per me. Liberandomi del perfezionismo con cui sono stata pasciuta ho risposto con il metodoziamaria del 'meglio fatto che perfetto': sono riuscita a organizzare il mio tempo per avere un pavimento decente, scrivere questo ricordo, e piu di tutto scrivere di lei.
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corallorosso · 4 years ago
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Un fiore per Rosaria e Donatella "Era nella bara, vestita di bianco e aveva una lacrima, proprio sotto l'occhio destro". Quando lo racconta Letizia Lopez, sorella di Rosaria, si tocca il volto, indica un punto impreciso tra le labbra e i capelli. Poi, come ha raccontato Fabrizio Peronaci sul Corriere della Sera, si commuove. Perché certe cicatrici non si rimarginano mai. Neppure 45 anni dopo. Neppure rassettando con ostinazione il piccolo appartamento di famiglia a Roma in via di Grottaperfetta, quartiere Montagnola, la "borgata" che in fondo borgata non è mai stata, un quartiere della ex periferia Sud. Qui i Lopez abitavano tutti assieme, i vecchi genitori Maria Antonietta e Giuseppe, e otto figli. Donatella era la più piccola, l'ultima di quella famiglia emigrata dalla Sicilia a Roma negli anni Cinquanta. Aveva 19 anni, faceva la barista, cresciuta in un collegio di suore perché i soldi in casa erano pochi, troppo pochi. Massacrata al Circeo nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975. Seviziata, pestata, irrisa "perché femmina e povera", stuprata a turno da Andrea Ghira, Gianni Guido e Angelo Izzo. Uccisa per affogamento nella vasca da bagno di Villa Moresca, la dimora di proprietà della famiglia Ghira. Tra una tortura e l'altra Gianni Guido prese la macchina e se ne andò a Roma, per cenare con i suoi nel bell'appartamento di via Capodistria 4, quartiere Trieste, dove oggi vive da uomo libero dopo aver scontato poco più di 14 anni di carcere tra evasioni, fughe all'estero, indulto, buona condotta e ottimi avvocati. Quella notte di 45 anni fa, dopo la cena, Guido tornò verso il mare per vedere come finiva "la festa". Non lontano c'è via Pola, dove venne parcheggiata la sua auto, una 127 bianca, che conteneva nel bagagliaio i "corpi delle morte, senti come dormono". Ci ridevano su i tre massacratori, criminali prima di allora di piccolo cabotaggio, fascistelli cresciuti con la convinzione di farla sempre franca ... Dai verbali dell'interrogatorio a Donatella. "Gianni Guido mi aveva fatto sdraiare per terra, mi aveva messo un piede sul petto e legato una cinghia attorno al collo. Ha tirato così forte che alla fine la fibbia si è rotta. Allora ha cominciato a infierire con la spranga e con i calci in testa. Sono svenuta, poi ho finto di essere morta. I morti non provano dolore". Donatella Colasanti se n'è andata, dopo una esistenza travagliata e dolorosissima, nel 2005 per un cancro al seno. Vittima anche lei, come Rosaria, di un incubo infinito. Ad Angelo Izzo fu concessa la semilibertà nel 2004. L'anno successivo uccise Maria Carmela e Valentina Maiorano, madre e figlia. Valentina aveva solo 14 anni. Per questo duplice delitto sta scontando l'ergastolo. Andrea Ghira non ha mai fatto un giorno di galera. Grazie a coperture e amicizie importanti, fuggì poco dopo il massacro del Circeo. Si arruolò nella Legione Straniera, sarebbe morto di overdose a Melilla, nel 1994. Di Guido abbiamo detto: è libero. Il giorno dei funerali di Rosaria, 4 ottobre 1975, tutta la Montagnola scese in strada... Ad officiare l'omelia fu un vecchio prete partigiano, Don Pietro Occelli. Disse parole che restano scolpite: «Vi è qui una sperequazione evidentissima che il delitto sottolinea: "loro" hanno avvocati di altissimo grido, hanno una magistratura che guarda benevola, hanno sempre la libertà provvisoria: e hanno anche le smaccate evasioni fiscali di padri ricchissimi che erano e sono rimasti fascisti. I figli di queste canaglie possono ammazzare, spendere e spandere, assassinare per non annoiarsi....». ... Dove Donatella e Rosaria sono cresciute c'è un piccolo parco ora, in loro memoria, a tenere viva una ferita sempre aperta frutto di una "sperequazione evidentissima" e di una giustizia mai completa, di un concetto di impunità in cui alcuni sguazzano in virtù dell'arroganza del potere, dell'apologia dello stupro, dell'abuso, della violenza e, per citare Albinati, di "quella malattia incurabile dell'essere maschi". Quel parco è in via Pico della Mirandola 89 e dove oggi alle 17, per volontà dell'VIII Municipio, le ragazze massacrate al Circeo saranno ricordate insieme a tutte le altre: l'esercito inerme delle donne vittime di femminicidio. Ognuna, ognuno porti un fiore. di Daniela Amenta
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abr · 5 years ago
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Facce della medesima medaglia
Il VERO DRAMMA ITALICO non è l’individualismo, quella è una CARATTERISTICA che si rivela nel bene come nel male e con la quale andrebbero fatti i conti preventivamente: LO SI SA GIA’, ecco perché la colpa dell’assalti ai treni verso il Sud o delle fughe dalle zonerosse è in primis del governo incapace. 
Il vero dramma italico è l’attitudine auto-assolutoria di chi alza continuamente ditini nelle facce altrui, fingendo di uno rendersi conto che chi sputa controvento è lo stesso che in separata sede “si loda e s’imbroda”. 
Btw in tal senso l’immagine sotto è scorretta: codesti non hanno esitazioni o fronti imperlate, schiacciano tutt’e due i pulsanti senza problemi! 
Già che ci siamo e a proposito di dita alzate, lo chiedo come favore personale: finiamola pure di additare la Cina come esempio di gestione di crisi, dico LA CINA, L’ORIGINE DI TUTTO QUESTO BORDELLO. Sorto per INCAPACITA’ e OMERTA’ tipiche delle DITTATURE.  
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paoloxl · 5 years ago
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Esiste una linea nazionale che accomuni le realtà conflittuali in tempi di contagio? Al di là delle letture, spesso ideologiche e consolatorie, della realtà quella che manca è proprio una visione complessiva che permetta di individuare obiettivi e pratiche comuni. I limiti appena descritti non riguardano solo le singole organizzazioni, non tutte ma quasi, o i coordinamenti che vorrebbero presentarsi dal basso quando poi sono frutto di realtà, magari piccole, organizzate e di quadri sindacali. Ben vengano i tentativi di ricomposizione reale che non siano tuttavia la ennesima iniziativa per portare acqua alle singole organizzazioni o per inseguire la retorica dell'unità quando poi materialmente si lavora alla divisione,  poi c'è chi pensa di andare ad assemblee e congressi nazionali per scindere l'atomo alla ricerca della purezza assoluta, incapaci di costruire perfino una lettura univoca e dare supporto alle realtà locali, per intenderci chi sui territori fa il vero sindacato a contatto ogni giorno con la forza lavoro. La coerenza non è mai abbastanza specie se ogni giorno strilli contro gli accordi sottoscritti da altri, quanti criticavano la sudditanza del sindacato alla politica oggi non sapendo piu' cosa dire per giustificare la propria presenza straparlano di assenza del soggetto politico. O se urli ai quattro venti che con certe organizzazioni non firmerai mai nulla salvo poi ritrovarti (magari a ragione una volta tanto) a sottoscrivere piattaforme. Insomma si naviga a vista cambiando pelle e analisi per auto assolversi e giustificare il proprio operato. Ma tutto ciò può bastare? Sicuramente no. Molti delegati\e raccontano di essere stati letteralmente abbandonati, basti ricordare dei lavoratori licenziati per avere violato i codici etici e di comportamento aziendali quando invece hanno solo denunciato l'assenza di dpi in azienda e il rischio concreto di ammalarsi e morire. I vari uffici legali potrebbero costruire una rete di supporto valida erga omnes ma invece si va in ordine sparso. Dietro a molti proclami di vittoria ci sta semplicemente la nostra impotenza, alcuni risultati importanti sono stati conquistati perché tutti, perfino settori confederali, hanno marciato nella medesima direzione guadagnando perfino il sostegno dei Consulenti del Lavoro come nel caso degli assegni familiari negati ai beneficiari del Fis. Ma a nessuno è venuto in mente che gli ammortizzatori sociali attuali poi sono gli stessi ridotti a brandelli dal Governo Renzi, anderebbero ripensati per una platea decisamente piu' ampia e in tempi dilatati rispetto agli attuali, dovremmo intervenire nel merito della questione costringendo le imprese a non ricorrere ai soldi pubblici per affrontare la riduzione della domanda quando poi dividono utili a più cifre tra gli azionisti. Ma sugli ammortizzatori sociali poco o nulla è stato fatto, si sono trovate (per fortuna) intese sul reddito di quarantena ma da qui a tradurre la proposta in iniziativa politica, sociale, sindacale e culturale corre grande differenza. Del resto perfino sul reddito di cittadinanza non siamo riusciti a dire qualcosa di significativo, sarebbe stato sufficiente proporre dei lavori socialmente utili con copertura previdenziale al posto del reddito decidendo in partenza interventi e opere necessarie per la cittadinanza e il settore pubblico. Ma anche nel caso del reddito non siamo usciti dalla vulgata liberista o l'abbiamo contrastata in termini ideologici con ideologie ormai avulse dal sentire comune. E tra qualche mese si scatenerà la guerra tra poveri con i settori più a rischio a rivendicare maggiore salario giudicando chi si è fermato o è finito a casa con gli ammortizzatori sociali una sorta di privilegiato. Un altro terreno dove misurare la nostra iniziativa dovrebbe essere quello dei buoni alimentari ma non siamo andati oltre comitati spontanei che vanno in cerca di cibo dai negozi per distribuirlo gratuitamente ai bisognosi (iniziativa importante ovviamente) o alla critica verso i criteri decisi dai singoli Comuni funzionali a favorire qualche area sociale a discapito di altre. Ad esempio alcuni Enti locali di centro destra hanno inserito criteri a favore dei lavoratori autonomi, altri invece hanno fatto prevalere il rapporto tra entrate in famiglia e il numero dei componenti per strizzare l'occhio alla Chiesa cattolica e alle famiglie numerose. Sui buoni alimentari abbiamo perso l'occasione di entrare nel merito di cosa sia oggi la povertà e degli interventi necessari per contrastarla, chi siano i nuovi poveri e dove si trovano, non ci risulta poi che le amministrazioni locali abbiano ripensato il lavoro, ad esempio favorendo progetti e servizi nuovi in smart working o recuperando le mense scolastiche come supporto reale per la consegna di pasti caldo a domicilio. È poi mancata una iniziativa comune nelle aziende e fabbriche aperte anche nei momenti più drammatici del contagio, gli scioperi sono stati locali e spontanei, per lo più ove non corre l'obbligo dei servizi minimi essenziali. Ma una piattaforma comune e trasversale, unità minima di intenti, sarebbero stati indispensabili per non abbandonare le singole Rsu ad un confronto impari con i datori di lavoro. Perfino sulla regolarizzazione dei migranti in agricoltura non c'è stata l'iniziativa necessaria, eppure l'esempio del Portogallo dovrebbe indurre ad alcune riflessioni. E infine sulla fase due del contagio, la cosiddetta ricostruzione che vedrà a capo della task force un manager, qualche idea di come affrontare il nemico di classe dovremmo pur averla senza far finta che nulla sia cambiato da fine 2019. Tra poche settimane ci ritroveremo con aziende e realtà aperte e andare in ordine sparso senza neppure alcune idee comuni non sarà di aiuto a quanto resta delle aree sindacali, sociali e politiche conflittuali. Se cogliamo noi, dalla periferia, i limiti e le contraddizioni, immaginiamoci quale potrà essere la reazione delle classi subalterne che vengono da anni di ubriacatura liberista e al di là della retorica generica dell'unità non sono da anni abituati a ragionare e ad agire insieme. Qualcosa possiamo fare ma serve un cambio di passo e di cultura politico sindacale. E qui iniziano le vere difficoltà, è inutile nascondere la testa sulla sabbia o fare fughe in avanti, la realtà, bella o brutta che sia, va sempre compresa ed affrontata.
BLOG delegati e lavoratori indipendenti Pisa
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altabattery00 · 2 years ago
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Apple Car: un ex dipendente rischia 10 anni di carcere e 250mila euro di multa per spionaggio industriale
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Xiaolang Zhang, un ex dipendente Apple che ha lavorato all'auto elettrica dell'azienda, si è dichiarato colpevole di spionaggio industriale lunedì 22 agosto. Quest'ultimo ha rubato diversi documenti riservati per consegnarli a un concorrente cinese. Ora rischia fino a 10 anni di carcere e una multa di 250.000 euro.
L'Apple Car è oggi il segreto di Pulcinella peggio custodito nel settore. Se l'azienda di Cupertino non ha ancora confermato ufficialmente l'esistenza della sua prima auto elettrica 100% autonoma, le numerose segnalazioni e leak che la riguardano lasciano poco spazio a dubbi. Mentre alcuni dipendenti rivelano queste informazioni riservate direttamente ai leaker, altri cercano invece di venderle ai concorrenti.
Questo è probabilmente il piano di Xiaolang Zhang prima di essere arrestato. Nel 2018, questo ex dipendente di Google ha preso il congedo di paternità, di cui ha approfittato per recarsi in Cina. Al suo ritorno, i sospetti già presenti nei suoi confronti sono rafforzati dalla sua improvvisa decisione di dimettersi. Ha poi spiegato ai suoi superiori che intendeva lavorare per Xmotors, una grande azienda cinese nel settore delle auto elettriche.
Apple decide di indagare, e poi scopre che Xiaolang Zhang ha approfittato del suo accesso privilegiato al database del progetto per scaricare un documento di 25 pagine che dettaglia gli schemi dei circuiti interni dell'Apple Car. Le telecamere di sicurezza lo hanno anche ripreso mentre recuperava un prototipo di hardware e un server Linux. Xiaolang Zhang è stato arrestato dalla polizia nel luglio 2018 all'aeroporto di San José mentre volava in Cina.
Questo lunedì, 22 agosto, l'ex dipendente Apple si è dichiarato colpevole di spionaggio industriale nel tribunale di San José. Rischia ora una condanna a 10 anni di reclusione e una multa di circa 250.000 euro. Il verdetto di giustizia sarà emesso il prossimo novembre. Una nuova prova, se necessario, che Apple non prende alla leggera le fughe di informazioni riservate.
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enzoandriani · 3 years ago
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BEAT, ETIMOLOGIA Scappato di casa a 12 anni, vagabondo bohémien fin dai tempi della Grande Depressione, tossico e spacciatore, maldestro svaligiatore di auto e appartamenti, Herbert Huncke racconta in questa autobiografia cosa lo portò a diventare un Beat, un uomo bastonato dalla vita, precursore delle esistenze anti-sistema dissipate nella perenne ricerca di droga, di clienti cui vendere sesso, di monolocali da abitare per qualche ora, in un vortice di fughe dalla polizia e soggiorni a Sing Sing. Proprio l'autenticità delle sue esperienze ha ispirato i grandi della letteratura Usa anni Cinquanta, che Huncke iniziò alle droghe e rifornì generosamente: tra gli altri William Burroughs, Allen Ginsberg e Jack Kerouac, che ne parla come del "più grande narratore di storie che conosca". Di certo lo stile diretto e colloquiale di Huncke calza a pennello con l'incessante serie di stravaganze del gruppo di poeti e scrittori di cui faceva parte. Nelle sue pagine ritroviamo decine di aneddoti e follie, feste stralunate e notti bianche, viaggi on the road o per mare, elettriche promiscuità sessuali, sballi incendiari e tanto jazz. Ma anche i disperati tentativi di riscaldare il cuore con vari surrogati dell'affetto negatogli nell'infanzia. Un affresco toccante ma non retorico, drammatico e a tratti esilarante di un'epoca che ha cambiato per sempre il nostro modo di vivere e pensare. https://www.instagram.com/p/CgjJnoAO8rA/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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cerentari · 3 years ago
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Cosa è stato di tante fughe
Cosa è stato di tante fughe
Cosa è stato di tante fughe, quando neanche un ombrello poteva salvare da tanti omicidi commessi e mai riconosciuti attraverso un saluto o qualcosa di simile, il nulla attraversa chiunque: l’uomo frigo si compiace della propria dignitosa eleganza da una casa sconosciuta coi muri sporcati da cristi appesi, gli stessi da bestemmiare a ogni auto indulgenza  verso il crimine dell’esistenza nel…
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forzaitaliatoscana · 3 years ago
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Empoli, Gandola: al via in hub per la stazione
Empoli, il consigliere metropolitano di Firenze di Forza Italia Paolo Gandola: "al via in hub per la stazione" “Al via lo sviluppo del progettazione di fattibilità tecnica ed economica per la creazione anche ad Empoli del centro di mobilità intermodale presso la stazione. Il ministero dei trasporti ha stanziato le risorse per consentire di avviare la progettazione ed ora si andrà nel concreto a valutare la fattibilità dell’intervento”. Così si esprime Paolo Gandola, consigliere comunale di Forza Italia –centrodestra per il cambiamento che spiega: “dopo le progettazioni degli hub già avviati per Calenzano, Montelupo, Figline Incisa, Bagno a Ripoli, Castelfiorentino e San Piero a Sieve, adesso parte anche la progettazione dell’hub da realizzare alla stazione di Empoli, considerata la vera e propria porta di accesso al capoluogo regionale che potrebbe avere importanti ricadute anche dal punto di vista dell’indotto turistico. In tal modo la stazione di Empoli continua ad essere posta al centro di un complesso sistema di relazioni, individuandolo come nodo di scambio tra la direttrice Pisa/Livorno Firenze e la direttrice Firenze Siena. In aggiunta, con il raddoppio della tratta ferroviaria Poggibonsi-Empoli e la realizzazione delle nuove fermate ferroviarie "Guidoni" presso l'Aeroporto G.Galilei, e "Circondaria”, presso la nuova stazione AV "Belfiore”, Empoli si candiderà a costituire il naturale punto di accesso ai servizi metropolitani di collegamento con l'aeroporto e le stazioni ferroviarie dell’Alta velocità a vantaggio di tutto il circondario Empolese. La progettazione, per la quale sono stati stanziati 400mila euro, dovrà riprogettare le reti di accesso pedonale, ciclabile, dei bus e del trasporto privato, la comodità dei servizi, quali parcheggi, ciclo stazioni, attività e servizi finalizzati a far percepire i tempi di attesa legati all’interscambio modale come un’opportunità anziché come un peso ed un costo ed un ridotto impatto sul suolo. Più nel dettaglio occorrerà prevedere alla regolamentazione della sosta scoraggiando l’utilizzo dei parcheggi su strada per la sosta oltre le 4 ore nelle aree circostanti la stazione (ad esempio viale Buozzi da parte di non residenti) ed una riduzione della circolazione e, soprattutto, della sosta prolungata degli autobus extraurbani in corrispondenza del primo fronte di stazione in base alle direttrici di provenienza. E’ stato previsto, ancora, di porre particolare attenzione allo sviluppo del fronte Sud della stazione, con la collocazione di un parcheggio di interscambio per auto private (capacità stimata 400 posti auto); la creazione di una fermata attrezzata per autobus extraurbani e linee automobilistiche commerciali e lo sviluppo di una Ciclostazione. Infine, per quanto riguarda l'accessibilità, sarà necessario prevedere un attraversamento ciclopedonale di collegamento con il primo fronte della stazione ed i marciapiedi di servizio ai binari ed una nuova viabilità di servizio di collegamento alla rete stradale con previsioni di riammagliamento agli svincoli di Empoli Centro e Empoli Est della FIPILI. Si tratta di progetto sicuramente qualificante per tutto l’empolese, ma, ad oggi, rimane il dubbio che il tutto sia realizzabile in tempi consoni”. “Troppo spesso assistiamo a dichiarazioni e fughe in avanti che poi non trovano compimento, commenta il consigliere metropolitano insieme a Samuele Spini coordinatore di Forza Italia Empoli. A questa progettazione dovrà poi necessariamente seguire l’impegno della Regione per il potenziamento dei servizi ferroviari, la stessa è pronta e disponibile? La realizzazione di un sistema di Hub intermodali, cioè nodi di scambio della mobilità metropolitana dove convergono più infrastrutture trasportistiche e dove è possibile in modo rapido e agevole, passare da un mezzo di trasporto ad un altro, rappresenta, anche in ottica turistica, una strategia positiva e dunque salutiamo con favore anche l’avvio della progettazione dell’hub per la stazione ferroviaria di Empoli, ma serve concretamente passare da questa fase alla realizzazione vera e propria e tutti gli enti devono dimostrare di voler lavorare nella medesima direzione”. Coordinamento Regionale Forza Italia Toscana
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pillsofmovies · 3 years ago
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I migliori film di auto e di corse automobilistiche
Film auto e corse. Sono le tre parole chiave di questo articolo, in cui abbiamo stilato una lista dei migliori film sulle auto: film in cui le macchine sono le protagoniste, ma anche film di corse, che si tratti di inseguimenti, gare o fughe. Film di auto – I più belli Bullitt Un classico. In questo film ambientato a San Francisco, un poliziotto della omicidi dà la caccia agli assassini del…
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ilquadernodelgiallo · 4 years ago
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Disegnare fu all'inizio un modo di stare solo, un modo di riempire i pomeriggi e le serate quando i miei erano fuori per lavoro. Poi gradualmente diventò quella che oggi potrei definire come una forma di riflessione, di immaginazione. O meglio, una forma di pensiero. _______________ Al college imparai che i quadri di marine al tramonto (non quelle di Claude, naturalmente) con o senza il verde frangente traslucido, non sono "arte", imparai che sono "kitsch", cioè "falsa arte" detto in una lingua che potrebbe essere il tedesco, ma lei certamente questo lo sa, e che il "kitsch" è male anche se ti piace molto. Fui sorpreso dell'esistenza di una "falsa arte" e ancora oggi sono convinto che l'arte dia tutta "vera" o "falsa", a scelta. Imparai che l'unico modo in cui ti può piacere una cosa kitsch non può che essere "ironico" e che, se sei un artista, devi essere cosciente che l'unico modo di produrre kitsch è la "citazione consapevole". [...] Tutto questo per dirle che il college mi cambiò, mi tolse innocenza e piacere di pittura: mi dissero qual è l'arte "vera" e "contemporanea" e che, se proprio volevo fare pittura con tela e pennello, be', dovevo almeno essere cosciente di quanto quel modo di fare arte è fuori dalla contemporaneità. Insomma mi inocularono la consapevolezza. _______________ Lei conoscerà sicuramente tutti i risvolti di quel periodo glorioso, quando l'atto del dipingere - voglio dire: l'atto in senso proprio, il gesto - dello stendere colori su una superficie, senza un vero progetto, ma lasciando che il corpo e la mente e il braccio si facciano "intelligenza veloce" (così la chiamava il professor Masterson, il mio insegnante preferito al college), vale a dire intuizione istantanea, divenne puro e assoluto protagonista della pittura, sbaragliando immagine e intenzione e ogni manierismo residuo e persino ogni avanguardia e concettosità, per dare alla pittura una purezza e un piacere che prima non aveva mai conosciuto. [...] La pittura, prosciugata e ripulita da ogni scopo altro, diventa immediatamente scopo in sé e per sé, diventa figura di sé stessa, forma del colore e colore della forma, si avvita e si accartoccia sul proprio essere pittura, diventa un paradosso da affrontare ogni giorno, ogni istante, gesto dopo gesto, pennellata dopo pennellata. [...] Chi guarda un quadro di questo genere può dire solo mi piace/non mi piace, ma non può dire altro. Niente di niente al di fuori dell'effetto bello/brutto che può farti la pittura in quanto tale... Ma poi una forma ce l'ha sempre e devi stare attento che quella forma, casualmente, non assuma da sé, senza che tu te ne accorga o lo voglia, un qualche anche vago significato: mi confondo ancora di più. _______________ "Oggi [l'artista] deve lottare per farsi non dico notare, ma anche solo vedere, all'interno di un immenso flusso di immagini, un vento fortissimo che si insinua ovunque e che ha origine da cinema, televisione, pubblicità e da ogni altra fonte capace di produrre materiale visivo e di diffonderlo. L'artista deve scontrarsi con tutto questo, praticamente a mani nude". Masterson precisava: "Quello che devi capire è che nessuno ti vuole, nessuno ha bisogno di te, della tua opera. Se sei un artista sei inutile per definizione, capisci? [...] L'artista non è più il tramite tecnico tra la realtà e la sua raffigurazione e rappresentazione [...], oggi la realtà viene riprodotta con altri mezzi, si fa a meno della mano dell'artista da almeno un secolo. Quelli che ricevono commissioni sono molto rari e molto famosi. Dall'artista ci si attende l'arte senza dovergliela chiedere. Le sue opere sono auto-commissionate." [...] Per il professor Masterson l'arte era puro optional. Solo chi riesce a imporla, a rendersi visibile nell'immensa giungla di immagini contemporanea, e cioè ad avere successo (anche solo un successo limitato a una visibilità non globale, ma parziale, di area), raggiunge le condizioni necessarie a farla in modo davvero professionale. Tutti gli altri sono destinati a fallire. _______________ E per questo che tutti quelli che fanno qualcosa di artistico puntano a distinguersi dal già fatto Ed è per questo che si vede tanta roba stramba in giro e tanta roba decisamente imbecille che vuole solo farsi notare. Erano tempi di fermento e, a conferma dei discorsi di Masterson, l'arte di poteva fare con tutto, talvolta con risultati eccezionali. [...] Insomma, sto citando a caso, ma si poteva fare tutto, purché riuscisse a essere visibile, dunque alla fine monetizzabile. [...] Eri autorizzato a fare tutto ciò che di più strambo ti veniva in mente, la cosa importante è che fosse riconosciuto e possibilmente proiettasse un significato. La borghesia colta di fine Novecento amava essere stupefatta: era tollerante, inclusiva. Insomma stava al gioco, ma voleva essere sorpresa prima di comprare, di collezionare, di includerti nel mercato, di investire sul tuo lavoro. C'erano critici e mercanti e istituzioni e fondazioni artistiche e musei e case d'aste e collezionisti: tutti assieme facevano sistema, il Sistema dell'Arte, durissimo, spietato, quasi impenetrabile per uno come me. _______________ "A me il bombardamento piace, ma per te, come per qualsiasi altro artista, è pericoloso, ti svia". Io non feci così, mi distrassi, mi lasciai affascinare dal lavoro altrui, dall'effervescenza di quegli anni. E persi la mia arte. Per quanto piccola e sorpassata che fosse, era la mia arte. E la presi. [...] Mi persi nella contemporaneità, nell'istante, nell'evento: puoi capirmi? All'inizio fu anche una cosa stimolante, Stimolante e felice. Ma alla lunga ebbe su di me effetti terribili: non possedevo più la mia arte e io esistevo per la mia arte. Ero troppo pieno di cose, di esperienze altrui, troppo coinvolto dallo spettacolo affascinante del superamento quasi quotidiano dell'arte del giorno precedente. La pittura era morta dentro di me. Non il colore, ma la pittura, come prassi tecnica, poetica. Come tutto. _______________ L'artista doveva essere totalmente alla mercé della propria scelta artistica. L'arte, una volta scelta e trasformata in esistenza, non doveva lasciargli scampo, consentirgli fughe o ripensamenti, scarti. Ogni suo atto, ogni sua funzione vitale, doveva più o meno palesemente essere-arte: non trasformarsi in arte, ma ESSERE-arte. _______________ Comprenderà che riflessioni così radicali furono sufficienti a farmi cadere in uno stato di depressione profonda, anzi più precisamente di lutto. Mi sembrava di aver perso me stesso come artista, ma non avendo a disposizione altri me stesso, avevo praticamente perso tutto quello che ero. _______________ Quella geometria a sé stante [della moschea], mi apparve come il segno di un qualcosa di forte, di indipendente, di autosufficiente e svincolato da tutto il resto, un luogo di certezze granitiche, nascosto, appartato, in opposizione al caos e all'incertezza della contemporaneità che mi aveva travolto. _______________ L'unica spiegazione che oggi so darmi sta nella specie di sdoppiamento di me stesso che subivo in quegli anni tremendi: una parte di me, quella che aveva voluto farsi artista, rimaneva in disparte abulica, assorta, silenziosa, estranea e sotterranea rispetto alla parte di me che appariva senziente. Ma lo era veramente? Questo secondo Bilal, nato per scissione traumatica da un'unità precedente, si nutriva, lavorava, si accudiva, credendo di difendersi dal mondo prima nel fondamentalismo londinese e poi in un movimento di azione terroristica che mirava a colpire il nemico con ogni mezzo. _______________ Loro sanno che il mondo intero è contro la Palestina, anche se nessuno lo dichiara mai apertamente. Sanno che il mondo intero desidera segretamente che la Palestina cessi di esistere, assieme al problema insolubile che costituisce. Sanno che tutti vorrebbero che la Palestina si rassegnasse e tacesse una buona volta e portasse il suo fardello in silenzio. [...] Il popolo palestinese non può vincere. Non ora. Non in un futuro ragionevolmente vicino. Ciò nonostante non cerca la pace, anzi, si adopera con tute le forze per tenere aperto un feroce conflitto. Ma quella che conduce non è nemmeno guerra. E non è guerriglia. È una di quelle cose senza forma, che rispecchia quella che definirei la non-forma permanente del popolo palestinese. "Non è nemmeno terrorismo. È quasi sempre puro terrore", mi disse una volta al caffè un uomo non più giovane, che incontravo spesso e di cui tacerò il nome. "Il terrorismo è l'arma di chi non si può permettere di fare la guerra e nemmeno la guerriglia. È l'arma dei deboli. Ma è un'arma efficace solo se presenta al nemico due facce: quella appunto del terrore e quella della trattativa. In Palestina esistono entrambe, ma chi può trattare non è in grado di controllare pienamente che cerca lo scontro. Israele lo sa bene perché il primo e più perfetto terrorista fu il suo stesso dio. È scritto nel Libro dell'Esodo. La liberazione degli ebrei in Egitto si ottenne proprio con l'alternanza trattativa-terrore. Cos'altro sono le piaghe d'Egitto se non puro terrore? Ma mentre Yahweh colpisce duramente, Mosè tratta. Il terrore senza trattativa, contro ogni trattativa, non ha senso. Il terrore ha senso solo per dare forza a chi tratta, a chi ha il potere di farlo cessare. Qui chi tratta e chi colpisce non hanno sempre lo stesso scopo. I soggetti sono molti e diversi, spesso nemici tra loro. Questa è la nostra tragedia e sarà la nostra perdizione. Non possiamo vincere, non possiamo ricacciare in mare Israele. Non è possibile, né ora, né in futuro. Abbiamo perso", diceva. "Solo accettando la nostra sconfitta potremo renderla meno dolorosa e conviverci. Ma nulla in questo momento mi dice che questo avverrà in tempi brevi. Ci sono ancora ampi fiumi di sangue da attraversare". Mentre lo ascoltavo dire queste cose pensavo che avesse ragione: sapevo che gli atti che mi ero addestrato a compiere - e che avrei probabilmente compiuto molto presto - non avevano un vero senso politico, nel senso che non sarebbero serviti come arma di pressione: erano solo terrore, odio senza uscita, rivalsa momentanea, vendetta cieca. Erano del tutto inutili alla causa (ma qual era la causa?) e avrebbero teso fino alla disperazione, fino al puro orrore, ogni rapporto con Israele. _______________ La tettoria del grill all'aperto era in pezzi, completamente frantumata. Tutto il resto del locale aveva perso in un istante ogni forma riconoscibile e si era, per così dire, mescolato ai suoi clienti, disintegrandosi come per sposarne intimamente le carni fatte a brandelli. Nello stesso istante in cui percepii tutto questo, le due parti di me - tra le quali mi ero diviso per tanto tempo - si riunificarono di colpo. In quell'istante tutto mi fu chiaro: ciò che i miei occhi vedevano, e le mie orecchie ascoltavano, e il mio naso fiutava era, puramente e semplicemente, la risposta alle mie domande. Cos'è veramente un artista contemporaneo? E come si fa a far coincidere totalmente l'arte con la vita? E come è possibile produrre opere che contengano in sé ogni mezzo tecnico e ogni linguaggio? La risposa era lì. Ora professore mi legga con attenzione, la prego. Quella era l'Opera, la mia Opera. Dentro vi era tutto ciò che è possibile inventare. Vi era racchiusa ogni poetica. Era colore e materia e suono. Metallo e cibo e carne umana. Era gesto, compenetrazione, danza. Era performance e happening. Era lavoro col corpo e sul corpo. Era totalmente inutile ed era enormemente, drammaticamente, intollerabilmente emozionante. E perciò stesso era Arte. Ed era Vita. Era l'Opera che avevo cercato per tanto tempo. Nessuna avanguardia di nessun periodo avrebbe saputo fare di meglio. Nessuno aveva avuto il fegato di spingersi sin lì, ben oltre la soglia dell'artisticamente concepibile. [...] Nessuno mi disse nulla quando mi chinai su una pozza di sangue, vi intinsi l'indice della mano destra e firmai l'Opera col mio nome sull'asfalto: Bilal. [...] Dopo qualche anno giunse l'Undici Settembre. Fu un'opera apocalittica e insuperabile. Da allora, ogni volta che ci penso, mi inchino ai Maestri delle Altissime Torri.
Francesco Pecoraro, Tecnica mista
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misteruplay2016-official · 4 years ago
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GTA 3, Vice City e San Andreas in versione remaster? Risponde Take-Two
GTA 3, Vice City e San Andreas in versione remaster? Risponde Take-Two
Take-Two, il publisher dietro il franchise di Rockstar Games, Grand Theft Auto, ha risposto alle domande su possibili remake di GTA 3, Vice City e San Andreas. I fan di Grand Theft Auto sono in trepidante attesa di scoprire quando arriverà GTA 6 e ci sono state numerose fughe di notizie riguardanti una data di lancio, ma recentemente altri rumor hanno affermato che gli sviluppatori starebbero…
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paoloxl · 6 years ago
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L’Estate italiana tour non procede nel migliore dei modi per Matteo Salvini: la Sicilia orientale ha ieri riservato un’accoglienza tutt’altro che festosa all’attuale ministro dell’Interno.
Una granita di traverso. Note a caldo dalla piazza catanese
Letojanni, Taormina, Catania, Siracusa: una giornata campale che ovunque ha riservato alla Lega nient’altro che fischi, insulti e contestazioni. A Catania centinaia di persone, radunatesi spontaneamente, hanno costretto il ministro dapprima ad entrare frettolosamente in Comune da un ingresso secondario e poi ad annullare frettolosamente la prevista passeggiata in centro con tanto di selfie e granita. La precipitosa fuga in auto del capitano era stata preceduta da quella dell’esigua claque che avrebbe dovuto accoglierlo trionfalmente: la rabbia di tutte e tutti ha sfidato al grido di “Fuori i leghisti da Catania” i cordoni della polizia, costringendoli più volte ad arretrare. Circondati da tutti i lati e letteralmente braccati da una piazza coraggiosa e determinata, i pochi razzisti presenti sono stati cacciati da piazza Duomo, rifugiandosi in una via poco distante. Dalla piazza di ieri emergono alcune considerazioni a nostro avviso fondamentali.
Al di là del lessico stantio della sinistra, ieri non abbiamo assistito ad una giornata di resistenza, anzi. La piazza ha assunto con naturalezza un assetto offensivo, ha rifuggito la passività mettendo a più riprese in crisi il dispositivo fisico di controllo: un’attivazione spontanea che ha messo in campo per ore una pratica continua e ostinata dell’attacco. È questo forse il dato più interessante: il protagonismo dirompente di un soggetto politico trasversale e delle sue condotte conflittuali, la cui emersione non sempre è scontata, ma la cui esistenza è più di una convinzione dai risvolti quasi metafisici. Dopo il venticinque agosto scorso, quando una piazza determinata aveva affrontato le cariche della polizia all’ombra della Diciotti, Catania si riconferma terra ostica per il capitano, lanciando uno strale che ha colpito nel segno. Il silenzio rumoroso del solitamente strombazzante apparato social di Salvini ne è la miglior conferma.
Una considerazione cruciale che emerge dalla piazza di ieri riguarda la sua composizione: da un lato una ventina di leghisti spauriti, tra i quali si potevano notare senza sforzo le facce di qualche noto fascista e dei fuoriclasse del trasformismo appartenenti al peggior ceto politico cittadino, dall’altro centinaia di persone compatte e determinate, particolarmente eterogenee per età, genere, classe sociale. Una composizione trasversale e spuria, dunque, che non solo neutralizza sul nascere le ormai trite frecciate su centri a-sociali et similia, ma mette radicalmente in crisi la narrazione del consenso universale e compatto di cui Salvini godrebbe nei quartieri popolari e tra le fasce meno abbienti e ne rivela la vera natura, quella, appunto, di mera narrazione semplificatrice. Come testimoniano gli insulti che ieri serpeggiavano fra le vie attorno piazza Duomo, i famigerati figli di papà tanto invocati dalla compagine leghista ieri erano quelli ben nascosti dietro i cordoni della celere. Il Moloch semi-onnipotente del salvinismo è granitico solo se guardato con superficialità e letto attraverso le lenti deformate della sua stessa propaganda o di un certa mise sconfittista: sottovalutarne le radici profonde è errato tanto quanto ignorarne la fragilità. L’incessante campagna elettorale del capitano spara sempre più spesso a salve, tra fughe precipitose e scivoloni quali il neanche troppo velato riferimento di ieri al ponte sullo Stretto: anche la definitiva rottura del governo del cambiamento potrebbe non rivelarsi la mossa più azzeccata, soprattutto al Sud. L’impressione che emerge da ieri è che il grido “traditori” non si riferisse soltanto ai decenni di razzismo anti-meridionale, ma anche, e soprattutto, ai più recenti avvenimenti politici.
Se ieri si è affrontato (e sconfitto) un dispositivo fisico di controllo, dev’essere ora nel mirino il dispositivo ideologico e propagandistico dello schieramento sovranista. Crepe che si aprono, si allargano scricchiolando, si fanno voragine: senza trincerarsi nel purismo ideologico ed evitando come la peste le armi spuntate del gauchisme, è tempo di tornare ad osare, con il coraggio che questo tempo ci richiede e con tutta l'intelligenza strategica che possiamo mettere in campo. Sarebbe un errore fatale continuare a fissare l’oceano dalla spiaggia, scambiando l’assenza apparente di moto della superficie per assoluta immobilità. Le correnti si muovono instancabili, vorticosamente si intensificano e si rimestano, qui sobbollendo sotterranee, qui emergendo dagli abissi: a noi sta leggerne le traiettorie ed approfondirle. Ieri le acque si sono increspate: chissà che un uragano non sia di là da venire.
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