#fuga animali
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pier-carlo-universe · 5 months ago
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Scimmie in Fuga da una Struttura di Ricerca in South Carolina: Caccia Aperta delle Forze dell’Ordine
La polizia intensifica le ricerche per catturare le scimmie evase da un centro di ricerca in South Carolina.
La polizia intensifica le ricerche per catturare le scimmie evase da un centro di ricerca in South Carolina. Un insolito incidente ha avuto luogo in South Carolina, dove un gruppo di scimmie è riuscito a fuggire da una struttura di ricerca, scatenando una vera e propria caccia all’uomo – o meglio, alla scimmia. Secondo quanto riportato da CBS News, la polizia ha lanciato un’operazione di ricerca…
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luigisanseverino · 5 months ago
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Sotto La neve, il cuore di una volpe - LA NEVE CHE TACE (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1497570553-sotto-la-neve-il-cuore-di-una-volpe-la-neve-che?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=LuigiSanseverino Nel cuore di un bosco innevato, Elara, una giovane volpe rossa, vive da sola, nascondendo il dolore per la perdita della sua famiglia. La neve è diventata la sua unica compagna, avvolgendola in un silenzio che non sa più rompere. Ma una notte, una figura misteriosa emerge dalla tempesta: Aki, un lupo bianco, solitario come lei, ma con un passato oscuro che lo segna profondamente. Sotto la neve che sembra nascondere ogni traccia di vita, Elara e Aki si incontrano, creando un legame che sfida la solitudine e il dolore. Insieme, esploreranno il significato della rinascita, imparando che anche nei luoghi più freddi e oscuri c'è la possibilità di trasformarsi e di affrontare il futuro con speranza. "Sotto la neve, il cuore di una volpe" è una storia emozionante di solitudine, dolore e guarigione, dove la neve non è solo un paesaggio gelato, ma un simbolo di rinascita. In un mondo dove la natura è la protagonista silenziosa, Elara e Aki troveranno la forza di guardare oltre il freddo e costruire insieme un futuro fatto di speranza, legami profondi e amore. Un racconto che ti accompagnerà in un viaggio emozionante, in cui ogni pagina porta con sé un'emozione da vivere sotto il manto bianco della neve.
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blacklotus-bloog · 6 months ago
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Siamo Animali...
... squisitamente evoluti, della nostra primordialità abbiamo conservato solo l'istinto che ci porta a riconoscere un nostro simile... non solo la Chimica ma il Sesso, quello vero ( e non la vetrina degli affari da social ), non è per tutti. Non basta giocare al gioco della pseudoeroticità, bisogna saper giocare con la Mente di un Uomo, bisogna dare Esclusività. L'attesa di Uno Solo è molto più eccitante del gioco della Malizia che si concede a tutti. Non è una questione di gusti ma di autostima, una Donna completa non ha bisogno di nulla tranne che di se stessa, sceglie per dare VALORE AGGIUNTO alla sua vita, sceglie per essere e avere uno spazio da vivere e non una via di fuga. Chi ha volontà di adergersi fino al mondo delle aquile deve superare la mediocrità delle galline, il piombo dei cacciatori e l'invidia dei corvi.
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BLACKLOTUS
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donaruz · 1 year ago
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Impaurito, spaesato e privato della sua dignità, il leone Kimba si aggira per le stradine di Ladispoli tra le auto, mentre annusa e “vive” per la prima volta il mondo esterno. È lontano migliaia di chilometri da dove dovrebbe trovarsi, nell'Africa subsahariana, ma è libero e assapora un orizzonte senza recinti, nonostante sia frastornato da grida e lampeggianti. Le surreali immagini della sua fuga da un circo, che ha tenuto col fiato sospeso gli abitanti della cittadina laziale, colpiscono con la forza di un pugno allo stomaco e impongono una seria riflessione sullo sfruttamento degli animali, trasformati in pagliacci per il pubblico ludibrio. Ovviamente per fare cassa.
La storia di Kimba, il leone fuggito da un circo a Ladispoli, è l’ennesima dimostrazione che gli animali non meritano di vivere rinchiusi in una gabbia. Ma l’Italia tarda a emanare una legge per tutelarli.
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mystandthemoon · 4 months ago
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Drago, volpe, corvo - cap. I
For @danmei-december, Set Gold, day 2, Lan Xichen (I'm late so what)
If this keeps going beyond the first chapters I'll probably translate it to English.
Titolo: Drago, volpe, corvo - cap. I: caduta
Rating: pg 13ish
Personaggi: Meng Yao, Lan Xichen, Wen assortiti
Genere: AU, fantasy, avventura, animali mitologici. In sostanza mi serviva una scusa per scrivere la mia versione di dragon!chen e fox!yao
Wordcount: 2718
Lan Xichen, un drago celeste in fuga dal Clan Wen, allo stremo delle forze cerca rifugio nella foresta. Meng Yao, che assiste alla sua fuga, decide di aiutarlo.
"Del resto, gli Wen si aspettavano di trovare un drago, non una volpe."
Con un ringraziamento a @yukidelleran per il confronto e il betaggio!
Capitolo I - caduta
Uno strato di nubi basse offuscava la luce del sole, ancora alto sopra l’orizzonte del grigio cielo invernale. Il vento aveva l’odore asciutto e pungente che precede una nevicata.
Meng Yao si arrampicò su una roccia che sporgeva dal limitare del bosco. Da lì, lo sguardo spaziava sulla valle sottostante e sui tetti già mezzi ricoperti di bianco della cittadina di Yunping. Il cielo a est si era fatto livido e una cortina grigia oscurava l’orizzonte. Presto, avrebbe iniziato a nevicare anche lì.
Chiedendosi se sarebbe riuscito a rientrare a casa prima di venire sorpreso dalla neve, Meng Yao fece per ridiscendere verso il folto degli alberi, quando il vento gli portò un distinto odore di bruciato. Si voltò di scatto - forse veniva dal centro abitato, pensò, ma non vide nulla al di fuori dell’ordinario sopra i tetti di Yunping. Allora, il suo sguardo ansioso spaziò sulla distesa di alberi attorno a lui, senza però notare nulla che potesse allarmarlo ulteriormente, fino a che non lo scorse: un guizzo di fumo, uno sbuffo bianco contro il grigio delle nubi. 
Meng Yao aguzzò la vista, ma l’aveva perso. No, eccolo, era ricomparso, era… non era fumo. Si contorceva fuori e dentro le nuvole, e andava facendosi sempre più vicino e più grande. Era inseguito da quelle che sembravano fiamme, fiamme nel cielo…
Meng Yao sentì il pelo rizzarglisi sulla schiena. 
Fiamme con le ali - fenici dalle piume scarlatte, avvolte da lingue di fuoco, che guizzavano intorno alla sagoma sinuosa di un drago dei cieli. Il suo corpo era dello stesso colore delle nuvole, ricoperto di scaglie opache che non riflettevano la luce del sole. Pur nella disperazione della sua fuga, il drago fendeva il cielo con eleganza tale che pareva dare forma al vento.
Le fenici lo circondavano e lo ghermivano con becchi e artigli. Di nuovo, l’odore acre di carne bruciata e sangue raggiunse il naso di Meng Yao.
Nonostante la velocità del volo del drago, questo non riusciva mai a distanziare a sufficienza i suoi inseguitori. Cercava di allontanarli con gli artigli, ma tra le zampe anteriori sembrava stringere qualcosa, ed era chiaro che la sua priorità era quella di seminarli. Le fenici - sei, ne contò Meng Yao - però, non demordevano. 
Stavano perdendo altitudine e, per un istante, Meng Yao li vide piombare su Yunping, ma il drago si risollevò all’ultimo, riguadagnando quel poco di altezza che gli consentì di non rovinare tra le case, per puntare poi diritto verso il bosco.
Una delle fenici, troppo intraprendente, gli calò sulla fronte e cercò di beccargli gli occhi, ma il drago si liberò di lei con uno schiocco di fauci. Dal cielo iniziarono a piovere cenere e piume scarlatte, che si disfacevano in sbuffi di fumo.
Il drago e i suoi inseguitori sfrecciarono sopra la testa di Meng Yao, facendo stormire i rami degli alberi alle sue spalle e arruffandogli la coda. Qualche istante dopo, si udì lo schianto, la confusione di rami spezzati e lo stridere delle fenici.
La volpe si voltò. Un attimo dopo, sparì nel sottobosco.
❄️❄️❄️
Per un po’, le fenici rimasero a osservare la devastazione provocata dall’impatto, volando in cerchio come uno stormo di avvoltoi. Il drago si era schiantato sulla foresta, lasciando dietro di sé una scia di tronchi divelti, che si assottigliava fino a sparire nel fitto degli alberi. Della bestia, però, non c’era alcuna traccia.
Si appollaiarono sui rami ancora interi di un alto pino, scrutando le ombre al di sotto delle chiome. Ora che non erano avvolte dalle fiamme, il loro piumaggio era di un color mogano scuro, screziato di riflessi dorati. Erano una vista lugubre, con i colli sottili arcuati e le lunghe code che si allungavano tra le sagome dei rami spezzati, scuri contro il cielo sempre più plumbeo.
“Tu, tu e tu,” stridette il capo, indicando col becco i tre sotto di lui. “Setacciate il sottobosco. Quando lo trovate, lanciate un segnale in aria.”
Le tre fenici prescelte calarono a terra. A toccare il suolo, però, non furono i tre uccelli dal piumaggio scarlatto, ma tre uomini dalle lunghe vesti color rosso porpora, con un motivo di soli dorati lungo gli orli. I loro lunghi capelli corvini erano trattenuti sulla nuca da fermagli alti e dorati, appuntiti come lingue di fiamma. Ai loro fianchi pendevano i foderi di spade lunghe, anch’essi decorati d’oro.
Con fare deciso, iniziarono a perlustrare la confusione di corteccia e fronde, muovendosi con attenzione per non rimanere impigliati nei moncherini dei rami che sporgevano ovunque. 
“Ancora niente?” La voce risuonò arrogante nel bosco muto, ancora frastornato dallo schianto. L’uomo più massiccio dei tre si guardò attorno con disprezzo. Sarebbe stato praticamente impossibile trovare tracce del drago in quel disastro.
“Qua!” Gli altri due compagni richiamarono la sua attenzione e lui si mosse per raggiungerli, prendendo a male parole le ramaglie del sottobosco che intralciavano i suoi passi e suscitando la reazione irritata degli altri. 
“Wen SuZhang, chiudi quel becco! Ci sentirà arrivare.”
Wen SuZhang non badò al richiamo, osservando con una smorfia di derisione il ritrovamento. Era una scaglia perlacea, grande come una mano, insozzata di fango e sangue.
“E se anche fosse? Non andrà tanto lontano, conciato com’è.” 
I tre si rimisero a frugare, finché non si imbatterono in un lembo di terra ancora imbiancata di neve intonsa. In bella vista, in mezzo all’erba secca, c’erano delle inconfondibili orme di stivali, imperlate di sangue ancora rosso.
Con un ghigno soddisfatto, Wen SuZhang e gli altri le seguirono a passo svelto, utilizzando la spada per sfalciare le fronde e i rampicanti secchi che gli impedivano l’avanzata.
Dopo poco tempo, raggiunsero un piccolo torrente. I bordi erano ghiacciati ma, al centro, la corrente fuggiva veloce su un fondo di ciottoli scuri. Le orme finivano sulla sponda. Bastò una ricognizione veloce per capire che non riprendevano nelle immediate vicinanze, sulla riva opposta.
“Maledetti i Lan e la loro ossessione con le acque gelide,” ringhiò Wen SuZhang, rifiutandosi di entrare in acqua e bagnarsi i piedi.
Gli altri due, che avevano perlustrato quel tratto di torrente al suo posto, scrollarono le spalle.
“Dovrà uscirne, prima o poi,” commentò uno dei due. “Noi seguiremo la corrente, tu esplora a monte. Il primo che lo trova lanci un segnale.”
Wen SuZhang grugnì un assenso e si voltò dall’altra parte. Se avesse trovato il drago, avrebbe potuto benissimo affrontarlo da solo. Sicuramente anche il fuggitivo avrebbe dovuto mantenere la sua forma umana per continuare a nascondersi nel folto del bosco e, ferito com’era, non aveva dubbi che avrebbe avuto la meglio su di lui.
Riprese le sembianze di fenice, Wen SuZhang spiccò il volo. Sopra il corso del torrente gli alberi si aprivano, lasciando spazio sufficiente alle sue ali. In quella forma, sarebbe stato più efficiente nella perlustrazione e, soprattutto, avrebbe evitato di insudiciarsi ulteriormente le vesti nel sozzume del sottobosco. Fosse stato per lui, avrebbe appiccato fuoco a tutto per dare bella ripulita a quel posto e per stanare il drago, come già avevano fatto una volta.
Volava basso, completamente concentrato a scrutare gli argini del torrente sotto di lui per localizzare le orme del drago - doveva pur uscire da quel rigagnolo presto o tardi! - perciò si avvide solo all’ultimo momento dell’improvviso guizzo nel sottobosco al suo fianco.
Intuì appena, con la coda dell’occhio, la sagoma fulva che gli balzò addosso,  mandandolo a schiantarsi contro la sponda ghiacciata del torrente. Sentì una fitta lancinante al collo e il sapore improvviso del sangue che gli riempiva la gola. Istintivamente, avvampò di fiamme, ma non ebbe nemmeno la soddisfazione di sentire un lamento di dolore da parte del nemico, prima che tutto diventasse definitivamente nero.
❄️❄️❄️
Meng Yao soffocò un guaito, ritraendosi dalla fenice avvolta dalle fiamme. Affondò il muso nell’acqua gelida del torrente e si forbì il naso, mentre osservava il fuoco finire l’opera che lui aveva iniziato. Non sapeva se era più sgradevole l’odore del suo stesso pelo appena strinato che gli riempiva le narici o il sapore del sangue del maledetto Wen che aveva ancora sulla lingua.
In ogni caso, era uno di meno, considerò mentre osservava le fiamme spegnersi, tramutandosi lentamente in una pila di ceneri fumanti.
Si davano tante arie, questi Wen, e agivano sempre come se tutto fosse loro, ma anche la loro arroganza, alla fin fine, si riduceva a un mucchietto di polvere.
Le ceneri erano ancora calde quando Meng Yao ci affondò le zampe. Incurante del fastidio, si dedicò a scavare di buona lena, spargendo tutto quello che restava della fenice nel torrente alle sue spalle, lasciando che venisse trascinato via dalla corrente.
Risorgi dal fango, se ci riesci, pensò Meng Yao, calpestando gli ultimi resti nella fanghiglia che si era creata sulla riva, dove il fuoco aveva sciolto il ghiaccio.
Finito il lavoro, la volpe drizzò orecchie e naso, sempre sull’attenti, ma il bosco era tranquillo. Quando aveva lasciato la scia di impronte nella neve, aveva scommesso sul fatto che si sarebbero divisi al torrente. Quanto avrebbero perseverato gli altri due nella loro ricerca a valle, prima di ritornare indietro?
Avrebbero senz’altro notato i segni di colluttazione sulla sponda del torrente, ma, con un po’ di lavoro, Meng Yao poteva trasformare quei segni nelle tracce dell’inseguito che usciva dal torrente. Del resto, gli Wen si aspettavano di trovare un drago, non una volpe.
❄️❄️❄️
Lan Xichen riaprì gli occhi. Sapeva di aver perso conoscenza per qualche tempo, ma non capiva per quanto a lungo.
La luce si era offuscata, complice il tramonto ormai prossimo e la neve che aveva iniziato a scendere. Sotto di lui, il terreno era duro e gelato. Lentamente, cominciò a muovere le membra intirizzite per alzarsi in piedi, puntellandosi contro la parete rocciosa che gli aveva dato rifugio fino a quel momento.
Come si mosse, venne attraversato da fitte di dolore. Le sue vesti candide erano stracciate in più punti, annerite da bruciature, lerciume e sangue, ma era ancora vivo e, soprattutto, ancora libero.
Non si era allontanato poi tanto dal luogo in cui aveva terminato la sua caduta, era strano che gli Wen non l’avessero ancora trovato. Forse, con il calare della notte, avrebbe avuto una possibilità di allontanarsi e far perdere le sue tracce…
Un fruscio dietro di lui, e Lan Xichen si voltò di scatto in quella direzione, la fedele spada Shuoyue in mano, tutti i muscoli tesi.
Quando si rese conto di chi aveva causato il rumore, però, la sua espressione si ammorbidì. Gli occhi scuri di una volpe lo sbirciavano dal sottobosco, le orecchie ritte sopra il muso fulvo. 
“Vai via, piccolo amico,” disse, con voce rauca ma gentile. “Non è posto per te.” 
La volpe sembrò capire, perché abbassò le orecchie ai lati della testa e scomparve.
L’istante dopo, dall’altra parte, provenne un improvviso tramestio di foglie, e due voci maschili spezzarono il silenzio della nevicata.
“Maledizione a questa neve, finirà col coprire tutte le tracce. Quei due faranno meglio a trovarli in fretta, sia il drago che Wen SuZhang.”
“Quel SuZhang fa sempre di testa sua.”
“Meglio che mi porti la testa del Lan, o sarà la sua a cadere.”
Lan Xichen si appiattì contro la parete. A giudicare dai rumori, i due Wen stavano venendo proprio verso di lui, forse attirati dal riparo offerto dalla roccia. 
Lan Xichen fu loro addosso prima che potessero rendersi conto della sua presenza.
La lama di Shuoyue balenò e si conficcò nel petto del primo Wen, che cadde riverso con un rantolo soffocato. Prima che Lan Xichen potesse ritrarla per affrontare il secondo, però, questo lo attaccò con furia. 
Per un soffio, Shuoyue sviò l’affondo del nemico, ma Lan Xichen subì il contraccolpo, barcollando all’indietro. Solo l’impatto con la parete di roccia alle sue spalle gli impedì di cadere ma, ora, non aveva più spazio di manovra. Fece appena in tempo a rendersene conto che si ritrovò la punta della lama del guerriero Wen a un soffio dalla gola.
“Dimmi dove hai nascosto quello che hai rubato, e ti concederò una morte rapida,” gli ringhiò quello in faccia.
Lan Xichen deglutì, fissando di rimando il nemico da sotto le ciocche di capelli che gli si erano incollati al volto. Poteva prendersi la sua vita, ma non quello che aveva portato in salvo da Gusu. 
“Non posso rubare ciò che già appartiene al mio clan.”
“Quello che ancora non avete capito,” sibilò l’altro, premendo la lama contro la gola di Lan Xichen, che avvertì distintamente il metallo graffiargli la pelle, “è che se gli Wen decidono che qualcosa è di loro proprietà, questa lo diventa.”
“Dovrai impegnarti a cercarla, allora,” rispose Xichen, gelido come la nevicata.
Il viso del guerriero Wen si contrasse in una smorfia di rabbia. L'istante dopo, i suoi occhi si dilatarono improvvisamente. 
Lan Xichen sentì il rumore soffice di una lama che affondava nella carne e l’odore del sangue che sgorgava, accompagnato da un rantolo e da un’improvvisa sensazione di bagnato sulle vesti. Solo quando il guerriero Wen si afflosciò di fronte a lui, si rese conto che non era stata la sua gola ad essere tagliata.
Al posto del suo nemico comparve un ragazzo snello, di bassa statura, avvolto in una veste color sabbia. Il nuovo venuto osservò il guerriero rantolare qualche istante ancora e poi rimanere immobile ai suoi piedi. Allora sollevò gli occhi su Lan Xichen e si produsse in un profondo inchino, le mani che ancora stringevano il pugnale sanguinante unite di fronte a sé.
“Vi chiedo umilmente perdono per avervi sporcato le vesti con il sangue del vostro nemico.”
Lan Xichen sbatté le palpebre, colto alla sprovvista. Istintivamente, allungò una mano per sfiorare il gomito del giovane e bloccarlo.  
“Come potrei fartene una colpa?” Lan Xichen lanciò un’occhiata ai suoi vestiti, ora quasi completamente scarlatti. “Se non fosse stato per te, sarei ricoperto nel mio, di sangue.”
Rialzando lo sguardo, incontrò quello del suo salvatore. Aveva due grandi occhi neri, che lo scrutavano intenti. Si rese conto di aver già visto quello sguardo, ma mentre cercava di capire dove, venne colto da un giramento di testa.
Fu l’altro, ora, ad afferrarlo per i gomiti per non fargli perdere l’equilibrio e guidarlo mentre appoggiava la schiena alla parete.
“E’ tutto a posto, devo solo recuperare le forze,” ma la sua voce risuonò debole alle sue stesse orecchie.
Il ragazzo si voltò a guardare il bosco attorno a loro, e Lan Xichen ebbe l’impressione che fiutasse il vento.
“Con tutto il rispetto, penso che dovremmo andare via da qui al più presto,” disse, tornando a rivolgersi al drago con il capo chino ma con una certa urgenza della voce. “Se vorrete seguirmi, conosco un posto sicuro; non è lontano.”
Lan Xichen annuì, rendendosi conto di stare usando Shuoyue per puntellarsi e rimanere in equilibrio. Un’improvvisa debolezza gli aveva pervaso tutto il corpo e gli rendeva difficile anche soltanto tenere gli occhi aperti.
“Dovremmo prima liberarci di questi due corpi. Sarebbe saggio bruciarli, ma il fumo e il fuoco attirerebbero l’attenzione degli Wen rimasti. Li nasconderò, se avrete la pazienza di attendermi. La neve coprirà le nostre impronte,” stava dicendo il suo salvatore, e Lan Xichen lo sentiva affaccendarsi là attorno, impegnato a rovistare nei cespugli, forse per trovare un nascondiglio consono.
Quando l’altro giovane gli passò davanti per andare a prendere uno dei due corpi, Xichen si allungò per sfiorargli una manica e richiamare la sua attenzione.
“Ascoltami, c’è… c’è una cosa…” ma le parole gli vennero meno tra le labbra. Ebbe appena la consapevolezza di un braccio che gli circondava la vita, prima di ripiombare nell’incoscienza.
❄️❄️❄️
Lan Xichen si risvegliò qualche tempo dopo, avvolto dal buio e dal tepore.
Nonostante non riuscisse a vedere nulla, ebbe la netta impressione di trovarsi in un posto molto angusto. La sensazione, però, non era spiacevole, anzi, gli dava un senso di sicurezza.
Su di sé sentiva il peso confortante delle coperte e avvertiva distintamente qualcosa di caldo premuto contro il suo fianco. Allungò una mano, con cautela - tutti i suoi sensi erano offuscati dal dolore e dalla stanchezza - fino a che le sue dita non sfiorarono una folta pelliccia. Ne seguirono il contorno tracciando un cerchio, indovinando il contorno aguzzo di un paio di orecchie abbassate.La volpe del bosco, pensò Lan Xichen nel dormiveglia. Rasserenato da quella conclusione, si riaddormentò, cullato dal buio e dal tepore.
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likarotarublogger · 1 year ago
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Una delle città sotterranee più grandi del mondo è stata scoperta in Turchina
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Gli archeologi hanno visto che questa rete sotterranea in Cappadocia copre un’area molto più vasta di quella conosciuta finora.
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Città sotterranee, in Turchia è una stata scoperta una delle più grandi e avanzate del mondo.
Sotto la superficie delle strade in alcune zone della Turchia, una rete di tunnel ospitava un tempo migliaia di abitanti in cerca di riparo, in fuga dagli invasori e dalle persecuzioni religiose. Il Paese è noto per le sue città sotterranee, in particolare la grande città di Derinkuyu, che poteva ospitare oltre 20.000 persone. Sebbene non sia stato ancora completamente scavato, i dati attuali indicano che l’insediamento di 11 piani misura circa 185 metri quadrati, con un potenziale di oltre 465 metri quadrati ancora inesplorati. Ma c’è una novità: da quest’estate, gli archeologi che stanno studiando un sito a circa 240 km a ovest dell’antico santuario sotterraneo ritengono di aver portato alla luce una delle città sotterranee più grandi e più avanzate finora realizzate. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa turca Anadolu, la rete di stanze e corridoi sotterranei, nota come Sarayini, si estende su una superficie di quasi 20.000 metri quadrati.
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Al di sotto dell’attuale quartiere di Sarayonu, nell’area metropolitana turca di Konya, un labirinto di 30 camere è dotato di camini, magazzini, cantine e pozzi. Secondo quanto riferito, la rete a più livelli risale all’ottavo secolo. Hasan Uğuz, l’archeologo del Museo di Konya che dirige gli scavi, ha dichiarato che le squadre che lavorano sul posto non si aspettavano che l’insediamento coprisse un territorio così esteso. Oltre alle numerose stanze e sale, un passaggio particolarmente ampio è stato descritto come una sorta di “strada principale”. Le aree all’interno della struttura sono paragonate a palazzi per il grande comfort e per l’alta qualità della vita che la rete era in grado di sostenere, ben lontana quindi dall’idea di caverna primitiva che potremmo immaginare quando parliamo di abitazioni sotterranee. Il carattere raffinato dello spazio gli è valso il nome di Sarayini, che in turco significa, appunto, “palazzo”.
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Non pensavamo che potesse estendersi su un’area così vasta”, ha dichiarato Uğuz all’agenzia Anadolu lo scorso agosto. “Gli anziani che vivono qui hanno detto di aver visitato questo luogo quando erano bambini e che si trattava di una città sotterranea molto estesa”. Uğuz ritiene che i lavori di scavo di quest’anno abbiano fatto la differenza nel determinare quanto fosse grande la città sotterranea.
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Tra gli oggetti recuperati durante gli scavi ci sono ossa di animali e supporti per lampade. In una stanza particolare della rete sono stati trovati un tamburo a colonna e un oggetto posizionato come una pietra tombale.
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I lavori di scavo a Sarayini sono in corso da due anni. Molte delle antiche città sotterranee portate alla luce in Turchia sono state scoperte solo negli ultimi anni e la maggior parte non è stata ancora esplorata a fondo. Studi preliminari hanno indicato che un complesso sotterraneo trovato nella regione turca di Neveshir potrebbe essere addirittura ancor più grande sia di Derinkuyu che di Sarayini, anche se gli archeologi non hanno ancora un quadro completo del sito. Poiché le città sotterranee vicine a Sarayini distano tra i 5 e i 12 km, sono in corso ricerche per stabilire se i complessi possano essere collegati tra loro.
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Elena Rodica Rotaru( blogger) insieme a Resul Aygün imprenditore e guida turistica a Cappadocia Turchia 🇹🇷.
“Un'esperienza molto bella, un posto unico al mondo. Sono rimasto affascinato da queste grotte sotterranee dove l'uomo ha vissuto per migliaia di anni. Posti bellissimi da visitare, invito tutti coloro che amano l'arte sotterranea a visitare questi musei in Cappadocia.”
Voglio ringraziare la mia guida Resul Aygün che mi ha aiutato in ogni momento di questi 3 mesi insieme qui in Cappadocia per realizzare qualche documentari …
Cappadocia è un posto magico!Elena Rodica Rotaru
Articolo di @likarotarublogger @elenarodicarotaru-blog
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coccaonthinks · 9 months ago
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C’è qualcosa che tutti possiamo fare un po' di più: è guardare, guardare con più attenzione il mondo intorno a noi. Guardare non è tanto un modo di informarsi, ma l’unico varco per arrivare a un possibile stupore, può essere un paesaggio lontano, può essere vicinissimo a casa nostra. Guardare è un modo per dire alle cose e agli animali di non andarsene, di rimanere ancora con noi. Guardare una lampadina, un imbuto, un albero, un cane, guardare e sentire un momento di vicinanza, mettere in crisi per qualche secondo la solitudine in cui siamo caduti.
In me la ricerca di quello che chiamo Sacro minore è andata crescendo man mano che aumentava l’invadenza della vita digitale. Si può stare in Rete anche molto tempo, ma non bisogna accodarsi all’esodo verso l’irrealtà, bisogna rimanere fedeli al reale, è l’unico bene, è il bene comune, il bene più comune di tutti e non dobbiamo perderlo.
Questo guardare di cui parlo non è un partito, non è un’ideologia, non è andare a rintanarsi in un rifugio, come se altrove fosse tutto deserto e miseria spirituale. Direi che è semplicemente il coltivare una saltuaria abitudine percettiva. Io non so fare di più. Dopo questi brevi slanci verso l’esterno la mia vita rifluisce verso l’interno, si riduce alla continua manutenzione dell’inquietudine. E qui mi pare che si incroci con quella di tanti in questo tempo di vite spaiate, lontane da ogni fuoco collettivo. Ecco il bivio: da una parte l’attenzione al mondo che ci circonda, dall’altra la deriva opinionistica in cui tutti cinguettano su tutto in una babele di parole che girano a vuoto.
La poesia è come un vigile che sta davanti a questo bivio e indirizza chi la legge verso l’attitudine percettiva piuttosto che verso le astrazioni dell’opinionismo. La poesia è la scienza del dettaglio, è il sogno tagliato dalla ragione o la ragione tagliata dal sogno, comunque non è mai nel dominio di una sola logica, è sempre intreccio, sconfinamento, purissima impurezza.
Io credo di essermi educato allo sguardo proprio grazie alla poesia, al suo rendere l’anima più agile, capace di oscillare dall’infimo all’immenso, dal dentro al fuori. E sull’attenzione al mondo esterno posso citare i miei due grandi maestri, Peter Handke e Gianni Celati. Il primo conosciuto e frequentato nei suoi libri, l’altro frequentato anche di persona. Celati mi ha insegnato le meraviglie dei luoghi ordinari, delle giornate qualsiasi. In fondo il mio lavoro di paesologo ha una sola regola che si può riassumere con questo mio aforisma: “Io guardo ogni cosa come se fosse bella e se non lo è vuol dire che devo guardare meglio.” All’inizio la mia attenzione ai luoghi marginali era più in chiave politica, ero infiammato dalle disattenzioni della politica. Il margine era indagato come luogo dell’abbandono, ero protesto a cogliere il passaggio dalla miseria contadina alla desolazione della modernità incivile. Sono rimasto a indagare il margine, ma con uno sguardo diverso, direi più ricco. Non ho abbandonato la lotta contro lo spopolamento delle aree interne, ci ho aggiunto l’attenzione al sacro che ancora resiste in quelle aree, come se Dio amasse i luoghi dove non c’è partita Iva. Da qui è arrivato un libro come Sacro minore o un film come Nuovo cinema paralitico, realizzato con Davide Ferrario. Guardare il mondo quasi come un’attività nostalgica, considerando che stiamo tutti diventando senza mondo, considerando che non bisogna dare per scontata l’esistenza del mondo, come se la fuga nel digitale potesse trafugarlo e lasciarci come ombre vaganti in una terra di nessuno. Una volta si indagava il mistero della vita dopo la morte, adesso è da indagare il mistero della morte che dilaga dentro la vita, dilaga quanto più la morte viene rimossa, occultata dal fervore masochistico del consumare e produrre. Ecco che dal guardare, dalla semplice postura contemplativa, la questione diventa più complessa, diventa politica: non è in gioco solo il nostro modo di abitare la giornata, ma il modo in cui l’umanità abita il pianeta. Si tratta di prendere atto che il modello imperante produce solitudine e depressione negli individui, produce ingiustizie sociali e danni enormi al pianeta. Qualcuno ha detto che la bellezza salverà il mondo. Forse ora si potrebbe dire che il mondo lo salveranno i percettivi. FRANCO ARMINIO
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pettirosso1959 · 10 months ago
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50 nerbate.
Espulso per sempre da tutte le scuole nazionali.
2 anni di galera, per adulti, non minori.
Al resto ci pensa Dio.
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Se questa è la scuola, meglio chiuderle tutte
A Fabriano alcuni studenti maltrattano e fanno morire un agnellino. Non ci sono più regole: ora punizione esemplare
di Francesco Teodori 24 Giugno 2024
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A volte è necessario anche per l’Inattuale abbandonare per un momento gli avvenimenti internazionali e abbassare lo sguardo verso la vita quotidiana, fonte inesauribile di indignazione. Il nostro sdegno si volge oggi verso la scuola e la sua squallida decadenza.
Alcuni studenti dell’istituto tecnico agrario di Fabriano, piccola e splendida città nelle Marche, mentre stavano svolgendo un periodo di alternanza scuola-lavoro all’interno di un’azienda agraria che ospita animali da allevamento (nello specifico pecore) hanno pensato bene di maltrattare un po’ le povere bestie. Uno di loro in particolare le ha aggredite calciandogli ripetutamente addosso un pallone. Mentre le pecore scappavano impaurite uno degli studenti ha catturato un agnellino, anch’esso in fuga per la paura, e l’ha lanciato al di fuori del recinto dove erano tenuti gli ovini.
Dopo aver rincorso la povera bestiola lo stesso studente lo ha acciuffato nuovamente, scaraventandolo all’interno del recinto da cui l’aveva prelevato. Il tutto sotto lo sguardo divertito del gruppo. L’agnello, secondo il verbale del direttore dell’azienda agraria indirizzato al dirigente scolastico della scuola, a causa del trauma subito ha riportato la paralisi di tutti e quattro gli arti ed è in seguito morto dopo una tremenda agonia.
Tutta la scena è stata ripresa dalle telecamere installate all’interno dell’azienda agricola. Da quanto abbiamo appreso da una docente dell’istituto, la quale ci ha anche raccontato per prima questa triste vicenda, al momento la decisione sulla sanzione da infliggere ai ragazzi (quasi tutti minorenni) responsabili di questo gesto efferato non è stata ancora presa. Nel frattempo, è stato chiesto ai carnefici di redigere un “tema” in cui avrebbero dovuto riportare una riflessione su quanto accaduto.
Da molti anni ormai osserviamo un rapido ed inesorabile disfacimento dell’istituzione scolastica in Italia, un declino a cui nessuno sembra voler prestare adeguata attenzione e che passa non tanto dalla, in genere pessima, preparazione degli studenti italiani, quanto proprio dall’incapacità della scuola di agire sulla formazione del carattere dei ragazzi. Questo sconcertante episodio ne è la prova.
Un agnello, simbolo dell’innocenza, è stato fatto oggetto della più assurda e gratuita brutalità. Una crudeltà senza scopo e dunque ancora più inquietante. Uccidere per gioco. Seviziare per il semplice gusto di farlo. Per di più un animale destinato ad essere parte di una fattoria didattica, dove le bestiole vengono allevate e curate dalla nascita fino alla morte naturale.
Se la scuola non è in grado di far comprendere a chi la frequenta la distinzione tra bene e male, tra civiltà e barbarie, allora tanto vale rinunciarvi definitivamente. Si chiudano tutte le scuole e si lasci che siano i social network, la strada, la musica o i siti porno ad educare i ragazzini. Se i risultati sono quelli che vediamo, almeno si risparmierebbero soldi pubblici, non più sprecati in inutili programmi educativi.
Ci domandiamo, dunque, se questa è la scuola. Se in un paese che si dica civilizzato sia possibile tollerare episodi del genere senza procedere, una volta appurati i fatti con certezza, ad una punizione esemplare, ammesso che ve ne siano per un gesto tanto crudele.
Così come ci domandiamo come sia possibile che un insegnante guadagni quanto un netturbino, che si possa dare delle “puttana” ad una professoressa senza temere alcuna conseguenza, che quasi la metà degli studenti al termine della scuola superiore non capisca un testo scritto in italiano. E nonostante ciò vengano promossi anche a pieni voti. In attesa di conoscere quale sia l’esito di questa tragica storia che abbiamo raccontato, ci auguriamo che il sacrificio involontario di quel povero agnellino serva quantomeno a far riflettere chi dovrebbe riflettere. E a far vergognare chi dovrebbe vergognarsi.
Francesco Teodori, 24 giugno 2024.
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Non ci sono parole, per di più frequentano una scuola ad indirizzo agrario.
Sarà un caso isolato di giovinastri senza educazione, cultura, formazione civica e formazione genitoriale? Non credo, è la china in discesa che hanno preso questi piccoli delinquenti da quattro soldi.
Ma forse anche sui genitori si dovrebbe indagare a fondo.
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stefaniaperinelli · 2 years ago
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Sempre più mansueti, sempre più da appartamento.
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Quando conobbi i primi Cani Lupi Cecoslovacchi, quegli individui ancora mantenevano chiari tratti ferini: indipendenti, diffidenti, con una distanza di comfort elevata, abili cacciatori, riservati, attivi. Riuscire a soddisfarli era davvero impegnativo perché nessuna recinzione rappresentava per loro un ostacolo e se desideravano inseguire una potenziale preda si arrampicavano come gatti.
Oggi, a distanza di un solo decennio, sono a tutti gli effetti cani addomesticati che vivono in appartamento. Docili e mansueti, socievoli e giocherelloni.
Andiamo per ordine: il CLC venne creato nella seconda metà degli anni 50 a scopi militari, dalla Guardia di Confine dell’ex Repubblica di Cecoslovacchia per rincorrere e catturare le persone che tentavano di scappare dalle persecuzioni operate per motivi politici. I Pastori Tedeschi non possedevano doti fisiche adeguate in termini di resistenza allo sforzo e al clima dei Carpazi, una catena montuosa che attraversa l’Europa e che rappresentava una via di fuga dal regime dittatoriale dell’epoca. L’idea fu quindi di fare accoppiare una Lupa dei Carpazi con un Pastore Tedesco. A seguito di ripetuti processi di ibridazione si ottenne quella che venne successivamente riconosciuta come razza ufficiale.
Il pelo del CLC è idrorepellente, in grado di resistere a pioggia, neve e intemperie proteggendo egregiamente il cane da inverni sotto zero ed estati torride. Le sue prestazioni fisiche, la velocità di reazione, l’indipendenza, la predatorietà lo rendevano estremamente adatto a sventare i tentativi di fuga dei dissidenti. Ma……la necessità di una socializzazione completa e precoce, rappresentava per l’esercito uno sforzo eccessivo e l’esperimento venne abbandonato rinunciando all’idea di avere una nuova razza di cani da servizio. Nel 1971, l'allevamento del Cane Lupo Cecoslovacco venne quasi completamente interrotto. A causa della sospensione dell’allevamento, molti ibridi lupo-cane furono soppressi.
Poi però subentrò la moda che lo rilanciò sulle passerelle del consumismo e gli allevamenti spuntarono come funghi. Ci si innamorò di questo simil lupo e quindi la selezione iniziò ad agire per renderlo sempre meno indipendente, diffidente, selvatico. Un’altra dissociazione cognitiva degli umani: si urla di sopprimere i lupi perché danneggiano le attività dell'uomo ma si acquista una sua bella copia da sfoggiare sul divano di casa, portarlo a passeggio in centro città, vederlo giocare nelle aree sgambamento. Nessun rispetto per quegli individui creati, ahinoi, a scopi militari, ma totale impegno a mutare geneticamente le loro peculiarità comportamentali per farne sfoggio.
La mentalità antropocentrica è dura da smantellare e mentre inorridiamo al ricordo del genocidio nazista, proseguiamo con l'eugenetica per creare, stavolta, le razze di Animali non umani.
(nella foto Loukanicos, emblema della rivolta in Grecia)
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mezzopieno-news · 1 year ago
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SALVATI DALLA GUERRA I LEONI ABBANDONATI NELLO ZOO
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La leonessa Aysa è stata lasciata in uno zoo privato abbandonato nella regione orientale di Donetsk, quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Incinta e senza cibo, dopo diversi giorni è stata salvata e trasferita in un santuario temporaneo vicino a Kiev, dove ha dato alla luce i suoi tre cuccioli Emi, Santa e Teddi.
Da Kiev la fuga dalla guerra dei 4 animali è giunta in una struttura a Poznan, nella Polonia occidentale, dove la famiglia di leoni si sta ristabilendo prima di essere portata in una grande riserva naturale nel Regno Unito che li ospiterà insieme ad altri 400 animali selvatici. Lo Yorkshire Wildlife Park inglese ha lavorato per mesi per portare la leonessa e i suoi tre cuccioli dalla capitale ucraina al sicuro. “I leoni erano così angosciati quando li ho incontrati per la prima volta”, spiega Colin Northcott, dello Yorkshire Wildlife Park. “I cuccioli si rannicchiavano uno sopra l’altro in un angolo, soffiando e ringhiando… Vederli così terrorizzati mi ha fatto sentire disperatamente dispiaciuto per loro ma alla fine della settimana in cui sono stati lì, hanno iniziato a fidarsi di più di me” La storia di questi leoni, abbandonati in un recinto di cemento, ha toccato il cuore di tante persone in tutto lo Yorkshire e con un appello pubblico ha raccolto 175.000 euro per costruire una nuova riserva che ospiti questi animali. Colin sta continuando il suo lavoro con Asya e i suoi cuccioli riproducendo loro i suoni del nuovo parco che li ospiterà per abituarli all’ambiente sconosciuto.
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Fonte: Yorkshire Wildlife Park; foto di Hans W
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canesenzafissadimora · 2 years ago
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Scrivo per la mia solitudine
che non passa mai, per la mia fuga
che non conosce muri.
Scrivo per chi è morto, scrivo
perché bisogna rispondere in qualche modo
al grande insulto del morire.
Scrivo per i malati, scrivo perché
avere un tumore non è la stessa cosa
che non averlo.
Scrivo per chi ha paura, la paura
che ti viene all’improvviso e quella
che ti sta incollata addosso tutta la vita.
Scrivo per chi ha perduto un amore
e per chi non lo ha mai trovato.
Scrivo per i vecchi e per i giovani
che già sentono le spine
del tempo che passa.
Scrivo perché ora posso farlo,
perché ho un dolore e la voglia
di sputarlo.
Scrivo perché ho tutta la mente
popolata di uomini e di donne
e di animali e di alberi.
Da tempo me ne sono accorto:
ci manco solo io nel mio corpo,
La poesia è un tentativo di tornare
a casa, di farlo da vivo
e non da morto.
franco arminio
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milkaweisz · 2 years ago
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Dimorfismo sessuale.
Per dimorfismo sessuale (dal greco "due forme") s'intende la differenza morfologica fra individui appartenenti alla medesima specie ma di sesso differente.
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Il dimorfismo ha principalmente la funzione di attrarre l'altro sesso: è infatti tipico di animali poligami, dove durante la stagione degli amori i maschi duellano per la conquista di un territorio.
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In animali monogami, invece, viene sacrificata la possibilità di avere progenie più numerosa in favore di uno sforzo congiunto per l'allevamento della prole: essendo il partner fisso, le strutture per la difesa dell'harem divengono inutili.
Le caratteristiche sviluppate dai maschi per attrarre le femmine li rendono svantaggiati rispetto a queste ultime, poiché, a causa dei colori sgargianti, sono facilmente localizzabili dai predatori. Le lunghe penne o gli speroni rendono molto più lenti e impacciati nella fuga.
La teoria di questo tipo di dimorfismo si dice "della disabilità": in un organismo il successo riproduttivo conta più della sopravvivenza, e quindi non è importante che un maschio di fagiano comune viva meno di una femmina, se questo permette di lasciare più progenie possibile.
Nella specie Homo sapiens i maschi sono mediamente più alti, più pesanti, più robusti e più forti delle femmine, che da parte loro hanno il bacino più largo e più inclinato all'indietro, spalle più strette, una diversa distribuzione del grasso corporeo e voce più acuta. I maschi inoltre presentano una maggiore quantità di peli (soprattutto sul viso).
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In alcune specie di rane pescatrici, i maschi sono semplici sacchetti di carne senza apparato digerente, che si attaccano alla femmina conducendo una vita parassitica e producendo sperma come unica attività autonoma.
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Una situazione simile la si può osservare nell'emittero Veliidae Phoreticovelia disparata (cimice di Zeus), dove il maschio si aggancia alla femmina nutrendosi da un'area ghiandolare posta sul dorso della stessa, anche se può vivere autonomamente.
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Nella maggior parte delle cocciniglie, le femmine mancano degli occhi e delle ali, hanno zampe atrofizzate e vivono permanentemente fissate alla pianta ospite, mentre i maschi hanno dimensioni minori e sono alati.
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Le cocciniglie o, impropriamente, coccidi (Coccoidea Handlirsch, 1903), sono una superfamiglia di insetti fitofagi compresi nell'ordine dei Rhynchota (sottordine Homoptera, sezione Sternorrhyncha). Il nome cocciniglia deriva dallo spagnolo cochinilla ("porcellino di terra"). Sono insetti esclusivamente fitomizi e costituiscono uno tra i più importanti raggruppamenti di insetti dannosi. La caratteristica generale che contraddistingue questi insetti è il marcato dimorfismo sessuale e la regressione morfologica, anatomica e funzionale delle femmine (neotenia).
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profumodiliberta · 2 years ago
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Parole di sconforto e speranza
Nell'universo vasto e infinito,
Scorgo l'incredibile bellezza dell'esistenza.
Galassie intrecciate con caotica eleganza,
Astri che danzano in sinfonia celestiale.
E poi lui, Dio del nostro mondo, che sorregge
La vita col sacrificio del suo sangue.
Sole, donatore di luce e padre nostro.
Ma l'umanità, cieca e indifferente,
Ignora le verità più banali.
Perduta tra le vie dell'avidità,
Si affanna nell'orgoglio del successo, a ogni costo. Senza vie di fuga.
La vita, un dono prezioso e fugace,
Un poema fragile, un sussurro nel frastuono.
Ma l'umanità la consuma voracemente,
Nell'illusione del progresso mercificato.
E così, ci allontaniamo dalla saggezza più profonda,
Accecati dalla rincorsa dell’ego
abbiamo creato un mondo che ci appagasse,
Dimenticandoci tutto ciò che ci circonda
Soffocato da mari di cemento.
Acque limpide che zampillano nei ruscelli,
Alberi maestosi che oscillano al vento,
E animali, vermi, funghi e batteri.
Tutti in bilico in questo precario equilibrio olistico.
L’infinita bellezza di ciò che vive. Di chi sfida con tutte le forze il freddo vuoto eterno dell’universo.
Oh, quanto prezioso è il tempo che ci è dato,
Eppure lo sprechiamo in battaglie futili.
Abbiamo dimenticato la nostra connessione,
Con la terra, con gli altri, con noi stessi.
Ma l'umanità sorda al sussurro del vento,
Ignora il canto melodico degli uccelli selvatici.
Insegue il potere e l'accumulo di ricchezze,
Sprofonda avida nella terra, senza riguardi.
L'inquinamento, spregevole scempio,
S'avvolge come un serpente soffocante.
L'umanità, stolta e abietta, sguazza nella propria sciagura,
Sommersa da rifiuti ma con gli occhi chiusi.
La terra s’impregna di veleno.
L’acqua viene violentata dalla plastica.
L'aria si fa infetta di fumo acre,
E la natura geme nel suo silente tormento.
Oh, quant'è sciocco l'essere umano,
A distruggere ciò che gli è stato donato.
Imbrigliato dall'avidità e dall'ignoranza,
Getta via il prezioso patrimonio, scellerato.
Ma c'è ancora speranza, un bagliore di luce,
Nel cuore di coloro che cercano la verità.
Tocchiamo l'essenza stessa della vita,
Risvegliamo il bambino, il poeta che risiede dentro di noi.
E nell'infinita meraviglia dell'universo,
Ritroveremo la via per riconnetterci.
Lasciamo che l'amore guidi i nostri passi,
Per preservare il tesoro prezioso e fugace dell'esistenza.
E sfidiamo noi stessi
Affinché l'umanità risorga, sagace e consapevole,
E la natura, libera, torni a brillare con fulgore,
In un mondo dove l'armonia rinasce, eterna e immortale.
-Giacomo Rojas
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siciliatv · 4 months ago
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Questa mattina a Favara, in via Fonte Canali, si è verificato un grave episodio che ha visto coinvolto Gerlando Trupia, un 45enne del posto, mentre faceva jogging come di consueto. L’uomo è stato aggredito e morso da un cane randagio che, inizialmente respinto, è poi tornato all'attacco, azzannandolo al polpaccio sinistro. La vittima ha riportato una ferita sanguinante e dolorosa che, pur non mettendo a rischio la vita, ha destato grande preoccupazione. Il signor Trupia ha contattato la nostra redazione via whatsapp corredandole opportunamente da foto (che abbiamo comunque provveduto ad offuscare). Secondo il racconto dell’uomo, il cane faceva parte di un gruppo numeroso che si aggira frequentemente nella zona, costituendo un potenziale pericolo per i passanti. Non sarebbe la prima volta che tali animali mostrano atteggiamenti aggressivi nei confronti di residenti e sportivi, anche se finora non si erano verificati episodi così violenti. Questa volta, l'animale sembrava particolarmente alterato, tanto da decidere di attaccare dopo un primo tentativo fallito. Alcuni residenti del quartiere hanno assistito alla scena, ma hanno negato qualsiasi responsabilità diretta sugli animali, che si aggirano liberamente per le vie del paese. Si sospetta che i cani randagi frequentino la zona perché qualcuno li alimenta occasionalmente, contribuendo a mantenere lo stato di semirandagismo. Il signor Trupia, dopo essersi divincolato dal cane e aver messo in fuga il branco con urla e gesti, è rientrato a casa per medicarsi autonomamente, sottolineando che le ferite, sebbene gravi, non gli impediranno di sporgere denuncia o segnalare l'accaduto. L’episodio riaccende l’attenzione sul problema del randagismo a Favara, una situazione che, se non affrontata adeguatamente, potrebbe portare a conseguenze ancor più gravi. La vittima ha dichiarato: "Poteva essere una tragedia se al posto mio ci fosse stato un bambino". Il caso evidenzia l'urgenza di interventi mirati per garantire la sicurezza di cittadini e animali sul territorio. Read the full article
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dropsofsciencenews · 6 months ago
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Topi e strategie sociali: come una femmina può salvarti la pelliccia
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Quando gli animali si muovono nel loro ambiente, non lo fanno mai in modo casuale o disinteressato. Valutano costantemente i rischi, osservano attentamente ciò che accade intorno a loro, utilizzano indizi sensoriali e acquisiscono nuove informazioni per adottare comportamenti appropriati. Del resto, il pericolo è sempre dietro l'angolo, e sapere cosa fare è cruciale per la sopravvivenza. I roditori, ad esempio, adottano posture difensive quando percepiscono minacce, come odori di predatori o ombre sospette.
Anche all'interno dei gruppi sociali, gli animali sviluppano meccanismi cognitivi per rispondere agli stimoli sociali e ai cambiamenti ambientali. In comunità con gerarchie ben definite, devono costantemente osservare i comportamenti degli altri per capire se sta per scoppiare un conflitto o se il gruppo è in quiete. Quando si presenta una minaccia, la fuga è una risposta classica ed efficace. Ma scappare non è sempre la scelta migliore, perché implica perdere risorse e opportunità di accoppiamento. Come fare allora per ridurre i conflitti all'interno di un gruppo? Per i piccoli topi della specie Mus musculus, la risposta è ingegnosa: utilizzare le femmine come distrazione.
Un gruppo di ricercatori ha registrato le interazioni di gruppi composti da due maschi e due femmine per un periodo di cinque ore. Hanno utilizzato l'intelligenza artificiale per codificare in maniera oggettiva come i topi gestiscono i comportamenti aggressivi dei loro simili. Essendo animali gerarchici, nei gruppi c'è sempre un maschio più aggressivo degli altri. I ricercatori hanno registrato 3.000 incontri tra maschi, determinando le risposte più probabili all'aggressione e se queste azioni risolvessero o peggiorassero il conflitto.
Tra questi incontri, i ricercatori hanno osservato un comportamento molto costante: il maschio aggredito spesso correva verso una delle femmine, riuscendo così a de-escalare l'aggressione. Dopo un confronto aggressivo, il maschio vittima interagiva brevemente con una femmina prima di allontanarsi rapidamente, poiché l'attenzione dell'aggressore si spostava su di lei. Questa sequenza comportamentale era l'unica che non portava ad ulteriori scontri violenti. In pratica, il maschio aggredito distraeva l'aggressore con la presenza della femmina, evitando così ulteriori conflitti senza dover fuggire lontano. Geniale, no?
Nonostante questi risultati, lo studio presenta alcune limitazioni. È stato condotto in un ambiente controllato con piccoli gruppi bilanciati per sesso, che potrebbero non rappresentare fedelmente le condizioni naturali. Inoltre, l'assenza di una gerarchia sociale ben definita tra i topi osservati potrebbe aver influenzato i comportamenti registrati. Future ricerche dovrebbero variare il numero e la composizione degli animali per comprendere meglio come questa strategia si applichi in contesti più naturali, ma una cosa è chiara, in alcuni casi basta affidarsi ad una femmina per uscire da una situazione difficile.
A Presto e Buona Scienza! fonte
fonte foto: George Shuklin (talk) - Opera propria, CC BY-SA 1.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5521043
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gonfiatalavena · 7 months ago
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Le relazioni tossiche sono pericolose per la salute; ti uccidono letteralmente. Lo stress accorcia la vita. Anche un cuore spezzato può ucciderti; c’è una connessione mente-corpo innegabile. Le tue discussioni e i tuoi discorsi pieni di odio possono portarti al pronto soccorso o all'obitorio. Non eri destinato a vivere nella febbre dell'ansia; urlando fino a diventare rauco in una frenetica lotta o in una fuga terribile in preda al panico, che ti lascia esausto e insensibile dal dolore. Non eravate destinati a vivere come animali che si sbranano a vicenda. Non aspettare che i tuoi capelli diventino grigi. Non incidere una tabella di marcia del dolore nelle dolci rughe del tuo viso. Non restare nel silenzio con il cuore che batte forte come una creatura intrappolata e spaventata. Per la tua vita bella e preziosa e per coloro che ti circondano, cerca aiuto o esci prima che sia troppo tardi. Questo è il tuo campanello d’allarme!
Bryant McGill.
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