#fortuna che non arriva il rifornimento
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men4de · 1 year ago
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se un altro mi chiede il libro di vannacci prendo un forcone e li scaccio dalla libreria
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marco-cavallini · 5 years ago
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Sole, Ombre e Arcobaleni
Ciao, mi chiamo Marco. Pur innamorandomi di persone del mio stesso sesso, ho sempre faticato a sentirmi parte della così detta "comunità gay".
Volevo condividere il mio pensiero a riguardo, sperando che possa aiutare altri che come me si son sempre sentiti estranei un po' a tutto.
Ho da sempre disdegnato l’idea di società come la viviamo oggi perché in 35 anni di vita ho capito che far parte della società non e’ che dover fare parte di un gruppo, quindi eliminare la propria reale identità o tenere il proprio pensiero a bada per dover essere come gli altri, per pensare come gli altri e perché gli altri si possano sentire di avere qualcosa in comune con te. C'è una distorsione del concetto di inclusività che diventa, in realtà, esclusività. 
Crescendo in un paesello medio-borghese Brianzolo, ho scoperto come la società in cui vivevo aveva nel suo interno vari sottogruppi basati tutti sull’arrivismo, su chi e’ migliore, sul tasso di privilegi che uno ha, che ti mettono in una posizione più alta o più bassa, che ti danno accesso o meno ad ambienti più o meno elitari. Rientri nelle categorie non per come pensi ma per quanti soldi hai e come ti poni all'esterno, per che luoghi frequenti, per gli studi che hai la possibilità di fare. Dico questo pur essendo nato con parecchi privilegi, e che la società non mi ha mai respinto, ma anzi, sempre cercato di tenermi stretto. Quando avevo finalmente capito il mio orientamento sessuale, quindi pensando di identificarmi come gay, mi sono auto-espulso da tutta quella società che ormai mi avrebbe visto come diverso, o forse perché la vedevo io troppo diversa da me. Qualche amicizia e’ rimasta, ma anche io avevo bisogno di cambiare aria.
Ho quindi lasciato il paesello alle spalle e ho cominciato a frequentare ambienti più aperti a Milano, dove potevo in teoria conoscere persone “come me”, che magari avrebbero provato le stesse cose che ho provato io nel sentirmi diverso e quindi cercare un nuovo modo di unirsi. Ho trovato esattamente l’opposto. Per assurdo, la comunità gay non è che un altro costrutto esattamente uguale a quella società da cui proprio noi veniamo rigettati. Ci mettiamo nei box e diventiamo le caricature che la comunità gay può “accettare” o comprendere, e che quella eteronormativa può poi stereotipizzare, quella da far vedere in TV. Così e’ più semplice per tutti, rimanendo intrappolati in un modello sociale tossico che per la maggioranza non si e’ mai evoluto dalle scuole elementari.
Dico questo perché arrivato a Milano, notavo come l’unico modo per essere accettato sia dalla comunità gay, che dalla società in generale, addirittura nel lavoro (facevo il commesso allora), era entrare a far parte di uno stereotipo, anche se gay, quindi creando una omonormativita. Alla società, quindi, non importava tanto poi il mio orientamento sessuale (a parte che agli omofobi irrecuperabili) ma semplicemente che sembrassi “normale”, riconoscibile, replicabile e intercambiabile. Così entrai a far pare di uno di questi sottogruppetti presenti tutt’oggi, basati su come ti vesti, che lavoro fai, che locali frequenti, quanti followers hai, com'è la tua apparenza, che preferenza di ruolo sessuale hai e cosi via, per scappare dalla paura di confrontarsi con altre realtà. Mi sono trovato a dover fingere di essere qualcosa che in realtà sentivo non mi apparteneva proprio perché la società in primis impostava questo genere di raggruppamento basato sul privilegio, andando cosi a sopprimere la mia parte interiore, reale e umana e per vestirmi anch’io di una maschera. Allora neanche capivo troppo queste dinamiche; lo facevo perché pensando di essere già diverso, gay, dovevo quasi rendermi a maggior ragione “normalizzato” per essere incluso. Con gli anni ho poi fatto il mio percorso di cambiamento ed integrazione, ma non e’ stato facile - per capirlo, devi prima uscirne, e uscirne porta alla solitudine all’emarginazione, ma anche a una grande consapevolezza di sé e degli altri, che poi e’ la cosa più importante.
E’ qui il punto. Non conta di che comunità fai parte se in primis non sai chi sei. Se ti identifichi ancora nel tuo aspetto, nelle marche che compri, il lavoro che fai o con chi vai a letto, non saprai mai chi sei in realtà. Diventi un'altra faccia su Instagram che cerca di essere come tutte le altre.
Se non sei nei canoni di bellezza e mascolinità preimpostati, sei out. 
Questo concetto di omonormatività viene validato anche dall’idea delle “tribes”, le tribù a cui (a quanto pare) devi appartenere.. bears, muscle, jocks, fems, e così via (ah, in questa lista c'è anche asian… come se quella fosse una tribe e non una semplice provenienza. Usata così si chiama razzismo. Stiamo quindi alienando un gruppo a priori, o peggio ancora, lo si rende vittima di feticismo inconsapevole?) Ecco, un’altra cosa sbagliata che ho trovato in questa “comunità gay” è questo morbo per il sesso. Tutti su Grindr a cercare chissà cosa, per far gara a chi ne fa di più, che poi in realtà tutto ciò che fa è riempire l’ego temporaneamente per poi lasciare l’Io in un vuoto ancora più grande di prima. E chi ci sta dentro, proprio per riempire di nuovo questo vuoto, continua a fare questo rifornimento di endorfine che poi ti risvuota di nuovo, in un continuo gioco di piacere fugace, che porta poi solo a non saper provare più Amore (per ironia, l’icona dell’app è proprio una maschera… quella che in teoria dovremmo toglierci.) diventano tutti pezzi di carne che scegli come quando fai la spesa online. Se non sei sessualmente aperto e sempre disponibile non servi a niente, devi essere predatore o preda.
Ho avuto esperienza diretta in questo quando sono andato a ballare una delle prime volte in una discoteca gay. Mi era stato offerto un drink da un ragazzo ma a mia insaputa era stato manomesso, ci aveva messo dentro del ghb, la droga dello stupro, e dopo pochi sorsi sono collassato. Sono stato portato fuori dal locale a cucchiaino, incosciente. Per questione di puro caso e fortuna, i miei amici mi trovarono mentre mi stava mettendo in macchina e riuscirono a salvarmi, per poi chiamare l'ambulanza. Potevo finire chissà dove, la mia vita era appesa a un filo. Ero andato in coma, e rimasi fino al giorno seguente in reparto rianimazione per l'assurda quantità di droga mixata ad alcohol che c'era in quel cocktail letale. Quell'esperienza ha distrutto per me l'idea che la discoteca gay, allora uno dei pochi - se non unici - luoghi di ritrovo possibile per questa comunità, era un luogo sicuro. Tutt'altro. Con l'ingenuità di allora non pensavo che una cosa del genere potesse succedere a me. Non tutti erano lì per divertirsi, ballare ed essere liberi, in questo genere di luoghi bisogna stare attenti ad altre dinamiche che prendono piede.
Da vittime della società quindi, ciò che ci rende diversi dalla gente che odia non si dovrebbe fermare al sesso, ma da come uno si pone in confronto dei propri privilegi, e quindi verso il prossimo. Da uomo gay bianco, riconosco di aver avuto ad esempio molti più privilegi di una donna lesbica bianca, e magari lei a sua volta più di un uomo etero nero, in Italia. L’inclusione non è raggrupparsi a seconda del proprio stato sociale e indossare tutti le stesse marche e farci tutti i capelli uguali. E’ rompere i propri privilegi per includere il diverso, così da formare idee di pensiero più forti, più vere, per condividere la ricchezza. L’omofobia, è esattamente la stessa bestia del razzismo e del sessismo, creati dalle regole preimpostate della chiesa che da centinaia di anni creano una società di gregge, che ponevano (e pongono tutt’oggi ahimè) l’uomo etero bianco come modello di perfezione. Se poi aggiungiamo nel mix il colonialismo e il razzismo che han poi dato vita al capitalismo, si arriva alla completa identificazione dell'essere - l'Io - in ciò che possiede e come si pone all'esterno - l'ego - la maschera, che non da peso a sentimento, emozioni e identità ma deve prevalere sugli altri. Bisognerebbe mettersi tutti sullo stesso piano per distruggere la gerarchia piramidale di fondo che c'è stata imposta e che applichiamo e replichiamo in tutto, il dover arrivare a tutti costi arrivare al vertice calpestando gli altri. Se fossimo tutti uguali non ci sarebbe vertice e plebe.
L'altro problema connesso qui è la spiritualità secondo me. Dato che la chiesa ha instaurato un credo che esclude e stigmatizza l'omosessualità, la maggior parte degli omosessuali esclude a propri la possibilità di credere in qualcosa più grande, andando a distruggere valori validi che la chiesa ha usato, estrapolandoli per gran parte dal Buddismo e manomettendoli qua e là a loro piacimento, dando un senso sbagliato di religione e fede per creare divisioni tra il popolo e conquistare attraverso la paura e guadagnandoci pure sopra. Non dimentichiamoci che fino a pochi anni fa la chiesa e il governo andavano di mano in mano (se non ancora tutt'oggi). Dico questo perché l’ho provato io in primis sulla mia pelle, nella ricerca di me stesso, e riesco ora a vederlo con occhio critico come problema generale. Il credo dovrebbe essere personale e diretto, e non mediato da altri uomini, proprio perché è connettendosi con sé stessi e la propria condizione umana che si arriva al soprannaturale, a qualcosa di più grande di noi ma che allo stesso tempo è proprio la linfa di vita che scorre dentro di noi. La coscienza. Quella che ti ferma per un attimo quando in fondo sai che la cosa che stai per fare non porterà a nulla di buono o che semplicemente non è giusta. La vita ha poi i suoi modi per mostrarci i frutti delle nostre decisioni.
Sbagliamo quindi a creare comunità basate sulla divisione, perché diventano appunto società. Si dovrebbe chiamare "società gay" quella che c'è oggi. Per creare una vera comunità, dovremmo cominciare da capo e forse chiamarla con nuovo nome… Comunità Arcobaleno magari, per far rientrare chiunque si senta diverso o escluso da quella società costruita su patriarcato, privilegio, razza, normatività, dualismo e individualismo. 
Come stiamo facendo oggi, l’omofobia viene solo camuffata ed alimentata in primis tra di noi, come un’ombra. Prendiamo come riferimento una società eteronormativa, traslandola in modi ancora più meschini tra di noi proprio perché abbiamo centina di anni di traumi, ferite e stigma da cui guarire, che invece ci intrappolano perché le ferite non guarite si trasformano in infezioni, o nel nostro caso, “inaffezioni” (se si può fare un gioco di parole), in odio inconsapevole.
Forse proprio per tutto questo non ho mai fatto un vero e proprio "coming out". Non capivo da cosa dovevo uscire. L'unico coming out che ho fatto é dal modo di vivere e pensare imposto dalla società. Ho imparato a connettermi col mio dolore e capire che non era dato da me, non ero diverso o sbagliato e non avevo bisogno di essere validato da niente o nessuno, dovevo solo guarire per poter dare Amore. E per dare Amore, quello vero, sincero, senza limiti o fabbricazioni, dovevo prima combattere lo status quo che me l’aveva negato, che me lo faceva percepire in maniera distorta.
Non serve quindi unirsi solo dal punto dell’orientamento sessuale e della sessualità, perché poi ne esce solo quello: sesso e superficialità, non Amore, proprio perché sono radicati nell’edonismo e nell'assenza di valori reali della società odierna. La Comunità Arcobaleno dovrebbe essere improntata su nient'altro che l’accettazione della pura identità umana, in qualunque modo essa si voglia manifestare ed identificare, aperta ad ogni sua sfumatura. Ma per arrivare lì, bisogna prima decolonizzare la nostra stessa mente e capire anche che identificarsi con qualcosa di esterno, che siano possessioni, lavori, usi e costumi o gruppi di persone porta solo all’annullamento dell’essere e alla formazione della maschera. L’unico modo per guarire da questa infezione di massa e’ fare i conti con se stessi, aprendosi ognuno alla propria vulnerabilità in un confronto costruttivo con l'altro, per capire che poi, in fondo, siamo tutti uguali ma con diversi talenti. Bisognerebbe semplicemente collaborare. 
Sono proprio le differenze individuali a renderci così speciali, come i diversi colori che lavorano insieme per formare un solo bellissimo arcobaleno. Quell’arcobaleno che dovrebbe unirci tutti, proprio perché tutti riflessi dalla stessa luce - il Sole.
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veronica-nardi · 5 years ago
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The Untamed, Il Massacro del Pontile del Loto (episodi 15 e 16)
Cominciano i guai e le tragedie. Ho deciso di dividere gli episodi dal 15 al 20 a due a due, perché non riuscirei mai a mettere insieme questi episodi, sono emotivamente troppo forti. Per scrivere questo commento, ho rivisto l'episodio 15 due volte, e ho pianto in entrambe per vari motivi. Quando ho iniziato a vedere questa serie non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. IL TRAILER INGANNEVOLE PRESENTA QUESTA STORIA COME UNA COMMEDIA ROMANTICA, quindi non mi aspettavo tutta questa tragedia, tutto questo dolore, e ammetto che ci sono momenti lungo il corso della serie, che sono davvero difficili per me da guardare. Più che difficili, pesanti. Non so davvero se riuscirò a descrivere bene tutto quello che sta per succedere, cercherò di fare del mio meglio, quindi parto subito con la trama di questo episodio. In teoria, lo potrei davvero riassumere in poche parole: gli Wen cagano il cazzo. Mi sembrava troppo bello che i discepoli se ne fossero andati incolumi da Mordor, avevo sperato che gli Wen li lasciassero andare senza problemi, ma questa serie non è il mondo delle fiabe e quello che sta per arrivare addosso ai protagonisti è una valanga di dolore, rabbia, sofferenza, ingiustizia, rancore, sensi di colpa, perdite e risentimento. Inoltre gli Wen avevano deciso da tempo di essere i più belli di tutti e di voler sottomettere il mondo ai propri piedi, quindi era solo questione di tempo.
La puntata si apre al Pontile del Loto (una delle mie location preferite), dove alcuni uomini si presentano feriti chiedendo aiuto al capo Clan Jiang. Il loro Clan è stato attaccato dagli Wen, e sono venuti a implorare aiuto. Jiang FengMian non esita un minuto: fa curare quegli uomini e poi parte per andare a offrire il suo appoggio di persona, portando con sé la figlia YanLi. Sul molo la Signora Yu raggiunge i due prima che partano, e consegna alla figlia qualche rifornimento di cibo per il viaggio, e qualche medicina per i reumatismi "se qualcuno dovesse averne bisogno." Tra i due genitori c'è ancora molta tensione a causa dei recenti litigi, e non riescono a salutarsi come si deve. Con l'assenza del Capo Clan, la sicurezza del Pontile del Loto passa nelle mani di Jiang Cheng e Wei Wuxian, preoccupati per il viaggio del padre e della sorella, e per l'atteggiamento sempre più pericoloso degli Wen.
Giorni dopo, mentre i discepoli del Clan stanno giocando con le frecce e gli aquiloni, ecco arrivare lei:
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È arrivata la Queen. Arriva come se si aspetti che le venga offerto il tappeto rosso e tutti si inchinino a lei. Basta guardarla per avere voglia di prenderla a schiaffi. Appena i Wen si presentano è il panico: i discepoli accorrono da Wuxian e Jiang Cheng informandoli che la donna ha catturato uno dei bambini, e io già sento che l'arrivo di questa finta diva non porterà nulla di buono. La Signora Yu giunge sul posto da vera Queen badass qual è, senza la minima paura, senza il minimo timore. E siccome vuole vincere il premio di Madre dell'Anno di questa serie, si gira verso il figlio e in modo sferzante gli fa: "Guardati, tutto tremante e coi piedi che battono a terra. Credi forse di avere l'aria di un futuro Capo Clan?"
Abbiamo la vincitrice, qualcuno le porti una medaglia per cortesia.
E se la Signora Yu vince il premio di Madre dell'anno e il signor Wen Chao vince quello di Villain Più Scemo, la finta diva vince sicuramente il premio per MISS ANTIPATIA. A livello universale proprio. Arriva lì, con l'aria come se fosse la padrona, aspettandosi di essere servita e riverita, come se quella fosse casa sua e quelle persone i suoi servi. MA NON HA FATTO I CONTI CON LA SIGNORA YU, che non si lascia di certo intimidire e da subito non accenna ad abbassare lo sguardo, anzi la guarda con tutta la sicurezza e l'orgoglio di questo mondo.
MADRE DELL'ANNO VS MISS ANTIPATIA HA INIZIO.
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Vediamo come va il primo round. La smorfiosa entra in casa e comincia a commentare e criticare l'estetica del Pontile del Loto (ciccia non è mica casa tua, ma che vuoi?), seguita dalla Signora Yu che come me deve tenere a freno i suoi istinti omicidi, ma posso vedere chiaramente fulmini e saette screpitare nei suoi occhi. La Miss poi ha la sfacciataggine di sedersi sul "trono" della sala come se quello fosse il posto che le spetta, e i due fratelli fanno un passo avanti contenendo a stento il loro sdegno. La signorina poi pretende che le venga portato del thè, ma le due guardie del corpo/ninja sempre dietro alla Signora Yu replicano che può benissimo farselo da sola, risposta che indispettisce molto la smorfiosa. Fa quindi notare alla Signora Yu che i servi dovrebbero essere trattati come tali, non dovrebbe essere loro permesso di presenziare alle questioni dei loro padroni, e dovrebbero essere puniti per un atteggiamento del genere.
Cara Miss Antipatia, ma non eri tu stessa una serva che si è fatta strada solo andando a letto col Wen??? MUTA DOVRESTI STARE.
Comunque, quelle due ninja non sono affatto delle serve qualunque, ma sono le guardie fidate della padrona di casa, e rispondono solo ai suoi ordini. La Signora Yu poi va dritta al sodo, chiedendo alla ragazza perché ha catturato uno dei loro discepoli. E qui la smorfiosa se ne esce con la scusa più assurda e ridicola che io abbia mai visto: il bambino ha disegnato un aquilone di colore giallo e poi lo ha abbattuto con le frecce, ciò chiaramente simboleggia il voler abbattere il sole, e quindi è una mancanza di rispetto verso il Clan Wen. Ancora mi parte il WTF quando lo vedo. Wuxian prende la parola e rileva che seguendo il suo ragionamento, allora dovrebbero anche smettere di mangiare le arance, visto che anche quelle sono rotonde e dorate come il sole. Incapace di rispondere, la smorfiosa si limita ad uno sguardo di sufficienza, e dentro di me prego che qualcuno la uccida presto.
Quando le viene chiesto se è venuta fin lì solo per un aquilone, la miss male nasconde il suo compiacimento, affermando che è venuta perché Wuxian venga punito per il suo oltraggioso comportamento verso Wen Chao.
"Mentre il giovane maestro Wen stava combattendo con coraggio la bestia marina, Wei Wuxian ha osato sfidarlo e minacciarlo, distraendolo e facendogli perdere la spada. Per fortuna, nonostante questo, il maestro è comunque riuscito a sconfiggere con successo la bestia."
Qui non so se ridere o se mordermi le mani dalla rabbia. "Con coraggio" ??? Non commento nemmeno.
"Su ordine del maestro Wen chiedo alla Signora Yu di punire questo ragazzo, così che sia da monito per tutti quelli del Clan Jiang. Wei Wuxian dovrebbe essere un servo qua dentro, giusto? In assenza del Capo Clan, confido che sarà la Signora Yu il giudice della punizione. Se qualcuno del Clan lo proteggesse, potrei pensare che tutte quelle voci... siano vere." (Voci riguardanti Jiang FengMian e la madre di Wuxian).
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Come Wuxian, penso che ognuno di noi sia assalito dalla voglia di insultare male e prendere a schiaffi questa donna, che dall'alto del trono osserva con aria compiaciuta la punizione da lei richiesta. Jiang Cheng prova a difendere il fratello, ma Wuxian gli dice di starne fuori e le due ninja lo trattengono. La Signora Yu assesta al ragazzo qualche buona frustata con Zidian, mentre Jiang Cheng è costretto a guardare e la signorina che SE LA RIDE. Non contenta, pretende una punizione più severa, affermando che qualche frustata può anche fare male, ma presto il ragazzo se ne dimenticherà e tornerà a combinare guai, quindi deve subire una punizione indimenticabile, per fargli ricordare la lezione.
Va bene, avrai anche vinto il primo round, ma la partita non è ancora finita. Guardando la Signora Yu, sembra che le stia per uscire il fumo dal cervello. "Dovrei tagliargli le gambe così non potrà più correre?"
"Il maestro Wen è misericordioso e non potrebbe mai chiedervi una tale crudeltà. La mano destra sarà sufficiente."
PERCHÉ NESSUNO L'HA ANCORA UCCISA???
Ricordo che fumavo dalle orecchie quando lo vidi la prima volta. Ero tipo: "NON VI AZZARDATE A TOCCARLO!!!" Era già abbastanza difficile vederlo a terra col sangue alla bocca, non avrei potuto sopportare che gli venisse tagliata la mano destra e diventare il nuovo Jaime Lannister. Jiang Cheng si inginocchia davanti a lui e implora la madre di non farlo. Wuxian dal canto suo pensa che, va bene, vogliono tagliargli la mano destra? Vorrà dire che d'ora in avanti si allenerà con la mano sinistra. Tranquilli, ragazzi. Tranquilli.
ORA SI COMINCIA A GIOCARE.
La Signora Yu fa chiudere le porte così che nessun altro veda quello che sta per succedere. La signorina la applaude, credendo che stia davvero per tagliare la mano al ragazzo (ti piacerebbe!!). "Signora Yu, comincio ad ammirarti. Vedo che obbedisci per bene. Credo che andremo molto d'accordo con L'Ufficio di Supervisione."
Ok. Questo è troppo. Vieni in casa mia, catturi uno dei miei ragazzi perché ha fatto un aquilone giallo, ti comporti da padrona, mi costringi a punire a sangue Wuxian, vuoi che gli tagli una mano e ora intendi trasformare la mia proprietà nel tuo nuovo ufficio di sta minchia? Tu non hai capito chi sono io. Fumante di rabbia, la Signora Yu prima mette fuori gioco le guardie con una sferzata di Zidian, poi comincia a schiaffeggiare la signorina, mandandola a tappeto, mentre i due fratelli guardano increduli e sconvolti la scena.
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"Vuoi sapere chi è superiore e chi inferiore? Io sono superiore, tu sei inferiore." La Signora Yu le schiaccia con il piede la testa contro il pavimento, mentre insulta lei e la sua famiglia chiamandoli rifiuti umani. Chi non gode profondamente guardando questa scena, alzi la mano.
Dietro ordine della loro padrona, le due ninja uccidono tutte le guardie presenti, e stanno per avventarsi anche sulla smorfiosa a terra, ma questa chiama a gran voce l'aiuto di Mano Fondi Nucleo, che in un balzo fulmineo irrompe nella stanza salvando la ragazza. Mannaggia a lui. Questo tipo, che è tipo un cane ubbidiente che fa tutto ciò che gli viene ordinato, e la Signora Yu cominciano a combattere, e nella confusione generale la smorfiosa riesce a lanciare il segnale d'allarme, chiedendo rinforzi. E qui capisco che sta per finire molto male per il Pontile del Loto. Lo stesso capisce la Signora Yu, che afferra i due ragazzi e li porta sul molo, mettendoli su una barca.
E qui cominciano le lacrime. La donna consegna Zidian al figlio così che lo protegga, poi lo abbraccia stringendoselo al petto, con le lacrime agli occhi. Sa che questa è l'ultima volta che vede suo figlio, l'ultima occasione che ha di abbracciarlo, sa che sta rimanendo indietro per andare incontro alla morte. Jiang Cheng è sconvolto, implora la madre di andare con loro, ma la donna si ritrae e si rivolge a Wuxian, lo scuote per le spalle dicendogli che è tutta colpa sua, poi gli fa promettere di proteggere Jiang Cheng anche a costo della sua vita. Quindi, lascia andare la barca, mentre il figlio continua a chiamarla e lei rimane sul molo con aria ferita (nel senso piena di dolore), ma fiera e dignitosa.
Lungo il fiume, i due ragazzi si imbattono nel padre e nella sorella, che proprio in quel momento stanno tornando verso casa. Li mettono al corrente di ciò che è successo, e implorano il padre di tornare indietro tutti insieme per aiutare la madre, ma il padre lega i tre ragazzi con Zidian con l'intenzione di metterli in salvo e tornare indietro da solo. Li saluta uno a uno, accarezzandoli sulla guancia e con una pacca sulla spalla raccomanda a Wuxian di proteggere i suoi fratelli. I tre ragazzi piangono, gridano, disperati, sconvolti, angosciati, ma a nulla serve: il padre torna sulla sua barca e si dirige verso casa.
Questi due strazianti addii mi commuovono ogni volta.
Ok, ho bisogno di un attimo di respiro. Prima di proseguire devo fare alcune considerazioni:
1) Quello che sta succedendo al Pontile del Loto NON è assolutamente colpa di Wuxian. Gli Wen avevano già cominciato a massacrare i vari Clan, era solo questione di tempo prima che arrivassero anche ai Jiang. Quella della smorfiosa è stata solo una scusa. E se anche per qualche motivo non fossero riusciti ad arrivare al Pontile del Loto, non è comunque giusto attribuire a Wuxian la colpa di tutto ciò. Gli unici colpevoli sono gli Wen, bramosi di potere, crudeli, desiderosi di vedere tutti ai propri piedi.
2) La Signora Yu ha salvato anche Wuxian. Infame quanto voglio, ma non è un'assassina, non è una Cersei Lannister. Tuttavia...
3) Quello che la donna dice al ragazzo è ingiusto e crudele. Primo, non è colpa sua. Secondo, non è bello costringerlo a proteggere il fratello anche con la sua vita perché lei adesso lo sta salvando e la sua famiglia lo ha accolto in casa. Non può usare la riconoscenza per obbligarlo a tenere in salvo suo figlio. È come se dicesse: "Io adesso ti sto salvando, ti abbiamo accolto e ti abbiamo cresciuto dandoti una casa, quindi tu adesso per ripagarmi devi proteggere mio figlio. Non mi importa molto di te, non importa se devi sacrificare la tua vita, basta che Jiang Cheng sia salvo." È un discorso assolutamente sbagliato.
4) Salutando i ragazzi, anche il padre mette sulle spalle di Wuxian un peso che NON È GIUSTO che lui porti. Perché deve assumersi la pesante responsabilità di proteggere i suoi fratelli? So che lui è il più bravo tra loro, ma non era meglio dire "Ora dovete essere forti, proteggettevi a vicenda" o qualcosa del genere?
5) La richiesta dei due genitori fa sembrare Jiang Cheng un incompetente che ha per forza bisogno di Wuxian per andare avanti. Grazie eh.
6) La sorella è letteralmente un peso morto.
7) Gli atteggiamenti dei due genitori, in tutti questi anni, e in questo frangente, è stato molto sbagliato da vari punti di vista, ed entrambi hanno creato dei traumi nei due fratelli che si porteranno dietro negli anni a venire. Grazie pt.2
8) La Signora Yu dice a Wuxian di odiarlo profondamente. Potrei sbagliarmi, ma non credo che lo odi come persona in sé: Wuxian rappresenta tutto quello che lei avrebbe voluto avere, ma che per vari motivi non ha mai avuto, ed è QUESTO che lei odia. Se Wuxian fosse il ragazzo di un'altra famiglia, non credo lo odierebbe. Wuxian per lei rappresenta la negazione di quella famiglia felice che avrebbe voluto avere, Wuxian le ricorda quella donna che il marito ha amato e di cui lei non è mai riuscita a prendere il posto, Wuxian è l'ombra che è calata su Jiang Cheng nel momento in cui ha messo piede in quella casa. Wuxian ha ricevuto tanto amore in quella casa, e per questo è molto fortunato, ma allo stesso tempo il suo arrivo ha scatenato una serie di dinamiche tristi e sbagliate che hanno rovinato gli equilibri. È una situazione pesante, complessa, triste e tragica. In tutto ciò Wuxian era solo un bambino innocente che aveva bisogno di una casa e di una famiglia. La Signora Yu non è riuscita ad amarlo in modo giusto perché semplicemente è stato più forte di lei. Ha sempre amato il marito, ma il marito non ha mai amato lei (non nello stesso modo), lo ha visto preferire un altro ragazzo al loro figlio, si è sempre sentita umiliata dai pettegolezzi e si è sempre sentita al secondo posto rispetto all'altra donna. Tutto ciò l'ha resa piena di rabbia, una rabbia che ha riversato su Wuxian in modo sbagliato. Wuxian dal canto suo non odia la donna, anche se non credo che la consideri miss simpatia. È un grosso peso quello che lei gli scarica addosso, ma credo che Wuxian comprenda il dolore che quella madre sta provando nel doversi separare dal figlio, e capisce la richiesta disperata di una madre che vuole che suo figlio sia sempre al sicuro, quindi prende a cuore quella promessa.
Bene. Credo di poter andare avanti. E vado avanti dicendo subito che nel prossimo episodio ho avuto (e ho tutt'ora) qualche difficoltà nel capire Wuxian, e per me è strano. Ma andiamo con ordine.
Mentre i ragazzi sono al sicuro lungo il fiume, la Signora Yu si ritrova a fronteggiare insieme ai discepoli rimasti al Pontile del Loto i soldati Wen arrivati a frotte. È una battaglia sanguinosa, anzi, più che battaglia è un vero e proprio massacro. Ma la Signora Yu intende fare il culo fino alla fine. Intanto, di lato, la smorfiosa sbraita come una gallina di uccidere la donna senza pietà.
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La Signora Yu sfoggia ottime abilità di combattimento, e mentre è circondata su ogni lato da guardie Wen, ecco che le porte si spalancano per far entrare il marito venuto ad aiutarla. La donna rimane chiaramente sorpresa nel vederlo, come se non si aspettasse che venisse in suo aiuto. L'uomo si precipita da lei, ma viene subito colpito, e qui abbiamo una scena straziante in cui la Signora Yu lo guarda cadere a terra, sconvolta, e a quel punto, capendo di aver perso la cosa che davvero contava per lei, prima si lascia andare a una risata dolorosa ed esasperata, poi tira fuori un pugnale e si colpisce a morte. A terra, si trascina verso il marito allungando la mano verso di lui, finché non riesce a prendere la sua. Un gesto che l'uomo ricambia. In punto di morte, vorrebbe dirle qualcosa, ma l'ultimo respiro lo coglie prima che riesca a parlare. I due muoiono mano nella mano, circondati dalle guardie Wen, con un massacro tutt'intorno.
Non credo che FangMian amasse la Signora Yu, non quell'amore romantico e passionale, ma sono sicura che in fondo tenesse a lei, che provasse stima e rispetto per lei.
Nel frattempo, anche se i genitori gli hanno detto di scappare e mettersi in salvo, appena riescono a liberarsi di Zidian i tre fratelli fanno dietro front per tornare al Pontile del Loto. I due ragazzi lasciano la sorella al sicuro nel bosco, e si dirigono di corsa verso casa. Nello shock generale, Wuxian riesce comunque a mantenere una certa lucidità, ora ha un grosso peso sulle spalle, deve proteggere il fratello, e lo fa anche attraverso piccoli accorgimenti: come quando suggerisce di usare l'entrata sul retro invece che quella principale, quando nasconde se stesso e Jiang Cheng prima che Mano Fondi Nucleo li possa vedere, o quando dice al fratello, che vuole vendicarsi e prendersi i corpi dei suoi genitori, che ci sarà tempo per la vendetta, irrompere ora sarebbe un suicidio.
I due si arrampicano sulle mura e quello che si palesa davanti ai loro occhi è uno spettacolo sconvolgente, terribile, tremendo, scioccante. Con le facce sconvolte, le lacrime agli occhi e la rabbia in corpo, assistono alla distesa di discepoli massacrati... e poi ai corpi dei genitori. Senza essere visti, riescono a scappare via, e cominciano a correre, correre, correre. Una lunga corsa disperata per il bosco. Quando finalmente si fermano, Jiang Cheng vuole tornare indietro, e Wuxian deve rincorrerlo più volte per dissuaderlo. Se tornasse indietro, verrebbe certamente ucciso. Jiang Cheng ne ha abbastanza di lui, si arrabbia, lo prende per il collo come se volesse soffocarlo, lo spinge per terra, gli urla addosso. Si sfoga, gli scarica addosso la colpa, gli dice "Hai voluto fare l'eroe, bene, sei contento adesso? Perché hai dovuto immischiarti? Che importava se Lan Zhan e Jin Zixuan fossero morti?" Poi lascia la presa su Wuxian e si lascia cadere nell'erba, disperato, chiamando i suoi genitori.
In questo momento, capisco perfettamente il dolore, lo shock e la rabbia cieca di Jiang Cheng, e il bisogno angosciante che ha nel dover dare la colpa a qualcuno. Prima la Signora Yu, e adesso lui, devono puntare il dito contro qualcuno per quello che sta succedendo, e la persona più facile da incolpare è Wuxian. La loro è una rabbia irrazionale, perché, lo ripeto, non è colpa di Wuxian. Gli UNICI COLPEVOLI qui sono gli Wen, e basta. Scaricare la colpa su Wuxian è la soluzione più facile, perché ce l'hanno davanti, e perché sanno che con lui possono farlo perché Wuxian non risponde, lui ingoia tutto, mentre affrontare gli Wen sarebbe più difficile.
Qui Jiang Cheng manca anche di empatia. Ha appena perso la sua famiglia ed è arrabbiato (comprensibile), ma quella non era solo la sua famiglia, era anche la famiglia di Wuxian. Come può pensare che sia contento? È ovvio che anche Wuxian sta soffrendo, perché è la seconda volta che perde una famiglia. Purtroppo Jiang Cheng ha il grave difetto di vedere solo il proprio dolore, si lascia accecare dalla rabbia, e questo lo porta a essere irrazionale e a dire cose cattive.
E mentre capisco perfettamente la reazione di Jiang Cheng, qui comincio ad avere problemi nel capire Wuxian. È da quando hanno lasciato il molo che non so cosa sta provando. Voglio dire, so che sta soffrendo, ma non so esattamente cosa prova e cosa sta pensando. Mentre ho il punto di vista di Jiang Cheng quando si sfoga, non ho invece il punto di vista di Wuxian rispetto a quello che sta succedendo. Quando i due ragazzi sono nell'erba, Wuxian si limita a piangere in silenzio (e non è nemmeno un pianto disperato, è un pianto trattenuto), ma non dice una parola, quindi non riesco a cogliere il suo POV.
Non so come, Wuxian si addormenta nell'erba, e quando la mattina dopo si sveglia sia lui che il fratello sembrano esausti, come senza energie. La rabbia ha ceduto il posto a una sorta di depressione in Jiang Cheng, seduto con lo sguardo perso e fisso, immobile. Tocca a Wuxian farsi forza, e dare forza al fratello. Gli prende la mano e tenta di farlo alzare, e ci riesce solo quando gli ricorda che devono raggiungere la loro sorella, che li sta ancora aspettando da sola nel bosco. A quel punto Jiang Cheng si alza, ma è spento, privo di vita, privo di forza. E c'è un'inquadratura che non sono sicura di capire: Jiang Cheng non guarda nemmeno per un secondo il fratello, Wuxian lo guarda (come se si aspetti che gli dica qualcosa?), solo per un attimo, poi abbassa lo sguardo. Jiang Cheng non dice una parola, non lo guarda, e passa oltre.
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Jiang Cheng lo supera senza nemmeno guardarlo in faccia. Di nuovo, lo capisco: è chiuso in se stesso, scioccato, arrabbiato, deve metabolizzare quello che è successo. Capisco la reazione del chiudersi stile riccio depresso, e non è solo arrabbiato con Wuxian, ma penso che abbia anche bisogno di tempo per se stesso, per accettare la cosa a modo suo. Questo è il suo modo di reagire di fronte al lutto.
Ma Wuxian? Cosa gli passa per la testa? So che non è solito sfogarsi come Jiang Cheng e non si lascia nemmeno andare a pianti disperati, e in questo preciso momento, nonostante il dolore, lo shock e i sensi di colpa che gli hanno scaricato addosso, non può permettersi di abbandonarsi al dolore, deve essere forte e prendersi cura dei suoi fratelli. Quando Jiang Cheng si alza e passa oltre, si aspettava che gli dicesse qualcosa? Non credo si aspettasse delle scuse, perché credo abbia compreso la rabbia del fratello e forse pensa che abbia anche ragione, ma forse si aspettava/desiderava/gli avrebbe fatto bene, una parola da parte sua. Magari anche solo una pacca sulla spalla o un gesto con la testa o una semplice occhiata, qualcosa che gli facesse capire "per ora sono sconvolto e arrabbiato, e ho bisogno di tempo per accettare la cosa, ma forza, andiamo insieme da nostra sorella". Invece non riesce nemmeno a guardarlo per un attimo e non pronuncia una sola parola, e Wuxian abbassa lo sguardo (ferito?), ma ancora non so che cosa prova di preciso.
Questo evento rappresenta la prima grande spaccatura tra i due fratelli. Sono sicura che Jiang Cheng non odia Wuxian, e Wuxian non porta rancore per le parole del fratello, ma in questo momento c'è un evidente problema di comunicazione tra i due.
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Raggiungono la sorella, che li ha aspettati per tutta la notte. Come vede i loro visi distrutti e devastati, capisce subito che è successo qualcosa. Quando Wuxian si trova di fronte a lei per darle la notizia, all'inizio la guarda per un momento, trattenendo a stento le lacrime, poi non riesce a sostenere il contatto visivo, distoglie lo sguardo e si volta di lato, come se si vergognasse della notizia che le sta portando (non so se vergogna è la parola giusta).
E siccome abbiamo dato il via alle scene tragiche, ne abbiamo un'altra in cui i tre fratelli piangono sotto la pioggia. La sorella è scioccata (continua a ripetere "non ci credo, non ci credo" mentre piange), incredula e disperata, vederla piangere fa tornare le lacrime anche a Jiang Cheng, e anche Wuxian piange, ma ancora non riesco a capire esattamente cosa sta provando. Mentre il fratello e la sorella stanno GIÀ avendo una reazione al trauma, uno con una rabbia dolorosa e poi depressione, e l'altra con un disperato dolore, Wuxian sembra che non abbia modo di reagire e metabolizzare quello che sta succedendo, forse perché stanno succedendo troppe cose nella sua testa e non riesce a esprimerle. E il fatto di dover essere quello forte del gruppo che deve badare agli altri, lo "costringe" a non potersi abbandonare al dolore come gli altri due.
In qualche modo tornano sulla barca e Wuxian comincia a remare, mentre i fratelli siedono e piangono, con Jiang Cheng che accarezza Zidian della madre. Nella loro situazione, trovano riparo in una locanda, dove la sorella si mette a letto con la febbre alta. Ha bisogno di medicine, Wuxian quindi esce a comprarle, e prima di uscire raccomanda a Jiang Cheng di rimanere con la sorella e prendersi cura di lei mentre lui è fuori. Si inginocchia di fianco a lui, gli mette una mano sulla spalla, come per dargli coraggio, ma Jiang Cheng continua a tenere quello sguardo dolorosamente fisso, chiuso in se stesso. Wuxian si alza, fa qualche passo, e prima di varcare la porta si volta un'ultima volta a guardare il fratello. Ha le lacrime agli occhi, di certo gli fa male vederlo in quello stato, ma non sa come aiutarlo.
Quando ritorna alla locanda, scopre che Jiang Cheng per qualche motivo se ne è andato. Prova a chiedere alla sorella, ma lei non si è nemmeno accorta che fosse uscito, subito si agita, fa per andarlo a cercare, ma Wuxian la trattiene e le assicura che andrà lui a cercarlo e che lo riporterà indietro sano e salvo. Dovendosi separare da lei e lasciarla sola, disperato, le chiede di stare attenta e di andare dalla nonna, in attesa che lui riporti indietro Jiang Cheng. YanLi gli promette che starà bene, ma quando chiede a Wuxian di trovare Jiang Cheng così potranno andare tutti e tre insieme dalla nonna, Wuxian distoglie lo sguardo da lei, di nuovo non ha il coraggio di guardarla, e poi scappa via senza risponderle.
Ripensandoci, mi sono ricordata di quando @dilebe06 mi disse che in questo frangente Wuxian non si sente degno di provare il dolore per la perdita dei genitori. Il fatto che non riesca a guardare in faccia la sorella è un segno che si vergogna, che si sente in colpa per quello che è successo. Quando la sorella parla di stare tutti e tre insieme, lui scappa via, come se non si sentisse più degno di stare in quella famiglia perché ha rovinato tutto. Quindi ha tutta l'intenzione di ritrovare il fratello e riportarlo alla sorella sano e salvo, ma non può promettere la stessa cosa di se stesso.
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Immaginando che Jiang Cheng sia tornato al Pontile del Loto per cercare vendetta in un momento di folle disperazione, Wuxian corre a casa e si intrufola all'interno. Qui la prima persona in cui si imbatte è Wen Ning, che in un primo istante attacca credendo che sia immischiato nel massacro del Clan Jiang. Wen Ning gli assicura che non c'entra nulla, che è giunto sul posto appena ha sentito la notizia. Wuxian gli crede, sembra affidabile, lo lascia andare. Ma ha i nervi scossi, trema per l'agitazione, non ha idea di come agire. Wen Ning gli rivela che Jiang Cheng è stato catturato e ora si trova lì prigioniero, Wuxian considera l'idea di prendere Wen Ning e usarlo come ostaggio, ma il ragazzo gli offre il suo aiuto, gli dice che farà del suo meglio per liberare Jiang Cheng, e cercherà anche di portare fuori i corpi dei genitori, così che possano essere seppelliti in modo degno. Wuxian non ha un piano migliore, l'unica cosa che gli resta da fare è affidarsi a lui, nella speranza che sia davvero dalla sua parte e che riuscirà a liberare suo fratello.
Nel mentre gli Wen stanno banchettando per festeggiare la vittoria riportata quel giorno. D'ora in avanti il Pontile del Loto sarà una proprietà del Clan Wen, e gli verrà dato un nuovo nome. La smorfiosa piagnucola tra le braccia di Wen Chao, fingendo di aver avuto tanto paura di non rivederlo più, poi guarda con disprezzo il corpo della Signora Yu, accasciata accanto al marito in una scia di sangue. I due corpi vengono poi appesi sul portone principale, mentre gli Wen si danno ai festeggiamenti in puro stile Nozze Rosse cinesi.
Wen Ning è davvero dalla parte di Wuxian, e finge di controllare che sia tutto in ordine riuscendo a eludere le guardie, che si prendono gioco di lui quando il ragazzo si allontana. Wen Ning non solo è coraggioso come un eroe, ma si rivela anche furbo, usando la sua aria tanto dolce e innocente per giocare al doppiogioco.
Nella barca, Wuxian attende il ritorno di Wen Ning. È agitato, irrequieto, con i nervi a pezzi, come se fosse sull'orlo di un cedimento nervoso o di un attacco di panico. Mille pensieri gli affollano la mente. Pensa a sua sorella, che ha lasciato sola, pensa a Jiang Cheng, si chiede se sia davvero lì, si chiede se Wen Ning gli abbia detto la verità e lo sta davvero aiutando. Le vite dei suoi fratelli pesano sulle sue spalle, non potrebbe mai perdonarselo se dovesse accadere loro qualcosa.
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aneddoticamagazinestuff · 6 years ago
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APPIO CLAUDIO CIECO: padre della via Appia
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APPIO CLAUDIO CIECO: padre della via Appia
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Appio Claudio, Figlio di Caio, Cieco , Censore Console due volte, Dittatore, Interré tre volte, Pretore due volte, Edile Curule due volte, Questore, Tribuno Militare tre volte, tolse molte città fortificate ai sanniti, sconfisse l’esercito di sabini ed etruschi, impedì la pace con il re Pirro, durante la censura fece costruire la via Appia, portò l’acqua a Roma, ed edificò il tempio di Bellona
(CARRIERA POLITICA ISCRITTA SU UNA LASTRA DEDICATORIA) 350-271 avanti Cristo
Una carriera politica, come si vede da questa lastra celebrativa, di tutto rispetto. Benché importante, però, la carriera da lui percorsa non fu rara a Roma, non diversa da quelle di alcuni Scipioni, Metelli, Messalla, Giulii eccetera. La sua collocazione nella storia romana è importante per altro. Intanto il soprannome, Cieco. Lo divenne in età avanzata (cataratte?), ma i suoi antagonisti politici divulgarono la voce che fosse stato accecato dagli dèi. Perché? Le versioni sono due su questo: lo castigarono, perché gli attribuivano l’intenzione di mescolare divinità greco-latine con divinità germano-galliche, e gli dèi mediterranei lo punirono per questo. La seconda versione, che appare più credibile (ma non si può escludere una sintesi tra le due), parla di accecamento per aver tradito la sua parte politica, il patriziato, a vantaggio della plebe. LA MACCHINA DEL FANGO NON L’ABBIAMO INVENTATA NOI! Rinnegato! Come? E perché? Le lotte dei plebei negli anni della prima fase repubblicana (dal 510 in poi) contro lo strapotere dei patrizi avevano portato ad una prima conquista: le leggi delle XII tavole. Molto dure, ma con un enorme pregio: erano scritte. Dunque venivano sottratte una buona volta all’arbitrio dei patrizi, che le raccontavano come pareva a loro comodo. Però le leggi scritte non bastano, perché le norme di procedura ed applicazione delle leggi sono rilevanti anch’esse del pari.
Anche oggi vediamo che qualche delinquente è rilasciato per un vizio di forma. La procedura è una garanzia di giustizia, che rende più attendibile una condanna o un’assoluzione. Quindi non la si può trascurare. Dunque le leggi delle XII tavole, se erano un gran passo in avanti, non risolvevano il problema dei soprusi dei patrizi, unici a conoscere le norme di procedura. Ecco che Appio Claudio incaricò un suo liberto, Flavio, di fare la redazione scritta delle norme di procedura (definito come ius flavianum), con ciò togliendo un’arma micidiale dalle mani dei patrizi. Per questo sarebbe stato accecato. Questo per quanto riguarda il COME. Quanto al PERCHE’, la spiegazione è tutta politica. Appio aveva iniziato a percorrere la strada dello sviluppo economico della città, fondato non più sul possesso della terra (per lo più in mano ai patrizi, e per questo erano potenti nella città), ma sullo sviluppo dei commerci, come chiarirà qualche altra iniziativa del Nostro. Aveva quindi bisogno dell’appoggio e del sostegno delle masse: facendo scrivere le norme di procedura, sottraeva una parte del potere ai patrizi, mettendo i plebei nelle condizioni di richiedere e ottenere maggiore giustizia. Ma altro ancora fece. Fu il primo a costruire un acquedotto (Aqua Appia) per il rifornimento idrico della città, che fino ad allora si era servita del Tevere e dei pozzi, ormai inidonei a soddisfare le necessità di una città in forte crescita demografica. Fu il primo di una serie di 13 acquedotti, capaci di portare a Roma (e da lontano) una quantità d’acqua superiore a quella che arriva oggi (2014) nella capitale d’Italia. E l’ingegneria fu straordinaria, tra bacini di raccolta, tunnel, vasche di decantazione, sifoni inversi, e pendenza costante e ben calibrata: il tutto solo sulla scorta dell’osservazione e della LOGICA, supportata ed alimentata da una lingua dalla logica ferrea, come nessuna altra lingua mai. E senza le nostre prodigiose macchine. La lapide ci dice poi che fece costruire la via Appia, che da lui prende il nome, e tante suggestioni evoca ancora oggi, se la si percorre (un’ottima scampagnata!). Le strade i romani le facevano con il criterio ed il progetto per una lunga durata, quindi sulla base di strutture ragionate e studiate perché durassero, e non come oggi, quando la manutenzione delle strade è fatta in modo tale da doverci rimettere le mani di continuo. E sono soldi! E cresce il PIL! (ma è il gioco delle tre carte il nostro). Era il primo tratto di una via che portava a Brindisi, porto d’imbarco per Grecia ed oriente, e terminava a Capua. Ma una strada, impegnativa e costosa, non la costruisci su un territorio, se non lo ritieni definitivamente tuo. E per i romani, sia i pro che i contro Appio, ormai quelle terre erano romane in via definitiva, e la prima, ma non unica, destinazione d’uso era quella militare: una strada per i trasferimento rapido delle truppe da Roma. Sull’esempio dell’Appia, l’intero territorio dell’impero dai romani è stato dotato di uno straordinario reticolo viario. Poi in Italia venne Pirro dall’Epiro (Albania), con l’intenzione di costituire un regno in Magna Grecia. Era inevitabile quindi che si scontrasse con Roma, anche se non tutto il meridione era sotto Roma (mancavano Lucania, Puglia, Calabria). In quell’occasione i romani per la prima volta videro gli sconosciuti elefanti (li chiamarono buoi lucani), e furono sconfitti ad Ascoli Satriano ed Eraclea. Ma Pirro ci rimise molti uomini (le famose vittorie di Pirro!) e si convinse che con Roma non l’avrebbe spuntata. Cambiò allora disegno, e voleva conquistare la Sicilia. Ma, per coprirsi le spalle, doveva fare la pace con Roma. Mandò quindi degli ambasciatori a parlare con il senato romano. Appio Claudio, ormai vecchio e cieco, si fece accompagnare in senato, fece una potente orazione (fonti antiche ce lo tramandano come oratore trascinante), che concluse più o meno così: “Se Pirro vuole la pace, esca prima dall’Italia! “. Dall’Italia? Non ha detto “dal territorio romano”, ma dall’Italia. Insomma questa uscita è rivelatrice di una convinzione che evidentemente girava a Roma, cioè che l’Italia (intesa come parte centro-meridionale, comprese Emilia Romagna, Marche, Umbria e Liguria), se non era tutta romana, era destino che lo diventasse. Chiara impostazione imperialistica.
Ma Appio si rivela come personaggio proteso verso il cambiamento, a tutto danno dei patrizi tradizionalisti, anche nei rari frammenti a noi giunti della sua produzione scritta. Gli appartiene la sentenza “Quisque suae fortunae faber est.” Ognuno è artefice della propria sorte. A noi sembra una cosa ovvia. Ma, se la collochiamo nel tempo, appare rivoluzionaria. In una città dominata da un formidabile senso di appartenenza e di collettività (non raramente i patrizi avevano costretto all’ubbidienza i plebei, con la scusa di guerre con i popoli confinanti, che essi stessi scatenavano ad hoc: nulla di nuovo sotto il sole!), uno che si alza e dice che OGNUNO, ogni singolo individuo è artefice della propria sorte, mette in dubbio quella granitica convinzione. Inoltre quell’ognuno sgancia il destino dei singoli individui dalla divinità, e per la classe dirigente romana la religione è sempre stata un potente collante per e con il popolo, ma anche strumento di dominio. Dunque un’affermazione rivoluzionaria, in linea con la cultura greca, di cui Appio era propugnatore, che esalta l’individuo, ed apre scenari politici nuovi, verso sviluppi che si affermeranno qualche tempo dopo , con le grandi personalità. Quanto rivela quell’ognuno!!!
La gens Claudia era migrata a Roma nel 504, sei anni dopo la cacciata di Tarquinio il superbo e degli etruschi da Roma, e la fondazione della Repubblica (ne parleremo un’altra volta): s’era portata appresso un seguito di circa 7000 persone, ed aveva ricevuto un buon tratto di terreno a ridosso dell’Aniene. Da dove veniva Attus (Appius), il capostipite? Fonti antiche parlano di Regillo, nel territorio sabino, identificata con molti dubbi con Marcellina, presso Tivoli. I moderni lo fanno muovere da Caere (Cerveteri), anche perché la zona del lago di Bracciano è stata zona particolarmente cara ai Claudii: c’è l’antica via Clodia (=Claudia), e tutto nella toponomastica e nell’onomastica inclina a chiamarsi con questo nome (acqua Claudia, residenza Claudia, forum Clodii, centro principale del lago presso Anguillara nell’antichità……).
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contropedale · 7 years ago
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Pedalando tra Gallipoli, cognati, trulli e piccole Dolomiti
La Jordy adventures è una dinamica agenzia di viaggi specializzata nella organizzazione di percorsi ciclistici con supporto logistico. Ne conosco l’affidabile management e quindi ho aderito con entusiasmo all’invito della combriccola di amici che ogni anno si ritrova per pedalare in compagnia lungo strade scoperte dalla Jordy Adv.. E’ la mia terza partecipazione (l’ultima fu qualche anno fa e finì per me poco gloriosamente con un bel volo e annessa clavicola scassata dopo solo un giorno). Insomma un’ottima occasione per portare allegramente a spasso le giberne su è giù per qualche misconosciuto tratturo.
Gruppo Lucania 2018 
 Programma : giro in  Basilicata e Puglia, per la maggior parte all’interno del Parco naturale di Gallipoli e Cognato (che, come è ovvio, non si trova vicino a Gallipoli e non è mai stato sposato, quindi niente cognati).
Arriviamo in albergo a Barile, in Vulture, giusto in tempo per la cena  per dare un’occhiata alle bici che ci hanno raggiunto nel BatFurgone guidato da Dragan : se Jordy, la nostra guida, è Batman, allora Dragan è Robin. E come Robin interviene e sbroglia le situazioni in cui Batman da solo “gnaafà”.
Per quanto mi riguarda, durante il breve volo per Bari avevo cominciato a sentire un certo malesserino non ben definito. Malesserino che durante la notte evolve in un tripudio di scarichi organici, brividi, febbrona e sudori freddi. Ottimo come viatico per il giro no? Ed infatti decido che trascorrero’ il primo giorno in furgone. Niente pedale, per me, sono un vero straccio.
Ma la giornata in furgone comodamente seduto a fianco di Dragan al seguito del gruppo pedalante è stata comunque divertente. E’ come partecipare ad un “dietro le quinte”, e , come in ogni “dietro le quinte” si fanno interessantissime scoperte. In primo luogo : Dragan ha attrezzato il furgone come la Batmobile : due navigatori (uno dei quali gli penzola davanti al naso) e un numero imprecisato di cellulari che pigolano e squillano in continuazione. Il Batfurgone è grosso ma Robin lo guida con scioltezza su per i bricchi senza alcun timore : si infila tranquillo in strettoie angolose, divieti di transito e pendenze ridicole. 
Momento di temporaneo relax...
Mentre lui svicola sui sentieri di montagna scovati dal maligno Jordy (alcuni con pendenze superiori al 20%), è impegnato a rispondere alle chiamate di emergenza dei vari ciclisti che, in queste circostanze, si rivelano dei colossali rompicoglioni. C’è chi chiama perché non sa dov’è (“ma hai la traccia gps sul Garmin no? Ecco…sei il puntino che si muove quando ti muovi”), chi chiama perchè si vuole fermare a mangiare (“ma siamo partiti mezz’ora fa!” ), chi chiama perché vuole sapere se manca molto all’albergo (…), chi chiama perché ha bucato, chi chiama perché la chiamata è partita per sbaglio verso il numero di Dragan-Robin che è un numero predefinito per questi giorni.
Rifornimento al volo
Poi arriva la chiamata che non vorresti arrivasse : Enrico è stato aggredito e morso da un cane salendo verso il passo delle Crocelle. Azz! Individuato il punto,  Dragan parte a cannone  e io mi sento proprio nel pieno della azione di soccorso, anche se, vista la velocità e la strada, non vorrei che prima o poi dovessero mandare dei soccorsi per noi soccorritori. In effetti il buco che ha Enrico sul polpaccio è abbastanza profondo : si parte quindi per il Pronto soccorso all’ospedale a Potenza. Enrico : “Dottore un cane mi ha morso il polpaccio” “uhmmmm….vedo. Ci ha messo su qualcosa? ”  “no, dottore,  gli è piaciuto così”. 
Antitetanica, antibiotici e sterilstrips per tenere insieme i lembi della ferita. Pare che i cani delle zone limitrofe apprezzino il ”Polpaccio del ciclista” ritenuto specialità locale. In effetti se ho in mente alcuni di noi, immagino che un cane possa rimanere affascinato da dei succulenti prosciutti a pedali (quando non dalle mie robuste giberne). Ma Enrico, poverino, prosciugato da anni di ultratrail, ha ben poca ciccia attaccata alle ossa. Si vede che era un cane in dieta : (“do’ un morsetto al grissino qui …,ma  lo assaggio solo…”)
Il giorno dopo Enrico risale stoicamente in sella, ignorando i consigli di alcuni che gli suggerivano di tatuarsi un osso sull’altro polpaccio o di spalmarselo con la mortadella, così, per indurre qualche altro cane a riportare un po’ di simmetria tra le gambe. E sono in sella anch’io, curioso di vedere come va dopo il giorno di riposo.Riposo si fa per dire, con il Batfurgone non si è mai fermi : e fai la spesa, e allestisci il pantagruelico ristoro, e raccogli le cartacce, e riparti per caricare chi ha deciso di non chiedere di più alle proprie chiappe….etc etc. Già dopo le prime curve il gruppo è sgranato. 
La salitella bastarda di Pignole
Riccardo scalpita
Io sono convinto di procedere di grande conserva viste le condizioni e la tappa importante (circa 100km e 2200 m di dislivello).E’ per questo che lungo la prima salita di giornata mi trovo a pedalare a fianco di Carlo (allenatore di sciatori professionisti, e, ovvio, forte ciclista) che sale tranquillo (lui, non io)  verso il primo scollinamento di giornata.
Qui metto in atto la mia tattica classica : far parlare il socio. In fondo basta ogni tanto grugnire uno stitico  “ma va laà……?” per tenere viva la conversazione anche a senso unico. Io nel frattempo cerco di non sputare troppi pezzi di polmone dissimulando la fatica con stile. Poi, all’approssimarsi del passo,  Carlo allunga solo un pochino il ritmo e io lo vedo poco a poco allontanarsi mentre continua cortesemente a parlare, pero’ con nessuno. Ma intanto la prima salita di giornata è alle spalle e non sto poi male come temevo. Mancano in fondo solo 75km e altri 1500m di salita : quasi finito quindi. Non : “è” quasi finito; bensì un più consono :“sono” quasi finito.
Claudio....beccato!
L’arrivo a Castelmezzano è spettacolare : sembra di planare su di un presepio. L’ammirazione per la JordyAdventures è ai massimi : ma dove li scova questi posti e queste strade? Dico, oggi avremo incontrato non più di una decina di macchine e abbiamo pedalato su e giù in mezzo a spettacolari imponenti faggete secolari, con gruppi di cavalli bradi in libertà e l’onnipresente profumo delle ginestre.Colli, gole, torrenti, radure,accompagnati solo dal fruscio della ruota libera (e da qualche sporadico mormorio intestinale di chi si commuove di fronte a tale bellezza).
Castelmezzano, oltre ad essere un borgo fiabesco, presenta anche una particolare attrazione  : il volo dell’Angelo. Una zipline doppia di 1,5 km che unisce CaStelmezzano a Petrapertosa e consente un viaggio di andata e ritorno volando a 500 m di altezza attaccati ad un cavo a più di 100km all’ora. Io soffro di vertigini, mal sopporto rimanere appeso e non mi piace molto la velocità : quindi per me è l’esperienza ideale no? E? per questo che mi son fatto trascinare dagli altri no? E’ per questo che ora sono qui con Davide che, anche lui, vive con terrore gli ultimi preparativi prima del lancio mentre gli altri se la ridono di gusto. Ed infatti eccomi che mi faccio infilare come un salame in una imbragatura da insaccato, attaccata ad una carrucola, con in testa una ridicola cuffietta di pizzo sotto un casco di sicurezza (ma sicurezza di che? se si stacca a carrucola e cado da 500 m mi devo mettere di testa per attutire l’urto col casco?). 
Salsiccia volante in decollo
Abbiamo tutti un aspetto ridicolo, sembriamo salsicce volanti con le cuffie di pizzo: se dovessi cadere spero proprio che la foto sulla tomba non sia quella che ci facciamo prima del lancio; non vorrei costringere la gente a trattenere le sghignazzate al funerale. L’esperienza  pero’ è fulminante : pronti via e in un attimo voli,  non fai in tempo ad accorgertene che sei già arrivato (tra l’atro prendendo una tega micidiale). Ta-PUM : tutto finito. Dura 1’10” ma sembrano solo 5 secondi. Tant’è : da qui in poi il gruppo si dividerà tra coloro che hanno fatto il volo (quelli che hanno i coglioni) e quelli che non l’han fatto (quelli che non sono coglioni).
La terza tappa ci porta a Matera, anche in questo caso iniziando tra strade di montagna deserte che si avvitano verso l’alto tra boschi e pinnacoli di roccia.
Come al solito il gruppo dopo poco si sgrana per ricompattarsi alla primo pit stop di giornata, poco prima della discesona verso la Via Appia. Mi ritrovo con Michele (minchia, Michele!) e Matteo e sui lunghi rettilinei riusciamo a darci bene i cambi. Tanto bene che dopo un po’ ci accorgiamo di essere del tutto fuori strada. Un rapido check con Dragan lo conferma. Che si fa? Un cartello  dice che a Matera mancano 18 km. Fa caldo e Michele e Matteo decidono di continuare verso il traguardo. Io invece mi giro e ritorno sul tracciato originale che prevede un rinfrescante (spero) lungolago, lungo, appunto, il lago di San Giuliano.
Grande idea, la mia. Il lungolago di fatto è una strada che si limita a costeggiare il lago da lontano, tra campi di grano bollenti e continui saliscendi. Sono solo e ho pure finito l’acqua. Di fontane nemmeno a parlarne. Il bar più vicino è a Matera. Quindi decido di infilarmi in un vialetto per chiedere dell’acqua in una fattoria. Vengo accolto da un basso borbottio che si trasforma in un ringhio. Tre simpatici pastori maremmani mi vengono incontro mostrando i denti, e non per sorridermi. Azz! Scendo dalla bici e la metto tra me e loro, arretrando con calma (si fa per dire). Poi mi viene un’idea : fingo di guardare lontano e grido “Ecco che arriva Enrico!” I cani partono in quella direzione e io mi defilo. Si vede che nel mondo canino si è sparsa la notizia e il polpaccio di Enrico è stato apprezzato.
Matera mi accoglie con uno scroscio di pioggia. Ma dai…in fondo siamo arrivati. Mica tanto. Usare il gps a Matera è come giocare a shangai con i guantoni da boxe. Qualsiasi cosa fai, sbagli. E le pietre del sasso baresano sono scivolose come sapone. Per fortuna abbiamo le scarpette da bici,che, come noto, hanno una grande tenuta. Scopro poi che la stessa disavventura è capitata più o meno a tutti noi. Le tracce dei nostri Garmin a Matera sembrano quelle di gatti schizofrenici : di là, di qua, avanti, indietro, sempre fuori bersaglio. Fortunatamente l’albergo prenotato dalla JordyAdv è spettacolare. Una camera ha addirittura un locale jacuzzi scavato nel tufo.
 L’immagine di Lello nudo come un verme bicolore immerso nella vasca con le bolle (non si sa se la Jacuzzi fosse accesa) è una di quelle cose con cui potremo tutti ricattarlo per gli anni a venire.
Da Matera partiamo per Cisternino, di nuovo al completo dato che Ricki è riuscito a farsi aggiustare la bici. Un inconveniente da nulla. Ricki, filiforme atleta  noto per la pedalata leggera e delicata, ha sradicato il cambio dal forcellino triturandolo in mezzo ai raggi. Ma grazie ad un intraprendente meccanico locale è qui che pedala, usando pero’ il cambio con un po’ di circospezione.
Serio professionista in trasferta
Da Matera a Cisternino sono chilometri in teorica discesa, niente montagna oggi, ma solo mangiaebevi spaccagambe. Ammirevole la tattica suicida di Claudio che ad ogni minimo strappetto si lancia in uno scatto come non ci fosse un domani. Non so se il suo cardiologo apprezzerebbe. Ma ha energia da vendere visto che è partito con una intera dispensa nelle tasche, dalle quali ad un certo punto estrae anche un uovo sodo che si divora con allegria. Io mi mantengo nelle retrovie mentre lì davanti si spolmonano senza pietà : ma non fa per me. Ho provato a tenere un rilancio in salita con Marco (uomo dalla potenza devastante, teorico del 71- chi c’è sa a cosa mi riferisco) ma l’unico risultato è stato tenere la sua ruota per pochi secondi salvo poi spegnermi inesorabilmente con un rantolino.
Nel frattempo laggiù, Riccardo “hors categorie”, viaggia su suoi ritmi inarrivabili. Deve farlo altrimenti il coach stasera gli scruta Strava e lo cazzia. A volte, prima di cena,  lo vediamo che compulsa nervosamente l’iPad con Strava, forse per taroccare le medie (che con noi al seguito sono inevitabilmente basse) per evitare il cazziatone del coach a distanza. Insomma, una vita dura.
Cisternino ci accoglie nel più puro stile JordyAdv : una masseria spettacolare, con prati verdissimi, agavi, ginestre e aperitivo a bordo piscina di 30 metri a sfioro. La vera goduria del ciclista. Non so che cosa avranno pensato i pochi clienti stranieri presenti, dall’aria molto british, di fronte alla invasione di energumeni in costume con abbronzature improponibili (del tipo mottarello a righe).
Per fortuna abbiamo resistito alla tentazione di fare gare di tuffi a bomba. Il bavone ci ha sconsigliato. A cena mi ritrovo seduto di fronte a Davide, amabile chiacchierone. Dopo circa mezz’ora Lello propone al gruppo di prendere a rotazione il mio posto di ascoltatore, tanto Davide va avanti comunque. Si interrompe solo per il brindisi al titolare della  Jordy Adventures, che ha festeggiato ieri il compleanno. 
L’ultima tappa è uno scherzetto, con discesa verso il mare per chiudere in bellezza, passando per Alberobello.  Bastano 50 km e un po’ di saliscendi per convincerci a puntare con decisione verso la costa dove ci spiaggiamo su una terrazza sul mare (nel vero senso del termine). Alcuni hanno preferito non partire e andare in spiaggia in taxi e quindi siamo a ranghi ridotti. 
Compulsando watt e pendenze
Questi quota 100 non sanno cosa sia
Vecchi a confronto
Spiaggiati
Dopo un po’ di birre e dei panini (con Davide che respinge le avances ancheggianti di una simpatica ninfomane settantenne in bikini e coi capelli rosa che pare apprezzare molto i ciclisti, mentre Marco punta una più potabile trentenne) prendiamo la decisione più coraggiosa della giornata. La strada di ritorno è tutta in salita e sotto il sole, ergo : si torna in furgone. Solo Marco ed Alberto rimettono il culo in sella e partono per il loro personale golgota. Mentre in 3 si strizzano a fianco di Dragan, altri 4 (Davide, Jordy, Carlo ed io) ci accomodiamo nel retro del furgone tra le bici e il sacco del ruffo, sul quale mi accomodo io. 
Aperitivo prima del volo
Sarebbe una roba che se ci fermano ritirano a Dragan la patente, il libretto, il furgone e le mutande. Cerchiamo quindi di passare inosservati, limitandoci a dare aria aprendo il portellone ogniqualvolta Jordy minacciava “ragazzi, devo tuonare” (informazione accolta dalle giuste rimostranze dei presenti). Sicuramente gli automobilisti che ci seguivano avranno pensato di avere incrociato un furgone carico di clandestini  (guidato da un serbo, poi….) : avrebbero cambiato idea solo se avessero sentito l’accento di Carlo al cui confronto Salvini sembra un vero terrone.
Finisce così, con un inglorioso ma divertente trasferimento furgonato il giro Lucania 2018.
E ora i ringraziamenti di rito : Albert-ino per il servizio fotovideo; Enrico-Dogman per il supporto alimentare alla fauna locale; Pier-lasalitalafaccioinfurgone per la ronzante presenza del drone; il Bavone per i periodici richiami alla sobria eleganza; Daniele per la fuga in maglia rosa; Davide per l’inesauribile parlantina (si cerca tuttora il pulsante OFF); Lello per la serietà in ogni occasione, soprattutto con le ciabatte come orecchie sotto il casco in posa da Flash Gordon; Michele per …minchia, Michele!; Matteo perché uno giovane e figo nel gruppo ci deve essere; Claudio per la abilità nello smontare (e NON rimontare) la bici; Ricki per la pedalata leggera; Riccardo per la pedalata frenetica;  Carlo per la stima che nutre per la Federazione Sci; Marco per la bici più cara del mondo; Albert-one, originale creatore del gruppo, per la inarrestabile perseveranza (furgone? MAI!). Ma soprattutto Batman- Jordy che riesce, non si sa come, sempre a trovare le strade più strette e più pendenti da inserire nel giro (si ricorda il leggero strappetto di Pignole difficile da fare anche a piedi) e l’inesauribile Robin-Dragan , unico uomo  che riesce a domare con tranquillità l’orda dei ciclisti affamati all’assalto del furgone ad ogni “stop panini”. 
Povero Dragan, che pazienza: temo che, tornato a Milano, al primo ciclista che incrocia lo punta e lo investe. Così, tanto per togliersi una soddisfazione.
Alla prossima.
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