#fiore de riva
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I really need a scene where Rook de Riva and Viago get to fight together. Show people how House de Riva handles business! And yes, Viago likes to use poisons to make his points, but we all know he can hold his own with weapons too.
I just need Fiore and Viago surrounded by enemies and not the least bit worried about it. It's just a Tuesday for Fiore, and Viago's the fucking Fifth Talon.
Viago's just like, "Shall we?"
And Fiore grins at him all, "Let's see if you can keep up. I think you've gotten rusty since you became a Talon."
Then they just divide and conquer and it's beautiful. They haven't fought together in years but they know each other. Viago stays out of staff and magical blast range, and Fiore uses those blasts to knock enemies into Viago's reach with his knives. It's like a dance, and both Teia and Lucanis are enjoying a treat in getting to see their partners be so hot and capable.
#dav#viago de riva#rook de riva#fiore de riva#rookanis#adding this to my list of things to write#because as always it's de riva siblings feelings time
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Obsessed with them rn actually Fiore de Riva, mage Crow, he/they
#this is not my main rook btw#my main rook is Nehwyn Aldwir#they're both Lucanis kissers tho so it's fine#dragon age veilguard#dragon age#veilguard#lucanis dellamorte#dragon age lucanis#dragon age rook#rook de riva#oc: Fiore de Riva
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not me making a second rook out of curiousity and him turning out so perfect i am now forever attached to him
meet fiore de riva <3 he may seem a bit quiet and awkward but his actions are always quick (sometimes even rush) (be it beating people in bars or decking the first warden) and descisive. death and violence being his whole life made a lot of impact but sure helps to get out of the impossible situations
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Arquitecto actual y del Renacimiento
¿Cómo describiría su trabajo como arquitecto?
Con la entrevista que obtuve del arquitecto Eduardo Rivas, profesor de diseño de la unidad nueve, me explica que la arquitectura se centra más que nada en el manejo de los espacios y la proyección de la idea, en la búsqueda de soluciones espaciales, pero también sociales; en la contribución de resolver los problemas que afectan a un cliente o a una comunidad en general. Además del papel importante y primordial de educar, que busca darle guía al estudiante para que este obtenga las habilidades necesarias para diseñar. Mientras que Brunelleschi veía la arquitectura con una visión muy distinta a lo que vemos hoy en día, podemos empezar diciendo que a diferencia del profesor Eduardo, Brunelleschi no tenía una visión especifica de lo que era la arquitectura, ya que este mismo a pesar de practicarla, no se educó ni recibió algún tipo de conocimiento sobre esta que no estuviese guiado por el interés propio o por la acción autodidacta. Este había crecido educándose en el campo de las matemáticas y la orfebrería, manifestando desde un principio un interés enorme en las artes y principalmente en la escultura. Pero luego, sus habilidades, junto con su investigación de las obras de antaño, le sirvieron para dar el salto hacia la arquitectura. Este salto, nos hace revelar que la visión que se tenía de la arquitectura por parte de este individuo era primordialmente artística y visual, algo que podemos también observar con el arquitecto Eduardo Rivas, ya que este le da una importancia clave a lo visual, como parte esencial del diseño, sino también en el manejo de los espacios internos de una obra, en donde busca crear una atmosfera agradable para el cliente, otra similitud que comparte con Brunelleschi , ya que este usa el método de la perspectiva para la creación de un entorno “perfecto” y ordenado. Pero además de esto, nuestro personaje renacentista también se centra en lo técnico e ingenieril, que se observa principalmente en la construcción de la cúpula de la iglesia de Santa María del Fiore, donde este utiliza métodos basados en sus conocimientos en las matemáticas, algo que podemos decir que realmente, el arquitecto del día de hoy a dejado un poco al lado. Ya que, en la era renacentista, el arquitecto estaba formado en distintos ámbitos de gran importancia que le permitían no solo ser el que proyectaba sino también el ingeniero y el artesano de la obra. Por lo tanto, los arquitectos Filippo Brunelleschi y Eduardo Rivas, comparten ciertas características importantes, principalmente en la parte visual de una obra. Sin embargo, debido a las diferencias de época y de pensamiento de cada uno al igual que de preparación, existe claras diferencias relacionadas en el campo.
¿Cuáles son sus tareas diarias?
Según el arquitecto Eduardo Rivas, algunas de las actividades que desarrollo como arquitecto, son las de buscar y reunirse con clientes, guiar la obra para que esta sea lo mas cercana a lo que se tenia proyectado; pero si hablamos de una comparación con Brunelleschi, en lo general, no hay una importante diferencia entre lo que hacía, y hace un arquitecto. Su papel de no solo diseñar, sino también dirigir la obra es simplemente básico y necesario y parte de su oficio. Sin embargo, en nuestro tiempo, el arquitecto cumple con otros deberes mucho más relacionados en el orden de la parte financiera, en el negocio y la comunicación con el cliente, en la muestra constante de sus ideas. Por lo tanto, relacionado con sus tareas diarias y deberes, el arquitecto, no ha cambiado mucho a lo largo de los años.
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Quella fisionomia calma, colorita, circonfusa di luce come un leggiadro fiore appena schiuso, riposava l’animo, comunicava l’incanto della coscienza che vi si rifletteva, e avvinceva lo sguardo. Eugenia era ancora sulla riva della vita, ove fioriscono le illusioni infantili, ove si colgono le margherite con un piacere che diventa più tardi sconosciuto. Sicché, specchiandosi senza sapere ancora cosa fosse l’amore, si disse: «Son troppo brutta, non mi guarderà neppure».
Honoré de Balzac, Eugenia Grandet
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OPHELIA - JOHN EVERETT MILLAIS
John Everett Millais è stato uno dei principali esponenti del Preraffaellismo, un movimento artistico britannico del XIX. Il nome della scuola si vuol riferire all’arte prima di Raffaello Sanzio, accusato di aver "inquinato l'arte esaltando l'idealizzazione della natura e il sacrificio della realtà in nome della bellezza", permettendo così gli sviluppi dell’accademismo, arte accademica e ufficiale, falsa e vuota.
I Preraffaeliti tentano di unificare tra loro i concetti di vita, arte, e bellezza a favore di un’arte che miri al recupero del rapporto diretto con la natura e dell’estrinsecazione dei sentimenti secondo i dettami romantici. I temi di maggiore ispirazione sono colti in ambito biblico ma soprattutto letterario, dalle pagine della Divina Commedia o dalle opere di William Shakespeare.
Ophelia è un perfetto esempio di tutto ciò.
Ophelia è un dipinto olio su tela (76.2×111.8 cm) realizzato nel biennio 1851-1852 ed appartenente alla collezione della Tate Gallery di Londra.
La tela si ispira al personaggio di Ofelia, uno dei protagonisti femminili dell'Amleto di William Shakespeare.
Il momento raffigurato dal pittore è tratto dalla settima scena del IV atto della tragedia shakespeariana, in cui la regina Gertrude ricorda la morte della giovane Ofelia, impazzita a seguito dell’omicidio del padre avvenuto per mano dell’amato Amleto e successivamente annegata nel fiume mentre era impegnata a intrecciare ghirlande di fiori.
C’è un salice che cresce di sghembo sul ruscello e specchia le sue foglie canute nel fluido vetro. Con esse ella intrecciava ghirlande fantastiche di ortiche, di violacciocche, di margherite, e lunghe orchidee rosse a cui i pastori sboccati danno un nome più basso, ma le nostre fredde vergini chiamano dita di morto. Lì mentre s’arrampicava per appendere ai rami penduli i serti d’erba, un ramoscello maligno si spezzò, e giù i trofei verdi e lei stessa caddero nel ruscello querulo. Le vesti le si gonfiarono intorno, e come una sirena la sorressero un poco, che cantava brani di laudi antiche, come una che non sa quale rischio la tenga, o come una creatura nata e formata per quell’elemento. Ma non poté durare molto: le vesti pesanti ora dal bere trassero l’infelice dalle sue melodie a una morte fangosa.
Per il soggetto del suo dipinto, Milais decise di utilizzare come modella Elizabet Siddal, futura moglie dell’amico Dante Gabriel Rossetti, anch’egli esponente della scuola dei Preraffaelliti. Milais fece immergere la ragazza in una vasca da bagno riscaldata con delle candele. Prima di procedere con la realizzazione dell’opera, comunque, il pittore realizzò diversi studi preparatori, anche delle singole parti del corpo.
L’opera raffigura una bellissima Ofelia che, caduta nel ruscello, è distesa a fior d’acqua, abbandonandosi completamente alla corrente e a quella che sarà la sua morte, con le mani aperte e I fiori in una mano che vanno disperdendosi.
Nel dipinto, tutto l’interesse è riposto sull’elemento naturalistico: la vegetazione è ripresa dal vero ed ogni dettaglio è reso con impressionante rigore e precisione, a testimonianza di un rapporto profondo con la natura.
Tuttavia, si tratta di una fabbricazione apposita per la scena dipinta, poiché le specie floreali scelte dall’artista non fioriscono tutte nello stesso periodo dell’anno. Sono state scelte, infatti, per la loro valenza simbolica.
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I fiori bianchi, probabilmente ranuncoli, simboleggiano ingratitudine oppure superficialità.
Il ramo di salice piangente inclinato verso il capo di Ofelia rappresenta l'amore non ricambiato.
Le foglie di ortica che crescono a lato del salice simboleggiano il dolore, che l’ha condotta alla morte.
Le margherite che galleggiano vicino alla mano destra della figura esprimono la sua l'innocenza.
Le rose galleggianti vicino alla guancia di Ofelia sono simboli di gioventù, amore e bellezza.
La ghirlanda di violette che circonda il collo di Ofelia è un'allusione alla castità ed alla precoce morte della fanciulla.
L'olmaria (regina dei prati) sottolinea la futilità della morte della fanciulla.
I nontiscordardimé al margine del fiume esprimano la propria valenza simbolica nella loro stessa denominazione.
La viola galleggiante sulla veste di Ofelia simboleggia la riflessione.
L'adonide a lato della viola sottolinea il dolore che sta lacerando Ofelia, dolore espresso anche dalla presenza della fritillaria, tra il corpo ed il margine del fiume.
Infine, il papavero è il simbolo del sonno e della morte.
La raffigurazione del paesaggio comprende anche alcuni animali, tra I quali un pettirosso, che veglia silenziosamente sulla morte della ragazza, e persino un teschio, esplicito richiamo alla morte.
La malinconica follia di Ofelia è resa molto felicemente. Il volto della fanciulla non dà segno di paura o di rimpianto, ma mostra solo la stanchezza di una pazzia lacerante. Ofelia è pronta a lasciarsi andare, a diventare parte dell’acqua su cui si è posata e della natura che la circonda e l’accoglie.
I colori coinvolgono prevalentemente le diverse tonalità di verdi e marroni, andando a creare un’atmosfera sommessa e fiabesca. Comunque, brillano in modo vivace e lucido, permettendo ai più piccoli dettagli di emergere sullo sfondo e rendendo la scena armonica.
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Il personaggio di Ophelia ha ispirato qualsiasi genere di opera, dai quadri, alle canzoni e ai film, per il suo carattere tragico di fanciulla casta e pura, vittima delle circostanze e del fato.
John William Waterhouse, anch’egli appartenente alla scuola dei Preraffaelliti, realizza nel 1894 un bellissimo dipinto, che raffigura la giovane seduta su un tronco sulla riva di un fiume, con fiori sul grembo e tra i capelli che la fondono con la verde natura circostante.
Ancora prima, nel 1844, Eugène Delacroix realizza un’opera dal titolo “Death of Ophelia”, che trasforma la figura di Ofelia in quella di una donna simbolo del romanticismo, con la sua sessualità innocente ed interrotta.
Prima nel 1852, e una seconda versione nel 1863, anche Arthur Hughes realizza la propria versione della fanciulla e ne cattura la dolcezza e la delicatezza, non solo nei colori ma anche nella morbidezza delle linee.
Nel 1870 Arthur Rimbaud dedica alla figura di Ophelia una poesia
I
Sull'acqua calma e nera, dove dormono le stelle, come un gran giglio ondeggia la bianca Ofelia, ondeggia lentamente, stesa fra i lunghi veli… – Dalle selve lontane s'odono grida di caccia.
Son più di mille anni che la triste Ofelia passa, bianco fantasma, sul lungo fiume nero. Son più di mille anni che la sua dolce follia mormora una romanza alla brezza della sera.
Il vento bacia i suoi seni e dischiude a corolla i grandi veli cullati mollemente dalle acque; i salici frusciando piangono sulla sua spalla, sull'ampia fronte sognante si chinano le canne.
Le ninfee sfiorate le sospirano intorno; ella risveglia a volte, nel sonno di un ontano, un nido da cui sfugge un piccolo fremer d'ali: – un canto misterioso scende dagli astri d'oro.
II
O pallida Ofelia, bella come la neve! Tu moristi fanciulla, da un fiume rapita! – I venti che precipitano dai monti di Norvegia ti avevano parlato dell'aspra libertà;
e un soffio, sconvolgendo le tue folte chiome, all'animo sognante portava strani fruscii; il tuo cuore ascoltava il canto della Natura nei gemiti delle fronde, nei sospiri delle notti;
l'urlo dei mari in furia, come un immenso rantolo, spezzava il tuo seno acerbo, troppo dolce ed umano; ed un mattin d'aprile, un bel cavaliere pallido, un povero folle, si sedette muto ai tuoi ginocchi!
Cielo! Amore! Libertà! Qual sogno, mia povera folle! Tu ti scioglievi a lui come la neve al sole: le tue grandi visioni ti strozzavan la parola – e l'Infinito tremendo smarrì il tuo sguardo azzurro!
III
– Ed il poeta dice che ai raggi delle stelle vieni a cercar, di notte, i fiori che cogliesti; e d'aver visto sull'acqua, distesa fra i lunghi veli, la bianca Ofelia ondeggiare come un gran giglio.
I
Sur l'onde calme et noire où dorment les étoiles La blanche Ophélie flotte comme un grand lys, Flotte très lentement, couchée en ses longs voiles… – On entend dans les bois lointains des hallalis.
Voici plus de mille ans2 que la triste Ophélie Passe, fantôme blanc, sur le long fleuve noir. Voici plus de mille ans que sa douce folie Murmure sa romance à la brise du soir.
Le vent baise ses seins et déploie en corolle Ses grands voiles bercés mollement par les eaux; Les saules frissonnants pleurent sur son épaule, Sur son grand front rêveur s'inclinent les roseaux.
Les nénuphars froissés soupirent autour d'elle; Elle éveille parfois; dans un aune qui dort, Quelque nid, d'où s'échappe un petit frisson d'aile: – Un chant mystérieux tombe des astres d'or.
II
Ô pâle Ophélie! belle comme la neige! Oui, tu mourus, enfant, par un fleuve emporté! – C'est que les vents tombant des grands monts de Norwège T'avaient parlé tout bas de l'âpre liberté;
C'est qu'un souffle, tordant ta grande chevelure, À ton esprit rêveur portait d'étranges bruits; Que ton cœur écoutait le chant de la Nature Dans les plaintes de l'arbre et les soupirs des nuits;
C'est que la voix des mers folles, immense râle, Brisait ton sein d'enfant, trop humain et trop doux; C'est qu'un matin d'avril, un beau cavalier pâle, Un pauvre fou, s'assit muet à tes genoux!
Ciel! Amour! Liberté! Quel rêve, ô pauvre Folle! Tu te fondais à lui comme une neige au feu: Tes grandes visions étranglaient ta parole – Et l'Infini terrible effara ton œil bleu!
III
– Et le Poète dit qu'aux rayons des étoiles Tu viens chercher, la nuit, les fleurs que tu cueillis; Et qu'il a vu sur l'eau, couchée en ses longs voiles, La blanche Ophélie flotter, comme un grand lys.
In ambito cinematografico, Lars Von Trier cita più volte Ofelia nel film Melancholia, del 2011. Kristen Dunst, nella scena iniziale, si lascia trasportare malinconica dalla corrente di un fiume, tra le mani dei fiori, le vesti zuppe dell’acqua che la accoglie. La stessa bocca socchiusa, lo stesso sguardo privo di paura.
→ QUADRI E FILM
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Ci troveremo un giorno al di là del fiume torbido delle nostre passioni su una riva incantata dove il silenzio è millenne! Ogni spino avvelenato sarà un fiore innocente e l'ardore che ci estingue sarà ombra e frescura e le lacrime versate dolce ruscello per specchiarvi i volti risoffusi di pudore. E ogni parola vana, silenzio, ogni parola amara, silenzio, vasto e senza memorie: che l'armonioso gesto de' nostri adorni riposi popolerà d'ombre placate.
Magda De Grada, Ci troveremo un giorno...
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citazione da "Fozza Cina" di Sabrina Carreras, Mariangela Pira - "Si tratta di aziende nuove di zecca, create ex novo dall’investitore cinese, come ad esempio il centro di ricerca sulle tecnologie wireless aperto nel 2011 a Segrate dal gigante dell’ICT Huawei. Ma anche di vere e proprie acquisizioni e partecipazioni, che secondo la fotografia scattata dalla banca dati Reprint in collaborazione con il Politecnico di Milano, l’Università degli studi di Brescia e la Fondazione Italia Cina, nell’89% dei casi vede l’investitore cinese detenere il controllo della società italiana partecipata. E non stiamo parlando di piccole aziende, ma del fior fiore del nostro Made in Italy: le prime imprese a diventare cinesi sono state la padovana Meneghetti, produttrice di frigoriferi, e la storica azienda di scooter pesarese Benelli. Poi è stata la volta della casa automobilistica De Tommaso, specializzata nella produzione di vetture da corsa e del gruppo toscano Salov, proprietario dei marchi di olio di oliva Sagra e Berio, e un giro di affari di oltre 300 milioni di euro sul mercato italiano, Usa e inglese. E non è tutto, perché, come vedremo meglio nel secondo capitolo, nel 2012 è diventato a maggioranza cinese il gruppo Ferretti, leader mondiale degli yacht di lusso, la cui divisione Riva ha progettato e costruito i gioielli della nautica più famosi nel jet set internazionale. E sempre nel 2014 è diventata cinese la casa di moda Krizia di Mariuccia Mandelli, venduta alla stilista, imprenditrice nonché ingegnere, Zhu Chongyun, una delle donne più ricche della Cina, proprietaria del colosso del prêt-à-porter Shenzhen Marisfrolg Fashion. Ma gli investimenti che hanno fatto più scalpore sono stati soprattutto due: l’acquisto nel 2014 da parte del colosso di Stato cinese State Grid, la maggiore società elettrica al mondo, del 35% di CDP Reti, la società controllata da Cassa Depositi e Prestiti, che a sua volta detiene i pacchetti di maggioranza di Terna e Snam, ovvero la rete elettrica e il sistema di approvvigionamento del gas in Italia. E sempre nel 2014 la cessione da parte del Fondo Strategico Italiano, braccio per gli investimenti della Cassa Depositi e Prestiti, del 40% di Ansaldo Energia, leader nella costruzione di centrali elettriche, all’azienda di Stato cinese Shanghai Electric. La ciliegina della torta arriva però il 23 marzo del 2015, quando le prime pagine di tutti i quotidiani italiani danno notizia della regina di tutte le acquisizioni: e cioè l’accordo per far passare all’azienda pubblica della chimica cinese ChemChina, il controllo del sesto gruppo industriale italiano, il volto per antonomasia del nostro capitalismo, la Pirelli. Se volessimo scegliere un’immagine che sintetizzi in un solo colpo d’occhio questa storia non c’è nulla di meglio dei tifosi dell’Inter Club Belli di Roma con la maglia nero azzurra e la scritta dello sponsor storico Pirelli, oramai entrambi di proprietà cinese. È da quel momento che i media iniziano a parlare di shopping cinese, perché a quel punto è chiaro a tutti che la Repubblica Popolare non è più soltanto la culla dell’export low cost ma è entrata da protagonista nel salotto buono della nostra industria e nei settori strategici del nostro Paese. E se si ha la pazienza di scorrere i commenti lasciati sulle principali pagine web dei siti sportivi e generalisti italiani al video «Fozza Inda» di Mister Zhang, quello che emerge è proprio lo stato d’animo degli italiani di fronte a questo cambio di marcia. C’è chi come l’utente «dàie» scrive sulla «Gazzetta dello Sport» che «finalmente qualcuno con i soldi veri viene ad investire in un Paese sull’orlo del fallimento», chi come «Commento Ufficiale» si chiede se le coppe dietro a Mister Zhang siano Made in China e chi poi si domanda se il calcio non rappresenti altro che il cavallo di Troia con cui la Repubblica Popolare intende colonizzare il Vecchio continente in crisi e con appeso il cartello «in vendita». http://www.baldinicastoldi.it/libri/fozza-cina/
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (9/x): Giulio Mattei di Lecce
di Armando Polito
Salenzio Itomeo il suo nome pastorale. Abate, entrò nell’Arcadia il 20 giugno 17081. Per Salenzio non è azzardato supporre un riferimento al Salento, quasi una forma aggettivale sostitutiva di Salentino, anche in funzione distintiva rispetto al milanese Pietro Antonio Crevenna, entrato in Arcadia il 2 maggio 17042, il cui nome pastorale era Salento Elafieio. Ma non credo sia estraneo neppure il Salentium di Leadro Alberti (XV-XVI secolo), per il quale rinvio a http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/16/tuttal-piu-me-lo-bevo-ma-non-me-la-bevo/, in linea con gli stessi moderni equivoci rilevati per Tommaso Maria Ferrari. Per Itomeo il riscontro è con il monte Itome in Messenia. Riporto due passi di Pausania (II secolo d. C.)3:
Καὶ γὰρ τοῦ Διὸς τὸ ἐπὶ τῇ κορυφῇ τῆς Ἰθώμης τέμενος …
(E infatti il santuario di Giove sulla cima dell’Itome …)
Ἐς δὲ τὴν κορυφὴν ἐρχομένῳ τῆς Ἰθώμης, ἣ δὴ Μεσσηνίοις ἐστὶν ἀκρόπολις, πηγὴ Κλεψύδρα γίνεται. Πάντας μὲν οὖν καταριθμήσασθαι καὶ προθυμηθέντι ἄπορον, ὁπόσοι θέλουσι γενέσθαι καὶ τραφῆναι παρὰ σφίσι Δία. Μέτεστι δ᾽ οὖν καὶ Μεσσηνίοις τοῦ λόγου. Φασὶ γὰρ καὶ οὗτοι τραφῆναι παρὰ σφίσι τὸν θεόν, Ἰθώμην δὲ εἶναι καὶ Νέδαν τὰς θρεψαμένας, κεκλῆσθαι δὲ ἀπὸ μὲν τῆς Νέδας τὸν ποταμόν, τὴν δὲ ἑτέραν τῷ ὄρει τὴν Ἰθώμην δεδωκέναι τὸ ὄνομα. Ταύτας δὲ τὰς νύμφας τὸν Δία, κλαπέντα ὑπὸ Κουρήτων διὰ τὸ ἐκ τοῦ πατρὸς δεῖμα, ἐνταῦθα λοῦσαι λέγουσι καὶ τὸ ὄνομα εἶναι τῷ ὕδατι ἀπὸ τῶν Κουρήτων τῆς κλοπῆς. Φέρουσί τε ἀνὰ πᾶσαν ἡμέραν ὕδωρ ἀπὸ τῆς πηγῆς ἐς τοῦ Διὸς τοῦ Ἰθωμάτα τὸ ἱερόν.
(Per chi va sulla vetta dell’Itome, che per i Messeni è la rocca, c’è la sorgente Clessidra. Cosa difficile anche per chi prende a cuore la questione è contare tutti quelli che pretendono che Zeus sia nato e cresciuto presso di loro. Il discorso riguarda pure i Messeni. Infatti anche questi dicono che il dio è cresciuto tra loro, che nutrici sono state Itome e Neda, che da Neda è chiamato il fiume e che l’altra abbia dato il nome Itome al monte. Dicono che queste ninfe lì abbiano lavato Zeus, che era stato nascosto dai Cureti per timore del padre, e che il nome alla fonte sia derivato dall’inganno dei Cureti. E ogni giorno portano l’acqua dalla fonte al tempio di Zeus Itomata)
Di lui non ho notizia di opere singole pubblicate, ma della sua attività di poeta rimangono numerose tracce in varie raccolte.
Due sonetti sono in Michele Federigo d’Althann vescovo di Vaccia, cardinale di Santa Chiesa, Viceré di Napoli, ecc. acclamato in Arcadia col nome di Teadalgo Miagriano Componimenti degli Arcadi della Colonia Sebezia, e d’altri non Coloni, Mosca, Napoli, 1724, pp. 63 e 102:
Signor, da l’uno a l’altro estremo Polo
andran di nostra Arcadia i pregi alteri,
e riverranno in lei que’ dì primieri, in
cui sublime ergean suoi cigni il volo.a
Se l’antico splendor tutto in Te solo
oggi riveste, e gli onorati, e veri
sentier riprende, onde un dì fia b che speri
girnec più chiaro il nostro eletto stuolo,
or qual darem ghirlanda al tuo valore?
Ch’a sommi Eroi non basta il crin fregiarsi
di lauro, o palma, o d’altro pari onore.
Dee sol di tue Virtudi ‘l serto farsi,
onde splender vedremo ogni Pastore
più che d’auro, e di gemme in fronte sparsi.
_______
a e ritorneranno in lei quei primi giorni in cui i poeti dell’Arcadia dettero splendida prova di sé. Michele Federico d’Althann era entrato nell’Arcadia nel 1722.
b sarà
c procedere
Spirti d’onor, che ‘n riva al Tebroa ancora
d’Arcadia amanti intorno a lei godete,
deh sul Sebetob a rimirar movete,
qual degno Eroe le nostre selve onora!
Quel, cha Virtude il Regno orna, e ristora,
il gran TEODALGOc, or non sdegnar vedrete
un serto umil, ch’in queste piagged liete
rozza man di Pastor tesse, ed infiora.
Vedrete ancor, come la fronda e ‘l fiore
pregio racquisti a la sua fronte intorno,
e prenda qualità dal suo valore.
Ma no, restate; e ‘l rivedrete un giorno
d’altro ben degno Ovil Sommo Pastore
sul Vatican di maggior serto adorno.e
________
a Tevere
b Antico fiume di Napoli.
c Come recita pure il titolo della raccolta, Teadalgo Miagriano era il nome pastorale di Michele Federico d’Althann.
d contrade
e Questi ultimi tre versi non furono profetici, perché Federico non fu papa.
Quattro sonetti sono in Rime degli Arcadi, Antonio de’ Rossi, Roma, 1717, tomo VI, pp. 283-285
Quell’io, ch’un tempo nell’età ferventea
vissi morendo al folgorar d’un guardo b,
che balenando ognor lume bugiardo,
fè d’impuro desioc l’anima ardente,
or d’altra etaded altro pensiero in mente
tepido accoglioe, e più d’amor non ardo,
che di ragione il moto lento, e tardo
contra il caldo d’amor fu sol possente:
così del van desio l’anima sciolse
il tempo, e fu dal tempo il fuoco spento,
che né forza, né luogo allor ritolse;
e alfin del lungo suo vaneggiamento
l’effeminato mio pensier raccolse
frutto sol di vergogna, e pentimento.
__________
a l’età giovanile
b sguardo
c desiderio
d dell’età matura
e accolgo
Il faggio è questo, in cui Serranoa incise
sotto il nome di Fillib i vari moti
del gran Pianetac, e i corsi a lui sol noti
delle stelle da noi tanto divised:
il sasso è questo, ove talor s’assise
cantando delle cose i semi ignotie,
come il tuon si formi, e come rotif
il fulmine sul monte in varie guiseg.
Or più nol veggioh, ch’a trovar sua stella
nel Ciel è gitoi, ove spess’io rimiro,
e chiamo Morte, che m’unisca a quella,
sovente al dolce luogo il passo giro,
e poiché non poss’io l’anima bella,
mi stringo al faggio, e al sasso, e poi sospiro.
___________
a Nome di pastorello inventato.
b Pastorella amata da Serrano.
c Giove
d lontane
e le origini sconosciute
f ruoti
g in vari modi
h non lo vedo
i andato
Di quell’ardor, che sparso in ogni parte
del petto mio, sì dolcemente appresi,
canto; e del bel, di cui forte m’accesi,
in amoroso stil vergo le cartea.
Quanto possibil sia l’ingegno, e l’arte
alzar vogl’io, per far chiari, e palesi
i raib, che dal bel volto al cor discesi,
fiamme, e dolcezze anc nel mio cor cosparted.
Ardito mio pensier dispiega l’ale,
passa le nubi omaie libero, e sciolto,
né ti sgomenti il volo, alto, e mortale,
poiché, quando da morte i’ f sarò colto,
forse avverrà, che viva, ed immortale
la mia fiamma ne resti, e ‘l suo bel volto.
____________
a scrivo versi d’amore
b raggi
c Sic per han.
d cosparse
e ormai
f io
Poiché di tristo umor gravida il ciglio,
la Real Donna, che in Liguria impera,
vide l’Italia in quella parte, ov’era
del proprio sangue il bel terren vermiglio,
– Qual fia – proruppe – quel più saggio figlio
di tanti, e tanti infra l’eletta schiera,
ch’or nel mio soglio asceso, a me l’intera
pace riserbi nel comun periglio! -.
Indi volgendo maestoso, e tardo
in quel, che la cingea, stuolo d’Eroi,
sovra di te, Signor, fermò lo sguardo,
e rimembrando i fatti egregi tuoi,
disse: – Le giuste brame, ond’io tutt’ardo,
tu solo, o Figlio, oggi adempir ben puoi.
La Real Donna potrebbe essere Genova e il Signor/Figlio Giovanni Antonio Giustiniani doge dal 1715 al 1717.
Della considerazione in cui il Mattei era tenuto da Giambattista Vico è prova nella raccolta da lui pubblicata nel 1721, della quale riproduco il frontespizio.
Alle pagine 109-146 si trova un lungo componimento del Vico nel quale (vv. 324-432) sono nominati i poeti4 il cui contributo fu inserito nella raccolta e ai vv. 401-402 si legge: il Mattei che valore/ha del nome maggiore. E, quasi a compensazione del valore senza notorietà, il Vico apre la raccolta proprio con un sonetto del nostro, che precede, addirittura, la dedica nuziale del grande napoletano. Non lascia adito a dubbi la nota che si legge in calce.
Ad un Ritratto dell’Eccellentissima Signora Marchesana di Sant’Eramo.
L’altera fronte, il bel celeste aspetto,
e ‘l volto imitator dell’alta mente
sù questa tela a noi rendon presente
Donna, ch’eccelsi spirti accoglie in petto.
Ma il grave onor, l’Angelico intelletto,
l’almo valor del senno, e la possente
forza del brio chi mai sì degnamente
ritrar potria conforme al gran Subietto?
E pur qui l’Arte la Natura hà vinta,
s’ogni virtù di lei vive, e innamora,
e vera appar, non che adombrata o finta.
Tal forte Idea compone, orna e colora,
l’eroica Immago, che se ben dipinta,
maraviglia, e rispetto esige ancora.
Questo nobil sonetto giunto, già data fuori la Raccolta, si è stimato ben fatto qui collocarlo.
E alle pp. 59 e 104 due sonetti del leccese.
Il laccio, ondea furb presi i cori alteric
di questi Eroi, la su nel Ciel s’ordìo
per man d’Amor, sommo Signore, e Dio
di Giove istesso, e de gli Dei più ferid,
santa Onestà lo strinse, e i suoi severi
modi a’ vezzi d’Amor soavi unìoe,
e molcef intanto un nobile desìo
i degni affetti lor casti, e sinceri.
Vieni dunque Imeneog con lieti auspici,
e su l’almeh già strette in un raccolti
versa de’ tuoi favori il bel tesoro.
Quindi vedrem da nozze sì felici
nascere i figli, e rinnovare i volti,
e i fatti egregi de’ grand’Avi loro.
__________
a da cui
b furono
c fieri
d fieri
e unì
f delizia
g Nell’antichità classica era il dio delle nozze e, come nome comune, l’ epitalamio, il canto nuziale che si cantava in coro mentre si accompagnava la sposa alla casa del marito. La voce è dal latino hymenaeu(m), che è trascrizione del greco ὑμέναιος (leggi iumènaios), a sua volta da ὑμήν (leggi iumèn), che significa membrana, imene.
h anime
Io veggioa in mezzo al bel talamob d’oro
sparger nembi di gioia, e far soggiorno
Amor, sua Madrec, delle Grazie il coro,
et Imeneod col vago cinto adorno,
et accese in festivo alto lavoro
mille facie cambiar la notte in giorno,
e Donne, e Cavalier con bel decoro
muover le danze, e cento applausi intorno.
Veggioa la pompaf in apparir fastosi
Eig vinto, et Ellah del trionfo alterai
i duo ben degni, e fortunati Sposi.
Odo al suon di più Lire, e in vaga schiera
cantar nobili Cignil: Eroi famosi
o qual Germem il Sebeton attende, e spera!
__________
a vedo
b stanza nuziale
c Venere
d Vedi la nota g del sonetto precedente.
e fiaccole
f sfarzo
g lo sposo
h la sposa
i fiera
l poeti
m discendenza
n Antico fiume di Napoli.
(CONTINUA)
Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria, Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/
_______________
1 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Roma, Antonio de’ Rossi, 1711, p. 371.
2 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, op. cit., p. 361; per completezza va detto che qualche decennio dopo il pisano Carlo Lanfranchi Chiccoli assumerà il nome pastorale di Salento Scopeo.
3 Ἑλλάδος περιήγησις, IV, 3, 9: Καὶ γὰρ τοῦ Διὸς τὸ ἐπὶ τῇ κορυφῇ τῆς Ἰθώμης τέμενος … (e infatti il santuario di Giove sulla cima dell’Itome …)
4 Oltre a Giulio Mattei sono (per quelli che fecero parte dell’Arcadia aggiungo il nome pastorale): Nicola Capasso, Nicola Cirillo, Nicola Galizia, Giacinto di Cristofaro, Gioacchino Poeta (Clealgo Argeateo), Matteo Egizio (Timaste Pisandeo), Francesco Manfredi, Casimiro Rossi (Vatilio Elettriano), Giuseppe di Palma, Francesco Buonocore, Gennaro Perotti (Filomato Nemesiano), Agnello Spagnuolo (Fidermo Falesio), Niccolò Sersale, Niccolò Salerno (Pirgeo Libadio), Andrea de Luna d’Aragona (Varisto Pareate), Andrea Nobilione, Vincenzo Tristano, Francesco Valletta, Giuseppe di Cesare, Silverio Giuseppe Cestari (Salvirio Tiboate), Giuseppe Aurelio di Gennaro, Vincenzo Viscini, Andrea Corcioni, Basilio Forlosia, Giulio Mattei, Marcello Vanalesti (Spimelio), Francesco Salernitano, Giovanni Maria Puoti, Casimiro Rossi (Vatilio Elettriano), Pietro Metastasio (Artino Corasio), Casto Emilio Marmi, Anton Maria Salvini (Aristeo Cratio).
#Arcadi di Terra d'Otranto#Armando Polito#Giulio Mattei#L'Arcadia#Salento Elafieio.#Salenzio Itomeo#Libri Di Puglia#Pagine della nostra Storia#Spigolature Salentine
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Fiore: So.
Lucanis: Don't.
Fiore: Sooooo.
Lucanis: Can we please not do this?
Fiore: I'm just trying to wrap my head around the fact that you tried to woo my brother.
Lucanis: 'Woo' is a strong word.
Lucanis: And it was a long time ago, so it doesn't matter.
Fiore: Well, congratulations, I guess.
Lucanis: On what?
Fiore: Bagging the sensible de Riva sibling.
Fiore: Imagine being gifted a beautiful knife from the Demon of Vyrantium and not being into it.
Lucanis: Oh. Well.
#dav#rookanis#viago de riva#lucanis dellamorte#fiore de riva#rook de riva#lucanis is going to immediately go out and find a beautiful mage knife for fiore#and she will be sure viago sees it and will mention it was a gift from lucanis#and let him put the pieces together himself
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[Books] Il peso dei segreti di Aki Shimazaki
Titolo originale: Le poids des secrets
Tsubaki, 1999
Hamaguri, 2000
Tsubame, 2001
Wasurenagusa, 2002
Hotaru, 2005
Autore: Aki Shimazaki
Prima edizione: Actes Sud (1999-2005)
Edizione italiana: traduzione di Cinzia Poli (Milano, Feltrinelli, 2016)
Presentazione dell'editore: Per tutta la vita Yukiko ha convissuto con un terribile segreto: la mattina del 9 agosto del 1945, prima che su Nagasaki fosse lanciata la bomba, ha ucciso il padre. In una lettera lasciata alla figlia dopo la morte confessa il crimine e rivela di avere un fratellastro. Ben presto si scoprirà che non è solo Yukiko a custodire segreti inconfessabili. I racconti personali si intrecciano con le vicende storiche: la Seconda guerra mondiale in Giappone, i conflitti con la Corea, il terremoto del 1923. Le generazioni si susseguono ed emerge un ritratto lucido di una società, quella nipponica, piena di contraddizioni e legata alle sue tradizioni. Sullo sfondo, la natura, presenza costante e discreta, delicata ed elegante come la scrittura di Aki Shimazaki: il vento che accarezza una guancia, le nuvole in un cielo afoso d’estate, le lucciole che volano sopra un ruscello, il prato blu dei wasurenagusa, le camelie nel bosco a Nagasaki. Frasi brevi, di raffinata semplicità, ora garbatamente poetiche, ora sensuali, che affrontano drammi privati e universali e anche la storia più cupa finisce per risolversi nella levità che Shimazaki ha saputo infondervi. “La grande solitudine di una donna prigioniera di un amore per un uomo senza scrupoli, la violenza dei sentimenti che spingono a uccidere o a polverizzare una città, l’insopportabile peso del segreto e, dietro, una meravigliosa sensualità. Un capolavoro.” ELLE
“Ci sono crudeltà che non si possono dimenticare. Per quanto mi riguarda, non si tratta della guerra né della bomba atomica”.
Il libro raccoglie cinque diversi romanzi - Tsubaki (Camelia), Hamaguri (Vongola), Tsubame (Rondine), Wasurenagusa (Nontiscordardi mé), Hotaru (Lucciola) - pubblicati originariamente tra il 1999 e il 2005.
Tsubaki, camelia, il fiore preferito di Yukiko.
"Il rosso di questi fiori è vivace quanto il verde delle foglie. Alla fine della stagione, cadono uno a uno, senza perdere la forma: corolla, stame e pistillo non si separano mai.""(...) Un mattino disse a mio figlio: “Vorrei morire come un fiore di tsubaki."
Yukiko, ormai anziana, muore lasciando alla figlia una lunga lettera in cui rivela un inconfessabile segreto e la storia del suo primo amore.
Hamaguri, le vongole giapponesi.
"(...) solo due metà combaciano perfettamente anche se tutte in apparenza sembrano simili."
La vicenda attraverso gli occhi di Yukio: dall'infanzia all'età adulta, fino alla scoperta della vera identità di suo padre.
Tsubame, la rondine, uccello monogamo, ma anche il soprannome del prete cattolico che accoglie e si prende cura di Yohni/Mariko.
"Sai, Mariko, le rondini viaggiano in coppia e allevano i piccoli insieme. Covano le uova a turno e cercano gli insetti per nutrire i rondinotti. Puliscono il nido, gettando gli escrementi. È meraviglioso, non ti pare?"
L'infanzia di Yohni e come è diventata Mariko; nella vecchiaia, il riaffiorare di un passato mai dimenticato e inaspettate rivelazioni.
Wasurenagusa, il nontiscordardimé, in russo nezabudka.
"Conosci la storia del wasurenagusa? (...)Nel medioevo, un cavaliere passeggiava con l’innamorata in riva al Danubio. Si chiamava Rudolf e lei Bertha. Sulla sponda la ragazza vide dei fiorellini azzurri e ne voleva qualcuno. Rudolf scese. Raccogliendoli, cadde nella rapida. Disperato, si dibatté, ma invano. Bertha fu colta dal panico. Lanciandole i fiori, lui gridò: “Non ti scordar di me!”, e sparì nell’acqua..."
A prendere la parola è Kenji Takahashi, marito di Mariko e padre adottivo di Yukio.
Dal primo matrimonio all'incontro con Mariko. Una vita scandita da figure femminili, dalla madre fredda eppure soffocante all'amatissima tata, dalla moglie da cui ha divorziato per non aver avuto figli alla donna con cui ha trascorso il resto della sua vita, rinunciando alla propria famiglia d'origine. Anche Kenji, però, non sa tutto delle proprie origini.
Hotaru, lucciola.
"Tsubaki, ecco la storia di una lucciola caduta nell’acqua zuccherata."
La più giovane delle figlie di Yukio, Tsubaki, ascolta il racconto di sua nonna circa la relazione avuta con Horibe, che per anni l'ha manipolata approfittando della sua ingenuità e del suo amore. Dal primo incontro a Tokyo al tragico epilogo a Nagasaki.
Due famiglie e tre generazioni legate in maniera indissolubile, molto più di quanto si potrebbe immaginare, costantemente in bilico tra verità e menzogna.
Ogni segreto ha un peso, ma la verità potrebbe esigere un prezzo ben più alto, mettendo fine a quella che, almeno in apparenza, pare una vita serena, una vita come tante.
Nonostante la tragicità di alcuni degli eventi narrati, la scrittura rimane piuttosto asciutta e non indugia mai più del dovuto sul melodrammatico.
I personaggi vengono descritti con poche, rapide pennellate, che si rivelano molto efficaci nel delineare figure emblematiche: Mariko, vero perno della vicenda, donna dagli occhi pieni di malinconia ma anche di una sensualità difficile da nascondere; Horibe, che dietro la facciata di marito e padre encomiabile rivela la completa mancanza di scrupoli, indifferente a come le sue azioni possano incidere sugli altri; Takahashi, un uomo buono, che per amore di una donna e un bambino, trova il coraggio di ribellarsi e riappropriarsi della propria vita; Yukio, che vediamo crescere piano piano, da bambino sensibile ad adolescente innamorato fino a marito e padre premuroso.
E poi c'è Yukiko, con la sua decisione di intervenire prima che tutto venga distrutto e che si ritrova a dover sostenere da sola e in silenzio il fardello di una colpa che pure ha permesso a tanti di poter vivere una vita felice.
Nei cinque libri che compongono Il peso dei segreti, i personaggi principali si alternano nel racconto delle proprie vicende personali, ciascuna delle quali partecipa alla ricostruzione di un quadro più ampio.
Allo stesso tempo, però, tutto è anche strettamente intrecciato a oltre 70 anni di storia giapponese, dal terremoto del 1923 (e le persecuzioni di cui furono oggetto gli immigrati coreani) alla bomba su Nagasaki, dal secondo dopoguerra alla fine del secolo scorso.
Vicende personali e storia universale diventano così un tutt'uno; i drammi dei singoli danno voce ad un dolore senza tempo, in una spirale che pare destinata a ripetersi in eterno, fino a quando, finalmente, c'è chi riesce a spezzare il ciclo, imparando dagli errori del passato.
La verità può far male e distruggere, ma talvolta è l'unica cosa in grado di salvarci da noi stessi.
La giustizia non esiste. Esiste solo la verità.
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could i get some first and last name help for a dj cotrona fc? (preferably on the italian side!)
Loml, le swoon. So, DJ is Italian and Polish, and being a lover of all things Italian, I have quite the list for you my dearest darling. Bold/Italics are my personal faves
First Names:Adamo, Adolfo, Agostino, Alberto, Aldo, Alessio, Alfonso, Alfredo, Alvise, Amadeo, Amando, Amadore, Amedeo, Angelo, Antonio, Armo, Arrigo, Arsenio, Aurelio, Augostino, Arturo, Brizio, Caj, Callisto, Celino, Cesare, Ciro, Costantino, Cross, Dante, Davide, Demetrio, Donato, Drago, Eliseo, Emilio, Enzo, Ezio, Fabrizio, Fiore, Florentino, Franco, Gasparo, Giancarlo, Gino, Giovanni, Guiseppe, Leone, Lazzaro, Isaia, Ignazio, Lino, Lorenzo, Luca, Lucio, Marcello, Nico, Nino, Orso, Paolo, Pietro, Raul, Rico, Romeo, Sabino, Sansone, Savino, Sergio, Simone, Tonio, Silvio, Vincenzo, Vitale, Xaviero
Surnames:Vitali, Conti, Pagano, Sanna, Bianchi, Caputo, Mariani, Leone, Giordano, Mazza, Mantovani, Rossi, Messina, Milani, Riva, Russo, Serra, Piras, Romano, Parisi, Constantini, Marino, Negri, Santoro, Gallo, Morelli, Rosetti, Costa, Lombarti, Carbone, Valentini, Neri, Donati, Ferri, Sorrentino, Ferraro, De Angelis, D'Amico, Esposito, De Santis, Sartori, D'Angelo, Barone, Guiliani, Bellini, Ferreti, Amato, De Luca, Rinaldi, Caruso, Guerra
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1973 International Posters “Bella, ricca, lieve difetto fisico, cerca anima gemella” Also Known As (AKA) Argentina Bela ricca leve Defecto Fisico Busca Alma Gemela Brazil Bela, Rica, Leve Defeito Físico, Procura Alma Gêmea Portugal Bela, rica, com pequeno defeito físico, aceita cavalheiro Hungary Szép gazdag nő kis testi hibával férjet keres Release Dates Italy 8 February 1973 Directed by Nando Cicero Music by Carlo Rustichelli Writing Credits Nando Cicero ... (story and screenplay) Sandro Continenza ... (screenplay) Gian Carlo Fusco ... (additional material) Technical specifications Runtime 1 hr 31 min (91 min) Film Length 2.670 m filming locations Incir De Paolis Studios, Rome, Lazio, Italy Cast Carlo Giuffré Carlo Giuffrè ... Michele Fiore Marisa Mell Marisa Mell... Paola Erika Blanc Erika Blanc ... Rosaria Fiore Elena Fiore Elena Fiore ... Vedova Teresa Pescosolido (La Figlia della Lupa) Gina Rovere Gina Rovere ... Francesca Amatucci, 'Sora Checca' Macellaia Nino Terzo Nino Terzo ... Teresa's Servant Maria Cumani Quasimodo Maria Cumani Quasimodo Renato Pinciroli Renato Pinciroli ... Signor Fiore Renato MalavasiRenato Malavasi ... Parmesan Rita Di Lernia Rita Di Lernia ... Head of Feminists Barbara Herrera Barbara Herrera ... Feminist Alfonso Tomas Alfonso Tomas ... Commissar Adriana Facchetti Adriana Facchetti ... Mother Superior Winni Riva Winni Riva ... Nun Veronica Gardiner Veronica Gardiner Franca Scagnetti Franca Scagnetti ... Nun Gino Pagnani Gino Pagnani ... Doctor Michele Cimarosa Michele Cimarosa ... Husband of fat woman Consalvo Dell'Arti Consalvo Dell'Arti ... Older Rich Man Giacomo Rizzo Giacomo Rizzo #bellariccalievedifettofisicocercaanimagemella #bellaricca #elenafiore #carlogiuffrè #carlogiuffre #carlogiuffré #marisamell #ericablanc #nandocicero #italiancultmovie #italianmovie #italiancomedy #italiancultcomedy #italiancultcomedymovie #cinecult #cinemaitaliano #commediaitaliana #commediaallitaliana (presso Studi Cinematografici De Paolis)
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[dropcap type=”1″]U[/dropcap]na passeggiata intensa che è stata in grado di portare attenzione all’offerta culturale della città, che non è solo quella dei musei e delle mostre per i turisti, ma anche quella della produzione culturale che significa tessuto, design, accessori e tanta dedizione manuale.
Come non iniziare questo percorso con una delle aziende storiche, fiore all’occhiello di Venezia? Ecco che si parte quindi da Bevilacqua, azienda leader che da generazioni ha tessuto con grande forza di volontà e dedizione vestiti, borse e molto altro. Basti pensare alle tante collaborazioni con i grandi brand, da Prada, Dolce & Gabbana, giusto per citare qualche nome. Giusto l’altro giorno a Venezia c’era John Galliano, che in visita privata ha visitato i telai veneziani di Bevilacqua a Riva de Biasio. Per produrre qualche metro di tessuto servono anni, perché la perfezione non ha tempo.
Da Riva de Biasio a Campo San Giacomo dell’Orio, dove lo studio d’architettura Kanz (fondato da Mauro Cazzaro and Antonella Maione) ha presentato al pubblico presente il proprio spazio, all’interno di uno spazio molto curato e ideale per chi svolge un lavoro creativo. Ma studio Kanz non è solo architettura, infatti si occupa anche di interior design: dalle lampade alle caraffe ai bicchieri, tutti ovviamente soffiati a mano dal design semplice ma altamente innovativo per ricreare ambienti all’avanguardia.
Chi non ha bisogno di presentazione è l’atelier Pietro Longhi, da anni punto di riferimento per la moda e per i costumi che hanno fatto da protagonisti in centinaia di feste veneziane. Un vero cult per gli amanti del settore, da non mancare.
Tra le attività da segnalare c’è sicuramente l’Atelier Arras (Campiello degli Squellini, San Polo 3235) a due passi dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove si scopre la lavorazione di tessuti con telai a mano. La produzione spazia dagli abiti, alle scarpe, agli oggetti d’arredamento. l’Atelier Arras inoltre è votato alla produzione sostenibile, utilizzando filati e fibre naturali e stampe fatte a mano e tinte con colori naturali.
Ultima tappa del nostro personale percorso svolto il 22 ottobre, segnaliamo anche le bellissime opere realizzate da Perlamadre Design – Perle veneziane contemporanee. A due passi da Campo San Barnaba a Dorsoduro, troverete collane e quant’altro fatte con un design unico che coniuga creatività e vetro. Perlamadre Design è un’idea della glass designer salentina Patrizia Iacovazzi e la veneziana Evelina Pescarolo.
Cena di Shabbat nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch / Shabbat supper at the seat of the Chabad-Lubavitch movement © Ferdinando Scianna / Magnum Photos
Tra le iniziative da non perdere questa settimana segnaliamo anche che il 27 ottobre la Casa dei Tre Oci partecipa all’iniziativa offrendo giovedì 27 ottobre un ingresso ridotto a 8€ anziché 12€ per visitare le mostre di René Burri, Utopia, e Ferdinando Scianna, Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo, e alle ore 18 un aperitivo, compreso nel prezzo del biglietto. Per chi desidera partecipare all’aperitivo �� necessario prenotare, mandando un’email a [email protected]
[quote_box name=””]Continuate a seguire le iniziative della Venice Fashion Night, con il calendario completo sul sito di Venezia da Vivere, con la grande giornata conclusiva del 29 ottobre.[/quote_box]
Venice Fashion Night: la città viva che punta alla qualità Una passeggiata intensa che è stata in grado di portare attenzione all'offerta culturale della città, che non è solo quella dei musei e delle mostre per i turisti, ma anche quella della produzione culturale che significa tessuto, design, accessori e tanta dedizione manuale.
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Di luogo in luogo, ogni domenica il nostro autore ci accompagna a visitare le delizie borboniche: oggi è la volta della sontuosa e sfortunata Villa d’Elbeouf di Portici
di Lucio Sandon
Da una guida turistica del ‘700:
Granatello: ameno casale dipendente dal borgo di Portici, in riva al mare, poco più di tre miglia a scirocco da Napoli. Quivi stanno deliziosi casini di campagna, tra i quali uno fattovi edificare dal principe di Lorena, Emanuele d’Elbeuf, che in tale occasione scoprì la sepolta città d’Ercolana. Passeggiata incantevole, la quale può farsi in meno di due ore in vettura da Napoli: vi è un luogo amenissimo, quasi lingua di molo, ove si può passeggiare, o far colazione sul mare. Pochi passi discosto vi è un luogo detto le Mortelle, ove esiste un piccolo tratto di parterra naturale, nel quale uno può sdrajarsi a piacere, o farvi una ricreazione qualora si amino tali campestri delizie.
C’est au prince D’Elbeuf qu’on doit les premières fouilles qui conduisirent à la découverte d’Herculanum. Ce prince faisait bâtir une maison de plaisance sur le bord de la mer, à Portici. Instruit que des habitans de Resine, en voulant creuser un puits leurs frais, avaient trouvé quelques fragmens de beaux marbres; le prince, qui en cherchait pour faire faire du stuc, ordonna qu’on creusât ce même puits jusqu’à fleur d’eau. A peine avait on fouillé le terrain latéralement, qu’on trouva quelques belles statues, et plus loin un grand nombre de colonnes, quelques unes d’albâtre fleuri, mais la plupart de jaune antique, appartenant à un temple. Naples était alors sous la domination autrichienne; le viceroi forma des prétentions sur les statues; elles furent envoyées à Vienne, et données au prince Eugène de Savoie.
Al principe D’Elbeuf dobbiamo i primi scavi che hanno portato alla scoperta di Ercolano. Questo principe stava costruendo una casa per suo piacere sul bordo del mare, a Portici.
Avendo saputo che alcuni abitanti di Resina, volendo scavare un pozzo per i propri interessi, avevano trovato alcuni frammenti di bei marmi, il principe, che stava cercandone per fare lo stucco, ordinò di scavare fino a fior d’acqua. Dove il campo era stato scavato lateralmente vennero trovate delle belle statue, e inoltre un gran numero di colonne, alcune di alabastro fiorito, ma la maggior parte di color giallo antico, appartenente a un tempio. Napoli era all’epoca sotto il dominio austriaco. Il viceré D’Elboeuf fece delle pretese sulle statue, che furono mandate a Vienna e date al principe Eugenio di Savoia.
Emmanuel Maurice duca d’Elbeouf, Barone di Routot e di Quatremarre e principe di Lorena, vantava come progenitore addirittura l’imperatore Carlo V. Nel 1706 al servizio dell’imperatore d’Austria Giuseppe I, venne nominato luogotenente generale della cavalleria tedesca e inviato a Napoli come vicerè, ma questa condotta contrariò molto Luigi XIV, il quale lo fece processare per diserzione in contumacia, e condannare all’impiccagione in effigie.
Per nulla impressionato, nel 1711 il principe commissionò all’architetto Ferdinando Sanfelice che aveva appena terminato il duomo di Amalfi, la costruzione di una residenza privata sul bordo del mare di Portici: fu la prima e sicuramente la più sfarzosa delle centoventuno ville vesuviane del Miglio d’Oro.
La villa sorse immersa nella vegetazione che allora fioriva rigogliosa in quel luogo, “Tra il rosso splendente del magma del Vesuvio e l’azzurro rasserenante del cielo e del mare del più bel golfo del mondo“, mentre i giardini erano alimentati da un complesso acquedotto che attingeva le acque dai primi contrafforti degli Appennini.
Questo acquedotto, detto Reale, passava a monte di San Giorgio a Cremano ed è indicato in una incisione del 1793 del geografo ufficiale del regno, il veneto Giovanni Antonio Rizzi Zannoni. Per costruire il palazzo di oltre quattromila metri quadri coperti fu necessario livellare il piano scosceso formato dalle lave delle eruzioni vesuviane del 1631 e 1633. Scavando fossati e accumulando scorie e terreno, si formò una grande piattaforma ove sorsero l’edificio e un esteso bosco, piantumato di specie rare, provenienti anche da paesi lontani.
Lo storico dell’epoca Diego Rapolla così descrive la villa:
Le stanze erano alte e sfogate, i loggiati stupendamente magnifici, i vani amplissimi e le porte simili a quelli dei castelli. Le suppellettili erano fastosissime e la copia dei marmi, dei bronzi e delle armature era così profusa che non esiste in tutto il contorno in sulla spiaggia un palazzo principesco (e ve n’erano parecchi) che con esso potesse in ricchezza e in delizia e lusso rivaleggiare. La villa mostra due simmetrici portali in marmo e piperno ai quali si accede da una trionfale scalea a doppia rampa, collegata ad una terrazza panoramica sul golfo di Napoli e le isole.
I frati Alcantariti del vicino convento di san Pasquale, avevano ordinato di ricavare un pozzo per l’acqua nel proprio giardino, e durante i lavori di scavo era stato trovato un edificio di marmo. Di questo ritrovamento venne a conoscenza il duca d’Elboeuf, il quale acquistò il pozzo con il terreno, e per circa nove mesi intraprese una personale campagna di scavo attraverso cunicoli, asportando statue, marmi di rivestimento, colonne, iscrizioni e bronzi.
Quanto siano stati dannosi questi scavi e quale depauperamento abbiano arrecato al patrimonio archeologico, ognuno può ben immaginare. Il principe aveva individuato in questo luogo, per lui di conquista, il punto di ingresso a una miniera dalla quale poter estrarre la preziosa merce. Molte delle opere d’arte sottratte da Ercolano presero la strada di Vienna, direttamente a casa del cugino carnale di D’Elboeuf, Eugenio di Savoia.
Le prime a partire furono tre statue in marmo, la Grande Ercolanese e le due Piccole Ercolanesi. Morto Eugenio di Savoia, le tre statue vennero trasportate presso la corte di Augusto III di Sassonia, re di Polonia e padre di Maria Amalia, la consorte di Carlo di Borbone, e ora sono custodite nell’Albertinum Museum di Dresda.
Ma fu questo come un barlume del giorno che cominciò a spuntare il 1711, quando il Principe d’Elbeuf saputo che nello scavarsi un pozzo sopra Ercolano si erano rinvenuti alcuni frammenti di marmo, ordinò che si continuasse quello scavo sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Stendardo, il quale discoprì un tempio rotondo periptero sostenuto esternamente da 24 colonne di alabastro fiorito, e nell’interno della cella da altrettante colonne dello stesso marmo tutto ornato di statue, fra le quali una di Ercole, e l’altra creduta di Cleopatra, le quali statue furono dal Principe d’Elbeuf mandate in Vienna a presentarne il Principe Eugenio di Savoia. E questi scavi con tanta felicità cominciati, furono interrotti, nè prima ripresi del 12 novembre 1738, per ordine del re Carlo III, che dallo stesso punto partiti da dove sotto il Principe d’Elbeuf eransi cominciati incontraronsi nel teatro d’Ercolano, nel foro ed in tanti altri pubblici e privati edifizii. E dobbiamo al grande animo di quel Monarca, tanto alle belle arti magnifico, l’aver aperto sì luminosa strada ai suoi Augusti Successori onde mostrare al mondo in queste città dissotterrate il più bello copioso e rilevante spettacolo che vantar possa l’Archeologia.
(Da Real Museo Borbonico – Antonio Niccolini – 1831)
Nel 1713, il principe si innamorò di Marie Therese Stramboni figlia unica di Jean Vincent Stramboni, e la sposò senza chiedere il permesso al suo re. Di questo il sovrano fu molto irritato tanto che l’imperatore richiamò immediatamente a Vienna l’incauto principe, mentre la sposa venne spedita in convento.
Il 9 luglio 1716 la villa venne ceduta da D’Elboeuf per 11.000 ducati a Don Giacinto Falletti Arcadi, marchese di Bossia e duca di Cannalonga. Nel 1742 gli eredi del Falletti vendettero la villa a re Carlo di Borbone, unitamente a 177 busti di marmo e un gran numero di colonne, statue e marmi antichi provenienti dagli scavi di Ercolano.
La residenza doveva servire come dipendenza marittima del vicino Palazzo Reale: in sostanza era la capanna sulla spiaggia della villa al mare. I Borbone arricchirono il palazzo con lussuose sale da pranzo, alcove, e vari saloni per le feste e i banchetti.
Il giardino venne riunito con il bosco delle Delizie, la grande riserva di caccia del Palazzo Reale di Portici: per accedere direttamente a Villa d’Elboeuf, venne costruito un viale, che dalla reggia attraversava tutto il parco.
Il re aveva acquistato la villa sia per stupire illustri ospiti con le sue meraviglie, che per potersi divertire nella pesca, e infatti ancora fino a pochi anni fa, si potevano ancora vedere sulla spiaggia dei canali che convogliavano le acque marine per alimentare piccole peschiere scavate nella lava vesuviana: le Regie Peschiere del Granatello
«Quivi rinchiusi, i pesci d’ogni forma e colore, tutti vaghi e sorprendenti, molto più squisiti in questo mare di Portici nel quale alimentansi pesci di così delicato sapore da esser detti per antonomasia “pesci del Granatello”.» Nel 1744 venne realizzato anche il porto del Granatello.
Al lato opposto delle peschiere resistono alle ingiurie del tempo e degli uomini, i resti dei cosiddetti Bagni della Regina, unico esemplare di architettura balneare stile impero, eredità del Decennio francese: una costruzione a due piani a forma di ferro di cavallo che accoglie un porticciolo. Venne fatta aggiungere alla villa nel 1813 per volontà di Carolina Bonaparte, moglie di Gioacchino Murat, durante il periodo della sua reggenza, e consiste in una serie di cabine disposte radialmente, affacciate su una balconata e contornate da un alto muro. Qui le donne della corte potevano prendere i bagni di mare al riparo di sguardi indiscreti.
Dopo oltre due secoli di splendore, la prima e la più sfarzosa delle ville vesuviane è andata in rovina: ai Savoia le case sul mare non interessavano.
La villa venne messa all’asta e acquistata dalla famiglia Bruno. Poi, dopo essere stata divisa in diecine di appartamenti, subì in breve sequenza, diversi vandalismi, ristrutturazioni folli, terremoti, occupazioni abusive, l’impianto di un ristorante anch’esso abusivo ma con il nome del nobile francese, crolli e apparizioni di fantasmi, che ne decretarono il rovinoso declino e l’abbandono.
La realizzazione della prima linea ferroviaria italiana sul retro del palazzo nel 1839, ha probabilmente la responsabilità dell’inizio del declino, culminato con il crollo nel 2014 di una parte dell’edificio sui binari, dove attualmente viaggiano moltissimi convogli ogni giorno.
Qualche tempo dopo, la villa è stata acquistata da una cordata di imprenditori privati. I nuovi proprietari dovranno garantire un restauro totale dello stabile, in coordinamento coi tecnici della Soprintendenza.
Al Genio del Luogo ed alle Ninfe abitatrici dell’amena spiaggia!
Per poter ritirarsi e vivere giorni lieti e tranquilli ed a prender vero diletto sia dagli onesti riposi sia dagli studi in compagnia degli amici, Emmanuele Maurizio di Lorena Duca di Elboeuf, fatto spianare il suolo e piantarvi alberi e condurvi acque potabili, questo quieto recesso si preparò.
Lungi ne ite, o cure moleste della rumorosa città.
(Epigrafe murata all’inizio del 1700 sulla facciata del palazzo D’Elboeuf, ora scomparsa)
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Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.
Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto “Cuori sui generis” 2019.
Sempre nel 2019, il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia” è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.
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