#filosofia pessimistica
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“Più Conosco gli Animali, Meno Amo gli Umani”: Origini e Significato di una Frase Iconica
La frase "Più conosco gli animali, meno amo gli umani" è un'espressione che ha affascinato e provocato riflessioni in moltissime persone.
Un’espressione tra misantropia e amore per la natura: chi l’ha detta e perché è ancora così attuale La frase “Più conosco gli animali, meno amo gli umani” è un’espressione che ha affascinato e provocato riflessioni in moltissime persone. Attribuita a diverse figure storiche e culturali, questo pensiero esprime un sentimento di delusione verso la natura umana, controbilanciato dall’ammirazione…
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"Un tempo non era permesso a nessuno di pensare liberamente. Ora sarebbe permesso, ma nessuno ne è più capace. Ora la gente vuole pensare ciò che si suppone debba pensare. E questo lo considera libertà"
Oswald Spengler, “Il tramonto dell'Occidente”
"Il tramonto dell'Occidente" di Oswald Spengler è un'opera monumentale che si pone come uno dei pilastri della filosofia della storia del XX secolo. Pubblicato in due volumi tra il 1918 e il 1923, il saggio esplora la ciclicità delle civiltà umane attraverso una "morfologia della storia universale".
Spengler propone una visione pessimistica del futuro dell'Occidente, paragonando le civiltà a organismi viventi che attraversano cicli di nascita, crescita, declino e morte. Secondo lui, ogni civiltà possiede un'anima, un ethos che ne guida lo sviluppo e il destino. La civiltà occidentale, caratterizzata da un impulso "faustiano" verso l'espansione e la conquista, si troverebbe, secondo Spengler, nella fase di decadenza, o "Zivilisation", dove i valori culturali e spirituali vengono sostituiti dal dominio del denaro e della tecnica.
La profondità di Spengler sta nella sua capacità di intrecciare filosofia, storia, arte e scienza per creare un quadro complessivo delle dinamiche storiche. Egli non si limita a descrivere il declino dell'Occidente, ma fornisce anche una critica acuta della modernità, evidenziando come la perdita di valori autentici porti a una civiltà vuota e senza scopo.
L'opera di Spengler è stata oggetto di molteplici interpretazioni e controversie, soprattutto per il suo fatalismo e il suo determinismo storico. Tuttavia, non si può negare l'impatto che "Il tramonto dell'Occidente" ha avuto sul pensiero contemporaneo, stimolando riflessioni sul significato della storia e sul destino delle società umane.
La sua opera rimane un testo fondamentale per chiunque sia interessato alla filosofia della storia e alle grandi domande sul futuro dell'umanità. La sua lettura richiede un impegno non indifferente, ma offre in cambio una prospettiva unica e provocatoria sulla storia mondiale e sul nostro posto in essa.
Oswald Spengler è stato un filosofo tedesco nato il 29 maggio 1880 a Blankenburg, Germania. È noto principalmente per il suo lavoro "Der Untergang des Abendlandes" (Il tramonto dell'Occidente), pubblicato tra il 1918 e il 1922, che è considerato un importante contributo alla teoria sociale. Dopo aver conseguito il dottorato all'Università di Halle nel 1904, Spengler lavorò come insegnante fino al 1911, per poi dedicarsi alla scrittura della sua opera principale. Nonostante il successo iniziale, visse in isolamento dopo l'ascesa al potere di Hitler nel 1933 e morì a Monaco il 8 maggio 1936.
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Dal prof. Giovanni Giolo
L’ULTIMO LEOPARDI E LA GINESTRA
Benedetto Croce giudica la poesia di Giacomo Leopardi in base alla sua teoria estetica “poesia/non poesia” e condanna la sua posizione pessimistica, che attribuisce alla sua “vita strozzata”: si sentì premuto, avvinto e sopraffatto da una forza brutale, da quella che egli chiamò la “nemica natura”, che gli spezzò gli studî, gli proibì i palpiti del cuore, e lo rigettò su se stesso, cioè sulla sua offesa base fisiologica, costringendolo a combattere giorno per giorno per sopportare o lenire il malessere e le sofferenze fisiche che lo tormentavano invincibili. Questa “forza brutale”, questa violenza e questa sopraffazione, secondo il critico, scavarono in fronte a Leopardi quel “solco di dolore e di nobiltà”, per il quale fu ben presto riconosciuto in Europa come essere assunto nella pleiade degli altri spiriti straziati e sconsolati.
Bisogna però riconoscere che il pessimismo leopardiano coesiste con una natura schietta e nobile, trepida, aperta alla vita, al desiderio e alla speranza. La condanna di Croce è duplice e riguarda non solo la poesia ma anche il suo pensiero filosofico, in quanto, per lui, “ la filosofia non è né pessimistica né ottimistica”. Ottimismo e pessimismo rispecchiano stati d’animo e umori personali, sono interpretazioni soggettive di circostanze e situazioni della realtà: *la filosofia, in quanto pessimistica od ottimistica, è sempre intrinsecamente pseudofilosofia* e Leopardi non offre se non sparse osservazioni, non approfondite e non sistemate: a lui mancava disposizione e preparazione speculativa, e nemmeno nella teoria della poesia e dell’arte, sulla quale fu condotto più volte a meditare, riuscì a nulla di nuovo e importante, di rigorosamente concepito. Ma per Leopardi il male e il dolore non erano “sparse osservazioni non approfondite e non sistemate”, erano “la sostanza di tutta la filosofia” (Operette Morali, dialogo di Timandro ed Eleandro).
Il 1947 è l’anno in cui il panorama critico cambia radicalmente per opera di Walter Binni (La nuova poetica leopardina) e di Cesare Luporini (Leopardi progressivo). La poesia del recanatese viene vista, al contrario di Croce, come tensione speculativa, esaltazione del vitalismo e dell’agire come supremo rimedio alla noia, disprezzo della politica e celebrazione del nulla (Leopardi è, come nota Karl Vossler, il religioso amante del nulla). Ne nasce un nesso sempre più stretto, nel periodo post-fiorentino e in quello napoletano, fra poesia e pensiero, che segna il suo apice nella Ginestra. Leopardi è un intellettuale legato al materialismo illuministico (per questo il tergo / vigliaccamente rivolgesti al lume / che il fe’ palese) che lo induce a invitare gli uomini, come in un estremo appello messianico, ad allearsi “in social catena” contro la natura madre di parto e di voler matrigna. Ma, giustamente notano i critici, il nesso poesia-pensiero era presente già nelle canzoni del ’21-‘22 fino alla rottura del concetto di natura benefica che trova la sua proclamazione nell’Ultimo canto di Saffo.
Cesare Luporini sostiene che Leopardi sia un filosofo “moralista” “ed è soltanto sotto questo riguardo che egli conta”, “non è un filosofo tecnico della politica e della società”, anzi si oppone a chi vuol considerarlo un filosofo politico “tra i massimi del nostro Ottocento”, come Luigi Baldacci. Andrea Rigoni inoltre lo paragona ai veri teorici della politica e della società quali Rousseau, Montesquieu, Tocqueville e Schmitt. Altri, in effetti, potrebbero sostenere, alla stessa stregua, che Leopardi sia un metafisico e un filosofo dell’estetica, visto che la sua “riflessione storico-politica risulta coordinata e solidale” con quella metafisica ed estetica.
Ma Croce rifiuta questo giudizio e nota che in questo campo egli non approdò ad alcun risultato. Ma la critica successiva lo dichiara sia poeta che filosofo moralista e afferma che come moralista è il più grande che l’Italia possa vantare, come Nietzsche è il più grande moralista che possa vantare la Germania. Può Croce confutare la tesi leopardiana – si chiede Sossio Giametta - del male e del dolore della vita, della vanità e della nullità dell’esistenza? Può negare l’eterna distruzione ad opera della natura dei suoi figli e di tutte le cose umane: giovinezza, salute, bellezza, speranza, affetti, gloria, virtù, poesia? Certamente no: tutto questo è inconfutabile, e inconfutabile è il destino di miseria, vecchiaia, malattia e morte di tutti gli esseri.
Nel ’21 Leopardi si chiede: come si fa la poesia? E risponde che gli spiriti sommi potranno vincere qualsiasi ostacolo ed essere sommi poeti e sommi filosofi, anche se questo accade molto raramente. Nel ’23 sostiene che la poesia cerca il bello e la filosofia il vero e che il bello e il vero si conciliano nel grande filosofo e nel grande poeta. Nel periodo napoletano il poeta acquista maggior sicurezza di sé e le Operette morali concludono l’esperienza di un’altissima prosa poetica in chiave autobiografica-filosofico-etica che decreta il fallimento delle illusioni ed esprime il rimpianto dell’essere vissuto invano e il mito dolce-amaro della ricordanza. L’ultimo Leopardi della *Ginestra* si misura sul presente, si erge in lotta col suo tempo, con il secol superbo e sciocco, sente la sua infinita superiorità rispetto alla filosofia ottimistica e spiritualista dei *nuovi credenti,* è cosciente *di possedere un senso più alto della vita e approda a una concezione eroica della poesia, come detentrice di una verità diversa e superiore rispetto all’egoismo, all’utilitarismo e alla vuota retorica verbosa ed inerte, alla viltà di fronte alla morte e al Dio crudele: *sempre / codardi e l’alme / ingenerose, abbiette, / ebbi in dispregio.*
Nel ’36 rivendica l’originalità della sua filosofia che si oppone “ai preti, i quali qui e in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente tutto." Nella Ginestra il pensiero leopardiano acquista una nuova ed estrema sicurezza di persuasione della assolutezza della sua verità. Egli si proclama illuminista, materialista, ateo e deride i sogni e i deliri della mente umana. Per lui l’uomo è il corpo, la materia sente e pensa, lo spirito è flatus vocis e nella materia *tutto* è male. Le sue “persuase” certezze sono la caducità e la fragilità dell’uomo, l’infinita vanità del tutto, la malvagità della natura, il naturale egoismo dell’uomo e l’opposizione degli uomini dabbene *contro la lega dei birbanti.*
Egli entra in polemica con gli intellettuali del suo tempo arretrati e *regressivi* (nella Ginestra li chiamerà astuti o folli), mentre nella Palinodia denuncia: *sempre il buono in tristezza, il vile in festa / sempre e il ribaldo.* Leopardi appare uno “sradicato”, un “ribelle”, un “democratico” per la sua scelta dello “stato franco” di una repubblica fondata sulla sovranità popolare che nella Ginestra diviene una organizzazione comunitaria di tanti uomini confederati nella lotta con la *inimica natura*. Egli da malpensante, come dice Leporini, è su un’onda più lunga degli uomini del suo tempo. La Ginestra, la più grande poesia dell’epoca moderna, può essere paragonata ai massimi capolavori dell’umanità per l’assoluta tenuta di ritmo, per la sconvolgente impetuosità, per l’invito a una gioia che è libertà e fraternità fra tutti gli uomini. Come scrive Natalino Sapegno: “Nella Ginestra il lirico, il solitario, maturatosi attraverso la passione, si è fatto degno di parlare ai fratelli, di erigersi profeta di una civiltà e umanità nuova. Anche il linguaggio è veramente nuovo, non il linguaggio vago, indefinito, tenero, nostalgico degli Idilli, ma una lingua intensa e vibrante, una sintassi concitata e piena di spezzature, una musica senza morbidezze e squisitezze melodiche, energica e piena di slancio, una poesia che lascia l’impressione di un’esperienza tutta aperta, non esaurita nella immobile perfezione, ma protesa verso il futuro”. Il poeta presenta la ginestra come un modello per il comportamento dell’umanità. Essa, fiore gentile, soffre senza orgoglio e senza viltà il destino che le è dato in sorte, commisera i danni altrui e prova compassione per tutti i viventi dei quali condivide la sofferenza, la debolezza e la sorte mortale. Essa non si comporta come l’uomo che stolto, nato a perir, nutrito in pene, / dice ; - A goder son fatto, - / e di fetido orgoglio / empie le carte, eccelsi fati e nove / felicità, quali il ciel tutto ignora, / non pur quest’orbe, promettendo in terra /a popoli che un’onda / di mar commosso, un fiato d’aura maligna, un sotterraneo crollo / distrugge sì che avanza / a gran pena di lor la ricordanza. Il suo comportamento è ben diverso da quello degli intellettuali spiritualisti del tempo di Leopardi che si ritengono destinati alla felicità terrena e ultraterrana, non vogliono riconoscere la loro mortalità, la sofferenza, l’estrema debolezza di fronte alla catastrofi naturali come quella del Vesuvio nel 79 che distrusse Pompei, Ercolano e i paesi circostanti. Leopardi sa quanto questi intellettuali sono interessati alla collaborazione con le forze reazionarie del suo tempo che vogliono lasciare il volgo nell’ignoranza e gli propinano menzogne, volgo che ha il diritto di conoscere la verità, nulla al ver detraendo, che è il blasone araldico più alto di Leopardi, verità denunciata con forza dalla sua suprema poesia della estrema fase della sua esistenza: via la speranza, via la felicità, via le illusioni sulla natura e sulla natura degli uomini, che sono prodotti della natura e della natura portano in sé istinti bassi, crudeli, egoistici, via il passato spiritualistico, teocentrico, geocentrico, antropocentrico, via le ideologie che detengono il potere del suo tempo, ma la proclamazione del vero e dell’amore per gli uomini generosi e saggi in lotta con la natura.
“Il pessimismo cosmico di Leopardi – scrive Binni – raggiunge ormai la sua meta combattiva e propositiva in un’apertura verso il futuro, in una offerta di “buona, amara novella”, priva di ogni afflato trionfalistico, ma sostenuta da un’energica persuasione di una via stretta e ardua, chiusa nei limiti di un destino di morte e sofferenza, di rinnovate stoltezze, di catastrofi naturali e cosmiche: “eroica” nella sua volontà di resistenza e contrasto, di non rassegnazione, nel doveroso tentativo di rifondare nelle sue amare verità una *polis* comunitaria, nell’alleanza prioritaria tra i veri intellettuali, portatori di verità e volgo pieno di forze potenziali autentiche, ben capace di “virtù” (la parola moralmente suprema mai abbandonata da Leopardi)”. La Ginestra – conclude il critico – propone una lotta contro la natura, “lotta il cui successo non ha nessuna garanzia e che è tanto più doverosa proprio nella sua ardua difficoltà, mentre attualmente sull’umanità incombe la minaccia della catastrofe nucleare”.
(Gianni Giolo)
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Il cane è l’undicesimo animale dello zodiaco cinese.
Secondo una teoria della filosofia tradizionale cinese, la teoria dei 5 elementi, tutto il mondo si può classificare come appartenente a: Oro (Metallo), Legno, Acqua, Fuoco o Terra. Anche lo zodiaco cinese segue questa teoria, quindi ogni anno cinese del Cane è associato a un elemento diverso.
Secondo la tradizione cinese, le caratteristiche di una persona dipendono dal segno dello zodiaco dell'anno di nascita e dall'elemento. Quindi ci sono cinque tipi di cani, ciascuno con caratteristiche diverse:
LEGNO [ 1934, 1994 ] sincero, affidabile, premuroso, comprensivo e paziente FUOCO [ 1946, 2006 ] intelligente, gran lavoratore, sincero TERRA [ 1958, 2018 ] comunicativo, serio, responsabile sul lavoro ORO [ 1910, 1970] conservatore, attraente, cauto, sempre pronto ad aiutare gli altri ACQUA [1922, 1982] coraggioso ed egocentrico, anche apparentemente egoista; esperto nel trattare le questioni finanziarie
Le persone nate sotto il segno del Cane sono leali e oneste, amabili e gentili, ma anche caute e prudenti. A causa del loro forte senso di lealtà e sincerità, i Cani fanno qualunque cosa per le persone che ritengono importanti per loro. Non sono buoni comunicatori, quindi è difficile per loro condividere i pensieri con gli altri. A causa di ciò, tendono a dare l’impressione di essere testardi. Nati con un buon carattere, i Cani non tendono a cercare guadagni disonesti. Cercano una vita tranquilla e una bella famiglia stabile.
I Cani sono sempre pronti ad aiutare gli altri, spesso trascurando i propri interessi, e soffrono molto se vengono traditi. Quando si trovano in difficoltà, i nati sotto il segno del Cane pensano che il mondo ce l'abbia con loro e complicato uscire dalla situazione. Sono anche molto critici quando commentano qualche cosa, giudicando tutto secondo la loro visione pessimistica.
affinità con: coniglio in contrasto con: drago, capra, gallo
Quando stringono delle amicizie, i nati sotto il segno del Cane non si aprono subito: sono lenti ad approfondire i rapporti con gli amici, questo a causa del loro essere cauti e conservatori. Una volta diventati amici intimi però, i Cani saranno fedeli compagni di vita. Preferiscono subire una perdita, piuttosto che mettere in difficoltà i loro amici e non vanno mai contro i loro principi per fare qualche cosa di immorale. I Cani non si innamorano facilmente, ma una volta che arriva l'amore, saranno molto fedeli e leali verso il partner, anche se, durante l'intera durata della relazione, i loro sentimenti seguiranno alti e bassi.
numeri fortunati: 3, 4, 9 e i numeri che li contengono (34, 49, ...) giorni fortunati: il 7 ed il 28 di ogni mese del calendario cinese colori fortunati: rosso, verde, porpora fiori fortunati: rosa, orchidea cymbidium direzioni fortunate: est, sud, nord-est mesi fortunati: sesto, decimo e dodicesimo del calendario cinese.
numeri sfortunati: 1, 6, 7 colori sfortunati: blu, bianco, oro direzioni sfortunate: sud-est mesi sfortunati: quinto e ottavo mese del calendario cinese.
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Il senso del lavoro
Il lavoro, sopratutto quello di fabbrica o di altre mansioni di tipo manuale, si basa sostanzialmente nell’assumere una persona che si prenda la responsabilità e l’accollo di fare un’attività pesante e scoraggiante, questo in cambio di soldi. Il lavoro non deve essere divertente, ragion per cui si definisce lavoro. Questa è la filosofia di lavoro più realistica, azzeccata, pessimistica ed incoraggiante.
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Edvard Munch. Il grido 1893
Edvard Munch. Il grido 1893
Edvard Munch. Angoscia. 1894
Edvard Munch. Disperazione. 1892
Edvard Munch. Il Grido. 1893
Il sentimento dell'angoscia viene trasferito allo spettatore non soltanto dal tema e dai colori, ma anche da alcune peculiarità della composizione. La figura del protagonista parte dal centro del quadro, in basso, ma poi devia leggermente senza peraltro arrivare a occupare decisamente la destra della composizione. Il bordo superiore della testa occupa quasi il centro della linea mediana della tela, ma il nucleo dell'attenzione, l'ovale della bocca, risulta spostato verso il basso e oppresso dalla parte alta della composizione, più forte anche in termini di colore. Munch qui ci impedisce di indentificare la sua composizione con qualsiasi schema già praticato dalla storia dell'arte dunque, in un certo senso "pacifico". Il quadro è diviso dalla diagonale della staccionata: manca un piano orizzontale evidente, una base sicura su cui appoggia le figura. Il quadro ppotrebe rimandare alla perdita precoce della madre si è anche ipotizzato che il cielo rosso rimanda al sangue della madre morente, vista da Munch bambino in una crisi di tubercolosi. L'andamento labirintico delle curve al di sopra della testa sembra un prolungamento delle ellissi conccentriche della bocca, del viso mummificato dalla paura, delle mani intorno alle orecchie. I fiordi e il cielo, la natura diventano prolungamento del sentire dedl protagonista, un labirinto fatto di linee ondulate, seguendo le quali l'occhio vaga senza punti di riferimento stabili: ricordiamo che il timore della perdita dell'equilibrio psichico, della follia, caratterizzò l'intera vita dell'artista. Il quadro indica una compenetrazione tra le sensazioni individuali e la natura, che ricorda la sinestesia (unione di sensazioni provenienti da organi diversi) cara al poeta francese Baudelaire e, a tutta la filosofia e la letteratura del Romanticismo, soprattutto nella sua versione tedesca. In questo caso l'armonia si spezza: la natura non regala più all'uomo alcuna serenità. L'individuo rimasto solo, ferito, trasferisce la natura il proprio senso di perdita e la trasfigura in un lago di sangue (il rosso) e di lutto (il blu-nero). La vita stessa (la strada) è una pista scoscesa e impossibile da percorrere, paralizzati come siamo nell'inquietudine che avvolge, insieme a noi, tutte le cose. Le iopere di Munch possono essere collegate da una medesima visione pessimistica della vita, come si evince già dai titoli dei dipinti Disperazione, del 1892, e Angoscia, del 1894. Vi rivediamo la stessa composizione formale presente nel Il Grido, con un rapporto figura/sfondo che crea un dispositivo sapiente: il viso della figura in basso a destra pemette di stagliare il viso della figura in basso a destra direttamente sulla scena di un paesaggio naturale inquietante e insanguinato, gli antipodi del rapporto di osmosi tra natura benigna e figura messo in scena dai ritratti rinasciemtali.
#madamevrath arte storia cultura avanguardiedelnoovecento edvatdmunch ilgrido novecento#madamevrath oil norvegia
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Come scegliere un seggiolone per la pappa? Idee e consigli 😉
Come scegliere un seggiolone per la pappa? Sembrava ieri quando il “frugoletto” dormiva beato nel porte-enfant. Qualche mese è passato e ora inizia a conquistare i suoi primi spazi. Sin dal sesto mese si può, infatti, cominciare a utilizzare il seggiolone. O, meglio, i seggioloni: uno a casa, l’altro in macchina. Per portarlo al ristorante, per affidarlo ai nonni o per scarrozzarlo nei week-end. Un seggiolone pappa migliore deve essere, anzitutto, tanto comodo quanto protettivo. E, magari, facilmente lavabile. Continua a leggere per saperne di più! ;-)
Seggiolone per la pappa: la sicurezza al primo posto
Non sottolineeremo mai abbastanza quanto sia importante puntare su un prodotto sicuro. Ma cosa significa esattamente? E cosa suggeriscono gli esperti? Nel settore il dibattito verte su quante ruote sarebbe meglio che avesse. Da una parte semplificano notevolmente il trasporto, ma si dimostrano, talvolta, anche potenzialmente pericolose. Un buon compromesso sono le due ruote: bloccano, ma per spostamenti occorre applicare lieve forza. Privo di ruote può presentare altri rischi. Il piccolo potrebbe, infatti, fare leva appoggiando i piedi a un tavolo o armadio e ribaltarsi. Per impedire questa eventualità, serve che il seggiolone per la pappa abbia almeno due ruote con freno oppure un dispositivo anti-ribaltamento. A tre o cinque punti di ancoraggio, fissa il bambino senza ostruirne i movimenti. Alcuni modelli in commercio, anziché tale supporto, propongono una barra di ritenuta. Con una fascia che separa le gambe e consente al bimbo di sedersi in tutta tranquillità.
Per ogni età ed esigenza
Occhio ai bordi: bene arrotondati. La seduta, ampia e comoda, ospita il bambino fino a tre o quattro anni. Se regolabile in altezza, consente di configurarlo in base alle specifiche necessità e allo sviluppo. E si trasforma come una sedia. Servizi accessori, come per esempio un cuscino imbottito, lo mettono ulteriormente a proprio agio. Determinati vassoi possono essere tolti e regolati in posizioni diverse. Così non creeranno disagi nel mettere e rimuovere il bebè, e si adatterà alla sua crescita. In altri casi mancano, progettati affinché mangi a tavola coi genitori. A proposito, questi ultimi pesano pochissimo, hanno dimensioni ridotte e sono, in larga parte, pieghevoli. Controlla che il sistema di ancoraggio sia stabile e solido. E che abbia elementi avvitabili. Dotato di una chiusura, a scongiurare eventuale incidenti. I vari modelli li puoi trovare su https://seggiolonepappa.it. Gli alza sedia, montabili appunto a una sedia, si rivolgono ai più cresciutelli.
Ergonomia e marchio di qualità
Un buono schienale, per essere considerato tale, dev’essere anatomico e ben imbottito. Possibilmente reclinabile in varie posizioni: equivale a superiore relax, ideale per brevi riposini. Ovviamente il seggiolone per la pappa non si sostituisce alla culla. Ma, ipotizzando che finita la pappa il bambino si addormenti, rappresenta una congrua soluzione. In quanto alle cinture di sicurezza, il giudizio risente dei tre seguenti fattori: forza di fissaggio, resistenza agli strattoni e allacciamento. Doppi dispositivi evitano chiusure accidentali. Sull’imballaggio o nelle istruzioni deve essere indicato chiaramente che i materiali sono solidi e atossici: altrimenti lascia perdere! Per accertarne la conformità verifica che rispetti la normativa europea EN 14988:2006. In vigore da maggio 2007, garantisce che abbia superato con successo il controllo qualità.
Fisso o removibile?
Il seggiolone per la pappa fisso implica sufficiente spazio. Altrimenti ce ne sono pure ripiegabili, da custodire in qualunque angolo o stanza. Ti abbiamo già raccontato che le case produttrici hanno in serbo proposte per accogliere il bimbo mentre sta diventando grande. Comode poltroncine o pratiche combinazioni tavolo-sedia. Volendo, idonee per essere usate anche a partire dalla nascita.
Seggiolone in legno
Talmente bello che cattura subito l’attenzione. E peraltro dura in eterno. Un oggetto di arredamento dalla “corazza” inscalfibile. Come dici scusa? Temi che ti porterà via delle mezz’ore abbondanti nell'installazione? Tranquillo. È vero che diverse marche li commercializzano parzialmente smontati. Ma non per questo bisogna fasciarsi la testa! Può succedere che comporti una certa fatica. Prendila con filosofia. Consulta attentamente il libretto e seguilo passo passo. A lavoro finito ne andrai fiero! E poi, diciamocelo, i pezzi importanti probabilmente li troverai già montati… Ecco, quello di cui verosimilmente ti dovrai occupare è il poggiapiedi: non richiede chissà quali abilità manuali.
Basso prezzo = bassa qualità?
È un dubbio vecchio come il mondo. Per il tuo angioletto faresti ogni cosa. Temi che, scegliendo un seggiolone per la pappa economico, poi te ne pentiresti. Una visione un po’ troppo pessimistica. Allora, forse durerà meno. Chiaro. A ogni modo, i standard qualitativi comunitari danno sufficienti garanzie. Oggigiorno l’ok alla vendita nel mercato europeo impone rigidi requisiti. Dunque i modelli assolveranno a lungo le funzioni per cui sono stati acquistati. Certo, capita che qualche rivenditore dall’animo poco nobile venda prodotti scadenti. Capirai però subito se c’è qualcosa che non quadra. Il contrassegno "Made in Italy" o comunque CE ti dovrebbe rassicurare in tal senso. Va bene il risparmio, a patto però che ciò non compromette la salute. Finché significa rinunciare a sistemi di frenata integrati o tecnologie innovative procedi pure tranquillo. In fondo, se hai in mente di lasciare il seggiolone per la pappa sempre montato non ne risentirai particolarmente. Read the full article
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