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Relazione fra grandezza genoma e dimensione fisica
Grande genoma e piccoli spermatozoi, i risultati della vasta ricerca Unipd. I ricercatori hanno inoltre dimostrato che i fattori associati all’evoluzione di spermatozoi “giganti” nei tetrapodi sono in parte legati, come prevedibile, alle strategie riproduttive. Nonostante le differenze di dimensioni corporee - da frazioni di grammo a molte tonnellate - che si osserva nei tetrapodi, vertebrati con quattro arti che comprendono anfibi, rettili, uccelli e mammiferi, la dimensione delle cellule che li compongono varia generalmente molto meno. Con un’eccezione: quella degli spermatozoi che, sebbene svolgano tutti la medesima funzione di trasporto del genoma paterno all’interno dell’uovo, possono misurare da pochi micron a oltre 3 millimetri. L’interesse nel comprendere queste differenze da un punto di vista evolutivo è aumentato negli ultimi due decenni circa, ma le metodologie statistiche applicate non permettevano di investigarlo ad una scala tassonomica ed evolutiva ampia; questo è stato poi possibile solo grazie all’abbondante disponibilità di dati riguardanti determinate specie e allo sviluppo di nuove metodologie soprattutto per il controllo filogenetico. La ricerca
Utilizzando un approccio innovativo per questo tipo di studi (la multi-ottimizzazione di Pareto) un gruppo di ricercatori del dipartimento di Fisica dell’Università di Padova diretto da Amos Maritan e composto da Flavio Seno e Loren Koçillari, esperti di fisica statistica, e un gruppo di biologi evoluzionisti del dipartimento di Biologia composto da Maria Berica Rasotto, Silvia Cattelan e Andrea Pilastro, sono riusciti per la prima volta a esplorare come si è evoluta la dimensione degli spermatozoi in relazione alla massa corporea nei tetrapodi basandosi sull’analisi di quasi 1.400 specie tra cui rane, piccoli uccelli come il luí, piccoli mammiferi come il toporagno e alcuni pipistrelli, ma anche il capodoglio, l’elefante, la giraffa, l’orso e l’uomo stesso. Lo studio dal titolo “Tetrapod sperm length evolution in relation to body mass is shaped by multiple trade-offs” e pubblicato sulla rivista «Nature Communications» dimostra che l’evoluzione della lunghezza degli spermatozoi (o spermi) nei tetrapodi, negli ultimi 350 milioni di anni, è stata influenzata dagli stessi vincoli in gruppi di animali molto diversi per fisiologia (omeotermi, come uccelli e mammiferi, ed eterotermi, come rettili e anfibi), biologia riproduttiva (fecondazione interna o esterna), e relazioni filogenetiche, suggerendo che per tutti valgano le medesime costrizioni evolutive. I risultati I ricercatori hanno inoltre dimostrato che i fattori associati all’evoluzione di spermatozoi “giganti” nei tetrapodi sono in parte legati, come prevedibile, alle strategie riproduttive – ad esempio il grado di competizione spermatica (quando una femmina si accoppia con molti maschi e gli spermi rivali entrano in competizione per fecondare le uova disponibili) e il numero di uova da fecondare – ma anche, sorprendentemente, alle dimensioni del genoma, un aspetto finora quasi inesplorato. Se l’aspettativa iniziale era, infatti, trovare una proporzione diretta tra la dimensione del genoma e quella degli spermatozoi, lo studio dimostra esattamente il contrario: le specie con spermi lunghi hanno un genoma più piccolo rispetto alle specie con spermi più corti. Unipd «I tratti riproduttivi sono spesso difficili da studiare in quanto influenzati da tantissimi fattori diversi – spiega Silvia Cattelan, corresponding author dello studio e, al tempo della ricerca, postdoc al dipartimento di Biologia dell’Università di Padova –. Il concetto di ottimalità di Pareto e il metodo statistico che abbiamo usato in questo studio ci hanno aiutato a sbrogliare questa matassa, permettendoci di dimostrare come la lunghezza degli spermatozoi sia associata in maniera complessa e non lineare alla massa corporea delle specie e quali siano stati i fattori che hanno principalmente influenzato l’evoluzione della lunghezza degli spermatozoi nei tetrapodi. Con questo risultato speriamo di stimolare ricerche future al fine di indagare, per esempio, se l’evoluzione di un genoma grande possa essere stato limitato in specie ad alta competizione spermatica». Concludono Maria Berica Rasotto e Andrea Pilastro, biologi evoluzionisti dell’Ateneo e membri, col collega Maritan, del National Biodiversity Future Center: «Questo studio apre nuove prospettive nella comprensione di uno dei fenomeni più affascinanti ed enigmatici della biodiversità animale, ossia quello dell’enorme variabilità interspecifica della dimensione dei gameti maschili in questo importante gruppo di vertebrati». Read the full article
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Xoconochcothelphusan to accommodate X. chiapensis and re-examined phylogenetic of Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan para dar cabida a X. chiapensis y reexaminó la filogenética de Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan pour accueillir X. chiapensis et réexamen phylogénétique d'Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan 适应 X. chiapensis 并重新检查 Ehecatusa mixtepensis 的系统发育
Xoconochcothelphusan 適應 X. chiapensis 並重新檢查 Ehecatusa mixtepensis 的系統發育
Xoconochcothelphusan को X. chiapensis के लिए समायोजित किया गया और Ehecatusa mixtepensis की पुनः जांच की गई फ़ायलोजेनेटिक
Xoconochcothelphusan zur Anpassung an X. chiapensis und erneute Untersuchung der Phylogenetik von Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan для размещения X. chiapensis и повторное изучение филогенетики Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan om X. chiapensis te huisvesten en heronderzoek van de fylogenetische gegevens van Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan per accogliere X. chiapensis e riesaminato il filogenetico di Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan untuk mengakomodasi X. chiapensis dan memeriksa kembali filogenetik Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan om X. chiapensis te akkommodeer en herondersoekde filogenetiese van Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan upang mapaunlakan ang X. chiapensis at muling sinuri ang phylogenetic ng Ehecatusa mixtepensis
Xoconochcothelphusan は X. chiapensis を収容し、Ehecatusa mixtepensis の系統発生を再検討した。
Dlium theDlium
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I ricercatori costruiscono un nuovo albero genealogico delle piante da fiore
Albero filogenetico tempo-calibrato per le angiosperme basato su 353 geni nucleari; tutti i 64 ordini, tutte le 416 famiglie e 58% (7.923) dei generi sono rappresentati. Un team internazionale di scienziati ha creato l’albero della vita per quasi 8.000 (circa il 60%) generi di piante da fiore (angiosperme). Questo risultato getta nuova luce sulla storia evolutiva delle piante da fiore e sulla…
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Tutti sappiamo che balene e delfini sono mammiferi...
...ed è anche risaputo che si sono evoluti a partire da animali terrestri, per poi riadattarsi alla vita acquatica. Dico riaddattarsi perché chiaramente tutti noi mammiferi abbiamo come antenati i pesci ossei. Quindi in un certo senso i cetacei sono pesci mutanti che sono tornati negli oceani.
Ma da quali dei vari ordini di mammiferi si sono evoluti balene e delfini? Grazie alle moderne tecniche di biologia molecolare, in particolare comparando i codici genetici, è stato possibile negli ultimi anni determinare che i parenti più prossimi dei cetacei sono gli artiodattili, ovvero ungulati con un numero pari di dita, cioè ippopotami, maiali, cammelli, giraffe, cervi, antilopi, bovini, pecore, capre... Tanto prossimi che l'antenato comune è esistito circa 64 milioni di anni fa, mentre la famiglia degli ippopotami si è separata da quella dei cetacei circa 53-54 milioni di anni fa. Recenti studi hanno indotto gli scienziati a istituire un unico ordine chiamato Cetartiodactyla (dall'unione di Cetacea e Artiodactyla). Di seguito un albero filogenetico che mostra le famiglie e come sono imparentate:
Per quanto riguarda l'evoluzione, si è scoperto in Pakistan il primo ungulato classificabile come cetaceo: l'estinto Pakicetus inachus, animali terrestri delle dimensioni di un lupo, che vissero circa 53 milioni di anni fa.
Già 48 milioni di anni fa viveva invece l'Indohyus major: delle dimensioni di un procione ma molto più pesante, già adattato alla vita semiacquatica.
Ambulocetus natans, ritrovato in uno strato di sedimenti risalente a 48-47 milioni di anni fa, era sicuramente anfibio e lungo 3 metri. Aveva già zampe adattate al nuoto ed una coda che usava per nuotare muovendola verticalmente, come tutti cetacei moderni:
Sempre attorno ai 47 milioni di anni fa, vissero i rodontoceti, Rodhocetus kasrani e R. balochistanensis:
Anche loro erano anfibi, e avevano grandi zampe che potevano supportare il peso anche fuori dall'acqua. Alcune ricostruzioni gli attribuiscono già una pinna caudale, ma non è chiaro se ce l'avesse.
38 milioni di anni fa, invece, vissero i basilosauridi e durontidi, cetacei che ormai vivevano interamente in mare. I basilosauridi, quando furono scoperti, furono scambiati per rettili, da cui il nome traducibile con lucertola imperatore. Il Basilosaurus cetoides poteva essere lungo dai 15 ai 18 metri, ma nonostante le dimensioni simili a quelle di una balena la sua alimentazione era diversa: mangiava altri cetacei, pesci ossei, pesci cartilaginei (quindi anche squali), granchi e calamari:
Il Dorudon atrox, lungo 5 metri, poteva essere una delle prede abituali del Basilosaurus, ma era anch'esso un predatore di pesci e molluschi:
Fra i 33 e i 14 milioni di anni fa visse lo Squalodon calvertensis. Il primo cetaceo con un organo per l'ecolocalizzazione, era lungo 3 metri e possedeva un corpo simile alle focene. Anche questo fu scambiato inizialmente per un rettile, in particolare per un genere simile a quello dei dinosauri iguanodonti.
Oggi dividiamo i cetacei in Misticeti (con mascelle provviste di fanoni, cioè le balene) e gli Odontoceti (provvisti di denti, ad esempio i delfini).
Delle prime balene, vissute fra i 39 e i 29 milioni di anni fa, si hanno i pochi resti fossili del Llanocetus denticrenatus: frammenti di cranio e di una grande mandibola dai quali è stato possibile calcolare che il solo cranio fosse lungo 2 metri. Nonostante fosse privo di fanoni, gli studiosi ipotizzano che filtrasse il cibo in maniera analoga:
Un antenato degli odontoceti era invce il Kentriodon pernix, una specie di delfino primitivo vissuto circa 12 milioni di anni fa, lungo circa 2 metri, cacciatore di piccoli pesci:
Sono stati ritrovati fossili di cetacei estinti ancora più simili a quelli attuali ma la trasformazione evidenziata da queste ricostruzioni paleoartistiche è chiara
Un particolare interessante che si nota riguardano le ricostruzioni è la scomparsa delle zampe posteriori, che però non scomparvero veramente: in realtà esistono ancora, invisibili, come loro vestigia all'interno del corpo, collegate alle ossa pelviche ma non alla colonna vertebrale. Hanno perso quindi completamente la loro funzione motoria se non per l'inserzione dei muscoli dei genitali. Altro particolare visibile nella sequenza delle illustrazioni è la migrazione delle narici che si sono trasformate in sfiatatoi.
Fonti: Wikipedia, TimeTree, Nobu Tamura paleoart, Encyclopaedia Britannica.
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Dime qué entiendes por árbol filogenetico
que suena a pito
no me vengan ahora a usar para hacer la tarea ctm pero no es algo similar al arbol genealogico pero con otras especies alch? que se supone que comparten un ancestro común pero con la evolución tuvieron cambios significativos en ambas especies.
Como los dinosaurios (?? que evolucionaron en reptiles y pajaros
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Una delle condizioni essenziali per il corretto funzionamento dell’apparato gastro-intestinale consta nell’avere una flora batterica sana e bilanciata in tutti i suoi tratti. Il termine generico ‘’flora batterica’’ risulta incompleto, definendo solo in parte la composizione del complesso microbiota umano che è l’insieme di microorganismi (batteri, virus, miceti ecc) viventi in simbiosi con l’organismo umano; un particolare rapporto interazionale in cui l’organismo umano ospite fornisce materie prime per il sostegno biologico dei microorganismi simbionti, che in cambio svolgono funzioni essenziali per il corretto funzionamento dell’ospite stesso. L’equilibrio armonico tra le 2 parti si chiama eubiosi e rappresenta una condizione ideale di vita che purtroppo è difficile da ristabilire, una volta che questo delicato equilibrio viene danneggiato.
La flora batterica intestinale, o meglio microbiota, è composta da più di 400 specie differenti di batteri; oltre questi, vi sono presenti virus, protozoi, miceti. Anche se ogni organismo umano possiede un patrimonio batterico individuale, la ricerca scientifica è stata in grado di scoprire un numero ridotto di ceppi di microorganismi condiviso da tutta la specie umana, che costituisce il nucleo filogenetico del microbiota intestinale umano. La composizione del microbiota è molto variabile anche all’interno della stessa sottospecie/gruppo/etnia, per incidenza di svariati fattori eso ed endogeni quali stile ed abitudini di vita, alimentazione, sesso ed età, patologie in atto; è soggetta ad un continuo flusso dinamico, atto a garantirle la miglior efficacia funzionale. L’apparato gastro-intestinale presenta una composizione qualitativa-quantitativa del microbiota diversa nelle sue parti componenti, in base al pH ed al tipo di mucosa rivestente. La parte più popolata del sistema digerente è rappresentata dall’intestino; tali sono le funzioni condotte dalla flora batterica intestinale, da indurre gli scienziati a battezzare l’intestino ‘’il secondo cervello’’.
Le specie predominanti del microbiota intestinale sono i lattobacilli, batteri gram-positivi anaerobici (o microaerofili) siti prevalentemente nell’intestino tenue; e i Bacteroides, batteri di tipo gram-negativo anaerobico, che insieme a bifidobatteri ed altre specie (ad es. Escherichia coli, Enterococcus sp.) formano il corredo dell’intestino crasso; comunque tutte le specie microbiche vivono in stretta correlazione tra loro e l'ambiente che popolano, influenzandosi a vicenda e allo stesso tempo garantendo l'omeostasi intestinale. Il batterio intestinale più conosciuto nell’uomo è Escherichia coli, microorganismo a forma di bastoncello, aerobico ed anaerobico facoltativo, lattosio-fermentante, appartenente alla famiglia Enterobacteriaceae e utilizzato in ricerca come organismo modello dei batteri; colonizza la parte bassa dell’intestino ed è un simbionte stretto (non sopravvive fuori dall’ambiente intestinale), a differenza di altri ceppi coliformi come Enterobacter, Klebsiella, Citrobacter. La presenza di E. coli nell’intestino è necessaria per la corretta digestione del cibo; tuttavia alcuni ceppi della specie possono diventare patogeni in determinate situazioni, come ad esempio la ‘’diarrea del viaggiatore’’.
Le funzioni svolte dal microbiota sono molteplici e di fondamentale importanza per la corretta funzionalità dell’apparato digerente:
-funzione di nutrimento: con la fermentazione del materiale non digerito, generalmente di origine vegetale, condotta dai batteri intestinali, si producono acidi grassi a catena corta, come l’acido butirrico, propionico, acetico, che rappresentano fonte di energia per l’intestino stesso;
-funzione di protezione contro agenti patogeni: potenziando la funzione di barriera della mucosa intestinale; secernendo agenti antimicrobici in grado di aggredire ceppi batterici estranei potenzialmente patogeni; occupando per colonizzazione i possibili siti di adesione alle pareti del tubo intestinale e impedendo così l’adesione dei patogeni.
Inoltre la flora batterica intestinale produce elaborati quali aminoacidi (arginina, glutammina, cisteina), vitamine (vitamina B12, vitamina K); interviene nel metabolismo degli acidi biliari e della bilirubina; favorendo la digestione degli alimenti e l’assorbimento dei nutrienti risultati, contribuisce in modo essenziale al mantenimento dello stato di salute fisiologico della mucosa intestinale.
Quando l’equilibrio dinamico del microbiota intestinale viene alterato, si parla di disbiosi, ovvero la condizione in cui è presente una iper-proliferazione di ceppi batterici potenzialmente pericolosi, che può scatenare disturbi e patologie a carico dell’intestino e non solo. Per contrastare l’azione dannosa dei batteri patogeni, nella cura e soprattutto nella prevenzione dei disturbi a loro correlati, si consiglia l’integrazione di probiotici, ovvero integratori nutrizionali ed alimentari di fermenti lattici, in diverse formulazioni scelte in base alla singola esigenza. L’OMS e la FAO hanno definito i probiotici come ‘’organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite’’. I tipi più comuni di probiotici, frequentemente nominati fermenti lattici, sono i lattobacilli ed i bifidobatteri; anche alcuni lieviti (Saccharomyces sp, Kluyveromices sp,) possono essere utili. In farmacia, con l’aiuto del consiglio professionale, si può scegliere la giusta formulazione di probiotici per il fabbisogno individuale.
Il termine ‘’probiotico’’ deriva dal greco (pro=’’a favore di’’ e bios=’’vita’’) e secondo altri autori dal latino (una parola ibrida che significa ‘’pro-vita’’) e definisce un insieme di ‘’microorganismi vivi che somministrati in forme e dosi adeguate apportano benefici alla salute dell’ospite’’ (definizione FAO e OMS).
Nella pratica terapeutica, per ‘’probiotico’’ si intende la categoria dei ‘’fermenti lattici’’, termine generico per indicare gli integratori alimentari e nutrizionali a base di ceppi scelti di microorganismi ritenuti benefici per l’organismo umano in base ai risultati di test ed esami di laboratorio e clinici (test validati scientificamente).
Quali sono questi microorganismi e quali sono le loro proprietà e caratteristiche?
La definizione OMS si riferisce ai microorganismi non patogeni per l’uomo e già presenti nell’alimentazione umana o aggiunti ad essa; quindi esclude ogni riferimento ad agenti bioterapeutici e microorganismi non utilizzati in ambito alimentare.
Le specie principali di microorganismi prese in considerazione dalla ricerca scientifica sono soprattutto quelle che presentano biosimilarità con quelle che già formano il microbiota intestinale umano; e traslando il concetto al microbiota umano in tutte le sue manifestazioni (apparato cutaneo, apparato genito-urinario, apparato connettivo, cervello).
Queste specie sono i lattobacilli; i bifidobatteri; i lieviti.
Come si sceglie un probiotico? i criteri di definizione
Per essere utili e non dannosi per la salute dell’uomo, i probiotici devono presentare delle caratteristiche e si devono conformare a regole precise, di cui fondamentali sono 4:
-essere sicuri quando somministrati all’uomo: in nessuna circostanza non devono diventare patogeni, e non devono essere soggetti a sviluppare antibiotico-resistenza (trasmissibile e/o acquisita);
-essere vitali (vivi) e attivi a livello intestinale e in quantità tale da dimostrare anche in vivo la stessa attività osservata in vitro (cioè durante i test da laboratorio);
-essere capaci di persistere nell’organismo umano, avere quindi capacità di selezione e affinità per i siti di collocazione nel lume intestinale, a discapito di altri microorganismi (potenzialmente patogeni o direttamente patogeni); in altre parole, essere capaci di sopraffare altri microorganismi in situs per insediarsi al loro posto
-formare colonie persistenti e resistenti, in maniera da poter osservare gli effetti e i benefici già descritti secondo la ricerca scientifica (questi effetti sono correlati alla elaborazione da parte dei probiotici, di sostanze benefiche per l’ospite, come enzimi, profattori delle vitamine, batteriocine ecc).
Da ciò si evince una regola fondamentale: per riequilibrare e mantenere una microflora intestinale sana e florida non è sufficiente solo l’aumento della colonizzazione con microorganismi ritenuti benefici ma ciò deve accadere in concomitanza alla riduzione della quantità di quelli potenzialmente patogeni.
Un’altra nota importante si riferisce alla sottospecie, sottotipo o ceppo del probiotico preso in esame: l’effetto benefico evidenziato in vitro/in vivo per un ceppo di microrganismo non è generalizzato per l’intera famiglia/specie; ovvero, il tipo di attività evidenziata in laboratorio e in clinica per ogni tipo/ sottotipo/ ceppo di microorganismo è da attribuirsi solo a quel ceppo per cui è stata testata di proposito. Ad esempio, non tutti i lattobacilli hanno lo stesso tipo di azione ed effetto, a parte le caratteristiche generali della specie; e così via.
Gli integratori alimentari di probiotici (ovvero di ‘’fermenti lattici’’): come vengono formulati?
Nella formulazione degli integratori alimentari e nutrizionali di fermenti lattici (probiotici) si deve tener conto di 2 aspetti fondamentali:
-ogni ceppo utilizzato nella formula deve essere denominato e caratterizzato (identificazione completa della specie e del ceppo, per analisi completa del genoma batterico, utilizzando uno dei metodi certificati e validati a livello internazionale);
-nella dose giornaliera dell’integratore alimentare di fermenti lattici devono essere presenti non meno di 10⁹unità microbiche per almeno 1 dei ceppi presenti nella formula, dose che deve essere garantita fino alla fine dello shelf-life dell’integratore stesso (cioè fino alla data di scadenza del prodotto, correttamente utilizzato e conservato, rispettando le istruzioni del produttore). Dosi minori possono comunque essere impiegate ma solo nel caso di quei ceppi che scientificamente e clinicamente hanno mostrato adeguate capacità di colonizzazione intestinale a quelle dosi.
I lattobacilli: quali sono e che ruolo hanno nel microbiota intestinale umano?
I lattobacilli (o lactobacilli: Lactobacillus sp., famiglia Lactobacillaceae, ordine Lactobacillales, tipo Firmicutes) sono batteri a forma di bastoncello, del tipo Gram-positivo, anaerobi facoltativi o microaerofili, ampiamente presenti in natura (nel suolo, nell’acqua, nelle piante e negli animali); tradizionalmente conosciuti come la categoria dei ‘’fermenti lattici’’ proprio per la loro capacità di scindere il lattosio (od altri zuccheri fermentabili) trasformandolo in acido lattico e derivati finali.
Nel corpo umano, i lattobacilli sono presenti maggiormente a livello del tratto gastro-intestinale e della mucosa vulvo-vaginale; tra i più conosciuti e soggetti di ricerca scientifica vi sono L.acidophilus, L.rhamnosus, L.casei, L.plantarum, L.reuteri, L.johnsonii, L.jensenii.
Le caratteristiche dei lattobacilli
La caratteristica principale dei lattobacilli è la capacità di fermentazione acida in assenza di ossigeno: la trasformazione del glucosio ed altri zuccheri fermentabili in molecole semplici quali acido lattico, acido acetico, etanolo, anidride carbonica. Tra tutte, la fermentazione lattica è quella più importante per l’organismo umano: la metabolizzazione degli zuccheri a prodotto finale quasi esclusivo (90%) quale l’acido lattico, con l’effetto principale di mantenere il pH acido del distretto organico in cui si trovano (come nella mucosa vaginale, dove i lattobacilli costituiscono più del 95% della flora batterica e producendo acido lattico per fermentazione mantengono il pH vaginale a valori di 5-5.5, impedendo ai microorganismi patogeni di insediarvisi e proliferare.)
La capacità di fermentazione è comune a tutti i generi di batteri presenti nel corpo umano: la fermentazione per la via dell’acido lattico è comune per i generi lactobacillus, enterobacter, alcuni cocchi (Streptococcus sp.), escherichia ecc.
I lattobacilli possono essere omofermentativi (producenti quasi esclusivamente acido lattico: come L.acidophilus); eterofermentativi facoltativi (producenti acido lattico, etanolo e anidride carbonica: come L.casei, L.plantarum); eterofermentativi obbligati (come L.reuteri, L.brevis).
Tutti i ceppi sono caratterizzati da altissima affinità di collocazione a livello tissutale nel corpo umano: è ciò che li rende specifici del microbiota umano (e in più, la capacità di vivere in simbiosi con l’organismo ospite); e dalla produzione di sostanze con effetto antimicrobico (batteriocine).
I lattobacilli negli integratori alimentari e nutrizionali di fermenti lattici in farmacia
Tra i lattobacilli più conosciuti e oggetti di ricerca e studio scientifico e clinico vengono sottolineati:
Lactobacillus acidophilus – noto anche come il bacillo di Doderlein, migliora la qualità della flora batterica intestinale e quella vaginale per adesione/colonizzazione competitiva in situs a discapito dei patogeni; si è dimostrato utile nel ridurre l’infiammazione nella diverticolite e diverticolosi; nella prevenzione e cura delle vaginosi e vaginiti batteriche e candidosi vaginale ricorrente; può essere utile al mantenimento dei livelli normali del colesterolo; utile anche nella cura degli stati infiammatori cutanei (acne, rosacea, dermatite atopica)
Lactobacillus rhamnosus – (GG) – uno dei più studiati, risulta stabile e resistente all’azione dei succhi gastrico e biliare, con ottime capacità di insediamento e proliferazione/colonizzazione nel tratto gastro-intestinale; è usato nella cura dello stato diarroico nelle coliti, enterocoliti, gastroenterocoliti virali (soprattutto da rotavirus, nei bambini in età prescolare e scolare); risulta utile nel ridurre l’infiammazione cronica nelle allergie intestinali (inclusa l’intolleranza al lattosio e quella al glutine) e nelle coliti ricorrenti (come quelle indotte da Clostridium sp); sono in atto numerosi studi per dimostrarne l’efficacia dell’integrazione nella lotta contro i tumori
Lactobacillus reuteri – oggetto di svariati studi scientifici e clinici per la sua capacità di elaborare reuterina, per la via di fermentazione anaerobica a partire dal glicerolo; la reuterina presenta attività antimicrobica ad ampio spettro, in grado di combattere la crescita batterica di moltissimi patogeni come Clostridium, Shigella, Pseudomonas, Campylobacter, Escherichia, Salmonella, Helycobacter ecc; l’integrazione con L.reuteri si è dimostrata molto efficace nella cura delle coliche nei lattanti.
I bifidobatteri: cosa sono e che cosa fanno, le caratteristiche, il metabolismo, gli integratori alimentari in farmacia
Che cosa sono i bifidobatteri?
I bifidobatteri sono batteri appartenenti alla famiglia Bifidobatteriaceae (Actinobacteria), che fanno parte del microbiota umano sin dalla nascita (sono stati isolati nelle feci dei neonati sani partoriti per via normale e allattati al seno); come tipo, sono bacilli pleomorfi Gram-positivi anaerobi (talvolta aerotolleranti), asporigeni, immobili (le colonie non cambiano i situs di inserimento); la temperatura ottimale di sviluppo delle colonie è compresa tra 37° e 41°C, per un pH tra 6,5-7 (non acidofili, al bisogno possono essere acido-tolleranti).
Nell’intestino di un adulto sano, i bifidobatteri costituiscono circa il 12% del microbiota e colonizzano l’ultima parte dell’intestino, il colon; mentre rappresentano circa il 50% del corredo batterico dei neonati nati per parto naturale e allattati al seno, nonché delle donne in gravidanza (nell’ultimo mese) e subito dopo il parto (le colonie di bifidi iniziano a regredire con l’inizio dello svezzamento del bambino).
Perché i bifidi aumentano esponenzialmente nel microbiota delle donne nelle ultime settimane di gravidanza? per via dell’aumento delle colonie batteriche con effetto pro-infiammatorio: man mano che si avvicina il momento del parto, il corpo della madre deve aumentare le riserve di grasso (per poter allattare in seguito) e allo stesso tempo deve sia fornire energia al feto sia essere in grado in seguito a fornirgli le basi giuste di un microbiota sano e funzionale. Tutto questo comporta:
- aumento delle colonie di batteri del phylo Proteobacteria, con conseguente aumento della produzione e rilascio di sostanze ad effetto pro-infiammatorio (come lipopolisaccaridi, i LPS, liberati alla morte dei batteri e la cui metabolizzazione è parziale e difficoltosa)
- diminuzione delle colonie butirrato-produttrici – del tipo Faecalibacterium, Roseburia, Eubacterium (l’acido butirrico è una delle molecole di particolare importanza nell’intestino umano in quanto coinvolto nei processi di regolazione dell’infiammazione, della risposta immunitaria, della corretta ricolonizzazione in seguito a episodi di disbiosi)
- aumento molto significativo delle colonie del phylo Bifidobacteria, con forte effetto anti-infiammatorio, per contrastare l’azione dei Proteobacteria, e per poter assicurare al neonato la capacità di metabolizzare zuccheri e carboidrati più o meno complessi (HMO, FOS, fibre ecc).
Alla nascita, al bambino viene fornito un corredo microbico molto variegato, di cui circa il 50% è costituito da bifidobatteri – che colonizzano per primi, oltre ai lattobacilli e bacteroides – subentranti in un secondo momento; le colonie di bifidi diminuiscono costantemente dopo lo svezzamento e arrivano all’entità di quella dell’adulto, già da 1 anno di età del bambino.
Che cosa fanno i bifidobatteri?
I bifidi sono saccarolitici obbligati: si nutrono di polisaccaridi, scindendo molecole complesse di zuccheri e carboidrati, metabolizzando le mucine (glicoproteine secrete dalla mucosa del tratto gastro-intestinale nonché nei rivestimenti epiteliali del tratto respiratorio, genitale ecc), altre glicoproteine, oligosaccaridi (del fruttosio, glucosio, galattosio, xilosio), fruttani (FOS, inulina), polisaccaridi (amicellulose, amido, pectine).
Il metabolismo dei bifidobatteri
I bifidi ricavano energia metabolizzando e trasformando le molecole di zuccheri e carboidrati in acido lattico e acido acetico, senza formare gas; usano come fonte di azoto l’ammonio libero e i suoi Sali, la cisteina, od in alternativa la glutammina, l’asparagina o l’urea (solo alcune specie), in base al corredo enzimatico. E’ stato dimostrato come il B. longum possiede tutti i geni necessari per condurre alla sintesi di almeno 19 amminoacidi a partire dall’ammonio, processo essenziale per la sintesi di enzimi ed in seguito di vitamine quali l’acido folico, la tiamina, l’acido nicotinico.
I benefici dei bifidobatteri: derivanti dalla loro capacità di metabolizzazione dei carboidrati, si notano:
-la regolazione del pH intestinale, a livello del colon ascendente: l’acidificazione, tramite il rilascio di acido lattico e acido acetico, ha notevole importanza per poter ridurre la crescita batterica dei patogeni favorendone l’eliminazione (Salmonella, Shigella, Clostridium, Staphilococcus aureus, Candida albicans);
-la regolazione quantitativa e qualitativa dei composti potenzialmente cancerogeni (per la loro metabolizzazione diretta e per inibizione selettiva degli enzimi coinvolti nella produzione di queste molecole)
-la produzione di aminoacidi (utilizzabili per le vie metaboliche come la produzione enzimatica) e vitamine del gruppo B (acido folico, tiamina, acido nicotinico)
La ricerca scientifica ha dimostrato per alcuni ceppi di bifidi (come il B. lactis e il B. adolescentis) un marcato potere antiossidante, per la produzione di glutatione e per la capacità di inibire l’ossidazione dell’acido ascorbico (la vitamina C) e dell’acido linoleico (quindi grassi alimentari).
Tra i più conosciuti e studiati si contano il B.longum, il B. adolescentis, il B. bifidum, il B.infantis, il B.thermophilum: si ritrovano a far parte della formulazione degli integratori di fermenti lattici utilizzati nella cura dello stato diarroico primario e secondario nelle coliti, enterocoliti, gastroenterocoliti virali, con risultati utili nel ridurre l'infiammazione cronica intestinale incluse le condizioni di intolleranza al glutine e al lattosio, come nelle coliti ricorrenti di natura psicogena ecc.
Tra i probiotici non batterici, al primo posto si trova il Saccharomyces boulardii, un lievito particolare non di origine umana e sul quale sono stati condotti numerosi studi scientifici e clinici per identificare e dimostrare gli effetti benefici nella salute dell’uomo.
Saccharomyces boulardii: definizione e caratteristiche
Il Saccharomyces boulardii (SB; famiglia Saccharomycetaceae, divisione degli ascomiceti del regno dei funghi) è un lievito, che la nomenclatura internazionale standard definisce come subspecie del lievito di birra (Saccharomyces cerevisiae) ma dal quale si differenzia per caratteristiche tassonomiche, metaboliche e genetiche: per certi aspetti le differenze sono tali da permettere oggi di considerare il SB come specie separata all’interno della sua famiglia.
Il SB è stato isolato ed identificato per la prima volta negli anni 20 del secolo scorso, dallo scienziato e microbiologo Henri Boulard, dai frutti di litchi e mangostana. Da allora, numerosi studi scientifici sono stati indirizzati a dimostrare gli effetti antimicrobici ed antiinfiammatori del SB, a livello dell’apparato gastro-intestinale dell’uomo, e in particolare gli effetti benefici nel trattamento dello stato diarroico acuto, subacuto e nelle manifestazioni croniche delle sindromi da malassorbimento intestinale (leaky gut).
Il Saccharomyces boulardii presenta alcune caratteristiche che permettono di considerarlo un probiotico, anche se non fa parte del microbiota umano:
-resiste ai succhi gastrici e biliari umani, transita indenne lo stomaco e arriva nell’intestino dove rimane vitale e raggiunge le concentrazioni stabili di sviluppo dopo 3 giorni
-si sviluppa e cresce a una temperatura insolita per un fungo, ovvero a 37°c,
-non è sistemico e non produce colonie nell’uomo: in seguito all’assunzione del probiotico, ne è stata dimostrata la presenza nel solo lume intestinale, presenza che diminuisce e sparisce del tutto in 5-7 giorni dall’interruzione della somministrazione (McFarland, 2010)
-date le dimensioni celle cellule, di circa 10 volte superiori a quelle delle cellule batteriche, il SB dimostra capacità di competitività per i substrati dell’ospite, con effetto ‘’calamita’’ per i patogeni (ai quali impedisce l’attecchimento e la formazione di colonie) e le loro tossine
I meccanismi d’azione di Saccharomyces boulardii come spazzino dell’intestino
Numerosi studi scientifici e clinici hanno messo in luce i meccanismi d’azione con i quali il SB esplica le sue azioni nell’intestino nell’uomo e che gli hanno regalato il nome di ‘’fermento lattico spazzino’’:
-attività antibatterica diretta: per l’effetto calamita (la cellula del lievito adsorbe e fissa sulla sua superficie la cellula batterica inibendone l’adesione sulla mucosa intestinale dell’ospite oppure lo sviluppo dei filamenti batterici) e per il rilascio di sostanze con effetto antibatterico (mannosio, glicoproteine, enzimi come fosfatasi o proteasi)
-attività antiinfiammatoria:
--1) per secrezione e rilascio di sostanze ad azione trofica, come la secrezione di poliammine che inducono l’attivazione della sintesi e rilascio di enzimi e proteine carrier sulla superficie della membrana intestinale (il corredo enzimatico del brush border intestinale);
--2) per regolazione inibitoria della sintesi e rilascio di molecole pro-infiammatorie come interleukine e fattori di crescita tumorale – TNFα, INFα;
--3) per attività diretta di riformare l’integrità della superficie epiteliale, tramite effetto di accelerazione della migrazione in superficie di nuovi enterociti , sotto comando della regolazione dinamica della integrina α2β1 (glicoproteina integrale di membrana, coinvolta nei processi di integrazione della matrice extracellulare)
-attività immunomodulatoria: per inibizione dell’attività delle cellule dendritiche (qui il SB inibisce il rilascio di citochine e l’innesco della sintesi di cellule T) e per aumento di sintesi di immunoglobuline A
Nonostante oggi si sappia molto sui meccanismi d’azione, sul metabolismo e sulla biochimica del Saccharomyces boulardii, sono in corso numerosi altri studi scientifici e clinici per scoprire ed approfondire tutti gli aspetti non ancora del tutto chiari o sconosciuti di questo lievito particolare.
Le indicazioni d’uso del Saccharomyces boulardii
L’integrazione nelle terapie farmacologiche con integratori alimentari e nutrizionali contenenti miscele di probiotici quali Saccharomyces boulardii, lattobacilli e/o bifidobatteri si è dimostrata utile in:
-prevenzione della diarrea associata alla terapia antibiotica, sia nel bambino che nell’adulto
-cura complementare della diarrea nelle gastroenterocoliti da Clostridium difficile (batterio correlato nel 90% alla diarrea da antibiotico e in oltre un terzo delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino)
-cura complementare nelle infezioni da rotavirus
-prevenzione e cura della diarrea del viaggiatore
-cura complementare della sindrome diarroica cronica nei pazienti immunocompromessi (HIV, HCV)
-cura dei sintomi acuti e prevenzione delle recidive nella sindrome del colon irritabile e malattie infiammatorie croniche dell’intestino (malattia di Crohn, sindrome da leaky gut, sindrome da malassorbimento indotta da terapie e interventi farmacologici forti come radio e chemioterapia)
-cura e prevenzione delle recidive nelle vulvo-vaginiti e candidosi vaginali della donna, a tutte le età.
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FILOGENETICA E ONTOGENETICA
Se non sapete chi siano questi due personaggi avete passato delle festività veramente molto tristi ma la foto mi serve per cercare di farvi capire come io e voi siamo tutti bestioline, parecchio evolute ma pur sempre bestioline.
Per esempio, le differenze etologiche tra me e la mia cana Cthulhu non sono poi così tante e se nel film citato assistiamo a un esperimento in cui i due protagonisti, provenienti da esperienze sociali differenti, vengono scambiati di posto per avere conferma o meno se l’intelligenza e la capacità di adattamento siano innate o meno, se paragoniamo l’essere umano a un’animale più ‘evoluto’ (lo so, grosso errore buttare lì da solo questo termine) ci rendiamo conto come le analogie comportamentali siano più numerose delle differenze e che se rispetto a Cthulhu io sono ontogeneticamente più evoluto, lei è filogeneticamente più adatta.
Vi spiego la differenza.
La filogenetica è quella branca dell’etologia che studia quei determinati comportamenti a coordinazione ereditaria cioè che vengono trasmessi dai genitori ai figli e che sono presenti nell’individuo indipendentemente dal contesto sociale e dal tipo di apprendimento contestuale.
Se Cthulhu vede muoversi qualcosa tra i cespugli, rizza la coda, punta il muso, alza una zampa e comincia a tremare... la cosiddetta ‘ferma’, caratteristica filogenetica selezionata affinché i cani della sua razza (Bracco di Weimar) indicassero al padrone dove fosse la preda da abbattere a fucilate.
Nessuno glielo ha mai insegnato... lo sa e basta e lo fa e basta.
L’ontogenetica, invece, studia il fatto che se io a una certa ora mi avvicino a un certo mobile della cucina, Cthulhu comincia a sbavare e a fare avanti indietro tra me e la ciotola, perché sa che sto per tirare fuori il sacco delle crocchette.
Ha imparato questo fenomeno di causa-effetto ma è una conoscenza acquisita in maniera specifica e individuale perché se lo facessi con un altro cane lui non avrebbe questo tipo di reazione.
Il nostro cervello ‘superiore’ ci permette quindi di avere delle capacità ontogenetiche molto sviluppate perché, sempre nei limiti dell’individuo, possiamo conoscere, intuire e prevedere accadimenti complessi di causa-effetto che poi accumuliamo nel nostro bagaglio esperenziale ma a livello filogenetico abbiamo praticamente perso tutte quelle capacità evolutive di adattamento che ci potrebbero permettere la sopravvivenza istintiva non esperenziale in situazioni ambientali diverse e/o estreme dove un cane (o un altro animale) potrebbe vivere tranquillamente.
Noi e Cthulhu continuiamo ad apprendere per prova/errore, per imitazione, per assuefazione, per associazione e per intuito, solo che lei è onesta e rimane umile a guardarmi con amore incondizionato e invece noi ci sentiamo i padroni del mondo ma becchiamo i due di picche a raffica, ci vestiamo come i cretini su youtube, assistiamo ebeti al riririritorno di Berlusconi, sbaviamo davanti a un culo digitale o a un foodporn fotoscioppato e forse si ha l’intuizione che un dildo ruvido e di grosse dimensioni ci stia venendo schiaffato nell’ingresso posteriore ma forse no, forse smettono e se si sta fermi tutto torna a posto. Forse.
Consuetudo est altera natura. A presto.
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È peggio, molto peggio di quel che pensate. La lentezza del cambiamento climatico è una favola, forse altrettanto pericolosa di quella che ci dice che non stia accadendo affatto, e ci viene offerta insieme a diverse altre, in un florilegio di rassicuranti illusioni: che il riscaldamento globale sia una saga artica che si svolge in luoghi remoti; che sia un problema che riguarda esclusivamente il livello dei mari e le zone costiere, non una crisi globale che non risparmierà alcun luogo e non lascerà inalterata alcuna forma di vita; che sia una crisi del mondo della «natura» , non di quello umano; che questi siano due cose distinte, e che oggi noi viviamo in qualche modo al di fuori o al di là, o comunque siamo protetti, rispetto alla natura, e non ineluttabilmente connessi e totalmente sovrastati da essa; che la ricchezza possa essere uno scudo contro le devastazioni del riscaldamento globale; che bruciare combustibili fossili sia il prezzo per avere una crescita economica continua; che la crescita, e la tecnologia che produce, ci mettano inevitabilmente in grado di escogitare una via d’uscita dal disastro ambientale; che nell’ormai lunga storia dell’umanità ci sono stati altri casi di minacce analoghe a questa per dimensioni o portata, per cui possiamo essere fiduciosi sul fatto di venirne a capo. Niente di tutto ciò è vero. Ma partiamo dalla velocità del cambiamento. La Terra ha sperimentato cinque estinzioni di massa prima di quella che stiamo vivendo ora, ognuna delle quali ha spazzato via le testimonianze fossili in modo cosí radicale da agire alla stregua di un reset dell’evoluzione. E come se l’albero filogenetico del pianeta si fosse espanso e avesse poi collassato, a intervalli, come un polmone: quattrocentocinquanta milioni di anni fa morí l’86% di tutte le specie; settanta milioni di anni dopo, il 75 per cento; centoventicinque milioni di anni dopo, il 96 per cento; cinquanta milioni di anni dopo, l’80 per cento; centotrentacinque milioni di anni dopo, di nuovo il 75 per cento. [Continua al primo commento] (presso Pianeta Terra) https://www.instagram.com/p/COaHC12ph4L/?igshid=gxlz469c4qj
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Funghi di un nuovo ramo dell'Albero della Vita
Scoperto nuovo ramo di evoluzione dei funghi. Mai visti sulla Terra: questi organismi misteriosi stanno ossessionando gli scienziati. Sono ufficialmente alcuni dei funghi più strani della Terra e sembrano non adattarsi al nostro attuale albero della vita. Eppure stanno proliferando e ossessionano gli scienziati. Da tempi immemori gli scienziati cercano di classificare ogni forma di vita sul nostro pianeta. Si tratta di una prassi che mescola il desiderio di conoscenza alle curiosità evolutive e che diventa utile sotto moltissimi aspetti per capire cosa succede intorno a noi. Per "dipingere" ogni forma vivente sulla Terra, gli scienziati usano il cosiddetto Albero della Vita. E proprio usandolo si sono accorti che ci sono degli organismi misteriosi sul globo, che sembrano sfuggire a ogni logica. Ebbene sì: questi organismi, di piccoli dimensioni, sembravano non corrispondere al diagramma così dettagliato che l’Albero della Vita aveva ritratto. Come se fossero alieni, si "muovevano" e si evolvevano in una direzione apparentemente sconosciuta. Apparentemente, appunto. Perché oggi biologi e microbiologi sono in grado di capirci di più. Gli strani organismi misteriosi e l’Albero della Vita Ma andiamo per ordine: come abbiamo già spiegato l’Albero della Vita (o Albero Filogenetico) è un diagramma che raccoglie ogni forma vivente sulla Terra, ma non solo. Questo strumento è frutto di una sofisticata analisi genomica che punta a riassumere tutte le relazioni evolutive fra organismi. Ogni sua ramificazione, dunque, mostra come le varie specie biologiche/organismi/microrganismi/entità sono legate fra loro, in base a somiglianze e differenze fisiche o genetiche più o meno sottile.
I tipi di alberi filogenetici sono diversi, ma in linea di massima tutti puntano a spiegare come avviene la speciazione e come ogni nome presente nei rami abbia un’ascendente comune: nelle rappresentazioni più comuni le cime rappresentano gli organismi attualmente presenti sulla Terra, mentre i rami che li collegano al tronco esprimono le relazioni evolutive tra le varie creature. Ora, va da sé che un diagramma così dettagliato riporti tutto, proprio tutto, in maniera ordinata. Eppure, alcuni organismi misteriosi sembravano non trovare collocazione. Gli organismi misteriosi: i funghi più strani della Terra Nel caso ve lo steste chiedendo, gli organismi misteriosi sono funghi che sembravano non essere mai stati visti sulla Terra. Questi funghi hanno la capacità di vivere insieme ad alghe, piante, cianobatteri e insetti, creando degli organismi compositi molto particolari: in sostanza, fanno affidamento sul loro partner simbiotico per ricevere nutrimento, ma i rapporti che sviluppano sono estremamente peculiari. Mentre alcuni di questi organismi, infatti, sviluppano"relazioni" vantaggiose per entrambi i partner, godendo dei carboidrati dalla fotosintesi e "ricambiando il favore" fornendo umidità e sostanze nutritive, altri sono a tratti inquietanti: in particolare una famiglia di questi strani funghi, quella delle Geoglossaceae, vive una sorta di doppia vita, avendo da una parte un legame con dei cianobatteri ma dall’altra parte restando indipendenti e "rubando" l’aria a ciò che li circonda. Ancora, esistono delle specie che colonizzano gli insetti, li manovrano e li manipolano pur di svilupparsi. Tutti questi funghi non avevano mai trovato collocazione nell’Albero della Vita: sembravano dei veri e propri outsider, arrivati sul nostro pianeta quasi per caso, come provenienti da un altro mondo. La loro esistenza ha letteralmente ossessionato gli scienziati, almeno fino a oggi. I funghi misteriosi e il nuovo ramo dell’Albero della Vita Sì, perché pare che grazie a una nuova analisi genetica, si sia giunti a una nuova (e definitiva?) conclusione. Nonostante le differenze estreme tra questi strani tipi di funghi e in generale, tra loro e gli organismi presenti nell’Albero della Vita, esiste un modo per collocarli in maniera agevole nel nostro variegato e complesso sistema biologico e filogenetico. Un team di biologi, capitanati dal professor David Díaz-Escandón dell’Università dell’Alberta, ha infatti sequenziato e analizzato i genomi di 30 diverse specie di funghi "alieni" e ha scoperto una cosa molto importante. Pare che tutti questi strani funghi, che in passato i biologi avevano cercato di collocare in classi e famiglie diverse, appartengano tutte allo stesso ramo evolutivo, chiamato Lichinomycetes che è ufficialmente diventato un nuovo ramo dell’Albero della Vita e che pare si sia separato dagli altri rami legati ai funghi ben 300 milioni di anni fa. Finora, questa ipotesi non era mai stata presa in considerazione, ma dato che il genoma di tutti i lichinomiceti è davvero piccolo e dato che (quasi) tutti fanno affidamento su relazioni simbiotiche con altre specie per sopravvivere, i punti in comune sono stati evidenti. E adesso? Adesso gli scienziati sono ancora più in fermento: se questi funghi appartengono infatti a un nuovo ramo evolutivo, nulla esclude che il nostro Albero della Vita ne "nasconda" (in piena vista) molti altri. E forse è proprio dai funghi che bisogna partire per scoprirli tutti. Read the full article
#alberodellavita#AlberoFilogenetico#funghi#Geoglossaceae#lichinomiceti#Lichinomycetes#organismi#relazionievolutive#speciazione
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Statico o filogenetico ?
Cosa pensi che ti cambi? Nessuno o niente può cambiarti… a meno che tu non sia stato un cambiamento perpetuo …attimo per attimo – costretto o per natura vacante-
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Sia la psicologia empirica che quella analitica riconoscono che nella psiche, specie nella sua parte inconsapevole, vivono molti ricordi precedenti il concepimento: ma sono il prodotto dell'esperienza della specie umana, non di uno o più individui, non hanno niente di personale, sono di carattere filogenetico.
In realtà né la psicologia né la scienza sa di cosa si parla quando ci si riferisce alla coscienza o a un ipotetico inconscio collettivo della specie umana, Anon.Siamo nei buio totale della ricerca empirica.Invece altre esperienze, specialmente quelle più moderne degli stati di coscienza in prossimità della morte (N.D.E.), stanno dimostrando che il sentirsi di esistere può continuare a sussistere anche con elettroencefalogramma piatto e cuore fermo.Dunque pare che la coscienza non abbia niente a che fare col corpo fisico ed è legittimo pensare che possa sussistere dopo la morte, sia con i suoi ricordi che con la personalità che dovrà trovare la sua definizione oltre il mondo fisico.Qui subentrano teorie filosofiche in cui la reincarnazione ha la sua logica e non entra in contrasto con quello che si osserva, si pensa e si idealizza come giustizia nell'ordine delle cose.
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Per maggiore chiarezza, un albero filogenetico generato con http://www.timetree.org/
«Per esempio, alcuni testi considerano le Asteraceae una famiglia "avanzata" e Magnoliaceae e Nympheaceae famiglie "primitive". Tuttavia, poiché le famiglie hanno avuto esattamente lo stesso arco di tempo per evolversi (i.e., il DNA ha avuto esattamente lo stesso numero di anni durante i quali si sono aggiunte mutazioni) ognuna è una combinazione complessa di caratteristiche ancestrali e derivate, ossia nessuna famiglia vegetale esistente è più primitiva o più derivata rispetto a un'altra»
—Botanica Sistematica, Judd et al, 2019.
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Un articolo pubblicato sulla rivista "PLOS Biology" riporta un'analisi delle informazioni disponibili sulle parentele tra le specie di mammiferi che ha lo scopo di costruire un albero genealogico evolutivo di questo gruppo di animali. Nathan Upham e Walter Jetz dell'Università di Yale assieme a Jacob Esselstyn della Louisiana State University hanno utilizzato dati relativi a fossili e la genomica per cercare di analizzare a livello filogenetico l'evoluzione dei vari rami all'interno della classe tassonomica dei mammiferi. Capire le parentele offre informazioni sulla loro storia e sulla loro biodiversità, un passo fondamentale per la conservazione dell'ambiente.
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Interazioni cuore/cervello: le nuove frontiere in neuro-psico-fisiologia
I meccanismi di integrazione tra i sistemi rappresentano la sfida che muove da sempre la ricerca delle Scienze Umane.
In che modo l’attività fisiologica del cuore interagisce con le funzioni del cervello umano? E, al contrario, quando e come le funzioni fondamentali del nostro cervello, quelle emotive, cognitive e comportamentali interagiscono con le attività autonomiche del “sistema cuore”? In altre parole, il cuore e il cervello come comunicano? Quando e in che modo il contesto affettivo e sociale diviene importante in questa interazione?
Il XXI secolo tira le fila sugli sviluppi compiuti dai numerosi studi della neurofisiologia, psicofisiologia e neuroscienze cognitive. L’interesse è rivolto a comprendere i meccanismi che legano i processi funzionali di regolazione mente-corpo intrasistemici e intersistemici in un’ottica neurobiologica, psicologica e sociale. In questa direzione e nell’ambito delle interazioni cuore-cervello, è estremamente interessante la Teoria Polivagale di S. Porges (Porges, 2001-2007) che si propone di spiegare i meccanismi neurofisiologici sottostanti questa interazione ampliando, così, il paradigma classico del sistema nervoso autonomo.
Porges, partendo dagli studi anatomofunzionali del nostro cervello, integra la sua teoria con i moderni paradigmi della psicologia evoluzionistica, della Infant Research (in neuropsicofiologia e psicopatologia infantile) e delle scienze cognitive.
Come sappiamo, la teoria neurofisiologica classica divide il sistema nervoso autonomo in sistema simpatico e sistema parasimpatico. In questo modello, il sistema simpatico ha funzione attivante e catabolica (utilizza energia), aumenta lo stato di reattività dell’organismo (arousal), predisponendolo all’attacco o alla fuga. Le reazioni sono mediate da adrenalina e noradrenalina. E’, dunque, responsabile della nostra sopravvivenza. Il termine arousal (traducibile in italiano, in maniera poco esaustiva, con il termine “stato di attivazione”) si riferisce alla modalità dell’organismo di essere reattivo rispetto a stimoli interni ed esterni di varia natura, modificando parametri fisiologici come la frequenza cardiaca, il ritmo respiratorio, la vasodilatazione, la vasocostrizione, l’attività elettrica del cuore, la motilità intestinale, la secrezione ormonale, la conducibilità elettrica della cute, il diametro pupillare, ecc. Il sistema parasimpatico, all’opposto, ha funzioni anaboliche, ovvero di risparmio e ripristino dell’energia, diminuisce lo stato di arousal, agisce attraverso il nervo vago a trasmissione colinergica, rallenta la frequenza cardiaca, facilita la digestione. Ha un ruolo, quindi, protettivo e di recupero dell’omeostasi.
La visione dualista e antagonista dei due sistemi, così come è stata studiata negli anni, ha determinato una maggiore enfasi sul ruolo del simpatico nell’attivare le nostre risposte allo stress e ha dato una minore attenzione alla comprensione delle funzioni specifiche del sistema parasimpatico. Secondo Porges, la prospettiva simpatico-centrica del nostro sistema autonomo, pur spiegando bene il funzionamento di alcuni organi specifici a livello locale, non costituisce un modello esaustivo per spiegare come gli esseri umani si difendono dalle diverse e molteplici condizioni avverse della vita.
Porges propone un modello bidirezionale che lega mente e corpo, considerando il ruolo del cervello nella regolazione della fisiologia periferica (per esempio la regolazione neurale sia delle attività cardiovascolari sia delle funzioni endocrine), come una piattaforma neurale da cui emergono i comportamenti sociali con funzioni adattive e orientate a uno scopo. La Teoria Polivagale pone l’enfasi su:
l’esistenza di due circuiti vagali anziché uno solo;
l’importanza della relazione gerarchica tra loro;
l’importanza di considerare tutte le risposte difensive come adattive di fronte alle difficoltà ambientali e di relazione sociale.
Il primo quesito è: ci difendiamo solamente agendo risposte di iper-arousal? Per rispondere a questa domanda, Porges prende in considerazione il paradigma evoluzionistico della specie e questa cornice è la prima differenza tra dualismo antagonista del SNA e Teoria Polivagale. La prospettiva filogenetica fa riferimento al cervello tripartito di McLean (1973) in cui, nell’uomo, è possibile rilevare tre sezioni strutturali:
Cervello Rettiliano (la struttura più antica, tipica dei rettili ancestrali), formata dal tronco encefalico, dall’ipotalamo, dal talamo e dai nuclei della base;
al disopra del cervello rettiliano, circa 100 milioni di anni fa si è formato il Cervello Limbico, struttura formata dal riencefalo e dal lobo limbico che caratterizza il cervello dei mammiferi inferiori;
Crescendo di complessità, circa 20 milioni di anni fa, si è aggiunta la terza struttura neurale: Cervello Neocorticale o Neopalio o Cervello Mammifero, composta dalle circonvoluzioni più esterne della corteccia cerebrale che caratterizza il cervello dei mammiferi superiori.
Ciascuna struttura del cervello ha proprietà peculiari che riguardano particolari tipi di intelligenza, di memoria e di organizzazione spazio-temporale. Le tre sezioni costituiscono un Sistema interagente e funzionante come un’organizzazione per livelli gerarchici in cui i circuiti più evoluti del sistema nervoso inibiscono quelli più primitivi e, solo quando i nuovi circuiti falliscono, allora intervengono i più antichi. Il Sistema Nervoso Autonomo dell’uomo funziona nello stesso modo. Il secondo punto di differenza importante, tra la teoria classica del SNA e la Teoria Polivagale è, quindi, la nozione stessa di “Nuovo Circuito” inteso in senso filogenetico che evidenzia le interconnessioni biologiche tra le vie afferenti e quelle efferenti. Il vago non è un unico nervo, ma è formato da molteplici percorsi neurali che si originano in diverse zone del tronco encefalico.
Quindi, Porges descrive il SNA composto da tre circuiti neurali, gerarchicamente organizzati, che regolano l’adattamento dello stato comportamentale e fisiologico in contesti relazionali e sociali sicuri, pericolosi e potenzialmente letali: 1) il ramo Ventrale Parasimpatico del nervo vago che risponde agli stimoli sociali positivi; 2) il ramo Simpatico-adrenergico che risponde alla mobilizzazione (iper-arousal / attacco-fuga) 3) il ramo Dorsale Parasimpatico del nervo vago che produce una risposta di immobilizzazione o perdita di coscienza.
Il Sistema Ventro Vagale, evolutivamente il più recente, è presente solo nei mammiferi e si è poi evoluto ulteriormente negli esseri umani. E’ il Vago Intelligente, composto, per lo più, da fibre mielinizzate: quindi, funzionalmente mature e più efficaci, efferenti del Nucleo Ambiguo che innervano gli organi sopradiaframmatici, è associato con processi attivi di attenzione, movimento e comunicazione. Il SVV guida i muscoli del volto, della laringe, dei polmoni, del cuore e determina la nostra capacità di esprimere le emozioni con il volto, la voce, la prosodia e il respiro; risponde a stimoli sociali in situazioni di relazioni interpersonali favorevoli e sicure. Correla con l’attivazione fisiologica “ottimale”, definita da Siegel “finestra di tolleranza”.
Nell’uomo consente cambiamenti impercettibili e molto repentini degli organi interni, in particolare del ritmo cardiaco e respiratorio, ovvero esercita una regolazione viscerale con un minimo impatto sul sistema biochimico ad esso associato. La sua funzione fondamentale, quindi, è quella di avere un effetto modulatorio del Sistema Nervoso Simpatico e una inibizione del Sistema Dorso Vagale, determinando una regolazione degli stati emotivi e del comportamento di coinvolgimento sociale.
Vengono facilitati i sistemi di azione dell’attaccamento (ad es.: lasciarsi cullare nelle braccia della madre, ricercare il conforto di una persona amica, abbandonarsi ad un abbraccio amoroso, ecc.), della socializzazione, del gioco, dell’esplorazione (Van der Hart et al. 2006).
Il sistema Ventro Vagale si forma tra il secondo e il terzo anno di vita e media la modulazione delle emozioni da parte della corteccia prefrontale ventrale. Prima di questa età, quindi, i bambini molto piccoli non sono capaci di modulare le proprie risposte allo stress attraverso un’azione corticale, hanno bisogno che i loro caregiver (gli adulti che li accudiscono) lo facciano per loro. La Ricerca sulla Psicopatologia Infantile degli ultimi cinquant’anni - considerando gli aspetti bio-temperamentali di ogni individuo - ha dimostrato l’importanza delle buone cure tra genitore e bambino che consistono in una sintonizzazione affettiva con i bisogni primari del piccolo che sono il contatto fisico-uditivo-cinestesico e che facilitano la nutrizione, l’addormentamento e la vigilanza in uno stato di calma.
I processi interattivi di regolazione neurofisiologica (genitore-bambino) permettono una maturazione e una crescita del sistema nervoso organizzandosi anatomo-funzionalmente in pattern di attivazione (connessioni neuronali), come schemi-circuiti di esperienze apprese.
Dunque, questi nuovi processi di attivazione di regolazione affettiva rimangono impressi nella memoria episodica e, poi, immagazzinati nella memoria autobiografica e sono potenzialmente attivi tutta la vita. Quindi, anche in età adulta, il SVV modula e/o interagisce con il Sistema Simpatico in contesti in cui prevale il senso della “sicurezza” e del “benessere”, come ad esempio nel divertimento giocoso, nei comportamenti sessuali condivisi, ecc.
Il Sistema Simpatico Adrenergico In situazioni di ambiente insicuro, al contrario, il Sistema Ventro Vagale viene inibito. Il pericolo percepito attiva in automatico, o in modo semi-automatico, il Sistema Simpatico adrenergico, facilitando le reazioni di attacco o di fuga. In caso di mancata risoluzione dell’attivazione simpatica, ovvero nel caso di continue minacce ambientali, il sistema simpatico può rimanere attivo in uno stato di iperattivazione (iper-arousal): paura incontrollabile, panico, immobilizzazione rigida, determinando a livello locale sul cuore disfunzioni del battito come le tachiaritmie.
Il Sistema Dorso Vagale, il sistema di difesa non mediato dal Cervello emotivo (lobo Limbico) e dalla Neocorteccia. Il più antico, è l’ultimo sistema di emergenza nell’uomo. Un sistema di fibre non mielinizzate controllato dal Nucleo Motore Dorsale che innerva gli organi sottodiaframmatici (milza, fegato, stomaco, intestino tenue, colon tratto prossimale) e che riduce drasticamente il metabolismo di tutto il corpo. In situazioni di pericolo di vita, oggettivo o percepito – come nelle esperienze traumatiche acute e/o ripetute, in cui la minaccia è soverchiante e insormontabile, non si può né fuggire né attaccare, si attiva nell’animale come nell’uomo l’antica via Dorso Vagale, di sottomissione, congelamento (freezing), dissociazione (percezione di essere estranei al proprio corpo o all’ambiente circostante), immobilità tonica, bradiaritmie fino alla asistolia con perdita di coscienza (sincope neuromediata). Tali reazioni, adattive e difensive in alcune specie animali, come la morte apparente (feigned death), perdono la loro funzione regolatrice negli esseri umani. La risposta dorsale vagale di ipo-arousal consiste in una disconnessione funzionale (detachment) (Holms e al. 2005) tra le strutture del cervello tripartito, cioè tra le strutture limbiche inferiori (amigdala), il tronco dell’encefalo e quelle superiori corticali.
Altri studi neurofisiologici hanno confermato ed integrato le ipotesi di Porges sui meccanismi di disregolazione autonomica nei disturbi stress-correlati.
Nella pratica clinica in psicologia dell’emergenza e in psicotraumatogia sono spesso presenti quadri sindromici in cui si evidenzia anche una grave compromissione nella regolazione autonomica del tono vagale che può manifestarsi transitoria o cronica.
Gli studi sulla variabilità del ritmo cardiaco (HRV) di van der Kolk e colleghi (2015) in soggetti con Disturbi da Stress Post Traumatici hanno evidenziano che questi soggetti, quando ricordavano episodi di vita terribili, presentavano una significativa instabilità della frequenza cardiaca, contrariamente ai soggetti del gruppo di controllo che riuscivano a stabilizzare il battito e non avevano un Disturbo post-traumatico. Altri recenti studi di neuroimaging (Lanius et. al. 2005, 2009; Shore, 2007) hanno evidenziato che l’arousal disregolato, presente nelle varie forme traumatiche ripetute, determina una dissociazione delle aree cerebrali normalmente collegate tra loro, che può manifestarsi transitoria come nelle forme semplici di Disturbo da Stress Post Traumatico, oppure può influire sullo sviluppo di alcune aree cerebrali, determinando un deficit di integrazione tra l’attivazione emotiva (mediata dall’amigdala), i sistemi di significato profondo (mediati dal sistema prefrontale destro) e la memoria esplicita (ippocampo e cervello sx), come nei Disturbi Complessi Trauma-correlati.
In conclusione: le nuove frontiere della neuro-psico-fisiologia hanno aperto le porte alla conoscenza “dell’essere umano” nella sua complessità, la cui salute o malattia non può più prescindere dalla stretta relazione con i contesti sociali-affettivi e ambientali. Scoprire i meccanismi di come questa integrazione avvenga è una sfida che muove da sempre la ricerca delle Scienze Umane. Paola Foggetti Psicoterapeuta, Psicofisiologa Clinica Psicologia d’Emergenza e Psicotraumatologia Sesto Centro di Psichiatria e Psicoterapia Cognitiva Roma
Articolo pubblicato su www.cardiolink.it
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Post-scriptum per eschatogenesi ... e noi? un vertiginoso concentrato del mondo? o nel reale conoscibile noi schiuma ancora in ebollizione frangia d’interferenza fra più mondi? un’avanzata della mente sembra la coscienza - in ritardo sulla mente un’avanzata del cervello sembra la mente - in ritardo su se stessa ... ma allora? Il fenomeno dell’ars? pre-programmato dall’adattamento filogenetico? o uomo - tu non sei che un organismo biologico ancora legato al suo biologico retaggio e alla sua storia - la tua - evolutiva ancora quelli - sì - del paleolitico gli adattamenti - i tuoi - filogenetici omino! Non sei ancora fatto - tu per il mondo sognato e poetato e maladattativo - male detto? è ancora il tuo modo di malvivere eppure sembri proprio pre-adattato - proprio per questa società anonima con le sue masse enormi - di persone? di maschere? progetti? che cos’altro? miliarduomini che non si conoscono e non si amano e neppure si odiano sappiamo appena qualcosa - che siamo forse poetogeneticamente ... (la poetogenesi forse ripete la filogenesi che ci ripete l’ontogenesi che ci ripete e che ci muta nel poetogenere ...) ma finirà - la preistoria - quando? da “La bellezza dell’enigma”, Carlo Mancosu Editore
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Lo último que veremos será La escuela cladista.
Gracias a esto he aprendido cómo se clasifica a los seres.
Me ha sorprendido como de un antecesor común pueden salir tantos seres distintos que a plena vista no parece que vengan de un mismo ser
Por eso los árboles filogenéticos son muy curiosos de hacer y aprendes mucho sobre la evolución de algunos seres.
Aquí os dejo un ejemplo de árbol filogenetico
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