#falanto
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ariel-seagull-wings · 1 year ago
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PINOCCHIO BRAZILIAN PORTUGUESE VOICE CAST
@thealmightyemprex @themousefromfantasyland @the-blue-fairie @princesssarisa
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VHS CREDITS (1966 DUB)
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1940 Dub :
Voice Cast :
Character's Name
Voice Actor
Pinocchio ​Pinguinho
Doraldo Gomes Thompson
Jiminy Cricket ​Grilio Falanto
Olympio "Mesquitinha" Bastos
- Singing
Paulo Tapajós
Geppetto
Baptista Júnior
​Blue Fairy Fada Azul
Zezé Fonseca
Honest John ​João Honesto
Henrique Foréis Domingues "Almirante"
Stromboli
Lisandro Sergenti
The Coachman ​Cocheiro
Edmundo Maia
Lampwick ​Pavio de Vela
Grande Othelo
Alexander ​Alexandre
Dilmar Thompson
Marionettes ​Bonecas Estrangeiras
Heloisa Helena
Technical Credits :
Occupation
Person's Name
Director Direção
Carlos Alberto Ferreira Braga "João de Barro"
Translation Tradução
Joracy Camargo Carlos Alberto Ferreira Braga "João de Barro"
Musical Director ​​Direção musical
?
Lyricist Tradução de canções
Zacarias Iaconelli
Sound Engineer ​Técnico de som
Moacyr Fenelon
Creative Supervisor ​Supervisão da dublagem
Wallace Downey Jack Cutting ​Stuart Buchanan
Mixing Studio
? - New York, USA
Dubbing Studio ​Estúdio de dublagem
Sonofilms
1966 Dub :
Character's Name
Voice Actor
Pinocchio Pinóquio
Carlos Alberto Mello
- Singing
Selma Lopes
Jiminy Cricket ​Grilo Falante
Ênio Santos
Geppetto
Luiz Motta
Blue Fairy ​Fada Azul
Selma Lopes
Honest John ​João Honesto
Magalhães Graça
Stromboli
Castro Gonzaga
Coachman Cocheiro
Orlando Drummond
Lampwick ​Espuleta
Milton Rangel Filho
Alexander Alexandre
?
Marionettes ​Bonecas Estrangeiras
Quarteto em Cy
Technical Credits :
Occupation
Person's Name
Director Direção
Telmo Perle Münch
Translation Tradução
Telmo Perle Münch
Musical Director ​Direção musical
Aloysio de Oliveira
Lyricist Tradução de canções
?
Chorus ​Coro
Quarteto em Cy ​MPB-4
Sound Engineer Técnico de som
?
Creative Supervisor Supervisão da dublagem
Eugene Armstrong
Dubbing Studio Estúdio de dublagem
Riosom S/A - Rio de Janeiro
Sources :
1940 Dub : Newspaper clippings
1966 Dub : ​2001 VHS Release Disney+
Additional information :
A Memória da Dublagem
Trivia :
Release date : 09/02/1940 (premiere of the first dubbing in Rio de Janeiro and Rio Grande do Sul)
- Re-release : 07/31/1946
- Re-release (Portugal) : 12/??/1954
Premiere of the second dubbing : 12/??/1966 (Portugal), 12/25/1967 (São Paulo & Rio de Janeiro, BR)
- Re-release : 12/21/1979
- Re-release : 07/03/1988
There are two dubbings of this film. The first from 1940 and the second from 1966.
In the cinema releases, the film used the original English title (Pinocchio.) The home media releases re-titled the film (Pinóquio.)
There was a contest before the film's premiere in Brazil to win merchandise from the film. If you would like to learn more about this contest, good friend of the website Leonardo Forli has written an article on his website about it. Link
The 1940 version, along with the Latin Spanish version, were the only foreign language versions of Pinocchio to be released in 1940. This was due to World War II cutting off the European and Asian markets from the USA.
Joracy Camargo only had a short time to translate the movie. He filled the movie with humor and simple for anyone to understand (both kids and adults.) João de Barro also helped translate the script as well by changing some of the wording by Camargo.
After the dialogue was completed at Sonofilms, it was sent to an unknown studio in New York for mixing.
Edmundo Maia was incorrectly credited as Geppetto in a newspaper article. In reality, it was Baptista Júnior that voiced Geppetto. Edmundo Maia did voice the Coachman in the 1940 dub.
There are excerpts from the first dub are available on vinyl records made during the 1940s. Otherwise, the dubbing is lost.
The 1966 dub was first shown in Portugal during the Christmas season of 1966. While in Brazil, it was shown in 1967.
The 1966 dub is the most common dub and is available on all Brazilian home video releases and the first Portugal VHS release.
On the first VHS release, the 1940 technical credits were included as well as the 1966 technical credits.
Selma Lopes was uncredited as Pinocchio's singing voice in the second dubbing. She revealed that she did his singing voice here and here.
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lastrange-intrip · 6 years ago
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#spartan #Sparta #Taranto #taras #mitologia #leggenda #warrior #discendenza #straordinaria #oneblood #animaecuore #persempre #nataprincipessa #cresciutaguerriera #spartana #tarantina #falanto #saturo #duemari #vittoria https://www.instagram.com/p/BMpS-aghRBx/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=3z2e8qee8ohd
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nonesistesperanza · 6 years ago
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"Taranto non perdona. Lei non è gradito nella nostra città e non è degno di calpestare la terra che fu di Falanto lo spartano, dagli dèi e dalla natura destinata alla bellezza e non alla morte. Resti a Roma, dunque, e ritrovi il coraggio di cambiare le cose per il bene dei nostri figli" (i Tarantini per Luigi Di Maio, 14 aprile 2019)
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vouesquecerjaja · 7 years ago
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Cassie: Bom livro. - se tranca novamente no dormitorio. Parabens cassie nao está falanto com 5 de 8 amigos. Ta quase.
Paul: na Comunal, lendo.
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ultimenotiziepuglia · 6 years ago
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puglialink · 6 years ago
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fondazioneterradotranto · 8 years ago
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/07/taranto-falanto-la-pizia-pidocchi/
Taranto, Falanto, la Pizia, e i pidocchi
di Armando Polito
Nella prima immagine la Mappa di Soleto (V secolo a. C.?1), in cui con l’ellisse tratteggiata in rosso ho evidenziato il nome della città: ΤΑΡΑΣ ( leggi Taras); nella seconda Falanto in una moneta tarantina del III secolo a. C; nella terza una moneta di Crotone, della fine del V secolo a. C., con al centro il tripode sul quale assisa la Pizia a Delfi pronunciava le profezie, mentre a sinistra Apollo armato di arco scaglia una freccia contro Pitone a destra; nell’ultima un pediculus humanus capitis (pidocchio umano del capo). La serie delle quattro immagini vuole essere la sintesi di quanto segue.
C’era una volta (a quantificarlo temporalmente bisogna risalire almeno all’VIII secolo a. C.) a Delfi una sacerdotessa di nome Pizia che nel santuario di Apollo svolgeva le funzioni di portavoce del Dio. Non era certo all’altezza delle moderne indovine che sono in grado di captare certi segnali, per esempio quelli che proverrebbero da tutte le carte, meno quelle igieniche, notoriamente  connesse con quella funzione fisiologica al cui espletamento le invio ogni volta che le vedo comparire in tv, insieme con chi dovrebbe intervenire per impedire il proliferare, da una parte, della furbizia, e dall’altra, della stupidità;, e alla captazione dei segnali segue la fase della loro interpretazione da ammannire allo speranzoso quanto stupido cliente. La Pizia, poveretta, fungeva solo da megafono per la voce del dio; spettava poi all’interprete diradare la nebbia che avvolgeva le profezie, espresse in versi di così difficile comprensione immediata che i poeti ermetici al confronto fanno tenerezza, e passibili di tante diverse interpretazioni che, in questo caso al contrario, le profezie impallidirebbero di vergogna di fronte ad un testo scritto dal legislatore dei nostri tempi.
Pare, comunque, che, tanto più una realtà è misteriosa, tanto più essa attrae; infatti il santuario di Delfi godeva di prestigio assoluto e da ogni parte del mondo allora conosciuto, proprio come oggi con gli studi (?) degli indovini, vi ricorreva il capo di stato come il semplice cittadino, il ricco e il povero (quest’ultimo l’ho citato perché anche lui in teoria aveva ed ha bisogno del conforto della religione, ma non sono sicuro  che potesse fruire dei suoi servigi, allora come ora, gratuitamente …).
C’era sempre in quel tempo a Sparta un uomo di nome Falanto costretto a pagare (allora era quasi la regola; potrebbe essere un’idea per i nostri giorni …) gli errori (o presunti tali …) del padre. Quest’ultimo, infatti, non aveva partecipato alla spedizione messenica e, perciò, venne dichiarato ilota (in parole povere schiavo) e suo figlio, Falanto appunto, subì il destino di tutti quelli nati da simili padri, cioè perse i pieni diritti di cittadinanza ed assunse la qualifica di partenio, che alla lettera significa figlio di vergine, una locuzione che di lì ad otto secoli avrebbe definito quello che io considero, uomo, il più grande rivoluzionario della storia della nostra specie, ma che allora per il povero Falanto e per quelli come lui era una sorta di eufemismo per figlio illegittimo, anzi politicamente non corretto ….
I parteni, però, non si rassegnarono a quella condanna e organizzarono un complotto contro l’assemblea del popolo, per così dire, normale. Purtroppo il tentativo fallì, furono messi sotto custodia ed il loro capo, Falanto, appunto, fu inviato a Delfi per consultare l’oracolo sulla fondazione di una nuova colonia, che, all’epoca era il modo meno cruento di liberarsi di chi dava fastidio e, per l’interessato, l’unico modo per avere la speranza di una vita dignitosa o, comunque, migliore. Insomma, dal momento che tra i parteni c’erano certamente persone molto intelligenti, essi anticipavano, ancora una volta, ma, come vedremo, in senso inverso, i nostri due fenomeni dell’emigrazione prima e della fuga dei cervelli dopo.
Falanto, dunque, è a Delfi e il responso della Pizia è, più o meno. il seguente: – Fonderai la nuova colonia quando vedrai la pioggia cadere dal cielo sereno -. Una volta tanto sembra che la Pizia sia stata chiara, tanto chiara che a Falanto non pare il caso di scomodare l’interprete, giacché è evidente che le sue parole somigliano alla figura retorica dell’ἀδὐνατον (=cosa impossibile), della quale hanno fatto man bassa i poeti d’amore di ogni epoca mettendo in campo improbabili (oggi non più tanto …) fenomeni in espressioni come l’acqua del mare si sarà prosciugata prima che scemi il mio amore per te, oppure vedrai gli asini volare prima che io mi allontani da te; oggi, invece, il politico direbbe rinuncerei prima al potere che a te e il cittadino, standardizzato da uno stato complice capace solo di vuoti proclami e non di fatti concreti (come, per esempio, l’eliminazione di fatture e scontrini teorici (perché emessi saltuariamente) con quella parallela   della moneta cartacea e l’introduzione di quella elettronica), rinuncerò a te solo contestualmente (notare il linguaggio, con tutto il rispetto, da commercialista) all’abbandono del mio status di evasore fiscale.
Falanto, insomma, che non è stupido, pensa che la Pizia lo abbia preso per il culo. Non può, d’altra parte, rinunziare al suo ruolo di capo e parte alla volta dell’Italia con gli altri parteni ed approda un po’ lontano, ma non tanto (vivo a Nardò), dalle nostre parti. Passa il tempo ma ogni volta che ingaggia uno scontro con le popolazioni locali le busca sonoramente. Sente vacillare il suo prestigio di capo e ben presto entra in profonda depressione. Fortunatamente ha una moglie di nome Etra (in greco significa, guarda caso, cielo sereno) che non lo abbandona a se stesso, pare per amore. Il povero Falanto, però, nelle condizioni in cui si trova, oppure per incomprensioni pregresse che avevano logorato il loro rapporto spingendolo a pensare che il nome della moglie fosse per lui una presa per il culo ben precedente a quella della profezia della Pizia, comincia a trascurarsi anche fisicamente, non si lava né taglia barba, baffi e capelli, non mangia più, si sta lasciando lentamente morire. Nei capelli i pidocchi hanno fissato, loro sì, una popolosissima colonia. Etra ogni tanto guarda sconsolata il làgunos (bottiglia) gigante di shampoo che aveva regalato al suo uomo quando questi sembrava più un atletico eroe che una larva imbozzolata. La sua composizione sarebbe stata poi scopiazzata dal produttore dello shampoo che a distanza di quasi due millenni sarebbe stato il preferito da Federica Pellegrini e che, magari, avrebbe pure contribuito a farle vincere qualche medaglia, visto che siamo in tema, pure olimpica. Una donna innamorata le escogita tutte pur di salvare e stimolare il suo uomo. Dopo aver invano tentato più volte di fargli trangugiare almeno un càntaros (tazza) di vino in sostituzione di quello che ormai è diventato per lui l’unico alimento quotidiano, cioè un chiùlix (bicchiere) di acqua attinta dall’idria (ampio vaso a tree manici usato per conservare l’acqua, ma anche per votare nelle assemblee; un segno premonitore della nostra condizione di quest’ultimo periodo? …), lo convince a posare il capo sulle sue tornite (quest’aggettivo consolatoriamente compenserà i problemi salariali di milioni di metalmeccanici …) ginocchia. Nessuna intenzione erotica, almeno in prima battuta. Infatti comincia a spulciare la testa di Falanto e, nel contempo, pensando forse che lui non si lascerà nemmeno sfiorare dal richiamo erotico delle sue tornite ginocchia, si abbandona ad un pianto dirotto: per ogni pidocchio catturato mezzo litro di lacrime. Dicono che il pianto è liberatorio, ma in questo caso lo fu prima per Falanto che per Etra, che avrà pure avuto delle ginocchia tornite ma soprattutto un apparato lacrimale di assoluto rispetto. L’eroe, infatti, comprende in un attimo che il cielo sereno e la pioggia cui alludeva l’oracolo erano, rispettivamente, il nome della moglie e le sue lacrime. Non sappiamo se per precauzione lasciò che la moglie finisse di spulciarlo e, quel che importava, continuasse a piangere. Sappiamo solo che Falanto, magari con ancora parecchi pidocchi tra i capelli, quella notte stessa conquistò Taranto.
E, concludendo senza malizia,
al fine di ristabilir giustizia,
dico che talora la sporcizia
tramutare puotesi in delizia,
conforme al responso della Pizia.
Si può ben dire, così, che Taranto deve moltissimo ai pidocchi e, se avessi sparato questo titolo, avrei dovuto sorbirmi gli strali di parecchi, non necessariamente tarantini. Sono consapevole di restare esposto, comunque ad attacchi di ogni tipo, ad accuse come la mistificazione storica e l’invenzione di favolette. Prima, però, di scatenare l’attacco, leggete quel che segue …
Strabone (I secolo a. C.-I secolo d. C.), Geographia, VI, 3, 2, riporta copsì la testimonianza di Antioco di Siracusa (V secolo a. C.):
Περὶ δὲ τῆς κτίσεως Ἀντίοχος λέγων φησὶν ὅτι τοῦ Μεσσηνιακοῦ πολέμου γενηθέντος οἱ μὴ μετασχόντες Λακεδαιμονίων τῆς στρατε��ας ἐκρίθησαν δοῦλοι καὶ ὠνομάσθησαν Εἵλωτες, ὅσοις δὲ κατὰ τὴν στρατείαν παῖδες ἐγένοντο, Παρθενίας ἐκάλουν καὶ ἀτίμους ἔκριναν. Οἱ δ᾽ οὐκ ἀνασχόμενοι (πολλοὶ δ᾽ ἦσαν) ἐπεβούλευσαν τοῖς τοῦ δήμου. Αἰσθόμενοι δ᾽ ὑπέπεμψάν τινας, οἳ προσποιήσει φιλίας ἔμελλον ἐξαγγέλλειν τὸν τρόπον τῆς ἐπιβουλῆς. Τούτων δ᾽ ἦν καὶ Φάλανθος, ὅσπερ ἐδόκει προστάτης ὑπάρχειν αὐτῶν, οὐκ ἠρέσκετο δ᾽ ἁπλῶς τοῖς περὶ τῆς βουλῆς ὀνομασθεῖσι. Συνέκειτο μὲν δὴ τοῖς Ὑακινθίοις ἐν τῷ Ἀμυκλαίῳ συντελουμένου τοῦ ἀγῶνος, ἡνίκ᾽ ἂν τὴν κυνῆν περίθηται ὁ Φάλανθος, ποιεῖσθαι τὴν ἐπίθεσιν· γνώριμοι δ᾽ ἦσαν ἀπὸ τῆς κόμης οἱ τοῦ δήμου. Ἐξαγγειλάντων δὲ λάθρᾳ τὰ συγκείμενα τῶν περὶ Φάλανθον καὶ τοῦ ἀγῶνος ἐνεστῶτος, προελθὼν ὁ κῆρυξ εἶπε μὴ περιθέσθαι κυνῆν Φάλανθον. Οἱ δ᾽ αἰσθόμενοι ὡς μεμηνύκασι τὴν ἐπιβουλὴν οἱ μὲν διεδίδρασκον οἱ δὲ ἱκέτευον. Κελεύσαντες δ᾽ αὐτοὺς θαρρεῖν φυλακῇ παρέδοσαν, τὸν δὲ Φάλανθον ἔπεμψαν εἰς θεοῦ περὶ ἀποικίας·  ὁ δ᾽ ἔχρησε· Σατύριόν τοι δῶκα Τάραντά τε πίονα δῆμον οἰκῆσαι, καὶ πῆμα Ἰαπύγεσσι γενέσθαι.  Ἧκον οὖν σὺν Φαλάνθῳ οἱ Παρθενίαι, καὶ ἐδέξαντο αὐτοὺς οἵ τε βάρβαροι καὶ οἱ Κρῆτες οἱ προκατασχόντες τὸν τόπον. Τούτους δ᾽ εἶναί φασι τοὺς μετὰ Μίνω πλεύσαντας εἰς Σικελίαν, καὶ μετὰ τὴν ἐκείνου τελευτὴν τὴν ἐν Καμικοῖς παρὰ Κωκάλῳ συμβᾶσαν ἀπάραντας ἐκ Σικελίας κατὰ δὲ τὸν ἀνάπλουν δεῦρο παρωσθέντας, ὧν τινὰς ὕστερον πεζῇ περιελθόντας τὸν Ἀδρίαν μέχρι Μακεδονίας Βοττιαίους προσαγορευθῆναι. Ἰάπυγας δὲ λεχθῆναι πάντας φασὶ μέχρι τῆς Δαυνίας ἀπὸ  Ἰάπυγος, ὃν ἐκ Κρήσσης γυναικὸς Δαιδάλῳ γενέσθαι φασὶ καὶ ἡγήσασθαι τῶν Κρητῶν.Τάραντα δ᾽ ὠνόμασαν ἀπὸ ἥρωός τινος τὴν πόλιν.
(Parlando della fondazione [di Taranto] Antioco dice che, finita la guerra messenica, quelli degli Spartani che non avevano partecipato alla spedizione vennero dichiarati schiavi e furono chiamati  Iloti. Ai figli nati da loro durante la spedizione fu dato il nome di Parteni e li dichiararono privi dei diritti civili. Essi, però, erano numerosi,  non sopportandolo, complottarono contro i rappresentanti del popolo.  Questi essendosene accorti mandarono come spie alcuni che con la finzione di amicizia intendevano  carpire notizie sulle modalità del complotto. Tra questi c’era anche Falanto che sembrava essere il loro capo ma non era gradito del tutti a tutti quelli nominati circa la congiura. Si escogitò che mentre si celebravano i giochi per la festa di Giacinto nel tempio di Amicle non appena Falanto si fosse messo in testa il cappello si sarebbe scatenato l’assalto:  quelli del popolo infatti erano riconoscibili dalla capigliatura. Essendo stato quest’ordine rivelato di nascosto dai compagni di Falanto, mentre si celebravano i giochi, un araldo fattosi avanti disse che Falanto non doveva mettersi in testa il cappello.  Accortisi che la congiura era stata scoperta, alcuni fuggivano,  altri  chiedevano pietà. Avendo ordinato di farsi coraggio li misero sotto custodia e mandarono Falanto al tempio del Dio per consultarlo sulla colonia. Il dio profetizzò:  – Ti dono Satyrion e di abitare il ricco paese di Taranto  e di diventare la rovina per gli Iapigi -. I Parteni dunque andarono con Falanto e li accolsero i barbari ed i Cretesi che avevano occupato prima il luogo. Dicono che costoro erano quelli che avevano navigato con Minosse verso la Sicilia e che dopo la sua morte a Camico presso Cocalo se n’erano andati dalla Sicilia e nel viaggio di ritorno erano stati sbattuti qui: alcuni di loro poi fopo aver fatto a piedi avavano fatto il giro dell’Adriatico fino in Macedonia erano stati chiamati Bottiei. Dicono che tutti quelli fino alla Daunia sono chiamati Iapigi da Iapige che Dedalo aveva avuto da una donna cretese e che aveva guidato i Cretesi. Chiamarono la città Yatanto dal nome di un eroe.  
Pausania (II secolo d. C.), Ἑλλάδος περιήγησις, X, 10, 6-8: Τάραντα δὲ ἀπῴκισαν μὲν Λακεδαιμόνιοι, οἰκιστὴς δὲ ἐγένετο Σπαρτιάτης Φάλανθος. Στελλομένῳ δὲ ἐς ἀποικίαν τῷ Φαλάνθῳ λόγιον ἦλθεν ἐκ Δελφῶν· ὑετοῦ αὐτὸν αἰσθόμενον ὑπὸ αἴθρᾳ, τηνικαῦτα καὶ χώραν κτήσεσθαι καὶ πόλιν. Τὸ μὲν δὴ παραυτίκα οὔτε ἰδίᾳ τὸ μάντευμα ἐπισκεψάμενος οὔτε πρὸς τῶν ἐξηγητῶν τινα ἀνακοινώσας κατέσχε ταῖς ναυσὶν ἐς Ἰταλίαν· ὡς δέ οἱ νικῶντι τοὺς βαρβάρους οὐκ ἐγίνετο οὔτε τινὰ ἑλεῖν τῶν πόλεων οὔτε ἐπικρατῆσαι χώρας, ἐς ἀνάμνησιν ἀφικνεῖτο τοῦ χρησμοῦ, καὶ ἀδύνατα ἐνόμιζέν οἱ τὸν θεὸν χρῆσαι· μὴ γὰρ ἄν ποτε ἐν καθαρῷ καὶ αἰθρίῳ τῷ ἀέρι ὑσθῆναι. Καὶ αὐτὸν ἡ γυνὴ ἀθύμως ἔχοντα —ἠκολουθήκει γὰρ οἴκοθεν—τά τε ἄλλα ἐφιλοφρονεῖτο καὶ ἐς τὰ γόνατα ἐσθεμένη τὰ αὑτῆς τοῦ ἀνδρὸς τὴν κεφαλὴν ἐξέλεγε τοὺς φθεῖρας· καί πως ὑπὸ εὐνοίας δακρῦσαι παρίσταται τῇ γυναικὶ ὁρώσῃ τοῦ ἀνδρὸς ἐς οὐδὲν προχωροῦντα τὰ πράγματα. Προέχει δὲ ἀφειδέστερον τῶν δακρύων καὶ—ἔβρεχε γὰρ τοῦ Φαλάνθου τὴν κεφαλήν—συνίησί τε τῆς μαντείας—ὄνομα γὰρ δὴ ἦν Αἴθρα τῇ γυναικί—καὶ οὕτω τῇ ἐπιούσῃ νυκτὶ Τάραντα τῶν βαρβάρων εἷλε μεγίστην καὶ εὐδαιμονεστάτην τῶν ἐπὶ θαλάσσῃ πόλεων. Τάραντα δὲ τὸν ἥρω Ποσειδῶνός φασι καὶ ἐπιχωρίας νύμφης παῖδα εἶναι, ἀπὸ δὲ τοῦ ἥρωος τεθῆναι τὰ ὀνόματα τῇ πόλει τε καὶ τῷ ποταμῷ· καλεῖται γὰρ δὴ Τάρας κατὰ τὰ αὐτὰ τῇ πόλει καὶ ὁ ποταμός (Gli Spartani fondarono Taranto, l’ecista fu lo spartiata Falanto. A Falanto che si preparava a fondare una colonia giunse da Delfi il responso che avrebbe conquistato un territorio e una città quando avesse visto cadere la pioggia dal cielo sereno. Egli, non avendo preso in considerazione il responso né avendone reso partecipe qualcuno degli interpreti, approdò in Italia; poiché non gli capitava di vincere i barbari né di conquistare città alcuna né d’impossessarsi di un territorio, si ricordò del responso e credette che il dio avesse profetizzato l’impossibil e che non poteva piovere col cielo puro e limpido. La moglie, infatti l’aveva seguito dalla patria, confortava lui avvilito e tra l’altro dopo aver fatto appoggiare la testa del marito sulle sue ginocchia, cercava i pidocchi. In qualche modo per amore accadde alla donna di piangere vedendo che lo stato del marito non migliorava per nulla. Prosegue senza risparmio di lacrime – e infatti ne bagnava la testa di Falanto – e Falanto  comprende la profezia – sua moglie, infatti si chiamava Etra – e così sopraggiunta la notte prese Taranto, la più grande e prospera delle città dei barbari in riva al mare. Dicono che l’eroe Taras sia figlio di Poseidone e di una ninfa del luogo, che dall’eroe venne il nome alla città e al fiume: infatti anche il fiume si chiama come la città).
Ora che l’asticella della mia credibilità si è innalzata, siccome mi piace non prendere troppo sul serio qualcosa o qualcuno (a partire dalle mie cose e da me stesso) azzardo l’ipotesi che lo scorpione del quale ho detto ampiamente in  un precedente post (http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/01/25/taranto-suo-stemma/) non sia altro, fatta la tara dei gigli, che la trasformazione iconografica nobilitata di uno dei pidocchi di Falanto. E per non attirarmi gli strali degli animalisti, ma soprattutto perché la sua Notte è passata da tempo, lascio in pace la simpatica tarantola …
_____________
1 Il punto interrogativo è dovuto al fatto che permangono dubbi sull’autenticità del graffito, anche se il supporto (un frammento di ceramica a vernice nera) è in linea con la cronologia indicata.
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Taranto ed Ebalo: un mito sempre vivo
di Armando Polito
Su Ebalo e derivati non mi pare il caso di ripetere quanto ho avuto occasione di scrivere in https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/01/08/taranto-piazza-ebalia-le-origini-di-un-toponimo/.
Rischierei, da parte di chi a suo tempo mi lesse, l’accusa di autoriciclaggio o, se preferite, di autocopia-incolla, oppure di avanzata arteriosclerosi …
A chi, invece, sente questo nome per la prima volta e non vuole precludersi la possibilità di comprendere più agevolmente quanto dirò, faccia una visita preliminare al link appena segnalato.
E allora? Qui integrerò aggiungendo i riferimenti testuali ad un autore lì citato con scarne notizie e presentando ex novo un altro più vicino a noi.
Tommaso Niccolò d’Aquino (1665-1721) nel 1706 entrò nell’Arcadia ed assunse lo pseudonimo di Ebalio Siruntino1. Fu sindaco di Taranto, subentrando al padre, nel 1705-1706. In vita non pubblicò nulla. Il suo Deliciae Tarentinae, il cui autografo risulta disperso, fu pubblicato per i tipi della Stamperia Raimondiana a Napoli nel 1771 da Cataldantonio Artenisio Carducci (1733-1775), che lo corredò di traduzione in endecasillabi del testo latino in esametri e di commento.
Ne riporto fedelmente i versi che ci interessano, con la mia traduzione perché quella del Carducci raramente coincide con l’estensione del verso originale:
LIBRO I
1 Oebaliae canimus silvas, bimarisque Tarenti (Cantiamo le selve di Ebalia e di Taranto dai due mari)
82 magna per Oebalios volant examina campos (grandi sciami volano per i campi ebalii)
137 explicat, Oebaliae qua surgunt moenibus arces (elargisce, per dove le rocche di Ebalia sorgono con le loro mura)
151 Oebalii exultant, et amabilis ora Phalanti (esultano gli Ebalii e l’amabile contrada di Falanto)
166 Oebaliam iuxta, nec longo dissita tractu (Presso Ebalia, né lontana per lungo tratto)
232 Oebalias parit, unda tamen sua munera nutrit ([il clima caldo] genera le ebalie [qualità], l’onda tuttavia nutre i suoi doni)
237 Perpetuus micat Oebaliae thesaurus aquarum (In Ebalia brilla il perpetuo tesoro delle acque)
244 Oebaliam propter felicibus ora fluentis (presso Ebalia una contrada dalle copiose acque)
298 Alluit Oebaliam longi molimine tractus (Bagna Ebalia un corso d’acqua dal lungo tratto con argine)
326 Oebaliam ingreditur, secum arcubus ipsa triumphans [l’acqua entra in Ebalia, trionfando essa stessa con getti arcuati)
335 civibus Oebaliis: agitant sub nocte choreas (per i cittadini ebalii: di notte intrecciano le danze)
372 appulit Oebalios fines spartana iuventus (la gioventù spartana
437 Oebalii plaudunt, tolluntque ad sidera nomen (Gli Ebalii applaudono ed elevano il nome alle stelle)
456 Instant adversi Oebalii, ferroque coruscant (Gli Ebalii oppongono resistenza e brillano nell’armatura)
493 nutriit Oebaliae divino nectare alumnos (nutrì gli allievi col divino nettare di Ebalia)
544 Oebalii: fors astra, novo seu Cinthia ([del mare] di Ebalo: per caso gli astri o la luna col nuovo)
LIBRO II
4 sit pecori: Oebalio quanta experientia nautae (ci sia per il gregge di Nereo; quanta esperienza per il marinaio ebalio)
35 Oebalius certo piscator tempore jactat (il pescatore Ebalio in tempo opportuno getta)
72 Oebalio illuxit quondam medicata veneno (trattata col veleno ebalio un tempo superò)
263 Oebaliae servant, riguo data munera coelo (custodiscono [le conchiglie] di Ebalia, doni concessi dal cielo ricco di piogge)
269 vir fuit Oebaliae quo non praestantior alter (ci fu un uomo di Ebalia del quale un altro non fu più forte)
459 Oebalio vel quae nascantur in aequore conchae (di Ebalia o le conchiglie che nascono in mare)
473 O decor Oebaliae, si quid mea carmina possunt (O decoro di Ebalia, se i miei canti possono qualcosa)
611 Oebaliam pacis regat inviolabile foedus (un inviolabile patto regga la pace ebalia)
LIBRO III
23 te vocat Oebaliae lucus, te nota Galaesi (te chiama il bosco di Ebalia, te le note del Galeso)
51 Oebalii, generose, soli tu numine vindex (tu, o generoso, vendicatore con la tua potenza del suolo ebalio)
82 quae Oebalios fines oris accedat Hyberis (che dalle coste iberiche approdi ai confini ebalii)
468 panditur Oebaliis, frondentibus undique ramis (si apre agli ebalii, mentre da ogni parte verdeggiano i rami)
LIBRO IV
12 Oebaliae assurgunt tibi prata nitentia gazis (sorgono per te i prati ebalii splendenti di ricchezze)
24 Oebalios per agros, Coelum ditavit amicum (per le campagne ebalie arricchì il clima favorevole)
35 laudibus Oebaliae certent. Rhodos aurea neve (potrebbero gareggiare con le lodi di Ebalia. né Rodi con l’aurea neve)
65 Italicus sic Oebalios ad sidera lucos (così Italicoquesti boschi alle stelle)
72 visitur Oebalium variabile floribus arvum (vien vista la campagna ebalia ricca di fiori)
111 Oebalias inter silvas celebrabitur Hymen (tra le selve ebalie sarà celebrato l’imeneo)
158 Oebaliae nunc silva, et nostri placet aura recessus (piace ora la selva di Ebalia e il clima del nostro erifugio)
168 jugiter Oebaliis spes prodiga nata secundo (subito la prodiga speranza nata agli ebalii col favorevole)
273 Oebalii vernare horti, vernare recessus (rinverdire i giardini ebalii, rinverdire i rifugi)
313 dulce solum Oebaliae, et foecunda fruge superbit (dolce il suolo d’Ebalia e sarà orgoglioso dell’abbondante messe)
359 caesa gravi, queis Oebaliae praecepta ministrans (intagliati nel duro i precetti con i quali insegnando  ad Ebalia)
393 Hannibal Oebalius tollit victricia signa (l’ebalio Annibale solleva le insegne vittoriose)
419 Oebaliam reperet, praeeritque potentibus armis (entrerà in Ebalia e dominerà con le potenti armi)
423 attulit Oebaliae, et victricia cornua miscens (
431 Oebaliae plaudent arces, collesque supini (applaudiranno le rocche di Ebalia e gli inclinati colli)
448 Hoc reget Oebaliam, gaudens sua sceptra, caputque (questo reggerà Ebalia godendo il suo scettro e la testa)
464 Hoc genus Oebaliae praeerit, vix Regis habenas (questa stirpe reggerà Ebalia, a stento le redini del re)
503 haesit et Oebalio nimium dilecta Phalanto (restò unita e troppo amata dall’ebalio Falanto)
507 gloria, et Oebalii cecidit laus pristina fastus (la gloria e cadde la primitiva lode del fato ebalio)
515 Haec super Oebaliis ludens ad barbita plectro (queste cose sugli ebalii dilettandomi col plettro alla cetra)
Nel 1964 il tarantino Carlo D’Alessio rinveniva a Roma tra alcuni manoscritti arcadici Galesus piscator, Benacus pastor, ecloga del D’Aquino che venne pubblicata a cura di Ettore Paratore per i tipi di Laicata a Manduria nel 1969 con traduzione in prosa dell’originale latino in esametri (uno incompleto, in gergo tecnico tibicen=puntello: il v. 18). Procedo come sopra:
106 curabo, Oebaliumque Galesum hic Arcades inter (mi prenderò cura, e qui tra gli Arcadi che l’ebalio Galeso)
116 muricis Oebalii Clamydes, haec munera tandem ([mantelli tinti col colore] della conchiglia ebalia, questi doni finalmente) 
Giuseppe Dell’Antoglietta, discendente di Francesco Maria3, nel 1846 ristampava presso l’editore Pansini a Bari con le sue aggiunte l’opera di Scipione Ammirato Della famiglia Dell’Antoglietta di Taranto,  uscita per i tipi di Marescotti a Firenze nel 1597, col nuovo titolo Storia della famiglia dell’Antoglietta scritta da Scipione Ammirato stampata in Firenze appresso Giorgio Marescotti nell’anno 1597 con licenza dei superiori arricchita ed ornata di varie altre antichissime notizie storiche.
Giuseppe pensò bene di chiudere la pubblicazione con un componimento3 in onore dell’avo già pubblicato nel 1717 da Carlo Maria Lizzani detto l’Accademico Ritirato4. Ai vv. 83-84: la Signoria donò di Fragagnano/nell’Ebalia maremma5.
   Alessandro Criscuolo6, Ebali ed Ebaliche, Vecchi, Trani, 18877.
La voce di cui mi sto occupando non compare all’interno del volume, ma la sua presenza nel titolo al maschile ed al femminile è allusiva ai personaggi protagonisti delle undici storie raccontate ed al loro rapporto con Taranto. E sotto questo punto di vista spicca Lalla tarantata, che occupa le pp. 127-142.  ____________
1 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p.  367.
2 Per quest’ultimo vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/.
3 Il titolo è Composizione epiditticha d’un illustre Ingegno, ovvero dell’Accademico Ritirato riguardante l’istoria della famiglia Dell’Antoglietta dirizzata al quindicesimo Signore, e Marchese di Fragagnano D. Francesco Maria Dell’Antoglietta stampata in Napoli presso Domenico Roselli l’anno 1717 col dovuto permesso.
4 Soprannome che aveva nell’Accademia degli Infuriati di Napoli. Pubblicò Manipolo di primizie dell’ingegno, Tommasini, Venezia, 1714, dove è inserito in lode dell’Antoglietta un sonetto.
5 Nel significato etimologico (la voce è dal latino maritima) di zona marittima.
6 (1850-1938), principe del foro, brillante conferenziere e letterato tarantino. Riporto le principali pubblicazionibed alcuni frontespizi:
Intorno a due artisti tarantini, S. Latronico & figlio, Taranto, 1874
Discorso intorno alla vita di Cataldo Sebastio, Tipografia Paisiello di S. Parodi, Taranto, 1880
Efesina: ricordi della Magna Grecia, Latronico, Taranto, 1881
Discorso letto il dì 5 giugno 1881 premiandosi gli alunni del Comune, Latronico, Taranto, 1881
Per Giuseppe Garibaldi celebrandosi la civile commemorazione dalle tre società: Operaia, de’ Muratori e de’ Figli del mare, In Taranto, il dì 11 giugno 1882, Latronico, Taranto, 1882
Difesa di Giuseppe e Vito Modesto Greco, Francesco Buttai e Domenico Scudieri accusati di grassazione, Latronico, Taranto, 1883
Discorso letto nel giorno della festa nazionale 7 giugno 1885 : premiandosi gli alunni del Liceo, delle scuole Tecniche ed Elementari del Comune di Taranto, Vecchi, Giovinazzo, 1885
Ebali ed Ebaliche, Vecchi, Trani, 1887
Ricordi di Nicola Mignona, Latronico, Taranto, 1888
Per Camillo Callari (appellato) contro G. N. De Crisci: valore di contro-dichiarazione fatta per privata scrittura contro il terzo, Latronico, Taranto, 1888
Nei testamenti la condizione di farsi prete deve aversi per non apposta? (Art. 849, C. C.) : causa Ricci contro Ricci, Latronico, Taranto, 1891
Della corruzione di persona minore dei sedici anni mediante atti di libidine che infettino malattia venerea : interpretazione degli articoli 335, 336, 351 Codice Penale, Tipografia del Commercio, Taranto, 1892
Alligazione per il sig. Augusto Pegazzano tenente di vascello querelato per rapimento, Tipografia del Commercio, Taranto, 1895
Cronaca giudiziaria tarantina, Latronico, Taranto, 1895
Bugie e pregiudizi, Mazzolino, Taranto, 1896
Il giorno augurale del nuovo Palazzo degli Uffizi in Taranto 28 giugno 1896, Martucci, Taranto, 1896
Taranto ai suoi illustri cittadini D. Acclavio e G. De Cesare, Vecchi, Trani, 1907
Giureconsulti politici e libertà italiche, Spagnolo & Guernieri, Taranto, 1910
Le Alpi: orazione pronunziata in Taranto al Teatro Orfeo il 2 marzo 1916, Società tipografica Leonardo Da Vinci, Città di Castello, 1916
Discorso del gr. uff. avv. Alessandro Criscuolo nel Foro tarantino per Luigi Perrone, L’ora nuova, Taranto, 1924
Per l’inaugurazione della biblioteca Ugo Granafei, Società tipografica Leonardo da Vinci, Città di Castello, 1926
Medaglioni tarantini della storia e della leggenda, Pappacena, Taranto, 1926 (a p. 20 è trascritta la lapide in onore di Tommaso Niccolò d’Aquino collocata dal Comune di Taranto nell’aprile 1921 nella via a lui dedicata)
Discorso ai giovani, Il popolo ionico, 1927
I funerali di G. B. Vico in L’almanacco dell’avvocato 1934, La Toga, Napoli, 1934
Epigrafi, Lodeserto, Taranto, 1921 e Pappacena,Taranto, 1937
Nella ricorrenza del suo giubileo professionale : discorso pronunziato nel Palazzo di Giustizia di Taranto il 3 maggio 1925, Biblioteca dell’ Eloquenza, Roma, 1938
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Lecce e Taranto in due epigrammi di Giuseppe Silos (1601-1674)
di Armando Polito
Prima di entrare nel vivo dell’argomento annunziato nel titolo sento il dovere di ringraziare per la segnalazione il signor Salvatore Fischetti  di Lizzano e non mi pare fuori luogo ricordare che Giuseppe Silos fu un letterato bitontino chierico regolare dell’ordine dei Teatini.  Autore molto prolifico, la sua produzione fu essenzialmente storico-agiografia e celebrativa, come il lettore potrà agevolmente constatare scorrendo i titoli che seguono. 
Historiarum clericorum regularium a Congregatione condita pars prior, Vitale Mascardi, Roma, 1650
Musa canicularis sive iconum poeticarum libri tres, Eredi del Corbelletti, Roma, 1650 (ristampa per i tipi di Pietro Lamy a Parigi nel 1652; una seconda edizione uscì, sempre a Parigi, nel 1658 per i tipi di Goffredo Marcher)
Historiarum clericorum regularium a Congregatione condita pars altera, Eredi del Corbelletti, Roma, 1655
Venerabilis Servi Dei Francisci Olympii ordinis clericorum regularium vita, Eredi del Corbelletti, Roma, 1657
Opere di misericordia, overo sermoni di Purgatorio, Eredi del Corbelletti, Roma, 1660
Vita del Venerabile Servo di Dio D. Francesco Olimpio, Paolo Bonacotta, Messina, 1664 (ristampa postuma per i tipi di Salvatore Castaldo a Napoli nel 1685; entrambe traduzioni dello stesso autore dell’opera uscita in latino nel 1657)
Analecta prosae orationis, et carminum, epistolarum, epigrammatum, inscriptionum centuriae, Pietro dell’Isola, Palermo, 1666
Ragionamenti vari fatti in varie occasioni da D. Giuseppe Silos, Eredi del Corbelletti, Roma, 1668
Conferenze accademiche tenute da quattro virtuosi ingegni, Ignazio Lazzari, Roma, 1670 (dal frontespizio apprendiamo che il Silos fu Accademico Infiammato, detto lo Smemorato)1
Mausolea Romanorum Pontificum et Caesarum Regumque Austriacorum, Ignazio Lazzari, Roma, 1670
Vita di S. Gaetano Thiene, Ignatio de Lazari, Roma, 1671
Plausus in solemni consecratione D. Caietani Thienaei, Ignazio Lazzari,  Roma, 1671
  È tempo di passare agli epigrammi, entrambi in distici elegiaci, metro abbastanza scontato per questo tipo di componimento. Il primo epigramma, dedicato a Taranto, è in Musa canicularis …, opera della quale riproduco (da https://books.google.it/books?id=0OZIAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=musa+canicularis&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiXn8ql6o3WAhWEA8AKHTxnCssQ6AEIJjAA#v=onepage&q=musa%20canicularis&f=false) l’antiporta e il frontespizio.
Passo ora all’epigramma in questione che è il LIV della seconda centuria. Lo riproduco in formato immagine da p. 254.
A causa di qualche imperfezione tipografica trascrivo il testo prima di passare alla traduzione.
Cerne Phalantaei sublimia tecta Tarenti/Daunia cui quondam sceptra stetere manu,/nobilitata mari et caelo; portu inclyta cultis/sat clara ingeniis Urbs, genioque soli/dives opum, Tyriisque ostri, celeberrima luxu/regifico, Assyrio rore, meroque madens./Delicias inter saevis efferbuit armis,/movit et in latios bella cruenta Duces./Certatum, fato at cecidit, victumque Tarentum est,/visaque Tarpeio praeda superba iugo./Roma, Tarentinas ne iactes Dardana palmas;/falleris; haud ingens est, superasse lanor,/vicerat illecebris se primum molle Tarentum;/vincere iam victum, quam leve Martis opus.
Guarda le alte costruzioni della Taranto di Falanto, nelle cui mani un tempo stette lo scettro della Daunia, nobilitate dal mare e dal cielo; la città (è) famosa per il porto, abbastanza illustre per le qualità naturali coltivate, e, grazie alla divinità protettrice del luogo, abbondante di ricchezze, e di porpora di Tiro, celeberrima per il lusso regale, per il sommacco2 assiro, madida di vino. Fece ribollire i piaceri tra le crudeli armi, mosse guerre cruente anche contro i condottieri latini. Si combattè, ma Taranto per volere del destino cadde e fu vinta e sembrò preda superba della rupe Tarpea. Roma di origine troiana, non esaltare la vittoria su Taranto. Sbaglieresti; non è grande fatica averla superata. La molle Taranto per prima aveva vinto se stessa con le lusinghe: vincere il già vinto è impresa di guerra quanto mai facile.
  E passiamo a Lecce, il cui epigramma è il n. XX a p. 78 del Plausus …  (di seguito il frontespizio tratto da https://books.google.it/books?id=MGl5BS6dZA4C&pg=PP9&lpg=PP9&dq=plausus+on+solemni+consecratione&source=bl&ots=cpuRiOT1xE&sig=eaKA7OHZB2c4SddDQeKpE-b8obs&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjIjM_ylY7WAhWhAMAKHStPC-MQ6AEILTAB#v=onepage&q=plausus%20on%20solemni%20consecratione&f=false).
E questo è l’epigramma.
Extremis quamvis Italum me cernis ad oras,/sum Salentini gloria prima soli./Me pietas, splendorque virum, laqueataque templa/nobilitant, facili sculptaque saxa manu./Me Caietani resonat dum fama triumphi,/non piguit longas arripuisse vias./Pectore nempe avido, ventis pernicius ipsis,/tot terras volucri visa vorare gradu./Nempe Urbs Italici ut quae sum velut ultima mundi;/ad Caietani gaudia prima forem.
Sebbene tu mi veda presso le estreme regioni d’Italia sono il primo vanto del suolo salentino. Mi nobilitano la pietà, lo splendore degli uomini e i templi dai soffitti a cassettoni, la pietra3 scolpita dall’abile mano. A me, mentre risuonava la fama del trionfo di Gaetano4, non rincrebbe di aver intrapreso un lungo cammino. Col cuore certamente avido, più velocemente degli stessi venti sembrai divorare tante terre con passo alato. Certamente io, per quanto sia come l’ultima città del mondo italico,  potrei essere  la prima per la gioia di Gaetano5.
Si direbbe che al Silos sia più simpatica, nonostante la sua marginalità geografica ricordata all’inizio e ribadita alla fine, la civile” e spirituale” Lecce della “militare” e “carnale” Taranto (anche se lo stesso verbo, nobilitare, è usato per entrambe), forse anche per la sua “affinità” religiosa. Addirittura, visto che è la citta stessa a presentarsi in prima persona, potremmo definire “parlante”  l’epigramma a lei dedicato. Resta, comunque,  il fatto positivo che l’una e l’altra abbiano avuto posto, come rappresentanti della Terra d’Otranto (Brindisi si metta il cuore in pace …), tra innumerevoli epigrammi dedicati, nell’una e nell’altra opera, a città importanti, e non solo italiane.
  _____________
1 L’Accademia degli Infiammati era stata fondata a Padova nel 1540 da Leone Orsini, Ugolino Martelli e Daniele Barbaro. Trasse il nome dall’insegna che riproduceva Ercole avvolto dalle fiamme sul monte Ceta dopo aver indossato, su invito della moglie Deianira,  la tunica del centauro  Nesso ucciso dall’eroe con una freccia bagnata del sangue dell’Idra perché durante il passaggio di un fiume aveva tentato di prendersi un altro tipo di passaggio con sua moglie …  Il motto dell’accademia era Arso il mortale, al ciel n’andrà l’eterno, con riferimento all’intervento del padre  Giove che pose fine alla sua agonia portandolo con sé sull’Olimpo.
2 Piccolo arbusto, dalla corteccia e dalle foglie del quale si estraevano un tempo i tannini impiegati in tintoria e come mordente per la concia delle pelli.
3 Gaetano Thiene (1480-1547), fondatore nel 1524, insieme con Gian Pietro Carafa, dell’ordine dei Teatini. Fu proclamato beato da Urbano VIII nel 1629, santo da Clemente X nel 1670; è il trionfo celebrato nell’epigramma. Ricordo che nello stesso anno del Plausus (1671) uscì la biografia del santo scritta dal Silos (vedi penultima opera citata nell’elenco iniziale).
4 Quasi scontato questo riferimento alla pietra leccese.
5 Io vi colgo un’allusione al convento dei Teatini annesso alla chiesa di S. Irene, la cui costruzione fu iniziata su progetto del teatino Francesco Grimaldi nel 1591 ed ultimata nel 1639.
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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L'obelisco di Porta Napoli a Lecce (4/5)
Marcello Gaballo e Armando Polito
DISTRETTO DI BRINDISI
1) “Il Desco e la statua di Bacco con corona convivale, col motto Brundusini Cretenses1; 2) Amore colla cetra, e col motto Brundusini sub Partheniis Tarentinis2 3) Il Delfino, che indossa Taras colla cetra in mano, e col motto Brundusini sub Romanis.3”4
  La fonte utilizzata è  Strabone, Geographia, VI, 3, 6: Βρεντέσιον δ᾽ ἐποικῆσαι μὲν λέγονται Κρῆτες οἱ μετὰ Θησέως ἐπελθόντες ἐκ Κνωσσοῦ, εἴθ᾽ οἱ ἐκ τῆς Σικελίας ἀπηρκότες μετὰ τοῦ Ἰάπυγος (λέγεται γὰρ ἀμφοτέρως)·οὐ συμμεῖναι δέ φασιν αὐτούς, ἀλλ᾽ ἀπελθεῖν εἰς τὴν Βοττιαίαν. Ὕστερον δὲ ἡ πόλις βασιλευομένη πολλὴν ἀπέβαλε τῆς χώρας ὑπὸ τῶν μετὰ Φαλάνθου Λακεδαιμονίων, ὅμως δ᾽ ἐκπεσόντα αὐτὸν ἐκ τοῦ Τάραντος ἐδέξαντο οἱ Βρεντεσῖνοι, καὶ τελευτήσαντα ἠξίωσαν λαμπρᾶς ταφῆς (Dicono che abitarono Brindisi i Cretesi, quelli giunti con Teseo da Cnosso o quelli che si erano allontanati insieme con Iapige dalla Sicilia (si racconta infatti in entrambi i modi); dicono che questi non vi rimasero ma partirono per la Bottiea. Successivamente la città governata da un re perse molto del suo territorio ad opera degli Spartani [venuti] con Falanto, ma i Brindisini lo accolsero ugualmente quando fu cacciato da Taranto e dopo la morte lo onorarono di una splendida tomba).
  (CONTINUA)
Questo lavoro è stato pubblicato integralmente nel periodico della Fondazione  Terra d’Otranto Il delfino e la mezzaluna, anno III, n. 1 (ottobre 2014), pp. 171-189. 
Per la prima parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/20/lobelisco-porta-napoli-lecce-1-4/
Per la seconda parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/23/lobelisco-porta-napoli-lecce-24/
Per la terza parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/25/lobelisco-porta-napoli-lecce-35/
Per la quinta parte: 
  ___________
1 I Brindisini Cretesi. “…doveva quindi naturalmente avvenire, che la vittoria portasse al vincitore non solamente il vantaggio dell’acquisto delle proprietà reali de’ vinti, ma quello ancora delle loro persone. Quindi l’origine de’ servi addetti alla gleba…Questa specie di servi aveva però alcune leggi favorevoli  alla loro libertà…nella cui esecuzione si dovevano pure osservare alcune pubbliche solennità dopo un certo tempo di servitù definito dalle leggi….di tal genere fu…la nostra famosa Brunda, o Brendais, ossia il convito dei nostri antichi servi indigeni addetti all’agricoltura sotto il dominio de’ Cretesi…Il luogo dunque destinato alla festività…fu la maremma di Brindisi…si è espresso il convito detto Brunda nella lingua Messapia coll’antico Sigma, perchè questa figura si ebbero tutti i Deschi dell’antichità. Si è sormontato ancor questo simbolo colla figura di Bacco, avente nella destra una corona convivale, dappoichè si sà, ch’egli era Conviviorum Deus” (Luigi Cepolla, op. cit., pagg. 11-12).
2 I Brindisini sotto i Parteni di Taranto.”Il lusso,che nella maggior floridezza della repubblica Tarantina s’introdusse in ogni parte del di lei stato fu causa, ch’ella fosse stata sin dall’ora tacciata di mollezza, e di ogni genere d’intemperanza. La città di Brindisi, e di Oria, come quelle che obbedivano ai Tarantini, presero anche a gareggiare con loro nella mollezza, e nel lusso. Quindi è, che gli Oritani assunsero anche per loro emblema Amore colla cetra: questo medesimo emblema fu comune ancora alla Città di Brindisi sino all’epoca de’ Romani” (Luigi Cepolla, op. cit. pagg. 12-13).
3 I Brindisini sotto i Romani. “In tal’epoca [dei Romani] la Città di Brindisi continuò a servirsi dell’istesso originario emblema dei Tarantini Achei, cioè, del Delfino, che indossa [=porta sul dorso] Taras, perchè i Cretesi lo conservarono anch’essi sotto il dominio deì medesimi Achei; e ne scambiò ella solamente nelle mani di Taras il tridente con la cetra per alludere al secondo periodo della sua storia antica, nella quale ebbe essa questo emblema”(Luigi Cepolla, op. cit., pag. 14).
4 Luigi Cepolla, op. cit., pag. 4.
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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L'obelisco di Porta Napoli a Lecce (3/5)
di Armando Polito e Marcello Gaballo
DISTRETTO DI TARANTO
Anche per il distretto di Taranto iniziamo con la descrizione del Cepolla: “1) Il Delfino, che indossa Taras, o Nettuno col tridente, e la Nottola col motto Tarentini Achaei1; 2) L’Aquila colle ali aperte, ed avente negli artigli i fulmini, col motto Tarentini Cretenses2; 3) La clava di Ercole, e l’eroe Falanto a cavallo, col motto Tarentini Parthenii, sive Spartiates3“.4
Come già avvenuto per il distretto di Lecce, non c’è nessun riferimento alla prima iscrizione che si incontra partendo dal basso; da notare l’errore dello scalpellino che ha inciso EH per ET.
  Per le ultime due sezioni di questo distretto si rimanda alle analoghe del distretto di Lecce.
La commistione tra Achei, Cretesi, Parteni o Spartiati si basa sulle seguenti fonti: Strabone (I secolo a. C.-I d. C.; Antioco da lui citato è del V secolo a. C.), op. cit., VI, 3: Περὶ δὲ τῆς κτίσεως Ἀντίοχος λέγων φησὶν ὅτι τοῦ Μεσσηνιακοῦ πολέμου γενηθέντος οἱ μὴ μετασχόντες Λακεδαιμονίων τῆς στρατείας ἐκρίθησαν δοῦλοι καὶ ὠνομάσθησαν Εἵλωτες, ὅσοις δὲ κατὰ τὴν στρατείαν παῖδες ἐγένοντο, Παρθενίας ἐκάλουν καὶ ἀτίμους ἔκριναν· οἱ δ᾽ οὐκ ἀνασχόμενοι  (πολλοὶ δ᾽ ἦσαν)  ἐπεβούλευσαν τοῖς τοῦ δήμου. Αἰσθόμενοι δ᾽ ὑπέπεμψάν τινας, οἳ προσποιήσει φιλίας ἔμελλον ἐξαγγέλλειν τὸν τρόπον τῆς ἐπιβουλῆς. Τούτων δ᾽ ἦν καὶ Φάλανθος, ὅσπερ ἐδόκει προστάτης ὑπάρχειν αὐτῶν, οὐκ ἠρέσκετο δ᾽ ἁπλῶς τοῖς περὶ τῆς βουλῆς ὀνομασθεῖσι. Συνέκειτο μὲν δὴ τοῖς Ὑακινθίοις ἐν τῷ Ἀμυκλαίῳ συντελουμένου τοῦ ἀγῶνος, ἡνίκ᾽ ἂν τὴν κυνῆν περίθηται ὁ Φάλανθος, ποιεῖσθαι τὴν ἐπίθεσιν· γνώριμοι δ᾽ ἦσαν ἀπὸ τῆς κόμης οἱ τοῦ δήμου. Ἐξαγγειλάντων δὲ λάθρᾳ τὰ συγκείμενα τῶν περὶ Φάλανθον καὶ τοῦ ἀγῶνος ἐνεστῶτος, προελθὼν ὁ κῆρυξ εἶπε μὴ περιθέσθαι κυνῆν Φάλανθον. Οἱ δ᾽ αἰσθόμενοι ὡς μεμηνύκασι τὴν ἐπιβουλὴν οἱ μὲν διεδίδρασκον, οἱ δὲ ἱκέτευον. Κελεύσαντες δ᾽ αὐτοὺς θαρρεῖν φυλακῇ παρέδοσαν, τὸν δὲ Φάλανθον ἔπεμψαν εἰς θεοῦ περὶ ἀποικίας· ὁ δ᾽ ἔχρησε “Σατύριόν τοι δῶκα Τάραντά τε πίονα δῆμον οἰκῆσαι, καὶ πῆμα Ἰαπύγεσσι γενέσθαι”. Ἧκον οὖν σὺν Φαλάνθῳ οἱ Παρθενίαι, καὶ ἐδέξαντο αὐτοὺς οἵ τε βάρβαροι καὶ οἱ Κρῆτες οἱ προκατασχόντες τὸν τόπον. Τούτους δ᾽ εἶναί φασι τοὺς μετὰ Μίνω πλεύσαντας εἰς Σικελίαν, καὶ μετὰ τὴν ἐκείνου τελευτὴν τὴν ἐν Καμικοῖς παρὰ Κωκάλῳ συμβᾶσαν ἀπάραντας ἐκ Σικελίας κατὰ δὲ τὸν ἀνάπλουν δεῦρο παρωσθέντας, ὧν τινὰς ὕστερον πεζῇ περιελθόντας τὸν Ἀδρίαν μέχρι Μακεδονίας Βοττιαίους προσαγορευθῆναι. Ἰάπυγας δὲ λεχθῆναι πάντας φασὶ μέχρι τῆς Δαυνίας ἀπὸ Ἰάπυγος, ὃν ἐκ Κρήσσης γυναικὸς Δαιδάλῳ γενέσθαι φασὶ καὶ ἡγήσασθαι τῶν Κρητῶν· Τάραντα δ᾽ ὠνόμασαν ἀπὸ ἥρωός τινος τὴν πόλιν [Parlando della fondazione (di Taranto) Antioco dice che, finita la guerra messenica, quelli degli Spartani che non avevano partecipato alla spedizione (divenuti) schiavi) furono pure chiamati iloti, chiamavano parteni i loro figli nati durante la spedizione e li ritenevano indegni. Questi non sopportandolo, erano molti, cospirarono contro i rappresentanti del popolo. Questi essendosene accorti, mandarono alcuni che fingendo amicizia avevano il compito di trarre informazioni sul complotto. Tra questi (i congiurati) c’era anche Falanto che sembrava essere il loro capo, anche se non era gradito generalmente a tutti i (congiurati) nominati. Si era stabilito che nel corso delle feste in onore di Apollo Giacinzio mentre la gara si svolgeva nell’Amicleo quando Falanto si fosse messo in testa il cappello l’attacco sarebbe stato scatenato. I rappresentanti del popolo erano riconoscibili dalla  erano riconoscibili dalla capigliatura. Avendo i compagni di Flanto rivelato involontariamente il piano e celebrandosi i giochi, un araldo fattosi avanti disse che Falanto non doveva mettersi il cappello. Accortisi che la congiura era stata scoperta, alcuni fuggirono, altri si misero a supplicare. (I rappresentanti del popolo) dopo aver ordinato loro di farsi coraggio li misero sotto custodia e inviarono Falanto al tempio del dio (Apollo) perché lo consultasse circa il suo esilio da commutare in fondazione di una colonia.Egli (il dio) rispose: – Ti concedo Satyrion e il ricco paese di Taranto e di diventare la rovina per gli Iapigi -. I Parteni dunque andarono con Falanto e li accolsero i barbari e i Cretesi che avevano occupato il luogo. Dicono che fossero quelli  che avevano navigato con Minosse alla volta della Sicilia e che, dopo la sua morte sopraggiunta a Camico alla corte di Cocalo, salpati dalla Sicilia, durante il ritorno capitarono qui; che alcuni di loro poi, avendo percorso a piedi la costa adriatica finio alla macedonia furono chiamati Bottiei. (Dicono che) furono chiamati tutti Iapigi fino alla Daunia da Iapige, il quale sarebbe nato a Dedalo da una donna cretese e che egli abbia guidato i Cretesi. Chiamarono la città Taranto da un eroe).
Lo stesso Strabone ci tramanda poco dopo nello stesso capitolo dello stesso libro la testimonianza di un altro storico del V secolo a. C., Eforo:   Οἱ δὲ σταλέντες κατελάβοντο τοὺς Ἀχαιοὺς πολεμοῦντας τοῖς βαρβάροις, μετασχόντες δὲ τῶν κινδύνων κτίζουσι τὴν Τάραντα [Essi (i Parteni) dopo essere partiti (da Sparta per fondare una colonia) trovarono gli Achei che combattevano con i barbari e condividendo i pericoli fondano Taranto).
Le fonti successive a queste non dicono nulla di diverso: Giustino (II secolo d. C.) nell’Epitome delle Storie Filippiche (l’originale è andato perduto) di Pompeo Trogo (I secolo a. C.-I secolo d. C.): III, 4, 10-18: Itaque nec salutatis matribus, e quarum adulterio infamiam collegisse videbantur, ad sedes inquirendas proficiscuntur; diumque et per varios casus iactati tandem in Italiam deferuntur et occupata arce Tarentinorum, expugnatis veteribus incolis, sedem ibi constituunt. Sed post annos plurimos dux eorum Phalantus per seditionem in exilium proturbatus Brundisium se contulit, quo expulsi sedibus suis veteres Tarentini concesserant. His moriens persuadet ut ossa sua postremasque reliquias conterant et tacite spargi in foro Tarentinorum curent; hoc enim modo recuperare illos patriam suam posse Apollinem Delphis cecinisse. Illi arbitrantes eum in ultionem sui civium fata prodidisse praeceptis paruere. Sed oraculi diversa sententia fuerat. Perpetuitatem enim urbis, non amissionem hoc facto promiserat. Ita ducis exulis consilio et hostium  ministerio possessio Tarentina Partheniis in aeternum fundata, ob cuius benefici memoriam Phalanto divinos honores decrevere [E così (i Parteni) senza neppure salutare le madri dal cui adulterio sembravano aver assunto l’infamia, partono per cercare (nuove) sedi; sballottati a lungo e da varie peripezie finalmente sono sospinti in Italia e qui pongono le loro sedi dopo aver espugnato la rocca dei Tarentini e cacciato i vecchi abitanti. Ma dopo parecchi anni il loro capo Falanto colpito da una condanna all’esilio nel corso di una rivolta si portò a Brindisi, dove si erano rifugiati i Tarentini espulsi dalle loro sedi. In punto di morte li convince a ridurre in polvere le sue ossa e gli ultimi resti e a curare che siano in silenzio sparsi nella piazza dei Tarentini; (dice che) Apollo a Delfi aveva vaticinato che essi in questo modo potevano recuperare la patria. Essi, pensando che per vendicarsi dei suoi cittadini avesse ad inganno svelato l’oracolo, obbedirono all’ordine. Ma diverso era stato il responso dell’oracolo. Con quel gesto infatti aveva promesso il possesso perpetuo, non la perdita della città. E così, grazie alla saggezza del capo esule e alla disponibilità dei Tarentini fondato in eterno il possesso di Taranto per i Parteni, a ricordo di questo beneficio decretarono a Falanto onori divini).
Servio (IV secolo a. C.), Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, III, 551): HERCULEI SI VERA EST FAMA TARENTI  fabula talis est: Lacones et Athenienses diu inter se bella tractarunt et, cum utraque pars adfligeretur, Lacones, quibus iuventus deerat, praeceperunt ut virgines cum quibuscumque concuberent. Factum est ita et cum post sedata bella iuventus incertis parentibus nata et patriae erubesceret et sibi esset obproprio, nam partheniatae dicebantur, accepto duce Phalanto, octavo ab Hercule, profecti sunt, delatique ad breve oppidum Calabriae, quod Taras, Neptuni filius, fabricaverat, id auxerunt et prisco nomine appellaverunt Tarentum (SE È VERA LA FAMA DELL’ERCULEA  TARANTO il mito è questo: I Laconi e gli Ateniesi a lungo furono in guerra e poiché entrambe le parti soffrivano, i Laconi ai quali i giovani erano venuti meno, stabilirono che le vergino giacessero con chiunque. Avvenne così che a guerra finita,  essendo la gioventù nata da padri incerti motivo di vergogna per la patria e di disonore a se stessa, infatti erano chiamati parteniati [alla lettera figli di vergini o, più correttamente, di donne non sposate], accolto come capo Falanto, ottavo discendente di Ercole, partirono e, sospinti verso una piccola città della Calabria, che Taras, figlio di Nettuno, aveva edificato, la ingrandirono e la chiamarono Taranto con l’antico nome).
Per completezza va detto che anche gli Spartani entrarono in contatto con i Tarentini secondo Dionigi di Alicarnasso (I secolo a. C.), Antiquitates Romanae, XIX, 3: Λευκίππῳ τῷ Λακεδαιμονίῳ πυνθανομένῳ ὅπου πεπρωμένον αὐτῷ εἴη κατοικεῖν καὶ τοῖς περὶ αὐτόν, ἔχρησεν ὁ θεὸς πλεῖν μὲν εἰς Ἰταλίαν, γῆν δὲ οἰκίζειν, εἰς ἣν ἂν καταχθέντες ἡμέραν καὶ νύκτα μείνωσι. Καταχθέντος δὲ τοῦ στόλου περὶ Καλλίπολιν ἐπίνειόν τι τῶν Ταραντίνων ἀγασθεὶς τοῦ χωρίου τὴν φύσιν ὁ Λεύκιππος πείθει Ταραντίνους συγχωρῆσαί σφισιν ἡμέραν αὐτόθι καὶ νύκτα ἐναυλίσασθαι.  Ὡς δὲ πλείους ἡμέραι διῆλθον, ἀξιούντων αὐτοὺς ἀπιέναι τῶν Ταραντίνων οὐ προσεῖχεν αὐτοῖς τὸν νοῦν ὁ Λεύκιππος, παρ᾽ ἐκείνων εἰληφέναι λέγων τὴν γῆν καθ᾽ ὁμολογίας εἰς ἡμέραν καὶ νύκτα· ἕως δ᾽ ἂν ᾖ τούτων θάτερον, οὐ μεθήσεσθαι τῆς γῆς. Μαθόντες δὴ παρακεκρουσμένους ἑαυτοὺς οἱ Ταραντῖνοι συγχωροῦσιν αὐτοῖς μένειν (Allo spartano Leucippo, che aveva chiesto dove fosse destinato a lui e ai suoi compagni aver la sede, il dio rispose di navigare verso l’Italia, di abitare una terra in cui una volta sbarcati fossero rimasti un giorno e una notte. Sbarcata la spedizione nei pressi di Gallipoli, uno scalo dei Tarantini, Leucippo, estasiato dalla natura del posto, convince i Tarantini a consentire loro di accamparsi lì un giorno e una notte. Dopo che passarono parecchi giorni e i Tarantini gli chiesero di andar via Leucippo non diede loro retta, dicendo di aver ricevuto  da loro la terra secondo l’accordo per giorno e notte: finché ci fosse stato uno di questi, non avrebbe restituito la terra. I Tarantini, avendo capito di essere stati imbrogliati, permisero loro di restare).
(CONTINUA)
Questo lavoro è stato pubblicato integralmente nel periodico della Fondazione  Terra d’Otranto Il delfino e la mezzaluna, anno III, n. 1 (ottobre 2014), pp. 171-189. 
Per la prima parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/20/lobelisco-porta-napoli-lecce-1-4/
Per la seconda parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/23/lobelisco-porta-napoli-lecce-24/
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1 Tarentini Achaei=I Tarentini Achei. “Sotto il nome di Tarentini Achaei debbono intendersi i primi coloni di questa Città, che furono i Noachidi, ossia i discendenti de’ nipoti di Noè, qual fu Taras, ovvero Tiras figlio di Giapeto. Presso tutt’i popoli primitivi della Grecia venne generalmente consacrato questo nome collettivo di Achaei, che significò nel loro linguaggio Aborigini, o senz’alcun capo, e principio, perciocché eglino si gloriavano di esser solamente indigeni del loro paese. L’emblema quindi, che fu sin dal principio da essi adottato, rappresentò bastantemente la loro origine, non che la fosoca posizione di questa Città da essi prima fondata sotto il nome di Taranto” (L. Cepolla, op. cit., pag. 10).
2 Tarentini Cretenses=I Tarentini Cretesi. “La venuta de’ Cretesi in Taranto nacque dall’aver voluto essi vendicare la morte del loro Re Minos accaduta presso Cocalo Re della Sicilia; e fu perciò, che dopo di aver trucidati gli Achei dominatori di Taranto, i Cretesi vi si stabilirono colle loro genti sino alla venuta della colonia condotta da Falanto Spartano. Ecco perché in una dell’antiche Medaglie di detta Città si osserva l’Aquila colle ali aperte, ed avente negli artigli i fulmini. Questo emblema fu proprio de’ Cretesi, come si è osservato di sopra, perché da loro si adorava Giove, a cui dall’antichità fu consacrata l’Aquila” (L. Cepolla, op. cit., pagg. 10-11).
3 Tarentini Spartiates=I Tarentini Spartiati. “L’ultimo periodo dell’antica storia di questa Città si trova essere stato quello della venuta della colonia di Falanto co’ suoi Parteni, ossia Spartani. Quindi è assai facile di dar la ragione dell’emblema rappresentante l’Eroe Falanto a cavallo, e della clava di Ercole; perciocché gli Eraclidi, da’ quali direttamente procedevano gli Spartani, erano i veri discendenti di Ercole” (L. Cepolla, op. cit., pag. 11).
4 L. Cepolla, op. cit., pag. 4.
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