#faccio schifo si ma è così comodo
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Cosa fai nella vita ?
aspetto che la morte venga a trovarmi e a farmi sua
no dai scherzo, niente vivo nella perenne dipendenza economica dei miei perché mi permettono di fare l’uni e non lavorare hahaha
#faccio schifo si ma è così comodo#poi dopo la laurea dovrò farmi il culo però sennò quelli mi lasciano fuori casa e cambiano le serrature
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Spilorcerie e altri fatti imperiali...
Non posso stare troppo a scrivere perché i terroristi del piano di sopra sparano radiazioni letali, vi dirò alllora in breve tutto quel che avrei dovuto, e voluto, dirvi da mesi, forse anche da anni
Punto primo: sono contenta per l'annullamento della multa a chi non si è vaccinato ? Si, sono contenta, io non mi sono vaccinata e sono ancora viva, non ho fatto ammalare nessuno ed ho un sistema immunitario fortissimo perché le malattie le affronto, non aspetto che siano dei farmaci ad affrontarle per me Ma l'annullamento della multa é stata una specie di concessione spilorcia dove non si capisce se ad essere accusati di spilorceria siamo noi che non vogliamo pagare una multa ingiusta o se invece è lo Stato che spilorcia Certo, di essere morti non siamo morti e nemmeno ci siamo ammalati e abbiamo fatto risparmiare soldi allo stato non avendo utilizzato la nostra dose di vaccino, se lo Stato conta così tanto sui nostri soldi significa che lo sa che siamo ancora vivi e sani, quindi sul serio non so perché dobbiamo essere puniti
Non lo considero una vittoria, l'annullamento, lo considero una sorta di elemosina e per giunta finta perché la mafia locale dei cannibali sanitari ha già messo in conto i 100 euro della multa che non riceveranno più nella prossima truffa che mi obbligheranno con altri mezzi ad ingoiare (vedi gli amministratori condominiali e gli stessi rimborsi dal Comune che non arriveranno) Quel che volevo dallo Stato Italiano erano delle scuse per la l'idea stessa di multarci e una legge che proteggesse noi esseri umani sani e forti che abbiamo sempre affrontato le malattie e ci siamo immunizzati senza ricorrere a farmaci e vaccini, una legge che ci lasci il diritto di immunizzarci senza dover ricorrere all'uso di vaccini e farmaci Quella sarebbe una vittoria: io essere umano sano e forte che non sono obbligato a indebolirmi vaccinandomi o drogandomi di farmaci La multa ai novax é come il canone RAI che sto pagando anche se non usufruisco del servizio televisivo perché non guardo la televisione e ancor meno la RAI, é un mio ditritto scegliere da quale media o partito ricevere le informazioni e la RAI mi sta obbligando a pagare per qualcosa che mi fa schifo e che rifiuto, e per giunta per ottenere il pagamento di quel che non gli è dovuto la RAI, terrorista e mafiosa, si è permessa di fare una legge che non rispetta il principio stesso delle leggi, cioé non é univoca e non é chiara ma truffaldina, perché il canone é imposto in quanto tassa sul possesso del televisore, cosa che poteva essere valida decenni fa ma oggi i televisori servono anche da schermo per il computer e sono spesso preferibili agli schermi per computer, quindi acquistare un televisore non significa che guardiamo la televisione Lo Stato Italiano é truffaldino e malsano ed ha dichiarato guerra agli italiani e guerra sarà, nessun cannibale, nessuno storpio, nessuno squilibrato mentale può pretendere il diritto di governare un Paese, nessuna mente malsana mi obbligherà a sbagliare e a deformarmi seguendo il suo esempio Io sono nata sana ed equilibrata e ho intenzione di rimanere tale tutta la vita, nessuno storpio mi storpierà, nemmeno se verrà ad impormelo con la violenza, figuriamoci se me lo impone utilizzando a suo comodo le istituzioni del mio Paese
Io dormo con le finestre aperte in pieno inverno, solo raramente le chiudo, e non del tutto, perché il freddo invernale non è sempre dello stesso tipo Tutti sannno che passo giornate intere a prendere freddo e ad assorbire freddo e neve e vento e pioggia e sole, perché è questo che la Natura vuole e questo dobbiamo fare per restare sani e forti, ma pochi sanno che io faccio anche healing e respirazione e controllo delle radiazioni malsane che assorbiamo, quelle create da esseri umani e non dalla Natura e che sono caos per il corpo Anche questo mi aiuta a guarire o a non ammalarmi e tutti quelli che sono come me, che sanno percepire l'invisibile, le energie e le radiazioni della Terra, e non solo quelle naturali, sanno che tutto ciò non è finto, pura immaginazione o farneticamento I prìncipi si chiamano così perché conoscono i princìpi, le leggi che regolano la vita sul nostro pianeta, uno di questi prìncipi è un Savoia, discendente da Mafalda Una ventina di anni fa si è beccato una strana malattia alla pelle delle gambe e si è molto teorizzato da allora sulla maniera in cui la pelle é arrivata a diventare violacea come se le venuzze fossero sfracellate Sembra un fuoco di Sant'Antonio che non è più capace di guarire e tutti pensano che sia dovuto al fatto che le radiazioni che il terrorismo cannibale ci spara addosso, e che certamente spara anche addosso a lui, rimangano bloccate e facciano questo tipo di danno Certo, in quanto prìncipe dovrebbe sapersi curare, dovrebbe sapersi togliere di dosso le radiazioni ma a quanto pare o non ne è capace oppure la malattia é dovuta a qualcos' altro I terroristi del piano di sopra, i Franco eredi di Francisco Franco, stanno sparando sempre più pesantemente, le radiazioni mi si bloccano anche a me nelle mani e nei piedi anche per diversi giorni perché sono difficili da togliere ma sembrano creare solo arrossamenti e pelle fortemente screpolata, ma non il fuoco di Sant'Antonio, per quello, a quanto pare, ci vuole della radiazione di un altro tipo, come ad esempio delle scorie radioattive, cosa che può aver beccato facilmente stando a mollo con le gambe nell'acqua di un fiume o del mare E questo ci porta di nuovo a chiederci se sul serio in Sicilia qualcuno stia facendo uso di piccoli reattori nucleari, come quella utilizzata e recentemente pubblicizzata da Bezos di Amazon, ad esempio Molti sospettano che il MUOS faccia uso di "centrali nucleari", ma potrebbero essere altri di cui non sappiamo, sarebbe molto interessante indagare a partire dal fiume Simeto
A più tardi, per gli altri rospi sullo stomaco...
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HAHAHHAHAHAH te lo giuro meglio che rido
quando mai sei voluta venire a casa mia anche quando non avevi un cazzo da fare?
e poi che dolce la tua fidanzata ora sei una povera cucciola che ha lavorato ed è stanca, quando invece pensa ai cazzi suoi non importa cosa hai fatto dalla mattina alla sera se non l’accontenti fai pure schifo e nemmeno un piatto pronto è capace di farti trovare a fine serata perchè lei “non ha voglia di fare certe cose” invece tu le devi fare sempre tutte quelle che ti dice sennò sei una troia schifosa (per dirla con una dei mille termini che ti attribuisce) e le fai pure
ma ora le credi, credi alla sua falsa premura ovvio perché è comodo così! e fa comodo pure a lei trattarti così mo, perchè non le è mai fregato un cazzo, se non di fare quello che vuole lei quando lo dice lei e anche perché le fa comodo adesso rispondere così, ottiene ciò che vuole lei e si fa pure bella ai tuoi occhi passando per la premurosa che non è! ridicola e patetica di merda che non è altro. Cos’è? sta a nella fase “faccio finta di fare cose buone per lei” perchè ha avuto paura di perderti da sotto il suo controllo come fa sempre? cosa che dura fin quando non ricomincia con le solite? giusto per tenerti li?
ma va vaaaa!! tienitela stretta mi raccomando 😂 LA FALSITÀ
meglio la solitudine piuttosto che sta merda di relazioni che vi vivete pensando pure di volervi bene e avere ragione e di stare nel buono
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Raga adesso lasciate che vi dica una cosa: tanto qualsiasi cosa maleducata possa uscire dalla vostra bocca non mi tange visto che sono passata indenne attraverso il fandom MetaMoro ma grazie per ricordarmi ogni giorno che le minacce di morte e le accuse più disparate possono essere elargite senza pensarci due volte e che bello non è vedervi la bocca piena di moralismo mentre vi ergete a difensori della pubblica decenza su TUMBLR e nel mentre avete il coraggio di dire a delle persone che le vorreste amma[censored] bravi bravissimi proprio il rispetto per gli altri non sapete manco cosa sia poi magari siete gli stessi che protestano perché i diritti delle persone (ma solo fintanto che fa comodo a voi vero? Tutti gli altri possono mo[censored] se dicono qualcosa che GASP vi offende) le ship tra persone reali sono sempre esistite e sempre esisteranno. Period. Se a voi la cosa NON PIACE è molto semplice: basta non interagire con quella ship. E questo vale sia per coppie di finzione che per coppie di finzione basate su persone reali. Fatevene una ragione. È inutile che pestate i piedini perché “fate schifo se shippate persone vere”. Ma a voi che fastidio vi da? Io andrò mai sotto casa di Riccardo per convincerlo che deve mettere tre metri di lingua in bocca a qualcuno? NO. Andrò mai a commentargli sotto i post facendogli domande riguardanti cose personali? NO. Cercherò mai di fargli leggere delle fanfiction? NO. E allora dove sta il vostro problema? Vi riempite tanto la bocca della parola “libertà di espressione” ma non riuscite a capire che questo significa che qualcuno può essere libero di esprimere anche qualcosa che NON VI PIACE. Incluse le ship tra persone reali. Voi forse pensate che fuori dalla scatolina di Tumblr/ao3 io non abbia una vita ma non è così. Io sono /estremamente consapevole/ di tutto quello che scrivo e se il mio piacere personale sta nello scrivere cosa x a voi non ve ne deve fregare niente. La mia libertà di autrice sta anche nel fatto che si, se lo desidero io posso scrivere un libro o una storia che tratta di qualsiasi argomento. Anche argomenti delicati (con la giusta attenzione). Ed è giusto così. Solo perché per voi è “disgustoso” non significa che io non possa farlo. E questo non fa di me una persona malata e disadattata socialmente. Voi pensate che una persona non sia in grado di capire il confine tra realtà e finzione, ma vi assicuro che a parte qualche caso eccezionale le persone sanno farlo. Anzi forse quelli che hanno bisogno di farsi un bagno di realtà siete proprio voi, che credete che ogni cavolata scritta qui sopra anche per semplice goliardia rappresenti che persona sono io nel complesso e quindi vi sentire in diritto, anzi, in dovere, di giudicarmi. Perché voi siete migliori di me, povera fessa che ha come hobby plottare qualcosa. Siete tanto migliori di questa povera co[censored] che nella vita quando ha finito di studiare e pulire e fare tutte le cose che fanno gli adulti, si siede al computer per digitare due cose che le fa piacere scrivere PER DIVERTIMENTO PERSONALE. Eppure questa deficiente qui quando vede qualcosa che non le piace è capace di a) avere una discussione pacifica o b) tirare avanti. Ma sapete quante volte nelle fanfiction trovo tag che non mi piacciono? O ship che mi fanno venire il latte alle ginocchia? E allora? Non mi faccio raddoppiare le dimensioni del fegato per questo. Mi fate veramente cascare anche le braccia suppletive che non ho con questi discorsi, e la cosa preoccupante è che pensate di avere così tanta ragione da potervi permettere di dire a qualcuno che vorreste amma[censored]. La vita vera è una cosa, la finzione è un’altra. E non sono io che le sto confondendo, mi spiace dirvelo. E lo dico da persona che in tutta la sua vita ha avuto UNA, una SINGOLA rpf.
#sanremo#sanremo 2022#sanremo shitposting#festival di sanremo#sanremo 22#sanremo 72#italian shitposting#sfogo#rpf#mahmood e blanco#blahmood#ne ho già pieni i tre quarti#Ma veramente fate?
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Referendum (2/2)
Il post troppo lungo di cui mi sono già pentito. Segue da qui.
Seconda parte - pareri personali e spunti di riflessione
4 - Di rappresentanza e corruttibilità
Come accennato nella puntata precedente, un taglio secco dei parlamentari non accompagnato da una riforma organica è un po’ tipo guardare una nuvola, chi ci vede un’ochetta, chi mazinga, chi un cazzetto buffo, ed è il principale motivo di una spiccata incomunicabilità di pensiero fra i sì, i no e i boh (almeno: più del solito). Hai un bel da dire “guarda arriva una nuvola a forma di cazzetto buffo” a chi ci ha visto un’ochetta. Non lo convinci e ci fai la figura di quello che vede cazzetti buffi dappertutto.
Gli unici dati moderatamente oggettivi mi sembrano due: il primo è che se non viene modificata l’attuale legge elettorale il meccanismo di rappresentanza che ne uscirà farà particolarmente schifo; il secondo è che questo intervento pur privo di una direzione univoca è stato un elemento comune ad una certa categoria di riforme che puntavano di volta in volta alla repubblica presidenziale, al superamento del bicameralismo, ad un maggioritario aggressivo, in ogni caso lontano da un contesto proporzionale e con un più o meno implicito depotenziamento di una (eventuale?) espressione di preferenze.
Poi possiamo discutere fino a notte dell’ampiezza del passo, ma è la direzione che non mi piace particolarmente.
Altri due elementi, forse più soggettivi (anche se non mi sembrano così soggettivi, ma mai porre limiti ai cinquestelle): il primo: in Italia abbiamo una gloriosa tradizione di compravendita di parlamentari di cui è lecito supporre che i casi noti siano solo la punta dell’iceberg. In un parlamento a numeri ridotti spostare 5 voti cambia drasticamente il range di cose che puoi ottenere. Questa cosa un po’ mi inquieta anche se noto che siamo in pochi.
Il secondo: è plausibile che con una riduzione così spinta della rappresentanza vadano un po’ a soffrire le voci fuori dal coro, con un appiattimento dei candidati alla cieca obbedienza alle indicazioni di partito (quello che sancirebbe la costituzione con la non troppo amata assenza di vincoli di mandato). É un’arma a doppio taglio: per ogni Civati c’è una Binetti, eccetera, però tornando ad un discorso di espressione di preferenze, idealmente sarebbe carino un sistema nel quale vai a votare una persona che è, sì, inquadrata in un movimento politico ma ha una sua testa che plausibilmente si è fatta un minimo conoscere dal suo bacino elettorale permettendoti di votare qualcuno/a che per le questioni che magari esuleranno dal programma elettorale ragionerà su binari su cui ti riconosci, oppure che per motivi biografici sia particolarmente impegnato/a su fronti e temi a te cari, eccetera.
É un tema da un lato forse utopistico, dall’altro non condiviso: per i cinque stelle i candidati devono essere una rigida espressione del movimento e vorrebbero direttamente istituire un qualche vincolo di mandato. Il PD ultimamente non dico che si sta allineando ma poco ci manca. Poi sì, c’è chi non la considera una risorsa ma la fonte di tutti i mali, di tutti i Razzi e i De Gregorio e i Barbareschi ma non riesco a immaginare come ridurre la rappresentatività possa innescare un’inversione di rotta, o in altre parole che una modifica del contenitore migliori la qualità del contenuto. Il ché ci porta al punto successivo:
6 - Di strumenti e di chi li usa
Ho sentito un numero preoccupante di persone raccontarmi che non andranno a votare sulla modifica costituzionale di uno strumento di rappresentanza perché (parafraso togliendo le parolacce) sono disamorati dell’attuale classe politica.
Noto un po’ di confusione fra ruoli e persone che le ricoprono: qualsiasi cosa uscirà da questo referendum ce la terremo per un pezzetto anche se fra qualche anno arrivasse una classe politica particolarmente illuminata, o particolarmente più incompetente (e avrebbe senso perdere un po’ di tempo per immaginarsi a modino entrambi gli scenari prima di votare).
In altre parole ho già difficoltà normalmente con l’assenteismo, fatico particolarmente a capire in questa circostanza perché astenersi dal pronunciarsi su un meccanismo di rappresentanza, per quanto marginale.
Un’altra posizione curiosa che ho incrociato è la tesi quasi diametralmente opposta secondo cui questa riduzione darebbe in qualche modo una scossa al parlamento, un segnale che devono “avere paura” (cito sia un amico che un articolo che ora non ritrovo). In altre parole che una riforma votata ad ampissima maggioranza e con il supporto esplicito di tutti i principali partiti abbia in qualche modo degli elementi di cambiamento sovversivo.
Diciamo che se proprio volete usare l’attuale composizione parlamentare come elemento utile a prendere una decisione sul referendum, tenete conto che saranno quelle facce lì a dover discutere e approvare la nuova legge elettorale post-riforma. E ho visto film horror con premesse più deboli.
7 - Conclusioni, saluti e buffet finale
Come i più scaltri a questo punto avranno probabilmente intuito: andrò a votare, e andrò a votare per il no.
Chiariamoci, non è che mi stracci le vesti per la questione. E tanto so che finiremo sommersi dai sì. Ho scritto questo papiro giusto per farmelo uscire dalla testa (ditemi che non capita solo a me) e per avere un prestampato comodo da mandare a quei pochi e incauti amici indecisi che mi chiedono “ma cosa ne pensi?”
Ci sono questioni più importanti? Sicuro. Mica guerre e carestie, anche solo discutere di una legge elettorale decente sarebbe probabilmente più utile di affettare con l’accetta le due camere. Ma la domanda che troveremo sulle schedine il 20 e il 21 non è “hai una bella idea per aiutare il paese?” ma:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente"Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari", approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?» (*)
E, mano sul cuore, faccio davvero tanta fatica sia a rispondere sì che a non dire niente.
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30.03.2021
Ciao Gente, buongiorno, sono così triste e insoddisfatta del mio corpo. Vorrei essere ciò che voglio, c'è a chi piace il chubby/curvy, a chi piacciono le tette grandi, il culo grande... ecco, io non voglio niente di tutto ciò, le tette non le volevo così grandi mi fanno schifo come anche il mio corpo grasso, non mi piace, a me piace il magro, il sottile. È elegante ed è comodo, c'è tempo per ingrassare e io sono una fottuta rincoglionita che vuole perdere solo 10kg ma non ci arrivo cazzo. Perdo tempo, perdo del fottuto tempo, in 3 mesi ho perso 12kg e invece ora, in 3 mesi sono solo ingrassata e più mi guardo e più mi faccio paura. Mi sembro una di quelle cicce che si sentono fighe e che a me proprio fanno schifo.
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Ehi Eli come stai? Sono giulia ti scrivo per dirti che mi faccio schifo, che la mia vita è un casino e mai nessuno mi aiuterà. Non sono felice, da sempre. Sai Eli io non avrei dovuto nascere, porto solo problemi agli altri sono una “rompi cazzo, rompi coglioni, rompi balle” ... beh poi ovvio appena sono a casa mamma mi dice “vai solo via va “. Beh si Eli non è bello, io ci sto male lo sai... pingo tutti i giorni, specialmente la sera, sento il cuore che si distrugge, ogni volta si spezza un po’ di più e a volte penso se prima o poi qualcuno mi cucirà tutte quelle ferite. Io non credo, evidentemente sono nata per vivere in una famiglia atroce come la mia. Ringraziando Dio ho degli amici... beh si li ho ma anche quelli non é che siano il massimo. Sai non riesco più ad essere felice, mi rendo conto che vivo 24h su 24h con l’ansia, la paura di essere di troppo, di sbagliare ogni cosa. Beh ovvio qui in casa sicuramente sono di troppo, mi giudicano, mi urlano contro. Eli mai nessuno mi chiede come sto... mai nessuno si preoccupa per me... forse non merito nessuno. Preferirei stare in una clinica per anni senza vedere la mia famiglia, tanto con loro non mi ci trovo, salto pranzo, salto cena, tutto... Pensa Eli che quando stavo male io gliel’ho detto tantissime volte e loro mi hanno portata da uno specialista 6 mesi dopo... si è stata una grande sofferenza. Non l’ho ancora superata nemmeno ora... Io alla mia famiglia sai a cosa servo? Ad avere sempre casa pulita perché mi impegno costantemente a tenere pulito, a cucinare al posto di mamma, a fare lavatrici e ad andare bene a scuola. A loro non importa della mia salute, non mi chiedono mai « Giulia come va? Ti sei divertita? Hai passato una bella giornata?” Io forse avrei bisogno di qualcuno che mi stia più vicino veramente, non di qualcuno che mi usi solo perché gli faccio comodo. Luca beh non ne parliamo, mi maltratta, mi urla contro e io beh io non resisto così corro in camera e mi rinchiudo qui. Ci passo le giornate, io e i miei pensieri da soli. È l’unica cosa che mi fa sentire un po’ meglio, non vedere nessuno della mia famiglia. Io ho paura di loro, ho paura di che cosa potrebbero farmi, dirmi. Fino a 1/2 anni fa Luca mi picchiava e io soffrivo soffrivo tanto. Sai Eli non l’ho mai detto a nessuno perché ho paura di che cosa potrebbe pensare la gente... a casa io non sto bene, vorrei scappare. Con loro non mi sento a casa, anzi quando siamo a tavola mi sento di troppo, devo stare attenta a cosa dire e come, sono davvero uno schifo ... ma davvero tanto... Scusami Eli se mi sfogo con te, ma so che tu mi ascolti e non mi giudichi. È l’unica cosa che posso fare, anche se non esisti ... è come se tu fossi qui ad abbracciarmi e a dirmi Giulia va tutto bene, anche se credo che nulla andrà per il verso giusto. Sai Eli ho perso tutti gli amici di M******, di P******, di S*********, e ora beh ora sto iniziando a perdermi con Matte... a breve anche lui non ci sarà più, ma forse è meglio così. La solitudine è la soluzione a tutto. Ti isoli e puoi fare tutto ciò che vuoi, tagliarti, morderti il corpo, ma anche piangere. Sai Eli penso che con tutte le lacrime che verso ogni giorno potrei salvare tanta gente che muore di sete o per mancanza di cibo... dovrei pensarci ...
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Mi batte forte il cuore.
Troppo forte.
Non va bene.
«Io sono lo psicologo della scuola. Come ti è stato detto, a causa della depressione in costante crescita ogni anno fra gli studenti, il nostro istituto ha voluto far fare una seduta a ciascuno di voi, così che possiamo intervenire e aiutarvi il prima possibile»
Annuisco senza dire una parola.
La mia gola è asciutta e le mie mani tremano.
«Ti chiedo quindi di raccontarmi come ti senti, cosa hai provato e cosa provi tuttora da quando sei al nostro liceo.
Sarà in fine mio compito valutare se ti servirà una serie di sedute o meno.
Prego»
Prende un block notes e segna il mio nome.
Poi allunga un braccio e prende il mio questionario; in breve era un test a crocette sul nostro stato d'animo in generale ed in specifiche situazioni e noi dovevamo segnare con una x l'opzione che più ci rappresentava.
Guarda tutte le mie risposte e sorride.
Sembra soddisfatto.
«Basandomi su questo pare che tu non abbia nessun problema, non soffra d'ansia o abbia paure, tanto meno ti senta male nella tua classe o in collera con te stessa »
I suoi occhi leggono velocemente tutto il foglio.
«Ciononostante, ci tengo a sentire cosa provi tu, con le tue parole. »
Si sistema gli occhiali e si mette comodo su quella poltrona che cigola sotto al suo peso, come se si stesse preparando a sentire una storiella.
Qualcosa dentro me scatta.
Nonsocosastofacendo.
«Vuole la mia versione?
Innanzitutto il mio questionario è completamente falso, e lo capirebbe chiunque che ho mentito spudoratamente; nessuno è sempre e costante mente “felice”, nessuno non ha mai problemi con la famiglia e con i suoi coetanei e nessuno non ha delle paure.
Ma che razza di psicologo eh, scusi?
Lavora tutto il giorno con degli adolescenti e non sa ancora che chi sta davvero male e si sente sprofondare non lo dice così apertamente, non ne va fiero ma, anzi, se ne vergogna e cerca di nasconderlo finché può.
Dato che non sa leggere fra le righe, glielo dico chiaro e tondo; aiuto.
Aiuto per ogni cosa.
Vuole parlare della scuola? Va bene.
Da quando sono entrata qui non faccio altro che sentirmi inadeguata, costantemente non un gradino, ma chilometri di scale dietro ai miei compagni.
Loro capiscono subito ogni materia, ogni lezione. Sono sempre preparati, impeccabili e hanno ottimi voti.
Io mi sforzo, studio giorno e notte e continuo a fare schifo, continuo a non essere abbastanza per nessuno.
Sa cosa significa impegnarsi e dare il massimo, ma essere sempre l'ultima a capire un'argomento, l'ultima a consegnare la verifica, quella che prende sempre il voto più basso? Significa che in me sorgono complessi, inizio a pensare di essere stupida, di non valere quanto valgono gli altri, e anzi, orma ne sono più che convinta.
Vuole parlare delle mie relazioni coi miei coetanei?
Okay, semplice; vanno a puttane.
Non mi riescioad inserire in nessun gruppo, vengo giudicata una sfigata solo perché non fumo e non bevo, mi prendono in giro perché i miei capelli non sono impiastricciati di colori e la mia pelle non è ricoperta di tatuaggi.
Ormai se ogni sera non vai ad ubriacarti in discoteca e non sei insultare il prossimo per far ridere chi ti sta accanto sei un perdente.
Bello schifo.
E guardi, davvero, fra ragazzi che vogliono solo giocare coi tuoi sentimenti e spezzano il tuo cuore in mille frammenti, ragazze che se non ti vesti e ti trucchi da Troia ti ignorano, ma se ti metti una maglia scollata ti dicono i peggior insulti del mondo, io preferisco stare sola.
E la mia situazione familiare?
Ah beh, sa, avere una figlia che sta tutto il giorno chiusa in camera o fra le pagine di un libro perché odia le persone e non esce con nessuno, e a scuola ha voti pessimi, e non è la sorella perfetta o ideale, non è che ne vanno molto fieri, tanto meno ne sono orgogliosi.
E la mia vita?
Tralasciando il fatto che non riesco a dormire a causa dei miei incubi che come catene mi stringono il collo, il petto, la pancia, le gambe, il corpo, e mi schiacciano al suolo, soffocandomi, ed i miei demoni che hanno la permanenza fissa nella mia mente, anche quella fa schifo.
Sa, più volte quando sono sul balcone di camera mia mi domando cosa accadrebbe se saltassi giù, e questo pensiero mi perseguita ogni qualvolta vedo un edificio alto, peccato che sono sempre troppo bassi.
O smesso di passeggiare in strada perché ero tentata di gettarmi sotto al primo camion che passava.
Ho gettato i temperini perché sono tormentata dal desiderio di tagliarmi le vene, di dissanguarmi con le mie stesse mani e punirmi una vola per tutte per ciò che sono.
Ultimamente credo di meritare solo dolore, vorrei farmi sempre più male, fino ad affogare nelle mie stesse lacrime e frantumarmi le ossa.
Mi odio. Mi odio all'inverosimile, mi sto distruggendo ma lo merito.
È giusto così.
E sa perché? Perché certe persone non vogliono essere salvate.
Mi basta tenermi tutto dentro, finché non implodo e scompaio lentamente »
Respiro.
Respiro.
Respiro.
No. Non posso.
Saprei già come andrebbe a finire.
Già lo vedo sto qui farmi altre mille sedute e telefonate ai miei genitori, così che abbiamo un altro problema e, grida a caso, chi l'avrebbe mai detto, di nuovo per colpa mia.
Lo psicologo mi richiama dai miei pensieri «Prego, ci tengo a sapere la tua storia. Le tue emozioni. »
Sorrido.
«Non c'è nulla da dire sul mio conto. Come può osservare dal questionario appena svolto, sono una ragazza che è felice con poco e si rallegra con ancora meno.
Ho così tante amiche che tendo a confondere i loro nomi e fatico a sistemare gli appuntamenti per riuscire ad uscire con tutte, senza dimenticarne nessuna.
La mia famiglia è il mio punto di forza» che schifo, una recita peggiore non la posso fare, magari questa volta si accorge che sto mentendo «mi incoraggiano costantemente e mi fanno sentire amata. A scuola ho buoni voti, ottenuti senza stress o ansia. Mi consideri un adolescente normale, con una vita tranquilla e ricca di serate, alcol, e cazzate. »
Lo guardo negli occhi, sinceramente spero che mi tradiscano «Non potrei essere più felice».
Lui mi sorride«come immaginavo, i questionari non sbagliano mai. Prego, puoi andare»
Lo saluto ed esco.
La porta si chiude alle mie spalle e non si è reso conto che il mio era un addio, un “me ne vado, per sempre”.
I veri assassini sono quelli che sanno che vuoi farti del male, ti guardano distruggerti, e se vanno mentre cerchi di ucciderti.
Perché è molto più facile così.
Non essere un assassino.
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Punto domenicale della situa:
Visto che la strizza di essere querelate per lo schifo che dite sembra esservi passato e avete ricominciato con le solite storie - proprio storie, di finzione, che se ‘sto talento lo impiegaste nelle fanfiction verrebbero fuori dei best seller - che mostrano solo quanto vi rode (ma le mirabolanti rivelazioni della figlia del discografico? Da più di un anno che le aspetto, s’è fatta ‘na certa), mettiamo in chiaro una cosetta o due: state rigirando penosamente la frittata.
Il drama sulla mascherina è partito da voi (con la partecipazione straordinaria di altri sottogruppi). Avete messo il broncio perché avete visto Ermal e Chiara abbracciati (dopo mesi di “dice che stanno insieme ma non la abbraccia/bacia mai nelle foto, questo prova che è tutta finzione!”) e dovevate trovare un pretesto per attaccare almeno lui (per lei bastano le solite accuse disgustose ed infondate di meretricio e infedeltà, suppongo). Cerca cerca...oh! Non ha la mascherina! Forse l’ha solo tolta per i pochi secondi necessari a fare la foto, come facciamo tutti, ma chi se ne importa! Dagli all’untore! Sta portando il Covid in Grecia! Ma quanto siete tristi?
Come faccio a dire che è un pretesto? Facile. Mi tocca mio malgrado tirare in ballo Fabrizio che poverino non c’entra niente con le vostre infantili gelosie: la sera prima del mascherinagate anche lui ha pubblicato foto in un luogo pubblico con perfetti estranei senza mascherina. Sicuramente anche lui l’avrà tolta solo un momento, o potrebbe anche essersela dimenticata, capita, non implica che ci sia intenzione di sottrarsi alle regole. Ma su di lui nessun tweet indignato (o così pochi da non aver avuto nessuna risonanza), nessun post infervorato qui su Tumblr, silenzio tombale. Chissà se c’entra il fatto che lui era a cena con amici di sesso maschile e i due figli? Nessuna donna presente. Umh.
Archiviata la questione, parliamo pure dell’equivoco sulla gravidanza, che in parte ha influito sul dramma di cui sopra fornendo un altro facile pretesto per avercela con Ermal, siccome finora erano pochi. Ci hanno pensato tante persone. Ci ho pensato anch’io, lo dico apertamente. Certo non mi sarebbe mai neanche passato per l’anticamera del cervello di andare a scrivere a Rinald “bella zio, non è che per caso tua cognata è incinta? Voglio i confetti del battesimo!”, ma ho pensato che potesse esserci un significato dietro la scelta di quella posa particolare. Che punizione mi spetta per tale orrendo psicocrimine? Dieci scudisciate? Venti? Trenta? Che poi la smentita ha fatto comodo a voi (e ad altre, che mica ci siete solo voi, io qua parlo a voi perché mamme oche e lupe gelosine non ne stanno, il pubblico è ristretto alle complottiste - no, non vi chiamo shipper perché non lo siete), mica a lui, lui voleva solo evitare che continuassero a rompere i coglioni pure a suo fratello. Retwittandola a manetta vi siete tranquillizzate su un sospetto che, si fosse rivelato fondato, avrebbe fatto risuonare il Dies Irae; ed avete pensato di umiliare chi ci aveva pensato tanto quanto ci avete pensato voi, ma aveva espresso felicità di fronte a quella possibilità, come è giusto e umano che sia (peccato per voi che non abbiate umiliato nessuno perché nessuno aveva avanzato pretese in merito o affermato che fosse indubitabilmente vero, e come potevano?). Ma mi dite cosa ci sarebbe stato di male, nel caso? La sapete trovare una risposta che sotto sotto non sia “mi darebbe fastidio perché non è quello che voglio io”? No, perché con voi è TUTTO un me, me, mio, sempre.
Flashnews: nessuno vi deve niente. Tanto meno un uomo che non sa nemmeno chi siete - e non sa nemmeno chi sono io, se è per questo. Quindi no, Ermal non mi porterà un souvenir dalla Grecia come premio per quello che sto scrivendo, e tranquille che non gli mando lo screenshot di questo post. Se avessi voluto mandargli degli screenshot ci sarebbero state cose assai più gravi tra cui scegliere negli ultimi mesi. E lo sapete tutte, benissimo. Avete cancellato tutto, ma le tracce restano. Ce n’era pure per Fabrizio, tanto per essere eque. Tumblr è una piattaforma pubblica, ve lo ripeto. Non serve neanche essere registrati per leggere determinate cose. Chiunque può passare e fare screenshot. Ricordatevelo sempre, perché ve lo state scordando di nuovo.
Ma perché non fate lo sforzo di abbandonare il pretesto della ship, che tanto non ve ne importa niente e si vede, ed ufficializzate la vostra posizione di hater di Ermal? Fareste meno fatica. E sareste più oneste.
P.S. per oggi siete tutte sbloccate, fatta una sola eccezione che tanto legge comunque. Così non servono indirettini, che fanno troppo Twitter e non sono di classe.
#Ermal Meta#Fabrizio Moro#metamoro#ci stavo quasi sperando che l'era delle diffamazioni fosse finita#ma niente
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Angels in the Dark
Le 3:00 di notte, la gente dorme, protagonista dei suoi sogni e dei propri incubi. Forse è così che mi piace pensarli. Inerti, con gli occhi chiusi, il respiro leggero e regolare, il viso d’angelo senza svegliare il loro lato assassino. Mi piace l’idea di non sentire le loro parole, i loro giudizi, tanto ascolterei solo bugie.
Ho un misto di rabbia, tristezza, e delusione per le persone, che ormai mi fanno solamente schifo.
In questo momento vorrei facesse davvero freddo, avere solo una felpa addosso e potermi risentire viva tramite i brividi e i tagli di gelo che lascia il vento sul mio corpo e sulle mie guance rosee; vorrei star seduta a gambe incrociate sugli scogli ed essere circondata dal nulla se non dal mare davanti a me. Vorrei aver lo sguardo fisso lontano, perso verso l’orizzonte, vorrei che il cielo fosse grigio, e di riflesso, anche l’acqua del mare. Grigio. Non c’è colore più adatto di come mi senta ora. Un’anima bianca di purezza, ingrigita dalle ceneri dell’inferno in cui si trova e vive.
E invece sono qua, immersa nel buio della mia stanza, con le gambe attorcigliate alle coperte, che con la luce della luna proveniente dalla finestra sopra il mio letto, sembrano di un colore bianco sporco e antico.
Ho appena avuto un incubo, e nonostante sia già metà dicembre, sono tutta sudata, coi capelli annodati e spettinati dai troppo giri e rigiri durante quelle ore. Un incubo: non c’è differenza tra il giorno e la notte.
È da un po’ che sono sveglia, ma non voglio sapere quanto tempo sono stata sdraiata sul letto a pensare a cose senza senso, guardando un punto non preciso del cielo attraverso i vetri della finestra; non mi interessa sapere che ore si son fatte, né pensare che domani avrei dovuto svegliarmi presto per andare a prendere quel treno vecchio e malconcio verso quella prigione di scuola. Dicono che qui ti insegnano a vivere. Io ho imparato solo a come morire.
Vorrei fermare il tempo, rimanere lì per sempre in quella buia e notturna tranquillità, eppure non vedo l’ora che questa notte passi, che tutto passi.
Ed il mio istinto è ancora quello di andarmene da un mondo in cui io non mi sento più parte.
Mi alzo dal letto e nonostante abbia solo una maglia bianca e leggera che uso per dormire, apro la maniglia di quella finestra che da sul tetto, e sento già il freddo invadermi il sangue.
Non importa.
Mi arrampico, e come ogni notte trascorsa nella mia solitudine, mi ritrovo ad osservare la vita notturna da lì sopra.
Le luci della città sono spente, così come la speranza, fiamma di una candela che resiste al gelo e alla neve, ma che si spegne per una piccola lacrima, un piccolo dettaglio che nessuno noterebbe.
Nessuno sveglio, a parte qualche rara persona innamorata, come me, delle stelle. Nessuno sveglio, se non quel groviglio di milioni di nodi, pensieri incasinati e taglienti come lame gelate. Brividi di freddo, ogni volta che uno di loro sfugge al mio controllo nella notte scura, che mi indebolisce e riemerge ogni mia paura.
Rimango sola, ancora una volta, ad osservare la notte, la parte morente del giorno, cullata dal vento che scompiglia i miei capelli, e che cerca invano di spegnere i pensieri, di far morire la mia dannata mente. Magari per un po’. Magari per sempre.
Mi sdraio sulle mattonelle rosse del tetto, per vedere le stelle. È una cosa che faccio fin da bambina, mi ha sempre rilassato, mi calmava quando piangevo, come se essere circondata da quella moltitudine di stelle mi facesse sentire meno sola. Ma quando i miei occhi si posano sul cielo, l’unica cosa che vedo è un colore cupo, velato, senza la presenza di quei piccoli fari di speranza. Si sta facendo brutto tempo, un po’ come dentro me. Passata la notte, la pioggia e il vento lasceranno spazio al sole. Ma la tempesta delle mie lacrime finirà mai?
Seguo la linea chiara e infinita che formano le nuvole col riflesso della luna, e la mia mente ne fa uno svago personale, finché non vengo strappata dalla mia quiete da delle risate, parole urlate troppo forti che stonano col dolce silenzio della notte, e poi il suono di una bottiglia di vetro che cade, che si spacca in mille pezzi. Ma qua non è l’unica cosa andata in frantumi.
C’è un ragazzo, alla fine della via. Corre, e trascina con sé una ragazza che lo segue senza smettere di ridere. Nella mano libera regge una bottiglia, di birra credo. Immagino gli occhi di lei brillare come stelle in mezzo al buio della notte. Li conosco quei pensieri, ragazza, il desiderio di essere felice, la speranza di essere amata per sempre.
Ma i desideri sono sogni che vorresti ma non puoi avere. E la speranza non è una certezza, è solamente un'illusione che pian piano si affievolisce e muore. E poi muori anche un po’ tu.
A volte mi domando perché tutto dipenda da degli stupidi pensieri, da immagini che vediamo , o parole che sentiamo. Condizioniamo il nostro umore, la nostra salute, e perfino la nostra vita, in un modo troppo semplice: gli altri causano avvenimenti che facilmente ricadono tutti su di te. Loro dettano la tua vita, e tu, come un protagonista di un libro, sei destinato ad obbedire ai loro voleri e a morire alla fine di quelle pagine. Perché chi ti vuole buttare giù inciderà parole indelebili che ti faranno affondare in acque buie e profonde, anche nel più secco dei deserti: non hai potere, loro dettano parole, e le parole dettano legge.
Sento un bruciore improvviso alle braccia: sta iniziando a piovere, come se avessi contagiato il cielo con la mia tristezza, e volesse riempire il vuoto che ho nel petto con le sue lacrime. I tagli si gonfiano e fanno male, ma sfortunatamente non troppo da poter deviare il pensiero da ciò che ho dentro. Ti avevo promesso di non farlo mai più. Perdonami.
Guardo la mia pelle, prima bianca come il latte, ora marchiata da lividi e da permanenti cicatrici, segnata per sempre da ricordi che bruciano di urla, e odorano di una vita passata a morire.
Le persone mi definiscono forte, nonostante mi diano della debole. È un controsenso, lo so, nemmeno io l'ho mai capito. Credo che ti diano aggettivi asseconda della situazione, di come viene comodo a loro.
Ma su una cosa sono tutti d'accordo: trasmetto forza alle persone, le metto un senso di tranquillità e di pace da poter affrontare ogni momento buio, assieme a me. Già, questo non lo nega nessuno, sono tutti bravi a prendere ciò che dai, senza che ti ritorni qualcosa in cambio. Amici. Questa parola contiene al suo interno la parola amore. Ma a quanto pare è uno sbaglio, non credo che amare voglia dire approfittare dell'altro per poi lasciarlo pieno di false speranze, ricordi che fanno male e cicatrici che non potrà più risanare. Amici. Questi non dovrebbero lasciarti in disparte perché han trovato qualcuno migliore di te. Amicizia non è usare e andarsene dopo averti consumato.
Eppure è ciò che lei ha fatto, ciò che fanno tutti. Avete presente quando ad un certo punto della vostra vita, vi sentite finalmente capiti da qualcuno, quando trovate qualcuno che vi fa ridere, con la quale ridere? Certo che lo avete presente. Almeno una volta nella vita ci siamo sentiti tutti amici di qualcuno. E io mi sentivo amica sua. O meglio, ho sempre pensato che lei fosse mia amica. Ma il tempo vola, le persone cambiano, i sentimenti passano. Ma chissà perché, tra due persone, tutto questo succede solo ad una, mai ad entrambi. E l’altra rimane lì, a chiedersi perché, a guardare le persone allontanarsi, a sentire crollare il tutto. Cosa fanno gli amici? Sbaglio o si aiutano? Si confortano? È davvero questo il loro compito, o è solo una stupida recita che si scrive nei libri? Le raccontavo tutto, la rendevo parte della mia vita, e lei faceva lo stesso con me. Ero felice quando lo faceva. Credevo fosse normale, ma purtroppo credo a troppe cose. Sarò strana, ma sono felice quando le persone si aprono con me: la vedo come un segno di fiducia, o semplicemente, di amicizia. Ma a quanto pare in molti lo percepiscono come un peso, ciò che vogliono è recitare la loro parte e fare finta di tenerci. In effetti è anche colpa nostra. Abbiamo sminuito troppo il termine “amico”, ormai chiamiamo così anche chi conosciamo da poco, non diamo differenza tra chi lo è davvero un amico, e chi non. Forse perché non ce ne rendiamo conto. Troppo felici a pensare di avere qualcuno al nostro fianco. E poi arriva quel momento in cui ci rendiamo conto che siamo sempre stati soli. Amicizia è sostenersi a vicenda, esserci. E allora perché lei mi ha rinfacciato di ogni cosa che le raccontavo? Ho sempre messo lei prima di tutto, nel nostro rapporto, perché per me era importante. Ogni cosa che le raccontavo la alleggerivo, perché odio far pesare i miei problemi alle persone, eppure lei era stanca di questo, stanca di me, e mentre lo diceva, non ha più pensato ai momenti in cui l’ho fatta ridere.
Non ci provo più a definire qualcuno come ‘migliore amica’. Le persone sono tutte uguali, nessuno è migliore. O almeno, non con me.
Da quel giorno non mi sono mai più aperta con nessuno. E forse questo mi sta uccidendo: ogni cosa che mi tengo dentro è una lama di un coltello, un’arma, che graffia, squarcia, uccide piano piano, ogni parte di me. Ma almeno sono io a farlo. Non voglio più dare questo potere agli altri. O forse è esattamente ciò che sto facendo?
Tutti così fanno, ogni volta che rientro a casa, felice di aver incontrato qualcuno, mi aspetto sempre il giorno in cui lasceranno un vuoto dentro di me, che felice quasi non lo sono neanche più.
E mentre a me la pelle brucia, I due ragazzi prendono la pioggia elemento di gioco, finché sotto la luce dell'unico lampione sulla strada, lui la bacia, facendo ritornare il silenzio, nonostante il rumore della pioggia che cade, nonostante i pensieri che urlano.
Chissà che sapore hanno i baci, quelli veri, quelli dove è il cuore che parla, e non uno stupido meccanismo a cui non si è mai dato il giusto valore. Chissà come è baciare senza sperare disperatamente di valere qualcosa, aggrapparsi alle labbra di qualcuno come se ti stessi aggrappano al suo cuore. Chissà come è baciare senza pensare a nulla di tutto questo. E chissà come è essere sicuri che le braccia che ti stringono ora non ti lasceranno mai, avere la mente libera dal pensiero di perdere quella persona.
E io ne ho baciate di labbra, da cui pendeva solo veleno, ne ho strette di mani, le stesse che tenevano il coltello dalla parte del manico e la lama puntata al mio cuore.
Quanto posso essere ingenua, dare troppo con la sola speranza di essere un giorno ricambiata. E poi passano i giorni, ma di quel giorno nemmeno l’ombra. Ne arriva un altro, invece, quello in cui con le lacrime agli occhi, ti fa schifo la tua immagine riflessa, perché la dignità la hai, è che hai solo troppo cuore, e ti accorgi troppo tardi che tutto quanto ti ha tolto più di quanto avevi prima.
Non è colpa mia. Però glielo urlo sempre, alla ragazza riflessa allo specchio. A quella dagli occhi rossi per il pianto, le labbra insanguinate, le costole troppo evidenti, e la pelle segnata.
Il freddo inizia a farsi sentire più di prima, d’istinto mi riscaldo le braccia con le mani, ma non ho voglia di tornare dentro, resto a giocare coi brividi che il vento da. Mi è sempre piaciuto, convincere il mio corpo di essere più forte del freddo. Convincere me stessa di essere più forte di tutto.
Le mie mani fredde mi stringono in un abbraccio, sotto la pioggia di dicembre. Mani. Con queste puoi ricevere l’affetto migliore di cui nessuno parla: puoi far sentire una persona meno sola, soltanto afferrando e stringendo la sua; puoi ricevere abbracci e morirci dentro e rinascere allo stesso tempo, scordando tutto quello che ti tormenta. Non serve che vado avanti, sono l’ultima persona che può spiegare modi per dare e ricevere affetto. Eppure, le carezze, le mani che sfiorano dolcemente la pelle, lo trovo un gesto tanto dolce… Il problema è che le mani di certe persone, per quanto bianche di purezza siano, sono impregnate del rosso del mio sangue.
Anni dopo, la fobia non passa. Non può passare, quando fin da bambina hai imparato da sola che servono per fare del male. Ricordo ogni maledetta volta, ogni bruciore e ogni ferita. Ricordo troppo bene, come se fosse ieri, eppure ero ancora troppo piccola.
Avevo la mania di tenere un diario, da bambina, e non perché mi intrigava la cosa di tenere i miei segreti da qualche parte, ma perché quello era il mio sfogo personale, e nessuno avrebbe mai letto e giudicato. E quelle parole venivano lasciate lì, mai più rilette, ma mai più dimenticate.
Cosa può scrivere una bambina di 7 anni? Magari delle prime amicizie, delle marachelle a scuola, cose così. Non lo so, io non scrivevo queste cose. Quelle pagine non sanno più di carta, ma solo di lacrime. Su quelle pagine riportavo il disprezzo degli altri nei miei confronti, riportavo ogni rissa, ogni livido.
Scoppio a piangere, in silenzio, ricordando le lacrime di quella bambina che si rifugiava dentro i libri, e nella scrittura. La sua infantile grafia, le sue parole da matura.
E il mio pianto si unisce alla pioggia, mentre ripercorro ciò che mi ha ferito, ogni loro frase, attaccata al muro, le mani a proteggermi gli occhi, ma con nessuno a proteggere me. Nemmeno io lo facevo.
Cosa ho fatto per meritare questo già da bambina? I bambini dovrebbero crescere spensierati, avere ancora la testa fra le nuvole.
Io invece mi consideravo una nullità già a 7 anni. D’altronde, cresci con le idee che ti mettono in testa, con i discorsi e le parole che ascolti di più. E io sentivo solo quelle.
E le sento ancora ora, ogni giorno, mi ripeto che voglio essere perfetta per me, ma in testa ho ancora la perfezione che han dettato gli altri.
Non riesco a toccare cibo senza pensare i giudizi che hanno sempre avuto sul mio corpo. Prima troppo grassa, poi troppo magra.
Basta. Non voglio pensare a questo.
Voglio cancellare tutto dalla mia mente, spegnerla, azzerarla, ma non ci riesco.
Tutto ciò che riesco a fare ora, è piangere.
Eppure di piangere l’ho fatto troppe volte, ma ora non c’è più nessuno dalla mia parte. Mi avevi ripetuto, giurato, promesso, che non eri una copia degli altri, e sei perfino riuscito a farmelo credere. Eri così perfetto per essere vero, ma sei solo bravo a giocati la tua parte come giochi con le corde della tua chitarra. Ero convinta che ti interessasse davvero di me, e sono stata stupida a crederci, a chi interessa di me? A nessuno. E dovevo saperlo, non dovevo crederti, ma sei stato troppo furbo, e io ancora ingenua. Mi attiravi con l’affetto. Certo, le persone si attirano dando ciò di cui hanno bisogno. E tu l’avevi capito, che era questo il mio punto debole. Mi raccontavi un sacco di bugie, bugie che mi han fatto innamorare, finché le consideravo verità. E invece ho dovuto scoprire da sola tutto quanto, e da sola affrontarlo. Hai aperto al mio cuore ad un’altra tragedia: l’attore perfetto in una falsa commedia.
Voglio che tu trova l'amore, voglio sentirti parlarne coi tuoi amici come se fosse l'unica cosa che ai tuoi occhi sia perfezione. Voglio vedere i tuoi occhi brillare di speranza, il tuo cuore in fiamme per la ragazza con cui mi hai sostituito. Talmente in fiamme da bruciare. Voglio che lei lo alimenti quel fuoco, che ti faccia provare le fiamme dell'inferno, per poi lasciarti nella cenere. Ti auguro di provare ciò che sto provando io a causa tua, voglio vederti piangere, illuso dalle false speranze che lei ti ha dato. Voglio che ti salga la nausea a pensare ad ogni cosa che ti colleghi a lei, ad ogni cosa che hai detto, ad ogni bugia che hai creduto. Voglio che tu sappia quanto questo faccia schifo, voglio che tu prova quanto tu mi hai fatto male. Ti odio, con tutto il cuore, più di quanto ti abbia amato.
Le persone sono tutte uguali, o forse sono io troppo diversa. Mi sento sbagliata, in ogni posto: il cuore di qualcuno non avrà mai posto per me, la scuola non sarà mai il luogo dove avrò amici, e casa mia non potrò mai definirla casa. Cosa ci faccio ancora qua?
Le lacrime mi offuscano gli occhi, ma non offuscano i miei pensieri. La mia mente mi passa davanti immagini di falsi momenti in cui ero felice, come a ricordarmi cosa non ho, cosa mi è sempre stato strappato via troppo in fretta. Tutti gli amici andati, i tradimenti da parte di chi più amavo, la mia famiglia che mi ripete ogni giorno quanto io sia un fallimento, per loro è per tutti; e poi le botte a scuola, quella sera di cui non ho ancora il coraggio di spiegare davvero cosa sia successo.
Non mi è rimasto nulla. Nulla è nessuno.
Cosa ho di sbagliato? Cosa non ho che le altre hanno? Perché sono l’unica che non viene mai apprezzata, mai capita? Sono sempre la ruota di scorta, quella che viene usata. Uno strumento per far felice qualcuno. Uno strumento usato, consumato, e poi lasciato lì, quando non se ne ha più bisogno. Una bambola dei giochi di qualcuno, coi capelli un po’ spettinati, il vestito un po’ consumato, buttata in un angolo della stanza assieme a giochi vecchi, ormai passata di moda e dimenticata per sempre.
Se prima le lacrime scendevano in silenzio, ora i miei occhi si trasformano in fiumi di disperazione, e crollo, in un pianto troppo forte, troppo disperato. Perché quelle immagini fanno male, quei pensieri ammazzano.
Con le mani mi copro gli occhi, come se mi nascondessi dalle stelle, e mi sdraio del tutto sulle tegole rosse e fredde del tetto: la pioggia che mi bagna tutta la maglietta, che si mescola alle mie lacrime.
Il cuore batte forte, troppo forte, che quasi rischia di scoppiare e rompersi in mille pezzi. Non che non sia già in questo stato.
Non riesco a respirare. L’aria non mi arriva, inizio a vedere tutto più sfocato, eppure quelle immagini le ho sempre impresse nella mente. Il rumore della pioggia si fa più lontano, ma il mio pianto, le mie urla passate, quelle maledette voci, non si fermano. Non riesco a respirare.
Devo smettere di piangere o finisce male.
Mi tiro su, devo rientrare, devo prendere le medicine. Devo addormentarmi, non pensare a nulla.
Ansimo e piango allo stesso tempo, la testa mi gira, e per un momento non mi sento più dentro al corpo.
Le gambe mi cedono, ma io non me ne accorgo.
***
Sento un dolore fortissimo alla testa, ma anche alla schiena, alle gambe. A tutto il corpo, nulla escluso.
Sento la pioggia in lontananza, ma la sento lo stesso picchettare sul mio corpo, immobile e quasi inerte su un letto grigio e tagliente. I miei occhi bruciano, come la mia pelle.
Chiudo gli occhi, per poi aprirli lentamente. Non riesco a muovermi, ma riesco comunque a vedere quelle tegole rosse su cui poco fa piangevo.
Il respiro si fa sempre più pesante, mentre il cuore si fa sempre più lento. Sono stanca, stanca di lottare, stanca di sentirmi in questo modo.
Stanca di non essere mai stata apprezzata.
Ora sono felice, sono calma, come non mi sono mai sentita prima.
Ma questo raro sentimento si cancella, lascia spazio all’immagine di una bambina. Una bambina tanto forte che ha cercato di sopravvivere in mezzo a tanta amarezza. Quella bambina ha lottato per dare un futuro a me, e io ora glielo sto togliendo.
Non volevo arrivare fino a questo punto, non era mia intenzione, lo giuro. Potessi, tornerei indietro, non aprirei mai la maniglia di quella finestra.
Sono stata debole, ma io non volevo.
È stato un incidente.
Gli occhi mi si chiudono, ma voglio ricordarmi un’ultima cosa, di questo mondo.
Alzo gli occhi e vedo tanti puntini sfocati e lontani, che mi guardano, che mi accolgono: le stelle.
L’ultimo pensiero sono mamma e papà. Chissà cosa diranno. Io non volevo, lo giuro.
E poi a me stessa. Io non volevo.
Scusa.
***
Le sirene non smettono di suonare, la pioggia non smette di cadere. Anche una ragazza ha ancora le lacrime agli occhi. Solo che le sue non cadranno mai più sul suo volto e la sua anima non finirà mai di piangere.
La notte è buia, gelida. Qualche persona infreddolita, in pigiama e l’aria assonnata, si è riunirà attorno alla strada, intenta a capire cosa abbia interrotto il loro sonno. Un pianto disperato, delle urla, e poi un corpo coperto da un telo nero. E nell’aria gelida si sente l’odore aspro e metallico del sangue, della morte. Un velo di malinconia in questo scenario triste: il cielo piange la morte di un angelo.
È un suicidio. Gira la voce, chissà perché l’ha fatto. Il silenzio sparisce, e si riempie di chiacchiere inutili, come se loro sapessero e avessero il permesso di giudicare. Ma qualcuno, in quella via, non le sente quelle voci, non ne sentirà più pettegolezzi su di sé.
L’ambulanza parte, porta via quel corpo inerte dall’abbraccio disperato della madre, che ancora non capisce e lo rivuole con sé. Chiunque tenta di calmarla, di consolarla, poliziotti, vicini, ma lei in preda al panico non ascolta, come se non li vedesse. In fondo, è così, quando hai la paura negli occhi. Quando la morte ha strappato per sempre la vita di tua figlia.
Quel banco, a scuola, è vuoto, eppure la campanella è già suonata. Nessuno ci fa molto caso, in fondo non era occupato da qualcuno di speciale, qualcuno di cui si sente la mancanza. Ma Noemi si domanda il perché. Hanno litigato, qualche mese fa: l’aveva trattata male senza sapere nemmeno il perché, ma da quel giorno non è più stato lo stesso, sebbene abbiano provato entrambi a riavvicinarsi. Inizia a scrivere di nascosto un messaggio di rimprovero alla compagna, uno di quegli scherzi tra amiche. Ma quel messaggio non lo mandò mai più, intanto non c’era più nessuno a riceverli. In quella classe così disordinata e rumorosa, cala il silenzio, quando due professori dall’espressione triste, e il preside, entrano in quella stanza. E annunciano la sua morte. A Noemi cade il cellulare dalla mano, il vetro si frantuma in mille pezzi, e il suo cuore perde un battito. E la sua vita perde valore.
Tutti si accorgono forse per la prima volta di quel banco che troppe volte è stato in cattiva luce, e trattengono il respiro, ma lei non riesce a trattenere le lacrime.
Si alza e corre fuori, in corridoio, e non sente le voci di richiamo del preside e dei professori. Corre giù verso l’uscita, piangendo, incolpando se stessa per la morte dell’amica. Urla, e affonda le unghie nella carne delle sue braccia, lasciando piccoli taglietti, i primi di una miriade di insanabile cicatrici, e poi colpisce il muro con la mano, presa dalla rabbia, e le sue nocche si tingono di rosso. La mano le si gonfia, forse qualcosa di rotto, ma non fa male, nulla potrà più fare male, superare il dolore che sta provando ora. Si accascia a terra rimanendo appoggiata al muro, e si copre la testa nascondendola tra le ginocchia. Le sue dita intrecciare tra i capelli curati, ora ben pettinati, e senza accorgersene si tira qualche ciocca, come se il suo corpo stesse disperatamente cercando invano un dolore più grande. Il mascara che rifiniva le sue lunghe ciglia chiare, ora le riga il viso come le lacrime, e la pelle è ormai tagliata dalla troppa forza che mette con le unghie, come se servisse davvero a qualcosa, ormai. Qualcuno la solleva di forza, sussurrandogli un qualcosa che nemmeno ascolta, e la porta via, tra le urla incomprensibili, e la resistenza per restare sola; gli occhi colmi di dolore, di paura. La portano in infermeria, la fanno sdraiare sul lettino e provano a calmarla, ma smette di resistere, stanca di lottare per qualcosa che ha già perso. Ma le sue lacrime non smettono di essere in lutto. Tocca disperatamente la collana col ciondolo a forma di puzzle che le aveva regalato tre anni fa, come per sentire ancora il suo tocco, l’iniziale dei loro nomi che aveva scritto lei. Ma lei non c’è, non la rivedrà più.
A lavoro, il padre, non riesce a distogliere lo sguardo dal giornale che riporta il nome e la foto di sua figlia. E poi guarda il vuoto, con gli occhi che minacciano di piangere, pensando a tutte le volte che l’aveva portata in ufficio con lui, e l’aveva sgridata perché faceva troppo rumore parlando a voce troppo alta, quando da bambina si portava le bambole con cui giocare. Pian piano quella voce si è fatta sempre più rara, sempre più triste, e i silenziosi libri avevano sostituto quelle bambole. Ora avrebbe dato la sua di vita, solo per sentire la voce della sua bambina che non era riuscito a salvare. Avrebbe voluto ne parlasse con lui, di ogni problema, e si morde le mani per tutte le volte che le ha detto di avere di meglio da fare. I colleghi chiedono se ha bisogno d’aiuto, ma lui ha bisogno solo di sua figlia, viva. Gli occhi non trattengono le lacrime, e piange. E lui non piange mai.
È passato un anno, ma quella notte in quella casa non passa mai. La madre ha smesso di curarsi: i suoi capelli sono sempre spettinati, e di vestiti non ne ha più comprati di nuovi, come se non le importasse. Le guance sono sempre più affossate: ha smesso di farsi da mangiare perché ogni volta, a forza dell’abitudine, preparava e apparecchiava anche per la figlia, finendo in lacrime ogni volta, guardando quella sedia vuota, quel piatto sempre pieno. Passa il giorno nella camera della sua bambina, prende in mano tutti gli oggetti per sentirla più vicina, ma nel suo intento non riesce. Piange e non si è ancora riuscita a perdonare, come se fosse l’unica ad averne colpa. La notte non dorme, la passa nel letto singolo di quella stanza, guardando le stelle come faceva la figlia, nella speranza di vederla salire da quella finestra, nella speranza di afferrarle la mano e strapparla dalla morte.
Il padre ha perso il lavoro, non riusciva a concentrarsi più sui suoi doveri, e nessuno capiva più il suo dolore. Tutti danno sempre il peso sbagliato delle cose, pensano che nulla può segnarti per sempre. Passa le giornate a vedere quelle bambole ordinate e ben pettinate, ricordando le manine della bambina che le stringevano. Quanto darebbe per stringere ancora quelle mani, per sorridere di nuovo, e invece ha sempre dato tutto per scontato, finché non lo ha perso per sempre. Poi sfoglia i suoi libri di cui tanto era affezionata, e scoppia a piangere ogni volta che prende in mano quel libro ancora da finire, appoggiato ancora sul comodino, con in mezzo un segnalibro. Interrotto come la vita della figlia. Crede che ci sia ancora il suo odore intrappolato in quelle pagine.
Entrambi non hanno più nessuno per cui vivere, e sentono di aver fallito nel loro compito più grande: hanno lasciato che la loro figlia si distruggesse proprio davanti ai loro occhi, senza nemmeno accorgersene.
A scuola quel banco è ancora vuoto, e così sarà per sempre. Adesso è ricoperto di fiori e bigliettini che mostrano così tanto amore ad una ragazza morta a cui si era mostrato solo tanto odio. Quei biglietti inutili sono solo la prova della loro falsità, durante la sua vita, e durante la sua morte: scrivono “ci manchi” con affianco il cuore, ma sanno benissimo di avere distrutto il suo. Eppure le danno dell’eccentrica per il suo gesto, eppure loro non sanno, ora è sempre al centro dei discorsi di tutti, eppure lei voleva solo sparire.
Noemi è ancora lì, la compagna di quel banco vuoto, hanno cercato di spostarla, ma lei in lacrime aveva gridato che sarebbe sempre stata lì, ad aspettarla. Ed ogni lezione non la segue, s’incanta a leggere e rileggere ciò che lei aveva scritto sul suo banco, ricordando quei momenti, pensandola ancora viva. Ora non c’è più traccia dei suoi capelli biondi, li ha tinti neri come quelli dell’amica, e come erano quelli di lei, sono sempre in disordine e sciolti, per non dover mostrare troppo il volto. Gli occhi sono ricolmi d’odio, ma nel petto ha un vuoto da tanto tempo. Ora si guarda allo specchio e capisce cosa provava l'amica, a guardare e ad odiare quel corpo troppo magro. Non mangia, ed è finita molte volte in ospedale per anoressia, e non c’era nessuno accanto a lei. La collana si è ormai consumata, a furia di sfregarla ogni secondo, prendendone forza, come se davvero ce ne fosse: le ricorda quando si davano la mano, la fossetta che aveva le volte in cui sorrideva. Quanto darebbe per vederglielo ancora, quel sorriso che giorno dopo giorno si era sempre più spento, e lei non aveva fatto nulla, se non contribuire a farla crollare…
Non è riuscita a salvarla, a dimostrarle quanto bene le voleva. E ora ogni notte siede nel tetto di casa sua, e piange, ma non ha ancora trovato la forza per andare da lei, forse perché spera ancora che sia lei a tornare, ad abbracciarla. Dio, non sapete quanto le manchi un abbraccio, un suo abbraccio: la sua pelle calda, ora è diventata fredda, un po’ come la sua anima d’altronde, fredda e nera. Sul braccio destro, il nome dell’amica scritto col suo sangue, con tagli di un coltello che nasconde sotto al letto. Le nocche ormai deboli e consumate a causa di ogni scatto d’ira.
Non ha più amici, lei era l’unica, e non glielo ha mai detto. Ma cosa che più le spezza il cuore, è che mai più lo saprà. Però continua a scriverle, ogni giorno, le racconta la sua vita, o quel che ne rimane, perché viva non si sente più nemmeno lei. E finisce ogni frase chiedendole di tornare, come se fosse una sua scelta, perché niente è più come prima, senza di lei.
Ormai non ha più nessuno con cui condividere, e sente di aver fallito nell’amicizia. Avrebbe dovuto capirla, invece l’aveva lasciata distruggere.
È passato un anno e mezzo, e il padre era distrutto. È appena tornato dal funerale di sua moglie, della madre della figlia che non ha saputo proteggere. Si è lasciata morire, non mangiava, e nemmeno le preghiere disperate del marito bastavano. Voleva andare da lei, e c’è riuscita. Si riabbracceranno, ora la ragazza saprà quanto le voleva bene, e quanto non le aveva mai dimostrato.
Ora la sua tomba è vicino a quella della figlia, sotto un albero di salice piangente.
Ora quell’uomo si è chiuso in casa, in quella casa che sa di disperazione, di morte, di sangue. E non riesce a guardare più nulla senza scoppiare a piangere, senza urlare da dolore. Non esce di casa da giorni, e nessuno ne ha più notizia. Ma forse a nessuno importa davvero, di quella famiglia distrutta. Di quel che resta di quella famiglia.
I fiori su quel banco sono diventati secchi, ormai è acqua passata, ma Noemi non smette di portarci ancora qualche nontiscordardimé, e ripete ogni volta che si rivedranno presto. Ora non ha nemmeno più la forza di piangere, il suo corpo è pieno di cicatrici insanabili e lividi. La pelle che prima tanto curava è diventata una tela dipinta del suo dolore.
Va spesso in quella casa, nella stanza di lei, a vedere i suoi libri, toccare l’inchiostro dei quaderni che scriveva. Ha trovato una lettera nel cassetto del comodino dell’amica, qualche giorno fa. Era indirizzata a lei, ma sembrava lasciata in sospeso, come se non l’avesse mai voluta inviare. L’aveva rallegrata leggere qualcosa di suo, leggere parole nuove, ma piangere le aveva mozzato il respiro e procurato un attacco di panico. O di dolore.
“Cara Noemi,
scrivo a te perché la maggior parte delle volte sei stata tu a capirmi.
Spero che capirai anche questa mia decisione. Da quello che vedo, da quello che mi hanno sempre dimostrato, ho capito che nessuno ha bisogno di me, e io non ho più voglia di sentirmi inutile. Sento che con me intorno porto solo guai, solo negatività.
Tu non meriti qualcuno da tirare su, rischio solo di trascinarti con me a fondo, e questo credimi che non lo vorrei mai. Tu meriti di essere spensierata tutto il giorno, senza doverti preoccupare di me. Meriti di essere circondata da tantissime amiche, senza dover pensare a stare solo con me e i miei complessi di inferiorità. Meriti di ridere, di non pensare a ciò che di male esiste.
Scusa Noemi, ma non riesco più a guardarti mentre mi difendi ogni volta a scuola, non sopporto più il fatto che tu riceva qualche schiaffo che doveva essere indirizzato a me. Ti sei messa in mezzo troppe volte, tra me e il male, e te ne sono grata, ma non posso più vedere farti del male per colpa mia. Per colpa mia, Noemi, perché io porto solo guai, complico la vita delle persone, rovino sempre tutto.
I miei genitori mi dicono sempre come dovrei essere, marcando e rimarcando ogni mio difetto. Sono solo un peso per loro, a quanto dicono. Mi sento inadatta anche a casa mia, faccio di tutto per cercare di renderli felici, ma non basta mai nulla.
Scusa Noemi, ma mamma dice sempre che non faccio nulla di giusto che possa farla contenta, e maledice troppe volte il giorno in cui ha avuto me, e troppe volte mi si spezza il cuore a sentirle dire quella frase. Papà si arrabbia sempre con me, per qualunque cosa, l’ha sempre fatto, ha sempre dato precedenza al lavoro, e ripenso sempre a quella volta che ha detto che preferisce mille volte più stare fuori in compagnia di altre persone, che a casa con la sua famiglia.
Rovino tutto Noemi, non c’è persona che mi è vicina che sia fiera di me, che mi dica che vado bene in qualcosa.
Che mi abbia dato un motivo per restare.
Me l’hanno sempre fatto capire, fin da piccola, che questo mondo non era il posto adatto a me. Ne ho passate tante che nessuno sa, perché non ho mai voluto essere un peso, eppure è ciò che mi dicono tutti. Troppe voci da ascoltare, troppe da sopportare: la testa mi scoppia e la mia mente mi ripete ogni cattiveria che mi è stata detta. Perfino in camera mia, da sola, quelle parole risuonano, e ci sto credendo Noemi, a tutto quello che dicono che tu del tutto non sai. Ci sto credendo, e non mi distruggono solo loro, io li sto aiutando a distruggere me stessa.
Troppe volte messa all’angolo del muro, troppi lividi che non sono mai riuscita a spiegare, mai riuscita a dire la verità. Ma infondo nessuno se ne preoccupava. Troppe volte a sentirmi sbagliata, Noemi, e gli sbagli si cancellano, prima che danneggiano tutto quanto.
Scusa Noemi, ma non riesco più a guardarmi allo specchio senza odiare il mio corpo, senza odiare me stessa. Senza voler rompere quel riflesso, e la persona che vedo riflessa. Tu non lo sai, nessuno lo ha mai saputo, il perché di tutto quanto. Nessuno ha mai sentito tutte le volte che giudicavano il mio fisico, tutte le volte che mi guardavano con disgusto. E credimi, dopo una vita passata ad assimilare ogni loro parola, arriverà a tormentati, e ogni volta che avrai qualcosa dentro al piatto ripenserai a tutto quanto. Nessuno sa, e nemmeno tu Noemi, del perché ho paura di farmi sfiorare, il sussultare ad ogni tocco. Nessuno sa il perché. Non ho mai raccontato di tutte le lotte a scuola, dove io non riuscivo a difendermi. Non ho mai raccontato di quella volta, di quella sera, e non riesco più a guardare il mio corpo senza pensare a quello che mi ha fatto, senza pensare a quelle mani sconosciute che hanno causato traumi indelebili. E quella cicatrice, sai, l’impatto col muro è stato un po’ troppo forte, e ora mi porto dietro per sempre la cicatrice di quello che è accaduto quella sera.
Spero non capirai mai, come è vivere odiandosi, trovarsi difetti ovunque. Spero che tu, Noemi, possa ricevere milioni di abbracci, possa pensare e fare l’amore senza che ti venga la nausea solo al pensiero di poter essere sfiorata.
Scusa, ma avevo voglia di scriverti come sto, come mi sento. Volevo esprimere ciò che a nessuno dicevo. Un piccolo sfogo personale condiviso con te, senza risolvere nulla. Volevo soltanto descrivere a parole il vuoto che ho dentro. Un vuoto che incasina tutto quanto. Forse è per questo che non sono mai riuscita a scriverne, a parlarne, e ora non ho nemmeno reso l’idea. Il vuoto è il nulla: zero parole, zero pensieri, ma quando incasina dentro, niente va come dovrebbe andare.
Scusa se ti lascio sola, Noemi, ma sarai felice, te lo prometto.
Grazie per tutto quanto, sei stata l’unica amica che ho avuto.
Vorrei chiederti di non dimenticarmi, ma forse è meglio così, devi lasciarmi indietro, andare avanti, pensare a te stessa e alla tua vita.
Ti voglio bene, ti ho voluto molto bene, Noemi, non dimenticarlo questo.
Per sempre tua,
Isabelle.”
La data era di agosto, quattro mesi prima del suo suicidio reale: a quel tempo non ha mai avuto il coraggio di farlo. O forse non era quello che davvero voleva. Nel cuore di Noemi si accende una piccola speranza, spenta da due semplici pensieri. Lei stava male, e lei è comunque morta.
Ora Noemi la legge ogni notte, quella lettera, accarezzando la carta e ogni parole scritta dalla sua amica. Si chiede come ha fatto a non capirlo prima. Come ha fatto ad essere così cieca in cose così evidenti. Stava gridando aiuto, e lei era incapace di ascoltare.
Una notte sente i suoi genitori litigare, al piano di sotto, mentre con una mano stringeva quella lettera, e nell’altra il coltello preso poco prima da sotto al letto. Litigavano per lei, e non sopportava quelle urla, quelle parole, ormai ripetute troppo spesso già da troppo tempo.
E forse lei sbagliò, perché lei più di tutti sapeva cosa si provava a perdere qualcuno. A quanto le persone sbagliano a pensare di non valere nulla.
Ma quando le lacrime velano gli occhi, e le urla di disperazione abitano la mente, non si vede più giusto, e non si sente ragione.
Su un foglio a righe scrisse a caratteri grandi “Scusa”, con le lettere un po’ disordinate e una grafia tremolante, scritte col suo sangue. E poi, da ciò che colava da un altro taglio appena fatto, scrisse dietro al foglio il nome dell'amica morta, come se questo le facesse ritrovare, come se fosse una sorta di invito. Da un lato c’è un addio per chi lascia, dall’altro un messaggio per chi andrà a trovare.
Piegò il biglietto, lo baciò, anche se non sa esattamente il perché, e lo tenne stretto in mano. Aprì la finestra anche lei, quella notte. Piove. È dicembre. È tutto così dannatamente uguale. Prova e capisce cosa aveva provato la sua amica. Guardò per l’ultima volta la sua stanza, come per salutarla, e il cielo, e nonostante le lacrime, sorrise.
Ora, dopo due anni da quel primo dicembre, c’è un altro cadavere in strada, e un’altra madre che urla, un altro padre a pezzi.
Ho sempre pensato che gli angeli avessero le ali. A quanto pare le cose non stanno così. Dovremmo iniziare a dire ai bambini di rappresentarli con un’aureola di sangue attorno alla testa, le lacrime agli occhi, il corpo pieno di lividi e i tagli indelebili sui polsi e sul cuore.
Dobbiamo iniziare a pensare agli angeli come anime pure, bianche e solitarie. E disperate.
Isabelle pensava che col suo suicidio avrebbe messo fine per sempre al suo dolore. Ma inconsciamente l’ha trasmesso a tutte le persone che le volevano davvero bene, anche se non glielo hanno mai dimostrato. Pensava di fare un favore a tutti, togliendosi la vita, ma è stata la bomba che ha ferito e ucciso chi più aveva vicino.
Sarebbe bastato poco, per salvare quelle vite distrutte.
Qualche attenzione in più. Qualche messaggio in più. Qualche abbraccio dato più spesso. Qualche bugia in meno. Meno falsità in ciò che facevano.
Prima di agire pensa, prima di parlare pensa. Non puoi sapere come la prenderanno le altre persone.
Ogni tua parola è un coltello, ogni tuo gesto uccide.
E se amate, se vi mancate, ditelo. Perché sarebbe bastato anche un misero e sincero “ti voglio bene” per salvare tutte quelle vite."
- Lucia G. S. ( @guerrieradeimieisogni), "Angels in the Dark"
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Come stai?
Può sembrare una domanda banale, ma voglio partire da qui. Come sto? Non lo so, a tratti bene, a tratti apatica. Ho chiuso una relazione di 2 anni, di cui probabilmente non sapete niente se non della fine, in un modo veramente terribile. Sentirsi dire “non ti amo più, non ti voglio più” penso faccia più male di un pugno dritto in faccia. Ma quello ormai è passato, non ci penso più. Non mi meritava e non ha saputo apprezzare il valore di ciò che ero e di ciò che davo. Peggio per lui. Non provo più niente per questa persona se non una gamma infinita di dubbi, su chi sia realmente e su quanto sia stato vero o solo una finzione per avermi quando gli faceva comodo. Purtroppo mi sono resa conto che le persone non sono tutte genuine e buone, alcune sanno fare del male volontariamente, alcuni sanno spegnere il cuore e convincersi che l’amore non esiste ma che esiste solo l’infatuazione, bello schifo lo so. L’amore esiste eccome. E quando ami lo senti e non lo rinneghi quando è finita. Ad oggi non so se mi abbia mai realmente amata, non ne ho davvero idea. Di certo poteva evitare frasi del tipo “dopo di te non voglio più nessuna”, “non troverò mai nessuno come te”. Mi viene davvero da ridere. E un po’ fa male, pensare che non sia più io nei suoi pensieri, pensare che i miei baci verranno sostituiti con quelli di un’altra, che si scorderà il mio profumo, il tatto delle mie dita sulla schiena, il suono della mia risata, i miei aneddoti così stupidi, le mie sigarette alla menta, i miei malori, i miei esperimenti in cucina, la mia voglia di viaggiare, il mio essere bambina e tutte quelle cose solo mie. Ma soprattutto fa male rendersi conto di quanto si possa essere facilmente sostituibili, rendersi conto di quanto le parole non valgano nulla. Faccio seriamente fatica a credere a quello che mi dicono le persone oggi, sapete? Quando qualcuno mi dice “ti voglio bene” o mi fa una promessa, non riesco più a crederci fino in fondo, in questo mi ha cambiata. Le sue promesse le ricordo, non ne ha mantenuta una. Quindi adesso dico e mi rendo conto che piuttosto che dire frasi a caso dettate dal momento, piuttosto sto zitta. Perché non so se ci sarò domani, non so cosa succederà, niente è certo. Tutto è temporaneo. È triste lo so, ma ho sofferto abbastanza. Ho corso dietro a due ragazzi e mi sono innamorata due volte soltanto e sono sempre stata distrutta nonostante dicessero tante cose belle. Mi sento un po’ il tramezzino, le persone si mettono con me, mi presentano i loro problemi, stanno bene, poi mi accantonano per cercare altro portandosi via il bagaglio con i miei insegnamenti e lasciandomi niente se non insicurezze, dubbi e sempre più mancanze. Quindi come sto? Delusa dalla vita fino ad ora. Se ripenso alla Camilla vecchia mi rendo conto che rido meno, che non sogno più, che sono troppo realista, un po’ più sola, e a tratti triste. Se ripenso alla Camilla vorrei abbracciarla e dirle che il peggio deve ancora avvenire, di prepararsi lo scudo ed evitare certe persone per scampare a qualche crepa in più e di non credere a tutto ciò che le viene detto perché un “sono qui per restare” è temporaneo quanto la persona che lo pronuncia, ma non si può. Quindi mi guardo allo specchio, rido, mi vedo più bella, più magra, più grande, con i capelli più lunghi e uno bianco, mi guardo allo specchio e tiro un sospiro, ho qualche mancanza in più, il cuore vuoto, ma la voglia di innamorarmi ancora e di essere felice. Bhe quella non manca mai.
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I’M SORRY (MI DISPIACE) - CAPITOLO 4
Autore: @incorrect19days
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Era davvero una cattiva idea, cazzo. Seriamente, su una scala da uno a dieci, dove uno è darsi fuoco, e dieci è fare una corsa sulla Spyder di James Dean, questo era tipo… un sei.
Eppure, eccoli lì seduti. Mentre facevano il loro terzo viaggio in macchina consecutivo come se stessero andando a un funerale o dall’avvocato divorzista. He Tian cercò tra la musica del suo cellulare, trovò una canzone che usava sempre per dare fastidio a Mo Guan Shan e sparò il volume a palla, poi si mise ad aspettare che lui la spegnesse o che si mettesse a urlare. A quel punto gli avrebbe risposto con un sospiro infastidito.
Niente da fare. Mo Guan Shan si limitò a guardare fuori dal finestrino, con le braccia incrociate sul petto.
Divertente.
Voleva spintonarlo, dargli fastidio, ottenere una reazione da lui, farlo interagire. Voleva accostare ed esigere che lui gli parlasse.
Sfortunatamente, Jian Yi e Zhan Zheng Xi nel corso degli anni gli avevano inculcato dentro abbastanza buon senso da sapere che sarebbe stata una cattiva idea.
Cosa farebbe una persona normale in questa situazione? In realtà non sarebbe mai riuscito a rispondere a quel dubbio, perché la gente normale di solito non finisce in queste situazioni del cazzo, no?
C’è per caso un manuale sull’etichetta da seguire per rovinare la vita della gente? Non è Sherlock Holmes ha scritto una guida su come essere un cazzo di amico di merda?
Ma come fa la gente? Ad… avere degli amici e non essere una fottuta inconvenienza. Sembra un cazzo di superpotere.
Come ci si sente a non essere la persona peggiore che qualcuno conosce? A non essere la persona di cui la gente parla alle feste?
Ad essere noiosi.
Ad essere normali.
A non essere difettosi, cazzo.
Avrebbe dovuto sapere cosa fare. Avrebbe dovuto sapere come dare conforto al suo amico. Come umano, non avrebbe dovuto avere un qualche tipo di istinto per queste cose?
Anche se avesse detto a Jian Yi e Zhan Zheng Xi ciò che era successo, loro lo avrebbero visto come qualcos’altro. Avrebbero visto He Tian, innamorato di Mo Guan Shan, e avrebbero cercato una soluzione a partire da lì. Ma non era così che stavano le cose.
Certo, He Tian era innamorato di lui. Lo era sin dal giorno in cui aveva incontrato quello stronzo, ma non era questo il punto, cazzo.
C’erano voluti anni e anni di tira e molla, prendi e lascia, litigi e stronzate, ma ora Mo Guan Shan era il suo migliore amico e, che a quest’ultimo piacesse o no, la cosa era reciproca. Questo. -Questo- non aveva nulla a che fare con l’amore, il romanticismo , i batticuore, o le caramelle di San Valentino. -Questo- era una persona forzata a fare del male al proprio migliore amico, e su questo schifo non si ci passa sopra facilmente.
Certo, puoi anche dire che He Tian aveva fatto del male a Mo Guan Shan e basta, ma se vuoi proprio vederla in questo modo, allora vaffanculo.
“Posso dire una cosa?” Chiese He Tian.
“No.”
Quindi non lo fece.
Alcuni minuti passarono in quel pesante silenzio che faceva venire a He Tian voglia di urlare. Alla fine, una macchina si accostò alla loro. Mo Guan Shan emise un lamento, gettando di nuovo la testa sul sedile.
“Merda, ma è tuo fratello quello?”
“Sisi.”
“Cosa vuoi dirgli?”
“Tutto.”
“Fantastico, cazzo.”
-
He Tian e Mo Guan Shan scesero dall’auto e camminarono fino al punto in cui He Cheng stava scaricando della roba dal suo furgone. Senza guardarli, passò a Mo Guan Shan una cassa di birra, e ad He Tian una catasta di legna da ardere.
Proseguirono insieme fino al fienile, seguendo He Cheng e la sua torcia. Pigro bastardo. Mentre camminavano, Mo Guan Shan si guardava intorno, probabilmente confuso dal perché fossero in un fottuto fienile. Possibilmente chiedendosi se stava per essere sacrificato a qualche antica divinità.
Si fermarono al centro di quello spazio largo e per metà senza pareti, e He Tian fece cadere i ceppi.
“Cosa stiamo facendo qui, precisamente?” chiese Mo Guan Shan, posando la birra su un supporto improvvisato.
“Stiamo per bruciare il mio fratellino sul rogo per qualsiasi cosa abbia combinato questa volta. Credevo che tu avessi già trovato una compagnia migliore, arrivato a questo punto.” Gli disse He Cheng.
He Tian alzò lo sguardo dalla legna che stava sistemando e gli fece il dito medio. Un paio di minuti dopo erano tutti e tre seduti intorno a un piccolo fuoco, bevevano e cazzeggiavano.
“Va bene, che sta succedendo qui?” chiese finalmente He Cheng.
“Come fai a sapere che non è una semplice visita di cortesia?” disse He Tian.
“Perché mi hai mandato una foto di cose che bruciavano.”
“Pensavo che ti avrebbe evocato.”
“C’eri quasi, devi bruciare una mia effigie per quello.”
Lo sguardo di Mo Guan Shan continuava a posarsi su di loro. Aveva dimenticato com’era stare insieme a quei due. Scolò gli ultimi sorsi della sua birra, e tirò la bottiglia nel fuoco.
Ciò sembrò far ricordare agli altri due che c’era anche lui.
He Tian si schiarì la gola. “Giusto, c- colpa mia.” He Cheng passò loro altre bibite e concentrò la sua attenzione su He Tian, ogni traccia di ironia svanita dal suo volto.
Allora He Tian gli disse tutto. Tagliò fuori il maggior numero possibile di dettagli intimi, ma c’erano cose che avevano bisogno di essere dette.
Quando venne il momento di descrivere la stanza in cui erano stati, Mo Guan Shan si scusò e andò a fumare una sigaretta. Ignorando il fatto che, col tetto crollato sopra di loro e i buchi nei muri nei punti in cui il legno era marcito, in pratica erano già all’aria aperta. He Tian provò comunque un certo senso di sollievo.
Se avesse visto Mo Guan Shan piangere di nuovo, gli si sarebbe fottuto il cervello.
Suo fratello ascoltò attentamente, facendo qualche domanda, rigirandosi distrattamente tra le dita la moneta che He Tian gli aveva dato. Non disse nulla quando la voce di He Tian si ruppe e lui dovette prendersi un minuto per rimettersi insieme.
Quando finì di raccontare la storia, aveva la gola secca, gli occhi che pungevano, e sembrava sul punto di vomitare. Tastandosi addosso, si accorse che Mo Guan Shan aveva preso le sue sigarette. Suo fratello tirò fuori dalla tasca un altro pacchetto, ne accese una per He Tian e gliela passò, poi ne accese una per sé.
“Lui sta bene?” chiese He Cheng, indicando Mo Guan Shan muovendo il mento. He Tian scosse la testa, esalando una lunga spira di fumo, godendosi il bruciore alla gola.
“Ne dubito.”
“Ne avete parlato?”
“Non vuole.”
He Cheng annuì.
“Non mi sorprende. Hai qualcos’altro, a parte la moneta e la borsa? I tuoi vestiti? I suoi vestiti?”
“Li ho bruciati.”
“Ovviamente.”
“Sembrava una buona idea all’epoca.”
“Ne sono sicuro.”
He Tian s’interrogò sull’ andare a cercare Mo Guan Shan, per paura che fosse stato mangiato dai lupi o molestato dai ragazzi delle superiori, ma decise che era meglio di no.
“Cosa vuoi che faccia io, Tian?”
“Trovali.”
“Così che tu possa…”
“Farci una chiaccherata amichevole.”
“Non puoi andare ad ammazzare la gente, Tian.”
“Certo che posso.”
“Sì, ma non dovresti.”
“Dammi una buona ragione.”
“Perché l’omicidio è illegale.”
“Una BUONA ragione.”
“…”
“Esattamente.”
“Lascia fare a me, allora. Vado e torno, veloce e in silenzio.”
“Non lo voglio veloce e in silenzio. Lo voglio lento e straziante”
He Cheng sospirò.
“Non sai quel che fai. Non sai nemmeno con che razza di gente stai avendo a che fare.”
“E�� per questo che ho bisogno del tuo aiuto.”
“E se dicessi di no?”
“Allora troverò qualcun altro.”
“Questa non è una buona idea, ragazzino. Te ne pentirai.”
“Non quanto me ne pentirò se non faccio nulla.”
“Ma perché lo stai facendo? Sei forte, puoi passare sopra questo schifo.”
“Non lo faccio per me, lo faccio per lui.”
“Forse la cosa migliore sarebbe lasciar stare tutto e basta, andare a vedere un terapista o un qualche tipo di gruppo di supporto.”
“Sì, aspetta che trovo il gruppo di supporto ‘mi hanno fatto stuprare il mio amico’ più vicino.”
“Lo sai, probabilmente esiste.”
“Ma che cazzo…”
“Perché hai portato anche lui? Non sembra che se la stai cavando bene fino a ora.”
“Non credo di avere il diritto di dirgli cosa fare, specialmente rigurardo a questo.”
“Già, credo anch’io.”
“Mi aiuterai sì o no?”
He Cheng lo guardò tristemente, spostando poi lo sguardo sulla sigaretta che aveva lasciato bruciare. La lanciò nel fuoco, ne prese un’altra dalla tasca e se l’accese.
“Certo che sì.”
Passarono circa un’altra ora con He Cheng, bevendo e fumando mentre il fuoco si spegneva, poi, verso mezzanotte decisero di separarsi.
“Porto questa al laboratorio e te la do indietro domani. Starò da queste parti per un po’ di giorni quindi… non dimenticarti di me, o qualsiasi stronzata dica la gente in momenti come questo.”
“vaya con dios”
“Sì, vaffanculo pure tu.”
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Sulla strada verso casa, Mo Guan Shan lo colse di sorpresa, chiedendogli “Vai a casa?”
He Tian esitò. A questo punto, perché mentire?
“Non voglio stare lì per adesso. Vado a stare da Jian Yi e Zhan Zheng Xi per un po’. Ti porto a casa se vuoi, ma, in tutta onestà, preferirei che venissi anche tu.”
“Hanno due divani.” Ragionò Mo Guan Shan.
“E un tappeto sorprendentemente comodo.” Aggiunse He Tian.
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Settimana 2:
Oggi è domenica. Non ho nulla da fare e mi sento uno schifo. Fuori piove e fa tutto schifo. Sono stata bene ma oggi mi sono svegliata con un attacco di panico, forse sto iniziando a realizzare. Vedere tutti i miei vestiti messi in sacchetti mi ha fatto sentire inizialmente sollevata: continuavo a procrastinare questa cosa perché in realtà non ho il coraggio di venire lì, a casa nostra, e portare via tutto. Quindi forse mi hai anche fatto un piacere. Però oggi mi viene l’ansia, perché è tutto vero. E’ domenica e tu non ci sei, dove sei? Che fai? Com’è andata la festa di venerdì? Dalle storie pare tutto bene. Maledetti social. Oggi è domenica e tu non ci sei, noi non ci siamo. Ti manco? Oggi mi manchi, settimana scorsa no. Oggi ti penso, siamo vicini ma lontani. Però so perché siamo in questa situazione, perché non sarebbe stato giusto rimanere assieme solo per non ferire l’altro, non sarebbe stato giusto rimanere nella zona di confort solo perché fa più comodo e fa meno paura. Non voglio prenderti in giro. Settimana scorsa facevo shift, questa settimana ho deciso di assecondare ciò che mi viene da pensare.
E’ lunedì e sto bene. Sto bene perché faccio cose, vedo persone, mi distraggo. Però rispetto settimana scorsa sei più nei miei pensieri, come se fossi qui affianco a me, seduto sulla mia spalla che mi fai “toc toc, ci sono anch’io!” Come sta andando a dormire da solo? Ho deciso che voglio ascoltare i miei pensieri perché ho bisogno di capire se è giusto quello che sta succedendo. Il problema è che razionalità e irrazionalità si scontrano: la razionalità sa che ci sono dei problemi, problemi reali e che riconosco e che quindi la mia scelta è giusta. Poi dall’altra parte c’è la mia irrazionalità, che sa. Lei lo sa che non ho smesso di amarti. E quindi questi due pensieri si contrappongono.Ma perché si contrappongo?Lo fanno a causa tua, a causa della tua persona così, in cui prevale il dualismo: sai farmi sentire la migliore e la peggiore con neanche un minuto di distanza tra un momento e l’altro. Sai amarmi da morire, e farmi sentire una merda.
Sai abbracciarmi e sai urlarmi, allo stesso momento.
Sei veleno e sei antidoto.
Sai amarmi e odiarmi.
Sai farmi sentire sul piedistallo e lodarmi e un secondo dopo sai schiacciarmi e farmi violenza psicologica, facendomi sentire in colpa.
Voglio essere felice, amore. E per sentirmi felice, ho bisogno di qualcuno che sia stabile. E tu ne sei in grado di darmi questo? In questi anni non me l’hai mai dimostrato. Sei altalenante. Per te è tutto un problema, sembra quasi ti piaccia trovarli. Capisco che col lavoro che fai risolvi problemi ogni giorno, però che palle! Io voglio tranquillità, e se ci sono problemi voglio trovare compromessi e risolverli in maniera differente. Non so come, dato che in questo non sono brava, ma non voglio più risolverli con le urla, i pianti e i miei silenzi.
Metà settimana 2:
Oggi apatia. E quasi mi spiace incontrarti per strada e non provare qualcosa.
Oggi nervosismo.
Oggi non te lo dico, forse stupore… questo posso dirtelo.
#amore#odio#contrapposizione#razionalità#irrazionalità#mi manchi#ti manco?#andrà tutto bene#arance#sticazzi
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LONG WAY HOME - capitolo sei - Una piccola bottega di orrori
Capitolo Uno - Il cavaliere Impallidito Finding Doc - Vol.1 (crossover) Capitolo Due - Per un pugno di mosche Finding Doc - Vol.2 (crossover) Capitolo Tre - Coraggio… fatti appendere! Capitolo Quattro - Solo come un cane Capitolo Cinque - È tempo di morire
Luce rossa del tramonto che taglia il vetro irregolare della finestra e si soffonde nella polvere che si agita pigra in mezzo alla stanza. Una lanterna in vetro, spenta, svetta dallo scrittoio ricolmo di confezioni di medicinali, siringhe usate e una bacinella piena di pinze e bisturi. Una donna giace nel letto con la testa sollevata da due cuscini ma non dorme affatto… i suoi occhi cerulei sono sbarrati e il risentimento che alberga in essi è solo appena mitigato dalle lacrime che si stanno raccogliendo per scendere copiose. E poi la voce esce e si spezza e le lacrime scorrono senza più freno.
Si è preso gioco di me. Ha aspettato di cogliere la sua occasione e nel momento di maggiore debolezza ha dovuto splendere sopra di noi e più di noi! -- Nerloki alza la testa dal pavimento, guarda Bechdelia e sembra volerle dire qualcosa ma poi si rimette a dormire -- Tutti quei discorsi sul ka-tet, che noi due eravamo an-tet, che saremmo arrivati fino in fondo assieme e poi quel gesto di tradimento!
Il campanile, poco distante, rintocca le sette di sera. Segue la pendola in corridoio, con tono più lugubre.
Oh… ma certo! Fa comodo avere la mamma gatta che tira fuori gli artigli quando arrivano i cagnacci rabbiosi ma poi la mamma gatta non serve più e deve cavarsela da sola! -- la voce si incrina e rimangono solo le lacrime -- E poi io non capisco una cosa… PERCHE’ CAZZO STAI PELANDO DELLE CIPOLLE MENTRE IO TI STO SPIEGANDO QUANTO TU SIA STATO STRONZO A PROVARE A LASCIARMI INDIETRO?!
Senti, Becky -- faccio io, posando il coltello sul tavolo -- la signora Millicent crede che tu sia una povera vedova sopravvissuta all’attacco della vostra diligenza da parte degli indiani e io qua sono un abusivo ninja arrampicatore di finestre che dorme sul pavimento e si nasconde sotto al letto ad ogni bussar di porta. Vuoi perlomeno salvare le apparenze di minima cordialità e darle una mano nel preparare la cena? Hai idea della fatica che ho fatto nel conglomerare le uniche dannate monete di cui avessi memoria?! Se il mio professore di greco e latino non fosse stato così fanatico da farci imparare a memoria verso e recto di ogni dannata moneta dalla fondazione di Roma fino a Costantino, adesso staremmo provando a pagare con le rotelle di liquirizia Haribo!
-- Allora apri la finestra e fai uscire questa puzza pungente prima che mi si sciolgano gli occhi! Se non fossi mezza paralizzata qua a letto verrei a prenderti a calci con rincorsa e rinculo! Non mi far pentire di aver usato le mie ultime forze e averti tirato dentro lo Squarcio dall’uccello... non che ci fosse granché su cui fare presa, eh!
-- Prima di tutto era la cintura e poi per quella bravata da donna indipendente il cui nome non compare sul libro paga del patriarcato ti sei strappata tutte le suture e c’è mancato poco che tu crollassi sul portico della nostra ospite. Hai visto come ti guarda quando ti porta la cena? Secondo me crede che tu sia una strega col suo spelacchiato gatto demoniaco.
Tua mamma con la fila sulla scale è spelacchiata -- controbatte Nerloki, la cui placida flemma soporifera ci dice che le prossime curve temporali sono tutte sgombre da becchini solerti e tristi mietitori.
Finisco di pelare le cipolle e piazzo fuori dalla porta la pentola, poi mi metto a guardare fuori dalla finestra -- Becky, hai preso l’antibiotico? Lo sai che adesso ti devo fare un’iniezione di diazepam e mannitolo per l’ipertensione endocranica? Capisco che non ti piaccia dormire dieci ore di filato ma il valium è quanto di più vicino al coma farmacologico di cui hai bisogno.
Io lo so perché mi vuoi far dormire! Così mi puoi infilare uno di quei tubi nella -- il rintocco della pendola in corridoio rende misericordiosamente inudibile il termine -- e poi fare i tuoi comodi!
No, guarda -- le dico aspirando una fiala di diazepam con la siringa -- mi cadesse un occhio nello scarico del bidet se mai dovessi tradire la tua fiducia. Sono il Dihn di questo Ka-tet e saremo An-tet finché il Ves-ka Gan non sarà cantato nella sua interezza.
Mi tende il braccio per l’iniezione e mi pare di vedere nei suoi occhi la gemma di una lacrima. E senza che ci sia una sola cipolla nella stanza.
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Dio, che stanchezza -- penso mentre metto via porta-aghi e pinze -- non appena Bechdelia starà un po’ meglio dobbiamo andarcene da questa città perché è solo questione di tempo prima che gli sceriffi federali capiscano che non siamo fuggiti in Messico. E i Navajo sono insuperabili nel seguire le tracce e trovare chi le ha lasciate.
Guardo di nuovo fuori dalla finestra e sorrido -- Hey, Becky… questa la devi proprio vedere! Becky? -- mi volto verso di lei e mi rendo conto che il diazepam ha fatto effetto molto velocemente e che sta dormendo profondamente. Tocco col la punta dello stivale Nerloki acciambellato sul pavimento e trattenendo una risata gli chiedo -- Nerloki… cosa allevano di solito qua in Arizona?
-- Mmm… cavalli, mucche e pecore. Il 95% della filmografia di genere riguarda ladri di cavalli e famiglie di allevatori di mucche e di pecore che si sparano nel culo perché le pecore strappano le radici dell’erba e le mucche rimangono senza. Qualcuno dovrebbe dire ai registi che poi le pecore cagano i semi e quella ricresce più folta e robusta di prima.
-- Quindi nessuno alleva lama?
-- Direi che siamo troppo a Nord di 6000 chilometri. Non credo che qua ci starebbero bene.
-- In effetti quel lama ha un’aria strana. Sarà dieci minuti che se ne sta immobile in mezzo alla strada, guardandosi attorno con aria smarrita.
Lama? -- fa Nerloki tirandosi su e appoggiando le zampe sul davanzale per vedere -- Cosa ci fa un lama in Arizona e… chi diamine gli ha messo in testa un cappello rosso con un fiore giallo?
-- Non lo so davvero. Forse…
CAAAAAAARL!!!
Io e Nerloki ci raggeliamo istantaneamente.
Il lama ha appena urlato un nome con voce lamentosa.
-- Nerloki… mi è passata istantaneamente la voglia di ridere. È la cosa più grottesca che io abbia mai visto! Ti prego, controlla se...
CAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Lo sai che per Sherlock Holmes ‘grottesco’ era l’aggettivo perfetto per definire un caso che puntualmente si risolveva con omicidi e spargimenti di sangue? -- mi fa il canfuretto -- Comunque no, ho controllato sulle curve temporali e come dicono dalle tue parti calma piatta su tutti i fronti.
-- Mmm… ok. Ma, comunque, che ci fa in mezzo alla strada un lama con un cappello in test…
-- Scusa, Doc Kon, non mi sono spiegato bene. Calma piatta su tutti i fronti. Anche nel più gioioso e luminoso dei giorni che il demiurgo mette su questa bella terra è impossibile che le curve temporali siano così nette e precise. Non so se riesco a fartelo capire ma sembra che qualcuno le abbia raddrizzate, intrecciate fra loro e ridipinte con uno smalto nero indurente.
-- Ascolta, Nerloki… io non conglomero niente finché non è chiaro cosa stia succedendo, quindi pensa tu a dare un’occhiata in giro con la Panniscenza e trai una conclusione utile.
CAAAAAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Ok, va bene -- Dunque… a questo livello della Torre non è stata ancora sviluppata una tecnologia digitale di accesso a una conoscenza condivisa quindi devo lanciare una Sonda Inframundia e sperare che qualcuno abbocchi… OH MIO DIO NO! Che schifo! Rimettiti subito le mutande e apri un’altra scheda sul browser… quella chiudila ché poi entra tua mamma. Sì, dai, continui dopo… chi? Io? Sono solo la voce della tua coscienza che non vuole che tu diventi cieco. Bravo, perfetto. Improvvisamente ti è venuta una strana curiosità su un lama con un cappello -- Doc, di che colore è il cappello? -- su di un lama con un cappello rosso con un fiore sopra -- che fiore? Ah...una margherita gialla gigante -- che urla Carl in continuazione. Sì, che curiosità irrefrenabile! Scrivi ‘Lama+hat+carl’ sulla barra di ricerca e poi apri i primi risultati. Bravo, sì… c’è un video. Aprilo e… oh... OH! -- Doc, ascolta… non per farla più grossa di quanto sia ma chiudi la porta a chiave e lasciami guardare il secondo video.
Passa qualche minuto.
-- Cazzo, Doc… spingi l’armadio contro la porta! Ne guardo ancora uno per farmi un’idea più precisa ma -- CAZZO! NO!
-- Doc! Siamo nella merda! Siamo nella conglomerazione di qualcuno molto più potente di me e te messi assieme! E pure più malato ma così potente da fare una Treccia Quantica delle mie curve probabilistiche e dargli il continuum che decide lui!
CAAAAAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Sei lì dentro, Caaaaaarl? Ti prego, smetti di fare quelle cose con gli orfani! È una cosa malata costruire un drago di carne d’orfano!
Comincio a raccogliere freneticamente le nostre cose e a infilarle alla rinfusa dentro la borsa blu di Pochacco, quando mi rendo conto che Bechdelia è inerme nel letto e quindi una fuga è impossibile.
-- Nerloki, devo proteggere Bechdelia. Conosci i Guardiani del Crepuscolo? Ecco, devo usare il loro più potente e terribile incantesimo, il Sarcofago dei Tempi.
-- Ma sei impazzito, Doc?! A parte che questo ti resetterà il sistema limbico per un sacco di tempo e noi non sappiamo contro chi dobbiamo lottare ma poi lo sai bene che è praticamente impossibile aprire un Sarcofago dei Tempi. Così rischi di condannare Bechdelia a un’eternità di follia!
-- Correrò il rischio. Spostati!
-- No, Doc! Te ne pent...
KAMEN’ VREMENI OKUTYVAYET TEBYA SEYCHAS!
E un attimo dopo un’enorme teca di leucozaffiro sigilla il corpo esanime di Becky e piomba sul pavimento in legno con un tonfo che sembra il primo dei tanti rintocchi sull’Orologio dell’Apocalisse.
-- Adesso dobbiamo solo contare sulla nostra testa e le nostre gambe. Vieni, aiutami a spostare l’armadio e usciamo.
Apro la porta e guardo a destra e a sinistra ma la signora Millicent non deve avere acceso le lanterne e quindi il corridoio è immerso nell’oscurità. Anzi, no, vedo che è passata a ritirare la pentola di cipolle affettate e ne ha lasciata una piena di…
Rientro di scatto e -- Nerloki… chi, anzi, cosa diamine è Carl? Davanti alla porta c’è una pentola piena di mani mozzate e sgranocchiate. Credo che siamo diventati improvvisamente gli unici affittuari di questa pensione. Usciamo dalla finestra e caliamoci dalle tettoia!
Usciamo di fretta e ci facciamo scivolare sulle tegole in legno della veranda, pronti a saltare nella strada polverosa, quando, arrivati sul bordo…
CAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Il lama col cappello rosso sta guardando su verso di noi con aria di rimprovero.
-- Caaaaaarl! Questo… questo uccide le persone! Non si fa, Caaaarl!
Io mi paralizzo e guardo con la coda dell’occhio Nerloki. Poi una voce dietro di noi
-- NON HO LA MINIMA IDEA DI COSA TU STIA PARLANDO... UCCIDERE LE PERSONE È LA MIA COSA MENO PREFERITA!
-- Caaaaarl!
-- Ok… è stato un incidente di cui speravo non ti saresti accorto.
Mi volto lentamente verso la finestra che abbiamo lasciato aperta e affacciata ad essa c’è la signora Millicent con uno strano berretto verde in testa… no, non è esatto: c’è un lama con uno strano berretto verde in testa che indossa la faccia scuoiata della signora Millicent.
-- Caaaaarl! Com’è potuto succedere?!
-- Dammi tregua! Non sapevo che pugnalare 37 volte una persona la uccidesse!
-- Caaaaaarl! Questo invece UCCIDE le persone e non dovresti farlo!
-- Ok, ok… sono un idiota. Ti piace la mia nuova faccia?
-- CAAAAAARL!!!
Lentamente scivoliamo giù dalla tettoia e ci lanciamo in strada, mentre il dialogo surreale continua ad andare avanti.
-- Nerloki, cosa facciamo? Riesci a vedere qualcosa?
-- Te l’ho detto che siamo intrappolati in una Conglomerazione altrui! C’è un’unica Treccia Quantica e dobbiamo seguirla!
-- Questo mi ricorda una di quelle brutte partite di Dungeons&Dragons dove il master ti costringe a fare quello che dice lui e ti fa tirare mille manciate di dadi inutili finché non viene il risultato che gli garba! Dimmi perlomeno il nome di chi ha fatto tutto questo.
-- Ehm… Berlusconi.
-- Tu mi stai prendendo per il culo.
-- No, davvero… non so se è lo stesso Berlusconi che intendi tu ma quando interrogo il Continuum è quello il nome che viene fuori.
-- Questo è un brutto incubo. Dove porta la Treccia?
-- Lotto 2, nel 17º blocco… vicino all’Old Kindersley Corral.
-- Old… Old Kindersley Corral? O.K. CORRAL?! In che giorno siamo Nerloki?!
-- Lunedì. Lunedì 26 Ottobre 1881.
-- AAAHHHH!!! SIAMO NELLA MERDA!!
-- Non capisco… sembra che tu lo conosca il contesto di questa Conglomerazione. Sei sicuro che Berlusconi non l’abbia creata su tuo involontario suggerimento?
-- Ascolta, Nerloki… non credo che il Berlusconi di cui stiamo parlando -- sempre che sia quello -- abbia la minima idea cosa sia la sparatoria dell’O.K. Corral. Comunque è una brutta storia vera che per noi può finire bene o male in base a chi dovremmo interpretare. Se solo il Signor Spock fosse qua con noi...
-- Non ti seguo ma… non importa, perché siamo arrivati, Doc.
Siamo giunti al confine di una città che nella luce dell’imbrunire sembra popolato da spettri. I cespugli di salsola mi rotolano davanti, spinti da un vento che crea spiriti di mulinelli intorno ai recinti consumati del Corral.
-- Nerloki… vai dietro quella botte e preparati a shiftare in Altroquando qualora le cose si dovessero mettere male. Ricorda solo dove si trova il Sarcofago dei Tempi con Becky dentro e… so che farai la cosa giusta.
E poi mi accorgo che sono stati lì in piedi per tutto il tempo, in silenzio, aspettando che io fossi pronto.
Il Geteit Chemosit, Il Nero, Uughiio, La Lamante, Il Burattinaio Cadavere, Il Babau, L’Eviscerata, Il Verme Oculare, Lo Sghignazzatore Maledetto, il Blob, l’Uomo Fungo e… ma certo, capisco perché a quella maschera nera e inespressiva Nerloki abbia associato il nome di Berlusconi.
Un compendio animato di tutte le entità che in questi quarantasei anni hanno continuato a perseguitarmi da dietro lo specchio del sogno, opaco nel suo retro e così fragile nell’attesa della Risalita di uno dei suoi abitanti.
Non so nemmeno chi di loro mi abbia fatto più male o chi mi abbia succhiato via più voglia di vivere. La Lamante che con i suoi moncherini amputati cercava di entrare dalla porta del bagno? Il Geteit Chemosit che indossava il corpo di mia madre per venirmi a tagliare la faccia? Lo Sghignazzatore Maledetto, senza labbra e anima? Il Burattinaio Cadavere, che animava i corpi di… basta! Meglio non indulgere nei brutti ricordi, perché il loro Can-Char sta per parlare.
-- Io sono Uno da Dodici e sono Legione. Chiamami col nome che vuoi e che temi di più. Sono Berlusconi e Solitudine e il Coro di voci che nel silenzio ti urla di smettere di respirare e sperare. Mi hai chiamato nel momento del dubbio e della paura e io sono venuto a portarti il tanto desiderato annichilimento. Lì, per terra… raccoglile e illuditi che il loro canto di morte possa salvare la tua vita!
Per terra giace un cinturone di cuoio con due fondine e due sei-colpi dal calcio di noce.
-- Can-Char, Dio della Morte… non saprei che farmene di quelle.
-- Prendile e affronta il tuo destino!
-- Ho detto che non saprei che farmene.
-- PRENDILE E MUORI DA UOMO!
Mi chino, raccolgo il cinturone e me lo lego in vita. I calci di noce sono lisci, caldi al tatto e mi narrano di tonanti vittorie.
Davanti a me sento rumore di intestini che si srotolano, di denti troppo lunghi che stridono tra di loro, di dita mozzate che si contraggono e affannosi respiri liquidi.
Il Chan-Char sembra sorridere sotto la maschera e apre il suo impermeabile nero per mostrare il cinturone con le sue pistole. Gli altri undici non ne hanno certo bisogno.
Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e che mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove sarà andata la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.
E poi gli Undici si avventano e le sue dita scattano.
Ma questo non ha importanza perché le mie mani disvelano il Kata della Pistola, creando in un frammento d’attimo La Rosa dai Dodici Petali di Sangue che fa crollare a terra tutti i miei avversari, nell’Una Esplosione Sacra.
-- Io ho detto che non sapevo che farmene, non ho mai detto di non saperle usare.
-- E io non vi ho ucciso con la pistola ma col mio cuore di bambino spaventato che si è arrampicato tremante sulla china scoscesa della sua vita da adulto! Alzati Can-Char e concludi la tua morte!
-- Io… Figlio mio, aiutami. Toglimi la maschera. Lascia che ti guardi con i miei veri occhi.
-- No, è un trucco che non funziona. Non sei mio padre. DECIDITI A MORIRE!
MAI! -- e in un attimo si solleva in piedi, col foro di proiettile che sibila in mezzo alla gola e urlando ad artigli protratti fa un balzo nella mia direzione.
Ma io lo sapevo e me lo aspettavo. Anzi, ci speravo fortemente. L’agonia del Dio della Morte era la condizione indispensabile per riaverla indietro.
Estraggo fulmineamente la mano dalla tasca, gettando davanti a me un cubo di vetro, e non appena lui ci vola sopra
RASSHIRIT’ SEBYA!
Il cristallino sibilo esplosivo del Sarcofago dei Tempi che si riespande a dimensioni naturali mi sbalza all’indietro e qualcosa mi cade sopra, schiacciandomi. Non qualcosa, qualcuno. Una persona che non mi sarei mai perdonato se non fossi riuscito a riportare indietro.
Adesso… adesso siamo pari -- mi fa Becky in un orecchio, con voce flebile -- Anzi, se non fosse stato per me non… non saresti mai riuscito a metterlo lì dentro... al posto mio.
Mi tiro su da terra, tenendola in braccio, e osservo il Sarcofago di leucozaffiro, in cui ora è incastonato il mio cuore di tenebra, sprofondare lentamente nelle viscere della terra, per tornare a dannarsi eternamente nel regno a cui appartiene.
Doc, Becky! -- ci urla Nerloki venendoci incontro -- Togliamoci subito di qua e nascondiamoci nel fienile accanto alla stazione delle diligenze. Con una buona dose di sonno domani dovresti riuscire a creare un normalissimo dollaro d’oro, quello con la dea Libertà coronata, che oltre a pagarci un passaggio spero potrà portarci la fortuna che ci meritiamo!
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post personale
Ieri facevo un giro ad Acilia. Mentre uscivo dalla macchina parcheggiata e facendo scendere il mio cane, incrocio una coppia. Lui coattello, lei con piumino corto e shorts cortissimi, del tipo che il mio primo pensiero è stato che avesse dimenticato di mettersi i pantaloni che co ‘sto freddo fanno sempre comodo. Anche grassottella, e guardandola meglio un pochino in imbarazzo, forse ha freddo, forse in fondo la pensa come me che mi vergogno a mettermi cose corte. Però lui si gira verso di lei e le fa: “certo che stai proprio bene così, te l’ho detto”.
E mi sono sciolta.
Perchè poi ci sono io, che quando ho conosciuto A. ero sottopeso perchè ero sempre per locali dove tra alcol e altre cosette non legalissime di sicuro non mangiavo (plot twist: la fame chimica non mi prendeva), e quando ci siamo messi insieme e lui studiava a Roma e io stavo sempre da lui era come se convivessimo ed era bello cucinare e mangiare insieme e sono rientrata nel mio peso forma, e poi siamo stati insieme 5 anni nei quali lui è tornato a Genova e le storie a distanza sono romantiche ma anche frustranti, e quando lui è rimasto a Roma per finire la tesi, per un sacco di tempo, litigavamo tanto e poi è ricominciata la lontananza e il vedersi quando si poteva e non abbiamo litigato più e credevo fosse un bene ma evidentemente non lo era e davvero credevo che sarebbe andato tutto bene chissà come e quando, anche quando ero arrabbiata e gli ho dato un ultimatum perchè tra le altre cose mi sentivo un cesso e lui non aiutava. Peccato che abbia fatto la scelta inversa, mai dando la colpa al mio aspetto però. Ha scelto la cosiddetta pausa a cui non ho mai creduto, e sono stata malissimo per questo e tutto il resto, perchè la mia vita sta andando proprio a rotoli e certo il tempo aiuta e tutte quelle cazzate positive ma intanto ho preso un po’ di peso e mi faccio ancora più schifo. E lui mi ha detto che voleva venire per vedermi, e da una parte mi faceva piacere ma dall’altra mi vergognavo per il mio aspetto, ma in fondo se mi ha mollato i motivi sono altri e non sono dei kg in più o in meno a fare la differenza. Anzi, dovrei essere amata per come sono...ma appunto per quello, dato che non sono amata da questa persona, anche se blatera che mi ama tantissimo, che l’amore è amore anche se al momento non stiamo insieme, gli ho detto che per adesso non me la sento. E mi sono detta che posso prendermi del tempo per rimettermi in forma, oppure no, è una decisione mia. Così, racconto sta cosa a mia sorella, che è anche la mia migliore amica, che mi fa: “Eh certo, però è anche vero che se ingrassi ti tradiscono o ti mollano”
Io non mi apro facilmente, nemmeno con chi mi è più vicino, e capisco perchè. Quando lo faccio, gli altri poi parlano. E beh.
#personale#almeno stavolta non ce l'ho col fandom dai#scusate lo sfogo ma ci sono rimasta così male perchè mia sorella voleva essere d'aiuto e non ha capito il problema#e a me anche dopo che ci si è chiariti continuano a restare in testa le cose che mi hanno ferito#*certe cose non mi passano mai di mente*#(cit Respiro)#quando dico che ascolto F.Moro tutto il giorno non dico balle eh#e insomma è una giornata di merda#cmq se sembra che stia giudicando certi tipi di fisico mi scuso e non è la mia intenzione ecco#Acilia la conoscono in pochi ma mi faceva simpatia nominarla#down in a hole
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Ok dato che mi sento una rompipalle a chiedere sempre, ecco una piccola cosina Metanari che mi è venuta in mente stanotte mentre non riuscivo a dormire.
È praticamente la prima cosa che scrivo così so be merciful (???)
Also è mezza ispirata a cose vere, che una mia amica ha visto e sentito durante un instore, probabilmente non c’era manco bisogno di dirlo ma io l’ho detto lo stesso don’t @ me. Enjoy???
Ennesimo instore per Ermal (e Marco che lo segue sempre e gli porta la chitarra e occasionalmente le medicine per quando si ammala, cioè sempre)
Marco se ne sta in disparte, seduto a qualche metro da Ermal in modo che se per caso avesse bisogno di qualcosa gli basterebbe girarsi e chiedere ma che comunque in modo che non stia in mezzo ai fan
Fan che sono tantissimi?? Ma quanti diavolo siete pensa Ermal
Ma alla fine è contento che siano così tanti, è solo che ha un po’ di raffreddore e sono almeno 4 ore che è iniziato l’instore e comincia a sentire la stanchezza
Marco si alza un attimo dalla sua postazione per il solito controllo tra un’ora e l’altra
Sì ok super cheesy, Macco è dolce e si preoccupa per il suo ragazzo
Appena Ermal finisce con una fan, Marco ne approfitta per parlargli e per dargli una caramella (again, Macco si preoccupa molto e cerca di farlo mangiare per ridargli un po’ di forze)
Ermal mugugna un grazie
Poi alza gli occhi su quelli di Marco e Marco povero vorrebbe tanto portare Ermal a casa e metterlo a letto e rimboccargli le coperte perchè ha proprio la stanchezza che gli si legge in volto
“Macco che ore sono, non ce la faccio più” Macco sente il cuore fare crack perchè odia vederlo così stanco e vorrebbe poter fare qualcosa
“Mezzanotte e un quarto” dice avvicinandosi un pochino “non manca tanto dai. Vuoi fare una piccola pausa? Se vuoi lo dico io”
Ma Ermal non vuole fare una pausa perchè sennò finirebbe ancora più tardi, quindi fa di no con la testa
Macco gli accarezza la guancia con una mano e gli sorride “dai non manca tanto, poi filiamo in hotel e dormi”
Ed Ermal riprende con i fan
E firma e parla e ascolta on repeat per un’altra oretta
Finalmente arriva l’ultimo fan
E quando finisce Ermal lascia il pennarello con le dita indolenzite e chiede un po’ d’acqua
E Marco gli porta una bottiglietta e un bacino sulla guancia perchè dopo tutta quella fatica se lo merita pure
Salutano i gestori del negozio (li salutano??? Sinceramente non lo so ma nella mia testa sì quindi ok)
E vanno fuori dove c’è il taxi che Marco ha chiamato 5 minuti prima
Salgono nei posti di dietro e appena Marco si è messo comodo e ha detto il nome dell’hotel al tassista, sente un peso sulle gambe
E guarda giù e vede tanti ricci neri
Ermal s’è sdraiato su di lui il momento in cui è entrato in macchina perchè ha davvero tanto sonno
E il cuore di Marco esplode perchè ma quanto sembra un angioletto Ermal così, indifeso e pacifico
E Marco comincia ad accarezzargli i capelli piano piano e sente Ermal che si rilassa sotto il suo tocco
E vorrebbe non doverlo svegliare 15 minuti dopo quando sono arrivati all’hotel ma deve
Perchè potrebbe anche portarlo in braccio (con un po’ di fatica perchè è un po’ troppo alto ma con pazienza ce l’avrebbe fatta a portarlo a mo di principessa) ma sinceramente chi lo sentirebbe il giorno dopo il signorino che “ma come mi hai preso in braccio, ti sembro un bambino? Dovevi svegliarmi!”
Esatto, lui. Lui dovrebbe starlo a sentire rompere perchè ha osato portarlo in braccio come se non avesse 37 anni
E quindi piano piano gli sussurra nell’orecchio per svegliarlo
“Ermal siamo arrivati”
Niente
“Ermal”
Muto
Prova a smuovergli delicatamente il braccio
In risposta Ermal avvicina le gambe al petto e si appallottola su se stesso
Come i bambini.
“Dai Ermal che andiamo a letto”
“Mmmmmpf”
E un braccio che va sopra il viso per coprire meglio gli occhi
“Okay ho capito, ti prendo in braccio e ti porto in stanza così”
Sapeva che avrebbe funzionato
Ermal comincia ad alzarsi dal suo grembo e a bofonchiare qualcosa tipo “rompipalle”
Ma Macco sorride, perchè lo trova dolce
Also ridacchia perchè Ermal ha il segno delle spieghezzature (esiste questa parola? Ora sì) dei suoi jeans sulla guancia
So cute
E quando arrivano in stanza Ermal non ha la forza di fare niente se non buttarsi a letto
Con vestiti e tutto, senza mettersi il pigiama
Marco che entra in stanza poco dopo con le valigie e lo vede lì decide di non disturbarlo facendo la mammina e “dai mettiti il pigiama”
Che poi ma quale pigiama che dormono sempre in boxer
Invece gli toglie gentilmente le scarpe (almeno quello oh sai che schifo dormire con le scarpe addosso) e dopo essersi spogliato e rimasto solo in boxer si butta a letto accanto ad Ermal
E gli dà un bacio leggero sulla guancia per non svegliarlo seh vabbè come se un bacino potesse svegliarlo dal letargo
E si avvicina di più al suo corpo per sentire il suo calore e la sua pelle a contatto con la sua
E lo abbraccia da dietro, circondandogli la vita con un braccio
Cosa che non succede mai perchè di solito è Ermal ad essere the big spoon
Ma stasera va bene così, stasera è lui a proteggerlo
E dormono come due ghiri, uno avvinghiato all’altro, facendo sogni sereni.
Okay poi mi spiegate perchè quando me le immagino le cose sono tutte carine e arcobalenose e poi quando provo a scriverle non mi piacciono.
In ogni caso sappiate che nella mia testa era tutto più cute e meglio organizzato
#ermal meta#marco montanari#metanari#ff metanari#non mi piace per niente ma ok?????#don’t judge me#i just love them too much
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