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Blagare: l’arte (discutibile) di vantarsi e ostentare
Un viaggio nel significato e nelle sfumature culturali di un termine curioso.
Un viaggio nel significato e nelle sfumature culturali di un termine curioso. Cosa significa “blagare”?“Blagare” è un termine di uso colloquiale in alcune regioni italiane, spesso utilizzato per descrivere chi ama vantarsi, ostentare o esagerare le proprie capacità, esperienze o qualità. È una parola dal suono curioso, capace di evocare immediatamente l’immagine di qualcuno che si dà un po’…
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Gli studenti di lettere te li immagineresti diversi
Gli studenti di lettere te li immagineresti diversi. Te li immagineresti idealisti e politicizzati, intenti a cucinarsi il futuro mentre vagano per la città fra sedi distaccate e mense e aule studio recitando poesie e vibrando di entusiasmo. Invece vaghiamo per la città fra sedi distaccate e mense e aule studio facendo delle posatissime battute. Poi ridiamo, anche molto, talvolta piangiamo dal ridere. Siamo tra l’altro una specie particolare all’interno del genere dei letterati, cioè siamo quelli che la gente chiama i classicisti e però molto difficilmente chiameremmo noi stessi così. Antichisti è più comune. Sarà Padova. Saranno le seghe mentali che ci facciamo.
Magari presi singolarmente siamo pure esaltati o poeti o qualcosa del genere, ma come colleghi, compagni di classe, compagni di banco, antichisti, noi innanzitutto ridiamo tantissimo.
Puoi passare un anno con una persona e non farci mai un discorso serio. Non hai passato l’anno a fare small talk, però – l’antichista medio si annoia molto facilmente. Hai passato l’anno a fare battute del cazzo. Ogni volta diventano più complicate, più intertestuali, più dettagliate. A volte si trasformano in cose molto più elaborate, tipo il “crea la tua lezione di Storia Greca fai-da-te” (a me è uscito “Antigono, uno degli Alcmeonidi, a scopo propagandistico combatté Atene, come leggiamo in Tucidide”). Tipo i giochi da tavolo (tempo di stampare la plancia e giocheremo sul serio, promesso, e poi il Risiko macedone è sempre all’orizzonte). Tipo la volta che abbiamo preso un aneddoto narrato da Plinio il Vecchio, l’abbiamo riscritto sostituendo i nostri professori ai protagonisti, abbiamo tradotto in latino il risultato, abbiamo alterato il foglio fingendo fosse un manoscritto, poi abbiamo deciso di passarlo in esametri e ci siamo fermati alla cesura del secondo verso (ma ammetterete che era un bel tentativo). Tipo la selva di battute, soprannomi, giochi di parole, ipotesi, notizie strane, miti insoliti, pettegolezzi recuperati dai meandri di Plutarco, storielle inventate fra una lezione e l’altra coi protagonisti più svariati. Magari durante la lezione successiva il professore cita proprio quello su cui si stava scherzando poco prima e partono gli sguardi complici. Magari ti trovi a fissare una collega insistentemente ma lei si è già dimenticata la battuta e non si volta a sua volta, ed è vagamente frustrante. Magari.
Poi, oh. Persone diverse. Livelli di coinvolgimento diversi. Ambizioni diverse. Ho conosciuto dei veri vulcani di idee, ma non è che sia un prerequisito per l’immatricolazione. Però non siamo come un liceale ci sognerebbe. Uno arriva a diciotto anni e si immagina a fare la rivoluzione in un caffè parigino, o a salire sui banchi citando Walt Whitman. Poi però per fortuna nessuno si suicida, l’insegnante che ti ha cambiato la vita non viene buttato fuori, magari gli chiedi la tesi e non sali su nessun banco, anche se a volte un po’ vorresti farlo.
Non fraintendetemi. Non è che ci sia anche uno solo di noi che, a domanda diretta, non giurerebbe di amare alla follia quello che fa. E non c’è neanche bisogno di fare una cosa del genere: se non lo amasse, avrebbe da lungo tempo smesso di farlo. Però siamo dei timidi. Introversione ed estroversione sono distribuite in modo equo fra noi, come in una qualsivoglia combriccola umana, con picchi dall’una e dall’altra parte. Eppure quando si viene all’argomento lettere antiche diventiamo timidi tutti. Uno usa le battute per dire poco di sé, l’altro si espone di più, uno fa l’esaltato, l’altro si limita a un’ironia posata. Però alla fine si schermiscono un po’ tutti. Non ti viene facile dire che stai scoppiando di contemplazione, e allora fai l’ennesima battuta sulle magistrature romane, ridi, vai avanti, te la tieni dentro. Magari dici: “Guardate, c’è il nuovo pezzo di Classic Shee”. Oppure: “Guardate che stronzo è questo critico nell’insultare quest’altro”. Una volta qualcuno porta un libro di Alvaro Rissa, un’altra volta uno di Stefano Tonietto. Sai che se leggendo ora ridi dieci, rileggendo quando avrai dato qualche altro esame riderai trentaquattro. Intanto ridi.
A guardarla dall’esterno non c’è frase che non possa sembrare estrinseca. Anche dall’interno tutto corre il rischio di sembrarti inessenziale. E in effetti non parli di quanto male pensi della situazione odierna, e non parli neanche di quanto male pensi della situazione nel V secolo a.C., e non parli del nulla, non parli di quello che ti angoscia, non parli di quello che ti esalta, non reciti mai in piedi sul suddetto banco “E tenebris tantis tam clarum extollere lumen…!”, non parli della necessità della cultura della società. All’inizio vuoi farlo, perché sei matricola, sei esaltato, vuoi portare il tuo messaggio salvifico e giovane al mondo.
Poi fai una scoperta incredibile: scopri di essere un ignorante. Diventi un innamorato timido e schivo, che non griderebbe mai il nome dell’amata in mezzo alla strada. Diventi il tipo di ragazzino che prende in giro la ragazzina perché non sa come dirle che le piace.
Ognuno ha i suoi miti e le sue nostalgie. Le mie nostalge saranno un po’ alessandrine, un po’ distanziate, parecchio ironiche e divertite. Mi va bene. Mi fa pure porre delle domande, ma mi va molto bene.
Non ci resta che salire sul tetto, gridare al mondo che siamo tristi:
questa è musica per quarti d’ora accademici, noi siamo i musicisti.
(citazione rielaborata).
Ah. Se tu che leggi sei uno di quelli a cui pensavo quando scrivevo – e sai, sai sicuramente di essere uno di loro, una di loro. Se lo sei, spulcia un po’ il blog e scoprirai che non mi lascio facilmente andare a considerazioni personali. Quando lo uso, questo blog è un blog fortemente teorico. Questo articolo non è affatto un’eccezione.
So anche che mi prenderai in giro a lungo per espressioni come “cucinarsi il futuro”. Che dire? Fa parte del gioco.
#riflessioni#battute#cambiano i tempi#dedicato a tutti quelli cheee#ironia#lettere antiche#libri#scazzo#università#vagamente personale
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Questa la lettera aperta scritta in proposito dal generale di Corpo d’armata Giorgio Cornacchione, alpino, comandante del contingente dell’operazione Antica Babilonia in Iraq, poi alla testa del Comando Operativo di vertice Interforze e Consigliere Militare del Presidente del Consiglio (2012-2014)
Presidente,
ho appena visto, sul sito della Presidenza, il video del suo intervento a Rondine Cittadella della Pace (Arezzo) e Le esprimo tutto il mio disappunto. Mai avrei pensato di giungere a questo e di sentire il bisogno forte di manifestarlo pubblicamente, non fa parte della cultura di chi ha prestato -come me- giuramento alla Repubblica!
Ho servito in uniforme il mio Paese per quasi 44 anni. Avendo iniziato la professione militare negli anni ‘70, sono abituato da sempre a registrare le critiche e le avversioni da ogni parte politica alla mia scelta di servire in uniforme; me ne sono sempre fatto una ragione in quanto, come recita un nostro motto, “uso a obbedir tacendo”. Ma oggi no. Dopo aver visto il Suo sorriso e sentito le espressioni ironiche da Lei pronunciate, sto tradendo per la prima volta quel motto.
Io ho avuto l’onore, e il profondo dolore, di accompagnare in Italia dall’Iraq e dall’Afghanistan le bare di molti nostri caduti in quelle terre. Ho visitato e incontrato in ospedale e fuori tanti nostri feriti e mutilati in maniera grave e permanente, inchinandomi sempre davanti al loro senso del dovere, all’accettazione serena di ogni menomazione convinti e orgogliosi di averlo fatto per l’Italia. Non parlavano di guerra, non si esaltavano al ricordo degli scontri a fuoco, erano convinti -come me, loro Comandante- di aver fatto quello che il Paese voleva da loro, con paura certo, ma con grande coraggio!
Io penso che oggi Lei li abbia profondamente offesi, la sua frase detta sorridendo e sollevando le risate della platea “andranno nelle retrovie a parlare di pace” non può essere accettata, nemmeno in campagna elettorale.
Voglio chiudere con un riferimento personale. Nelle settimane scorse ero negli USA e mi è capitato più volte di qualificarmi come “veteran” ma italiano, senza grado o altre qualifiche, ogni volta venivo immancabilmente ringraziato -con mio grande imbarazzo- con la mano sul cuore per il servizio reso al mio Paese. Altra cultura, altro senso dello Stato espressi dai semplici cittadini che mi trovavo di fronte.
Generale di Corpo d’Armata (riserva) Giorgio Cornacchione, 152° Corso dell’Accademia Militare di Modena
già Consigliere Militare del Presidente del Consiglio (2012-2014)
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L’ Italia festeggia il Carnevale.
Dalla Valle d'Aosta alla Sicilia si sviluppa una vera e propria parata di maschere, carri allegorici, frizzi e lazzi. Una sbornia d'allegria contagiosa per milioni di persone coinvolte in manifestazioni storiche con profonde radici territoriali e antropologiche, culturali e artistiche.
L’appuntamento con il martedi grasso nel 2019 il 5 marzo. La stagione fredda sta finendo, si annuncia la primavera. E questa ricorrenza diventa ancor di più rito scaramantico collettivo: la vita rinasce dopo il letargo invernale e il bene sconfigge le forze del male.
Venezia appare ancora più magica.
Le celebri maschere sono protagoniste tra ponti e calli. Nella cartapesta e nella porcellana fissano espressioni ironiche e malinconiche corrispondenti all'anima più autentica della città. Al suono del minuetto rivive l'epopea della Serenissima, regina dei mari. Il sogno e la realtà si confondono nei riflessi della Laguna.
A Madonna di Campiglio (TN) va in scena il Carnevale asburgico con balli e fiabe ispirati alla principessa triste Sissi.
Le note dei valzer di Strauss trasportano i visitatori indietro nel tempo fino alla corte dell'Austria Felix.
E, a proposito di tempo, a Milano il Carnevale ambrosiano stravolge anche il calendario ordinario: comincia e finisce con una settimana di ritardo rispetto al resto d'ltalia. Sette giorni in cui il popolo, nella seconda metà del IV secolo, attese pazientemente il vescovo Ambrogio di ritorno da un pellegrinaggio.
A Cantù (CO) il simbolo della festa è la maschera Truciolo. Poteva essere altrimenti in un borgo da sempre dedito alla lavorazione del legno? Truciolo umile, un poco distratto e tontolone.
Ma riesce a essere utile proprio come anche il più piccolo scarto di falegnameria.
Ivrea (TO) e, senza dubbio, uno degli appuntamenti più turbolenti. Non bisogna dimenticare di indossare un berretta rosso altrimenti si viene coinvolti nella battaglia delle arance.
E una sfida a colpi di agrumi tra aranceri a terra e lottatori a bordo di carri che attraversano il centro cittadino. La cruenta tenzone rievoca la rivolta locale contro un signorotto che intendeva esercitare lo ius primae noctis e venne cacciato dal popolo a colpi di arance.
Dopo la battaglia senza esclusione di colpi, tutti intorno al falo per I'abbruciamento dello Scarlo, un palo ricoperto di erica vecchia. Il fuoco distrugge le cose passate e annuncia una nuova stagione.
Nella Valle del San Bernardo sfilano, per la Coumba Freida, figuranti in abiti napoleonici celati dietro maschere di legno che agitano crini di cavallo e campanelli per scacciare gli spiriti maligni.
Nelia ligure Albenga (SV) il Carnevale esatta con i travestimenti i prodotti tipici del territorio: Re carciofo. Baronetto asparago violetto, Principessa zucchina trombetta.
Il Carnevale di Cento (FE) è gemellato con quello di Rio de Janeiro.
L'evento è stato immortalato nelle tele del Guercino ed famoso per i suoi carri che raggiungono anche i 20 metri d'alttezza.
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