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LAPSUS di Angela Kosta: Un viaggio poetico nell'anima lacerata. Recensione di Alessandria today
Una poesia che esplora il tormento e la ricerca di senso attraverso versi intensi e profondi
Una poesia che esplora il tormento e la ricerca di senso attraverso versi intensi e profondi “LAPSUS” di Angela Kosta è una poesia che si addentra nei meandri dell’esistenza umana, esplorando il dolore, il tormento e la ricerca di senso. I versi intensi di questa poesia si presentano come un inno muto, dove il sorriso tra i denti e l’anima lacerata convivono in una danza di contrasti. Le parole…
#Abissi dell&039;Anima#Angela Kosta#dolore#Emozioni#esistenza#esistenza in bilico#ESPRESSIONE POETICA#espressioni artistiche#fragilità umana#indulgente#introspezione#Introspezione Profonda#LAPSUS#LETTERATURA CONTEMPORANEA#Libri di poesie#Lirismo#Lotta interiore#Malinconia#negazione#parole evocative#Poesia#poesia esistenziale#poesia italiana#poesie di Angela Kosta#Recensione#Recensione libro#Ricerca di Senso#scrittura evocativa#Sofferenza#Stile poetico
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Sono qui (o credo d'esserlo?) seduta alla scrivania con davanti il mio computer, intenta a scrivere su di me, o su ciò che credo che io sia, o stia tentando di essere. Facile, poter vedere me mangiarmi le unghie, alla ricerca di creatività dispersa chissà dove, chissà quanto a fondo nella pelle, sotto, sotto, giù, in basso o in alto, questo non lo so, ma in profondità sì, là, laddove cercherò, potrò vedere quel che cerco e ciò che serve, lascerò prenderlo agli altri. Il mio volto è l'essenza dell'anima persa, dell'esistenza critica, del bilico sbilenco che il giorno sbilancia e il silenzio equilibra, tra una bradipnea basale e una tachicardia sessuale, l'estasi neutrale che asseconda il mio pensiero, e il corpo, con esso, segue la via del giusto riposo, eterno, nell'attimo che non segue il passato e non precede il domani, futuro generatore di ansie, malesseri, crisi, in perenne impatto con l'angustia debordante da un calice che ruota su di un polveroso pendolo. Sedendovi, potreste ascoltare i miei occhi sbattere frenetici e percepire vibrazioni oniriche, convulsi movimenti di ricerca di un corpo nuovo, esterno, non il nostro: essenza di kundalini che s'arrampica dai sessi sulla schiena, serpente arrotolato su se stesso, stringe il petto, la pancia e la gola e i seni, e quel corpo, tanto richiesto, desiderato, inizia a irrigidirsi, si contorce sotto l'energia vitale, energia mantra, espressione della forza del momento, della agilità della simbiosi, del rovente flusso che attanaglia me e la mia esistenza. Le mie gambe hanno fretta di percorrere il reale, impazienti di giungere a un domani che un domani sarà morte, sarà fine, sarà traguardo, arrivo e arrivederci e grazie, sarà storia in breve tempo. Breve, come la vita di ogni uomo in paragone alla Terra che ci ha attesi. Ma, incurante dell'eterna sua natura, dona al sole una speranza e il nuovo giorno al caldo crogiola le sue virtù, ovvero noi, peccatori. La mia mente ruota attorno a un punto fisso, che sei te. Ventiquattr'ore smemorate, s'accende in me la pazza voglia di perdermi, con te, con lei, con loro. Chi crediamo d'essere, se è il male a farci gioia e il bene a darci la routine noiosa? Siamo o no incostanti nelle scelte, nelle azioni e nelle vie che portano alla fede per qualcuno? Siamo o no i nemici dello spazio, colmato in frazioni di secondo da un capo all'altro dell'universo? Siamo o no i fanatici del mito, della storia lunga, degli amori brevi, del fidanzamento certo e della cotta prematura, del "ti voglio ma non posso" e del "ti amo ma ho già un altro"? No, no, non lo siamo, e non vogliamo neanche esserlo. È la pace la via giusta e la rincorsa a giorni felici, e crediamo che sia lunga, e pensiamo sia difficile, ma per strada conosciamo luoghi puri, dove trova cibo per sfamarsi chi ha un cuore. O crede d'averlo.
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Amore, caro amore mio.
Raccontami una storia, che strappi pezzi di me seduta davanti al pianoforte, ti suono una canzone, accompagnamento, melodia che accolga i colpi di machete sulla mia schiena.
Distruggimi ch'è l'unica cosa che sai fare, rigirami fra le dita delle tue mani, sporche e stracolme di sangue che cola dalle mie ferite.
Alzo piano la testa e ti guardo negli occhi.
Un colpo sordo, il pavimento nero accoglie il mio corpo bianco e divento un quadro. Appendimi sopra il muro dietro al pianoforte che suona incontrollabile il dolore della perdita del pianista.
Divento tua creatura, esistenza inumana, colore sulla tela e dolore sulle labbra.
Mi mordo il labbro inferiore ed un sapore deciso nella bocca accoglie la tua anima dannata e la mia essenza più pura d'odio e amore.
Una nuova guerra.
Amore, caro amore mio.
Siamo sempre noi. Le bestie feroci. Animali assetati di sangue. Una dipendenza reciproca.
Esci dalla buia casa e lascia il quadro in bilico tra l'essere distrutto o accolto dall'umana sostanza.
Poi muori. Come sono morta anch'io che volo e sono libera, prima creatura incatenata. L'anima venduta al diavolo e poi restituita agli angeli. Volo.
Ricordati i tramonti e il mare fuori dalla finestra, poi buio.
Ti strappo gli occhi mentre mi strappi il cuore.
Prendi fuoco e resti cenere in penombra della vita che non hai vissuto.
Tu carnefice, io vittima. Io carnefice e assassino della tua anima dannata incatenandoti al muro, braccia, gambe per poi strapparti in due.
Viscere per terra, sangue sul mio volto, sorrido.
Tu, creatura mia, io prima, creatura sola. Nessun padrone, niente salvezza, colpisci e guardo il massacro nella buia stanza della nera casa.
T'odio, massacro creatura mia e piango, dopo sparo.
Il mio cervello sui muri tristi e sporchi, il pianoforte suona la canzone della morte del carnefice.
Muori che sono morta e perdiamoci negli inferi, nel quadro appeso al muro.
Fuori, la tempesta perfetta e colpisce come un'enorme palla da demolizione che compare dal nulla e sbatte dritta contro il cervello.
Distrugge tutto, dietro di lei, solo polvere, fumo denso, asfissia.
Amore, caro amore mio.
Ci siamo distrutti così tante volte.
Ci siamo mischiati il sangue e chi sei?
Chi sono?
L'odore del mare mi solletica le narici e di questa volta siamo in spiaggia.
Che arma utilizzerai?
Come mi difenderò?
Gli occhi, quei occhi scuri e freddi.
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"Sto perdendo l'equilibrio, Lloyd"
"Sensazione comune di chi vive sulla corda, sir"
"Qui però si rischia di cadere e farsi molto male, Lloyd"
"Non per chi trasforma ogni sua corda in una rete, sir"
"Bisogna saper intrecciare relazioni per questo, Lloyd"
"O forse fidarsi dei propri legami, sir"
"Sempre in bilico sulla vita, Lloyd"
"E sicuri della nostra esistenza, sir"
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· · ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⤹ 𝐩𝐞𝐲𝐭𝐨𝐧 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐢𝐧𝐠𝐞𝐫 ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀ ⠀ ‧‧‧‧ ʟɪғᴇ ᴘɪʟʟs › ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀manhattan, ny ‧‧‧ 28.04.2024 ─── ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ Equilibrio. Sostantivo maschile che riporta allo stato di quiete un corpo. Questo è quello che dovrebbe ricordare, come la sua origine dal latino, 𝒂𝒆𝒒𝒖𝒊𝒍𝒊𝒃𝒓𝒊𝒖𝒎, eppure nessuno racconta quanto sia difficile raggiungere questa condizione. Ogni volta che traggo una somma sulla mia vita mi ritrovo in bilico tra istinto e razionalità. Quale delle due parti ha maggiormente predominato? Ed io? Mi giudico una persona che si fa guidare da che cosa? Probabilmente non dovrei nemmeno essere io a dare una risposta di questo tipo, sono la peggior giudice di me stessa, eppure mi innalzo a tale ruolo ogni volta che guardo gli altri. Ma con quale diritto lo faccio? Con quale diritto mi arrogo il potere di essere così tanto giudicante? Più rifletto, più mi reputo una persona razionale, logica e coerente, il bisogno di avere tutto sotto controllo mi ha spinto a mettere davanti a me stessa la mia famiglia, l'amore che provo per loro e poi ci penso, questa condizione me l'ha trasmessa una sola persona. Sbatto le palpebre, una, due, tre volte mentre metto a fuoco l'immagine di quella macchina fotografica che sembra essere l'oggetto di arredo perfetto per una location in riva alla spiaggia. Ogni oggetto racconta una storia, ogni oggetto che scelgo mi parla, mi richiama come fa il canto di una sirena con Ulisse, ed è quello il momento in cui seguo l'istinto. Seguo l'impulso senza riflettere, senza pensare alle conseguenze e allora perché non lo faccio anche con la mia vita privata? Bianco e nero, luce e buio, giorno e notte. Ogni cosa ha il suo contrario, combaciano come i lati di una medaglia che, pur essendo totalmente diversi, sono costretti a dividere la loro esistenza. Ed io di che colore sono? Ognuno di noi possiede un colore, ognuno di noi ha un tratto caratteristico, e io sono certa che il mio sia il nero. Nero come le profondità che nascondo, come i segreti che porto con me, nero come la bugia che racconto a tutti gli altri, ma soprattutto come la bugia che racconto a me stessa ogni volta che apro gli occhi.
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Prosegue la rassegna di teatro e musica “Oltre” al Teatro Sanclemente di Granze di Camin, a Padova.
Prosegue la rassegna di teatro e musica “Oltre” al Teatro Sanclemente di Granze di Camin, a Padova Prosegue l’edizione 2023 della rassegna di teatro e musica “Oltre”, promossa e organizzata da TOP-Teatri Off Padova al Teatro Sanclemente in piena zona industriale cittadina. La rassegna, che vede il contributo dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, rientra quest’anno nel progetto “Zona3” di TOP, sostenuto dal bando per la rigenerazione urbana promosso dalla Regione del Veneto (legge regionale n. 17/2019). L’obiettivo è rafforzare la proposta culturale del quartiere e il dialogo con la comunità di Camin e Granze, che diventa così spazio "rivitalizzato” in una prospettiva di benessere per la collettività, di formazione ed educazione alla fruizione dell’arte. Per questo ha visto un primo momento di incontro e promozione attiva con i cittadini, per coinvolgere direttamente i futuri spettatori della rassegna. Comun denominatore degli spettacoli proposti è il rapporto tra uomo e natura, tra senso di spaesamento e desiderio di ricerca, di conoscenza e di viaggio, declinati con differenti linguaggi artistici. Dopo i primi due appuntamenti, il cartellone propone altri quattro spettacoli nei prossimi fine settimana, uno per adulti il sabato sera alle 21 e uno per bambini e ragazzi dai 6 ai 13 anni insieme alle loro famiglie la domenica pomeriggio alle 16. Al termine di ogni appuntamento è previsto un momento di incontro fra pubblico e attori, registi e tecnici. L’invito è a guardare “oltre” la destinazione produttiva della zona, mettendo al centro la rigenerazione urbana come azione che parte dalla stessa valorizzazione della ex chiesa di San Clemente, un tempo cuore sociale del quartiere ora Teatro Sanclemente, sede della compagnia teatrale e location degli spettacoli. Così “Oltre” accenderà un riflettore anche sulla relazione fra individui e comunità, tra città e periferia ritessendo relazioni e connessioni. Sabato 2 dicembre è in programma Still Alive di e con la giovane attrice romana Caterina Marino, sul palco con il videomaker Lorenzo Bruno. Uno spettacolo teatrale che mette al centro il corpo e la voce dell’artista e, a partire da un malessere personale, indaga un male di vivere umano più generale con tocco leggero e autoironico. La rappresentazione viene fin da subito concepita con un rapporto diretto con il pubblico, in bilico tra confessioni e flussi di coscienza, domande e coinvolgimento degli spettatori per ricordare a chi guarda come, nel bene e nel male, nessuno di noi sia solo. Still Alive diventa così l’occasione per raccontare la funzione prima e originaria del teatro, specchio e strumento per condividere e superare la fatica dell’esistere. Lo spettacolo ha vinto la segnalazione speciale del Premio Scenario 2021 ed è stato tra i finalisti del Premio In-box 2023. Domenica 3 dicembre appuntamento invece con La Goccia e la Carota, che nasce da due testi di letteratura per ragazzi dedicati al tema dei cambiamenti climatici. È la storia di una goccia di petrolio e una carota di ghiaccio che, raccontando chi sono e confrontandosi, arrivano a interrogarsi sulle cause che stanno mettendo a repentaglio la loro stessa esistenza e quella del pianeta. Attraverso il gioco teatrale, la tenera comicità dei personaggi e l'empatia che lo spettatore sviluppa verso di loro, sono proposti contenuti storico-scientifici e è suggerita la riflessione sul necessario cambiamento del comportamento dell’uomo verso la natura. La rassegna chiude poi con gli ultimi due spettacoli: sabato 16 dicembre, Passeggeri. Taccuino musicale di un viaggio straordinario, concerto di e con Corrado Corradi, Rachele Colombo e Roberto Tombesi che presenta il nuovo cd omonimo, e domenica 17 dicembre Mister Cartoon con i musicisti Paolo Valentini e Flavio Costa, che eseguiranno la sonorizzazione dal vivo di cartoni animati di diverse epoche. Prenotazioni a questo link oppure su questo link Per informazioni scrivere a [email protected] o telefonare al numero 3408479382. Biglietto unico: 5 euro.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Titolo: Le notti non muoiono all'alba
Serie: Bromance Series volume 1
Autore: Laura Mars
Editore: Self Publisher
Genere: New Adult/ Contemporary Romance
Data uscita: 2.01.2013
Pagine: 654
Sono sette cugini, figli di quattro fratelli dal passato turbolento. Hanno ereditato la passione per le due ruote dai genitori. Sono carismatici e affascinanti, talmente uniti fra loro da decidere di vivere insieme: sono i sette ragazzi Clifford. Siamo nel quartiere di Astoria, Queens. Ryan, il penultimo dei ragazzi in ordine di età, è appena tornato a casa dopo un lungo periodo trascorso in California, dove si era rifugiato in seguito ad un violento litigio che lo ha diviso da Noah, il suo migliore amico. Dall’età di sedici anni, Ryan e Noah sono stati inseparabili. Simili nel carattere quanto nell’aspetto, le loro analogie sono tali da renderli persino fratelli agli occhi degli estranei. Tuttavia, sei anni più tardi, Noah commette un torto che Ryan non può perdonargli, e che decreta la fine della loro viscerale amicizia. Deluso, tradito, arrabbiato, nonché fermamente intenzionato a riprendere il corso della sua vita, Ryan è deciso a lasciarsi alle spalle quel rapporto ormai irrecuperabile, benché spesso la nostalgia e il ricordo dei bei momenti passati con Noah siano tanto intensi da impedirglielo. A turbare ulteriormente la sua esistenza c’è Nikki, l’esuberante e maliziosa vicina, che non si preoccupa di celargli il suo sfacciato interesse, suscitando in lui un sentimento feroce in bilico fra insofferenza e attrazione. Perché a Nikki, allegra e scapestrata, alla continua ricerca di una figura maschile stabile nella propria vita, Ryan evoca il suo primo grande amore, il solo ragazzo che abbia mai avuto, con la quale è ancora in buoni rapporti, e che altri non è che Noah… Primo capitolo di una trilogia, narrato alternativamente da entrambi i protagonisti, Le notti non muoiono all’alba è una storia indimenticabile di lealtà e di amicizia, che dimostra come i legami, a volte, possano sopravvivere ben oltre la loro fine, e ben oltre la scomparsa di chi si ama.
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Il Barong rimane ancora oggi tra le più popolari forme di spettacolo a Bali: questo dramma rituale rappresenta tradizionalmente la lotta tra la figura bestiale benigna del Barong contro Rangda, una strega dall’aspetto terrifico, temuta per i suoi poteri di distruzione. Il Barong è una delle forme di teatro/danza balinese più rinomate e apprezzate e la sua importanza si è costituita nel tempo grazie alla sua valenza esoterica e per l’efficacia scenografica. Sebbene la danza del Barong sia descritta come uno scontro tra le forze del bene e del male, identificate rispettivamente nei due personaggi principali, Barong e Rangda, sarebbe superficiale descrivere questa rappresentazione identificando le due figure come un eroe e una antagonista. L’intera vicenda è la celebrazione attraverso la danza, la musica e il teatro dell’intero universo mitologico e religioso di Bali.
Il teatro/danza balinese non rappresenta solo un puro intrattenimento, è un mezzo per mantenere viva la narrazione del patrimonio mitologico del passato, un momento di aggregazione sociale e di condivisione che avvicina le generazioni e i diversi strati sociali all’interno della comunità. L’attore/danzatore esprime la volontà degli dei e controlla la potenza dei demoni, indirizza attraverso l’estrema consapevolezza data dal training la volontà di una narrazione, che si attua nella gestualità codificata. Le maschere di Rangda e Barong sono il simbolo della trasformazione totale dell’individualità, che si fa tramite delle forze animalesche, naturali e persino divine. Il soprannaturale si manifesta sempre nel mondo della natura, permea ogni aspetto della vita quotidiana, e nella celebrazione diviene visibile: le componenti materiali della performance, gli strumenti musicali, i costumi, le maschere e le armi vengono consacrati dal sacerdote hindu, il pemangku, come simbolo e manifestazione del potere divino.
Rangda incarna nella sua funzione mitologica la potenza distruttiva delle forze demoniache, è collegata alla dimensione ctonia, e tutti i suoi attributi aggressivi e terrifici richiamano le sue grandi capacità magiche e la sua volontà divoratrice, che può essere canalizzata e controllata attraverso lo scontro rituale. Il suo legame con Durga, la dea hindu, è una chiave di lettura fondamentale per comprendere quanto l’aspetto del divino sia inevitabilmente soggetto ad esercitare in maniera ciclica il proprio influsso distruttivo sul mondo, oscillando alternativamente tra creazione e caos.
Le maschere e i costumi del Barong possono essere molteplici nella scelta della forma animale. Può somigliare al leone (barong ket), ad una tigre (barong macan), ad un cinghiale, ad un cervo o assumere una forma antropomorfa. Il termine barong sembra derivare dalla terminologia barwang, di provenienza sanscrita che letteralmente significa «orso», secondo l’origine in un antico poema giavanese. La sacralità della maschera del Barong non deriva dalla scena, è venerata come portatrice di una spiritualità propria. Il Barong è la forza divina che può contrastare con il suo potere la terrificante presenza di Rangda dagli occhi fiammeggianti, divoratrice di uomini e sacerdotessa di magia nera.
Secondo la visione balinese, non è possibile eliminare definitivamente il male dall’esistenza, confinandolo nella sua originaria sede lontano dagli uomini: le forze demoniache, portatrici di calamità, malattie e distruzione necessitano di essere debitamente considerate, riconoscendo la loro esistenza e potenza, in casi più estremi controllando attivamente il loro influsso. È fondamentale provvedere costantemente ad un bilanciamento tra le forze divine e quelle demoniache: esse esistono entrambe all’interno della dimensione umana ed esercitano il proprio potere sull’interiorità di ciascun individuo. Anche gli dei stessi, secondo la mitologia del retaggio induista, sono costantemente in bilico tra impulsi creativi e distruttivi, mostrano un volto benigno e uno terrifico e sono soggetti ad un equilibrio dinamico. Grazie alla danza, al teatro e alla musica è possibile esercitare un influsso per bilanciare il divino e il demoniaco.
"Le maschere di Barong e Rangda nel teatro balinese"
Articolo scritto da Giulia Sala e pubblicato sulla rivista online di antropologia culturale, etnografia e sociologia La Rivista Culturale, il 21 novembre 2021
#barong#rangda#bali#balinese#mythology#dance#myth#mask#ritual#mitologia#mito#rituale#maschere#danza#teatro#theatre#culture#cultura
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Odio la domenica pomeriggio. Credo che non esista parametro migliore per valutare quanto ti piace la tua vita, ed è evidente che la risposta sia "poco". Ho una marea di messaggi a cui dovrei rispondere ma non mi va, non mi interessa. Odio la domenica pomeriggio che in questo momento rappresenta così accuratamente come mi sento. Come? Vuota, grigia, viola, lilla. Sempre lì convergo, sulla tua ametista, B. (perché questa frase sembra vagamente allusiva?). Tu dici che anche il lilla può essere bello, ma non riesco a vederla così. Vedo che da qualche parte deve esserci per forza del dolore che devo ancora sentire; non è possibile che sia finito così, "solo perché...". Eppure non lo sento, e senza quelle nubi nere mi sento nuda, spoglia (spogliata). Dov'è finito tutto? Io non voglio stare male e bada bene, tu, ente cosmico di possibile esistenza che ti diverti a farmi gli scherzetti, non mi manca avere costantemente gli occhi arrossati dal pianto ma sono confusa, e mi sento un po' persa. Che senso ha avuto? Oggi ho realizzato che ormai è un'altra storia che si è aggiunta al mio passato. Non voglio nemmeno chiedermi se mi ricercherà mai, e forse la risposta a questa domanda è dove si nasconde quel dolore che mi sfugge, quelle lacrime che mi eludono ma che intravedo quando nel parcheggio passo davanti a quella stupida Citroen con l'adesivo della Sardegna e distolgo lo sguardo, quando lo shuffle di spotify mi palleggia tra ICU, destri e see you soon e il dito va avanti senza pensarci un secondo, quando qualcuno dice "cool" e mi scatta in automatico il "porco...", quando vedo lei che le somiglia così tanto e devo sopprimere l'istinto di abbracciarla. A lei non manco e probabilmente ha senso che sia così, ed è evidente che la disperazione che provavo i primi giorni non era reale, non era lei, erano i miei fantasmi, il mio papà. Però quello che c'era sotto era suo, era reale, e quella sofferenza dov'è ora? Accettare, parlare, riconsiderare, capire, perdonare. Tutte belle parole, dovrei essere fiera di come l'ho affrontata. Però ora è domenica pomeriggio e sto sdraiata sul letto e ripenso a quanto cazzo ci ho tenuto a questa persona che a malapena ha sfiorato la mia vita e finalmente quella lacrima in bilico mi cade giù sulla guancia, ma mi muore sulle labbra. È una, una sola lacrima che contiene tutte le cose che non abbiamo fatto e la speranza spezzata di guadagnarmi un angolino, defilato, nella sua vita in cui sedermi e dove restare. Avrei voluto così tanto che tutto questo avesse un senso, e invece un senso non ce l'ha. Penso allo sguardo indignato e schifato che ha fatto quando le ho chiesto se le fossi mancata, penso al senso di vuoto che ho provato sedendomi sul muretto di casa sua perché "volevo solo essere tua amica". E fa male, ma non brucia più. È il dolore che ho provato che ormai ho inglobato dentro, un taglio, uno dei miei sassi. In quella casa non ci entro più, è tutto spento, si accumula la polvere. Non so se riuscirò mai a chiudere quella porta però, perché ci ho creduto così tanto che potessimo farci del bene, che ne valesse la pena, che ad oggi non riesco a immaginare il giorno in cui se mi chiedesse di riprovarci io non direi "okay".
Così come la disperazione è diventata dolore quando ho smesso di sentirmi in pericolo, così come il dolore è diventato sofferenza quando ho accettato sia andata così, così come la sofferenza è diventata malinconia quando ho smesso di darmi la colpa, diventerai mai indifferente per me? La mia vita è andata avanti e anche io, anche se a volte mi dimentico che non ci sei più e mi giro quasi a cercarti per poi ricordare che non mi vedrai. E fa male perché se io ho lasciato andare, se ciò che tormentava me è diventato una ferita da guardare contro luce, quanto semplice deve essere stato per te? Sono diventata una dei tuoi fantasmi o non ero abbastanza importante? Ho paura che tu mi dimentichi e che lo abbia fatto con la stessa facilità con cui ogni volta te ne sei andata. Non so se riparleremo mai, ma spero che in qualche biforcazione dello spaziotempo le cose siano andate diversamente ed io sia riuscita almeno a lasciarti un pezzetto di me.
Non so se riparleremo mai, ma mi chiedo se ti piacerebbe la persona che sto diventando. Mi facevi avere voglia di essere una persona migliore, rendevi tutto un po' più bello. Anche me.
Metto via, e faccio finta di niente.
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È PIÙ SACRO VEDERE CHE CREDERE - LA VERITÀ È UN’AZIONE CREATIVA
Per i greci la verità era un’azione creativa: la dolorosa azione creativa di rimuovere un velo dai propri occhi. Ancora oggi diciamo: svelare la verità, che è appunto l’azione di rimuovere dai nostri occhi quelle chimere, le spensierate bande nere dell’ignoranza, quei giochi di luce che abbacinano la mente e offuscano la vista, quei nepenti che addormentato i nostri sensi (queste opinioni con cui sostituiamo la realtà; queste superstizioni che ci allontanano dalla vita e ci costringono a trascurare i nostri doveri umani per lavorare e produrre, gli amici e gli amori per asservirci alla socialità e agli altri castighi civili, il bene del nostro essere per ottemperare ai protocolli industriali del benessere). Prima che facessero la loro comparsa Socrate e gli altri sofisti, quando i rapporti fra il re e il mistico pendevano ancora a favore di quest’ultimo, quando il mondo era già in bilico sul baratro nel quale dimoriamo, si levò Eraclito per avvertirci che tutto il male stava qui, nel vivere come dormendo, separati dal mondo e dalla sua verità, chiusi nella propria illusoria individualità; e si levò Parmenide, e si levò Empedocle, che, degli uomini chiusi in se stessi, ridotti a individui dice: “molte miserie li incalzano, oppressa la loro facoltà di conoscere, avendo dalla vita discreto solo una piccola esistenza (Empedocle, “Perì phýseos”, frammento 2).
L’immagine rappresenta Afrodite al suo arrivo sull'isola di Cipro mentre, circondata da eroti alati, col suo solo passaggio apre la vegetazione in un’esplosione rigogliosa. Si tratta del dettaglio di un'anfora del IV secolo a.C., opera del cosiddetto "Pittore di Afrodite", conservata al Museo archeologico di Paestum (foto di Xinstalker at Italian Wikipedia, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.
https://www.libroazzurro.it/index.php/note/e-piu-sacro-vedere-che-credere/325
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E io mi chiedo cos'ho sbagliato.
Cosa ho di sbagliato.
Perché sicuramente sono sbagliata, sennò tutto ciò non si spiega.
Perché andare avanti, continuare con questa esistenza che, in fondo, non ho scelto io?
Io non l'ho scelto, eppure mi ritrovo a viverla, in bilico tra l'ansia e depressione. Ballando un valzer con la paura e l'angoscia del futuro.
Mi ritrovo incatenata alla mancanza, che mi ruba il fiato e mi lega le mani, facendomi portare un peso troppo grande e constringendomi a piegarmi.
-BlackDahlia
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Caro Narcisista,
cosa vuoi che ti dica? Complimenti. Mi devo proprio complimentare per la tua recita perfetta. Hai totalmente fatto vivere in un illusione, hai preso in giro, e hai giocato con i sentimenti e le ferite di una ragazza che ci teneva da morire a te, che ti considerava come un diamante che mai avrebbe abbandonato; e invece, sei tutto tranne un diamante.
Insomma, un applauso per aver trovato la mia ferita dolente originaria, fingendoti un angelo, e averla riproposta, solamente in maniera peggiore, dal momento che, per me, era impensabile che te fossi esattamente l'opposto di quello che mi hai mostrato, e che, in più, potesse qualcuno fare qualcosa del genere.
L'empatia, la comprensione, gli occhi sinceri iniziali, l'interesse, le lusinghe e i complimenti si sono trasformati nell'insensibilità più inimaginabile, in una inspiegabile cattiveria mascherata, in un egoismo e in un trattamento del silenzio devastante, buttandomi come se fossi spazzatura, come se fossi niente, esattamente quel niente che mi avevi detto, abbracciandomi, che non ero.
Con un battito di ciglia hai eliminato la mia esistenza dalla tua vita, dopo esserti presentato in modo perfetto, come tutto quello di cui avevo bisogno. Mi hai studiata, hai capito esattamente, in modo impressionante, come dovevi essere per farmi cadere ai tuoi piedi. La chimica che c'è stata sin dal primo sguardo, tra di noi, la connessione interiore travolgente che si percepiva pure dall'esterno, era solo un illusione. Eppure io ho vissuto realmente tutto questo, solamente che era una messa in scena. La maschera é caduta ed io mi sono innamorata di una persona che nemmeno esiste.
Mi sembra di essere stata in contatto con un fantasma, ripenso a quei momenti e mi sembri intangibile.
Hai detto che eri diverso dagli altri, ed avevi ragione. Sei molto peggio.
Mi hai distrutto il cuore, trattata come una pezza per i piedi, senza nemmeno il coraggio di dirmi che volevi chiudere con me; anzi, hai fatto talmente tanto bene il codardo, che mi hai riempito di altre bugie, in modo tale che tu fossi la vittima ed io dovessi provare comprensione per te. Io dovevo imbottigliare i miei sentimenti, fare finta di niente, non disturbarti con il dolore che mi hai causato, e tu rimanere confortevolmente a tuo agio, a distanza da me, a mettere sul piedistallo altre e altre persone.
La colpa la hai raggirata su di me, ho finito per scusarmi per aver solo provato a dirti come mi hai fatta sentire, senza accusarti peraltro. Sono stata sminuita, come se io e le mie emozioni non avessero valore; ed è finita con io che mi scuso per stare male per colpa tua, ma, ovviamente, quello che é apparso, e che mi hai fatto subdolamente credere, sono io che mi scuso per essere un peso per te, che non hai nessuna presa di responsabilità di niente. Tu sei stato sempre impeccabile, sono io quella fuori di testa. E sul divano stavi a guardare come mi struggevo per te, immagino anche con un sorriso, un senso di superiorità e sopraffazione.
Ma il peggio é che sapevi, esattamente, quanto ero fragile, e non hai esitato, perché non provi niente, non ti é mai importato nulla, se non di te stesso.
Sarei cambiata per te, avrei affrontato i miei mostri, solamente per te; mi hai detto che ci sarei dovuta arrivare alla maturità, che 6 mesi dopo io sarei dovuta essere ancora viva, e invece, sei stato proprio quello che mi stava per far ammazzare; non avevo mai voluto morire così tanto, e ancora ora sono in bilico; eppure mi avevi detto di dover vivere, e che tu ci saresti stato.
La mia testa non funziona più come prima, ti sei presentato come la salvezza e mi hai lasciata con l'anima in rovina. Mi hai succhiato l'anima.
Vorrei non averti mai conosciuto, perché ti amo ancora, ti aspetto ancora, ogni secondo della mia vita, anche se non so chi sei.
#narcisista#narcisismo#disturbo narcisistico#disturbo narcisistico di personalità#manipolazione#manipolatore#borderline#disturbo borderline#disturbo borderline di personalitá#trattamento del silenzio#mi hai illusa#mi hai uccisa#illusa#tradita#mi hai tradita#mi hai lasciata#sei sparito#te ne sei andato#narcissist#narcissism#dipendenza affettiva#mi manchi#trauma da narcisismo#dipendenza#disturbo post traumatico#mi hai presa in giro#sei stato falso#sei falso#fai schifo#love bombing
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youtube
♡♡From the book of my consequence♡♡cp1
Un augurio a tutte le donne, specialmente a quelle che non ci sono più.
A quelle che amano, specialmente quando non sono ricambiate, e sono messe ad un angolo del cuore..in bilico.
Ci soffro tanto, ma la vita è fatta di momenti e di attese, ma anche di lunghi amori, sinceri e belli.
Insomma è un senso numerico di aspettative! Le quali ci prendono, e non ci lasciano più.
Anche queste, sono emozioni. Che ci portano a capire che cos'è realmente il genere umano.
Per calarsi in un tepore di vibrazioni, concesse a noi tutti i giorni della nostra esistenza.
Ora tocca a noi capire come svolgere la nostra esistenza.
Mi fermo qui, con quattro parole: AUGURI A NOI DONNE!🌹
Ora vado a respirare le mie osmosi all'aria aperta
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Non c’è un tempo infinito da addomesticare a nostro piacimento: l’avvenire è un imbroglio. __________ Da qui, la perenne percezione di centralità. Siamo come l’ago del compasso. I nostri sensi filtrano solo ciò di cui hanno bisogno dalla realtà e poi mischiano, interpretano, ricostruiscono un mondo. Ogni nostra teoria illumina con un cono di luce uno spicchio di realtà, mettendo in ombra tutto il resto. Ma non per questo siamo autorizzati a presumere che in quel buio lontano dal lampione non vi sia nulla e che gli oggetti e i fenomeni sul grande palcoscenico esistano solo se rischiarati dalla nostra coscienza. Piuttosto, è la nostra coscienza a discendere da un lungo e sanguinoso processo evolutivo di sintonizzazione con la realtà. [...] Dunque, non eravamo previsti. Siamo un orpello, una sorpresa, buona o cattiva dipenderà da noi, dall’evoluzione. [...] La biosfera rientra in questa seconda categoria, perché non contiene classi prevedibili di oggetti e di fenomeni generali: è nel suo insieme un evento particolare, non prevedibile a priori, frutto della somma di eventi storici altrettanto imprevedibili che la precedono. La sua esistenza è compatibile, spiegabile e del tutto interna ai principi fisici e chimici fondamentali, quindi non serve aggiungerne di speciali, ma non è deducibile necessariamente da essi come fenomeno storico particolare. [...] Un certo numero di eventi strani si sono sommati e combinati. Siamo una stranezza nell’universo. Il senso di estraneità sprigionato da questa scoperta urta contro la tendenza umana a credere che ogni cosa sia necessaria a priori, e da sempre. Ma dobbiamo diffidare di questo senso forte del destino, perché è una prigione della mente. Il destino viene scritto nel momento stesso in cui si compie, non prima. La comparsa della specie umana fu l’ennesimo evento unico, accidentale e improbabile nella biosfera. Questo dovrebbe trattenerci da ogni forma di antropocentrismo. [...] La nostra esistenza è accessoria rispetto non soltanto al resto dell’universo, ma anche al resto degli esseri viventi. La condanna ulteriore sta nel fatto che noi umani siamo un evento singolare anche perché abbiamo il linguaggio simbolico, l’immaginazione e il pensiero argomentativo, quindi possiamo essere ben consapevoli della nostra cosmica irrilevanza. [...] Anzi, dopo aver vinto ci sentiamo predestinati, e non, semplicemente, molto fortunati. Questo ragionamento sulla roulette cosmica ci delude, non ci soddisfa. Anzi, ci lascia atterriti e disincantati. Noi vogliamo essere necessari, inevitabili, scolpiti nell’ordine delle cose da sempre, un ingranaggio perfetto nell’armonia delle sfere… altro che vincita miliardaria! Tutte le religioni, quasi tutte le filosofie con poche eccezioni, anche quelle esistenzialistiche, perfino una parte della scienza, sono testimoni dell’instancabile, eroico sforzo dell’umanità di negare la propria contingenza e la propria finitudine. [...] Il pensiero della finitudine sgretola le consuetudini, apre un vuoto, uno squarcio verso una realtà estranea. Perdiamo l’appiglio. Si rompe l’incanto. Inizia l’inquietudine. Ci accorgiamo di vivere per un dopo che non ci sarà e intanto perdiamo l’unica occasione che abbiamo avuto. Viviamo per conquistare una posizione o, addirittura, per andare in pensione. Impostiamo la vita su traguardi progressivi, come fosse una carriera: quando finirà la scuola, quando si metterà su famiglia, quando avremo ciò che meritiamo sul lavoro, quando ritroveremo i nostri spazi perché i figli saranno cresciuti. E intanto invecchiamo. Sapere di essere mortali e fingere di non pensarci, o riuscire davvero a non pensarci, a scacciare la sensazione della matematica esattezza della morte, questo l’obiettivo. La finitudine �� sempre quella degli altri. [...] Scattano altre rimozioni, per ripensarci quando sarà troppo tardi. Essere coerenti fino in fondo con la finitudine rischia di stravolgere ogni giorno le nostre esistenze: occorre innalzare difese. [...] Montaigne pensava che fosse ridicolo lo spettacolo di una “miserabile e meschina creatura, che non è neppure padrona di se stessa, esposta alle ingiurie di tutte le cose”, che si dice padrona e signora di un universo che conosce in minima parte e in nessun modo governa. Eppure, in quel ridicolo c’era una profondità eroica, una strenua resistenza, che nasceva dall’irruzione dell’assurdo e della finitudine nel quotidiano delle nostre esistenze. Questa tradizione millenaria è stata ora infranta dalla scienza, spazzata via dalla conoscenza oggettiva, da una fredda e austera evidenza che non offre alcuna spiegazione ulteriore, non allevia l’angoscia ma, semmai, la esaspera, la sostituisce soltanto con un’ansiosa e penosa ricerca di un senso purchessia in un universo di raggelante solitudine. [...] Le società moderne, infatti, accolgono della scienza solo il lato pratico e comodo, non quello filosofico e culturale deflagrante. [...] Eppure, costoro, per certi aspetti, hanno ragione a rifiutare la scienza in nome del sacro, perché la scienza è davvero sacrilega. La scienza sgretola valori radicati e vanifica i desideri più cari. Non direttamente né per puntiglio, ma distruggendo nei fatti tutte le narrazioni mitiche e metafisiche sulle quali la tradizione animistica – dalle cosmogonie tribali alla cieca fiducia in un progresso storico – ha fondato i propri valori, la morale, i doveri, i diritti e le interdizioni. [...] Dunque, gli dei ora sono muti. [...] La scienza ha questo di paradossale: tanto ci regala in termini di conoscenza, di salute e di possibilità tecnologiche, tanto ci toglie in termini psicologici, facendoci pagare il prezzo di un radicale demansionamento umano, di un declassamento alla periferia dell’impero della biodiversità. [...] Se Homo sapiens è una presenza decorativa, piccola e passeggera in un vasto universo, possiamo reagire deprimendoci e rifugiandoci in narrazioni consolatorie. Oppure possiamo faticosamente imparare che questo colpo al nostro orgoglio non è una vittoria del nichilismo e del pessimismo, ma, al contrario, è un’occasione per apprezzare la nostra libertà, e la nostra conseguente responsabilità morale, in un mondo che non aveva alcun bisogno di noi, e dunque non ci impone come pensare e agire. [...] Siamo effimeri, e sappiamo di esserlo. Difficile dare un senso a un’esistenza che, come un’ombra, adesso c’è, prima non c’era, poi non ci sarà; a un’evenienza casuale destinata a scomparire per sempre nel nulla e nella dimenticanza. [...] È finitudine conscia. Ne deriva che la morte resta per noi uno scandalo, un mistero inaccettabile. La conoscenza scientifica, per certi aspetti, può anche peggiorare questa lacerante consapevolezza: grazie alle imprese meravigliose dei fisici nella prima metà di questo secolo, l’universo ci sta svelando uno dopo l’altro i segreti materiali della sua origine, ma alla domanda di senso resta muto, enigmatico, imperscrutabile. [...] Siamo effimeri e siamo cercatori di senso: effimeri cercatori di senso. [...] Noi, invece, siamo la scimmia che immagina quello che non c’è, nello spazio e nel tempo, proiettando se stessa su passato e futuro, dilatandosi in uno spazio-tempo mentale. In noi una coscienza perpetua rinnova continuamente la frattura tra spirito individuale e mondo. Così, forse, abbiamo imparato a pensare a un tempo che precede la nostra nascita e fantastichiamo su ciò che sarà dopo la nostra morte. [...] Che cosa può esserci, dunque, di più assurdo e straziante, ma anche commovente, di un cercatore nato di senso, il quale capisce che non c’è alcun senso? [...] Soprattutto, nei confronti di una natura sorda alle nostre vicissitudini, e che pure ci ha dato la vita, non siamo più tenuti a personificazioni indebite. La natura non ci sta punendo, non ci castiga, non le dobbiamo chiedere perdono, perché tanto non ascolterebbe. La natura è una scusa troppo facile per noi umani. Se qualche evento naturale ci colpisce – un uragano, un terremoto o una nuova pandemia come la spagnola del 1918 – possiamo solo prendercela con la sfortuna, il che sarebbe abbastanza improduttivo, oppure chiederci se abbiamo fatto abbastanza per prepararci alla circostanza, in modo da farci trovare pronti la prossima volta. [...] Dentro la natura, Homo sapiens non può trascendere del tutto se stesso, non può rinunciare alle proprie prerogative in modo assoluto, snaturandosi a favore di altre specie o di una presunta Natura da salvare. Non possiamo che relazionarci con la natura dal nostro punto di vista, almeno minimamente antropocentrico. [...] Amando la natura, amiamo ciò che ben presto ci ucciderà. Come amore, dunque, è ben strano: amiamo un apparente altro da noi, che ingloba anche noi, e che è del tutto indifferente alle sorti di quel noi. Contempliamone allora la magnificenza, ma sapendo che non è una bellezza fatta per noi e che nella bellezza della natura si nasconde sempre qualcosa di inumano. Forse, anche per questo ci attrae così tanto, perché ci trascende come individui e resiste agli scossoni della storia umana. [...] La relazione è dunque asimmetrica: la natura è indifferente a noi, ma noi non possiamo essere indifferenti a lei, perché ne siamo parte e ne siamo in balìa. Non nascondiamoci, quindi: la forza dell’uomo consiste anche nel resistere alla natura, non solo nell'assecondarla. [...] L’amara verità della finitudine di tutte le cose ci restituisce allora libertà, la tragica libertà di chi non crede più nei migliori mondi possibili, ma nemmeno si lascia intrappolare nel nichilismo più angoscioso. Una libertà in bilico tra la certezza di morire e la passione di vivere. Quest’avventura in un universo smisurato e ostile, un’avventura limitata nel tempo, è pur tuttavia libera e consapevole. [...] Nel non-senso del mondo, ora siamo solo noi la fonte delle norme che ci diamo. [...] Essa suppone la totale assenza di speranze trascendenti, che però non significa disperazione; suppone il continuo rifiuto di un senso, che però non vuol dire rinunzia; suppone insoddisfazione cosciente e dissenso permanente: un dissenso adulto. [...] La finitudine, dunque, non si tradisce, ma neppure ci si rassegna a essa. [...] Lottare contro la morte significa scoprire le ragioni della vita, dell’unica vita che abbiamo in dote. Se ne potrà ricavare addirittura un ottimismo, disperato ma vitale. Una gioia sempre in pericolo, ma pur sempre una gioia. La finitudine, infatti, ha questo in comune con le oppressioni e i totalitarismi: ci circonda, è inevitabile, ci stringe d’assedio, come la peste. Diventa un dovere tentare la rivolta, contrapporle la generosità dell’anima. [...] Essere consapevoli della nostra condizione assurda e transitoria significa, dopotutto, essere vivi, poter resistere, protestare contro il male del mondo. Siamo provvisori, imperfetti, desideranti, quindi non ci arrendiamo. [...] Lo spettacolo doloroso della nostra finitudine ci pare inevitabile, ma non per questo meno ingiusto. Scatta un giudizio di valore, una presa di coscienza, un moto di insurrezione, un’impazienza, una resistenza che scopriamo dentro di noi irriducibile. Dunque, rivoltiamoci contro la nostra condizione, così come ci rivoltiamo contro un oppressore. [...] Possiamo accettare fino in fondo e incondizionatamente la nostra finitudine e il disincanto del mondo, e tuttavia trovare forme laiche e materialistiche di sopravvivenza al finito? [...] L’uomo è la sola creatura che rifiuti di essere ciò che è. __________ "A maggio, dopo la vittoria finale, lessi il tuo editoriale su ribellione e libertà come essenza dell’uomo, nel quale facevi un confronto tra il martirio del credente, convinto che il proprio sacrificio sia una stazione di passaggio verso un mondo migliore, e il significato estremo e radicale del gesto dei combattenti della Resistenza al nazifascismo, che non credevano nella resurrezione e che hanno dato la vita, cioè tutto, senza speranza o consolazione, per la causa della libertà, con lucido coraggio, in solitudine e consapevolezza, senza sperare in alcuna ricompensa ultraterrena." [...] "Come scriveva Tolstoj, dobbiamo trasformare la nostra vita in modo da darle un senso che la morte non le può rapire." __________ Il singolo individuo mortale resta una cometa passeggera, certo, ma potrebbe trovare un senso dentro una marcia più grande, in un cammino collettivo di emancipazione del genere umano. Forse l’insurrezione contro la finitudine può nascere da lì, dal progresso della giustizia e della libertà, al cui interno ciascuno di noi può fare la sua parte. __________ "Essendo l’uomo estraneo al mondo e a se stesso, io posso conoscere il mondo, apprezzarne la potenza e la bellezza, enumerarlo, studiarlo, comprenderlo scientificamente, ma nemmeno tutta la scienza della Terra potrà mai restituirmi quel mondo, farlo sentire mio, o farmi davvero appartenere a esso. Nella condizione assurda in cui siamo da sempre, il pensiero nega se stesso, il volere genera paradossi, la scienza non mi aiuta a trovare un senso all’esistenza, perché un senso non c’è e quel mondo scientificamente compreso, anche se mai del tutto, mi è estraneo.” [...] "L’universo romanzesco ha quindi una sua logica interna, una continuità imperturbabile che non c’è mai nella vita, ma che ritroviamo nella fantasticheria." __________ Anche questa, dopotutto, è paradossale rivolta contro la finitudine: sfidare con il sudore la natura ostile e avara da cui proveniamo e che ci condanna a essere mortali. Tra il naturale e l’artefatto non sussiste, infatti, alcuna dicotomia. [...] La natura è tradizione, è cosa già scritta, è ordine precostituito, è l’aver sempre fatto così, è conservazione e nostalgia. La natura presa alla lettera è fascista. [...] Siamo mortali, d’accordo, irrimediabilmente, ma almeno facciamo parte di una storia più grande, di un’impresa collettiva, dentro la quale il nostro contributo non andrà perduto. Il progresso sociale, civile e politico dell’umanità ci dice che siamo i tasselli, ancorché finiti, di una storia che non finisce e che accumula conquiste di civiltà. Il singolo muore per sempre, ma ha in qualche modo scalfito la morte (e sfidato la natura), se ha contribuito a questa marcia dell’umanità, al compito di solidarietà per costruire un mondo più giusto, senza guerre, senza violenza, senza oppressione del più forte sul più debole, senza menzogna. [...] L’azione politica ha questo di unico: l’uomo può creare da sé i propri valori, senza soccorsi dall’esterno. Mette al mondo il nuovo, lo progetta. [...] Attraverso l’agire politico, realizziamo le potenzialità umane, siamo felici e sfidiamo l’oblio che calerà su di noi dopo la morte. Essere parte, orgogliosi e grati, di questo progresso umano è dunque motivo sufficiente per avere meno timore della finitudine? [...] Inoltre, le conquiste elencate non riguardano tutte le parti del mondo e non sono irreversibili. [...] Solitamente, i cantori del progresso, di questo progresso ambivalente e dilaniato, adottano la strategia di bollare gli scettici come reazionari, passatisti, antistorici e nostalgici. [...] La civiltà non è un ricatto morale, ma un’impresa aperta. Il progresso possiede anche un altro difetto: l’impressione di ineluttabilità e il conformismo che ne consegue. [...] La mondializzazione mercantile e produttiva diventa così l’unico progresso possibile, al prezzo di ingiustizie e depredazioni, ma in realtà è un’ipostasi del progresso, che poi altro non è se non la nuova versione tecnico-scientifica dell’ipostasi della Storia: si identifica il progresso, lo si astrae e lo si trasforma in un idolo. [...] Sarebbe insensato e puerile ergersi contro il progresso in quanto tale, ma non si può nemmeno acconsentire alle sue conseguenze più deleterie. Occorre rivoltarsi contro il lato malato del progresso, non con spirito reazionario, bensì libertario. Il male centrale della grande accelerazione è infatti la sua dismisura, la crescita illimitata, il disprezzo per i limiti: umani e planetari. [...] Non possiamo aver fede nel migliore dei mondi possibili, ma nemmeno consegnarci a un nichilismo angoscioso. Teniamoci stretta l’ambizione, di impronta illuministica, per cui comprendendo il mondo attraverso la scienza potremo migliorare la condizione umana, affrancandola anche dai suoi vincoli naturali. Ma non facciamo del progresso una trionfale filosofia della storia. [...] Non c’è alcuna forza ignota che agisca nell’universo spingendolo verso la coerenza, la specializzazione, l’ordine. [...] Ciò spiega lo strano fenomeno per cui viviamo in società che si alimentano delle applicazioni della scienza, ma sono al contempo impregnate di valori prescientifici, se non antiscientifici. [...] L’evoluzione non è una legge, ma un fenomeno, un processo contingente. Quelli che pensano che vi sia una norma ascendente di progresso per tutto – il cosmo, il pianeta, la vita, l’intelligenza umana – sono animisti. [...] Così, i totalitarismi, religioni senza trascendenza, uccidono in massa condannati senza speranza. Se il valore è alla fine del tempo e se un’immanente necessità guida la Storia, gli interpreti di questa necessità avranno potere assoluto. [...] Il doppio nichilismo di Stato è quello dei totalitarismi, dove tutto è permesso dal realismo politico, con i suoi funzionari, le burocrazie, i sacerdoti, i partiti apparato, le nuove chiese. A essi si aggiunga il nichilismo borghese e mercantile, che giustifica ogni mezzo per conservare i privilegi, attraverso formalismi e ipocrisie. Quando i principi astratti vincono sulle intenzioni più nobili, la Storia diventa un lungo castigo poiché solo alla fine dei tempi si gusterà il vero premio. [...] Le ambivalenze del progresso, se non altro, lasciano aperti gli esiti della storia, della storia con la minuscola, la storia come possibilità e non come necessità. Su quelle ambivalenze possiamo agire, spostando la bilancia da una parte anziché dall’altra, facendo con onestà il nostro dovere. In altri termini, non possiamo migliorare il mondo in generale, ma possiamo cambiarlo in meglio nella contingenza della nostra epoca concreta. __________ "Nel nostro caso, la socialità e l’evoluzione del linguaggio simbolico, anch’esse frutto della selezione naturale, hanno a loro volta generato forti tendenze selettive a favore del potenziamento di adattamenti sociali e comunicativi, soprattutto nella competizione tra gruppi. La cultura è una seconda evoluzione, creatrice di un nuovo regno, di idee e conoscenza, quindi anche di nuove pressioni selettive." [...] "L'evoluzione, da questo punto di vista, è una sorta di macchina per sfidare la freccia termodinamica. Ecco perché queste isole di ordine ci sembrano così meravigliosamente architettate, ma è un effetto, non la causa del processo.” “Mi piace molto questa immagine della vita come dissenso e rivolta contro la tirannia termodinamica! Siamo isole, fragili e provvisorie, di ordine in un mare di disordine crescente. Mi sembra un’efficace rappresentazione della nostra disperata, eppur resistente, condizione." [...] "Del resto, lo hai scritto anche tu, che l’impero sovietico presuppone una certezza e una negazione: la certezza dell’infinita plasticità dell’uomo e la negazione della natura umana, da cui il controllo panottico, la burocrazia asfissiante, l’educazione all’asservimento.” __________ Le proteine devono le loro proprietà strutturali e funzionali alla capacità di riconoscere altre molecole sulla base proprio della loro forma tridimensionale e della loro struttura spaziale, a sua volta determinata dalla struttura molecolare. È un po’ come il meccanismo della chiave e della serratura: combaciano grazie alla complementarità della loro forma tridimensionale. Questa proprietà (detta stereo-specificazione, cioè riconoscersi dalla forma) permette di creare affinità e opposizioni a livello microscopico e di specificare la funzione di una certa proteina, che si è evoluta nel corso della storia naturale in relazione a un valore adattativo. Il linguaggio delle proteine, dunque, è tridimensionale. [...] Se una proteina ha una certa forma tridimensionale e, in alcuni punti della sua superficie, presenta uno o più siti in cui può legarsi a una certa molecola, succederà che, in caso di legame con quella molecola, la forma della proteina cambierà. In pratica, tramite questa invenzione evolutiva, la proteina può assumere due forme: senza la molecola legata e con la molecola legata. Se, per esempio, la molecola non si lega alla proteina, questa svolgerà una data funzione, mentre se la molecola si lega, la proteina non sarà più in grado di eseguire quella funzione. La molecola (che in questo caso si chiama effettore) diventa una sorta di interruttore acceso-spento per la proteina. Oppure l’effettore attiva e disattiva di più quella proteina, regolandola. Questo processo si chiama allosteria (“altra forma”), o regolazione allosterica, perché la proteina viene regolata sulla base dell’aggiunta o meno di una componente che ne cambia la conformazione, e dunque la funzione. [...] Il cieco caso viene insomma captato, conservato e riprodotto dal meccanismo dell’invarianza e trasformato in ordine, regola, necessità. [...] Il caso e la necessità, unendosi, danno origine alla possibilità, che è la vera categoria della vita. [...] Si realizza, dunque, la situazione paradossale per cui l’evoluzione, per le sue buone ragioni adattative, ci ha reso predisposti a spiegazioni finalistiche che, tuttavia, la scienza ha destituito di qualsiasi fondamento. È un paradosso spaesante e angosciante, l’ennesimo. [...] In tal modo, il DNA come principe dell’invarianza garantisce stabilità delle specie e fedeltà della replicazione e della traduzione. Si oppone al cambiamento. Ma il cambiamento è inevitabile, ed ecco l’antagonismo radicale al centro dell’evoluzione. Nessuna entità può esimersi da perturbazioni microscopiche, perfino quantistiche. Il meccanismo subisce errori, perturbazioni, alterazioni. [...] Siamo così giunti al paradosso più profondo dell’invarianza genetica: gli esseri viventi sono dotati di una struttura e di un meccanismo che garantisce al contempo la riproduzione fedele della struttura stessa e la riproduzione ugualmente fedele di qualunque accidente ereditabile si verifichi nella struttura! L’evoluzione è la conservazione degli accidenti, sottoposti poi al vaglio ambientale della selezione. [...] Quando il corpo ha assolto il suo compito di veicolo dei geni e l’individuo si è riprodotto, la selezione naturale cessa di sorvegliare la salute delle cellule, quindi inizia un lento processo di deterioramento. [...] I viventi, come ha scritto magistralmente il fisico Erwin Schrödinger, sono provvisorie eccezioni al secondo principio: isole di ordine, energivore, dispendiose, perché scambiano energia con l’esterno e ne aumentano l’entropia, e comunque temporanee. Prima o poi restituiscono all’universo tutto l’ordine che hanno sottratto. Sono tentativi di rivolta al secondo principio, disperati e a termine. [...] Prima di noi e dopo di noi, insomma, regna dal nostro punto di vista un buio insensibile, senza gioie né dolori. Come dire, in altri termini, che non c’è inferno nel prima e nel poi. L’unico inferno è adesso, l’inferno siamo noi. __________ "I comportamenti individuali e, soprattutto, di gruppo orientano la selezione naturale; quindi, oggi, la componente intellettuale ha preso sempre più il sopravvento, per pressione selettiva. L’evoluzione delle idee si sta dissociando sempre più dal mondo fisico e sta andando per conto suo." [...] "Questa evoluzione culturale, se non è ben diretta sul piano politico, rende Homo sapiens sempre più potente nei confronti dell’ambiente e sempre più ambiguo, ovvero sempre più radicalmente sospeso tra il regno delle idee e le tenebre dell’autodistruzione. L’uomo diventa la principale minaccia per se stesso.” __________ Lo sbilanciamento tra il passato e il futuro è irrazionale, d’accordo, ma tra l’uno e l’altro c’è una differenza reale, scritta nella carne delle nostre esistenze individuali: la comparsa di un essere cosciente di sé, che è esistito in un insignificante frammento di tempo tra quel passato e quel futuro. Insignificante in astratto, ma significante massimamente per l’interessato, essendo la sua unica, provvisoria finestra di consapevolezza su questo universo. La finitudine può anche cancellare ogni traccia della nostra esistenza, ma nulla può impedirci di essere esistiti. [...] E allora culliamo l’illusione (perché rimane un’illusione, ma un’illusione a suo modo commovente) che ciascuno di noi, mentre di certo non poteva influenzare retroattivamente il suo passato, possa invece influenzare il suo futuro, possa cioè introdurre qualche minuscola perturbazione da far propagare e deflagrare nel miliardo di anni che resta. [...] La resistenza psicologica dello sbilanciamento tra passato e futuro va dunque rispettata, perché ci insegna una lezione importante. Erodere alla morte ancora un po’ di tempo significa mantenere accesa, nel tumulto dei venti, la candela della nostra coscienza. Il tempo futuro della nostra assenza ci ferisce e ci tormenta perché è diverso dal passato: è un tempo che ha avuto noi nel suo passato. [...] Il nocciolo della questione della finitudine, in penultima istanza, sta dunque nel nostro attaccamento alla coscienza e alla personalità soggettiva. Sta nelle nostre inalienabili esperienze in prima persona. Risiede nell’inevitabile, antropomorfico individualismo di ognuno di noi. Proiettiamo le nostre categorie sulla natura, sul senso dell’universo e sull’asimmetria tra tempo passato e tempo futuro della nostra assenza. Sono sempre io che vedo, che capisco, che mi interrogo. Non resta, quindi, che pagare un prezzo, altissimo ma inaggirabile, per tentare un’estrema sfida alla finitudine: rinunciare all’amore per il proprio Io, all’ossessione per la propria individualità, al miraggio persistente di essere il filtro interpretativo del mondo. [...] Siamo ombra e polvere, ma ombra e polvere generative. Onnipotente non è la morte, ma il cambiamento. [...] Certo, la perdita dell’identità individuale e del destino personale è senza ritorno, è l’inevitabile prezzo – compreso il ricordo-palliativo di opere e gesta, che in un lasso di tempo abbastanza lungo sbiadirà pure quello –, ma gli elementi della nostra costituzione materiale, quelli no, non svaniranno. [...] Esiste, piuttosto, un ciclo di aggregazioni e disgregazioni. Alla morte succede la vita; alla vita segue sempre la morte. Altrove ci sarà crescita e sviluppo di vita nonché di esotiche civiltà sconosciute. La materia è in continuo rivolgimento. Quindi, non dobbiamo postulare che la finitudine sia sinonimo di decadenza generale, semmai solo locale. In un modo o nell’altro, tutto perisce, ma facciamo parte di una realtà infinita di cui siamo solo un granello. [...] Scoprirsi parte dell’infinito processo di aggregazioni e disgregazioni, e immergersi in esso, anche nell’ipotesi di scuola che il nostro corpo si riformi, significa comunque rinunciare al proprio destino personale, all’identità individuale, perfino all’idea che la storia umana nel suo insieme possa lasciare un segno imperituro. [...] Tanto è vero che dobbiamo edulcorare questa tetra realtà con la poesia, con l’arte, con la creatività, con l’impegno politico e sociale. [...] La nostra condanna è capire di essere ininfluenti e continuare ciò nonostante a combattere. [...] La libera autodeterminazione delle nostre esistenze fa da cerniera tra il caso e la necessità, ci rende responsabili delle azioni e imputabili per esse. __________ "Voi non descrivete il mondo là fuori per come è o come sembra, ma lo anticipate nella vostra testa e poi lo andate a cercare." [...] "Se una mutazione impedisce a repressore e operatore di riconoscersi, il batterio continua a produrre l’enzima anche se non serve a niente. Se, al contrario, una mutazione rende il repressore molto più affine all’operatore che all’induttore, il batterio non produce mai l'enzima. Succede perché la loro forma è cambiata." [...] "...tutte le cellule hanno lo stesso DNA, ma i geni saranno in gran parte repressi, mentre saranno attivi solo quelli che producono le proteine necessarie ai diversi tipi di cellule: neurali, del muscolo, della pelle e così via.” [...] "L’evoluzione funziona così: massima libertà di sperimentazione chimica casuale e poi la selezione naturale filtra le soluzioni emerse in base all’efficacia e alla coerenza che conferiscono alla cellula e all’organismo." __________ Solo noi possiamo dare un senso alla finitudine, un senso che non sia umiliante né paralizzante. Quel senso non potrà che essere morale, non potrà che appartenere, cioè, alla sfera della nostra libertà: della libertà di darci una norma e di trovare valori. [...] Lo spiraglio si chiama etica della conoscenza. L’indagine oggettiva della natura esclude qualsiasi giudizio di valore. L’etica, al contrario, è nonoggettiva per sua stessa natura, essendo il regno del dover-essere. [...] Conoscere e rispettare i nostri retaggi, pur riuscendo, quando è il caso, a dominarli: su questo si basa l’etica della conoscenza. Gli ideali di giustizia e libertà, su tutti, trascendono l’individuo al punto da giustificarne, se è il caso, il sacrificio. [...] La vita, proprio perché contingente e finita, ha un valore assoluto. [...] La morte trasforma la vita in destino e consente un giudizio. [...] Ci siamo, potevamo non esserci, siamo capitati: questo è tutto, questo è meraviglioso. Non siamo più schiavi di una posizione privilegiata nel cosmo. Non siamo più schiavi di un radioso avvenire da tradurre in realtà. Non siamo più schiavi di un’attesa che vanifica il presente. [...] Avere coscienza della finitudine ha inoltre un grande valore umanistico, perché ci dona non solo il senso della nostra appartenenza alla natura, esseri fragili tra creature fragili, in piedi su una Terra vagante che pure condivide questo destino, ma ci dona anche la compassione per tutti gli altri che, come noi, sono mortali e in cerca di un senso. La finitudine è il fondamento della nostra comunità di destino, della solidarietà tra disperati, una solidarietà che nasce tra le catene. [...] Rivoltarci contro la finitudine ci stringe insieme. Non possiamo farlo da soli, ma sempre in relazione ad altri come noi, che piangono la nostra finitudine o ce la rinfacciano. Questa solidarietà nella finitudine è parte costitutiva della natura umana, di quel nocciolo irriducibile a qualsiasi cultura e a qualsiasi storia che rende ognuno di noi membro del consesso umano e trascende le individualità. L’atto di rivolta – contro i mali del mondo, contro le oppressioni e le ingiustizie, contro la finitudine stessa – è un seme di solidarietà umana, che travalica i singoli e diventa tessitura collettiva. [...] La finitudine attribuisce un valore assoluto alla vita e, specularmente, ci porta a considerare un delitto – in termini altrettanto assoluti – la privazione violenta o comunque intenzionale della vita altrui. La finitudine ci restituisce la riconoscenza per la meravigliosa opportunità che abbiamo avuto di esistere, per un po’, affacciati a questo cielo, nonostante tutto, anche se è stata grama, anche se è finita prima del tempo, anche se le infamie del mondo ci hanno sopraffatto. La finitudine, poi, ci rende solidali, in questo destino fragile e nella rivolta per renderlo più degno. [...] In altri termini, la libertà che ci fa essere consapevoli della finitudine ci spinge a riconsiderare continuamente la nostra condizione assurda. E a non essere mai soddisfatti. [...] Non resta che farsi carico di quell’assurdo e viverlo fino in fondo, senza conciliazioni finali, nello strazio e nella grandezza della finitudine di tutte le cose che ci rende liberi. [...] Si può essere insomma felici, di una felicità sempre minacciata, vivendo fino in fondo la nostra contraddizione. La tenace rivolta contro la propria condizione, la perseveranza coerente in uno sforzo ritenuto sterile, è la sola dignità dell’uomo. La vita non ha un senso e allora, a maggior ragione, vale la pena di viverla. Questa rivolta senza avvenire, ma generosa e senza rimpianti, si paga con un’incessante inquietudine. __________ “No, Jacques, nessuno si sceglie il proprio destino assurdo: c’è dentro fin dall’inizio. Sisifo non è meritevole della sua condanna ma ne è responsabile, nel senso che la sua condanna è coerente con il suo essere. Allora si ribella nel momento in cui ne diventa consapevole e decide liberamente di vivere appieno ogni istante dell’esistenza, benché disperata fin dall’inizio, che gli è data in sorte.” __________ Homo sapiens, il cacciatore nato del senso, capisce che un senso non c’è. Allora decide di vivere fino in fondo il non-senso e di sobbarcarsi, felice, le fatiche di Sisifo della scienza, dell’etica e della convivenza umana. Di sorridere, perfino, dinanzi all’assurdità del proprio destino. Di godersi lo spettacolo della natura. Non ripiega su se stesso, insomma, ma si apre al mondo e agli altri.
Telmo Pievani, Finitudine
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È incredibile con quale facilità le cose possano cambiare radicalmente. Mutare fattezze, essere quasi irriconoscibili, facendocele sfuggire di mano. Tutto ciò mi ricorda la fragilità della vita, il fatto che non abbiamo mai realmente il controllo della nostra esistenza, ma siamo perennemente in bilico su un filo: un passo falso, una distrazione e precipitiamo in un abisso da cui poi è quasi impossibile uscire. Invece se ce la si fa non si tornerà mai più come prima. Perché il buio come può farci apprezzare la luce, può anche annebbiarci la vista, renderci ciechi. E si inizia a pensare che poi alla fine le tenebre non sono così male, si ci lascia avvolgere e confortare da esse, e ciò di cui avevi paura diventa la tua arma che ti difende dal mondo intero, dimenticando che è stata l'oscurità stessa a ferirti e cambiarti per sempre. Diventa una guerra, ma là fuori nessuno è disposto a combattere, perché il vero nemico da affrontare è te stesso.
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Lungo i bivi della tua strada incontri le altre vite, conoscerle o non conoscerle, viverle a fondo o lasciarle perdere dipende soltanto dalla scelta che fai in un attimo; anche se non lo sai, tra proseguire dritto o deviare spesso si gioca la tua esistenza, quella di chi ti sta vicino. (Susanna Tamaro)
pensare a chi ti è vicino, essere vera, e crudele
o vivere in silenzio sempre in bilico sulla scelta da fare...??
Dimmelo tu Signor Shakespeare..!!
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