#ellero
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I love the intensity of Emmrich and crypt baby Rook's conversations because they're very close to the ones I have with my colleagues irl, like
"They told me to modify a 100x100 jpeg, and to send it back with the same specifics. FOR PRINTING"
"Fucking preposterous"
#dav spoilers#veilguard spoilers#ellero ingellvar#emmrich volkarin#cakethrough#I love when they hang out#they're always very scandalized because they love what they do and can't understand why the others don't get it lol#which is a craft at the end#'why they always think it's creepy? we aren't creepy we are just professional'#(camera pans to the most terrifying - and diverse - browser tabs one can ever imagine)
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La Ciénaga, Lucrecia Martel (2001)
#Lucrecia Martel#Mercedes Morán#Graciela Borges#Martín Adjemián#Leonora Balcarce#Silvia Baylé#Sofia Bertolotto#Juan Cruz Bordeu#Noelia Bravo Herrera#Maria Micol Ellero#Andrea López#Hugo Colace#Santiago Ricci#2001#woman director
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Tina Modotti L'Opera
Roberto Costantini
Dario Cimorelli Editore, Milano 2023, 256 pagine, 200 illustrazioni b/n, 23x28cm, ISBN 9791255610243
euro 30,00
Rovigo, Palazzo Roverella,, 23 settembre 2023 - 28 gennaio 2024
Il volume che accompagna la mostra è la più completa edizione dedicata all'opera di Tina Modotti (1896- 1942), una delle principali protagoniste della storia della fotografia del XX secolo: dagli anni della sua formazione come assistente di Edward Weston fino ai suoi ultimi scatti. Oltre 300 opere tra immagini, filmati e documenti raccontano il suo lavoro, che spazia dalla rappresentazione delle architetture alle nature morte, dal racconto della quotidianità dei ceti popolari, dei contadini, degli operai, dei bambini e delle donne, alle nuove forme della modernità. Accanto al repertorio iconografico, un vasto apparato di saggi di Giuliana Muscio, Gianfranco Ellero, Amy Conger, Federica Muzzarelli, María de las Nieves Rodríguez Méndez, Patricia Albers, Carol Armstrong, Emily M. Hinnov, Fabiane Taís Muzardo, completa il volume. Il lavoro di ricerca, volto alla più completa ricostruzione, a oggi, del corpus della produzione fotografica di Tina Modotti, portato avanti dal curatore Riccardo Costantini con la collaborazione di Gianni Pignat e Piero Colussi, rende dunque questo volume uno strumento fondamentale per approfondire e conoscere l'artista e le sue opere.
30/10/23
#Tina Modotti#photography exhibition catalogue#Palazzo Roverella Rovigo 2023#storia fotografia#Riccardo Costantini#Edward Weston#fashionbooksmilano
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#marzia ellero ransom#performance art#endurance
Deficatio by Marzia Ellero Ransom
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Trieste, presentazione del fotolibro “Palcoda” di Italo Zanier.
Trieste, presentazione del fotolibro “Palcoda” di Italo Zanier. La Biblioteca e la Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte presentano giovedì 9 marzo, alle ore 17.30, nella sala Bazlen di palazzo Gopcevich, in via Rossini 4 a Trieste, il fotolibro di Italo Zannier “Palcoda”, alla presenza dell’autore. Ne discutono lo storico Gianfranco Ellero, il presidente dell’Associazione Culturale Antica Pieve D’Asio, Vieri Dei Rossi e la responsabile della Fototeca, Claudia Colecchia. Il fotografo si è arrampicato a novant’anni per realizzare un racconto per immagini che restituisce l’atmosfera dei luoghi evitando il sensazionalismo delle immagini spettacolari e mettendo in risalto la complessa semplicità di queste montagne friulane. Il volume descrive una Montagna “senza neve”, ovvero senza la “neve turistica”, quella montagna che della neve subisce solo le avversità e i disagi e che è rimasta fuori dal circuito turistico di ripopolamento e attività turistica. Palcoda non ha nemmeno goduto del recupero straordinario avvenuto in conseguenza del terremoto del 1976, perché talmente isolata e fuori dalle rotte che non è stata, a suo tempo, inserita nel Piano di recupero. Il fotolibro, edito da Quinlan (Roberto Maggiori Editoriale), è nato con l’intento di stimolare la coscienza odierna a dare la giusta considerazione a quella storia con la “s” minuscola, quella più vera e che ci ha accompagnato all’odierno in sordina, ma con forza inesauribile. Ingresso libero, Numero massimo partecipanti: 80 Per maggiori informazioni: tel. 040/6754039 oppure indirizzo email [email protected]... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Listen, just let the pain out!!
#Freedom
#EllerO
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And now? Gas gas #honda #hm #ellero #guado #valellero #crf #crf230 (presso Villanova Mondovì) https://www.instagram.com/p/CDMg7JXIWtQ/?igshid=ifkepvcef9f4
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La Ciénaga (2001) Lucrecia Martel
September 4th 2021
#la cienaga#2001#lucrecia martel#mercedes moran#graciela borges#martin adjemian#sofia bertolotto#andrea lopez#juan cruz bordeau#sebastian montagna#leonora balcarce#noelia bravo herrera#daniel valenzuela#maria micol ellero#the swamp
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I think I got the feeling I wanted, like, fruit bat meets cat meets deer mice meets Thunderbird from Hilda. Now I just need to find consistency :'D
#sketch#rook ingellvar#ellero ingellvar#ndo sta l'art tag#getting there getting there#I need to make him chonkier tho because he has the posture of a gremlin and the appetite of a fereldan sheperd#his diet is um#cheese and cioccolata calda#nosferatu di frascati
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La Ciénaga (2001) Lucrecia Martel 20-06-2019 Extended family portrait drama. With no real main character or central plot; the film feels like a slice of life drama of a family and their live-in help. The characters were complicated, interesting, and very real. It feels like a less romanticized Roma.
#la ciénaga#2001#lucrecia martel#argentina#mercedes morán#graciela borges#martín adjemián#leonora balcarce#silvia baylé#sofia bertolotto#juan cruz bordeu#noelia bravo herrera#maria micol ellero#andrea lópez#sebastián montagna
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Nell’aria bruciata d’agosto, si è alzata una nuvola di polvere sottile, ha invaso il piazzale, sul quale mi sono affacciato tante volte. Bastava la voce dell’altoparlante, con quegli inconfondibili accenti, per farmi sentire che ero arrivato a casa.
Adesso la telecamera scopre l’orologio, con le lancette ferme sui numeri romani: le dieci e venticinque. Un attimo, e molti destini si sono compiuti. Ascolto le frasi che sembrano monotone, ma sono sgomente, di Filippini, il cronista della TV, costretto a raccontare qualcosa che si vede, a spiegare ragioni, motivi che non si sanno: lo conosco da tanti anni, e immagino la sua pena. Dice: «Tra le vittime, c’è il corpo di una bambina».
Mi vengono in mente le pagine di una lettura giovanile, un romanzo di Thornton Wilder, «Il ponte di San Louis Rey», c’era una diligenza che passava su un viadotto, e qualcosa cedeva, precipitavano tutti nel fiume, e Wilder immaginava le loro storie, chi erano, che cosa furono.
Quell’atrio, quelle pensiline, il sottopassaggio, il caffè, le sale d’aspetto che odorano di segatura, e nei mesi invernali di bucce d’arancio, mi sono consuete da sempre: con la cassiera gentile, il ferroviere che ha la striscia azzurra sulla manica, che assegna i posti, e mentre attendiamo mi racconta le sue faccende, quelle del suocero tedesco che vuol bere e di sua moglie che dice di no, e la giornalaia, che scherza: «Ma come fa a leggere tutta questa roba?», e vorrei sapere qualcosa, che ne è stato di loro, e li penso, ma non so pregare.
Si mescolano i ricordi: le partenze dell’infanzia per le colonie marine dell’Adriatico, i primi distacchi, e c’erano ancora le locomotive che sbuffavano, i viaggi verso Porretta per andare dai nonni, e le gallerie si riempivano di faville, e bisognava chiudere i finestrini, e una mattina, incolonnato, mi avviai da qui al battaglione universitario, perché c’era la guerra.
Ritornano, con le mie, le vicende della stazione: quando, praticante al «Carlino», passavo di notte al Commissariato per sapere che cos’era capitato, perché è come stare al Grand Hotel, ma molto, molto più vasto, gente che va, gente che viene, e qualcuno su quei marciapiedi ha vissuto la sua più forte avventura: incontri con l’amore, incontri con la morte.
Passavano i treni oscurati che portavano i prigionieri dall’Africa, che gambe magre avevano gli inglesi, scendevano le tradotte di Hitler che andavano a prendere posizione nelle coste del Sud, e conobbi una Fraulein bionda in divisa da infermiera alla fontanella, riempiva borracce, ci mettemmo a parlare, chissà più come si chiamava, com’è andata a finire. Venne l’8 settembre, e davanti all’ingresso, dove in queste ore parcheggiano le autoambulanze, si piazzò un carro armato di Wehrmacht; catturavano i nostri soldati, e li portavano verso lo stadio, che allora si chiamava Littoriale. Un bersagliere cercò di scappare, ma una raffica lo fulminò; c’era una bimbetta che aveva in mano la bottiglia del latte, le scivolò via, e sull’asfalto rimase, con quell’uomo dalle braccia spalancate, una chiazza biancastra. Cominciarono le incursioni dei «liberators», e volevano sganciare su quei binari lucidi che univano ancora in qualche modo l’Italia, ma colpirono gli alberghi di fronte, qualche scambio, i palazzi attorno, le bombe caddero dappertutto, e vidi una signora con gli occhialetti d’oro, immobile, composta, seduta su un taxi, teneva accanto una bambola, pareva che dormisse, e l’autista aveva la testa abbandonata sul volante.
«Stazione di Bologna», dice una voce che sa di Lambrusco e di nebbia, di calure e di stoppie, di passione per la libertà e per la vita, quando un convoglio frena, quando un locomotore si avvia. Per i viaggiatori è un riferimento, per me un’emozione. Ecco perché mi pesa scrivere queste righe, non è vero che il mestiere ti libera dalla tristezza e dalla collera, in quella facciata devastata dallo scoppio io ritrovo tanti capitoli dell’esistenza dei mici.
«Stazione di Bologna»: quante trame sono cominciate e si sono chiuse sotto queste arcate di ferro. Quanti sono stati uccisi dallo scoppio, o travolti dalle macerie: cinquanta, sessanta, chissà? Credere al destino, una caldaia che esplode, un controllo che non funziona, una macchina che impazzisce, qualcuno che ha sbagliato, Dio che si vendica della nostra miseria, e anche l’innocente paga? Anche quei ragazzi nati in Germania che erano passati di qui per una vacanza felice, ed attesa, il premio ai buoni studi o al lavoro, una promessa mantenuta, un sogno poetico realizzato: «Kennst Du das Land, wo die Zitronen bluhen?», lo conosci questo bellissimo e tremendo Paese dove fioriscono i limoni e gli aranci, i rapimenti e gli attentati, la cortesia e il delitto, dovevano pagare anche loro? Forse era meglio vagheggiarlo nella fantasia. Ci sono genitori che cercano i figli; dov’erano diretti? Perché si sono fermati qui? Da quanto tempo favoleggiavano questa trasferta? E le signorine del telefono, già, che cosa è successo alle ragazze dal grembiule nero che stavano dietro il banco dell’interurbana: chi era in servizio? Qualcuna aveva saltato il turno? Che cosa gioca il caso?
Poi, l’altra ipotesi, quella dello sconosciuto che deposita la scatola di latta, che lascia tra le valigie o abbandonata in un angolo, magari per celebrare un anniversario che ha un nome tetro, «Italicus», perché vuol dire strage e un tempo «Italicus» significava il duomo di Bolsena, le sirene dei mari siciliani, i pini di Roma, il sorriso delle donne, l’ospitalità, il gusto di vivere di un popolo. Non mi pare possibile, perché sarebbe scattato l’inizio di un incubo, la fine di un’illusione, perché fin lì, pensavamo, non sarebbero mai arrivati.
«Stazione di Bologna», come un appuntamento con la distruzione, non come una tappa per una vacanza felice, per un incontro atteso, per una ragione quotidiana: gli affari, i commerci, le visite, lo svago. Come si fa ad ammazzare quelle turiste straniere, grosse e lentigginose, che vedono in ognuno di noi un discendente di Romeo, un cugino di Caruso, un eroe del melodramma e della leggenda, che si inebriano di cattivi moscati e di sole, di brutte canzoni? Come si fa ad ammazzare quei compaesani piccoli e neri, che emigrano per il pane e si fermano per comperare un piatto di lasagne, che consumano seduti sulle borse di plastica? Come si fa ad ammazzare quei bambini in sandali e in canottiera che aspettano impazienti, nella calura devastante, la coca cola e il panino e non sanno che nel sotterraneo, non lo sa nessuno, c’è un orologio che scandisce in quei minuti la loro sorte?
Vorrei vedere che cosa contengono quei portafogli abbandonati su un tavolo all’istituto di medicina legale: non tanto i soldi, di sicuro, patenti, anche dei santini, una lettera ripiegata e consumata, delle fotografie di facce qualunque, di quelle che si vedono esposte nelle vetrine degli «studi» di provincia: facce anonime, facce umane, facce da tutti i giorni. Dicono i versi di un vero poeta, che è nato da queste parti e si chiama Tonino Guerra: «A me la morte / mi fa morire di paura / perché morendo si lasciano troppe cose che poi non si vedranno mai più: / gli amici, quelli della famiglia, i fiori / dei viali che hanno quell’odore / e tutta la gente che ho incontrato / anche una volta sola». Sono facce che testimoniano questa angoscia, ma nessuno ha potuto salvarle.
«Stazione di Bologna». D’ora in poi non ascolteremo più l’annuncio con i sentimenti di una volta; evocava qualcosa di allegro e di epicureo, tetti rossi e mura antiche, civiltà dei libri, senso di giustizia, ironia, rispetto degli altri, massi, anche la tavola e il letto, il culto del Cielo e il culto per le buone cose della Terra.
Ora, ha sapore di agguato e di tritolo. Perché il mondo è cambiato e in peggio: i figli degli anarchici emiliani li battezzavano Fiero e Ordigno, quelli dei repubblicani Ellero e Mentana, quelli dei socialisti Oriente e Vindice, quelli dei fascisti Ardito e Dalmazia, una gli insegnavano a discutere a mensa imbandita. Si picchiavano anche, si sparavano, talvolta, ma il loro ideale era pulito e non contemplava l’agguato: Caino ed Erode non figuravano tra i loro maestri.
«Stazione di Bologna»: si può anche partire, per un viaggio senza ritorno.
“Enzo Biagi scrisse il 2 agosto 1980 sulla strage alla stazione di Bologna sul Corriere della Sera.”
#stragedibologna #2agosto1980 #pernondimenticare #diariodiunferroviere
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“ La lotta dello Stato colla Chiesa passava dalla politica alla scienza, dopo il Venti Settembre «giacché il diritto nazionale, ormai invincibile sul Campidoglio, avrebbe rispettato e imposto rispetto al diritto religioso»: il compito dell’Italia era altrove, era nell’Africa, su cui premeva ora l’Europa che non poteva essere scopo a se stessa. La terza risurrezione italica non era stata consentita dalla storia nel solo interesse degl’Italiani: «se l’Italia è ridivenuta nazione, il secreto di questo fenomeno storico sta nella necessità che la storia mondiale può avere della sua opera e nella facoltà del nostro popolo a prestarla ». Missione dell’Europa, e quindi anzitutto dell’Italia, puntare sull’Africa e l’Asia, chiamando le razze inferiori alla propria civiltà, condannando quelle che non rispondono, distruggendo quelle che resistono [Alfredo Oriani, Fino a Dogali, ed. Bologna, 1912, pp. 313 sgg., 319.]. Il mare nostro diventava cosa lo scopo di una grande politica estera italiana; l’anelito alla potenza distoglieva lo sguardo dalle Alpi e lo rivolgeva sul mare. E vi si accompagnò la polemica contro la borghesia vile ed egoista, incapace di alte cose: polemica che non aveva più nulla in comune con quella dei socialisti, e accusava nel borghese non il detentore della proprietà e lo sfruttatore del proletario, ma l’anima gretta di chi non sapeva sollevarsi ad ideali di gloria e di potenza e soprattutto rifuggiva dalle armi e dalla guerra. Borghese oggetto di disprezzo fu, non il possidente, ma il «filisteo» amante della pace e rifuggente dal rischio, l’uomo incapace di comprendere l’eroico: e già prima dell’Oriani, a bollar di viltà la borghesia s’era alzata non solo la voce tonante del Carducci, ma anche quella, di assai più modesta eco, di Pietro Ellero che imprecava contro la tirannide borghese, contro la plutocrazia, ma ad un tempo contro il socialismo e i deliri dei rossi minaccianti l’intera Europa, e imprecava contro gli «averi», solo perché avevano usurpato il posto delle forze morali e civili, spento il culto delle grandi virtù e il senso dell’eroico. Bisognava uccidere la grettezza borghese, per far rientrare l��umanità nel regal sentiero e riacquistare all’Italia l’antico splendore. Bisognava passare «dall’Italia vituperata da’ faccendieri e assassinata da’ pubblicani all’Italia vaticinata da’ profeti e benedetta da’ martiri, dall’Italia bastarda ... all’Italia legittima e santa, dall’Italia presente e falsa all’Italia futura e vera». Bisognava esaltare l’orgoglio nazionale, anzi il pregiudizio nazionale; bisognava ricordare il primato dell’Italia e di Roma [Pietro Ellero, La tirannide borghese, 2ª ed., Bologna 1879, pp. 5, 14-17, 587 sgg., 660; La questione sociale, 3ª ed., Bologna, 1889, p. 414 sgg.]. Così, mentre svaniva pían piano il mito di Roma scientifica e anticattolica, sbocciava il nuovo mito di Roma guerriera, non più ostile anzi ricercante l’alleanza della Chiesa, e se, fra fra il ’70 e il ’90, gli uomini di più acceso discorrer patriottico avevano avuto per motto «guerra al Prete – in alto il diritto e il nome italiano!» [A. Lemmi al Crispi, 17 luglio 1892], il più tardo nazionalismo dottrinario si professò altamente, oltre che guerriero, cattolico apostolico romano, e vagheggiò il Papato collaboratore della grandezza politica dell’Italia, riprendendo e sviluppando, senza saperlo, pensieri già balenati attorno al ’70 ad alcuni dei cattolici liberali. “
Federico Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896; 1ª edizione: Laterza, 1951.
#Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896#storiografia#Storia del Risorgimento#Federico Chabod#anticlericalismo#Storia d'Italia del XIX secolo#Unità d'Italia#citazioni#letture#Roma capitale d'Italia#leggere#positivismo#Regno d’Italia#Storia del colonialismo italiano#età liberale#imperialismo#politica italiana del XIX secolo#Francesco Crispi#nazionalismo#sentimento antiborghese#Alfredo Oriani#Venti Settembre#XX Settembre#breccia di porta pia#Pietro Ellero#borghesia#Giosuè Carducci
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Sinue, Olmes, Osiris, Redesilda, Enus, Guesde, Conchita, Casimiro, Sirte, Oberdan, Domitilla, Isio, Efisio, Emer, Tagiuro, Fiorina, Delizia, Valfro, Erenio, Marna, Zebina, Eglaide, Nenele, Millo, Rao, Medardo, Olver, Primenzo, Dirce, Teodolinda, Abdonia, Mausi, Idilio, Rosilda, Egle, Isaura, Evro, Ellero, Iames, Dilma, Ottobrina, Oannina, Selibre, Iules, Alienide, Valmore, Vivilde, Deanice, Velma Delia, Virca, Carla Zoe, Benedino, Pillade, Arve, Reto, Ieber, Ronny, Alcibiade, Avde, Alves, Argia, Ondina, Memmo, Ulderico, Sigfrido, Stelio, Asbide, Demalide, Esarmo, Etner, Alder, Berenice, Ione, Elmar, Aftene, Frediano, Efrem, Confucio, Laerte.
(L’Emilia-Romagna, spiegata bene (onomastica))
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CAMILLE CLAUDEL: TALENTO E GENIALIDADE MUITO ALÉM DE SEU TEMPO
CAMILLE CLAUDEL: TALENTO E GENIALIDADE MUITO ALÉM DE SEU TEMPO
(obvious) por Ana Célia Ellero
Camille Claudel foi assistente de trabalho e companheira de Auguste Rodin em um romance altamente destrutivo. Mas, o maior drama de sua história foi o fato de que seu talento extraordinário levaria décadas para ser reconhecido.
A Jovem Camille Claudel
Camille Athanaïse Cécile Cerveaux Prosper (1864-1943), ou Camille Claudel, como ficou conhecida, nasceu em…
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