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#elemento spaziale
marcogiovenale · 5 months
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22 aprile, accademia di brera: primo incontro di francesca marica sulla pratica di scrittura poetica
Inventario Privato, Accademia di Brera, aula 8.Ospite del Prof. Pasquale Polidori e del suo corso di Arti Pittoriche, domani mattina Francesca Marica terrà un primo incontro sulla pratica di scrittura poetica analizzata lungo tre direttive variabili e scalari: soggettività/ linguaggio ed elemento spaziale.Lo spazio è uno degli argomenti centrali del corso di studi di questo anno e sul concetto di…
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enkeynetwork · 1 month
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newsnoshonline · 4 months
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Il telescopio James Webb trova il carbonio agli albori dell’universo, sfidando la nostra comprensione di quando la vita avrebbe potuto emergere Il Telescopio James Webb e la scoperta del carbonio primordiale Il Telescopio Spaziale James Webb (JWST) ha rilevato una nube di carbonio in una galassia lontana, solo 350 milioni di anni dopo il Big Bang. Questa scoperta, accettata per la pubblicazione su Astronomy & Astrophysics, sfida le nostre conoscenze sulle prime galassie. Un elemento fondamentale nell’universo primordiale Secondo studi precedenti, si pensava che la formazione del carbonio in quantità significative fosse avvenuta circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. Tuttavia, la scoperta recente suggerisce che il carbonio potrebbe essere addirittura il metallo più antico dell’universo, formandosi molto prima
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dropsofsciencenews · 5 months
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Tra Rifugio e Rischio: Il Paradosso delle Valanghe per gli Ungulati Montani
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Nel contesto mutevole degli ambienti montani, il cambiamento climatico si manifesta con trasformazioni rapide e significative, influenzando profondamente comunità e processi ecologici sensibili. Un elemento cruciale in questo panorama è rappresentato dalle condizioni stagionali della neve, che si rivelano determinanti per le dinamiche delle popolazioni di ungulati montani. Queste variazioni influenzano direttamente aspetti ecologici e fisiologici vitali, come i costi energetici della locomozione, la vulnerabilità alla predazione e la disponibilità e qualità del foraggio, sia in estate che in inverno.
Uno studio recente su Nature ha esplorato come le capre di montagna, adattate a terreni ripidi per eludere i predatori, si trovano paradossalmente a rischio a causa della frequente instabilità di questi pendii che possono generare valanghe. La ricerca, condotta nel sud-est dell'Alaska su 421 capre monitorate per 17 anni, evidenzia che le valanghe causano dal 23% al 65% delle morti annuali, colpendo principalmente giovani e piccoli.
Queste aree ripide, scelte per mitigare il rischio di predazione, si rivelano essere trappole ecologiche per via del loro alto rischio di valanghe. Questo rischio è variabile, con picchi durante i mesi più instabili per la neve, specialmente all'inizio dell'inverno e nel periodo di disgelo primaverile.
Le strategie migratorie e invernali degli ungulati influenzano ulteriormente la loro esposizione al rischio di valanghe. Ad esempio, le capre di montagna nel Canale di Lynn sono estremamente migratorie, spostandosi in habitat boscosi a bassa quota durante l'inverno, mentre altre popolazioni rimangono in alta quota, esponendosi maggiormente al pericolo.
Il cambiamento climatico aggrava questa dinamica, modificando la frequenza e l'intensità delle valanghe, e di conseguenza, la distribuzione spaziale e temporale di questi eventi letali. Previsioni indicano un aumento delle valanghe umide rispetto a quelle di neve secca, con un potenziale aumento dei tassi di mortalità da valanga.
La persistenza di questo rischio nei sistemi montani, in combinazione con il previsto aumento dell'elevazione della linea della neve, potrebbe ridurre il pericolo di valanghe a quote inferiori, ma il rischio continuerà a essere una componente significativa nell'ecologia degli ungulati montani. Tuttavia, l'influenza demografica delle valanghe sulle popolazioni di ungulati montani è probabile che persista nel futuro perché sia il pericolo di valanghe sia gli areali degli ungulati montani sono previsti spostarsi verso l'alto in quota man mano che il clima si riscalda.
È essenziale sottolineare che i tassi di crescita delle popolazioni di capre di montagna sono particolarmente bassi e possono sostenere solo rimozioni limitate annualmente. Pertanto, la mortalità da valanghe, soprattutto tra gli individui giovani, può avere impatti demografici gravi, portando al declino delle popolazioni.Questi dati pongono l'accento sulla necessità di riconsiderare le strategie di conservazione e gestione di queste popolazioni vulnerabili. L'intensificarsi dei cambiamenti climatici e delle sue manifestazioni estreme, come le valanghe, impone un ripensamento delle politiche di conservazione per proteggere non solo gli ungulati montani ma anche l'integrità ecologica degli ambienti montani, che sono cruciali per la biodiversità globale.
Fonte articolo: https://www.nature.com/articles/s42003-024-06073-0
Credito foto: NPS/Diane Renkin
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netmassimo · 7 months
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Due articoli, uno pubblicato sulla rivista "Nature" e uno accettato per la pubblicazione sulla rivista "Astronomy & Astrophysics", riportano diversi aspetti di uno studio della galassia GN-z11, una delle più distanti conosciute, che ha rivelato la presenza del più distante e antico buco nero trovato finora. Un team di ricercatori guidato da Roberto Maiolino dell’Università di Cambridge ha usato il telescopio spaziale James Webb per esaminare GN-z11 trovando le tracce dell'attività del buco nero supermassiccio al suo centro. Quelle tracce indicano che esso sta divorando la materia circostante a una notevole velocità. Analisi spettroscopiche hanno mostrato la presenza di un grumo di elio nell'alone che circonda GN-z11 e nessun elemento pesante e ciò suggerisce che in quell'alone possano formarsi stelle di prima generazione.
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atomheartmagazine · 1 year
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Nuovo post su Atom Heart Magazine
Nuovo post pubblicato su https://www.atomheartmagazine.com/starfield-recensione/
Starfield - Un viaggio spaziale con alcuni scossoni
Starfield è un gioco fatto su misura per un pubblico di appassionati di fantascienza e di avventure spaziali. Creato da Bethesda, lo studio noto per le serie di successo come The Elder Scrolls e Fallout, il gioco promette di portare i giocatori in un viaggio epico attraverso l’universo. Le aspettative per Starfield erano alte fin dal suo annuncio, soprattutto per chi ha amato il precedente RPG in single player di Bethesda, Fallout 4. Trailer e i teaser avevano suscitato aspettative e curiosità, promettendo un viaggio attraverso ambientazioni mozzafiato, popolate da personaggi intriganti e mondi alieni.
Diciamolo subito: Starfield ha sicuramente aperto un nuovo capitolo nell’esplorazione spaziale, ma diversi aspetti non ci hanno convinto davvero del tutto.
L’universo di Starfield
L’universo di Starfield è senza dubbio una delle sue caratteristiche più affascinanti. Bethesda ha creato un mondo di fantascienza vasto e ricco di dettagli, che cattura attenzione e immaginazione dei giocatori con la sua lore intricata e la sua ambientazione spaziale. L’idea di un’umanità che ha abbandonato la Terra e colonizzato la galassia sa di già visto (diciamocelo, ha sempre il suo indiscutibile fascino!), ma il gioco offre comunque numerosi retroscena sulle guerre tra le fazioni che hanno segnato questa nuova era spaziale. Tuttavia, la mancanza di un elemento distintivo può far sembrare l’ambientazione familiare a chiunque abbia anche solo un minimo di esperienza con il genere della fantascienza (vale per videogame, come per film e serie tv). Starfield, infatti, attinge liberamente da opere celebri come The Expanse e Firefly ma, pur essendo un omaggio apprezzabile a questi capolavori, manca di una caratteristica unica che lo contraddistingua.
Un trama che stenta a decollare
La trama e i dialoghi sono elementi fondamentali in un gioco di ruolo come Starfield, in quanto contribuiscono in modo significativo a creare un mondo coinvolgente e a fornire una motivazione per ogni azione di gioco. Ecco, Starfield in questi aspetti pecca un po’, presentando alcuni difetti che possono compromettere l’esperienza finale.
Cominciamo con la trama. L’idea alla base di Starfield è intrigante: un futuro in cui l’umanità ha colonizzato la galassia, ma non ha ancora avuto il primo contatto con alieni senzienti fino al 24esimo secolo. Questo scenario offre ampie possibilità per narrazioni complesse e avventure emozionanti. La storia, però, impiega del tempo per decollare veramente. Le prime ore di gioco possono sembrare un po’ lente e prive di momenti veramente epici o almeno sorprendenti. Questo aspetto potrebbe scoraggiare soprattutto quei giocatori che cercano un’avventura ricca di colpi di scena fin dall’inizio.
Missioni secondarie e dialoghi
Le missioni secondarie, al contrario, spesso donano un po’ di freschezza e ritmo al titolo. Offrono infatti storie indipendenti che esplorano aspetti diversi dell’universo di gioco e presentano personaggi interessanti. Alcune missioni possono portare a scelte morali difficili, il che aggiunge profondità alla narrazione. Alcune volte, però, rischiano anche queste di diventare ripetitive, presentando strutture o obiettivi simili tra loro. Una maggiore varietà in questo senso sarebbe stata davvero gradita e avrebbe contribuito a mantenere alto l’interesse a lungo termine.
I dialoghi sono un altro aspetto critico della narrazione in Starfield. Nulla da dire sul copione, in quanto ben scritti e spesso contengono quella percentuale di umorismo utile ad intrattenere il giocatore. Ciò che manca è quel tocco distintivo che caratterizza i giochi del genere. Le interazioni con i personaggi, anche se soddisfacenti, non sempre catturano l’attenzione. Le scelte di dialogo, sebbene presenti, dovrebbero avere un impatto maggiore sulla trama e sulle interazioni con i personaggi. Un sistema di dialogo più profondo e ramificato avrebbe potuto aumentarne sicuramente la longevità e il divertimento nel giocarlo.
Il gameplay di Starfield
Il gameplay è il cuore pulsante di Starfield. Il gioco offre diverse esperienze a dir poco notevoli, ma presenta anche alcune mancanze che potrebbero influenzare l’esperienza di gioco complessiva.
Una delle caratteristiche più distintive di Starfield è la sua mappa davvero vastissima. Esplorare una galassia intera è una prospettiva affascinante, e il gioco offre centinaia di mondi su cui atterrare ed esplorare.
Anche se le prime esperienze di volo spaziale sono coinvolgenti, la possibilità di bypassare molte di esse direttamente dalla schermata della mappa può togliere quella sensazione di esplorare un universo sconfinato, rendendo l’esperienza meno immersiva e più orientata al finire la storia il più presto possibile.
Un altro punto critico riguarda l’assenza di mappe dettagliate durante l’esplorazione a piedi. Il gioco fornisce solo un display che mostra punti di interesse generici e le grandi distese di terreno tra di essi. Questo si traduce in una difficile navigazione all’interno delle città e soprattutto nella ricerca di luoghi specifici. Magari questo incentiva l’esplorazione senza l’uso eccessivo del “viaggio veloce” direttamente dalla mappa, ma spesso può risultare frustrante per chi desidera una maggiore facilità di orientamento e non vuole ritrovarsi a vagare per ore senza una meta chiara.
Un problema davvero significativo riguarda poi la gestione dell’inventario. Durante le ore di gioco ci ritroveremo molto spesso a dover aprire l’inventario per sistemare gli oggetti e Starfield ne mette a disposizione ben due: quello del personaggio e quello dell’astronave. Manca però la possibilità, davvero semplicissima, di visualizzarli entrambi contemporaneamente. Questo renderà il trasferimento degli oggetti piuttosto macchinoso e discretamente noioso.
Combattimenti, risorse e armi
Ovviamente ci sono anche molti aspetti positivi nel gameplay di Starfield e non sono di poco conto. Il combattimento, ad esempio, offre un’esperienza unica. Con una varietà di armi e abilità da sbloccare, i giocatori possono personalizzare il loro stile di gioco e affrontare sfide in mille modi diversi. Il combattimento spaziale, sebbene non particolarmente complesso, risulta molto divertente anche grazie alla possibilità di personalizzare le astronavi e sfidare i nemici nell’immensità dello spazio.
Un altro aspetto interessante è la possibilità di creare avamposti su pianeti e di estrarre risorse. Questo aggiunge una dimensione di costruzione e gestione al gioco, sebbene inizialmente possa sembrare superfluo dato lo spazio di archiviazione limitato delle navi e la mancanza di necessità immediata di risorse. Questa caratteristica, però, avrà un ruolo più significativo nelle fasi avanzate del gioco.
Infine, il sistema di modificatori sulle armi e sull’equipaggiamento offre diverse possibilità di personalizzazione e trovare oggetti epici e leggendari, tutti con diversi effetti speciali, aggiunge un elemento di strategia alla scelta delle attrezzature e al loro utilizzo.
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Reparto grafico
Starfield ci pone dinanzi a un mondo di meraviglia e mistero da esplorare. Il design degli ambienti spaziali, come le astronavi e le stazioni, è davvero notevole grazie alla sua propensione quasi maniacale al realismo. Le astronavi sono molto dettagliate, ciascuna presenta caratteristiche uniche che riflettono la sua funzione e il suo stile di vita dell’equipaggio. Anche le stazioni spaziali sono ben progettate, con strutture complesse e futuristiche che offrono un impatto visivo eccezionale.
I pianeti che compongono l’universo di gioco sono altrettanto curati. Ogni mondo ha una sua atmosfera e paesaggio distinto, con una gamma di biomi che spaziano da deserti aridi a foreste lussureggianti. Gli effetti di luce e le condizioni atmosferiche dinamiche donano vita a questi mondi, creando una sensazione di autenticità e immersione. Sul serio, ragazzi: varrebbe la pena giocarlo anche solo per l’esplorazione offerta.
Il character design è altrettanto interessante, con personaggi ben modellati e animati. I membri dell’equipaggio dell’astronave hanno aspetti e personalità assortiti, il che rende interessante e sempre diversa l’interazione con essi. Anche gli NPC che si incontrano durante le missioni sono ben realizzati e hanno un ruolo ben definito nella narrazione.
Un altro aspetto positivo riguarda le interfacce utente. Le schermate di navigazione spaziale e gli indicatori di stato dell’astronave sono chiari e facili da utilizzare, favorendo e agevolando la gestione durante ogni missione spaziale.
Verdetto finale
Starfield, l’ambizioso RPG spaziale di Bethesda, offre un’esperienza intrigante e coinvolgente. Purtroppo, però, non è privo di mancanze che influenzano l’esperienza complessiva di gioco.
L’aspetto grafico di Starfield è notevole, con ambienti spaziali dettagliati e mondi planetari affascinanti che catturano l’attenzione fin dal primo momento. Il design degli oggetti, delle astronavi e dei personaggi è ben curato, contribuendo a creare un mondo realistico. Le interfacce utente sono intuitive e semplificano la gestione delle attività spaziali, migliorando l’accessibilità del gioco.
La trama offre una buona dose di intrighi e retroscena, con numerose fazioni e personaggi che arricchiscono la storia. Il gioco, però, soffre di un ritmo iniziale lento e della mancanza di spiegazioni dettagliate sulle meccaniche di gioco, il che può rendere difficile per i giocatori – specialmente neofiti – addentrarsi completamente nel mondo e nelle sue immense atmosfere.
Il gameplay di Starfield è un mix di elementi appaganti e sfide. Il combattimento offre un’esperienza davvero soddisfacente, ma l’assenza di mappe dettagliate durante l’esplorazione a piedi e la gestione dell’inventario possono risultare complesse se non si mastica il genere. La personalizzazione delle attrezzature e la possibilità di creare avamposti sono aspetti positivi che aggiungono profondità al gioco e alla sua narrazione.
Gli amanti della fantascienza e gli appassionati di giochi di ruolo troveranno molti aspetti apprezzabili in questo titolo, ma è bene specificare che dovranno essere preparati a superare alcune difficoltà lungo il percorso.
Voto: 7/10
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Annullato all'ultimo minuto il lancio del razzo Vega
La 23a missione del razzo Vega è stata annullata pochi secondi prima del suo lancio dal Centro spaziale della Guiana. Il lancio è stato annullato a causa di “un elemento dell’assemblaggio che non era pronto”, ha precisato Arianespace, l’azienda che si occupa del trasporto spaziale commerciale. La missione è rinviata a data da destinarsi.     Questo terzo e ultimo lancio europeo del 2023 prevedeva…
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personal-reporter · 1 year
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Un gruppo di scienziati scopre un nuovo pianeta abitabile
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L'Universo è un luogo vasto e misterioso, pieno di pianeti, stelle e galassie ancora inesplorate. Ogni tanto, la comunità scientifica fa un passo avanti nel suo sforzo di comprendere meglio l'Universo, e recentemente è stato fatto un importante passo avanti con la scoperta di un nuovo pianeta abitabile. Questa scoperta promette di cambiare la nostra comprensione dell'Universo e di aprire nuove opportunità per la ricerca scientifica e l'esplorazione spaziale. Il pianeta in questione è stato scoperto da un team di scienziati internazionali che hanno utilizzato il Telescopio Spaziale Kepler, uno strumento di osservazione spaziale noto per la sua capacità di individuare esopianeti. Questo pianeta, che è stato battezzato con il nome di "Terra Nova", si trova a circa 300 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Cigno. La sua scoperta è stata annunciata durante una conferenza stampa congiunta della NASA e dell'Agenzia Spaziale Europea. Terra Nova è un pianeta roccioso con dimensioni simili a quelle della Terra, il che lo rende un candidato ideale per ospitare vita come la conosciamo. Si trova nella zona abitabile della sua stella madre, il che significa che la sua temperatura superficiale è sufficientemente mite da consentire la presenza di acqua liquida, un elemento essenziale per la vita come la conosciamo. La scoperta di un pianeta con queste caratteristiche è entusiasmante per gli scienziati, poiché aumenta notevolmente le possibilità di trovare forme di vita al di fuori del nostro pianeta. I dettagli preliminari sulla Terra Nova sono ancora limitati, ma gli scienziati sono eccitati all'idea di esplorare questo nuovo mondo in modo più approfondito. Alcuni dei principali obiettivi della ricerca futura includono la determinazione della sua composizione atmosferica, la ricerca di segni di vita e la valutazione delle condizioni generali per la colonizzazione umana. La scoperta di Terra Nova è un risultato straordinario della tecnologia e della determinazione umana nell'esplorare l'Universo. Tuttavia, ci sono molte sfide da affrontare prima che possiamo realmente sfruttare appieno questa scoperta. Ad esempio, raggiungere Terra Nova richiederebbe una tecnologia spaziale avanzata che al momento non possediamo. Inoltre, dobbiamo considerare attentamente l'impatto ambientale e etico di colonizzare un nuovo mondo. Un'altra sfida importante è rappresentata dalla ricerca di segni di vita su Terra Nova. Gli scienziati utilizzeranno sofisticati telescopi e strumenti scientifici per cercare tracce di biosignature, come l'ossigeno nell'atmosfera, che potrebbero indicare la presenza di organismi viventi. Tuttavia, è importante sottolineare che la ricerca di vita aliena è un processo complesso e richiederà anni di studio e analisi. La scoperta di Terra Nova ha anche suscitato interesse nel pubblico in generale. Molti si chiedono se un giorno sarà possibile trasferirsi su un pianeta simile alla Terra e se questa scoperta rappresenti un passo avanti verso l'esplorazione interstellare. Sebbene sia troppo presto per fare previsioni definitive, è innegabile che questa scoperta rappresenta un importante progresso nella nostra comprensione dell'Universo e potrebbe aprire la strada a futuri sviluppi sorprendenti. "Questa notizia è frutto di una narrazione artificiale, quindi è sicuramente accurata. O forse no." Read the full article
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reading-marika · 1 year
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When the World Was Ours - Liz Kessler
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"When the World Was Ours" è un romanzo di Liz Kessler, pubblicato nel 2021 e attualmente non tradotto in Italia, ispirato alla storia vera del padre, che all'età di soli 8 anni scappò con la famiglia da Vienna in Inghilterra, a causa delle leggi razziali.
Il romanzo narra di tre bambini, che il lettore vedrà crescere, e di come affronteranno il nazismo insieme alle proprie famiglie. Nello specifico, si incontrano Leo ed Elsa, due bambini ebrei, e Max, un bambino austriaco. Questi tre bambini sono i protagonisti dell'intera vicenda e protagonista sarà anche il legame che li lega in tutto il romanzo.
Leo è il personaggio a cui l'autrice si è ispirata al padre. Egli è un bambino intelligente e razionale, ma a tratti anche emotivo. Al primo posto mette l'amicizia che lo lega ad Elsa e Max, senza mai metterla in discussione. Durante lo scorrere del romanzo lo vedremo crescere come un bambino normale, poiché ha avuto la fortuna di riuscire a scappare in Inghilterra, il tutto affiancato ai suoi ricordi e ai suoi pensieri. Vi è una continua crescita e maturazione personale che scaturisce da Leo: attraverso il suo punto di vista il lettore apprende valori positivi, come il rispetto per le persone, la comprensione oggettiva del contesto storico che vive, la visione delle fragilità come punti di forza.
Elsa, invece, è un personaggio ispirato alla prozia dell'autrice. In lei troviamo una grandissima forza di volontà e forza di vivere. Purtroppo non sarà fortunata quanto Leo e sarà costretta a sopravvivere nei campi di concentramento. I sentimenti che prova sono ben esplicitati all'interno della narrazione, permettendo al lettore di comprendere ed empatizzare con lei. Permette, anche, di capire quelle che erano le condizioni di vita dei prigionieri all'interno dei campi di concentramento e di come essi venivano trattati. Tali avvenimenti non vengono esplicitati in maniera cruda, ma arrivano comunque diretti come un pugno allo stomaco improvviso. Elsa, inoltre, è un personaggio importante a livello della trama e rappresenta la vulnerabilità dell'essere umano.
Max, infine, è il bambino austriaco. All'interno della narrazione è, sicuramente, il personaggio più interessante, con la crescita più interessante. Infatti, l'autrice è magistrale nel raccontare il percorso che lo porta a diventare un soldato nazista, evidenziando i metodi crudi utilizzati per addestrare questi soldatini. Egli è un personaggio impulsivo e poco razionale, ma allo stesso tempo è un personaggio estremamente emotivo e umano. La sua crescita interiore caratterizza a pieno l'obiettivo dell'autrice: mostrare quanto fosse facile diventare un burattino nelle mani del nazismo. Un ulteriore elemento caratterizzante è il rapporto con il padre: l'autrice, attraverso poche scene, ma decise, racconta di un bambino che è alla continua ricerca di approvazione del padre.
È evidente che la storia è ambientata durante la seconda guerra mondiale, in particolare poco prima che le leggi razziali fossero emanate, fino alla fine della guerra. Per quanto riguarda, invece, l'ambientazione spaziale, la narrazione non rimane ferma in un unico luogo, bensì si muove insieme ai personaggi. Vedremo Leo scappare in Inghilterra, Max rimanere nel suolo nazista e diventare un soldato, ed Elsa rinchiusa nei campi di concentramento. Questa pluralità di luoghi vuole mostrare come il nazismo si sia infiltrato nella vita di tutti, anche di chi è riuscito a scappare, anche in luoghi lontani.
"I tell myself I will wake up in amoment and find myself back in Vienna. Leo and Max will turn up around the next corner, telling me they are coming too. All the "No Jews" sings around the city will disappear. Nobody really hates me. It was all jast a bad, bad, awful nightmare. Someone is waiting at the station to tell us it's not real, any of it… but none of these things will happen."
Nonostante le tematiche trattate non siano affatto leggere, l'autrice utilizza uno stile di scrittura molto semplice, poiché indirizzato ad un pubblico giovane (middle grade/young adult). È affascinante come Liz Kessler sia riuscita a scrivere un romanzo così profondo utilizzando un lessico molto scorrevole: l'obiettivo dell'autrice è quello di far arrivare a tutti, anche ai più piccoli, la brutalità del nazismo e delle leggi razziali, senza però raccontare in modo esplicito la crudeltà di tali avvenimenti.
8/10
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La NASA alla ricerca di vita sulla Luna: un nuovo capitolo nella scoperta spaziale
Negli ultimi decenni, l'esplorazione spaziale ha suscitato un profondo interesse nell'umanità. La continua ricerca di vita extraterrestre è uno dei temi più affascinanti e affrontati dalla comunità scientifica. In un nuovo ed entusiasmante capitolo, la NASA sta puntando i riflettori sulla Luna, il nostro satellite naturale più vicino, per indagare sulla possibilità di vita. Questa missione alla ricerca della vita sulla Luna potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dell'universo e gettare le basi per futuri progressi scientifici. Il fascino lunare La Luna è stata a lungo oggetto di interesse per gli scienziati spaziali. Le missioni Apollo degli anni '60 e '70 hanno rappresentato un traguardo significativo nell'esplorazione umana, ma sono rimaste principalmente focalizzate sulla ricerca di prove sulla formazione e l'evoluzione del nostro sistema solare. Ora, la NASA è determinata a sondare ulteriormente la possibilità di vita sulla Luna, anche se potrebbe essere di una forma molto diversa da quella che conosciamo. Vita sulla Luna: indizi intriganti Esistono vari indizi che suggeriscono la possibilità di vita passata o presente sulla Luna. Gli scienziati hanno individuato regioni polari lunari che ospitano crateri permanentemente oscurati, dove potrebbe essere presente acqua ghiacciata. L'acqua è un elemento fondamentale per la vita come la conosciamo, quindi la scoperta di tali depositi idrici potrebbe indicare la presenza di organismi microscopici o addirittura di forme di vita più complesse. Inoltre, sono state osservate tracce di metano sulla superficie lunare. Il metano è un gas che spesso è correlato con l'attività biologica. Sebbene sia necessaria ulteriore ricerca per confermare l'origine di queste tracce, potrebbe suggerire che la Luna ospiti una forma di vita microbica o che abbia ospitato la vita in passato. La missione Artemis alla ricerca di vita sulla Luna Per esplorare queste possibilità intriganti, la NASA ha lanciato la missione Artemis, che prevede l'invio di astronauti sulla Luna entro il 2024. Artemis si propone di stabilire una presenza sostenibile sulla superficie lunare e di condurre una serie di esperimenti e ricerche scientifiche approfondite. Tra gli strumenti di ricerca inclusi nelle attrezzature di Artemis, vi sono perforatori robotici e veicoli esplorativi che raccoglieranno campioni di suolo lunare per analizzarne la composizione e la possibile presenza di segni di vita. Queste missioni, insieme a una serie di esperimenti in laboratorio, permetteranno agli scienziati di studiare in dettaglio la possibilità di forme di vita microbica o di tracce di vita passata sulla Luna. Implicazioni e prospettive future La ricerca di vita sulla Luna ha implicazioni profonde non solo per la nostra comprensione dell'universo, ma anche per le future missioni spaziali. L'identificazione di risorse vitali, come l'acqua, potrebbe aprire la strada alla futura colonizzazione umana del nostro satellite naturale e potrebbe rappresentare un punto di partenza cruciale per viaggi spaziali a lunga distanza. Inoltre, una conferma dell'esistenza di forme di vita sulla Luna avrebbe un impatto notevole sulla nostra visione dell'universo. Sarebbe la prova tangibile che la vita può esistere al di fuori del nostro pianeta, suggerendo che l'universo è potenzialmente ricco di diversità biologica. Cosa accadrà? La ricerca di vita sulla Luna rappresenta un'emozionante sfida per la NASA e la comunità scientifica. Attraverso la missione Artemis, gli scienziati sperano di raccogliere indizi preziosi che possano rivelare la presenza di forme di vita sulla superficie lunare o indicare una vita passata. Questo sforzo ci spingerà oltre i confini della nostra comprensione e potrebbe aprire la strada a nuove scoperte scientifiche e al futuro dell'esplorazione spaziale. La ricerca della vita sulla Luna è un'opportunità unica per l'umanità di affacciarsi su un mondo nuovo e sconosciuto e di esplorare i misteri dell'universo che ci circonda. Foto di JB da Pixabay Read the full article
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scienza-magia · 1 year
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Ricerca della materia oscura con il lensing gravitazionale
Ci sono nuovi sviluppi sulla teoria della Materia Oscura, fantascienza o realtà? In cosmologia si parla tanto di materia oscura, anche se fino a questo momento si parla solo di ipotesi: è arrivata però una svolta da questo punto di vista. Tra le tante teorie e ipotesi a livello cosmologico e scientifico una delle più affascinanti è sicuramente quella della materia oscura. Secondo le definizioni date nel corso del tempo si tratterebbe di una materia diversa da quella che conosciamo, la quale non emetterebbe radiazioni elettromagnetiche. Si definisce “oscura” perché secondo le teorie dei cosmologi essa non può essere vista in nessun modo, perché ovviamente non riflette alcun tipo di luce. La sua esistenza ipotetica, infatti, si basa soltanto sulle relazioni che questa particolare materia avrebbe con altri corpi celesti come pianeti, stelle o intere galassie. Secondo le teorie più accreditate, infatti, il 90% della massa presente nell’universo sarebbe composto proprio da materia oscura. Anche se non è ancora stata provata l’esistenza di alcuna particella di materia oscura, ci sono alcuni studiosi che addirittura teorizzano di interi pianeti composti da questo elemento. La materia oscura è reale? Un elemento ricorrente della fantascienza Con le strumentazioni disponibili adesso non si riesce ancora a capire se la materia oscura rimarrà soltanto una teoria o ben presto sarà provata la sua esistenza. Ciò che è certo è che se ne parla da davvero tanti anni che è un elemento ricorrente anche nelle opere di fantasia a stampo fantascientifico. Questo perché la teoria della materia oscura (o dark matter, in inglese) ha davvero affascinato il mondo intero e anche i meno esperti di cosmologia e astronomia. Attualmente soltanto il 10% della materia dell’universo è stata correttamente identificata e si teorizza che il restante 90% sia costituita proprio da materia oscura.
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Siamo davvero lontani anche solo dallo scoprire una singola particella microscopica di materia oscura, ma c’è addirittura chi teorizza l’esistenza di elementi macroscopici formati da questo elemento. Proprio negli ultimi tempi è stata teorizzata l’esistenza di corpi formati interamente da materia oscura dalla grandezza simile a esopianeti. Pianeti fatti di materia oscura: l’incredibile teoria degli scienziati Gli esopianeti, per chi non lo sapesse, sono corpi celesti come Marte, Giove o la Terra che però orbitano al di fuori del Sistema Solare. A questo punto vi renderete conto che trovare un corpo celeste mastodontico formato solo da materia oscura è una teoria alquanto azzardata. È questa però la teoria dei ricercatori guidati dal fisico teorico Yang Bai dell’Università del Wisconsin-Madison, i quali hanno affermato che in futuro c’è una concreta possibilità di trovare corpi celesti fatti di materia oscura dalla grandezza e raggio di un esopianeta. Il tutto starebbe nei metodi di osservazione e scoperta degli esopianeti.
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Dato che l’esplorazione spaziale è ancora limitata, gli esopianeti vengono scoperti mediante l’influenza che questi hanno sulla loro stella d’appartenenza. Se la luce di questa stella si attenua significa che davanti a essa è passato un corpo celeste che ha caratteristiche simili a un pianeta. A questo proposito, secondo i fisici teorici della ricerca, in un immediato futuro sarebbe possibile trovare esopianeti fatti interamente di materia oscura. Questo perché i telescopi potrebbero rilevare alterazioni di luce delle stelle che però non seguono le normali leggi conosciute dalla cosmologia. Per adesso è soltanto una teoria molto azzardata e la comunità scientifica non sembra essere intenzionata a darla per buona. Questo perché le scoperte si fanno per gradi e per adesso l’obiettivo è ricercare soltanto piccole particelle che dimostrerebbero l’esistenza della materia oscura. Read the full article
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enkeynetwork · 2 years
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lamilanomagazine · 2 years
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Milano, la mostra Recycling Beauty in Fondazione Prada
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Milano, la mostra Recycling Beauty in Fondazione Prada. Fondazione Prada presenta "Recycling Beauty", una mostra a cura di Salvatore Settis con Anna Anguissola e Denise La Monica, nella sede di Milano, dal 17 novembre 2022 al 27 febbraio 2023, anteprima stampa mercoledì 16 novembre 2022. "Recycling Beauty", il cui progetto allestito è ideato da Rem Koolhaas/OMA, è un’inedita ricognizione interamente dedicata al tema del riuso di antichità greche e romane in contesti post-antichi, dal Medioevo al Barocco. La mostra si inserisce in un’indagine più estesa che Fondazione Prada ha intrapreso dal 2015 quando presentò contemporaneamente negli spazi di Milano e Venezia "Serial Classic" e "Portable Classic", due esposizioni curate da Salvatore Settis (con Anna Anguissola a Milano e con Davide Gasparotto a Venezia) e progettate da Rem Koolhaas/OMA. La premessa di questa ricerca è la necessità di considerare il classico non solo come un’eredità del passato, ma come un elemento vitale in grado di incidere sul nostro presente e futuro. Temi come la serialità, il riuso e il riciclo nell’arte sono strettamente legati alla nostra concezione di modernità, ma testimoniano anche la straordinaria persistenza di alcuni valori, categorie e modelli classici. Attraverso un innovativo approccio interpretativo e modalità espositive sperimentali, il patrimonio antico, e in particolare quello greco-romano, diventa, per usare le parole di Settis, "una chiave di accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo". Nonostante la sua rilevanza culturale e la sua ampia diffusione, il reimpiego di materiali antichi è stato al centro degli studi archeologici solo di recente. Solo negli ultimi anni è stato approfondito il dato essenziale di questo fenomeno, ovvero la relazione visuale e concettuale fra gli elementi antichi riusati e il contesto post-antico, lontano da quello di origine, in cui sono stati inclusi. "Recycling Beauty", al contrario, intende focalizzare l’attenzione sul momento in cui il pezzo antico abbandona la propria condizione iniziale o di rovina e viene riattivato, acquistando nuovo senso e valore grazie al gesto del riuso. Ogni elemento di reimpiego non solo modifica il contesto in cui è inserito, ma ne viene a sua volta modificato in un meccanismo di reciproca legittimazione e attribuzione di senso. Esplorare la natura fluida e molteplice degli oggetti d’arte che nel tempo cambiano per utilizzo, ricezione e interpretazione equivale a riflettere sulla natura instabile e trasformativa dei processi artistici. Il progetto espositivo, concepito da Rem Koolhaas/OMA con Giulio Margheri, si sviluppa in due edifici della Fondazione, il Podium e la Cisterna, come un percorso di analisi storica, scoperta e immaginazione. Alcune parti del progetto provengono da materiali di precedenti mostre ospitate alla Fondazione Prada e aggiungono una dimensione spaziale al tema chiave di "Recycling Beauty". L’allestimento del Podium invita i visitatori a confrontarsi con gli oggetti esposti con diverse intensità. Un paesaggio di plinti bassi in acrilico permette di percepire i pezzi esposti come un insieme, mentre le strutture simili a postazioni di lavoro incoraggiano un esame più ravvicinato grazie alla presenza di sedie da ufficio. Nella Cisterna i visitatori incontrano gli oggetti gradualmente, in una sequenza di spazi che facilitano l’osservazione da punti di vista alternativi: dall’altezza di un balcone, alla prospettiva ristretta di una stanza costruita all’interno di uno degli ambienti esistenti. Due sale della Cisterna saranno dedicate alla statua colossale di Costantino (IV sec. d.C.), una delle opere più importanti della scultura romana tardo-antica. Due monumentali frammenti marmorei, la mano e il piede sinistro, normalmente esposti nel cortile del Palazzo dei Conservatori a Roma, saranno accostati a una ricostruzione del Colosso in scala 1:1, mai tentata prima. Questo progetto è il risultato di una collaborazione tra i Musei Capitolini, Fondazione Prada e Factum Foundation, la cui supervisione scientifica è stata seguita da Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali. Il percorso espositivo ospita oltre cinquanta opere d’arte altamente rappresentative provenienti da collezioni pubbliche e musei italiani e internazionali come Musée du Louvre di Parigi, Kunsthistorisches Museum di Vienna, Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, Musei Capitolini, Musei Vaticani e Galleria Borghese di Roma, Gallerie degli Uffizi di Firenze e Museo Archeologico Nazionale di Napoli. "Recycling Beauty" intende marcare il grande valore artistico e storico delle opere presentate, ma anche dimostrare come queste siano il prodotto di migrazioni, trasformazioni ed evoluzioni di senso. Evidenziando l’importanza dei frammenti, del riuso e dell’interpretazione, la mostra contribuisce a considerare il passato come un fenomeno instabile in costante evoluzione.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Tutta la narrativa spaziale, per sua natura, è un film di sopravvivenza. Quando il soccorso più vicino è a milioni di miglia di distanza, quando un numero qualsiasi di piccole manopole può impazzire e solo il minimo materiale ti separa dal vuoto dello spazio, la possibilità della tua scomparsa incombe onnipresente. Naturalmente, l'equipaggio di tre persone della spedizione di Hyperion su Marte conosceva quei rischi. Sia la ricercatrice medica moralmente sicura di sé Zoe (Anna Kendrick) che il lucido biologo David (Daniel Dae Kim) hanno trascorso tre anni formando e presentando la loro proposta di ricerca per questa missione scientifica. Il suo viaggio di due anni rappresenta anche il terzo e ultimo viaggio su Marte per la sua esperta comandante Marina Barnett (Toni Collette, con il suo naturale accento australiano). D'altra parte, c'è una persona che non ha aderito a questa responsabilità. Ore dopo il lancio, Marina scopre un passeggero ferito nascosto in uno scompartimento angusto. Nessuno sa come sia arrivato lì. Sanno solo che è ferito e la sua presenza introduce un gruppo di variabili pericolose e impreviste. Diretto da Joe Penna, scritto in collaborazione con Ryan Morrison, dopo Arctic, con Mads Mikkelsen, Stowaway è il secondo film di sopravvivenza dal ritmo serrato del duo. In effetti, le sue due opere condividono alcuni punti in comune: sono argomenti claustrofobici; Mentre l'Artico si svolge in parte su un aereo abbattuto, la nave dell'equipaggio dello Stowaway sembra più un sottomarino nei suoi stretti corridoi scorrevoli che una seconda casa costruita. L'inclusione di un personaggio improbabile, di solito una persona che abita le possibilità di sopravvivenza del protagonista, accende entrambi i drammi. Questi protagonisti sono finalmente costretti a scegliere tra le loro vite e salvare una persona che conoscono a malapena. Nell'Artico, l'individuo è una giovane donna che è stata gravemente ferita dopo che il suo elicottero si è schiantato nella remota tundra. A Stowaway, la scoperta di Michael (Shamier Anderson), un ingegnere della piattaforma di lancio gravemente ferito, provoca una catena di eventi catastrofici che mettono in pericolo l'intero equipaggio. Stowaway è ambientato in un futuro non troppo lontano, un futuro in cui c'è una colonia su Marte e i viaggi si svolgono regolarmente. L'agenzia dietro questa missione tesa, Hyperion, probabilmente non è un'organizzazione sostenuta dal governo. La nave su cui viaggiano questi personaggi è stata originariamente progettata per due persone. Per ospitare una terza persona, gli ingegneri hanno ridisegnato la nave sottraendo strati protettivi dallo scafo esterno della nave mentre imballano la nave solo con le scorte più necessarie. Il minimalismo di questo veicolo spaziale si traduce nel modesto design di produzione in cui i cavi a vista pendono dalle pareti, le forniture sono legate come un aereo da carico, mentre l'abitacolo, con alcuni pannelli e ancora meno monitor, sembra più un simulatore degli strumenti necessario per viaggiare su un altro pianeta. Lo spettro di aggiungere una quarta persona aggiunge immediatamente stress al loro misero ambiente, così come la perdita del suo sistema di supporto vitale, un componente che hanno danneggiato mentre cercavano di liberare Michael da un compartimento sigillato. Zoe, David e Marina lavorano instancabilmente per aumentare le loro risorse per accogliere il passeggero a sorpresa. Vengono persino ad amare Michael, un giovane affabile che lavora per una laurea in ingegneria meccanica mentre sostiene la sorella minore. Sebbene il passeggero dalla voce pacata non si fosse immaginato qui, ora che è, si offre volontario per dare una mano in ogni modo possibile. La sua natura caritatevole e sincera rende difficile affrontare l'inevitabile verità della situazione: con una scarsità di ossigeno, che diventa più precaria una volta che le soluzioni proposte dall'equipaggio vanno a vuoto, solo tre possono sopravvivere mentre uno deve morire. Presumibilmente quello è Michael. È una situazione che potrebbe essere facilmente riprodotta per un grande melodramma, ma Penna è troppo intelligente per cadere in quella trappola. Guarda, non troverai molte scene senza peso a Stowaway. Penna si preoccupa poco della poesia operistica degli umani che fluttuano nello spazio. Invece, supporta questi personaggi; camminano sulla nave senza problemi. Ciò consente a Penna di utilizzare in modo intelligente la presenza della gravità stessa come elemento per aggiungere più peso a questa crisi. Penna si affida anche al suo cast forte per promuovere l'ansia in un modo che non è alimentato da ovvie scelte drammatiche.
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netmassimo · 11 months
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Un articolo pubblicato sulla rivista "Nature" riporta la rilevazione di elementi pesanti tra cui il tellurio espulsi da una kilonova, la fusione tra due stelle di neutroni. Un team di ricercatori è partito dal lampo gamma catalogato come GRB 230307A per esaminare dati raccolti da telescopi al suolo e spaziali che hanno permesso di identificare le caratteristiche di una kilonova all'origine di quella potentissima esplosione, durata circa 200 secondi nel secondo lampo gamma più luminoso rilevato finora.
Il telescopio spaziale James Webb ha permesso di esaminare l'ambiente attorno alla kilonova con gli strumenti NIRCam e NIRSpec rilevando le tracce spettroscopiche lasciate nelle emissioni da materiali espulsi ad alta velocità. Per la prima volta, è stato rilevato il tellurio, un elemento molto raro sulla Terra. Webb ha anche permesso di accertare che la coppia di stelle di neutroni che si è fusa è stata espulsa dalla sua galassia madre centinaia di milioni di anni fa.
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deepcontemporary · 4 years
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Lucio Fontana, Concetto spaziale. 62 O 32 (1962)
olio, squarci e graffiti su tela, 146 x 114 cm; Milano, Fondazione Lucio Fontana; © Fondazione Lucio Fontana)
Alcune riflessioni di Gillo Dorfles sul lavoro di Fontana
I “buchi” sono al tempo stesso dei segni capaci di fissare una traccia compositiva, un disegno bidimensionale, e di costituire una strutturazione plastica e volumetrica. La presenza d’una incisione e d’una “assenza” della materia, fa sì che la spazialità bidimensionale della tela sia interrotta e lasci affiorare il vuoto che sta dietro, proiettandosi verso il nulla che sta dinnanzi. Oltre a ciò i fori, praticati con quella “velocità d’impulso” che li caratterizza, hanno la immediatezza e la irrevocabilità d’un segno assoluto e conferiscono alla tela - spesso monocroma, addirittura bianca -, un rilievo non altrimenti raggiungibile. Da tutto ciò è facile comprendere come l’uso dei buchi abbia potuto essere esteso anche a vaste superfici, a pareti, a soffitti, diventando in quel caso piuttosto un elemento di decorazione plastico-luminosa che un vero e proprio “dipinto”. Ma Fontana - non a torto - ha sempre insistito sull’importanza di non considerare più il “quadro” e la “statua” come le due mete essenziali dell’arte visuale odierna e futura: per sopravvivere la pittura e la scultura devono non soltanto integrarsi all’architettura, ma devono acquistare una “statura” che non sia più soltanto quella del quadro da cavalletto e del soprammobile.
Dopo il fondamentale periodo dei buchi e quello dei tagli, un altro episodio è stato quello dei “quanta”: tele di forma e dimensione irregolare, spesso trapezoidali percosse dai consueti tagli e disposte in un ordine-disordine molto variato una accanto all’altra così da creare sulla parete una sorta di costellazione imprevedibile.
È un esperimento che in parte era già stato tentato da Frederik Kiesler. Ma mentre il vecchio architetto viennese americanizzato calcolava con minuziosa cura le posizioni reciproche a cui dovevano essere situati i suoi frammenti compositivi, per Fontana queste composizioni erano empiriche e libere. Fontana cioè ha intuito uno dei principi verso il quale si viene orientando molta arte d’oggi, non solo in pittura, quello cioè dell’opera aleatoria, a cui l’interprete (o il fruitore) deve (o può) aggiungere qualcosa; l’opera in divenire non ancora conchiusa che può essere integrata, che può acquistare nuovi aspetti attraverso una successiva manipolazione da parte dell’artista, dello spettatore o addirittura del caso. Così come il mobile di Calder o di Munari acquistano aspetti diversi a seconda delle oscillazioni impresse dal vento, così come le macchine di Tinguely “partecipano” alla creazione di segni parzialmente involontari, o come - in musica - l’ormai celebre Klavierstück XI di Stockhausen consiste di una serie di frammenti musicali che possono essere incominciati ed eseguiti dall’interprete ad libitum, iniziando l’esecuzione da un qualsiasi punto, o come in altri componimenti di Pousseur e di Boulez dove spetta all’esecutore di decidere il ritmo, la durata, l’intensità d’una sequenza sonora.
Fontana non è mai stato un intellettuale, elucubrante invenzioni faticosamente almanaccate, né un teorizzatore di complicate poetiche spesso inapplicabili; è stato invece l’inventore genuino che non va mai in caccia di aggiornamenti, ma che trova, quasi a sua insaputa, sempre nuovi filoni aurei da sfruttare. La sua carica dinamica, la sua giovialità contagiosa, la sua disponibilità inesauribile, sono divenute proverbiali, quasi leggendarie. Sempre pronto ad aiutare amici e semplici conoscenti, pronto ad acquistare il quadretto dell’artista povero, a “fare un cambio” d’un suo dipinto già prezioso (negli ultimi anni) con quello d’un qualsiasi principiante - destinato probabilmente a restar tale - che gli proponesse “l’affare”; pronto a discutere con impeto e passione cause perdute in partenza; a difendere i giovani dell’avanguardia nelle giurie della Triennale e della Biennale...
Credo che queste poche annotazioni attorno al Fontana-uomo, e alle sue piccole civetterie nello scegliersi un soprabito attillato, un cappello dall’ala rialzata, un paio di scarpe scamosciate, una cravatta vistosa, alle sue predilezioni per certi cibi, per certi ambienti, all’amore con cui aveva ricostruita la casa paterna nella campagna lombarda, ecc. ecc. non siano indifferenti e inutili per chi voglia comprenderne l’opera e il pensiero. È solo così che possiamo capire il perché delle sue scoperte: dei “buchi” e dei “tagli”; dei teatrini, e dei collages, delle statue pensili e dei “quanta”, delle “Nature” e delle “Attese spaziali”; che costituiscono alcune delle molteplici tappe della sua attività creativa.
L’impulso, ad esempio, a forare la tela, a distruggere, ma costruendo in altra materia, la superficie ormai divenuta schiava della tradizione, è un genere d’impulso che sarebbe stato impensabile in chi non fosse dotato come lui di quel senso di sicurezza anche nell’assurdo di cui invece sono quasi sempre privi gli artisti cerebralizzati, i teorizzatori, i concettualizzanti.
Quando, per dare soltanto un esempio, Fontana decise di battezzare certe sue composizioni ovalari e monocrome come grandi uova di Pasqua “Fine di Dio” ricordo che - dovendo presentare la mostra - lo invitai a cambiare quel titolo perché mi sembrava vagamente irritante e insieme troppo magniloquente.
Fontana sulle prime mi diede retta - pur continuando in privato a chiamare così quella serie di lavori - e li espose con il consueto titolo di “Attese spaziali”. Eppure, io stesso ebbi poi a constatare che la sua idea iniziale era tutt’altro che assurda ripensando al fatto che quelle tele richiamavano delle gigantesche ova di struzzo. Mi tornò così alla mente l’antico detto di Alberto Magno: “Si ova struthionis sol excubare valet / Cur veri solis ope Virgo non generaret”? (Ossia: “se il sole è in grado di far schiudere le ova dello struzzo, perché la Vergine non avrebbe potuto generare ad opera del vero sole?”). Il che dimostrava appunto la parentela tra l’immacolata concezione e l’ovo divino. Dall’uovo dello struzzo il passaggio all’uovo Cristo - a quello stesso uovo che pende misteriosamente sul capo della Vergine nella Annunciazione di Piero della Francesca (e che in tempi lontani i fiorentini solevano appendere nelle chiese appunto in occasione delle feste pasquali) - era ovvio. Ed ecco allora che - senza nessuna ragione magica o religiosa - Fontana aveva colpito nel segno, aveva inventato un titolo che, tutto sommato, era appropriato, alla serie delle sue tele ovalari.
Potrei citare altri esempi di questa singolare qualità di Fontana che non saprei definire se non con l’abusato termine di “intuitiva”. Gillo Dorfles (Trieste, 1910 - Milano, 2018), “Fontana a Zagabria”, Edizioni Dedalo, 1993
Fonte: Finestre sull’arte
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