#efficacia comunicativa
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Uzbekistan. Una base importante per lo sviluppo di discorsi comunicativi
Questo articolo scientifico è dedicato all'argomento "Fondamenti importanti per lo sviluppo del discorso comunicativo" e analizza i fattori chiave necessari per essere efficaci nel discorso e nel dialogo.
Annotazione. Questo articolo scientifico è dedicato all’argomento “Fondamenti importanti per lo sviluppo del discorso comunicativo” e analizza i fattori chiave necessari per essere efficaci nel discorso e nel dialogo. L’articolo discute aspetti importanti come l’aumento del vocabolario della comunicazione, il miglioramento delle regole del linguaggio e della grammatica, le capacità di…
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ergnculturedigitali25 · 12 days ago
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Mutismo e bullismo
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Il nostro meme:
Si tratta di un meme exploitable appartenente alla categoria 4 Panel Movie Scene, caratterizzato da quattro riquadri. In questo caso, i due a destra raffigurano Joey di Friends, mentre gli altri due contengono le nostre frasi.
Questo tipo di meme si basa sull'adattamento di immagini per ottenere un effetto comico. L'immagine originale viene modificata in vari modi, ad esempio aggiungendo elementi estranei o sovrapponendo parti di altre immagini, creando giustapposizioni che ne alterano il significato e generano un effetto straniante. Le modifiche possono includere anche la sostituzione di scritte, il cambio di parole, lo spostamento di oggetti o altri interventi grafici finalizzati a creare un contrasto umoristico.
(Per contesto, questo è un esempio di video dell'influencer citata nel meme: Video di tendenza scelti per te | TikTok)
Il nostro meme presenta le seguenti caratteristiche:
Intertestualità: Un meme di successo si collega ad altri meme, riferimenti culturali o tendenze popolari, rendendolo immediatamente riconoscibile e divertente per chi è familiare con quel contesto. Il nostro è un meme di nicchia, comprensibile solo a chi ha familiarità con il mondo dei social (Instagram e TikTok), degli influencer e, in particolare, con Jennifer Serpi, la figura citata nel meme.
Indicizzazione: Un elemento all'interno di un meme può essere riutilizzato in diversi contesti e con scopi differenti. Il nostro meme include sia componenti testuali che visive. L'elemento visivo, basato su espressioni facciali, è più facilmente adattabile, poiché non trasmette un messaggio specifico. Al contrario, il testo è meno flessibile, in quanto fa riferimento esplicito a un'influencer e al suo modo di esprimersi. Questo lo rende un meme di nicchia, il che potrebbe limitarne la diffusione, poiché richiede una conoscenza specifica di Jennifer Serpi e del suo linguaggio.
Replicabilità: I meme devono essere facilmente copiabili e condivisibili su diverse piattaforme. Il nostro meme è semplice da riprodurre: basta sostituire le frasi o le immagini nei riquadri bianchi. Questa operazione può essere eseguita con strumenti come Canva o direttamente su Instagram, utilizzando la funzione “Storia” e il colore bianco per coprire il testo esistente.
Modulabilità: I meme possiedono una struttura riconoscibile ma flessibile, permettendo l’inserimento di nuovi elementi. La struttura del nostro meme è intuitiva e immediata: si basa su due elementi visivi e due frasi brevi, che devono rimanere costanti affinché il meme sia riconoscibile e mantenga la sua efficacia comunicativa.
Il nostro meme è controverso?
Il nostro meme è stato creato in modo che si possa diffondere sui social, specialmente su Instagram e X (ex Twitter) che utilizzano questo tipo di formato, ma anche su TikTok nel caso delle carrellate di immagini; queste sono piattaforme in cui la ragazza in questione vanta di un seguito elevato: 1,9 milioni di followers su TikTok e 700.000 su Instagram. Il meme, se condiviso molte volte, potrebbe risultare controverso sui social e creare così delle discussioni.
Il meme potrebbe essere percepito in modo negativo da chi la stima e la segue, considerandolo offensivo nei confronti dell’influencer. Al contrario, per chi è già critico nei suoi confronti, il meme potrebbe rafforzare le sue opinioni (confirmation bias).
Questa controversia nasce soprattutto dal fatto che il meme prende di mira una persona specifica, Jennifer Serpi, suggerendo implicitamente un contrasto tra la sua immagine e il suo modo di esprimersi. Inoltre, evidenzia una disabilità di Jennifer che lei non ha scelto di avere e non può controllare, il che potrebbe risultare particolarmente urtante per altre persone con disabilità o per i genitori di figli con disabilità, soprattutto considerando l’odio che la ragazza ha già ricevuto in passato. Il meme rischia di normalizzare l’idea che sia accettabile ridicolizzare qualcuno pubblicamente.
Oltre a ciò, l'immagine potrebbe generare divisioni tra chi lo trova divertente e chi lo considera offensivo, alimentando discussioni accese nei commenti e tra fan e detrattori della persona menzionata. Questa polarizzazione è già evidente nei commenti sotto i suoi video e post (esempi sotto).
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Se il nostro meme venisse usato in contesti ostili, potrebbe trasformarsi in una forma di hate speech, soprattutto se diffuso con intenzioni malevole. Inoltre, se Jennifer Serpi non corrispondesse realmente all’immagine suggerita, allora il meme potrebbe contribuire alla disinformazione, diffondendo una percezione distorta della sua persona.
Per concludere, sebbene il meme sia stato creato con intento umoristico, il rischio è che venga interpretato in modo negativo e utilizzato per denigrare una persona. Questo dimostra come i meme possano facilmente trasformarsi da semplici battute a strumenti di critica o attacco online.
Come contrastare il meme controverso:
Il counter-meming è una pratica diffusa online che consiste nella creazione intenzionale di meme per contrastare o smontare idee problematiche presenti in altri meme o in contesti molto seguiti.
Come counter-meme abbiamo pensato a questo:
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L'aiuto di ChatGPT:
Uso IA: abbiamo chiesto a ChatGPT un aiuto per individuare hashtag adeguati alle nostre esigenze e per formulare in modo più chiaro le controversie legate al nostro meme.
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marichia · 2 months ago
Note
Non volevo affatto giudicarti sulla questione della crocerossina, mi ha fatto sorridere il classico “spiegone” poetico non necessario (per me) per esprimere un concetto di 5 parole. Mi piace molto come scrivi ma spesso perdi efficacia comunicativa quando ti concentri di più sul romanzare il discorso o di ricamare troppo attorno al punto centrale.
Il romanzare è voluto anon. Amo cercare la poesia anche nelle “stronzate”, sono fatta così. Mi piace guardare con gli occhi dell’arte tutto ciò che mi circonda e meravigliarmi della bellezza come se fossi ancora una bambina. Forse è una cosa strana o forse è prerogativa di pochi, chi lo sa
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notiziariofinanziario · 1 year ago
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L’Oscar del cioccolato artigianale và ai fratelli Gardini
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I fratelli Gardini si sono nuovamente aggiudicati, in due categorie, il prestigioso premio "Tavoletta d’oro". I maestri forlivesi della cioccolata d’autore salgono dunque sul podio per il dodicesimo anno consecutivo: la prima ‘Tavoletta d’oro’ risale infatti al 2012, anno in cui i giudici premiarono la collezione di tavolette al sale dolce di Cervia (uno dei best-seller del marchio). Da allora, l’azienda forlivese ha ricevuto almeno una menzione all’anno, oltre a svariati riconoscimenti internazionali.  Nell’edizione 2024 due creazioni si sono assicurate il massimo riconoscimento: nella categoria ‘Cioccolati con ripieni’ è stata premiata, per il secondo anno consecutivo, la tavoletta al gin ‘Primo di Romagna’. Composta da una copertura di cioccolato misto fondente e da un ripieno di ganache al gin ‘Primo’ della Premiata officina Lugaresi - bevanda alcolica a base di ginepro e sale dolce di Romagna, ideata dal cesenate Federico Lugaresi – la tavoletta è parte della selezione dedicata al legame tra cioccolato e territorio. La categoria ‘Latte ad alta percentuale di cacao’ ha visto trionfare, invece, la tavoletta di cioccolato al latte con cacao 42%. Premiato per la sua consistenza vellutata e il gusto armonioso e persistente, garantito dall’alta percentuale di massa di cacao, il prodotto contiene una miscela di pregiate origini di fave di cacao. Ma l’elenco dei riconoscimenti non si esaurisce certo qui: numerose creazioni dell’azienda sono state insignite dell’altrettanto ambita etichetta ‘Cioccolati d’eccellenza’ in varie categorie: in quella dei cioccolati ripieni, la tavoletta ‘Insolito’ con gianduia salata; nella categoria ‘Cioccolati grezzi’ la tavoletta ‘Rustico’ con zucchero mascovado; le praline alla zuppa inglese nella categoria ‘Praline’; il cremino ‘Trilogy’, con pistacchio, noci e amarene (un altro classico della maison forlivese), nella categoria ‘Cremini’; la tavoletta al caffè e cardamomo e quella all’anice stellato, finocchio e vaniglia del Madagascar, nella categoria dedicata agli ‘Aromatizzati’. Infine, l’e-commerce alimentare ‘Spaghetti & mandolino’, portale di riferimento per l’acquisto di eccellenze dell’enogastronomia italiana, ha riconosciuto ai packaging Gardini una menzione per la grande efficacia comunicativa. La ‘Tavoletta d’oro’ è promossa dall’associazione Compagnia del cioccolato, che vanta più di mille associati e incorona ogni anno i cioccolati migliori tra quelli in vendita in Italia, dopo una rigorosa selezione. Le commissioni, composte da degustatori professionali, giornalisti ed esperti del settore, hanno un ‘ingrato‘ compito: assaggiare prodotti appartenenti a 15 categorie, selezionare i cioccolati di eccellenza in ogni categoria e, per ciascuna, decretare un unico vincitore. Read the full article
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vidysblog · 2 years ago
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GUIDA 3 - ATTIVITÀ N°4. Prova le tue conoscenze.
Autovalutazione
-Quale prova è stata la più difficile per te? Perché?
Secondo me, la produzione orale è difficile. Quando parlo io faccio degli errori grammaticali.
-Quale prove è stata la più facile per te? Perché?
La produzione scritta è facile perché io scrivo molto e poi, mi piace leggere i testi delle canzoni.
-D'accordo con le competenze indicate nell'oggetto di apprendimento 3 "CILS" qual'è l'autovalutazione generale de tuo lavoro nel corso d'italiano?
Secondo me, mi manca efficacia comunicativa, ma ho una buona adeguatezza di registro e di varietá linguistica e io prononcio bene le parole. 85/100
-Che cosa puoi migliorare? Come?
Io posso migliorare la mia capacità di ascolto con podcast.
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sisif-o · 4 years ago
Note
Perché pensi che il green pass sia una stronzata?
perché secondo me è concepito male, inutile e deleterio.
concepito male perché:
in Italia molte persone non sono vaccinate non perché siano novax o "insicure", ma perché il loro turno di vaccinazione è a settembre o fine agosto. In particolare la fascia di età 35-45 anni. Queste persone, pur non avendo "colpe", subiranno settimane/mesi di privazioni a mio parere ingiuste.
Lo stesso vale nelle regioni in cui la macchina statale è meno efficiente, dove quindi il tempo impiegato per vaccinare è maggiore e dove possono capitare problemi con le prenotazioni.
È concepito male perché è blando; non serve a nulla contenere palestre, piscine e ristoranti se poi lasci immutato il flusso di persone nei centri commerciali, nei supermercati, nelle feste patronali ecc. Come al solito si penalizzano solo alcuni settori, mentre altri potenzialmente più pericolosi non vengono considerati.
è inutile perché:
I vaccinati, se entrano a contatto col virus, possono contagiare. Certo, sappiamo tutti che il contagio è meno probabile e più difficile fra persone vaccinate, ma perché rischiare? Perché dare la possibilità a persone che possono comunque contagiare di stare in ambienti chiusi ad alto rischio, con la possibilità che una volta usciti possano a loro volta diffondere il contagio? Sarebbe molto più semplice chiudere di nuovo tutto ed eradicare il problema a monte. Sembra solo un contentino, un premio per chi si è vaccinato.
Un premio però che non durerà a lungo, perché a settembre-ottobre torneremo di nuovo in zona rossa, dove vaccinati e non vaccinati comunque dovranno starsene barricati in casa. Quindi a cosa serve istituire per un mese o due un green pass blando che comunque non avrà impatto significativo nella discesa dei contagi, se non a dividere la popolazione e creare un clima di tensione?
Ciò che è importante è vaccinare gli over 65 e i soggetti a rischio, cosa che è stata fatta o che si sta per concludere. Che senso ha imporre limitazioni a noi giovani, che siamo quelli che più si vaccinano e che meno impattano le terapie intensive?
è deleterio perché:
radicalizza i novax e gli insicuri nelle loro posizioni estreme; appurato che, nella forma attuale, il green pass non sia molto utile nel contenimento della pandemia, la percezione popolare è quella di strumento di coercizione atto ad incentivare la vaccinazione. In altre parole il green pass ha l'obiettivo di spingere la popolazione a vaccinarsi, con lo spauracchio che senza il certificato non si possa più partecipare a determinate attività. Il problema però è che questo tipo di misura allontana le persone dal vaccino, visto come un'imposizione. E si sa, quando c'è coercizione si sviluppa un sentimento di ribellione.
Il grande problema del green pass, poi, è che nasce dopo un anno e mezzo di incapacità comunicativa: il governo italiano non è stato in grado di comunicare con efficacia al popolo, non ha saputo rassicurare e infondere sicurezza, permettendo a migliaia di bufale di avvelenare i pozzi, a centinaia di persone di dire tutto e l'opposto di tutto e soprattutto non ha lavorato per migliorare la situazione attuale. Da marzo 2020 ad oggi la sanità non è stata migliorata e nemmeno la rete di trasporti: si è solo andati avanti per chiusure e restrizioni. Questo clima di inadempienza ed insicurezza ha allontanato la popolazione dal governo e dalle istituzioni, quindi è assurdo pensare che il green pass possa indurre la gente a vaccinarsi, perché anzi avrà l'effetto opposto.
Il punto del discorso è che secondo me il governo, con questa mezza misura ha scelto la strada sbagliata, ossia quella del regalo, del contentino per i vaccinati.
Si doveva avere il coraggio di chiudere tutto o di mantenere lo status quo incentivando in modo pro-positivo la vaccinazione, con una propaganda capillare e rassicurante, cercando di convincere con serietà e professionalità tutte quelle persone "insicure", rese tali da due anni di incertezza ed incapacità.
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diariodiunastoryteller · 5 years ago
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COMUNICATO STAMPA
Festival "Salerno in CORTOcircuito - Sguardi sulla società 2020"
- Iscrizioni prorogate al 23/09/2020 -
Torna anche quest’anno il Festival “Salerno in CORTOcircuito” XI Edizione, organizzato dall’Associazione Rete dei Giovani per Salerno, in collaborazione con Vitruvio Entertainment, dal 2 al 4 ottobre 2020 negli spazi del Foyer Café c /o Teatro Nuovo Salerno (via Laspro, Salerno), con proiezioni a partire dalle ore 20.00.
I partecipanti al Festival potranno inviare fino al 23 settembre 2020 i propri lavori audiovisivi per concorrere all’assegnazione dei premi.
Come sempre, accanto alla partecipazione di #cortometraggi, è prevista anche la partecipazione di #lungometraggi o #documentari per la Sezione "Fuori concorso". Nel corso delle serate sarà dato spazio ad autori cineasti salernitani, ma non solo.
BANDO E REQUISITI PER LA PARTECIPAZIONE
Per il tema di quest’anno, “Sguardi sulla Società”, i partecipanti potranno presentare anche più di un lavoro audiovisivo (cortometraggio) su qualsiasi argomento che riguardi la sfera sociale del mondo in cui viviamo, ma potranno concorrere solo con uno dei lavori presentati.
Nessun limite per la durata del cortometraggio, l’età del lavoro realizzato, la sua eventuale "non prima visione" e la provenienza geografica dei partecipanti.
L’autore si assume ogni responsabilità in merito alle possibili violazioni di altrui diritti da parte delle opere.
La partecipazione prevede un contributo di 10 euro come forma di auto-finanziamento, ma per i concorrenti è disponibile un alloggio gratuito anche se provenienti da fuori regione. La partecipazione dei cortometraggi al Festival è subordinata alla presenza di almeno un referente del gruppo di lavoro per ogni lavoro audiovisivo; in caso contrario il cortometraggio, anche se selezionato per il concorso, sarà inserito nell’edizione successiva del Festival.
INVIO DEI LAVORI
I lavori audiovisivi di comunicazione sociale, unitamente alla Scheda d’iscrizione compilata in ogni sua parte (per i minorenni è necessario allegare l’apposita dichiarazione, scaricabile dal sito) potranno essere consegnati direttamente al referente dell’Associazione “Rete dei Giovani Salerno” Gianluca De Martino o all’indirizzo email: [email protected]
Le copie dei lavori dovranno pervenire entro il giorno 23 settembre 2020, unitamente alla scheda d’iscrizione. Il fac-simile della Scheda d’iscrizione è disponibile al link http://www.giovanisalerno.it/salerno-in-corto-circuito/
AMMISSIONE AL CONCORSO
La commissione valutatrice, nell’esprimere il proprio giudizio su ciascun messaggio audiovisivo da ammettere al concorso, terrà conto di:
• efficacia comunicativa del messaggio audiovisivo;
• livello qualitativo generale del cortometraggio;
• creatività espressa.
PREMIAZIONE
La premiazione vedrà impegnata la Giuria, composta da tutti gli spettatori presenti durante la proiezione. Nel raffronto dei voti (da 1 a 5) per ciascun lavoro sarà fatta una corretta media tra le presenze dei votanti durante ogni singola proiezione.
Ogni cortometraggio sarà giudicato anche da una Giuria di esperti, che farà media con il voto del pubblico in sala.
In particolare, saranno assegnati i seguenti premi, dedicati a illustri artisti della Settima Arte:
• Premio Elvira Notari al Miglior Cortometraggio - Giuria Popolare
• Premio Ugo Pirro al Miglior Cortometraggio - Giuria Tecnica
• Premio Beatrice Vitoldi per la Migliore Recitazione - Giuria del Festival
• Premio alle Arti Vitruvio Entertainment - Giuria Vitruvio Entertainment
Ai registi dei cortometraggi vincitori del #concorso verranno consegnati una targa, un buono economico presso un rivenditore di attrezzature fotografiche, e sarà garantita la messa in onda del prodotto audiovisivo sulle emittenti televisive locali aderenti all’iniziativa, nonché sui siti web convenzionati con il Festival.
La premiazione ufficiale avverrà nel corso della serata finale, che si svolgerà domenica 4 ottobre 2020 presso il Teatro Nuovo di Salerno.
Bando e il fac-simile della scheda di partecipazione sono scaricabili anche dal sito dell’Associazione “Rete dei Giovani per Salerno”: www.giovanisalerno.it
Maggiori informazioni sulla Pagina Facebook ufficiale: Salerno in CORTOcircuito
e sul canale Instagram dell’Associazione: https://www.instagram.com/retegiovanipersalerno/
CONTATTI:
Associazione Rete dei Giovani per Salerno
[email protected] - www.giovanisalerno.it
- Si prega di dare la massima diffusione -
------------------
@assostampacampaniavallesarno @luigibisogno
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corallorosso · 6 years ago
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I cent'anni di Ferlinghetti che ha implorato «Pietà per la nazione dai capi bugiardi» «Pietà per la nazione la cui gente è pecora e i cui pastori la portano fuori strada Pietà per la nazione i cui capi sono bugiardi I cui saggi sono zittiti e i cui fanatici infestano le onde radio». l poeta nordamericano tra i padri della cultura Beat domenica 24 marzo ha compiuto la bellezza di cento anni.... Ferlinghetti è nato il 24 marzo 1919 a New York. Suo padre veniva dalla Lombardia e morì prima della sua nascita, la madre era francese-ebraico-portoghese. Combatté come soldato nella Seconda Guerra Mondiale, prese parte allo sbarco in Normandia, vide Nagasaki dopo la bomba atomica, divenne pacifista.... A cent'anni Ferlinghetti ha problemi seri agli occhi per cui non ha partecipato ai festeggiamenti, alle mostre fotografiche e alle letture delle sue poesie che San Francisco gli ha riservato. Il sindaco ha piantato un olivo in suo nome. Ferlinghetti «non ha mai scritto una pagina senza convinzione ed efficacia comunicativa, e nulla che non si possa sottoscrivere nonostante il passare delle mode. Si è commosso - scrive sul numero del mensile ora in edicola Poesia che ha dedicato la copertina all'autore californiano - ha guardato (toccato), soprattutto ha riso. C'è sempre una scintilla nell'occhio, una battuta inaspettata mentre riflette sulle lacrimae rerum». globalist
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carmenvicinanza · 2 years ago
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Lora Lamm
https://www.unadonnalgiorno.it/lora-lamm/
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Lora Lamm, illustratrice svizzera, importante protagonista della grafica dell’Italia del secondo dopoguerra.
Insieme a Anita Klinz è stata l’unica donna, negli anni del boom della pubblicità, a emergere in un mondo totalmente dominato da talenti maschili.
Il suo stile fresco e iconico, l’approccio giocoso e sperimentale, l’ha resa una delle principali contributrici del design milanese degli anni ’50 e ’60.
Nata in Svizzera, ad Arosa, nel Cantone dei Grigioni, l’11 gennaio 1928, ha studiato a Zurigo alla Kunstgewerbeschule.
Nel 1953, in pieno boom economico, come molti suoi connazionali, si è trasferita a Milano, dove ha cominciato a lavorare per lo Studio Boggeri in cui ricopriva piccoli incarichi come il packaging dei dolciumi per Motta.
In quel periodo, tutte le grandi aziende investivano sulla pubblicità dando l’occasione alle migliori menti del settore della grafica e dell’illustrazione di creare immagini e campagne passate alla storia.
Nel 1954 è arrivata alla Rinascente grazie al suo compagno di scuola e collega Max Huber, uno dei più illustri grafici del novecento che era capo del dipartimento creativo e, per i grandi magazzini, aveva disegnato il logo e l’immagine coordinata.
Ha fatto una rapida carriera, da semplice impiegata che disegnava locandine, pubblicità, cataloghi, inviti, packaging, nel 1958 sostituito Huber e diventata consulente fino al 1962, quando ha deciso di ritornare in patria. Nello stesso periodo ha lavorato per grandi marchi come Pirelli, Elizabeth Arden, Olivetti, Consorzio del Latte Milano ed altri.
Il decennio che Lora Lamm ha trascorso nel capoluogo lombardo è stato indubbiamente il suo periodo d’oro, le creazioni di quegli anni sono entrate nella storia della Grafica internazionale.
La sua tecnica di riferimento è stata l’illustrazione con risultati freschi e attuali ancora oggi. Ha creato opere dirette soprattutto al pubblico femminile, stilizzate, inaspettate, piene di colore che inducono un senso di meraviglia e coinvolgimento comunicando entusiasmo e spensieratezza.
Nel 1963 è rientrata a Zurigo come partner presso Frank C. Thiessing dove ha lavorato fino alla fine degli anni ’90.
Per La Rinascente ha dato forma a immagini aggraziate e accattivanti, sono rimaste alla storia quelle per le mostre mercato dedicate a culture come la giapponese e la messicana, che hanno fatto registrare un enorme successo di pubblico anche per merito della sua grafica allegra, giocosa e perfetta.
Le donne che ha rappresentato le somigliavano, emancipate, dinamiche, disinvolte, figlie delle ottimistiche certezze degli anni del boom economico.
Con uno stile inconfondibile, grande efficacia comunicativa e eleganza, ha contribuito a traghettare il gusto della classe media italiana verso la modernità.
La sua abitudine di conservare per sé una copia di ciascuno dei propri lavori, persino dei bozzetti, le ha permesso di dare vita all’archivio che ha donato al Museum für Gestaltung di Zurigo.
Nel 2013 il m.a.x. museo di Chiasso le ha dedicato una grande mostra personale e nel 2015 le è stato conferito il Gran Premio Svizzero per il Design.
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radheidiloveme · 7 years ago
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Assolutamente inaspettata
Sinceramente di chi non sai nemmeno chi sia...ma lui sa chi sei tu. Si lui ti conosce. Sebbene siano passati 10 anni e tu sia stata la docente di un corso per 25 ore alle superiori per un caso fortuito, una serie di eventi e di strane coincidenze. ISTITUTO PER OPERATORI SOCIALI in un paese sperduto, per me, nella bergamasca, ma era tutta salute.
Mi ricordo che quando la collega "anziana" che doveva tenerlo me l ha passato ero terrorizzata...ho accettato e decisi di fare lezione a modo mio: presi un ardua decisione di fargli provare la sordità, di fargli provate cosa significa non essere capiti, quindi l efficacia comunicativa, via libri, penne e matite e giochiamocela fra di noi. La prima mezz ora fu faticosissima io non usavo il verbale, finché qlc fece un disegno......grandissimo......potevamo....muoverci......ora......
25 ore spettacolari! Bella esperienza
Ecco lui è uno della due quinte che ora è anche padre che mi scrive parole stupende per dirmi grazie, grazie per avergli dato un pt di vista diverso, per averlo portato a pensare a COME poter fare
In tutta onestà io quasi avevo rimosso quelle 25 ore nell istituto per operatori sociali, e se non me le faceva venire in mente io proprio zero. Anzi ricordo che le mie ore erano di sabato e una delle due quinte aveva l aula a pian terreno con una vetrata spettacolare sul giardino e una volta ho anche detto
Ma se andassimo tutti in giardino e ve lo firmo come tirocinio esterno, vale?!
Sta di fatto che il COME vince sempre su PERCHÉ e di questo né sono convinta da anni.
Sono io a ringraziarlo, perché alla fine è piacevole sapere di essere riusciti a far passare i concetti che volevi con tutti i tuoi limiti del caso. Dieci anni fa ero ancora più sega di oggi 😊
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teatrogag · 4 years ago
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In occasione del decennale di ActorsPoetry Festival si è voluto dare un particolare rilievo al testo della Divina Commedia che proprio nell’interpretazione vocale recupera la sua originaria forma di fruizione e acquisisce una modalità di particolare efficacia comunicativa. Per questo sono state organizzate le serate di Lecturae Dantis nei suggestivi scenari del Chiostro di San Matteo e del Museo Diocesano che conservano elementi artistici e architettonici medievali ed echi di memorie dantesche. In questa occasione verranno interpretati da attori di alto livello professionale numerosi canti della Commedia. Ogni lettura sarà preceduta da una conferenza, da parte di studiosi di Dante, per approfondire sempre nuovi aspetti della produzione letteraria e della personalità del poeta. Roberto Trovato parlerà di “Dante e il teatro”, Rosa Elisa Giangoia di “La selva, le erbe e i fiori nella Divina Commedia” e converserà online con Kazuachi Ura, docente all’Università di Tokyo e traduttore di opere dantesche in giapponese, sulla ricezione e conoscenza di Dante nel suo paese, Marco Berisso tratterà di “Al fondo dell’Inferno: Ugolino, Branca Doria e gli altri” con intervento dell’avv. Lodovico Doria Lamba, Graziella Corsinovi illustrerà “L’anima in scena: percorsi di teatralità dantesca”, Stefano De Sando sarà impegnato nel suo spettacolo “Dante, ovvero la musica dell’endecasillabo”, Paola Martini del “Nuovo allestimento del monumento Fieschi” e infine Guido Milanese della “Musica in Dante”. 
I migliori attori di tutte le edizioni di ActorsPoetryFestival interpreteranno i Canti della Divina Commedia Alice Pagotto, David Meden, Francesca Laviosa, Roberta Barbiero con la preziosa partecipazione di Hal Yamanouchi impegnato in un esperimento di contaminazione fra Dante e Teatro NO giapponese. 
Alice Pagotto (Inferno, Canti XXVIII-XXXIV, Purgatorio, Canti XIX-XXIV). Formata all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico e al Centro Santa Cristina, lavora in teatro con importanti registi e in televisione, fra cui "Che Dio ci aiuti". Per la sua interpretazione Happy hour vince il premio per la migliore attrice protagonista al Pietrasanta Film Festival -PFF. Appassionata di audiolibri, lavora stabilmente anche in Goodmood e per altre importanti società.
David Meden (Paradiso, Canti I-V, Canti XV-XX), formato all'Accademia del Piccolo Teatro di Milano, prende parte a produzioni con Federico Tiezzi, Luca Ronconi, Harry Kupfer, Valeria de Santis e Sylvia K. Milton, Marco Ghelardi e molti altri. Quale speaker registra documentari per Sky, audiolibri per Goodmood.
Roberta Barbiero (Inferno, Canti XXIII-XXVII). Formata al Teatro Stabile del Veneto prende parte a numerose produzioni film italiane e straniere vincendo premi per le sue interpretazioni. Fra le interpretazioni televisive: Marco Polo, il Commissario Brunetti, in nome della madre. In teatro ha lavorato per il Teatro Stabile del Veneto, il Teatro a l'Avogaria di Venezia con D. Jentgens, M. Ghelardi, R. Bellandi, Terrani, C. I. Massaggia.
Francesca Laviosa (Inferno, Canti XVIII-XXII. Paradiso Canto I), genovese, diplomata al Teatro Stabile di Palermo, lavora da diversi anni nelle principali produzioni di Emma Dante. Per la sua interpretazione in Odissea A/R al Teatro di Siracusa, vince a Spoleto il premio nuovo IMAIE. 
Hal Yamanouchi (Paradiso, Canto I) non ha bisogno di presentazioni: attore, doppiatore, voce ufficiale di Ken Watanabe, è coprotagonista con Hug Jackman in Wolverine, come speaker voce ufficiale di Suzuki. Partecipa in qualità di attore a molti film in Italia e all'estero. Coreografo, vince il premio Guido Monaco e il premio Colpo di scena per la sua interpretazione nella Tempesta.
Le Lecturae Dantis, per la regia di Daniela Capurro, programmate dal 10 agosto al 12 settembre 2021, saranno tutte le sere in doppio spettacolo per permettere un maggiore afflusso di spettatori.
Per il calendario di questo ricco programma: https://teatrogag.com/wp-content/uploads/2021/08/Brochure7.pdf. 
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levysoft · 4 years ago
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Tutte le opere del mondo, siano essere serie TV, film, videogiochi o libri, condividono un intento comune: simulare i problemi dell’esistenza umana. Per rendere il concetto ancor più specifico: tutto quello che abbiamo mai visto, letto o giocato non è altro che una storia in cui il protagonista cerca una soluzione. Questo avviene perché tutti andiamo avanti nella vita avendo degli obbiettivi da conquistare: partner, figli, stipendio, promozioni lavorative, viaggi… E scopo della vita è trovare il modo di conquistare quegli obbiettivi. Per questi motivi, le storie si rifanno esattamente a queste necessità. Quindi, perché ci piacciono serie TV, libri, film e videogiochi?
La narrativa segue modelli mentali
L’evidenza narrativa di questo sistema è palese nella struttura di ogni opera narrativa, che segue questo semplice schema:
Storia = Personaggio + situazione difficile/problema + Tentativo di superamento
Tutte le storie sono un problem solving costante. Sia una puntata dei Griffin o il Titanic, tutte le opere del mondo funzionano secondo questa semplice struttura. L’unica variabile riguarda il problema da risolvere e se il protagonista riuscirà nel suo intento. Gli scrittori moderni come Stein, Joyce e Proust, vista questa trappola narrativa, hanno deciso di scrivere del nulla. Scrive Baxter, uno scrittore di fantascienza, che nella loro narrativa finzionale «non succede niente di importante […]. Per i nostri scopi, gli eventi non hanno importanza». Il che, purtroppo, rende quelle storie decisamente meno interessanti dal punto di vista dell’intreccio narrativo, rispetto alle opere in cui si mantiene un intreccio “ordinario”.
[...] Più l’intreccio, e quindi la sequenza degli eventi, sarà manchevole di alcuni elementi narrativi canonici (e quindi non seguirà uno schema che possiamo applicare anche nella nostra esperienza di storia quotidiana) più quella storia perderà di senso o di efficacia comunicativa.
La nostra mente segue uno schema narrativo che può essere semplificato nel semplice binomio di spazio e tempo, ovvero le categorie aristoteliche: quando pensiamo ad un avvenimento, dobbiamo necessariamente configurare anche un luogo e un momento (o un momento in una sequenza) in qui quell’avvenimento si è svolto. Aristotele, infatti, scrive:
“[…] quando sembra che un certo tempo stia trascorrendo, sembra che simultaneamente si stia verificando un certo movimento. Sicché il tempo è o movimento o, almeno, una proprietà del movimento.”
Senza questi due semplici punti fermi, la narrazione perderà di senso. Ma non è sempre così: alcune storie si agganciano all’esperienza dello spettatore, giocando con la sua capacità di comprendere gli eventi anche capovolgendo la linea temporale (ad esempio il film “Memento”) mantenendo però dei luoghi distinguibili. Ora è il momento di farci la domanda principale: perché apprezziamo le storie ben formate?
Perché ci piacciono serie TV, libri, film e videogiochi: neuroni specchio
Nella storia evolutiva umana un evento in particolare ha ampliato alla nostra capacità immaginativa: la simulazione. Ad esempio, I piloti di caccia che devono atterrare su di una portaerei devono avere un’esperienza enorme per riuscire ad agganciarsi al cavo che li fermerà. Quindi, piuttosto che rischiare la loro vita, prima di farli volare li fanno esercitare nei simulatori di volo. E cos’è più difficile di far atterrare un caccia su di una portaerei? Vivere. E quindi, come un simulatore di volo accresce un’esperienza vivendola senza rischi, le storie ci offrono la possibilità di simulare le diverse vicissitudini della vita (amore, gioia o dolore), senza pagarne il prezzo. Ecco perché ci piacciono serie TV, libri, film e videogiochi.
Questo atteggiamento, come vedremo a breve, è un condizionamento evolutivo. La natura ha plasmato i nostri antenati per fagli “piacere” le cose che gli offrono un insegnamento. La narrativa è un effetto (o la causa) del sistema biologico dell’empatia (anche nella concezione di catarsi) e del riconoscimento.
I neuroni responsabili, in quota parte, dell’empatia sono stati scoperti negli anni ’90, quasi per caso, da un gruppo di neuroscienziati italiani. Questi neuroni vengono volgarmente chiamati “neuroni specchio”. Sono stati involontariamente individuati con questo esperimento: dopo aver impiantato degli elettrodi nel cervello di una scimmia per verificare quali fossero le regioni neurali responsabili di, per dire, ordinare alla mano di raggiungere e afferrare una noce scoprirono, invece, che certe specifiche aree del cervello delle scimmie si attivano non solo quando gli animali afferrano una noce, ma anche ogni volta che vedono un’altra scimmia o una persona compiere la stessa azione. I neuroni specchio potrebbero essere alla base della capacità umana di creare nella mente potenti simulazioni di fronte a una finzione narrativa.
Vedere l’empatia
Come detto, tutto questo può essere inglobato nel più ampio esercizio che è l’empatia: capiamo gli altri perché il nostro cervello ha dei neuroni che cercano di simulare quello che prova chi sta davanti a noi. Le serie TV, i libri e i film, quindi, vengono “analizzati” da questi neuroni particolari e, come per qualsiasi cosa che interagisca con il cervello, ne provoca dei cambiamenti. Gli effetti di questi cambiamenti non sono analizzabili consciamente, ma è comunque possibile “vedere” il modo in cui si azionano.
In un laboratorio di studi cerebrali, alcuni neuroscienziati guidati dallo psichiatra Mbemba Jabbi hanno esaminato con la fMRI (risonanza magnetica funzionale) un gruppo di soggetti. Hanno svolto tre diversi esperimenti con un elemento in comune: il disgusto.
Inizialmente ai soggetti è stata mostrata una breve clip con un attore che beveva da una tazza e poi faceva smorfie di disgusto.
Successivamente li hanno esaminati mentre lo sperimentatore leggeva a voce alta una breve storia, come «immagina di camminare in città e di vedere un ubriaco che ti vomita addosso».
Alla fine hanno esaminato i soggetti mentre assaggiavano realmente delle bevande dal sapore disgustoso.
In tutti e tre i casi si è attivata l’insula anteriore, ovvero la regione cerebrale in cui si attiva il senso del disgusto. Nel primo caso avevano visto il disgusto, nel secondo lo avevano immaginato e nel terzo lo avevano sperimentato di persona. In tutti e tre i casi il cervello ha reagito nello stesso modo. I soggetti hanno provato sulla loro pelle il disgusto in tutti e tre i casi.
In base a questi esperimenti, abbiamo capito che quando ascoltiamo una storia o vediamo un film il nostro cervello attiva alcuni neuroni come se stessimo facendo noi stessi quell’esperienza e, come visto nell’approfondimento sull’intelligenza, l’esperienza acquisita cambia il modo in cui quei neuroni si connettono. Quando guardiamo qualcosa interveniamo direttamente sui neuroni così come quando alziamo pesi interveniamo direttamente sui muscoli. Ovviamente le nuove connessioni cambiano “semplicemente” il modo in cui interpretiamo alcune esperienze di vita.
Perché ci piacciono serie TV, libri, film e videogiochi: i imiti della simulazione
Detto tutto questo però, simulare ha dei limiti. La finzione narrativa può rivelarsi una guida terribile per la vita reale. Sarebbe devastante acquisire esperienza da Don Chisciotte o da Gregor Samsa. Bisogna sempre distinguere, da un punto di vista mentale, cosa è finzione e cosa è realtà. Da esseri umani questo processo sembra semplice, ma il cervello ha impiegato millenni per creare dei limiti all’immaginazione. A volte, però, fallisce lo stesso. I risultati di questi fallimenti sono, tra i tanti, gli psicotici e gli schizofrenici.
Inoltre, non ricordiamo quasi nessun dettaglio di quello che guardiamo. Questo significa che le nostre esperienze non si devono per forza sedimentare in ricordi affinché abbiano un effetto. Noi abbiamo due tipi di memoria: la memoria dichiarativa (esplicita) e la memoria implicita. La memoria dichiarativa è quella a cui possiamo accedere direttamente, ad esempio pensando ad un evento della nostra infanzia; la memoria implicita, invece, è quella inconscia, quella a cui non abbiamo accesso se non tramite l’ipnosi o altre tecniche.
Quando guardiamo un film, nella memoria esplicita ricordiamo bene o male come si è svolta la trama, ma in quella implicita conserviamo il succo, l’insegnamento di fondo di quell’esperienza. Le esperienze tratte dalla narrativa non coincidono con la storia in sé, ma solo con dall’interpretazione che ne abbiamo. Le variabili che riguardano il modo in cui interpretiamo un evento o un racconto, però, sono impossibili da definire individualmente. Ciononostante gli studi in questo ambito continuo a mostrare una verità: le opere narrative e le storie non sono e non sono mai state inutili, ma sono state alla base della stessa evoluzione umana.
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fiscogenova · 4 years ago
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#comunicazione #fiscogenova #commercialistagenovaromano Molto spesso sentiamo parlare di «comunicazione» e della sua importanza, soprattutto contestualizzata ad oggi. Perché parlare di comunicazione? Questo è dovuto all’esistenza di una comunicazione detta verbale e una conosciuta come non verbale. Come abbiamo detto, la comunicazione ci permette di entrare in relazione con l’altro. L’importanza di una comunicazione efficace in azienda. E’ attraverso la sua efficacia, infatti, che possono essere raggiunti i risultati attesi. Saper comunicare è importante tanto quanto sapere ascoltare. Con «ascoltare», in questo contesto, alludiamo alla capacità di decodificazione del messaggio ricevuto da parte del destinatario. Nel perseguimento di una comunicazione funzionale, quindi, non bisogna restare focalizzati solamente sul messaggo, ma anche su ciò che sta avvenendo, cercando di comprendere tutto quello che una persona trasmette. Come fare a migliorare la propria dimensione comunicativa? Per migliorare la propria capacità di comunicare e, quindi, di creare relazioni interpersonali, potrebbe essere utile una auto-analisi delle proprio relazioni quotidiane, come quelle che vengono a crearsi sul posto di lavoro. (presso Studio Commercialista Romano Sabrina) https://www.instagram.com/p/CIqO7AGJpVy/?igshid=53z4h6fksoqy
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ogryou · 7 years ago
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Auto-presentazioni dei ragazzi del Club
Grande appassionato di sperimentazioni linguistiche, alla fine del suo workshop Roberto Fassone ha assegnato un “compito” ai partecipanti, in preparazione dell’incontro con l’artista che sarebbe intervenuto dopo di lui, Angelo Plessas: comporre una piccola auto-presentazione rispettando il principio del lipogramma, cioè senza mai utilizzare una (o tutte) le lettere R, S, T. Le riportiamo tutte qui di seguito, in modo che anche voi possiate conoscere le storie di chi fa parte del Club. E magari provare a scrivere la vostra.
Maria Alegretti
“Mi chiamo Maria Allegretti, ho diciannove anni e frequento il College di Cinema della Holden, qui a Torino. Mi piacciono la letteratura, le canzoni, il teatro e tutto quello che ancora c’è da imparare. Alle OGR vorrei entrare in contatto con modi di creare che ancora non mi appartengono, e magari trovarne uno che mi permetta di narrare ogni giorno con maggiore efficacia e bellezza.”
Francesco Aloia
“Ciao! Mi chiamo France... Francè! Ho diciannove anni e vengo da Napoli; mi trovo qui a Torino per imparare nuove robe. Amo l’arte in ogni forma e faccio parte del gruppo di OGR you per approfondire e trovarmi a contatto con altri ragazzi che amano, ognuno in maniera unica ed originale, le robe che piacciono tanto anche a me. In futuro mi piacerebbe fare il romanziere, perché adoro giocare con le parole. Felice di incontrarti, Angelo. Certamente imparerò tanto anche da te!
Pietro Comba
“Ciao Angelo, quasi sempre, le persone mi chiamano Pie, a meno che non siano in collera con me. Credo che il mio nome sia il miglior nome da dire quando ci si arrabbia. Forse perché ci si incazza già a sapere che quel nome rimanda a me. Ad ogni modo, ho diciannove anni e vivo nel comune della Mole da pochi mesi, per seguire i corsi di Filosofia. Passo i miei giorni con la musica che mi accompagna sempre e in ogni luogo. Passo ore a guardare film e serie e a leggere. Ho una band, di cui fino a pochi giorni fa ero il drummer, ma ora, per via di alcuni problemi, sono il lead singer. Scrivo poesie che, spesso, divengono le parole che uso per le canzoni del mio gruppo.”
Gabriele Magro
“Mi chiamo Gabriele e sono giovane, nel senso che ho pochi anni. Sono di qui, qui è il paese che amo, qui ho le mie radici.
Sono una persona un po’ noiosa, a dire il vero. Non ho mai commesso crimini e mia mamma è fiera di me. Ho pochi amici, sempre quelli, da più di dieci anni. Fumo poco, bevo poco, cerco di non fare arrabbiare nessuno, mi piacciono le colline, la primavera, le colazioni lunghe. Oggi c’è la Champions e non vedo l’ora.
A casa ho un grosso scaffale pieno di libri, li prendo di seconda mano per risparmiare qualche soldo, eppure sono sempre senza soldi. Il mio lavoro credo sia scrivere delle cose ed aiutare dei ragazzini a prepararsi per le verifiche a scuola, in alcuni casi mi pagano pure.
Non penso si possano definire lavori, le cose che faccio.
Mi preoccupo, se penso che forse non avrò mai un vero lavoro, ma sono quasi sempre sereno.”
Margherita Martina
“Ciao Angelo! Mi chiamo come la pizza più in voga del mondo. Non è una coincidenza che il mio papà faccia lo chef. Amo l’emozione, la cerco anche flebile come quella nell’immagine di un’alba. Ho una grande voglia di nozioni nuove che non mi abbandona mai. Con quella incolmabile leggo, dipingo e faccio video.”
Tea Mulatero: 
“Ciao, il mio nome è molto breve ed è quello di una rosa che ha un buon profumo.
Sono maggiorenne dal diciannove aprile dell’anno scorso e faccio il liceo per imparare le lingue che non parlo.  
Ho parecchie passioni vicine al mondo della musica e delle immagini. In quello che faccio impiego sempre energia ed impegno.
Adoro le sfide che è la ragione per cui ho preso l’occasione del bando OGR al volo.
Spesso vado alle OGR perché penso sia un luogo sfizioso e pacifico per lavorare.”
Giulia Ninotta: 
“Ciao Angelo, mi chiamo Giulia ed ho vent’anni. Vivo a Torino da due anni, prima infatti vivevo in un villaggio in Lombardia di cui non è importante il nome, è importante però che è veramente piccolo, teoricamente conta circa tremila abitanti, di cui la maggior parte è indicabile con bambini di mille e novantacinque giorni o con over ottantacinque. Da  quando ho cambiato luogo in cui vivo anche la mia vita è cambiata: ritengo di aver imparato molti fatti riguardanti la mia identità, in particolare riguardo le mie fragilità. Ho avuto modo di guardarmi dentro, di capire chi è veramente Giulia. Probabilmente il tutto è agevolato da quello che faccio nella mia quotidianità, frequento il penultimo anno di un indirizzo molto intrigante, analizza la mente, il comportamento degli individui in gruppo o nella loro intimità, con le loro paure ed incertezze; in più mi occupo anche di tutto ciò che riguarda il funzionamento cerebrale e le relazioni tra le varie componenti interne. Rimanendo a Torino ho capito anche che probabilmente in futuro cercherò di intraprendere una via che in qualche modo attinga al mondo dell’arte, compatibilmente con ciò che faccio e che diventerò; mi piacerebbe molto lavorare in uno di quei luoghi dove i quadri vengono fatti vedere o vorrei trovare una maniera per utilizzare l’arte come cura per gli individui, in particolare utilizzando l’immaginazione delle menti etichettate come “pazze”, “problematiche” o “matte”  per traumi relativi al cervello o per traumi che hanno incontrato durante la loro vita.”
Simona Pastore:
“Sono Simona, vado al liceo Galileo Ferraris e sono una dei quindici giovani di OGR YOU. Mi considero una ragazza curiosa e solare. Amo il cinema, la musica e i romanzi francesi e mi affascinano l’Espressionismo e i quadri di Egon Schiele e Paul Klee. Sono qui in primo luogo perché la mia famiglia vive da sempre affianco alle officine, ricordandole quando erano ancora in funzione e vi lavoravano gli operai. Sono quindi curiosa di vivere i luoghi delle OGR oggi. In secondo luogo sono qui per provare una nuova esperienza: evadere dagli schemi della scuola per vivere dimensioni con un nuovo respiro. Sono sicura che non rimarrò delusa.”
Alessia Santi:
“Ciao Angelo,mi chiamo Alex,ho 18 anni e abito a Moncalieri. Frequento l'ultimo anno di liceo,e nel tempo libero mi dedico ai miei hobby come la fotografia e il cinema ; amo ogni forma d'arte e adoro imparare. Inoltre mi piace fare di tutto,non c'è niente che non mi piaccia fare!”
Vittoria Scrofani:
“Mi chiamo Vittoria, ho diciotto anni e frequento l’ultimo anno di liceo. Mi piace la fotografia. Amo fotografare principalmente la gente, perché trovo intrigante l’unicità di ognuno e i differenti modi di interagire con e alla realtà. Mi piace documentare ciò che faccio con le foto, perché  credo nella loro forte capacità comunicativa. Partecipo al progetto OGRYOU perché mi attrae ogni forma d’arte, ma anche perché voglio mettermi in gioco, confrontarmi con gente nuova, migliorarmi.”
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spazioliberoblog · 5 years ago
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di NICOLA R. PORRO ♦
La pandemia offre l’opportunità di una resa dei conti culturale con le narrazioni populiste. Alla pars destruens deve però associarsi una coraggiosa pars construens, capace di risalire, anche autocriticamente, alle cause scatenanti i populismi del Duemila e di concorrere alla rigenerazione delle nostre democrazie. 
L’operazione presenta una precondizione: riconoscere che la società esiste. Scoperta in apparenza banale ma rilevante perché né il pensiero conservatore né la vulgata populista (fatico ad associare ai populismi la categoria di “pensiero”) posseggono un’idea compiuta di cosa sia e di come funzioni una società. 
Per i conservatori la società è solo una metafora, una concessione al “tanto per dire” che qualche perdigiorno si affanna a fare oggetto di astruse analisi pseudoscientifiche. La società non esiste: esistono gli individui. Sono gli spiriti animali dell’interesse a generare la darwiniana selezione del più idoneo e con essa ricchezza, prosperità, sviluppo. Che bisogno c’è di uno Stato regolatore? Che ce ne facciamo delle complicate e noiose teorie dell’“inferma scienza” se all’ordine sociale presiederà sempre la legge del più forte, magari mitigata dal galateo della civilizzazione e da un po’di beneficenza?
Nemmeno i populismi, riducendo ogni rappresentazione culturale a tecnica della propaganda, credono all’esistenza della società. Il loro universo è dicotomico: noi e loro, l’alto e il basso, la casta e il popolo, i nordisti e i terroni, gli italiani e i migranti, chi viene prima e chi viene dopo.  Troppo faticoso e poco remunerativo sul piano del consenso misurarsi con la natura complessa e cangiante dei sistemi sociali. 
Il populismo dell’era digitale ricalca così entrambi i modelli canonici della rivoluzione comunicativa del Novecento: la propaganda politica dei totalitarismi e la colonizzazione del quotidiano attraverso la pubblicità commerciale. 
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Ho ricordato in un precedente articolo come il virus gaglioffo ci sia piombato sul collo mentre autorevoli studiosi celebravano in rete e in libreria l’avvento dell’homo deus. Per conservatori e populisti la repentina e inattesa retrocessione della specie a homo sapiens ha rappresentato un vero e proprio rito di degradazione. Invece, proprio svelando la nostra vulnerabilità, l’esperienza del contagio ha messo a nudo l’intricata trama di quelle interdipendenze negate dalle quali, abbiamo appreso, può addirittura dipendere la nostra stessa sopravvivenza biologica. 
L’esperienza della pandemia, a un secolo esatto dalla febbre spagnola, ci ha manifestato l’esistenza della società con la stessa efficacia di un ceffone sul viso: quella del covid-19 è sociologia manesca.
Ci ha fatto comprendere come la salute – privilegio dei favoriti dalla genetica, dal denaro, dalla fortuna o dalla benevolenza divina – non sia affatto riducibile a bene privato. La possibilità del contagio ne rende evidente, al contrario, la natura sociale. Il male è trasmissibile e insieme curabile: una perfetta metafora della socialità come rischio e insieme come risorsa. È però l’esistenza e l’efficienza di un bene pubblico come il sistema sanitario che rende possibile ingaggiare la battaglia più importante. È la sua discesa in campo a consentirci di impiegare a beneficio di tutti i saperi e le tecnologie di cui disponiamo. Non è un caso se i francesi lo chiamano État-Providence.
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WUHAN, CHINA – JANUARY 17: WUHAN, CHINA – JANUARY 17: (CHINA OUT) Medical staff transfer patients to Jin Yintan hospital on January 17, 2020 in Wuhan, Hubei, China. Local authorities have confirmed that a second person in the city has died of a pneumonia-like virus since the outbreak started in December. (Photo by Getty Images)
Il sistema sanitario pubblico ha rappresentato ovunque in Europa, a partire dalla metà del XX secolo, la struttura portante del sistema di welfare e ancora oggi ne misura la qualità. È l’istituzione cui appartengono gli operatori che con legittima enfasi abbiamo identificato con gli eroi della nostra “resistenza” collettiva. È la stessa istituzione contro la quale si accaniscono da cinquant’anni, a ogni latitudine, le politiche neo-liberiste ispirate ai profeti dello Stato minimo e agli adoratori del mercato. 
L’evidenza dimostra, infine, come la salute di ognuno e di tutti costituisca non solo un bene privato e un bene pubblico, ma anche un bene relazionale: un bene comune. Beni comuni sono anche il sapere scientifico, la capacità di investirlo a beneficio di tutti e l’azione solidale di tanti volontari.  Cos’altro si può aggiungere a tracciare la disfatta etica tanto del “capitalismo compassionevole” quanto del populismo antiscientista, quello dell’uno vale uno?
Attraverso il nostro corpo minacciato la pandemia rende così tangibile quella trama di intersezioni che chiamiamo società e ne ridefinisce i valori. Non sia più consentito a nessuno irridere come buonismo la solidarietà coraggiosa degli altruisti. Non si tolleri ancora la critica cialtronesca ai saperi spacciata per disvelamento di controverità celate. 
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Il paradosso consiste invece nel fatto che ci accorgiamo della consistenza materiale della società, e di quanto dipendiamo dalla sua organizzazione, dalla sua efficienza e dal suo grado di democrazia, solo quando siamo obbligati a rispettare regole che ce la sottraggono, sacrificando alle ragioni del lockdown la nostra socialità.
Secondo l’etologo Mark W. Moffett, lo studioso dello “sciame umano”, l’autoisolamento imposto dall��epidemia non ha però solo conferito evidenza alla nostra natura sociale[1]. Ha anche mostrato quanto ampia possa essere la gamma di risposte sociali prodotte dalle culture umane e come esse discendano assai più da fattori antropologici che non dalla maggiore o minore coercitività dei sistemi politici. Società dove è più radicata l’identificazione dei singoli con la collettività – si pensi alla Cina e alla Corea del sud – si sono adattate con maggiore facilità a un regime che sospendeva la socialità in nome dell’interesse superiore della collettività. Meno spontaneo è stato accettare regole restrittive in società più individualiste come le democrazie occidentali, dove la norma è sopportata come obbligazione necessaria ma l’anticonformismo è giudicato un valore e associato a personalità libere e creative. 
Un potente choc sistemico ha reso trasparente la percezione di un destino comune. La disciplina osservata dagli italiani, la prima comunità occidentale aggredita dall’epidemia, ha destato sorpresa e ammirazione. Foto di noi mascherati, inguantati e fisicamente distanziati hanno fatto il giro del mondo incrinando vecchi stereotipi sulla nostra presunta ingovernabilità (“governare gli italiani non è difficile: è inutile”, tuonava Mussolini, uno che di costrizioni se ne intendeva). Visione stereotipica: l’Italia e i Paesi della colonizzazione romana hanno conosciuto un regime statuale e l’obbligazione sociale molti secoli prima di tutti gli altri. Un eccesso di confidenza che ci autorizza a prenderci qualche libertà di troppo, ma anche un’esperienza interiorizzata che ci ha vaccinati dai rischi della cieca obbedienza. È un fatto che questo Paese di furbetti e trafficoni vanta il più esteso movimento di volontariato d’Europa.
Nemmeno ritengo giusto ironizzare sulla coreografica sarabanda inscenata nei primi giorni per darci coraggio e sull’ingenua ventata di patriottismo da coronavirus che l’ha accompagnata. Nei momenti critici ci si raccoglie tutti e sempre attorno a una bandiera. All’Italia è toccato fornire l’imprinting culturale della “resistenza”. Fosse capitato alla Svizzera, saremmo morti di noia prima che di covid… Invece ci siamo inventati gli arcobaleni dei bambini a garantire che “andrà tutto bene”, i canti e gli applausi dai balconi, Pavarotti e le Frecce tricolori…Stavolta, incredibile a dirsi, nemmeno i cugini francesi hanno sospirato “Ah, les italiens” commentando accigliati la nostra inguaribile vocazione teatrale. 
Anzi, a distanza di poche settimane tutti hanno replicato il nostro copione.  Vuol dire che sotto pelle avevamo tutti un disperato bisogno, per combattere il nemico invisibile, di incontrare, toccare, vedere la società che non si vede. Una antica vocazione teatrale ci ha restituito la rappresentazione “carnale” di un’altra costruzione della prima modernità. È quella che chiameremmo senza imbarazzo “patria” se un altro populismo, quello fascista, non avesse imbrattato di nazionalismo questo genuino sentimento popolare.
In sostanza: lo choc ci ha restituito la percezione di appartenere a una società e insieme la contraddizione che vi presiede: essere allo stesso tempo una “comunità di destino” e il nodo di una sconfinata e anonima rete globale di relazioni. Il focolare di casa e l’universo digitale sono due facce di una stessa medaglia. Questa (ri)scoperta della materialità del sistema sociale smentisce quella sua riduzione a “metafora” perseguita dall’individualismo conservatore e insieme rende evidente l’irriducibilità della nozione di popolo alla parodia che ne propongono i populismi di tutti i colori.
Il Premio Nobel Joseph Stiglitz[2] ha invitato a non “sprecare la crisi” e a concentrarsi sui suoi insegnamenti. L’elenco proposto non brilla per originalità: l’importanza della scienza, la funzione strategica del settore pubblico e dell’azione volontaria, le disuguaglianze che compromettono un diritto primario come la salute, le responsabilità del tecnocapitalismo e la necessità di un nuovo ordine mondiale. 
L’enunciazione è prevedibile, ma ha il merito di individuare il carattere globale della sfida che ci attende e la necessità di collocare a quel livello un progetto di rinascita. “Nessuno si salverà da solo” ha ammonito Papa Francesco, ma una risposta globale esige anche risposte locali a criticità che l’epidemia ha reso evidenti. Nel caso italiano segnalerei alcune priorità: (i) ripensare il rapporto centro-periferia a trent’anni dal decollo dell’esperimento regionalista, (ii) fare i conti con le strategie di allarme sociale attraverso cui le narrazioni populiste hanno inquinato la dialettica democratica e (iii) la capacità del ceto politico di far fronte alla sfida che ci attende e dai cui esiti dipenderà il rango riconosciuto all’Italia in un equilibro trasformato radicalmente. Quello italiano può rappresentare, insomma, uno straordinario caso di studio. Esso prende le mosse da una drammatica vicenda sanitaria ma si sviluppa assai al di là dei suoi confini e si intreccia con una improcrastinabile resa dei conti fra democrazia e populismo/i.
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  Maestri nel costruire nemici fittizi da additare a bersaglio della rabbia sociale – sia che il nemico sia collocato “sopra” (la casta) sia “sotto” (i migranti) – i leader populisti balbettano smarriti quando si materializza una paura reale, una minaccia tangibile. Quando la propaganda deve lasciare il posto alla realtà effettuale – fatta di competenze, capacità organizzative, senso della missione –  gli incantatori di serpenti non possono che borbottare qualche giaculatoria d’occasione e mendicare qualche inquadratura nella photo-opportunity. Il re è nudo, la sconfessione è bruciante e senza appello. Quale persona di buon senso davanti ai compiti e alle fatiche dell’emergenza può permettersi il lusso di perdere tempo con l’uno vale uno, i no-vax, i terrapiattisti, i cultori delle scie chimiche, i sovranisti, i negazionisti di tutto il negabile? Chi può ancora prendere sul serio un signore che pochi mesi fa invocava i pieni poteri ma che, privato di barconi da affondare e di migranti da lapidare, dimostra di non avere altro da offrire al Paese che un trito refrain di invettive e sospetti? 
La cultura del sospetto e la costruzione del capro espiatorio – i due capisaldi di tutte le retoriche populiste – si rivelano in frangenti simili per quel che sono: merce avariata. 
Ha tuttavia sostenuto Gianfranco Pasquino che già arrendersi all’ovvietà tanto a lungo negata rappresenta per i populisti di governo un piccolo passo avanti giacché erode un caposaldo culturale della loro narrazione. In presenza della catastrofe della sanità lombarda ai populisti di opposizione spetterà invece l’arduo compito di giustificare un trentennio di dissennata demolizione della sanità pubblica di cui sono stati responsabili o complici. Lo conferma proprio la parziale eccezione del Veneto, l’unica regione fra quelle a dominanza leghista a non aver smantellato il welfare della sanità e la più pronta ad affidarsi alle competenze scientifiche di cui fortunatamente disponeva. 
Per comprendere i processi in atto occorre insomma coniugare un quadro di riferimento ad ampio raggio con l’analisi di dinamiche più circoscritte. Ci proveremo.
NICOLA R. PORRO
[1] M. W. Moffett, Lo sciame umano, Einaudi, Torino 2020.
[2] “Joseph Stiglitz: non sprecate questa crisi”, intervista a G. Carofiglio in Robinson del 30 aprile 2020.
Nel tempo del virus. Il contagio e l’emersione della società di NICOLA R. PORRO ♦ La pandemia offre l’opportunità di una resa dei conti culturale con le narrazioni populiste.
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risorseumane-hr · 5 years ago
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Il colloquio direzionale è una sintesi di alcune pratiche dell’HRM (Human Resources Management) Nel colloquio direzionale spiccano nella loro autorevolezza le domande. Ogni manager è quindi chiamato a presidiarle, conoscerle ed utilizzarle al meglio. La loro formulazione puntuale è un esercizio retorico molto complesso, la cui efficacia si rivela unicamente attraverso la pratica costante. Ma se le domande posseggono questa inesauribile vis relazionale, poste sotto un’altra luce, si collocano al confine tra l’essere uno strumento metodologico della buona prassi comunicativa e la manipolazione più retriva.
Leggi l'articolo: "Quando la Comunicazione (manageriale) è efficace? Il colloquio direzionale e le domande nell’HR Management" di Giuseppe De Petra
https://www.risorseumane-hr.it/comunicazione-manageriale-efficace/
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