#ed è lì che ci sarà la pausa bagno
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sara-smind · 2 years ago
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Se penso che Sanremo sarà in piena sessione d'esami e io non dormirò per una settimana
💀💀💀
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lunamarish · 5 months ago
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Pausa pranzo. Vedo un mio collega disperato alla scrivania, gli prendo un caffè e vado da lui. Gli dico che spero non sia successo nulla di grave, che il lavoro ultimamente è uno schifo e che non vale la pena prendersela. "Da che pulpito..." risponde lui. Va bene, incasso. Io resto lì a guardarlo, in silenzio. "Il mio mutismo selettivo mi permette di stare qui anche sei ore a guardarti senza dire una parole, se necessario." Prima sbuffa poi chiude la porta. Mi racconta della sua crisi profonda con la moglie, del divorzio negato, delle terapie dallo psicologo, della sofferenza, dell'insonnia, e che all'ultimo la baby sitter gli ha dato buca e stasera non sa chi a lasciare il figlio. "E se ci rimanessi io, con lui?"
Finisce che vado a prenderlo dal dopo scuola, lui mi riconosce subito perchè a tutti i pranzi e le cene aziendali sono quella che fa le linguacce ai bambini di nascosto e dice "sei la collega di papà!" e lì il mio istinto materno vacillante inizia leggermente a intorpidirsi. Gli dico di farmi da navigatore, anche se so benissimo dove abita. Facciamo un po' di compiti (è in terza elementare) e prepariamo la cena. Dopo che si è fatto il bagno da solo mi chiede se lo aiuto ad asciugarsi i capelli. Si era messo il pigiama al contrario, inizio a ridere, lui con me, glielo sistemo e lui mi chiede se posso rimanere fino a che non si addormenta. Ma certo, gli dico, resto tutto il tempo che vuoi.
Diventa silenzioso, andiamo sul divano, accende disney+ e gli chiedo a cosa sta pensando. Lui mi strappa il cuore dicendomi che con me si sente molto al sicuro ed entriamo in un momento di confidenza, gli chiedo se lui si sentisse al sicuro con i suoi genitori. "No, perché loro litigano sempre e una volta li ho sentiti dire che se non c'ero io non stavano più insieme". Aldilà dei congiuntivi e della consecutio temporum cerco di rassicurarlo, dicendo che spesso i grandi dicono cose che non pensano, che quando sono arrabbiati diventano anche più cattivi, e che non doveva preoccuparsi se, a volte, i genitori litigano, può capitare.
E lì, quel piccolo esserino mi stupisce ancora. "Io se voglio bene a qualcuno non ci litigo. Se litighiamo sparisce il sorriso. Io voglio essere felice da grande, sentirmi sempre sulle nuvole senza paura di cadere. Non lo dire a mamma e a papà che li ho sentiti."
"Sarà il nostro segreto."
"Però ci torni a stare con me se mamma e papà escono?"
Dopo cinque minuti, piccolo esserino dolce si addormenta profondamente sul divano...e io pure.
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ilmerlomaschio · 4 years ago
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DUE ORE
acquari72
LA PRIMA ORA
Entro in casa di corsa senza accendere le luci e lascio la porta  chiudersi dietro di me.
Scalcio via le scarpe con il tacco 12 nel corridoio.
Dio che sollievo!
In ufficio le devo portare per forza per far bella figura con il mio tallier  ed essendo alta solo 1.60m, in qualche modo devo valorizzarmi.
Appoggio borsa  giacca sul divano. 
La luce dei lampioni esterni è  abbastanza da farmi girare tranquilla in casa senza accendere le luci.
Mi dirigo in camera spogliandomi lungo il corridoio della camicia rimanendo in reggiseno di pizzo nero.
La leggera brezza che gira in casa mi fa drizzare i capezzoli che quasi spuntano dalla stoffa leggera.
Stiracchio le braccia verso l'alto e in modo lascivo lascio scivolare le mani dal collo fino ad afferrare i seni e palparli stringendo i capezzoli.
Chiudo gli occhi e ripenso a lui..
Uhhmm!!
Oggi era fantastico con un completo Armani blu scuro, camicia celeste chiaro e cravatta blu ....
Appena i suoi occhi neri mi hanno fissato ho sentito uno spasmo nel basso ventre.
L' ho visto fare avanti e indietro dall'ufficio tutta mattina fermandosi spesso da me per questioni di lavoro, ed era sempre la stessa storia.
È da tre anni che sbavo per lui, e mi tratta sempre con garbo e cortesia.
Allora di pranzo  abbiamo fatto arrivare degli spuntini dal bar e seduti sul divano del suo ufficio abbiamo mangiato con gli altri colleghi definendo gli ultimi preparativi per il viaggio di lavoro a Londra.
Ero seduta di fianco a lui  le nostre cosce si toccavano e io andavo a fuoco!
Ai loro discorsi annuivo,  o rispondevo a monosillabi, perché  la mia attenzione era tutta concentrata sui suoi movimenti.
Alle sue mani con dita lunghe e affusolate e unghie ben curate, che afferravano il tramezzino e lo portavano alla bocca.
Bocca con labbra rosee, leggermente sottili con denti dritti che splendevano quando sorrideva.
E quanto spuntava la lingua che le leccava per togliere qualche briciola rimasta su di esse, gli spasmi al basso ventre erano sempre più fitti, e le mutandine sempre più bagnate.
Prima della fine della pausa pranzo sono corsa in bagno non resistevo più.
Dopo essermi assicurata che non ci fosse nessuno, mi sono infilata in un cubicolo ho messo un piede sul water, in modo da avere le gambe aperte  alzando la gonna, e con la mano destra ho spostando gli slip di lato e mi sono accarezzata la passerina, facendo scivolare il medio per tutta la lunghezza delle labbra.
Dire che si bagno' subito era riduttivo. Ero un lago pronto a trabordare e inondare tutto quello che incontrava. Gli accostai anche l'anulare ed insieme allargarono le  grandi labbra. L'aria fredda mi fece rabbrividire di piacere, chiudendo  gli occhi e immaginando le sue mani, li infilai dentro iniziando a muoverle su e giù e poi in circolo.
Più le muovevo, piu pensavo a lui, le sue lunghe dita dentro. E la febbre del piacere saliva.
Ma non erano abbastanza, la mia mano non riusciva a colmare il vuoto che sentivo dentro, avevo voglia... avevo smania ... di essere riempita da un cazzo.
E non uno qualsiasi, il suo!!
Volevo lui.
Nella foga di raggiungere il piacere sbottonai la camicetta e con l'altra mano mi palpai i seni strizzandoli con foga e brutalità.
Avevo voglia.
Muovendo la mano più veloce, infilai un terzo dito, che non fece nessuna fatica ad entrare, a cosce aperte i miei umori gocciolavano senza ritegno.
Ed eccola, finalmente l'onda del piacere si stava avvicinando.
Un gemito forte uscì dalle mie labbra, che subito coprii con la mano con cui accarezzavo il seno, per paura di essere sentita.
La mano tra le gambe continuava il suo lavoro.
Avanti...
Indietro...
Di lato ....
In circolo...
Il pollice che strofinava il nocciolo duro sulla punta... e il piacere...  cresceva.... cresceva.... e finalmente esplose sulla mia mano, lasciandomi appagata ma non del tutto soddisfatta!
Quando ho riaperto gli occhi mi sono ricordata di dove ero e dopo essermi ripulita e sistemata sono uscita a testa bassa dal bagno, con la paura che sul mio volto potesse leggersi quello che avevo fatto.
Ma il non vedere mi è  stato fatale.
Infatti con la mia goffaggine sono andata a sbattere contro un muro duro, e due braccia robuste hanno impedito che cadessi.
Alzai gli occhi e mi ritrovai a fissarmi in due occhi neri senza fine.
Si avvicinò al mio collo e annusandomi mi disse alzando un angolo della bocca con un ghigno.
- Lo senti anche tu questo odore!-  per poi girarsi lasciandomi lì tutta paonazza.
Sono rimasta imbambolata per qualche minuto per poi scappare in ufficio e cercare nella borsa il mio profumo e spruzzarmelo, pensando che è  assurdo che abbia sentito l' odore del mio miele.
E adesso  eccomi qui in casa da sola a ripensare a lui.. e la voglia mi riassale. Ma stavolta farò le cose per bene, doccia e poi a letto con il mio amico che non mi delude mai.
Abbasso la cerniera della gonna e mi gelo sul posto.
Due braccia robuste mi stringono, una al fianco,e l'altra mi tappa la bocca prima che possa urlare dalla paura.
Sbarro gli occhi.
E adesso!
L'uomo mi stringe a se e noto che porta pantaloni ruvidi che graffiato la pelle delicata delle gambe.
- Shhh!! Se non urli ti trattero' bene..,  altrimenti dovrò passare alle maniere forti!-  Mi sussurra all'orecchio mentre continuo a muovermi per sfuggire alla sua presa. E per farmi vedere che non scherza, serra di più la mano che ha sulla mia bocca per poi infilare l'altra  nella sua tasca, e mistrarmi un coltello a serramanico che apre, per poi lentamente far scivolare la lama lungo la guancia e poi sul collo, fino ad arrivare alla parte alta del seno.
- mhhh..... sono fortunato cosa abbiamo qui?- e così dicendo fa passare la lama tra i seni e con uno scatto secco lo taglia in mezzo per liberarli.
Essi ballonzolano per la gravità e fa passare la lama di piatto sui capezzoli turgidi che si irrigidiscono di più al contatto con il freddo del metallo. Sgrano gli occhi  ancora di più, per la paura che voglia tagliarmi...
- Allora starai buona!- Mi chiede. Sussurrando.
Faccio segno affermativo con la testa. Ci tengo troppo a non farmi male.
- Bene! Vedi di non fare scherzi o te la farò pagare!- Così dicendo mi toglie la mano dalla bocca per poi farla scendere dalla gola sulla spalla, lungo il braccio e poi risalire dalla vita, sulla pancia e fermarsi sul seno destro che palpa con dovizia. Afferra i capezzoli e li tira, li torce con le dita. Si spinge addosso a me e sento la sua erezione trafiggermi la schiena.
Sarà alto almeno venti cm più di me. Un colosso, a giudicare anche dai muscoli delle braccia che mi tengono ferma.
Lui continua a muovere la sua mano sui seni, mentre con l'altra continua la discesa.
Con un piede mi fa divaricare le gambe per poi infilare il coltello sotto l'orlo della gonna, tenderla e tagliare proprio nel centro dal basso verso l'alto.
Ho un singulto di paura ma nell'aria non si sente nient'altro che il rumore della stoffa che si lacera.
Si ferma proprio davanti alla mia passerina,  sale sulla pancia e lo piega in avanti. Trattengo il respiro e tiro indietro lo stomaco per non toccare la lama. Lui se ne accorge e fa un sibilo di piacere per poi strattonarlo forte e tagliare anche la parte alta della gonna, che come uno straccio cade per terra lasciandomi in autoreggenti e tanga di pizzo.
- uhmmm!! Vedo che sei preparata per me! Adoro le autoreggenti.. - Sibila facendo scendere la mano libera lungo le cosce. Prima di lato e poi accarezzandomi di dietro e salire fin sulla natica lasciata scoperta dal mini tanga. Li accarezza a piene mani prima uno e poi l'altro.
Quella calda carezza mi fa venire i brividi. Non usa i guanti quindi posso sentire il calore delle sue mani. Bollenti.
Un brivido di piacere e non di fastidio mi attraversa il corpo. E un sussulto mi fa quasi cadere in avanti quando schiaffeggia le natiche. Una ... due ... tre ... volte  ed inizio ad ansimare. Mentre alterna schiaffi con carezze.
Quattro... cinque... sei...
Va avanti così per non so quanto tempo, tanto che il mio corpo si eccita  ed inizio a bagnare gli slip con i miei umori...
All'ennesimo colpo un gemito esce dalle mie labbra.
- uhmmm!! Bene vedo che ti piace il trattamento!- Mi dice facendo scivolare la mano in avanti. Tra le gambe. - Oh! Si ... senti qua .... sei un lago...uhmmm ...  ancora un po' e squirti... Allora sei proprio una gran maiala!- continua insinuando due dita nella figa zuppa di umori.
- oddio!- gemo quando spinge le sue lunghe dita dentro di me e la tiene li ferme, muovendo solo i polpastrelli e accarezzando le pareti interne del sesso.
Un piacere travolgente mi assale, come la smania di muovermi su quella mano. E così faccio.
- Si brava muoviti tu... che dopo ti tocca il mio  grosso cazzo!- dice con voce graffiante. E nel mentre fa scorrere il coltello sul fianco con la lama piatta, per poi infilarlo nello slip e tagliare i pezzi laterali, prima uno e poi l'altro lasciandomi così coperta solo dalle autoreggenti. Il freddo della lama mi ha fatto fermare e irriggidire.
Sfila violentemente le dita da dentro, e nell'aria si sente come lo stappo di una bottiglia.
- che buon sapore che hai!- esclama dopo essersi leccato le dita. - Ma adesso basta scherzare .... portami in camera tua!.- comanda a voce dura spingendomi in avanti con una manata alla schiena.
- Forza cammina... ho il cazzo che mi scoppia e i pantaloni mi stanno stretti..  e tu dovrai soddisfarmi.- dice continuando a spintonarmi.
Entriamo in camera. C'è ancora il letto disfatta perché stamani non sono riuscita a rifarlo che ero in ritardo.
- ah!! Vedo che l'ordine non è il tuo forte e  vedo che sai come divertiti..- sghignazza notando il mio sex toys dimenticato sul comodino con la botiglietta di olio di fianco.
- scommetto che stanotte ti sei divertita... dimmi .... eri da sola?-
- Da sola... Non c'è nessuno... - balbetto diventando tutta rossa per l'imbarazzo.
- tra poco scoprirai cosa si prova ad avere un vero cazzo di carne ardente nella figa...... saprò io come farti godere!- Mi dice leccandomi dal mento alla guancia.
La saliva calda, un brivido di apprensione mista a piacere  mi serpeggia nel ventre, al pensiero di tutte le cose licenziose che le sue parole hanno scatenato nella mia testa.
Mi spinge sul letto, di fa cadere con il sedere sul materasso e le gambe che sfiorano il pavimento. Si allunga su di me e con una cravatta  che tira fuori dalla tasca della felpa,mi lega le mani sopra la testa.  Il mio busto spinge in avanti i seni con i capezzoli che svettano come due ciliegie mature, pronte da mordere.
Finalmente riesco a vederlo in faccia. Ha un passamontagna nero sul viso con dei fori per gli occhi e la bocca.
Spalle grandi coperte da una felpa grigia con la zip e, come supponevo, indossa dei pantaloni della tuta anch'essi grigi.
Abbasso lo sguardo sul suo inguine e noto un'erezione enorme che tende la stoffa dei pantaloni come una tenda. Spalanco la bocca per la sorpresa. Da come si era premuto  addosso me, pensavo che fosse di medie dimensioni, ma mi sbagliavo è  grosso forse più del mio toys! La gola mi si secca, per poi sentire, subito dopo, l'acquolina con la bavetta a lato delle mie labbra,al pensiero del piacere che saprà darmi. Inghiotto senza farmi notare.
Lo guardo muoversi e allungarsi sul comodino per posarvi, con mio enorme sollievo il coltello che teneva in mano.
Legata e nuda ho poche possibilità di scappare. E poi il mio corpo si sta eccitando per la situazione in cui mi trovo.
Torna a concentrare l'attenzione su di me e sovrastandomi con la sua altezza mi fissa.
Allunga le braccia e con furia afferra le mie cosce con le dita che sembrano artigli e me le spalanca. Nella stanza si sente il fruscio dello sfregare della pelle sulle lenzuola, seguito dal suo gemito alla vista della mia passera. 
- Ohhh!! Mamma!!  Sei proprio il mio tipo di figa.... brava! ... proprio come piace a me... un ciuffetto rasato a triangolo sul monte di venere, con la punta rivolta alla tua entrata che non vedo l'ora di saggiare, e il resto completamente depilato. Così quando ti lecchero' a dovere non avrò peli ad imbrattarmi la bocca.- Dice con voce roca e spostando le mani verso l'interno cosce, per poi arpionare le grandi labbra ed allargare il più possibile la mia entrata per  paradiso.
Mi sento esposta, ma anche emozionata, questa sua irruenza mi fa desiderare  cose sempre piu sporche, e sento il mio miele iniziare a scendere..
- A vedere come luccichi sembra che il mio comportamento ti stia smuovendo dentro. Bene vediamo come migliorare!- e così dicendo continua a tenermi aperta ed abbassa la testa per avvicinarsi al mio anfranto.
Quando sento la sua lingua leccarmi l'entrata, gemo di sorpresa per il piacere provato ed è  in questo momento, che mi rendo conto di essere completamente fottuta!.
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stanzadie · 4 years ago
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Ferro in Agosto
Sai come ho fatto?
Infilando le unghie nella carne non appena cominciavo a desiderare di chiamarti e raccontare. Il bruciore mi induceva a lasciarti immerso nel tuo limbo stagionale al riparo dal mio ego(t)ismo (riesco anche a vederti, gli occhi rilassati dall'assenza di ogni scadenza che si arrotondano quando incrociano la palla rossa che cala tra il fogliame).
Solo che mi annoia soffrire di un dolore così effimero, così ho guardato i piccoli fili di sangue ricamarmi la pelle del polpaccio, o dell'avambraccio, o del lembo estratto a sorte con interesse appena tiepido, anzi, addirittura scarso. Però le vedi le piccole cicatrici che movimentano l'ammirevole monotonia della pelle abbronzata? Le vedi?
Sono i piccoli post-it in cheratina che mi hanno ricordato di starti lontana. E' a loro che devi le tue vacanze meritate e serene.
E' a loro che devi questa lettera.
Ma ora andiamo, per favore?
Ti ho aspettato, per entrare.
Il luogo è fresco di umidità, al riparo dalla calura di questo torrido mattino (certo che è notte, e certo che lo so! Ma "lì" è mattino, capisci?)
Va bene, ne abbiamo già parlato, allora mi correggo: il luogo non è fresco ma freddo. F R E D D O.
La pelle raggrinzisce come se una secchiata di acqua gelata l'avesse appena trafitta, e il sollievo dall'arsura lasciata alle spalle muta in dolore leggero non appena le ossa roventi si temprano alla temperatura inattesa. Va meglio adesso?
Come promesso. Ometto le omissioni stilistiche e recido i vaporosi merletti con cui amo rivestire le cose camuffandole.
Come hai preteso, come ho promesso, tu (#tu#) non avrai sconti.
Il portoncino bianco cigola insieme alle cicale, e il piccolo atrio buio odoroso di muffa ci inghiottisce lasciandoci spauriti e titubanti come quando - ricordi?- bimbi affondati nelle coperte temevamo l'istante in cui il sonno ci avrebbe sopraffatti e dolcemente assassinati col suo nulla (non è un merletto questo, NON LO E'! - non osare dirmelo).
E' solo un attimo, poi gli occhi si allineano agli spettri della non luce e dalle ombre affiorano forme distinte e note, a me naturalmente, e a te per mia mano, tra pochissimo.
No, aspetta un secondo. Ho bisogno di allestirmi un caffé. 'Spetta, taci, non frignare.
Eccomi eccomi (…COSA?! …Ti avrei lasciato solo troppo a lungo? …Paura, tu?! …B U G I A R D O).
Ti ha incuriosito il piccolo attaccapanni sulla destra (lo sapevo, devi avere visto col tuo terzo occhio, o sentito col tuo quinto orecchio). Tre ganci tondi in ferro battuto e cupo. Non li vedi bene perché in questo momento sono nascosti da felpe e giacche di varie dimensioni estranee alla routine della casa. Prova a spostarle, e guarda meglio se vuoi. Un uomo ci ha lasciato appesa la vita, anni fa, dopo aver gridato un nome. Tutto qua, non c'è altro. Bàstatelo.
Di fronte una scala in pietra grigia, nove alti scalini, a fianco dei quali una minuscola porta di un minuscola sottoscala ospita un minuscolo bagno dove mai entrerei mezza vestita figuriamoci mezza nuda.
Attento! Ora viene il bello!
Proprio tra l'attaccapanni ed il muro che conduce all'angusto pisciatoio. C'è una porta proprio lì, dove nessuno la crederebbe possibile. Il bianco ormai giallo dell'intelaiatura ospita in un certo punto, a sinistra, più in alto della sua metà, una cartolina vista mare. Non particolarmente bella, ma particolarmente adatta a nascondere il foro che una mano inquieta ha osato aprire ancora anni fa con un brusco movimento dettato da piccola circostanza sfavorevole (o pugno, se preferisci).
Su, entriamo.
La stanza è invasa dai mobili, farcita in modo imbarazzante, non si riesce quasi ad attraversarla senza urtare lo spigolo del lungo tavolo o il piede di una delle otto sedie abitanti quei modesti metri quadrati, o la rotella della stufa a gas, o il divanetto duecentomila lire tutto compreso, vuoi che non lo sappia?
E ora non stare a immaginare chissà quali intense riunioni umane, porcellane, pietanze e gomiti tiepidi che si sfiorano in amichevole convivialità, non è il caso di sprecare tanta bella fantasia.
Quella che stai osservando è pura rappresentazione, metodica scenografia piuttosto gotica.
Questa stanza è magistrale rappresentazione di un soggiorno vissuto e usurato dal calore umano che di calore umano non ha mai sentito l'afrore, ed ogni oggetto che la occupa recita con maestria il suo ruolo immoto e privo di vita.
Non mi credi (me lo dice il modo in cui ti mordicchi il labbro inferiore), cioè sai che devi credermi (perché non mentirei) ma ti riesce difficile (vedendo ciò che vedi), e questo mi/ti/ci dimostra quanto il regista del trailer domestico sia stato efficiente: chapeau!
Guarda per esempio quel vaso in cristallo lucido, esattamente al centro del manufatto ad uncinetto - esattamente al centro ho detto, si, controlla pure, la sua base rotonda ha un diametro di dieci centimetri che equidista dai bordi del lato più lungo del centrino di altri dieci.
Credi che abbia mai accolto fiori veri? Che qualche insetto sfuggito ad una corolla qualsiasi lo abbia mai percorso in viaggio tra una zigrinatura e l'altra delle splendide incisioni a forma di stella che lo solcano per tutto il diametro? Esatto. Mai.
Sorridi adesso, eh? Però hai controllato (bastardo). Ma si, sorridi. Sorridiamo.
Del quadro che spezza la parete di fronte alla porta, appeso sotto un arco scalcinato che nessuno ha più pitturato, non ho altro da aggiungere. L'ho già fatto a suo tempo, forse ricordi e forse no - ho spesso il sospetto che tu faccia defluire le mie parole attraverso il tuo corpo senza trattenerne una ( o era tuo, il sospetto?), dicendo tutto quello che mi potevo (e dovevo) permettere.
Voglio solo precisare che quel volto inquieto di ragazza non viveva sotto quell'arco, non so chi abbia deciso di mettercelo, e ho fatto apposta a non dargli troppa importanza chiedendo chi sia stato.
Forse c'è andato da solo, non mi sarebbe difficile crederlo.
Sostava in un altro ambiente, una volta. Per guardarlo bisognava varcare nove gradini più altri cinque, e tenere la faccia fissa al muro, e le pupille rovesciate all'indietro, ed una mano sulla bocca. E lasciare che accadesse quel che accadeva.
Ma quanto tempo impieghi ad osservare tutte quelle chincaglierie, ti sembra il caso? Anche le foto ti interessano! Quelle le ho tirate fuori io, ci crederesti? A casa non ne ho in giro nessuna, e qui invece ne ho disseminate ovunque, scegliendole con cura maniacale affinché ognuna sostituisse un ricordo dimenticato. Freud direbbe che sono una criminale intenzionale. Che ho frantumato lo specchio della memoria nascosta lasciandone in giro i frammenti come mine inesplose affinché chiunque passando ne rimanga ferito. Lasciamoglielo dire. Nessuno è riuscito ad azzittirlo ed io non voglio essere la prima.
Forse la tenda rossa merita un po' di attenzione, anche perché con gli occhietti acuti è già un pezzo che mi stai silenziosamente (…SILENZIOSAMENTE?! Sono ormai praticamente sorda!) chiedendo a cosa serva quello scampolo di stoffa pesante che interrompe la stanza in un modo decisamente teatrale (e in effetti sembra proprio il sipario di un piccolo palcoscenico), e so come sei martellante quando ti ci metti (cioè sempre) e come non mi darai tregua fin quando non apriremo quella tenda imprevista, quindi apriamola - guarda però come lo faccio lentamente, come mi diverto a prolungare l'attesa con allegria un po' balorda, forte del fatto che IO so cosa ci aspetta.
E ora dimmi: TU te l'aspettavi?
Quel brusco cambio di scenografia, quel fascio di piastrelle scheggiate ed il vecchio lavello a fianco della cucina poco usata, e l'armadio tarlato privo di ante e il frigorifero nano che ronza come uno sciame di api? Tutti insieme segretamente avvinghiati ad un solo metro di distanza dall'ordine perfetto e desolante della metà, anzi no, dei tre quarti del resto del soggiorno buono?
No, ne sei sorpreso. E anch'io.
Varcare una facciata qualunque, anche nota, mi devasta sempre con la stessa dolorosa modalità. Non userò altre parole per questo quartino di camera, quindi adopera pure il tuo talento se hai voglia di disegnare le storie che si sono avvicendate dietro questo drappo vermiglio, o le cose che vi sono state celate (alcune anche da me).
Sai che non siamo qui per questo.
Che non è un giro turistico di quattro o di otto mura quello in cui ti ho chiesto di accompagnarmi.
Cioè no, in realtà non lo sai, perché non te l'ho detto -e non farmi lo sguardo dell'
"… ETTIPAREVAEQUANDOMAI !"
per favore.
Più che saperlo, lo senti. Come?
Col corpo.
Nelle viscere più aggrovigliate, nella vena più profonda della tua gamba sinistra, lì dove io risiedo.
Aspetta adesso, ci vuole un attimo di pausa. Facciamoci una sigaretta (che vuol dire che "non fumiamo"? E che importa? E a chi?). Lascia che io riprenda fiato.
Di nuovo. Eccomi. Ci sei ancora?
Riprendere a dipanare è decisamente difficile.
Ora, UDITE UDITE, dichiaro che non muoverò più un muscolo da questa sedia fin quando non avremo (avremo, hai letto bene) finito. Se ci volessi provare (a fuggire) immobilizzami, o legami, o non so. Trova tu un modo qualsiasi, ti sto autorizzando. C'è il caso (ci sarà sicuramente) che io ti preghi di desistere, che io ti neghi ogni autorizzazione concessa mentendo come una tossica in astinenza. Fai tu come meglio ti riesce (purché effettivamente ti riesca).
Non ho sorvolato su quei nove gradini, naturalmente.
Anzi si, naturalmente.
Ma tanto tu vieni sempre a scovarmi ovunque io mi nasconda. Anch'io lo faccio io con te, e non è meno difficile, solo che adesso è il mio turno di preda stanabile, e quindi cerco di prendere tempo e mi dibatto come un uccello impazzito in una grotta priva di uscite comode (ahi le ali, AHI LE ALIII!).
Tento di non dirti cose che non vorrei dirti ma che dovrei dirti.
Inizio della storia.
Prima di tutto una volta su quella scala ci sono scivolata, pesantemente, di schiena, e alla fine della corsa ho battuto la testa perdendo i sensi per qualche minuto, cosa che ha fatto temere per la mia vita con gran clamore dei pubblici astanti, e forse non avrebbe dovuto.
Un'altra volta lì trascorrevo la notte, tra il quinto ed il sesto gradino, in punizione. Il freddo di quel marmo mi è stillato come veleno nell'animo per sette anche otto ore di fila, e l'ha pietrificato. Lì, al buio, nel silenzio assenso dei sonni altrui mi sono fatta una promessa, cosa che non ha fatto temere nessuno per la mia vita, ma che forse avrebbe dovuto.
Fine della storia.
E perché ti incazzi adesso, scusa? Che ho detto?
Ah. Quello che NON ho detto. Capisco. Ancora un attimo di pazienza.
Guarda di nuovo nella solita stanza. La donna anziana siede su di una sedia, pingue eppure composta nella sua scatola di carne greve. Il piccolo televisore rimanda immagini stanche di notizie che nessuno segue, fanno da scenografia alla scenografia. Il caffè sbuffa nella macchinetta al di là della tenda, una manciata di medicinali attende sul tavolo pronta a svanire dalla scena dopo l'uso affinché l'ordine rimanga imperturbato. Alle sue spalle, curve, una donna di molto più giovane le pettina i lunghi capelli con delicata fermezza. Sono entrambe silenziose, lignei noccioli racchiusi in frutti acerbi incapaci di evolvere in generosa incoscienza.
Non si odiano, nemmeno si amano abbastanza da perdonarsi le insormontabili diversità, né esiste la necessità che questo accada.
Affettuosamente reciprocamente stanno.
Lei continua a pettinarle i capelli sapendo quanto questa coccola le piaccia e quanto non la meriti. Eppure continua a farle questo dono, sa che sarà ancora per poco.
Cinque. Cinque sono i segreti importanti che solo loro due condividono in questo istante. Il meno impegnativo riguarda la foto che la donna anziana e vanitosa ha indicato all'altra per la sua tomba, e che le figlie non vorranno mai (ma lo vorranno a forza). Insieme al vestito, alla sciarpetta di seta sul collo tozzo ed esangue, ed alle scarpe blu lucide tacco medio, ancora nuove, che aspettano nella scatola sul pianerottolo prima dell'ultima scala, quella nera.
"Ti truccherò il volto così non sembrerai pallida e deforme" è la promessa che strappa alla vecchia un sorriso compiaciuto e felice.
E quella terza donna? Che circola attorno alle altre due con scatti nervosi e repentini, senza riuscire mai ad avvicinarle, anzi respinta con forza molle come si respingono i poli uguali di una calamita?
Di lei non c'è niente da dire, anche se è per lei che siamo qui (recidere, lenire, dimenticare, tentare di giustificare senza riuscire a perdonare, perennemente disprezzare).
…E questo sapore di ferro arrugginito che all'improvviso mi inonda la bocca?
Coi denti ho appena squarciato la guancia senza rendermene conto, morirò dissanguata, proprio adesso: OH NO!
Mi giro: ci sei tu, a leccarmi le ferite (ci sei ancora?).
Stringimi forte la mano.
Ora, qui, mentre inscatolo i sospiri sepolti e sigillo il grazioso portoncino alle mie spalle senza nemmeno voltarmi indietro, STRINGILA!
Non lasciare che si accorgano di quanto stia tremando.
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katrinelillianwarren · 13 years ago
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Incarceràmus
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06.02.2068
J: Incrocia le braccia sotto il petto prosperoso e ride, una di quelle risate frenate dalle labbra, che sembrano ancora più sarcastiche. «Tu? Che volevi farmi un favore! Davvero, davvero Warren, ammirevole!» commenta fingendo un`espressione stupefatta «Eppure... perché mi rimane tanto difficile crederti? Ah sì, te lo dico io il perché...» Si stacca quindi dal parapetto, e a passi lenti si avvicina a Katrine. «Per quanto io ti ritenga una brutta schifosa figlia di un`arpia, Warren, non credo affatto che tu sia stupida, anzi... tu sapevi benissimo la scelta che avrebbe fatto Adam, inutile negarlo... lo conosci bene quanto me! Ma sarebbe stato carino provare ad illudere di nuovo quella troll della MacGregor, vero? Tanto, cotta com`è, ci sarebbe cascata subito, no?» Infossa le mani nelle tasche, e la voce si fa seria. «Non c`è gloria nel vincere una battaglia che sapevi aver già vinto in partenza, Warren... e poi, se è ancora del cuoricino del tenero Wilson che si parla, sei una vincitrice senza avversario, perché francamente... quell`esserino senza spina dorsale che ti sbava dietro come una lumaca cornuta ha perso definitivamente ogni attrattiva!» Parole cattive anche contro Adam, sì, e senza la minima remora. Pausa. «Il mio obiettivo è un altro, ora...»
K: Lascia che la corvonero parli senza problemi, senza battere ciglio, la sente muoversi, la sente ma non intende girarsi, non vuole vederla e tanto meno sentirla, cose che a quanto pare debba fare forzatamente di lì a poco «In relatà no» la chiude così al primo round, già perché i castelli della MacGregor sono totalmente fasulli, ma la bambina capricciosa pare non volerne sapere di capire «Che ti piaccia o no non mi interessa nulla di te e tanto meno di ciò che provi o meno, volevo che Adam fosse felice e tu eri la candidata ideale..tutto qui» sincera e schietta, nessun giro di parole, nessun sorrisino falso, nessun doppio gioco e tutte quelle menate da bambini «Si..ci sto credendo.. brava..» la chiude nuovamente lì, fà un`altro sospiro «Sono contenta per te..» lo dice senza troppi preamboli per poi riavviarsi verso il castello, la reale destinazione che sta cercando di raggiungere da qualche minuto.
J: Il sorriso svanisce da quelle gote, così come l`aria sarcastica dalla sua voce. Sta cercando di fare la fredda, la distaccata, ma è difficile, molto difficile... la rabbia si sta facendo largo tra le vene, e Jackie non sa per quanto ancora riuscirà a trattenerla. «Bene, perfetto, un applauso!!» esclama mettendosi a battere le mani, mentre continua a squadrare le spalle della Tassorosso con occhi di sfida. «Era qui che ti volevo! L`hai detto tu stessa... non ti interessano i sentimenti altrui... per muovere le tue marionette e completare lo spettacolino, te ne freghi di tutto e di tutti... Ebbene, ho una notizia per te, Warren! Magari in passato questo giochetto è riuscito con Wilson, con le tue bamboline Tassorosso o qualunque altro fesso in questo castello... ma nessuno, e ripeto... NESSUNO può giocare con i sentimenti di Jakilinna MacGregor e sperare di uscirne illeso! IO NON SONO LA TUA MARIONETTA, WARREN, NON PUOI MANIPOLARMI!» conclude urlando, e la destra va finalmente alla bacchetta, sfoderandola, ma rimane attaccata al corpo, senza puntare il catalizzatore da nessuna parte. «E per questo pagherai, Warren... va pure se vuoi, tornatene nel tuo buco a piangere... io sarò sempre fuori ad aspettarti, sempre... anche l`ultimo giorno dell`ultimo anno... e non sarò soddisfatta finché non avrai provato tutto il dolore che meriti!» E con questo conclude la sua minaccia, riacquistando una certa calma e compostezza.
K: Sbuffa nuovamente, e si perché per lei sta davvero perdendo troppo tempo, «In realtà non mi interessa dei TUOI sentimenti non di quelli di tutti» precisa, e si perché è meglio essere precisi in certe cose, onde evitare poi pettegolezzi inutili e infondati.Si morde un labbro trattenendo una risata al sentire pronunciare "Jakilinna"ma davvero si trattiene fin troppo; lascia passare fino a quando la Mac non impugna la bacchetta e continua a blaterare e blaterare, istintivamente la Warren estrae la sua la punta contro Jackie eseguendo un piccolo nodo con rotazione del polso «Incarceràmus!» andrebbe a pronunciare in tono calmo e pacato ma allo stesso tempo freddo e deciso. Sa a cosa và in contro, ma in questo modo sarebbe pari con lo schiantesimo di Jackie di qualche mese prima. Com`era Jackie?! la vendetta è un piatto che và consumato freddo no?!, e Kat ti ha riservato un bel dolce! Buon appettito.Nel caso tutto andasse bene, senza interruzioni di docenti e alunni, che visto l`orario e il tempo dovrebbero essere nel castello, la sestina si andrebbe ad avvicinare alla corvonero guardandola così dall`alto al basso senza lasciar trapelare alcuna emozione «Vedi Mac Gregor la differenza tra me e te è semplice» dice lentamente andando a toglierle (cercare di toglierle) la bacchetta dalle mani «Tu parli, parli, parli, e minacci io agisco..» pausa «Tu ti fai problemi su cosa la gente pensa e fà..io agisco.» un respiro profondo
«Io volevo davvero che tu Adam steste insieme, ma tu sei talmente convinta che io non provi nulla e che passi il mio tempo a pensare a come farti soffrire che non ti sei degnata neanche di pensare che io l`avessi fatto per farti felice piuttosto che per farti un dispetto, pensavo davvero che Adam potesse essere per te e tu per lui, la cosa perfetta, e non immaginavo che dopo tutto il dolore fattogli lui potesse ancora provare qualcosa per me...non sono così presuntuosa sai?! Il problema è che tu credi che io voglia farti attaccare per prima per farti passare da cattiva, ma non mi frega nulla, così la cattiva la faccio io e io se proprio devo farò perdere punti alla casata, mi sconterò la punizione, ma almeno voglio chiudere una volta per tutte il conto con te, conto aperto per troppo tempo.»
pausa
«Tu hai scatenato la belva, e tu, e solo tu ti sei data la zappa sui piedi, Adam Wilson non l`hai scordato, e non lo scorderai non perché non potrai più amare nessuno come lui, ma semplicemente perché ormai per te è un ossessione, come ossessione sono io. Lascia perdere e vai avanti, vai avanti senza pensare a come ferirmi, a come vendicarti, perché tra le due.. vinco sempre io.. e non lo dico per presunzione o per ferirti, ma lo dicono i fatti, tu mi ferisci e Adam se la prende con te, tu mi minacci e passi da str**a, tu non fai niente e la gente non si preoccupa neanche di sapere cosa fai e dove sei. Cresci MacGregor perché sei al sesto anno e ti comporti come una ragazzina viziata, io sono stata due giorni a piangere nel mio buco, ma mi sono rialzata con dignità.» 
le verità saltano fuori
«ma anche tu, hai pianto come una bambina nel salotto di casa mia, quest`estate raccontandomi tutti i problemi di tuo padre,le tue paure e i tuoi sentimenti, eppure, io, non ho detto nulla a nessuno,neanche ad Adam e sai perché?! Perché non intendo ferirti, non mi interessa ferire una persona che potrebbe tranquillamente avere il mio posto e per la quale io potrei essere al suo...se tu fossi al mio posto, io ti avrei lasciato tranquilla vivere la tua vita con lui, perché sapevo perfettamente che era quello che lui voleva. La mia intenzione sin dall`inizio era quella di essere tua amica, tua amica non per tradirti, ma tua amica semplicemente per aiutarti lontano da Adam ad affrontare e superare le difficoltà e i dispiaceri, e magari aiutarti a trovare qualche ragazzo che fosse davvero giusto per te.. ma ovviamente non mi aspetto che tu mi creda, quindi inutile che spreco ancora fiato con te..che orgogliosamente farai finta di niente e continuerai a perdere tempo cercando come vendicarti»
Si avvicinerebbe alla sestina in modo da sussurrarle ora «I gufi li ho mandati io e soltanto io, quindi non provare a torcere un solo capello ad Adam, neanche un ricciolo o una pieghetta della pergamena, perché altrimenti il dolore che proverai sarà di certo otto volte più forte di quello che puoi anche solo immaginare..» pausa e si allontanerebbe nuovamente «Se proprio anche questa voglia di vendetta sono qui, ti libero e ce la vediamo io e te».
J: La bacchetta è stretta in mano, vero, ma i riflessi della sestina non sono abbastanza reattivi, e con un solo, veloce incanto, Katrine riesce a bloccare i movimenti di Jackie, che, tutta legata da corde, cade a terra sulla schiena, come un peso morto. «Urgh! Maledizione!» sibila tra i denti nell`incassare il colpo. E come un corpo in preda agli spasmi, la Corvonero prende ad agitarsi appena la Tassorosso si avvicina. Ed il pugno va a stringersi come non mai sul catalizzatore di salice che la compagna tenta di strapparle: ok, l`ha fregata... ma non andrà pure a disarmarla, oh no! In quei movimenti da simil-vermicolo, le gambe della diciassettenne andrebbero inoltre a cercare di colpire quelle di Katrine in un maldestro tentativo di farla inciampare. Ascolta tutto il discorso di Katrine, ma a pezzi, essendo troppo presa dai tentativi di liberarsi. «Parla parla, Warren, parla quanto ti pare, tanto io non cambio idea!» esclama quasi ringhiando, mentre cerca di allontanarsi dalla figura di lei. «Puoi dire tutto quello che ti pare, inventare mille e una favole per discolparti... ma non ti aspettare che ti creda! Se c`è una cosa che ormai dovresti sapere di me, è che non cambio idea tanto facilmente» Pausa, per prendere fiato. «Buone o cattive che fossero le tue intenzioni, non mi importa un grinzafico... sono stanca di essere manipolata e gettata via come uno straccetto per le scope, e non lascerò che qualcuno giochi con i miei sentimenti mai più, hai capito, mai più!» Orgoglio, eccolo che ritorna! «Tu, mia amica? Ma fammi il favore! Neanche se tu fossi l`ultima persona sulla faccia della terra... preferirei fare il bagno nella cacca di troll e mangiarne il moccio, piuttosto...»
K: L`incanto và a buon fine, e anche il discorsone pappardella di Kat che però Jackie non pare sentire, troppo presa a muoversi con un vermicolo per cercare di liberarsi, non riesce tuttavia a disarmarla. La guarda muoversi ancora un pò «Io ti ho avvisato.. ma sarà una battaglia a senso unico..» fà spallucce e le ripunta la bacchetta contro girandola pronta riattaccare, e l`avrebbe fatto, se non fosse per qual briciolo di bontà che le rimane, e dico briciolo perché non è che ce ne sia poi così tanta «Finite Incantatem».Andrebbe a pronunciare senza perderla di mira con la bacchetta mentre questa (nel caso fosse riuscita a liberarsi) cercherebbe di rialzarsi «Ti aiuterei ad alzarti, ma mi tireresti giù con te.. e non voglio sporcarmi» andrebbe ad aggiungere facendo spallucce, ecco che torna sarcastica «Quello che avevo da dire l`ho detto, di ho avvisato.. fai tu quello che meglio credi.»  Andrebbe ad aggiungere alzando la mano in segno di saluto pronta a tornarsene verso il castello.
J: Un grande sospiro di sollievo non appena sente la presa delle corde sparire magicamente dal suo corpo. Lentamente si alza, dunque, lo sguardo sempre puntato su Katrine, guardingo, ansimando leggermente. Aspetta di rimettersi completamente in piedi prima di parlare. «Oh, lo so che è a senso unico, Warren... lo so da tempo...» favella, ed un ghigno ricompare sul volto. «Ma te l`ho già detto, non m`importa che tu risponda.... fa finta... che il mio sia un hobby, no? Che a me piaccia passare le giornate a divertirmi così. Non puoi dirmi niente... ognuno ha i suoi gusti...» Bacchetta alla mano, il pugno freme attorno a quel catalizzatore di salice, così come anche l`altro, libero. «Ah, parlare! Era solo questo che volevi! Bè... potevi dirlo prima, mia cara... e potevi convincermi ad ascoltarti senza tutta questa violenza!» E dalle labbra una risata decisamente poco amichevole; la rabbia esce con essa, incontrollata, nonostante tutti gli sforzi di Jackie per incanalarla in modo costruttivo ed intelligente. Ancora troppo impulsiva per farlo... «Ehi, aspetta un attimo! Te ne vorresti andare? E dove?» Pausa. La bacchetta punta Katrine, un rapido movimento di polso simile ad una stoccata e via, le parole tanto attese da entrambe. «Stupeficium!».
K: Errore della Warren che volta le spalle al nemico, tristezza e pateticità della MacGregor che colpisce alle spalle,l`incantesimo la colpisce in pieno scaraventandola a terra qualche metro più in là,rimane storidita per un bel pò, mentre la sestina si compiace di se stessa per un pò. Si gira lentamente con la bacchetta alla mano «Sei patetica» dice con voce tremolante rialzandosi a fatica. Si rialza e si sistema la divisa e i capelli «Contenta tu..contenti tutti..» aggiunge guardandosi intorno e andando a riprendere la tracolla volata qualche passo più avanti. «Vinco dinuovo io...» pausa «ma infondo a te che te frega...» fà spallucce e cerca di allontanarsi nuovamente un pò zoppicante, nessuna soddisfazione, nessun rancore,indifferenza.
J: Rimane ferma a vedere Katrine cadere, mentre un fremito che parte dal braccio ancora teso le scuote tutta la colonna vertebrale; un brivido quasi piacevole, una sensazione che non aveva mai provato fino ad allora. E si palesa ancora una volta quel ghigno tra le gote: un ghigno che non è suo, che stona su quel bel visino bianco... il ghigno del mostro. Ce l`hai fatta Jackie, complimenti! Sei diventata quel mostro che fingevi tanto di essere, da bambina. «Uh, grazie, lo so già da me» commenta in risposta alle parole per niente scosse della compagna «... e brava, hai azzeccato anche questa! Hai vinto tu! Perché tu sei la matura Warren, la brava Warren, quella che non si abbassa a certi livelli... e io la povera MacGregor, la patetica MacGregor, l`infantile MacGregor, che non capirà mai perché troppo immatura! Buhu!» E qui si mette a fare il verso, mentre con passi lenti e cadenzai si avvicina, sempre bacchetta tesa, a Katrine. «E vedi, vedi come sei intelligente? Hai capito tutto...NON ME NE FREGA NIENTE!» urla queste ultime parole, piegandosi in avanti con il busto. «Tutto ciò che voglio è proprio questo... e stavolta non mi fregherai con la tua logica da persona matura, non mi lascerò fermare da questo tuo fare... Miss Non Mi Importa se mi Fanno Male... perché sei come un sacco da pugile, per me... che tu reagisca o meno, è indifferente!» Pausa, e ferma anche i suoi passi, quando si trova ad un metro da lei. «Sei libera di andare, Warren, ma prima... ho un regalo per te...» Il catalizzatore puntato sul capo della sestina, la mano compie un gesto diagonale, dall`alto al basso. «Capelligravitas!» esclama. Con questa fattura, se andata a segno, i capelli di Katrine dovrebbero diventare come piombo, tanto da costringerla a camminare piegata in due.
K: Hai fatto male i conti MacGregor,perché Kat non se ne sta andando, la freghi una volta ma non due, poco prima che la corvonero finisca di parlare la tassorosso si gira e punta la bacchetta contro la sestina e dopo aver eseguito un ampio cerchio in senso orario andrebbe a pronunciare «Protègo!» se tutto dovesse andare bene l`incantesimo si andrebbe ritorcere contro Jackie con grande approvazione della sestina. Nel caso non fosse andato a buon fine si prenderebbe tutte le conseguenze del caso, ma non sarebbe comunque finita qui.Ma facciamo finta per un istante che vada tutto bene e che Jackie si ritrovi con i capelli come il piombo la nostra Kattie le si avvicinerebbe con la bacchetta puntata contro fino ad arrivare a puntargliela alla gola «Buhu» sussurrerebbe lentamente senza togliere la bacchetta dal collo della sestina
J: Nonostante il rapido gesto di Jackie, anche l`altra sestina è abbastanza rapida da voltarsi e proteggersi dalla fattura mandatale. Ok Jackie, adesso non fare la scema... i riflessi, porco gramo, dove stanno i riflessi? Non appena ode dalle labbra di Katrine pronunciare l`incantesimo di protezione, subito il braccio destro della Corvonero va in aria, in alto sopra il proprio capo, a tracciare con la punta del catalizzatore di salice un simbolo di infinito. «Protègo totalum!» esclamerebbe quindi, nel tentativo di creare una cupola di energia protettiva attorno a se. Qualora l`incanto fosse andato a buon fine, la fattura precedentemente castata si dissolverebbe, lasciando le due avversarie entrambe illese. Rimarrebbe quindi in silenzio, Jackie, spalle curve, un poco ansante, mentre la bacchetta lentamente va verso il basso. «Bene... molto bene Warren... nei hai di riflessi...» favella con voce rotta un poco dal respiro affannoso. «La nostra sfida... sarà molto più eccitante di quanto pensavo... e non finirà qui, stanne certa... ma ora, ahimè, devo lasciarti... mi aspettano!» Detto ciò, con assoluta calma e tranquillità, Jackie si rimette il cappuccio in testa, e a passi lenti si avvia verso il castello, arrivando all`altezza della Tassorosso. «Passa una buona giornata, Warren... perchè chissà quando ti ricapiterà un`occasione così...»
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app-teatrodipisa · 5 years ago
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Il fumo ai tempi del  Covid 19 — Elda Dassi
Devo scendere a buttare la carta sperando di non trovare come al solito il cassonetto già pieno,  è la quarta volta che torno su senza averlo fatto. Ora è il momento buono, lo sento. Sì, è stato vuotato da poco, è all'interno del condominio da quando è iniziata la differenziata porta a porta, non da molto, qualche mese. Non mi dispiace riprovare a controllare, è sempre una scusa per uscire da quando è iniziata la quarantena; sono a casa dal 9 marzo, quindi da una ventina di giorni, ora dovrei essere in cassa integrazione. Boh, forse, lo spererei.
E insomma, sono davanti al cassonetto della carta, la tengo sciolta e la butto un po' per volta cercando di occultare i pacchetti vuoti, che soltanto ora che li butto vedo quanti sono. Cazzo, ma quanto fumo? Sono tutti lì, non so da quanto, ma sono una quantità incredibile. Mi guardo in giro se c'è qualcuno a guardarmi... Sì, è vero, mi vergogno un po', mi sento molto tossica, cosa che sono fra l'altro, è inutile negarselo. E da quanto poi? 45 anni. Cazzo, ma è una vita! Eh sì, ne ho 60, quasi 62 per l'esattezza, e la prima volta che ho messo una sigaretta in bocca è stato a 14 anni, 14 e mezzo per l'esattezza, nel bagno di una mia amica con sua cugina. Manca poco vomito dallo schifo, la gola si contrae dopo avere inalato, subito una tosse a conato; e noi ridiamo, incoscienti, stupide, e ci passiamo la sigaretta fino alla fine,  in un patto di amicizia e complicità.
Da quel momento non ho mai smesso né ho provato realmente a farlo. Il fumo ha sempre misurato il battito delle mie emozioni: si fuma perché si è felici, depresse, nervose, esaltate, ubriache, ansiose. Si fuma dopo il caffè, per andare al bagno, perché non si prende sonno, perché si gioca a burraco...Cazzo, il burraco! Da qualche anno ho il nick name su burraco on line, livello Pegaso col nuovo aggiornamento, drago col vecchio, che era il livello più alto, ora sempre in alta classifica comunque. E' quando gioco che fumo di più: l'adrenalina, l'attesa, la vincita, la perdita, il pareggio. Sì lo so, le solite scuse del giocatore, del tossico, della dipendenza. Come dice parafrasando quel comico: "Ce l'ho tutte".
In realtà c'è stato un momento in cui avevo diminuito, a 32 anni, inizialmente perché avevo la nausea, eh sì, ero incinta, nei primi tre mesi con un senso di schifo, di ipersensibilità olfattiva, poi per senso di responsabilità restando nelle 5 sigarette giornaliere più o meno consentite per tutta la gravidanza e poi fino alla fine dell'allattamento: un anno e mezzo di quasi disintossicazione. Poi non mi aveva più sfiorato nemmeno l'idea.
E insomma sono lì che butto la carta, i pacchetti vuoti della vergogna li nascondo sotto i cartoni più grandi, in modo che non si vedano dall'alto, poi butto tutto il resto della carta e chiudo il cassonetto, E' fatta. Faccio il giro più lungo, passo da dietro dal parcheggio delle macchine e sul retro del giardino condominiale, giusto per fare il giro un po' più lungo e godermi un po' di sole primaverile, piacevole, quasi caldo, con un animo un po' più sereno che non avrei se uscissi dal cancello, sparata nella realtà da incubo con gente frettolosa in mascherina che si scansa anche se a più di un metro da te. Invece dentro ci sentiamo tutti un po' più protetti, si scopre una normalità divenuta insolita. Ci faccio più caso io o nel giardino e nel cortile siamo più di prima? Della quarantena,  intendo. Quarantena: che brutta parola, come fossimo tutti appestati. Però è vero. Malati lo siamo un po' tutti: di egoismo, di Ego, di immagine e poi le solite cose, inquinamento, riscaldamento globale, mare di plastica che mangiamo, beviamo, cachiamo. Diventati frasi luogo-comune, ormai ne parliamo come un mantra, e questo vuol dire che ne siamo già assuefatti, e quando diventa normale non è neanche più pericoloso, ce ne scordiamo. Eppure ora che è tutto fermo vediamo dei segnali nuovi: l'acqua dei fossi è trasparente, nei porti accanto alle navi giocano i delfini,  i livelli di inquinamento sono calati nelle grandi città e sembra che anche il virus si propaghi meno dove l'aria è più pulita. Chi crede nelle piaghe d'Egitto avrebbe di che pensare, ma anche per noi che non la vediamo come una punizione mandata da un Dio vendicativo, può veramente essere una occasione per riflettere su dove stiamo andando, fermare questa frenesia e cercare di curarci. Curarci: che bella parola. Non per niente la canzone scelta sui Social è proprio "La cura" che dice: "ti proteggerò, ti solleverò, ti salverò, avrò cura di te e guarirai". Se ce ne facessimo tutti carico di questi semplici insegnamenti cominciando da noi, da chi ci sta vicino e dal nostro piccolo mondo, non la faremmo, la rivoluzione? Beh, pensiamoci.
E insomma, sono in giardino, parlo con chi ha portato fuori il cane che è una cucciola di chow chow, mi dicono una seconda Mulan, la prima se n'era andata quest'inverno ed ovviamente aveva lasciato un vuoto da colmare. E' un po' più chiara della prima, è una tombolina tutto pelo, tenerezza e simpatia, come tutti i cuccioli del resto. E in giardino ci sono anche dei padri che giocano con i figli, chi a nascondino, chi a palla, chi ci fa ginnastica insieme o li vede andare in bicicletta.  Ci si racconta le cose dai terrazzi: una mia vicina è diventata nonna da poco, ha il figlio a Milano e ha visto la nipote solo in foto; un'altra vede il nipote solo dall'alto del terrazzo e si commuove. Mi sembra che siamo tutti più fragili, più esposti, più vulnerabili ma anche più veri, autentici nelle nostre umanità. Forse ce n'eravamo scordati, ci sentivamo invincibili come dei supereroi. Beh, adesso abbiamo finito le noccioline di SuperPippo, che ci vuoi fare.
Magari cercare di fumare meno e restare entro il pacchetto? Ma quante ne fumo di preciso? No, perché ne tengo un pacchetto in ogni tasca dei giacchetti, nella borsa, uno in cucina, uno in sala accanto al computer, e ho quasi finito la stecca. Cazzo, altri 50 euro in fumo! E non si trovano quasi più, queste maledette Yes-moke-grigie! Prima dal tabaccaio di Via Donnini, il mio pusher di fiducia, arrivavano di venerdì e me ne metteva sempre da parte due stecche con due accendini omaggio, poi mi ha cominciato a dare buca, ma questo già da prima di Natale. Allora ho trovato i napoletani dentro la Pam: sempre riforniti, mai un ritardo, e la garanzie dell'accendino, più o meno a richiesta. Ma stavolta sono in quarantena anche le sigarette ed è la terza volta che rimanda. Ora alterno tra le Rotmans e le Benson, che non sono certo la stessa cosa. Entro dal tabaccaio, ammicco alla signora dietro al bancone, mi fa un cenno di no col capo, ruota il dito per dirmi di tornare... Anche questa devo ammetterlo è un'altra situazione imbarazzante, deludente e però  anche molto teatrale. A 60 anni, 62 quasi per l'esattezza, patetica direi, il drogato che non trova la roba, Bella scena, da andarne fieri.
Va bene, qui ci vuole un piano d'azione, trovare strategie, favorire consapevolezze: quindi quanto cazzo fumo? Per saperlo o fare finta di non saperlo il piano è: dividere un pacchetto da 20 sigarette in 4 pacchetti da 5. La strategia è: farseli bastare nella giornata. 5 sigarette per la mattina, 5 prima metà del pomeriggio, 5 l'altra metà, e  5 dopo cena. Sembrano tante? Provare per credere: sveglia alle sette, colazione-sigaretta-bagno.  poi Cucina-caffè-sigaretta. Rifaccio la camera poi vado in cucina-sorso di caffè- sigaretta. Toeletta, vestizione, rendersi un minimo presentabile, cucina-pausa cicchino. Che ore sono? Cazzo, le 10 e ho già fumato 4 sigarette in 3 ore. E so già che la sera è anche peggio,  se sto lì a giocare poi...Le accendo in automatico senza nemmeno accorgermene. Dopo due ore praticamente ho già il portacenere pieno di cicche. E poi quando mi sdraio? L'inspirazione avviene sempre o con un rantolo o con un fischio. E meno male che vivo da sola, sennò mi ritroverei direttamente sull'ambulanza a sirene spiegate e con la bombola dell'ossigeno attaccata.
E comunque la strategia funziona, ora so quello che già sapevo: un pacchetto di sigarette al giorno non mi basta più, l'ho superato da un pezzo. Potrei addirittura arrivare a due. Cazzo!Allarme, allarme rosso, Houston abbiamo un problema. Eh già, e chi te lo deve risolvere? Perché siamo tutti bravi nella teoria della ragione: il fumo fa male, è cancerogeno, e per chi ancora non lo sapesse lo trova anche scritto sui pacchetti con tanto di foto fra il tragico e l'assurdo,  peraltro talmente finte da sembrare telenovele di serie B -sempre che esistano telenovele di serie A- come quella che vedo sul pacchetto di Benson (sigh) "Il fumo può uccidere il bimbo nel grembo materno" con addirittura la foto di una coppia abbracciata accanto ad una piccola bara bianca con tanto di fiore bianco e con una candela...bianca. E poi nel tabacco ci sono pesticidi, diserbanti, antiparassitari, per te che vai a comprare il Bio è una bella contraddizione, non trovi? E vogliamo parlare del costo? Una media di 5 euro a pacchetto si va minimo a 150 euro al mese, e  per chi ne guadagna 1200 mi sembra una buona percentuale di spesa. Si può essere più cretini? E poi la smania, la voglia di fumare quando sei al ristorante, al cinema, al lavoro, a teatro, quando devi uscire per forza anche se fuori c'è una bufera di neve, il termometro segna meno 20 e che rischi una bella congestione perché dalla foga non hai preso neanche il cappotto. E quando non ci pensi e hai anche amici tossici come te che ti chiamano per fumare insieme a loro,  e te ci vai e rifumi anche se l'avevi spenta da cinque minuti.
Eh già. Per chi fuma lo sa, il problema è grosso, l'impresa titanica, la volontà non è di ferro, la riuscita è incerta, il passo è... Com'è il passo? No, dico, il Primo Passo. Cerco tra gli aforismi "un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo" (Lao Tzu). Sarà un caso che in tempi di virus dalla Cina, m'imbatta proprio in un cinese? Leggo anche che la parte più difficile consiste nel fare il primo passo. Stavolta lo sento, i tempi sono maturi, e se non ora, quando? (Tracy Chapman - if not now) "Dobbiamo tutti vivere la nostra vita, sempre sentendo, sempre pensando che il momento giusto è arrivato".
Sì, è la mia sfida contro il Covid-19, contro l'inquinamento, la mia rivoluzione personale e collettiva, contro le multinazionali del tabacco, il mio sacrificio a questa svolta epocale, nei miei 60 anni, quasi 62 per l'esattezza, di cui 45 da tabagista convinta e recidiva... Scusate ma ho bisogno di una grossa spinta per il primo passo, sono bloccata come quando sull'orlo dell'aereo a 2000 metri, sopra le nuvole ho fatto il primo e unico lancio a tandem col paracadute e quello imbracato a me mi ha dato la spinta per saltare nel vuoto col vento che mi spazzava indietro. Cazzo, che sensazione! Lo volevo fare ma mi cacavo addosso, come ora, lo ammetto. Ma la sensazione di libertà e di esaltazione che ho provato in quel momento non l'ho mai più raggiunta. Breve ed intensa, come tutte le cose belle. E allora proviamo a farlo questo primo passo. Sì, ho deciso, a very very big decision. L'ho detto e lo faccio: da oggi SMETTO.
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mydemonicas · 6 years ago
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Mancanze
Nonostante non lo volesse dare a vedere, a Ermal mancava Fabrizio
Certo, c’erano i messaggi, le telefonate, ma la mancanza fisica era un’altra cosa 
E si, lui non era un grande amante del contatto fisico eccessivo, ma in quel momento se avesse avuto Fabrizio davanti probabilmente lo avrebbe baciato, abbracciato e accarezzato incurante delle persone che aveva davanti 
E sarà l’adrenalina che gli aveva dato lo spettacolo per MTV, sarà che non stavano insieme da troppo tempo, sarà che quel viaggio lo riportava inevitabilmente a ripensare a Lisbona, ma avrebbe consumato ogni briciolo di dignità per averlo con se in quel momento 
Lo pensava in aereo quando in automatico aveva messo una canzone degli Iron Maiden su spotify perchè “Me calmano ricciolè, ma me so’ scordato le cuffie e non sto tranquillo” “Possiamo ascoltarli insieme se vuoi”, lo pensava prima dello spettacolo quando vedeva la gente entrare e uscire dai bagni per l’agitazione e lo pensava adesso, seduto all’open bar dell’albergo in cui alloggiavano tutti i manager, inviati e artisti per MTV
E aveva quel messaggio nella chat pronto da inviare da ore e continuava a guardarlo
Cosa avrebbe pensato Fabrizio? Lui provava la stessa cosa in quel momento? 
00:53 04/11/2018 Text to Bizio: Mi manchi.
Invio
E proprio quando butta giù l’ultimo goccio di Caipirinha sente una mano sulla sua spalla
“Ehi ti cercavo! Tutto ok? C’erano dei tipi che volevano farti delle domande, ma non sapendo dove fossi li ho liquidati dicendo che eri in bagno” 
Ermal si gira e guarda Gordon, che più che un collaboratore gli ricorda un po’ un bambino troppo cresciuto 
Un Marco meno polemico e più ironico  
“Si, sto bene... stavo solo pensando” e si volta di nuovo verso il bicchiere, girando nel vetro quel poco ghiaccio che era rimasto 
“Non ci sarai mica rimasto male per la cosa del cocomero vero?” 
“Ma che -dice ridacchiando- non conosci i miei amici, sono abituato a ‘ste cose” 
“E allora cos’è, una bella ti ha rubato il cuore?” 
“Quel che ne è rimasto” e sorride, non può fare altro 
00:57 04/11/2018 Text to Ermal: Anche tu
00:57 04/11/2018 Text to Ermal: Che stai facendo?
La suoneria dei messaggi interrompe la conversazione, cosa che, alla lettura nell’anteprima del suo Iphone, lo fa sorridere come un’ebete
O forse era l’alcol 
Ma era comunque un’ebete 
“Non far attendere la tua ragazza, andrò a chiacchierare con qualcuno” gli dice Gordon prima di alzarsi e fargli un’occhiolino 
Ci mette letteralmente 0.5 secondi ad alzarsi, adocchiare il primo balcone libero disponibile e a far partire la chiamata 
“Ermal”
“Fabrizio”
“Ciao”
“Ciao” 
E Ermal può sentire il suo sorriso attraverso la chiamata, le guance che si riempiono e le rughe d’espressione agli occhi che ai suoi occhi lo rendono ancor più bello di quel che è già 
Sospirano entrambi, succedeva spesso durante le loro telefonate 
E non era una cosa che li imbarazzava, che li lasciava senza parole 
Semplicemente erano lì, vicini ma lontani, sapevano che l’altro c’era nonostante il silenzio
“Ero all’open bar dell’albergo con gli altri della produzione”
“Me raccomando nun bere troppo che poi stai male”
“Certo mamma” 
“E lo spettacolo? T’è piaciuto?” 
“I Muse sono stati spettacolari Fabrì, dovevi esserci, da brividi cazzo”
“Immagino”
Si prende un’altra pausa rollando una sigaretta mentre sente il chiaro suono dell’accendino dall’altra parte del telefono 
A volte quel loro essere coincidenti, quotidiani, lo spaventava 
Quando erano passati dall’essere praticamente due sconosciuti a questo?
“Vorrei che tu fossi qui in questo momento”
“Ermal...” 
“Io- Dio, mi manca l’aria -dice appoggiandosi alla ringhiera del balcone, Bilbao che illumina i suoi occhi, la sigaretta che brucia tra le sue dita- è bello, cazzo, è bellissimo qui, ma sento questa cosa in gola Fabrizio che tutto mi ricorda Lisbona: i viaggi, le telecamere, le prove, gente da tutto il mondo, un’organizzazione da paura e manca la cosa che più mi collega a quel viaggio” 
E riprende fiato, ha detto quelle parole così velocemente che ha il fiatone
“Ho un’adrenalina in corpo che non ne hai idea, sarà il concerto, sarà che sono un po’ brillo ma Dio se ho bisogno di te in questo momento e si c’è gente, ci sono persone e colleghi e amici ma a volte anche quando si è circondati si è comunque soli, quel tipo di solitudine che può riempire una sola persona” ricomincia a dire camminando gesticolando avanti e indietro davanti alla finestra del balcone 
E probabilmente le persone lo prenderanno per pazzo, ma gliene frega poco
“Io... ti amo” 
Ed è una consapevolezza che lo fa stare male, che rende il tutto reale e vivo e complicato
E non glielo aveva mai detto, non a parole almeno 
Traspariva dai loro sguardi, dalle loro carezze, dai gemiti soffocati dai baci in delle anonime camere d’albergo
“Se fossi lì in ‘sto momento te bacerei, ‘o sai?”
“Lo so”
“Te amo anche io”
“So anche questo” 
“‘o sai che sei stronzo?”
“Questo lo so meno” risponde ridendo, il cuore un po’ più calmo, l’animo un po’ più sereno 
“Se fossi stato qui stasera probabilmente ti sarei saltato addosso, altro che open bar” 
“Perchè sei n’animale -ridacchia Fabrizio- recupereremo quando torni”
“E se tornassi direttamente a Roma?” 
“Ecco questo sarebbe perfetto”
“Allora ci vediamo tra qualche giorno. Adesso è meglio che vada, Gordon mi darà per disperso, già sta scherzando troppo per i miei gusti”
“L’asfaltatore che viene asfaltato, che perle me sto a perde’ oh”
“Ma stai zitto”
“‘notte Ermal”
“Buonanotte, Bizio”
E adesso doveva solo aspettare
E niente, raga, questa è ‘na cosetta. Lo so che è corta corta, ma sento la loro mancanza in una maniera assurda e ho buttato giù la prima cosa che mi è venuta in mente, spero possa piacervi ugualmente. 
Fatemi sapere e alla prossima come sempre! <3 se avete qualche prompt, la mia casella come le gambe di ermal è sempre aperta.
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Capitolo 51 - Elvis, la barba e i baci di Schroedinger (Seconda parte)
Nel capitolo precedente: Eddie lascia San Diego e la sua casa a malincuore, ma deve partire con la band per proseguire il tour. Chiama Meg per avere notizie di Angie e quando scopre che la ragazza si è fatta sentire con la sua amica, ma non con lui, ci rimane un po' male, ma non pensa ci sia altro sotto. Matt e Meg hanno una conversazione chiarificatrice in cui lui le chiede scusa per il suo comportamento e le rivela di avere una nuova ragazza, notizia che Meg non prende benissimo. Angie torna finalmente a Seattle, viene a sapere che Eddie l'ha cercata, ma non lo richiama e cerca di non pensare a ciò che è successo e al bacio, di cui non dice nulla a Meg. Tornata al lavoro da Roxy, Angie riceve la visita inaspettata di Kurt e Dave, che le chiede di nuovo di uscire. 
***
“Comunque i capelli ti stanno da Dio. E' una cosa permanente o...?” Dave è al bancone per salutarmi prima di andare via, il suo amabile socio pochi passi più indietro.
“E' solo uno shampoo colorante con dei colpi di sole, poi vanno via”
“Beh ti donano un casino!”
“Seeh e in questo contesto fanno molto psychobilly.” Kurt dice la sua, alza un indice e lo fa girare a indicare lo stile della tavola calda “La parte psycho è quella che ti si addice di più ovviamente”
“Ah-ah”
“Va beh, tornando alle cose serie: hai deciso?” mi incalza Dave ed è come se stesse saltellando sul posto, ma coi piedi ben fissi a terra.
“Come posso dirti di no?”
“Beh, tipo come quando l'hai scaricato, per esempio?” Cobain risponde alla domanda retorica e si finge smarrito quando sia io che il suo amico lo guardiamo male “Cosa? Ho detto che era un esempio!”
“Allora ci vieni, grande!” Dave si scrolla il fastidio di dosso in un nanosecondo e torna ad abbagliarmi col suo sorrisone, che mi fa pensare che forse sarebbe tutto più facile se non lo avessi scaricato. Oppure no?
“Sì, ma non voglio fare troppo tardi, ok?”
“Non temere, l'importante è che resti per il concerto... e un pochino dopo il concerto, va bene?”
“Tutti questi buoni sentimenti... le mie orecchie stanno sanguinando, se vi interessa”
“No, Kurt, non ci interessa. Ci vediamo alle otto all'Off Ramp allora” mi rivolgo prima al cantante che si sta arrotolando la sciarpa attorno alle orecchie e agli occhi e poi a Dave.
“Ti passo a prendere se vuoi”
“No, tranquillo, ci vediamo lì”
**
La serata alla tavola calda passa insolitamente in fretta. Forse perché era una di quelle poche volte in cui avrei voluto non passasse. Meno sto a casa meno probabilità ho di ricevere direttamente certe telefonate... Torno a casa e quando entro nell'appartamento e vedo tutto buio penso di averla fatta franca, almeno finché la porta della stanza della mia coinquilina non si spalanca proprio nel momento in cui ci passo davanti.
“Ehi Meg, ancora sveglia?”
“Mmm” mugugna prima di dirigersi abbastanza spedita verso la cucina.
Coincidenza? Non credo. Rimango incredula nel bel mezzo del corridoio, finché non la sento aprire il rubinetto. Semplice sete. Scrollo le spalle e vado in camera mia.
“Buona notte” mormoro quando sento i suoi passi scalzi avvicinarsi di nuovo e la sua risposta consiste nell'entrare nella mia stanza e prendermi per un braccio mentre sto tirando fuori il mio pigiama da sotto il cuscino. Ovviamente rischio un infarto.
“CRISTO SANTO!”
“Angie non puoi fare così”
“Certo che posso? Mi hai spaventata a morte!”
“Intendo dire con Eddie. Tieni” Meg molla la presa solo dopo avermi messo in mano il cordless.
“Che diavolo significa?”
“Ho capito che ci sei rimasta male per San Diego, ma non puoi evitarlo per sempre”
“Meg, ma che... guarda che stai facendo un casino per niente” cerco di mantenere la calma, mentre guardo il telefono come se mi avesse appena dato un ordigno nucleare innescato. Avrà chiamato di nuovo?
“Sta' zitta e chiama Eddie” mi intima risultando tuttavia poco minacciosa, dati gli occhi semi-chiusi e il tono di chi sta praticamente ancora dormendo.
“Ma... guarda che l'ho già chiamato” mento spudoratamente e in genere mi viene abbastanza bene. Confido anche nei suoi sensi offuscati dal sonno.
“Quando?”
“Stasera” faccio per ridarle il telefono, ma non si scompone.
“Quando?”
“Stasera! Durante la pausa sigaretta”
“Dal lavoro?”
“Sì”
“Allora tutto ok?”
“Sì, gli ho lasciato un messaggio, così sta tranquillo” le restituisco il telefono e a questo punto lo prende, seppur scettica.
“Uhm... bene”
“Ok, notte Meg” acchiappo il pigiama e fuggo in bagno alla velocità della luce.
Non mi piace mentire a Meg. No, non è vero, mi piace. Cioè, non è che mi piaccia, ma lo faccio volentieri. Oddio, volentieri... Diciamo che lo faccio tranquillamente e non mi sento affatto in colpa per non averle detto del bacio. Il bacio. Ma poi sono sicura che sia successo veramente? Magari me lo sono sognato, come il sedano, Eddie che affogava, i Depeche Mode e tutto il resto. Potrebbe essere stato tutto un parto della mia mente, dalla sveglia Sonic Youth alla compagna di viaggio sul pullman. E se stessi ancora sognando? Forse andare a letto e dormirci su è il miglior modo di svegliarsi, sempre che voglia farlo.
Tanto non chiamerà più.
Esco dal bagno e verifico che la via sia libera. Mi infilo nel mio letto e appoggio la testa sul cuscino, crollando all'istante. Quando riapro gli occhi non so dire se siano passati cinque minuti o cinque giorni, ma so per certo che non è più notte per via della luce del sole che filtra dalle tendine. E dopo qualche secondo so anche che non deve essere tanto tardi perché sento la voce di Meg e questo significa che non è ancora uscita. Vado in fissa su una ragnatela nell'angolo vicino alla porta e sto quasi per fare l'equazione ragnatela = ragno, quando un pericolo maggiore e più imminente si fa largo tra i miei pensieri e la voce della mia amica si fa più chiara.
“Ma non ha chiamato ieri?”
Merda.
“Ah. Allora ho capito male. Eh? No, non è che mi abbia proprio detto così... sono io che... cioè, io l'ho vista andare in camera sua col telefono in mano, quindi ho pensato che ti avrebbe chiamato. Sicuramente voleva farlo, si sarà addormentata prima eheh. Come? No, io ti sto parlando dal telefono fisso” blatera Meg e riesco quasi a vederla mentre fa dietrofront e torna verso l'ingresso, dove sta il telefono col filo. Guarda che non ti vede, ma fidati che non gli serve per capire che stai raccontando un mare di cazzate. Meg non sa mentire, ma apprezzo il fatto che voglia pararmi il culo pur avendo scoperto che le ho raccontato una bugia.
“Aspetta che vado a chiamarla. Ma no, figurati! Tanto si deve alzare comunque. Dai, aspetta che te la passo, un secondo!” sposto il piumone con poca delicatezza, praticamente lanciandolo a terra, e dopo due secondi sono in piedi, dritta di fronte alla porta, con Patti Smith che mi guarda perplessa dal poster. Lo so, lo so, sono ridicola e infantile, ma ne possiamo discutere dopo, zietta?
“Ehi Angie? Sei sve-” Meg entra lentamente e io le metto al volo una mano davanti alla bocca, mi accerto che abbia lasciato il telefono di là e la tiro dentro richiudendole la porta alle spalle al volo.
“Io non sono qui, ok?” le dico
“Mm?” può solo mugugnare lei, con gli occhi strabuzzati.
“Ti prego, reggimi il gioco” la imploro, mentre lei cerca di liberarsi dalla stretta e rispondere.
“P..ché?”
“Dopo ti spiego tutto, per favore...” Meg alza gli occhi al cielo e annuisce. A quel segnale non posso che lasciarla andare.
“Che cazzo” riesco a leggere il suo labiale un attimo prima che sparisca di nuovo attraverso il corridoio.
Seguo con circospezione i suoi passi... metti che ci ripensa e me lo passa. Nel frattempo cerco di riorganizzare le idee per lo spiegone che mi aspetta a breve. Perché ovviamente adesso le dovrò dire tutto e lei mi prenderà per deficiente perché tutto questo non ha molto senso. O meglio, per me è perfettamente logico, ma diventa automaticamente assurdo nel momento in cui cerco di tradurlo mentalmente in parole da comunicare a un altro essere umano.
“Sì, deve essere uscita presto, non l'ho proprio sentita...” spero tanto di non commettere mai un crimine, ma in caso contrario spero di non avere Meg come unico alibi perché è talmente poco credibile che farebbe condannare persino un innocente.
“Ok, dimmi tutto. No, aspetta, la penna non scrive, ne prendo un'altra. Arrivo eh!” Meg esce dalla cucina e mi passa davanti scuotendo la testa per poi infilarsi in camera sua, uscendone con una biro blu tra le dita subito dopo.
“Eccomi. Huh-uh... Fino a domattina? Ok, glielo dico. Ma no, figurati! Lo sai come ragiona, è che lei fa orari del cazzo e magari pensa di romperti le palle. Ok, le dico anche questo. Guarda, lo scrivo! Angie non rompe mai. Va bene? Eheh ciao Eddie, buona giornata. Sì, tranquillo! Ciao!”
Faccio un bel respiro e vado incontro al mio destino. Entro in cucina già con le mani alzate.
“Che cazzo è successo, me lo vuoi dire?” Meg mi sta già aspettando, seduta sul tavolo a braccia conserte.
“E'... è complicato”
“Ti ha fatto del male?” chiede serissima e io praticamente le scoppio a ridere in faccia, per poi lasciarmi cadere sulla sedia.
“Ma chi Eddie? Ma figurati, no!”
“Ha fatto lo stronzo? Si è rivisto con la sua ex?”
“No, almeno, non credo, non finché ero lì...”
“Ma qualcosa deve essere successo, no?”
“Beh sì...”
“Avete litigato?”
“No”
“Gli hai confessato i tuoi sentimenti e-”
“Ahah quali sentimenti?”
“Taci. Gliel'hai detto e lui ti ha rifiutata?”
“Io non gli ho detto un bel niente!”
“Ne ha parlato lui di sua iniziativa?”
“Non abbiamo discusso di... quello”
“E di che avete parlato allora?”
“Non abbiamo parlato”
“Te l'ha fatto capire? Guarda, Eddie ti vuole bene, è palese. Forse ha dei dubbi per la differenza di età e lo potrei anche comprendere, anzi, è una cosa positiva. E' segno che è un ragazzo maturo e responsabile”
“Non c'è stato nessun discorso e nessun rifiuto, Meg”
“Ti ha detto Ti amo e poi ha ritrattato come Jerry?”
“No!”
“Angie, mi vuoi dire che cazzo è successo o devo tirare a indovinare per altre due ore?”
“Lui... beh...”
“Ti ha detto che è gay?”
“No!”
“E allora si può sapere che cazzo ha fatto?!”
“Mi ha baciata”
“COSA?!” Meg salta giù dal tavolo in maniera così repentina che quasi lo ribalta, assieme alla mia sedia.
“Mi ha dato un bacio. Beh, più di uno in realtà, ma tutti insieme, nella stessa occasione, quindi credo si possa parlare di un bacio solo, credo valgano come un atto singolo, ecco”
“EDDIE TI HA BACIATA?! E me lo dici così?”
“Come te lo devo dire?”
“E, soprattutto, me lo dici solo adesso?!”
“Non sono nemmeno sicura sia successo veramente...”
“ANGIE, IO TI AMMAZZO, GIURO SU DIO”
“E' stato un momento un po' strano”
“Ti ha baciata sì o no?”
“Penso di sì”
“PENSI?!”
“Sì, cioè, a questo punto, dopo aver rielaborato tutto, penso di poter dire che al 90% mi ha baciata sul serio”
“Che cazzo significa, cioè, eri fatta? Eri bendata e non sai chi ti ha messo la lingua in bocca?”
“Io non ho parlato di lingua”
“Ti ha baciata senza lingua?”
“Beh, no, cioè, sia con che senza”
“OMMIODDIO”
“Perché? Non credevo fosse un dettaglio così importante”
“Non è imporante il dettaglio, razza di imbecille! Insomma ti ha baciata? Tu ed Eddie vi siete baciati?”
“Sì”
“E quando? Cos'è successo? Com'è andata? Racconta!”
“Non hai mica detto che il dettaglio non è importante?”
“Non rompere i coglioni e racconta”
Le spiattello tutto, anche perché non mi resta altra scelta. Parto dall'inizio, cioè dal mio arrivo a San Diego.
“Ti ha baciata sulla spiaggia davanti a Jerry Cantrell? Dimmi di sì”
“No”
Le racconto del giro turistico.
“Ti ha baciata da Subway? Sulla panchina al parco?”
“No”
Aggiungo i dettagli della serata in discoteca che non le avevo riferito in precedenza.
“Ti ha baciata mentre ballavate l'Hustle?”
“Noo!”
Cerco di non perdermi in chiacchiere riassumendo la giornata con Dina, il concerto e la festa.
“Ti ha baciata nel backstage? In spiaggia al chiaro di luna mentre gli altri si bagnavano le chiappe nell'oceano?”
“No”
“Bacio della buona notte quando siete tornati a casa?”
“No, Meg”
“Angie, sto perdendo la pazienza, quando cazzo ti ha baciata?”
“Ci sto arrivando!”
“Dimmelo e basta, per favore”
“Uff alla stazione dei pullman, prima che partissi”
“Cioè, ha avuto due giorni a disposizione e ti ha baciata un minuto prima di salutarti?”
“Sì...”
“Che testa di cazzo”
“Va beh, si vede che gli è venuto così in quel momento!”
“Sì ma è un coglione, ti ha fatta penare fino all'ultimo”
“Non è vero”
“Sì che è vero”
“Non ho penato, sono stati due giorni fantastici. Ehm, sì insomma, belli, due belle giornate, serene”
“E il bacio? Com'è stato?”
“Beh...”
“Fantastico? O sereno? O anche questo solo carino?” mi prende per il culo citando una nostra conversazione di mesi prima.
“Non è stato carino, è stato... è stato... non lo so, non saprei come descriverlo, è come se avessi perso i sensi per alcuni minuti”
“Oh Angie”
“Cioè, non proprio tutti i sensi, non come in un'anestesia, perché comunque ho sentito tutto benissimo”
“Ahahah immagino”
“Era... era elettricità, calore, confusione, vento”
“Vento?”
“Sì, come quando il vento ti fa perdere il controllo dei tuoi passi e ti soffia così forte in faccia da toglierti il respiro per un secondo e quasi lo senti nello stomaco... Come quando scendi in picchiata sulle montagne russe”
“Ti sei fatta un bel giretto su Eddie La Giostra insomma”
“Però lì te lo aspetti. Invece è stato più come quando stai scendendo le scale tranquilla e metti un piede in fallo e senza accorgertene ti trovi per terra.  Solo che io non arrivavo mai a terra, Eddie mi baciava e io continuavo a cadere e basta”
“E Tom l'hai sentito?”
“Tom?”
“Jones”
“No”
“Ahahah ecco, se no sì che mi sarei preoccupata”
“Ho sentito Dave”
“Dave? Il tuo ex?”
“Gahan, dei Depeche Mode. L'ho anche visto ballare in realtà...”
“Non è che tu e Vedder vi siete scambiati anche degli allucinogeni assieme alla saliva?”
“Ero presente e assente allo stesso tempo, c'ero, ma in una forma diversa. Come l'acqua che evapora o il ghiaccio che si scioglie. Però più la prima, perché mi sentivo leggera. Evaporavo. O forse sarebbe più corretto dire che sublimavo...”
“E hai ancora il coraggio di dire che non provi sentimenti per Eddie?” Meg interrompe la mia dissertazione senza senso con qualcosa che di senso ne ha ancora meno.
“Io... io li provo, solo che, beh, ancora non ho ben chiaro quali sono”
“Non hai ben chiaro?”
“Sto... cercando di capire!”
“Penso si veda bene anche dallo spazio cosa cazzo provi, Angie”
“Allora sono io ad essere limitata perché non ci arrivo”
“Sai benissimo di che sentimenti si tratta, è solo che non vuoi ammetterlo”
“E' tutto un gran casino”
“Cos'è? Hai paura? Per quello lo stai evitando?”
“Non lo sto evitando...”
“Mi hai esplicitamente chiesto di dirgli che non c'eri, come me lo chiami?”
“Sto solo rimandando una conversazione che nessuno dei due vuole affrontare”
“Certo, ha chiamato dieci volte perché non vuole assolutamente parlare con te, mi sembra ovvio”
“Non vuole, ma sente di doverlo fare, perché è un bravo ragazzo”
“Bravo ragazzo? Scusa, cosa pensi voglia dirti?”
“Secondo te? Che è stato un errore e di dimenticare tutto”
“AHAHAHAHAHAH”
“Che c'è da ridere?”
“Ahahah sarò scema io, ma secondo me vuole dirti che non vede l'ora di fare un altro giro sulle montagne russe” Meg mima con la mano un ottovolante che va a finire dritto sul mio fianco destro.
“Piantala!”
“O sui mulini a vento” continua e si avvicina fingendo per scherzo di volermi baciare, per poi soffiarmi in faccia.
“Non sei divertente”
“Tu invece fai un sacco ridere, lo sai?”
“Io con Eddie... non esiste! E' una cosa impossibile” mi alzo e mi allontano verso il corridoio, seguita a ruota dalla mia coinquilina che non vuole proprio capire.
“Perché?”
“Perché è così”
“Non è una risposta”
“Perché... perché non c'entriamo niente”
“Oh signore...” sospira Meg, sorpassandomi proprio all'ingresso della mia stanza, per poi buttarsi sul mio letto a faccia in giù.
“Non sto dicendo che lui sia migliore di me. Tralasciamo per un momento il fatto che lo sia. Non sto parlando del fatto che io sono... boh, un pigliamosche caposcuro e lui un albatro beccogiallo dell'Atlantico. E' che siamo proprio due cose diverse, come... come... un paracarro e una poesia di Robert Frost”
“Eh?” Meg risolleva la testa dal mio piumone e mi guarda interrogativa.
“Un biglietto dell'autobus timbrato e... gli anelli di Saturno”
“Il fatto che, in entrambe le affermazioni, non fatico a capire per te chi dei due sia cosa è un brutto segno, vero?”
“Stai entrando nella mia logica”
“Ti prego, fammi uscire! Ho già mal di testa” Meg tende le braccia verso di me, ancora in piedi al centro della stanza, intenta a convincere il mio pubblico formato da un'unica persona.
“Che dovrebbe farci Eddie con me?”
“Non so, scrivere una poesia di Robert Frost sul paracarro a pennarello?”
“Usare le mie pessime metafore contro di me non mi farà cambiare idea”
“Eddie sa benissimo cosa vuole farci con te e te ne ha anche già dato un assaggio mi pare”
“Eddie ha confuso un'amicizia con qualcos'altro, tutto qui”
“No, sei tu che hai preso una persona innamorata per una persona confusa”
“Innamorata?! Buahahah addirittura?”
“Tu il vapore ce l'hai nel cervello, Angie, lasciatelo dire”
“Scommettiamo che Eddie è convinto di aver fatto una cazzata?” le propongo porgendole la mano, che lei schiaffeggia via.
“Ovvio che lo sia! Lo stai evitando. Se baciassi un tipo e questo non mi cagasse più per giorni, lo penserei pure io”
“Io dico che lo ha pensato indipendentemente dalle mie azioni successive”
“Io dico che continui a ripeterti questa storia per cercare di autoconvincerti, quando in realtà sai benissimo che esiste anche l'altra possibilità”
“Certo che lo so” Meg è riuscita a zittirmi e ci metto un po' a risponderle.
“Ha! Vedi?”
“Le due possibilità coesistono”
“Esattamente”
“E continueranno a coesistere ed essere entrambe valide, almeno finché non osservo il sistema”
“Che sistema?”
“Questa parte di universo”
“Di che cazzo stai parlando, Angie?”
“Fisica quantistica. Hai presente il paradosso del gatto di Schroedinger?” le domando sedendomi accanto a lei sul letto.
“Il gatto vivo o morto nella scatola?”
“Più precisamente, sia vivo che morto, finché non si apre la scatola”
“E il gatto sei tu o Eddie?”
“Eddie mi ha baciata, dopodiché sono partita e non l'ho più visto né sentito. E' come se lo avessi chiuso nella scatola, no? E ora siamo in una situazione di sovrapposizione quantistica, cioè due possibilità che si sovrappongono”
“Eddie pentito ed Eddie innamorato?”
“Sì... beh, più o meno”
“Il gatto è sia vivo che morto finché non apri la scatola, perciò allo stesso modo...”
“Eddie è sia pentito che, ehm, infatuato finché non ci parlo”
“Mi sembra ovvio”
“E allora dovresti aver capito perché voglio affrontarlo il più tardi possibile”
“In realtà no”
“Oh cazzo, Meg, seguimi. E' il bacio di Schroedinger, ok? In questo scenario il bacio è contemporaneamente una cosa che ha un valore e un errore che invece non significa niente”
“Ok...”
“E se io non parlo con Eddie continuerà ad essere così, giusto?”
“Giusto”
“E magari una mezza alternativa è tutto quello che mi resta, no? Se fosse il massimo a cui posso aspirare? Meglio tenersela stretta, non credi?”
“Cioè non lo chiami perché vuoi rimandare la delusione?”
“Bingo!”
“E non potevi dirla così invece di fare tutto questo discorso del cazzo?” scherza spintonandomi.
“Dimentichi che qualcuno qui fa fatica ad ammettere le cose in maniera lineare...”
“Se hai paura di rimanere delusa... vuol dire che una speranza ce l'hai!”
“Ovvio che ce l'ho! Se non ce l'avessi, sarebbe tutto così semplice. Invece no, c'è sempre una piccola stronzissima parte di me che spera in queste assurdità, è quella che mi frega”
“Quando ti metterai con Eddie riderai di tutte queste seghe mentali, Angie” Meg scuote la testa e si alza dal mio letto, avvicinandosi al quadretto del collage fatto proprio da Eddie e indicandolo in una delle foto, su cui il mio sguardo si fissa per un paio di minuti buoni.
“Cercare di alimentare le mie false speranze non mi è di nessun aiuto”
“E allora? Meglio crogiolarsi nel 50% di probabilità?”
“Sempre meglio del 100% di certezza”
“Dipende da qual è la certezza”
“Quella più logica”
“E a Eddie non pensi?”
“A cosa credi stia pensando da due giorni a questa parte? E di chi stiamo parlando da mezz'ora?”
“Intendo dire che, cazzate quantistiche a parte, e tralasciando le possibili implicazioni sentimentali, voi due siete amici e agli amici si deve sincerità e rispetto”
“Sì, lo so...”
“Un amico ti sta cercando e tu non ti fai trovare e ti neghi con delle bugie, ti sembra un comportamento corretto?”
“No, infatti non mi volevo giustificare, ma solo spiegare come ragiono”
“Ragioni col culo. Qualsiasi sia la ragione per cui ti vuole parlare, gli stai mancando di rispetto”
“E' difficile...”
“Fare la cosa giusta non è mai facile.” Meg esce di nuovo dalla mia camera, per farci ritorno subito dopo “Ora prendi il telefono, fai il numero dell'albergo di Santa Rosa che mi ha dato Eddie e scoperchi questa cazzo di scatola” Meg mi mette fisicamente in mano il cordless e il blocchetto su cui ha preso appunti mentre era al telefono con Ed.
“Adesso?”
“Subito”
“Adesso devo prepararmi, non posso, devo andare a lezione”
“Chiamalo mentre ti prepari, è un telefono senza filo, lo dice la parola stessa, puoi portartelo dietro ovunque, pure al cesso”
“Senti, ti prometto che più tardi lo chiamo”
“Cazzate, non ti credo”
“Davvero, entro oggi lo chiamo, deciso, mi hai convinta”
“Lo chiami stasera davanti a me e Grace. E col vivavoce. Cazzo, Grace andrà fuori di testa quando saprà che tu ed Eddie vi siete baciati ahah! Questa serata tra ragazze capita proprio a fagiolo”
“Ecco, a tal proposito, volevo dirti che stasera purtroppo non ci sono”
“Che vuol dire che non ci sei? Non diciamo stronzate!”
“Ho un impegno”
“Guarda che scherzavo sul vivavoce! Senti, ho pensato che potremmo fare così: Grace chiama Stone per farci due chiacchiere, poi ci aggiungiamo io e te e gli chiediamo dove sono gli altri e la trasformiamo in una chiamata di gruppo come l'altra volta. Così tecnicamente avrai parlato con Eddie, ma non da soli”
“Esco con Dave”
“Così almeno rompete il ghiaccio e uscite da quest'impasse e poi del bacio ne potrete parlare in un secondo momento, magari dal vivo... Scusa, non ho capito bene, con chi esci?”
“Dave, andiamo a un concerto”
“Cioè per paura che il gatto sia morto, ne vai a ripescare un altro?”
“Ahahah ma no!”
“Resuscitiamo un micio che avevamo già sotterrato in precedenza?”
“Non è come credi”
“Ah quindi non esci col tuo ex lasciando il ragazzo che ti ha baciata a struggersi per te?”
“No, perché non è un appuntamento! E nessuno si sta struggendo...”
“Perché non chiami Jerry a questo punto? Potreste uscire a cena domani sera”
“Va beh, io vado a farmi la doccia, se hai voglia di sapere la verità aspettami e ti racconto, se no continua pure a pigliarmi per il culo”
“Mmm entrambe le cose mi tentano, penso che non ti rivolgerò mai più la parola per farle coesistere e godermele entrambe nel mio sistema quantistico di stocazzo” ironizza mentre esco dalla camera porgendole un sentito dito medio.
“Vaffanculo Meg”
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Certo che deve essere proprio figo. Avere il posto di lavoro sottocasa. Sarebbe il mio sogno, o forse no. Da un lato avrei la comodità, non arriverei mai più in ritardo, o quasi; ma dall'altro mi sembrerebbe di non staccare mai, la mia testa sarebbe sul lavoro anche quando non sarei di turno. Ti affacci alla finestra al mattino o esci di casa nel pomeriggio ed ecco che ti becchi l'insegna del minimarket e pensi alle prossime consegne in arrivo, agli espositori nuovi da montare e il tecnico da chiamare per il banco frigo. Che palle! In questo caso però la vicinanza risulta comoda, perché mi basta attraversare la strada e sono già col dito sul citofono di casa McDonald-Pacifico. Il dito praticamente si atrofizza su questo cazzo di citofono perché dopo un quarto d'ora non mi risponde ancora nessuno. Era oggi no? Magari Meg è uscita un secondo. Eppure le luci sono accese...
“Tutto inutile Grace, è rotto” sono così impegnata a scrutare le finestre illuminate del secondo piano che non mi accorgo di Angie, spuntata sulla soglia del portone.
“Ehi, bentornata... PACCARA!” mi avvicino spettinandola per poi abbracciarla velocemente.
“Grazie. Meg te l'ha detto?”
“Sì, mi ha anticipato che stasera ci avresti tradite”
“Ti ha anche detto che è per una buona causa?”
“Certo, altrimenti non ti avrei neanche rivolto la parola”
“Ti ha detto solo questo?” chiede abbassando improvvisamente la voce, chissà per quale motivo.
Proprio in quel momento un clacson risuona squillante per ben due volte alle nostre spalle e ci voltiamo in contemporanea.
“Mi sa che è arrivato il tuo cavaliere”
“Cioè il mio compagno di sventura. Vado, buona serata e non esagerare con le maschere purificanti di Meg, mi raccomando!” Angie alza gli occhi al cielo e mi sorride prima di allontanarsi verso la macchina che l'aspetta sul ciglio opposto della strada.
Entro dal portone lasciato aperto da Angie e prendo l'ascensore. Mi dispiace che stasera non sia dei nostri, però allo stesso tempo sento che l'uscita di stasera sarà fonte di aneddoti curiosi da discutere alla prossima occasione. Nel menù di oggi, Meg mi ha promesso aggiornamenti succulenti su di lei e su Angie, ma non ha voluto anticipare nulla. Staremo a vedere! In compenso, mi ha chiesto novità su Stone e me, ma non è che ci sia molto da dire. Me lo richiede ogni volta, ma, insomma, non capisce che non ci troviamo nemmeno nello stesso stato? La fiamma non si sta né accendendo né spegnendo, è solo in stand-by. Esco dall'ascensore e attraverso il lungo corridoio, reso un po' inquietante da una delle lampadine del soffitto che sfarfalla. Giro l'angolo e mi ritrovo praticamente faccia a faccia con Meg, che sta uscendo dall'appartamento con il portafoglio in mano.
“Non dirmi che pacchi anche tu e la serata è annullata, perché in tal caso non vi parlo più, né a te né alla tua coinquilina rubacuori”
“Ahahah no, stavo scendendo ad aspettare te e il tipo delle pizze perché adesso non funziona nemmeno il citofono in questo condominio del cazzo”
“Sì, ho incontrato Angie che mi ha aperto, se no sarei ancora fuori al gelo”
“Dai, entra pure, tanto dovrebbe arrivare tra poco, io torno subito. E preparati psicologicamente perché ho un sacco di cose assurde da raccontarti!”
“Ho già capito che il film non lo guarderemo neanche” sorrido entrando in casa, mentre Meg si allontana stringendosi nella giacca.
“Non ci servirà il film, fidati... Arrivo!”
Salt lick dei Tad è il primo disco della serata che scelgo di mettere su, anche se la serata non è ancora iniziata, considerando che Meg è ancora di sotto ad aspettare il ragazzo delle consegne. Mi affaccio dalla finestra per vedere se arriva qualcuno, ma per ora niente. Mi siedo sul divano e comincio a giocare con le birre già sistemate sul tavolino di fronte, allineandole prima per due poi per tre, finché non ne avanza una, che apro subito per me. Mi rialzo e gironzolo per la casa per ingannare l'attesa. A dire il vero non guardo qua e là, ma vado diretta verso un punto, il frigorifero in cucina, e inizio a scrutarlo in cerca delle novità, che non tardo a scoprire. Una calamita che raffigura un panda, un'orca e un sole sorridente col cappello circondati da palme e dalla scritta SAN DIEGO. Attaccata con la stessa calamita c'è anche una cartolina dal gusto retrò, con una spiaggia al tramonto, una serie di auto d'epoca su cui sono legate delle tavole da surf e quattro sagome di surfisti, due ragazze e due ragazzi. Sapevo che avrebbe arricchito la sua collezione. Sto osservando con attenzione le lunghe ombre dei surfisti della cartolina quando vengo scossa dallo squillo improvviso del telefono. Ci penso un po' prima di rispondere, dibattendo interiormente sul da farsi, dopotutto non sono a casa mia... ma se è una cosa importante? Magari è la pizzeria che avvisa del ritardo.
“Pronto?”
“Oh sia ringraziato il cielo! E io che mi ero già messo l'anima in pace pensando di dovermi sorbire le paturnie di Meg ed Angie prima di poter parlare finalmente con te” la voce dall'altra parte mi fa solo rimpiangere di non aver risposto al primo squillo.
“Ehi Stone”
“Ciao, amore. Come stai? Sei ancora sobria? Hai già lo smalto sui piedi?” ecco, non poteva fermarsi al semplice sarcasmo? Due frasi, due cose che stonano. Ci sto già ripensando, forse se non rispondevo era meglio.
“Eheh no. Cioè, sì sono sobria e no, le mie unghie sono... sono come prima, tutto uguale”
“Tutto bene? Ti sento strana... Meg ti sta minacciando con una pinzetta per le sopracciglia? Se non puoi parlare non rischiare, dimmi una frase in codice, qualcosa che passi del tutto inosservato in una conversazione tra fidanzati, tipo Gli avevano sparato in faccia, così la madre non poteva fargli il funerale con la bara aperta...”
“Eheh no, tutto tranquillo, solo un po' spaesata. Comunque Meg non c'è, è di sotto che aspetta il ragazzo delle pizze. Citofono rotto”
“Sì beh, in effetti questa frase passerebbe molto più inosservata. Chiamo il 911”
“Tu come stai? Non devi suonare stasera?”
“Sì, infatti siamo nei camerini, che poi sarebbero una specie di succursale dei bagni”
“O viceversa” la sento appena, ma la voce che interviene è inconfondibile.
“O viceversa, come dice giustamente Eddie, non l'abbiamo ancora capito”
“Guarda! Qui c'è il numero di telefono di Mike Patton” anche Jeffrey dice la sua in questa telefonata incasinata.
“Ora metto giù con te, tesoro, e lo chiamo subito. Sicuramente sarà il suo, dopotutto una scritta nei bagni di un locale di Sacramento mi sembra una fonte più che attendibile”
“Ma non erano i camerini?” chiedo sghignazzando e per un attimo contemplo l'idea di chiederglielo anch'io quel numero. La prenderebbe male?
“Eh te l'ho detto che non l'abbiamo ancora capito!”
“Ci hanno suonato i Faith No More, non deve essere un brutto posto comunque”
“Credo più i Mr Bungle. Però non è male, a parte gli scherzi credo sia uno dei locali più fighi in cui siamo stati finora, anche se è grande quanto il tuo appartamento”
“Ed è pieno di gente!” urla Jeff, probabilmente ingoiando la cornetta.
“Confermo quanto detto dal cavernicolo. Gente che è qui per gli Alice ovviamente”
“Che ne sai? Non buttarti giù così” provo a consolarlo, anche se so benissimo che non ne ha bisogno.
“Mica mi butto giù, è la verità. Al 99% non ci conoscono, siamo noi che ce li dobbiamo conquistare”
“E allora vai e conquistali!” lo incito e solo dopo mi accorgo che potrebbe suonare come se volessi chiudere la chiamata subito. Ma non voglio. Davvero! Quando non mi ricorda ogni cinque minuti che è il mio ragazzo, mi trovo perfettamente a mio agio in questa conversazione.
“Sarà fatto, cara. E' arrivata la pizza? E l'alcol? Sei ancora sobria?”
“Ahah i tuoi compagni penseranno che sono un alcolizzata! Comunque niente pizza. E ora che ci penso, ho una fame assurda”
“Dai resisti. A me si è chiuso lo stomaco, sai che è sempre così per me prima di salire sul palco”
“Eheh sì, me l'avevi detto. Non essere nervoso”
“Non sono nervoso, sono realista. Io faccio il mio, ma ci sono altre quattro variabili per la riuscita di un concerto, hai presente?”
“Eheh quattro variabili in carne ed ossa, che ti disturbano mentre mi chiami?”
“Esatto. Però adesso mi hanno lasciato solo, saranno andati a cercare l'altro nostro chitarrista visto che tra poco tocca a noi”
“Si parlava di sobrietà...”
“Appunto. Comunque sarebbe troppo melenso e fuori luogo da parte mia dirti che mi manchi e vorrei fossi qui con me?”
“Sì, decisamente, Stone” ho l'impressione di aver trattenuto il respiro prima di parlare, sarà stato troppo lungo il mio silenzio? Riuscirò a farla passare come una pausa comica?
“Ok, allora non te lo dico. Ops, sta tornando una variabile. C'è Eddie, dobbiamo fermarci col sesso estremo al telefono per ora, scusa piccola”
“Cazzo, Stone” sento Vedder borbottare qualcosa che sa di imbarazzo, mentre Stone ridacchia nella cornetta.
“Stavo evidentemente scherzando, credi che se facessi sesso telefonico estremo con la mia ragazza verrei a dirlo a te?”
La mia ragazza, ribadiamolo ancora, perché forse non si era capito.
“Lascia stare Eddie, non metterlo in imbarazzo”
“Come? Adesso?” Stone parla, ma chiaramente non con me “Che le devi dire? Ah aspetta, ho capito! Grace, scusami, Eddie ti vuole parlare un secondo, te lo passo”
“Vuole parlare... con me?” non credo proprio di essere io l'oggetto del suo interesse, ma probabilmente è la grande assente della serata quella con cui vorrebbe parlare. Da quanto mi ha anticipato Meg, né la visita a sopresa di Angie né il cambio di look sono bastati a scuotere il bel surfista dal suo torpore. E adesso lei lo sta un po' evitando. E io la capisco, cioè, so come ragiona e ovviamente lei farà finta di nulla perché 'tanto, figurati, a me Eddie mica piace' e 'sono andata a San Diego per vedere i ragazzi' e altre stronzate simili. Ma è chiaro che lei un po' ci sperava e invece lui niente. Ci sarà rimasta malissimo. E se si fosse messa in mezzo la ex di lui? Quello sì che sarebbe stato un colpo duro da digerire, persino per la sempre (all'apparenza) impassibile Angie.
“Se ti propone sesso estremo al telefono dimmelo eh?”
“Ahahah piantala e passamelo”
“Buona serata, amore”
“Anche a te... e in bocca al lupo” perché cazzo deve sempre aggiungerci qualcosa alla fine?!
“Ehm ciao Grace” la voce profonda di Eddie suona un po' più acuta, sarà l'imbarazzo. O l'impazienza? Sicuramente vorrà chiedermi di Angie. E per la diciottesima volta si sentirà dire che non c'è. E gli sta bene! Insomma, ok la timidezza e i dubbi, ma qui si tratta di tenere sulle spine una ragazza che comunque ha un debole per lui. Perché voglio pensare siano solo dubbi e non che la stia bellamente prendendo per il culo, perché in quel caso sarebbe una vera merda umana.
“Ciao Eddie, come va? Che mi racconti?” adesso lo tengo al telefono un'ora facendogli domande a caso, voglio vedere quanto tempo ci mette prima di chiedermi di Angie.
“Oh tutto bene, a parte la fifa da palcoscenico, ma quella è una costante per me” no dai, non è giusto torturarlo così.
“Non ti preoccupare, andrete alla grande. Immagino tu voglia parlare con Angie, giusto?” infatti mi è appena venuto in mente un altro sistema perfetto per punirlo.
“Uhm ecco, sì, in effetti. Pare sia diventata introvabile ultimamente”
“E infatti non la trovi neanche stasera, non c'è”
“Oh davvero? Fantastico, eheh, chissà perché me lo sentivo...” risponde nervosamente e quasi quasi mi dispiace fare quello che sto per fare. Ho detto quasi.
“Sei un po' sfortunato, Eddie”
“Già, me ne sono accorto. Va beh, magari provo a chiamarla alla tavola calda, non volevo romperle le scatole al lavoro, ma almeno lì la trovo per forza”
“Oh ma non è da Roxy”
“Ha il turno al Westlake di sabato? Ma poi a quest'ora?” Eddie suona sinceramente confuso e a me sembra di giocare come il gatto col topo.
“Eheh no, Eddie, non sta lavorando. Non ha giustificazioni, ci ha proprio bidonate e basta, la stronzetta”
“Ah! Capisco, e... ehm, dove-”
“E per un ragazzo poi!”
“Cosa?” credo di aver individuato il momento esatto in cui è scattato l'interruttore della gelosia.
“Le amiche non si piantano mai in asso, per nessun ragazzo al mondo, non credi?”
“Che ragazzo?”
“Ma sì, lo conosci! Il suo ex o giù di lì, quello che suona la batteria...”
“Dave?” il tono con cui pronuncia quel nome spaventa anche me: allarme rosso!
“Sì! Andavano a un concerto, se non sbaglio”
“Capito. Grazie, ti ripasso Stone, ok? Ciao”
“Ok, cia... ciao Ed?” mentre rispondo, un tonfo mi sfonda un timpano. Spero non abbia lanciato la cornetta in testa a Stone. Comunque voglio proprio vedere, se nemmeno adesso si smuovono le acque!
“Tesoro, scusami, esattamente, cos'hai detto al mio cantante? E' schizzato via come una furia...” la sua non è la voce di chi ha appena preso una botta da oggetto contundente, quindi mi tranquillizzo.
“Ma niente, voleva parlare con Angie, ma...”
“Fammi indovinare: non c'è”
“Esatto”
“Ti prego, personalmente non me ne può fregare di meno, ma fatelo parlare con Angie. Non mi dispiace quando è aggressivo sul palco, ma sta diventando intrattabile anche il resto del tempo...”
“Non è colpa nostra se non si trovano mai...” rispondo innocentemente. Non me la sento di condividere le mie macchinazioni diaboliche con Stone, anche se credo le apprezzerebbe.
“Va beh, sticazzi, si arrangiano. Torniamo a noi. Volevi sapere cosa indosso, giusto?”
“Ahah no. E tra l'altro è appena arrivata Meg con le pizze, ti devo lasciare” la mia amica entra finalmente in casa con i due cartoni fumanti e li appoggia sul tavolino, proprio davanti a me.
“CIAO STONE!” urla nella mia direzione “Ho interrotto qualcosa?” aggiunge sottovoce.
Dopo i convenevoli con Stone, riattacco il telefono e osservo in silenzio Meg che si leva la giacca e si butta sul divano accanto a me, apre i cartoni e stappa una birra.
“Che c'è? Perché hai quel sorriso stampato sulla faccia? Stone ti fa questo effetto eh?” mi domanda facendomi l'occhiolino.
“Ahah no, cara. In questo caso Stone non c'entra. Sono io ad aver esercitato un certo effetto. E prima che pensi a cose strane, no, non su di lui. Su qualcun altro”
“E su chi?”
“Credo di aver messo in moto un bel meccanismo, stavolta mi faccio i complimenti da sola” aggiungo dandomi delle auto-pacche sulla spalla.
“Quante ne hai bevute di quelle?” domanda sospettosa indicando la bottiglia che tengo nella mano destra.
“E' la prima e unica! Comunque lascia che ti spieghi perché sono un genio...”
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“Eccola! E' arrivata!” Grace finalmente si scolla dal davanzale e richiude la finestra.
“Era ora, almeno la finisci di far entrare il freddo. Qua già si gela di suo...” borbotto riavvolgendomi meglio la coperta attorno alle spalle.
“Tecnicamente non è il freddo che entra, ma il calore che esce, comunque...”
“Non serve che fai la Angie della situazione, sta arrivando l'originale” scherzo alzandomi dal divano.
“Menomale, quest'ansia mi sta uccidendo. Non vedo l'ora di risolvere questo casino” Grace cammina avanti e indietro per il soggiorno, come fa da qualche ora a questa parte, praticamente ininterrottamente.
“Va beh, dai, mica è colpa tua. Cioè, non solo. Anch'io potevo essere più chiara e dirti cos'era successo tra Eddie e Angie”
“Che c'entra? Mica eri tenuta a raccontarmi tutto, dopotutto sono cazzi di Angie. Sono io che non mi dovevo intromettere. Cosa cazzo mi è venuto in mente?”
“Avevi buone intenzioni, l'hai fatto a fin di bene”
“Certo, fare ingelosire Eddie per farlo uscire allo scoperto una volta per tutte... Peccato che si era già dichiarato alla grande e io gli sono andata a dire che la sua bella invece è uscita con un altro!”
“E mica un altro qualsiasi!” lo so, sto rigirando il coltello nella piaga, ma non posso fare a meno di prendere per il culo Gracie. E' così tenera nel suo sentirsi una merda.
“Il suo cazzo di ex! Ma quanto ci mette a salire?” la ragazza guarda l'orologio, come se stesse cronometrando la salita della nostra amica.
“Lo sai che non prende l'ascensore, dipende quanto fiato le è rimasto dopo il concerto”
“E se Eddie si è fatto un'altra per ripicca? O se torna con la sua ex?” Grace continua il suo soliloquio disperato, mentre il rumore della chiave nella toppa è il segnale del ritorno di Angie.
“Eccola, grazie a dio. Così risolviamo questa cosa e ti calmi, non ti si regge più” non faccio in tempo a finire la frase che Grace si è già lanciata verso l'ingresso senza aspettarmi.
“ANGIE HO FATTO UN CASINO!”
“Ciao anche a te Grace... che hai fatto? Meg si è spinta troppo in là con la ceretta?” Angie rivolge uno sguardo più che perplesso alla ragazza che le ha piazzato le mani sulle spalle, praticamente spingendola contro la porta appena chiusa.
“Ahahah no, niente di tutto questo”
“MAGARI, ANGIE, MAGARI!” ribadisce Grace urlandole in faccia.
“Stone di certo ne sarebbe felice” aggiungo io avvicinandomi.
“MEG, TI PREGO, NON E' IL MOMENTO”
“Si può sapere che vi prende? Cos'avete fumato? E soprattutto, perché non mi avete aspettata?”
“Vieni, Angie, ti spiego io, Grace non è capace di intendere e di volere in questo momento” metto un braccio attorno al collo di Angie e automaticamente trascino lei e l'altra in soggiorno e sul divano.
“Se va tutto a puttane è solo colpa mia. Ma non può andare a finire così, ti prometto che se c'è qualcosa ci parlo io con lui” Grace prende la mano di Angie, che la guarda sempre più stranita.
“Ma lui chi?”
“Eddie, e chi se no?” rivela ed è a quel punto che Angie ritira la mano dalla sua.
“Perché? Che è successo con Eddie?”
“E' successo che-” provo a iniziare a spiegare, ma vengo interrotta dall'ansia fatta persona.
“Adesso te lo diciamo, però devi stare calma. Qualsiasi cosa accada l'affronteremo assieme, ok?”
“Ok... Mi posso togliere il cappotto prima o...?”
“Oh ma certo! Certo, toglilo, mettiti a tuo agio! Mettiti comoda”
“Certo, Angie! Mettiti pure comoda, fai come se fossi a casa tua eheh” non riesco a trattenermi, anzi, cerco intenzionalmente di stemperare la tensione.
“Meg, non prendermi in giro, sto già abbastanza male così” Grace mette il broncio e Angie si leva cappotto e stivali sempre con diffidenza.
“Perché stai male? Si può sapere cos'hai fatto? E che c'entra Eddie?”
“Se state buone e zitte tutte e due un minuto, te lo spiego subito”
“Tutto qua?” Angie fa spallucce dopo aver ascoltato il dettagliato racconto della cazzata combinata da Grace.
“COME TUTTO QUA? NON CAPISCI? LUI PENSA CHE TU SIA USCITA CON DAVE!” l'autrice della cazzata scatta in piedi, stupita dall'imperturbabilità di Angie, che ovviamente fa la parte di quella a cui non frega niente.
“Beh è la verità, no?”
“Ma tu non ci sei uscita uscita...” ribatte Grace.
“Non fare finta di non capire, Angie. Lui avrà pensato fosse un appuntamento” la rimprovero io.
“Un vero appuntamento” aggiunge Grace.
“In piena regola”
“Non è che l'ha pensato lui, sono io che gliel'ho detto. Cioè, gliel'ho fatto capire, ma praticamente gliel'ho detto”
“E allora?” le alzate di spalle di Angie sono quasi più irritanti del senso di colpa di Grace.
“Come allora? Allora sarà incazzato nero!” sbotto cercando di scuoterla.
“Dovevi sentirlo, sembrava diventato di ghiaccio tutto di colpo. Mi ha fatto paura” annuisce Grace, in contrapposizione a Angie che invece fa di no con la testa.
“Figurati, sai cosa gliene frega”
“Angie, non serve che reciti, guarda che gliel'ho detto del bacio” spiego indicando Grace, che continua ad annuire a caso.
“Non avevo dubbi. E comunque ribadisco che non credo la cosa lo turbi più di tanto” Angie si alza col cappotto sottobraccio, afferra gli stivali con l'altra mano ed esce dalla sala come se niente fosse.
“No, infatti, sembrava solo uno pronto a uccidere il primo essere umano che gli capitasse a tiro!” Grace indossa i panni del sarcasmo, forse presi momentaneamente in prestito da Stone, per reagire alla finta indifferenza di Angie “Ma che fa, se ne va?” chiede poi rivolta a me.
“Lasciale mettere il pigiama, dopo le rompiamo ancora le palle”
Quando Angie riappare attraversando il soggiorno per andare in cucina, ci trova qui, esattamente dove e come ci ha lasciate: io su un divano e Grace sull'altro, a fissarla incredule.
“Che c'è?” domanda infastidita, col bicchierone d'acqua in mano, pronto per essere appoggiato sul suo comodino per la notte.
“Devi chiamare Eddie” Grace mi precede di un nanosecondo.
“Perché?”
“Perché devi spiegargli come stanno le cose” stavolta sono io la prima.
“Ci hai già pensato tu, no? Anzi, così mi hai risolto un bel problema, grazie Grace” Angie mima un brindisi verso la nostra amica.
“Col cazzo! Non mi puoi far vivere con questo senso di colpa, tu adesso lo chiami e gli dici la verità” la passività aggressiva (o aggressività passiva?) di Grace non mi dispiace affatto.
“E gli dici anche il resto” aggiungo io, tanto per essere chiari.
“Il resto? Che resto?”
“Beh, per esempio potresti dirgli cosa provi e cos'hai provato quando ti ha baciata descrivendolo con le stesse parole che hai usato con me”
“Tu sei scema”
“Uh! Le voglio sentire anch'io le parole!” Grace smette i panni dell'angosciata cronica per entrare in modalità gossippara.
“E allora spiegagli solo la storia di Dave e digli che il bacio è stato bello, ma sei in un momento difficile e non sai cosa vuoi e ci devi pensare”
“Io non devo pensare a un cazzo”
“Digli che ti manca e basta, no?” suggerisce ancora Gracie.
“Non mi manca”
“Angie, Cristo di un Dio!” mi alzo urlando così forte che quasi mi spavento da sola “Non me ne frega un cazzo di che gli dirai, digli quello che cazzo vuoi, ma tu ora lo chiami, punto. Chiamalo. E la finiamo qui”
“Ok... va bene... Ora lo chiamo! Non c'è bisogno di scaldarsi tanto” Angie finalmente cede, appoggia il bicchiere sul tavolino e prende il cordless che stava proprio lì accanto.
“Oh finalmente!” Grace batte le mani e mi strizza l'occhio.
“E metti in vivavoce”
“A che serve il vivavoce se gli lascio un messaggio in segreteria?” ribatte Angie componendo velocemente il numero a memoria.
“Ahahah seeeee come no!” rido e sfilo il telefono dalle mani della mia coinquilina che pensa di essere tanto furba.
“Che c'è?”
“C'è che sul mobiletto dell'ingresso trovi il numero dell'albergo dove sta Eddie, lo prendi e lo chiami lì, così ci parli” le spiego meglio, visto che fa la finta tonta.
“E metti in vivavoce!” Grace non sta nella pelle ed è ormai seduta sull'orlo del divano.
“Avevano il concerto stasera, secondo voi lo trovo in albergo?” domanda guardandoci entrambe con sufficienza.
“Certo” rispondo tranquilla.
“Solo in camera a soffrire per te” aggiunge Grace.
“E a prendere a pugni il muro”
“Su cui ha appeso una foto di Dave”
“E a ubriacarsi per dimenticare”
“Solo e ubriaco con le nocche doloranti”
“Sì ok, ho capito, avete reso l'idea” Angie allarga le braccia e si allontana verso l'ingresso, tornando con il fantomatico blocchetto.
“Dai chiama, su!” la incita Grace.
“Un attimo... però il vivavoce no”
“Il vivavoce sì” mi spiace, ma su questo non transigo.
“Uff...” Angie sbuffa e fa il numero, osservando più del dovuto il telefono prima di premere invio e far partire la chiamata “Tanto non sarà in camera... Ehm ehm... pronto? Eddie? Sì, ciao, sono io” gli occhi di Angie sono di puro terrore, quelli di Grace sono a forma di cuoricino. I miei, invece, sono fissi sul telefono appoggiato all'orecchio di Angie e individuano il tasto del vivavoce, che viene da me prontamente premuto mentre lei parla.
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Non aveva detto niente musicisti? Beh, anch'io sono un musicista, ma che c'entra? La legge deve essere uguale per tutti, no? Né io né lui, che cazzo. E comunque aveva detto che erano solo amici. Io pensavo fosse in imbarazzo per quanto accaduto, che non sapesse come comportarsi con me, cosa dirmi. Invece era solo che non gliene fregava un cazzo. E va beh, ci può stare. Non sempre si è ricambiati. Anzi, qualcuno, uno scrittore, non ricordo chi, diceva che l'unico vero amore è quello non corrisposto. Bella merda. Comunque, posso accettare di essere ignorato e scaricato, ma non puoi baciarmi e poi non cagarmi di striscio e uscire con un altro senza dirmi un cazzo. Cioè, lo puoi fare, insomma, puoi fare quello che vuoi, non mi devi nulla, non mi hai mai promesso nulla e, anche se lo avessi fatto, avresti ugualmente il diritto di ritrattare e sfancularmi come preferisci. Lo puoi fare, ma non posso fare a meno di essere deluso. Balle. Sono incazzato come una iena e se avessi per le mani quel Dave gli spaccherei la faccia. Anzi, se avessi per le mani chiunque gli spaccherei la faccia. Ecco perché ho pensato bene di prendere un taxi per tornare subito in albergo dopo lo show. Il concerto non è stato male, l'incazzatura è sempre un buon carburante da palco. Abbiamo tirato giù il posto e quella trentina di persone che ci hanno cagato hanno visto uno spettacolo che non dimenticheranno tanto facilmente. Angie invece ci ha messo poco più di un giorno per dimenticarmi. Io quanto ci metterò a scordarmi di lei? E delle sue labbra? E della maniera deliziosa in cui bacia? E dei piccoli scatti delle sue palpebre chiuse che ho sbirciato mentre ci baciavamo? E di come mi stringeva? Dio, ma ti senti?! Svegliati! Non ti ha più richiamato ed è uscita con un altro, non ti basta per capire che te la devi levare dalla testa?
Il trillo gracchiante del telefono mi fa sussultare sul letto. Sarà Jeff che vuole sapere se sono arrivato sano e salvo. Mi metto a sedere e sollevo la cornetta.
“Sì pronto”
“Pronto?” mi fa lei dopo essersi schiarita la voce.
Lei.
Cazzo.
“Angie. Sei tu.”
“Eddie? Sì, sono io” lo so che sei tu, non era una cazzo di domanda.
“Non ci posso credere, allora esisti, cominciavo a pensare fossi solo un'entità astratta”
“Eheh sì, scusami, è che sono stata un po' incasinata, tra il viaggio e il resto”
“Sì, mi hanno detto dei tuoi impegni” rispondo freddamente, o meglio, cerco di essere freddo, ma probabilmente risulto soltanto inacidito.
“Insomma, quando potevo chiamarti pensavo non fosse il momento adatto e quando arrivava il momento giusto, non avevo mai tempo o ero troppo stanca. Sono imperdonabile”
“Fa niente” se devi chiamarmi per dirmi che ti sei messa con un altro, puoi anche evitare del tutto. Sicuramente mi sta chiamando per quello. Grace deve averle detto della nostra conversazione e lei ora si è sentita in dovere di chiarire le cose. Ma non c'è niente da chiarire, mi sembra tutto piuttosto limpido.
“Scusami”
“Ho detto che non fa niente!” ribadisco forse con troppa veemenza, visto che Angie non parla più per lunghissimi secondi.
“Grace mi ha detto che hai chiamato anche stasera e mi sono decisa. Adesso o mai più. Non pensavo di trovarti in albergo a quest'ora”
“Infatti sei impegnata anche adesso, mi pare”
“P-perché?”
“Il vivavoce”
“Ah! No, è che sto sistemando un po' la mia camera, mi sto preparando per andare a letto. Come... come va? Com'è andato il concerto?” in un'altra situazione l'idea di lei in un letto mi avrebbe fatto un effetto totalmente diverso.
“Bene”
“Bene nel senso che tu stai bene o che il concerto è andato bene?”
“Tutt'e due” sto una meraviglia.
“Bene!”
“Bene, già”
Altro silenzio.
“E'... è per caso un brutto momento?”
“No. Perché?” è un momento bellissimo, il più bello della mia vita.
“Boh, così... sei di poche parole”
“L'hai scoperto adesso? Eri un po' distratta a quanto pare” d'altronde perché avresti dovuto prestarmi attenzione se non ti interesso neanche un po'?
“No, ero molto attenta invece. E comunque non è tanto il numero di parole, quanto come le dici” insomma, vuole proprio sentirmi dire che sono geloso e che mi ha spezzato il cuore. Non possiamo limitarci a fare finta di niente, come ha fatto lei per quasi tre giorni?
“Perché, come le dico?”
“Non lo so... sei strano... forse sei stanco”
“Sì, può essere, i concerti sfiancano, una volta che ti scende l'adrenalina crolli” ma io l'adrenalina ce l'ho ancora a mille, potrei prendere e tornare a Sacramento a piedi e poi tornare qui e sarei ancora carico. Potrei arrivare fino a Seattle e prendere a calci in culo Grohl, sempre con gli stessi piedi.
“Eheh è vero. Che poi non è tanto diverso da quando il concerto lo guardi. Stasera ne ho visto uno e sono praticamente ko” ed eccola che cerca di portarmi sull'argomento prendendola larghissima.
“Ah sì, sei andata a un concerto?” decido di andarle dietro, dopotutto via il dente via il dolore, no? Prima dice quello che mi vuole dire e prima chiudiamo questa assurda telefonata. Però mi mancava sentire la sua voce...
“Sì! Mi sono divertita un sacco, ma me ne ricorderò la prossima volta che qualcuno mi proporrà di pogare” dopotutto non è mica colpa sua se non le piaccio. Però non posso evitare di farmi salire il sangue al cervello pensandola nel moshpit insieme a quello stronzo.
“Che gruppo sei andata a vedere?” cambiamo discorso, che è meglio.
“Una band tutta al femminile, sono fortissime! Tra l'altro sono di San Diego, sicuro che le conosci. Si chiamano L7”
“Certo che le conosco, sono vecchie amiche! Ci ho suonato anche assieme con la mia vecchia band” io sono in California e loro sono a Seattle, ironia della sorte.
“Lo so, me l'ha detto la bassista”
“Hai conosciuto Jennifer? Aspetta, tu che vai a socializzare con una band? Dovevi essere proprio in buona stasera” la parentesi sulle mie vecchie conoscenze non mi fa dimenticare che si è messa con un altro.
“Diciamo che sono stata obbligata, praticamente era il motivo stesso per cui sono uscita”
“Obbligata?”
“Sì, Dave è venuto a pregarmi in ginocchio alla tavola calda” e me lo dici pure? Come se non mi fosse bastata la scena della pseudo-serenata dell'altra volta...
“E non gli hai saputo dire di no...”
“Mi ha incastrata! Praticamente lui e Jennifer si stanno frequentando, anche se non ufficialmente, insomma, sono usciti qualche volta. Lei è impegnata con la band e non si sta facendo sentire e lui non vuole starle addosso, però allo stesso tempo vuole vederla di più. Quando ha saputo che avrebbero suonato all'Off Ramp, ha pensato che doveva assolutamente andare al concerto, ma se si fosse presentato da solo avrebbe fatto la figura del tipo assillante, almeno, così la pensava lui. E voleva evitarsi l'umiliazione di non essere cagato, nel caso lei si fosse mostrata poco interessata, perché lui non aveva idea di cosa pensasse lei in quel momento, dato che non si sentivano più come prima. Insomma, morale della favola: ha chiesto a un po' di gente di accompagnarlo per non dare nell'occhio” Angie parla a raffica e io non ci sto capendo niente, o meglio, ho capito quello che dovevo capire, ma ho quasi paura a chiederle ulteriori spiegazioni che potrebbero farmi incazzare di nuovo.
“Dave e Jennifer?”
“Sì, si frequentano. E secondo me sono una bella coppia”
“Ed è andato al concerto con un po' di gente, tra cui tu...”
“Beh, in realtà Kurt l'ha paccato perché doveva uscire con una ragazza. Chi se lo piglia uno così insopportabile non ne ho idea, ma tant'è. Krist è fuori città. Calcola che non conosce ancora molte persone qui, perciò restavamo io e il suo coinquilino. Mi sono portata dietro anche Brian della tavola calda per fare numero. Se avessi saputo che quel coglione poga coi gomiti alti non lo avrei invitato!”
“Quindi non eravate da soli?”
“No, fortunatamente Brian ha avuto la sfiga di andare a pestare i piedi al tipo sbagliato, che gli ha fatto passare la voglia...”
“No, intendo tu e Dave. Io... io pensavo... cazzo, mi sento un perfetto idiota, scusami” perché lo sono, sono un idiota, un coglione.
“Io e Dave?”
“Pensavo fossi uscita con lui. Pensavo stessi con lui. Di nuovo” non so come ma mi ritrovo in piedi accanto al letto.
“Ahahahah ma figurati!”
“Ma che ne so, Grace ha detto-”
“Grace ha tratto delle sue conclusioni sbagliate. Oppure hai capito male”
“Ma no, sono io che ho capito male, non ho capito proprio un cazzo. Non capisco mai un cazzo, specialmente quando si tratta di te, Angie” sono ancora incazzato? Sono felice? Sono confuso? Boh, non lo so nemmeno io.
“Che... che vuoi dire?”
“Voglio dire... Insomma, non ti sei fatta più sentire dopo che... E poi Grace mi dice che sei uscita con quello... Ho pensato che non ne volessi più sapere, ecco”
“Che non ne volessi più sapere di cosa?”
“Di me” di chi se no?
“Ahahah e perché?” ma perché è così difficile parlare con questa ragazza?
“Boh non lo so... Magari per quello che è successo l'altra mattina, prima che partissi...”
“Eddie... non ti preoccupare. Non è successo niente, stai tranquillo, ok?”
Niente? Come niente? Che cazzo dici? Meglio risedersi sul letto.
“Beh, proprio niente non direi...”
“Va beh, facciamo finta che non sia successo niente, no?”
Ma col cazzo!
“Non mi sembra fattibile, Angie”
“E allora facciamo che è successo, ma che ce lo dimentichiamo, ok?” continua nervosa, ostentando determinazione.
“Perché, tu riesci a dimenticarlo? Io non penso ad altro da quando sei andata via” le confesso e mi pare di sentire uno strano rumore subito dopo, come un gemito, un miagolio strozzato.
“Non... non lo so, Eddie”
“Io so di aver sbagliato, non me lo perdonerò mai”
“Non è grave, sei tu che la stai ingigantendo. Ti ripeto che per me non è successo niente”
“L'altra mattina, alla stazione dei pullman, non avrei mai dovuto baciarti”
“Appunto”
“Avrei dovuto farlo molto prima”
“Eddie non... eh?”
“In tre giorni avrei potuto baciarti mille volte e non l'ho fatto perché sono un cagasotto. Ma anche prima, ne ho avute di occasioni. Dovevo baciarti quando eravamo sullo Space Needle, con quel panorama coi controcazzi. O sul tetto di Pike Place. O mentre ti specchiavi provando quel cappello rosso e non mi guardavi ed eri così bella. Oppure sul portico di Crowe a Capodanno, quando mi raccontavi di Schopenhauer, dei ricci e di Woodstock e sapevi di arancia e sarei rimasto ad ascoltarti per ore”
“Anche perché eri fatto” commenta lei e se s'illude di spezzare il discorso si sbaglia di grosso.
“No, in quel momento non ancora. Comunque avrei potuto anche darti un bacio assieme alla cioccolata, quella volta che sei scesa al mini market in pigiama per comprare gli assorbenti e ti vergognavi. O quando mi hai sorpreso da solo alla galleria e mi hai portato da mangiare, mentre io mi sarei accontentato di divorarti di baci. Per non parlare di quando ho dormito da te e mi sono svegliato tra le tue braccia e invece di svegliarti con un bacio, come si addice alle principesse, ti ho preso per una spalla e ti ho scrollato un po'. Che coglione!”
“Eddie non... Forse non dovremmo parlarne al telefono, cioè...”
“Lo so, lo so, è per questo che dico che ho sbagliato. Perché se lo avessi fatto prima avremmo avuto tempo per parlarne, invece ora dobbiamo aspettare finché non torno a Seattle e io non ce la faccio perché vorrei farlo ora. Ti vorrei qui, ora. Anche senza parlare”
“Io... Io non so cosa dire, Eddie”
“Non dire niente, ti ho detto che va bene anche senza parlare, no?”
“Eheh stiamo zitti al telefono?”
“Sì. Lo sai che sono un tipo di poche parole”
“Lo so bene”
E che voglio stare zitto al telefono solo con te e con nessun altra? Sai anche questo?
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dudewayspecialfarewell · 6 years ago
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Felicita
La prima  volta che conobbi Felicita fu per un progetto. Come rappresentante d’istituto mi occupavo anche degli argomenti delle assemblee, in assenza di  proposte dagli astanti.  Avevo deciso di portare un argomento che riguardava il terzo mondo, e due ragazze si erano offerte di aiutarmi, una di esse era felicita. Andammo a casa non di Felicita, dell’altra. Quel giorno spezzai la routine, presi il bus per quel posto dimenticato da dio, mi fumai un bel t sigaro tra i vicoli del centro e poi andai verso casa di Altra, quando arrivai in anticipo, mi venne a salutare sull’uscio. La vorammo febbrilmente tutto il pomeriggio. Durante la pausa merenda  raccontai alle ragazze che una volta in un succo di frutta avevo trovato il residuo di un preservativo, e loro ne rimasero shokkate. Era l’effetto che volevo ottenere, non che mi aspettassi niente da quell’incontro, ma un po’ di shock ci stava. Mia madre venne a riprendermi in auto, salì anche felicita. I raggi della luna le incorniciavano il volto angelico, pensai che non avrei mai potuto avere a che fare con una così bella.
Le feste d’istituto si svolgevano in un agriturismo in cima ad una collina che spiccava tra le altre piccole attorno, la zona era piena di campie si trovava antistante il crinale di un vero monte, l’agriturismo in sé era  un ex casa colonica adivita a bar e bed and breakfast , con a fianco un gazebo fatto con pali e travi di legno, che potevano essere ricoperti dal telo, il gazebo, o almeno la parte sotto era la nostro sala da ballo , e in fondo ala sala da ballo stava  la console. Fuori dal gazebo c’era un giardino di ulivi, in fondo al quale stava un pozzo nero, il tutto era sovrastato da una ripida scala di mattoni che portava ad una piscina di cui poche volte ho avuto il piacere di godere, più che altro vedendo altri farci il bagno su Facebook. Per entrare all’agriturismo si seguiva una breve salita, come tutti i luoghi da quelle parti,. Quella sera ricordo mille ragazze intirizzite  dal freddo con le calze, spero per loro a trenta denari, anche se qualche impavida era venuta con le cosce nude, a settembre, in una sera di freddo. La mia posizione alle feste d’istituto era ambivalente dato che non organizzavo niente e mi concentravo soprattutto sul. La gente supponeva che fossi io  ad organizzare quegli eventi  e un po’ di fiducia me la dava, io la usavo per attaccare bottone con tutti, per spingere i tipi  provarci con le tipe o per farmi dare drink gratis al bancone. Quella sera ero in cerca di una donna, come sempre d’altronde. Avevo bevuto otto bicchieri di sangria e quattro di Lemon Soda, quella sera ero in cerca di una donna, come sempre d’altronde. Avevo provato a ballar e con uan ragazza vestita di leopardato, ma quel colore, che nella mia testa richiamava così tanto la sessualità mi metteva a disagio, perché ero ancora vergine e inesperto, o almeno quel colore mi dava l’idea di una donna che avrebbe voluto qualcuno che se la prendesse e basta, e io non mi sentivo pronto, Scesi le scale barcollando, e andai in giro cercando, gli amici dell’inizio serata erano scomparsi, a casa o con chissà chi fare cose.
Quella sera avevo già tentato un abbordaggio con sei ragazze diverse, una che conoscevo fin da quando era piccola stava seduta sopra il tombino di una fossa biologica, tappata a dovere da una grossa lastra di cemento armato, illuminata da un faretto, lei sembrava una dea, col vestito corto e le gambe accavallate, vide me ed un altro ragazzo arrivare, indicò lui e non ero io.  Andai in cambusa e rubai una bottiglia di wotka alla banana, non l’avrebbero mai venduta ma soprattutto ero abbastanza sbronzo da non sentirne il sapore. Uscito dalla vidi per la prima volta Felicita. L'amore è un cane che viene dall'inferno. L'amore era lei, circondata dal fumo di sigaretta che lei e gli altri angeli al tavolo emanavano,  la vidi, la conoscevo per aver preparato con me l’assemblea, era bellissima, la musica era troppo forte per parlare così iniziai a recitare solo per lei: imbarazzo, ammirazione, sorpresa, la invitai a ballare calcolando perfettamente il tempo che mi sarebbe occorso per pomiciare con lei prima che la venissero a prendere, un ballo, poche giravolte, poi spediti in mezzo agli ulivi, lei era allergica a quelle piante così dovetti piantare i bicipiti contro l'albero, lei adagiata sopra il mio braccio, le spingevo la lingua in bocca mentre lei serrava i denti, perché aveva paura di vomitarmi addosso. Restai lì per un po' mentre provavo ad entrare almeno con la lingua, poi la riportai al tavolo che era già ora di andar via, mentre la accompagnavo alla macchina sostituii la mia bottiglia di wotka alla banana, oramai vuota, con una di champagne che teneva in mano uno che stava seduto su una sedia col busto rivolto verso le gambe. Sarà stato mezzo svenuto per colpa dell'alcol, ma queste sono cose che succedono. La salutai mentre la macchina se la portava via, poi ripresi a bere.
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ificouuldfly · 4 years ago
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23 ottobre
Iridi verdi ma adornate da palpebre pesanti e occhiaie violacee. Non certo un buon biglietto da visita prima di sottoporsi ad un interrogatorio. L'importanza della prima impressione la conosce bene, Lorcan. Ed è un discorso in merito, trattato con una persona di sua conoscenza in uno dei rari momenti di pace, l'unico piccolo salvagente a farlo sentire ancora un ragazzo, a scollargli di dosso i tanti altri ruoli che, per un motivo o per un altro, si era trovato ad assumere. Niente di più di un diciassettenne al quale viene da sorridere ripensando a teneri dettagli. Sensazione che però svanisce nell'esatto istante in cui varca la soglia della stanza adibita agli interrogatori. "Non far caso al rospo, anzi fa finta che ci siamo solo noi qui dentro. È una precauzione, per registrare tutto quello che ci diremo e distorcere la tua voce in modo da renderla irriconoscibile, del tutto anonima. Quando sei pronto, dichiara ad alta voce il tuo nome, casa d'appartenenza ed anno di corso." L'inizio era semplice e il tono del detective tranquillo e quasi rilassato, proprio come si era immaginato che fosse. Dopotutto mandare una persona aggressiva a svolgere quel compito sarebbe stato controproducente per il Ministero. "Lorcan Scamander, Corvonero, settimo anno." Scruta il rospo e fa spallucce, sedendosi più comodamente sulla dura sedia di legno. Il dorso della mano raggiunge gli occhi, stropicciandoli delicatamente. Stanco, è stanco morto e non ha alcuna intenzione di nasconderlo, a che pro farlo? Invece lo sguardo del detective, che fino ad allora appariva spento, forse a causa dei tanti ragazzi da intervistare, ebbe una curiosa scintilla. Ha la sensazione che l'uomo, prima che pronunciasse il suo nome, non lo avesse visto davvero. Non si concede spazio alle supposizioni legate alla sua famiglia ma pensa che è strano. Nessuno comunicava chi stesse per entrare? Si chiede se quello fosse parte del teatrino o se si trattasse di semplice disorganizzazione. In ogni caso, poco professionale Mr detective. Se lo lasci dire. Ora mi guarda solo perché sono figlio di Luna Lovegood e Rolf Scamander? "Se per te non è un problema, vorrei iniziare a ricostruire con te gli eventi che hanno avuto luogo nella notte fra il cinque e il sei settembre." Ha una voglia matta di rispondere che sì, in effetti lo è. Che la sera prima non aveva dormito per simulare proprio quelle cazzo di domande con Lysander e per giunta, che avrebbe evitato un linguaggio così semplice per una manipolazione mentale. Ma dai, il vecchio trucco del tono affabile e di dare del tu? Davvero? Si limita però ad annuire senza sforzarsi troppo con nessuna comunicazione verbale: classico Lorcan. "Ricordi di aver fatto qualcosa prima di partecipare alla festa o ci sei andato direttamente? So che c'eravate tutti, ma proprio tutti tutti." "Signor detective." Stavolta non ce la fa a frenare la lingua e si concede l'uso di uno dei toni più fastidiosi e saccenti che possiede. "Lei deve sapere che non ricordo neppure cosa ho mangiato a colazione, figurarsi cosa ho fatto più di un mese fa prima di andare ad una festa. Noi adolescenti siamo in fase di crescita, sa? Il cervello assorbe assorbe ma prima o poi qualcosa sfugge. Spugnette piene di buchi, ecco cosa siamo." La figura che Lorcan tiene d'occhio senza guardare e che fino ad allora era rimasta quasi solo ad ornare la scena, si muove appena appena ma senza dire nulla. Giura di averle strappato un sorrisetto. L'uomo invece pare infastidito e sembra lanciargli uno sguardo severo di chi ha ben poca voglia di perder tempo. Ed eccoci qui, alla fiera delle banalità. Lorcan pensa che ci è voluto poco a far spazientire il poliziotto buono, è bastato un nonnulla a far calare il sipario. Da una parte lo rincuora: le sue previsioni erano giuste. La notte precedente, mentre provavano le potenziali risposte a domande probabili, aveva detto a Lysander che quella poteva essere una reazione possibile. Aveva anche incitato il fratello a non cambiare il suo, di atteggiamento. Doveva aggrapparsi alla parte più severa, quella guidata dal lato razionale che ad esempio usciva fuori quando si parlava di organizzare gli allenamenti di quidditch. E come se i suoi pensieri venissero letti da un intruso decisamente non benvenuto, la figura composta parlò ancora. "Dev'essere stata una bella rivincita, vero? Dopo i risultati del campionato dello scorso anno, vincere la prima partita scolastica sembra proprio il modo perfetto di iniziare il semestre." Ne seguì una piccola pausa da ambo i lati. Si studiarono a vicenda, senza sforzarsi troppo nel nasconderlo. "Immagino che qualcuno fosse piuttosto su di giri, dopotutto il Quidditch facilmente fa questo effetto. Eri molto eccitato? Magari qualcuno dei tuoi compagni ti è sembrato esserlo troppo...?" La provocazione è palese, nel tono e nell'intenzione. O almeno così pare al ragazzo. Il giovane umetta le labbra e si apre poi in un sorriso. Dopotutto una buona conversazione è come una partita a scacchi: ci vogliono pazienza, attenzione e rispetto per l'avversario. "Certamente. Eravamo tutti molto felici, poi è risaputo: il quidditch anima quasi ogni spirito. Credo che quella sera mi sia perfino concesso una decorazione in fronte. Mh-mh, proprio qui." Indica il punto esatto, come per far rivivere alla coppia di investigatori un ricordo che nemmeno lui sa quanto possa essere veritiero o meno. Di quella festa non ha davvero memoria, ricorda solo quel rumore di acqua che gocciolava. Non ne è neppure più così sicuro, ché dalla tanta preoccupazione per il gemello, gli sembra che nessun'altra versione, eccezion fatta per quella di Lysander, abbia davvero importanza o ragione di esistere. "Speriamo che non sia una falsa partenza. Sa, nessuno ha intenzione di ripetere la stessa storia due volte. Sarebbe peggio di un girone infernale, deludente e provante." Eppure avrebbe sostenuto di nuovo quell'interrogatorio senza battere ciglio, se fosse stato possibile. Se fosse servito a proteggere la sua parte migliore, il girone infernale l'avrebbe percorso anche all'infinito. Parla ancora il detective, dopo un cenno d'intesa con la sua collega. "Entriamo nel vivo della serata, d'accordo? Eravate tutti lì a festeggiare, prendervi in giro, magari? Per i risultati della partita. Era la prima festa che potevate concedervi dopo la pausa delle vacanze, quindi sono sicuro che foste tutti preparati da un pezzo alla prospettiva. Avete bevuto molto, non è vero? Più del solito, magari." "Mi spiace rispondere ancora una volta in modo poco utile ma -- non sono uno che ama le feste o che presta attenzione all'andamento di ciò che accade durante le poche a cui prendo parte. Posso dirle che sicuramente qualche battuta goliardica ci sarà stata e altrettanto ci sarà stato qualcuno che avrà alzato il gomito." Cerca nella sua memoria per qualche momento e pesca solo flash poco distinti. La fiala con l'etichetta sbiadita. Diego, Miguel, Linden e il resto dei suoi amici che scherzano. Molly che doveva incontrare, l'ha incontrata? Non ne ha la più pallida idea. Sa solo che si ferma tutto sull'immagine di Violet che balla. "Capisco. Per caso l'hai vista? Myriam Schmidt, naturalmente. Stiamo ancora cercando di stabilire se fosse in compagnia di qualcuno di specifico o abbia partecipato in gruppo. C'è un nome, un volto in particolare che ti sovviene alla memoria?" Segue un cenno negativo da parte di Lorcan. Loro non potevano averne idea ma il ragazzo ci aveva provato sul serio con tutto se stesso a ricordare. A trovare anche solo un minuscolo dettaglio che potesse tranquillizzarlo, che portasse chiarezza su quella faccenda. Strizza forte gli occhi, troppo sensibili alla luce e alla pressione e quando lo fa, l'immagine di Lysander che piange sul pavimento del bagno, lo investe. Le mani sulle sue spalle posate lì per tenerlo intero. Per tenersi interi, insieme. Va avanti, Lorcan: apri gli occhi. "Qualsiasi cosa voi tutti affermiate sulla presenza di stupefacenti, è chiaro che abbiate tutti assunto qualcosa che vi ha resi così sensibili e... dimenticanti nei giorni successivi. Ricordi cosa hai provato quando ti sei svegliato? O dove: molti dei tuoi compagni hanno affermato di non essere nemmeno riusciti a tornare in camera." "Mi sono svegliato nel mio letto e con un forte dolore alla testa, quindi sì, in camera ci sono tornato." Dolore alla testa che ora si è presentato di nuovo, sviluppo dei troppi pensieri che si accatastavano gli uni su gli altri e rischiavano di crollare da un momento all'altro, portandolo giù con loro. La confusione si frapponeva tra la fine di quella situazione e la sua voglia di mandare a fare in culo il mondo intero. "Alcuni dei tuoi compagni sembrano essere piuttosto convinti che Myriam abbia deciso di andar via autonomamente, forse a causa di qualche leggenda sul suo temperamento di cui non siamo stati informati. Naturalmente, non possiamo escludere alcuna ipotesi e per questo, dimmi, l'hai per caso sentita alludere ad una fuga? Lei o qualcuno dei suoi amici più stretti, anch'essi presenti alla festa?" Taglia corto Lorcan, non ha mai assolutamente avuto a che fare con la tassorosso. "Non conosco personalmente la ragazza in questione e non ho mai amato chiacchiere di corridoio. Quindi no, detective, non ne so nulla." Il signor Londsdale annuisce mentre la donna in disparte appunta sul taccuino quell'ultima risposta, proprio come aveva fatto con le precedenti e non solo. Aveva notato, Lorcan, che spesso aveva preso appunti durante il suo tempo lì dentro. "D'accordo, direi che è tutto per adesso. La signorina Brent ti accompagnerà in corridoio, dove devo pregarti di non intrattenerti a conversare con nessuno dei tuoi compagni o le vostre testimonianze saranno ritenute invalide. Ti ringrazio, Lorcan. Ti farò richiamare se avrò bisogno di qualche altra informazione." Era finita, poteva tornare a respirare. Fa per alzarsi dalla sedia ma l'uomo parla ancora. "Prima che vai... Hai per caso conoscenza di qualche antipatia? Anche adolescenziale, qualsiasi cosa che possa esserti sembrata fuori posto in questi anni e nell'ultimo periodo. Un antagonismo tipico delle ragazze, magari. Qualche discussione per amore o per una questione accademica?" Si ferma, Lorcan e soppesa per quasi un minuto le parole che vorrebbe lanciargli contro. Diverse e molto più taglienti di quelle che pronuncia. "Detective Londsdale, Hogwarts è casa. Dovrebbe saperlo che anche nelle migliori famiglie ci possono essere discussioni e incomprensioni. È nella norma. Meno nella norma è sentirsi sotto attacco, in casa propria. Sono contento che siate qui e vi auguro di venirne a capo, ma, ancora di più, di poter finalmente sentirmi al sicuro insieme a tutti gli altri studenti." Si alzò e si fece avanti, porgendo in segno di rispetto e cortesia la mano. Un piccolo sforzo doveroso: la partita era terminata e lui ora aveva ben altro a cui pensare.
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penelopeics · 5 years ago
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Enea-Anchise 2000.
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Oggi si è svolta di nuovo quella recita della tristezza che sono io che accompagno mio padre sotto casa di mio fratello.
Mio padre e mio fratello, che chiameremo Sergio, sono le due persone che mi sono più care nella mia famiglia, che è composta da 5 persone inclusa me, il che fa di loro il 50% dei miei cari.
Mio padre e mio fratello non si vedono da circa due anni. La casa di Sergio era andata a fuoco (!) e lui aveva chiesto asilo ai miei. Grave errore. Un po’ di pace, un bel po’ di guerra, e alla fine Sergio se n’era andato per non farsi più vedere né sentire da nessuno della famiglia.
Tra una cosa e un’altra -Sergio è un po’ permaloso, sensibile, diciamo: quando ti mostri apertamente in disaccordo con lui su qualcosa che per lui è importante ti toglie il saluto per due/tre anni- posso dire di non avere un rapporto con mio fratello da circa 6 anni. E prima avevamo fatto anche un’altra pausa: qualche altro anno. Va a botte di anni, Sergio.
Sarà forse per questa carenza di continuità nella nostra relazione, che per me Sergio è gli anni Ottanta. Siamo nati in quel decennio, tutti e due. Siamo stati bambini insieme, e per un po’ pure adolescenti, prima che la malattia mentale se lo portasse via. Era sempre stato un bambino fragile, Sergio, da piccolo tratteneva le feci, soffriva di terribili allergie ed emicranie, era già mezzo ciecato e si arrampicava sui tubi del riscaldamento. Litigavamo, certo, non è stato idilliaco il nostro rapporto, ma lui era mio fratello, ed è stato il mio primo amico. Insieme abbiamo scoperto, soli, cose che forse dei bambini non dovrebbero scoprire. Ma non è di questo che voglio parlare oggi. Voglio parlare degli anni Ottanta, di come mio fratello li rappresenta, dei giubbotti jeans larghi, delle fasce in testa, dei capelli mullet e, più tardi, dei Cure, dei Joy Division e dei Bauhaus. Io e Sergio ci nascondevamo in un armadio, qualche volta: era una specie di avventura anche perché questo armadio si trovava in alto, essendo parte di un letto di quelli in stile marina. Più avanti Sergio mi ha introdotto al magico mondo del rock prima, della New Wave (ma si chiamava Dark allora) e del punk poi. Mi passava delle musicassette registrate da lui con i brani più belli, e una volta siamo anche andati a ballare in un locale dark di cui ora non ricordo il nome. All’uscita Sergio mi teneva per mano, era protettivo. Col tempo ha iniziato a stare sempre chiuso in camera -una volta mi aveva impedito di entrarci, strano, e la sua spiegazione fu “anche tu sei della famiglia”- poi era arrivato l’alcol a disinfettare ogni cosa, le urla improvvise dal bagno -parolacce e bestemmie- e poi via. Non si è più visto. Fino a quando, anni dopo, l’avevo incontrato per caso alle Poste, lui era stato carino, ci eravamo rifrequentati per un po’, poi l’incendio, poi contraddirlo, poi di nuovo niente.
Per cui, ecco, per me Sergio è gli anni Ottanta.
Mio padre invece non è un periodo, è un luogo, una stanza, per la precisione. Un salotto, per essere ancora più selettivi, quello di casa dei miei genitori. Mio padre aveva il suo studio in quel salotto, che era diviso in due ambienti: si chiudeva lì quasi ogni sera e scriveva, scriveva, chissà cosa scriveva. Aveva dei diari, sicuro, ma teneva anche la contabilità della casa, forse correggeva qualche compito dei suoi alunni. Per noi bambini quella stanza, tutta foderata di moquettes e anche le pareti rivestite di stoffa, piena di oggetti di argenteria e artigianato,  buia, con solo l’abajur di papà accesa, era magica. Entravamo di soppiatto pensando di non essere notati, sgattaiolavamo fino al primo tramezzo che ci poteva nascondere, poi ci addentravamo nella parte buia della stanza e sbucavamo all’improvviso -o questo era quello che sembrava a noi- davanti alla scrivania di papà, che forse fingeva di essere sorpreso o forse lo era davvero.
Il salotto era il regno di papà, lui era lì, ci potevi giurare, e non si schiodava facilmente. Una volta mi sono cacata nei pantaloni, in quel salotto, perché stavo facendo una conversazione molto interessante con papà e non volevo interromperla.
Molte volte, mentre papà era al di là del tramezzo chiuso nei suoi scritti, io facevo finta di suonare le mie canzoni preferite con il walkman nelle orecchie. Cantavo e suonavo il piano prevalentemente, anche se non disdegnavo la chitarra elettrica.  L’idea era che non mi vedesse nessuno, e papà era la non-compagnia perfetta per questa abitudine poco edificante, anche se penso mi abbia notata almeno una volta.
Ora che è disabile -ha dell’acqua nel cervello che lo rende rincoglionito, dimentica facilmente e perde l’equilibrio, ma è anche vecchissimo- papà non va quasi più in salotto. E io non sono più una bambina che fa cose strane nella stanza magica. L’altro giorno eravamo soli io e lui, e papà si era fissato che doveva trovare i documenti sui contributi della loro colf: non era assolutamente in grado di trovarli, ormai, ma io l’ho lasciato fare mentre leggevo seduta sul divano. Sembrava facesse quello che aveva sempre fatto, e invece era come un bambino sotto il mio occhio vigile che tentava di non essere invadente.
Da quando Sergio se n’è andato l’ultima volta, ogni tanto papà mi chiede di andare da lui: dove abita è l’unica cosa che sappiamo di lui. Non ha il coraggio di citofonargli, così stiamo solo lì sotto in macchina, io e papà, a chiacchierare.
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fucking-angryy · 7 years ago
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Odio andare al mare. Mi fa pensare a te e ad alcune delle giornate più felici passate assieme. Le ricordi? Ricordi quando ti sgridavo perchè, bianco latte com'eri, dovevi mettere la protezione per non scottarti? E invece tu puntualmente non mi ascoltavi perchè “dovevi abbronzarti” e fù così che diventasti un pomodoro. Ricordi i tipi strani che puntualmente ritrovavamo sempre a poco da noi e i baci che ci scambiavamo quasi furtivamente, maaadre.. che ansia quei due! Ti ricordi di quando ti portai a sorrento per fare il bagno? C'era quel cameriere fuori al ristorante per accogliere i clienti ma secondo te aveva un viso triste, così decidesti di renderlo felice entrando a mangiare una pizza.. ancora rido. E dopo abbiamo camminato così tanto mano nella mano per le stradine di quella magnifica città, a pensarci ho ancora male ai piedi. Ora mi sà che non ci sarà nessuno a rimarcare i nostri nomi su quegli scogli, sai? Io non voglio che sbiadiscano fino a scomparire e senza te lì non ci vado. Non lo prendo il gelato senza te. Ora cosa dirò a Mario, il vuò cumprà della spiaggia in zona, quando mi chiederà “Lei dove?” Era così felice per noi, felice di vederci insieme perchè diceva che eravamo tanto belle. Lui sembrava capire. Ricordo quando mi telefonò e parlando di te che avevi voluto una pausa (al tempo), disse “voi non parlare e non vedere ma lei sempre nel tuo cuore e tu nel suo”. Sai, aveva proprio ragione. Sei qui anche quando non mi vuoi parlare e non ti vedo, ti porto nel cuore dovunque vada (o dovrei dire quore?-.-). Non so mai che scusa inventare adesso per evitare di farmi trascinare in spiaggia da qualcuno. Sai che non sono più entrata in acqua da quando tu non ci sei? Mancano le tue braccia a farmi sentire al sicuro. Ogni volta che ti alzavi tu, mi prendevi la mano e io ti seguivo per entrare in acqua e tu sapevi bene quanto io ne avessi paura. Così mi tenevi in braccio o mi lasciavi aggrappare al tuo collo, un pò come si fa coi bambini.. in realtà, in quei momenti, mi ci sentivo un pò ma allo stesso tempo mi facevi sentire così protetta e passava l'imbarazzo. Adesso non ci sei più in acqua con me, ed io mi sento come una bambina spaesata in mezzo a quell'immensa distesa d'acqua. È così che mi sento da quando non sei con me: Da sola in mezzo al mare. E adesso che le tue braccia hanno deciso di non stringermi più, mi sento affogare piano piano..
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voicesofatwistedmind · 5 years ago
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Cronache di un rientro
di Simone
PREFAZIONE A CURA DELL'AUTORE
Tutti i fatti e gli avvenimenti accaduti sono reali, nulla è stato inventato o distorto.
Eventuali insulti o diffamazioni verso pubblici ufficiali o compagnie varie sono egualmente reali e me ne assumo la completa responsabilità
PROLOGO
31/10 - O ingenuità. Per trascorrere una "Horror Movie Night" post allenamento di pallavolo, Simone lascia la sua borsa al padre che, rientrato in casa, la lascia vicino alla porta della camera del protagonista.
E le ginocchiere sono lì dentro, sudate ed al chiuso.
E ci rimarranno.
02/11- O distrazione. Durante una festa a tema trash per festeggiare il compleanno di un amico, Simone dimentica di avere addosso degli occhiali. Questi si rompono durante un gioco e simone tenta la riparazione con un collante extra-strong. Il prezioso ausilio alla vista sembra essere utilizzabile, ma lo studente è perfettamente a conoscenza della temporaneità e dell'instabilità della sua riparazione. Fanculo agli ottici che non fanno occhiali capaci di restistere agli urti.
È mattina, il tre di novembre. Simone viene svegliato - dopo tre ore o poco più di sonno - dalla soave musicalità della voce della madre che, con un tono che potrebbe sicuramente essere considerato fuori legge per i decibel utilizzati, irrompe nella mente del giovane ricordandogli che deve preparare la valigia.
Così lo studente si alza dal caldo letto e scende in cucina, scalda il latte e prende le sue Gocciole. Ma la vita decide di giocargli un brutto scherzo, e la sorella aveva lasciato un biscotto, uno, nella confezione.
Il giovane non demorde e decide dunque di allietare la sua mattina con i Pan di Stelle. Ma nulla va nel verso giusto, ed ecco che anche nel pacco della Mulino Bianco alloggiano solo due biscotti.
In preda alla rabbia, Simone decide di mangiarsi tre pacchetti di wafer lasciandone uno solo in ogni confezione: vi sarà da monito.
Soddisfatto della sua vendetta, il ragazzo inizia a preparare la valigia: vestiti, libri, chiavi, giubbetti, cardigan, libri, altri libri, beauty case, scarpe, tutto in valigia. Arriva il momento di inserire nel leggerissimo scrigno anche gli utili alla pallavolo. Un brivido gelido percorre la schiena di Simone. Le ginocchiere sono ancora in borsa. Le estrae. Odorano di morte ed epidemia. Dopo averle inserite in un sacchetto, a sua volta inserito in un altro - e così via per altre quattro o cinque volte, nel tentativo di attenuare la puzza - mette anche quelle in valigia.
Tutto pronto.
[...]
Prima di partire, alle quattordici e quindici circa, il viaggiatore decide di prepararsi un panino da mangiare per cena: ciauscolo e galbanino, squisito. Provate, o lettori, ad indovinare dove è quel panino?
Esatto, in frigorifero. A casa. Nelle Marche.
[...]
Si parte finalmente. Il parcheggio più vicino alla pensilina di partenza degli autobus è a circa un chilometro.
Non importa, con la sua valigia di circa 32 chilogrammi sarà solo una passeggiata. Se non fosse che la strada è in discesa.
Arrivato alla pensilina, la disastrosa scoperta.
L'autobus è pieno.
"Ma tu prenoti sempre i biglietti prima, di che ti preoccupi?"
Avete ragione, lettori, lui aveva prenotato in anticipo il suo posto. E infatti lo aveva. Ma capirete che, dall'alto del suo metro e novantasei, un posto con accanto una ragazza in stampelle che - ovviamente - necessita di stare larga, può essere scomodo. Estremamente scomodo.
Ma il viaggio inizia e procede tranquillo fino a L'Aquila, tralasciando all'ilarità dei lettori alcuni momenti in cui Simone ha rischiato la sterilità a causa di movimenti poco femminili della ragazza che lo costringevano a chiudere le gambe in maniera rapida. A L'Aquila, durante la sosta, inizia la sventura: è bel tempo, l'ingenuo scende a maniche corte e va in autogrill per utilizzare il bagno. Nel bagno degli uomini c'è una fila insolita presto spiegata: funziona solo una delle cinque cabine. Ma ci sono gli orinatoi a muro e il giovane ha necessità fisiologiche urgenti e decide di utilizzarne uno, per realizzare dopo pochi istanti perché pochissime persone li utilizzavano. La privacy di quelle cose era inesistente, dato che la distanza tra uno e l'altro era di circa cinque centimetri e non c'erano divisori. Ma fa nulla, siamo tutti uomini e non ha di che vergognarsi. Finisce, si lava ed esce. Diluvia.
E ricordate come era uscito il giovane? Sì, a maniche corte.
[...]
Durante il viaggio la menomata continua con i suoi graziosissimi movimenti e si addormenta a bocca spalancata. Sbava sulla t-shirt di Simone. Che gioia.
Autobus di merda, perché minchia non distanziate di qualche centimetro i sedili? Vi odio.
[...]
Con un'ora e quindici minuti di ritardo dovuto al traffico ed agli allagamenti, il corteo giunge alla capitale.
Dopo aver aiutato la menomata - pensate la magnanimità - il giovane raccoglie la sua valigia (altresì definibile incudine, dato il peso) e il suo zaino della tortura e gioisce come un toro nel giorno della monta: ha smesso di piovere.
Breve illusione, tempo due minuti e ricomincia. Simone si sente come se il toro di prima fosse stato castrato a sorpresa proprio quel giorno.
Lo studente decide di andare alla fermata del bus, sapendo che potrebbe prenderne ben quattrocper tornare a casa.
Uno, due, cinque, dieci minuti. Non c'è ombra di un bus. Preso dallo sconforto, il giovane decide di fumarsi una sigaretta e quindi va a comprare il tabacco. Apre il tabacco, comincia a rollare. Passa un autobus non di linea ad una velocità inumana e tocca una pozzanghera, tutti saltano indietro e un ragazzo, ignaro della presenza del giovane alle sue spalle, urta il tabacco, che cade.
Contro ogni legge della fisica, il tabacco cade con l'apertura rivota verso il basso. Cade aul bagnato. Il suo portafogli piange la perdita di sei euro.
Ma dio santo, Winston carissima, cazzo ti costa mettere una minchia di chiusura su quel tabacco?
Dopo pochi istanti di imprecazioni e dopo essersi fumato la sua sigaretta, Simone decide che il bus non passerà e opta per cercare una soluzione. Con le sue mitiche abilità di fast decision making corre verso la metro. Ingenuo.
L'abbonamento era stato ricaricato la mattina stessa, per cui si attiva il giorno seguente. Decide allora di aspettare un dipendente ATAC del gabbiotto per spiegare la situazione e farai aprire il cancello.
In quegli undici minuti di attesa passano cinque treni.
Finalmente arriva il dipendente che, dopo la meritatissima pausa di venticinque minuti seguente ai quattro minuti di sfiancante lavoro a candy crush, decide di far entrare il povero disgraziato. Deve avergli proprio fatto pena.
Arriva dunque alla banchina: prossimo treno tra sette minuti. Serio?
No, ovviamente no. Passa dopo nove. NOVE MINUTI. prima, in undici minuti ne erano passati cinque.
Arriva la metro che, come al solito, odora di pipì e sudore (che vi costa deodorarvi?)
Dopo due sole fermate, l'instancabile scende. Policlinico, può prendere il tram e tornare a casa.
Potrebbe.
Venticinque minuti sotto la pioggia e nessuna ombra di un tram o un bus che va verso casa sua ma, ovviamente, tre tram che vanno nella direzione opposta.
Oramai zuppo e disperato, con le lacrime agli occhi che ai confondevano con le gocca di pioggia, decide di incamminarsi a piedi, per venti minuti, sotto la pioggia battente.
Dopo tre minuti di marcia passa un tram. Poi un altro ed un bus. Un altro bus ed altri due tram a seguire.
Capite cosa intende il futuro medico, quando dice che la vita lo vuol vedere arrabbiato.
(ndr - Appello alla Atac. SI PUÒ AVERE UNA MINCHIA DI SCHERMO CHE TI SEGNA TRA QUANTO PASSA IL FOTTUTO BUS DIO BONO?)
Grondante d'acqua arriva al portone di casa ed apre lo zaino.
Non ci sono le chiavi. Panico.
Dopo cinque minuti di panico in cui, sotto l'acqua, Simone scoperchia il suo peso sulle spalle, ha un pessimo ricordo. Andate all'inizio del racconto, e leggete. Leggete dove sono le chiavi.
Esatto.
In valigia.
Spalanca quindi la sua valigia sotto al diluvio universale e chiaramente le chiavi sono sotto ad ogni vestito possibile.
Chiude la valigia e passa un'automobile. Vi lascio immaginare cosa possa essere successo. MA MAREMMA MAIALA COSA VI COSTA ANDARE A 30 KM/H QUANDO PIOVE VICINO ALLE POZZANGHERE ANZICHÉ FAR LA DOCCIA A NOI POVERI PEDONI?
Entro nel portone. Non c'è l'ascensore. Tre piani di scale. Gioia.
EPILOGO
3/11, ore 21:30
Simone è nudo, sul letto. Nudo perché non ha alcun vestito non bagnato. E probabilmente ha la bronchite. È sull'orlo di una crisi isterica e sta patendo i morsi della fame in quanto non mangia dall'ora di pranzo.
Morite tutti, lavoratori dei trasporti di Roma.
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saggiosguardo · 5 years ago
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Spezzare il loop per essere più produttivi
Sono sveglio e c'è pochissima luce, sarà molto presto ma controllo l'ora sullo smartphone. Già che ci sono do un'occhiata alle email: cancello lo spam, sbircio rapidamente al resto, metto il flag "importante" alle cose a cui devo rispondere con più calma. Un'occhiata veloce ad Instagram per vedere cosa è successo mentre dormivo e da oltre oceano ci sono un po' di novità. Apro i feed RSS per approfondire: metto nei preferiti gli articoli da leggere, ma ora è tempo di alzarsi e fare colazione. Anzi, è un po' tardi, mi butto direttamente nella doccia. Prima di farlo apro i podcast, ci sono delle puntate nuove che non ho ascoltato, ne scelgo una e premo play: lo speaker nel bagno fa il resto.
Vado a fare colazione, nel frattempo la casa si è animata e metto da parte lo smartphone. Anzi, in genere lo dimentico proprio in bagno. Prepara il latte, il caffè, biscotti, poi si mangia qualcosa e via: si comincia. Apro la porta dello studio, mi ricordo cos'è successo ieri perché ce n'è traccia in ogni dove, ma ignoro e mi siedo alla scrivania. Il computer è già acceso: tocco un tasto e sono dentro, merito dell'autenticazione con l'Apple Watch. Di nuovo su Mail, è arrivato qualcosa di nuovo e devo ancora rispondere a ciò che ho lasciato in sospeso. Ho notato anche dei commenti sul blog a cui rispondere, se li ritrovo lo faccio subito, ma non sempre ci riesco velocemente e qualche volta getto la spugna.
Ho alcune recensioni importanti in corso, ma ci vuole parecchio tempo per concluderle, quindi controllo i preferiti nei feed RSS per qualche spunto. C'è qualcosa di interessante, inizio a scrivere un articolo perché vorrei dire la mia. Mentre approfondisco le fonti ecco altre email, i social si svegliano ed iniziano ad arrivare diverse notifiche. Non ho ancora finito l'articolo ma è giunta l'ora di iniziare a segnalare le offerte del giorno. Apro i principali siti, faccio qualche ricerca, controllo le variazioni di prezzo: inizio finalmente a pubblicare qualcosa sulle SaggeOfferte. Per fortuna dopo un po' arriva Max a darmi una mano, quindi mi rimetto a scrivere il mio articolo.
Nel canale della redazione si moltiplicano le segnalazioni di ulteriori novità interessanti, Razziatore è una miniera senza fine da questo punto di vista. Leggo i titoli, alcuni già li conosco, altri no. Do un'occhiata e quindi metto di nuovo in pausa la scrittura. Trovo un tip interessante, provo a vedere se funziona, magari ne posso parlare sul sito appena ne avrò il tempo. Nel frattempo altre email, alcune sono importanti e devo rispondere subito. Ci sono dei preventivi da fare, registrare una fattura, chiamare quel cliente che ancora non ha saldato. Odio queste cose.
Ho finito, ma sono annoiato. Vado a fare un caffè. Decaffeinato stavolta, perché con i miei ritmi p meglio moderare la caffeina. Ritorno al computer, pronto a concludere quell'articolo così da poter riprendere le principali attività lavorative. Appena mi siedo trovo delle nuove email e non sopporto quel badge attivo, così devo dare un'occhiata. Tra le email niente di importante, ma questo ha dato il via al loop e quindi azzero il badge di Telegram e trovo anche un paio di richieste di amici, parenti, utenti. Rispondo a quello che posso subito però non voglio perdere tempo, quindi chiudo quasi subito.
Suonano alla porta, il primo corriere della giornata porta un paio di pacchi e ne prende uno. Saluto e ritorno in studio. Nel frattempo sento il bimbo piccolo che piange in cucina, probabilmente ha sonno e la tata ora lo farà riposare. Chiudo la porta, mi risiedo al computer, metto su le Bose con ANC attivo e faccio partire una delle selezioni per me a basso volume. Nel frattempo mi ricordo che ho le notifiche disattivate su Facebook ma il giorno prima avevo pubblicato una cosa interessante e mi piace vedere se ci sono commenti. Lo apro al volo sullo smartphone, controllo giusto quello, metto qualche mi piace o rispondo se necessario. Il numero di messaggi sul canale Facebook di SaggiaMente è sempre fisso a 20+, ma lì ho un risponditore che suggerisce di mandare una mail perché altrimenti sono sommerso dalle notifiche. Finalmente chiudo Facebook, propio non mi piace quel social. Mi ricordo di Twitter, che ormai uso sempre meno perché non mi trovo pessima l'app nativa e con quelle di terze parti è guerra aperta, dunque non ti arrivano almeno il 50% delle notifiche e ti perdi tutto il bello. È colpa loro se non lo uso più tanto, ma questo è un altro discorso. Posso scrivere un tweet interessante adesso? Beh forse sì, ma meglio finire prima il mio articolo.
Mentre lo penso ho già aperto Instagram quasi senza accorgermene, sto cercando di arrivare a 10.000 follower ma sembra un'impresa ardua senza usare trucchetti. C'è qualche like nuovo, qualche commento... ancora non ho pubblicato nulla oggi. Penso a cosa potrei metterci, ho delle idee, ma mi dico che non devo farlo ora. Ho dei messaggi su Direct però, meglio dargli un'occhiata. Apro solo un secondo l'app della banca per vedere se ho ricevuto quei bonifici. Di solito chiudo appena vedo il meno che indica l'utilizzo del fido: meglio non pensarci, spegno lo smartphone finalmente.
Il dock mi dice che in questo poco tempo è già successo altro, perché vedo almeno 3 nuovi badge rossi di notifica. Lascio correre Mail e Telegram, li guarderò più tardi, ma su Slack può essere rilevante, meglio controllare. Si accende anche Whatsapp intanto, che uso quasi zero ma c'è un gruppo con alert importanti che mi porta a perdere un paio di minuti su altri siti, scambio due parole, chiudo. Ah quando odio la segnalazione di aggiornamenti dal Mac App Store, ma è meglio farli partire subito altrimenti l'occhio continuerà a cadermi su quel pallino rosso. Di solito sono 2 o 3 app, alcune volte anche di più. Non riesco a decidermi ad attivare il sistema automatico perché voglio sapere quando un software si aggiorna e per quale motivo, dunque do un'occhiata al changelog. Per lo più bug fix, quindi clicco su aggiorna tutto e via.
Safari ha la pagina dell'articolo ancora in attesa, ma è solo una delle tante finestre che in questo momento coprono il mio display da 27". Nel disordine non riesco a pensare, quindi chiudo un po' di cose. Appena è un po' più libero noto quei 4 o 5 file sulla scrivania che sono rimati orfani da ieri. Butto qualcosa nel cestino, ma c'è dell'altro che serve e dunque cerco di collocarlo nel punto giusto e di rinominare i file in modo da poterli ritrovare con una ricerca in futuro. Ora che tutto è libero posso riprendere finalmente a scrivere. Faccio un respiro, mi guardo interno. Mi accorgo che la scrivania su cui lavoro è tutt'altro che sgombra, piena di cose appoggiate qua e là nella giornata precedente. Se deve essere pulizia, meglio farla fino in fondo.
Suonano alla porta, un altro corriere: saluto, ricevo, firmo. Aspettavo delle cose importanti e da quando il numero dei pacchi in entrata è arrivato a superare i 10 al giorno ho smesso di utilizzare i software di tracking, dunque mi dico che è il caso di aprire sia questi che i precedenti. Intanto scatole di cartone si accatastano nel corridoio e in soggiorno... non ho tempo per schiacciarle ora, prendo le cose che mi servono e ritorno in studio, ma devo capire dove metterle. Poggio tutto sulla scrivania della seconda postazione e faccio così anche per le cose che stanno su quella principale, così gli do la schiena e almeno davanti a me è tutto ordinato. Sotto iniziano a fare lavori, non so perché ma da queste parti succede praticamente ogni giorno. Se non è il giardiniere sono dei muratori, altrimenti falegnami, fabbri, non so più quanti tipi di rumori ho avuto il dispiacere di sentire. Sono abituato ad avere la finestra aperta anche d'inverno in studio, ma odio i rumori e quindi la chiudo e rimetto su le Bose. Play.
Finalmente, ora il piglio è quello giusto. La musica è positiva, il volume non è forte, la sedia è comoda, insomma.. cerco di convincermi che tutto va come deve andare. Nel frattempo non mi ricordo più neanche cosa stessi scrivendo, devo rileggere da capo per poter continuare l'articolo con un senso compiuto. Ci vogliono pochi secondi ma sono noiosi, così gli occhi iniziano autonomamente a cercare una via di fuga. Me la dà lo smartphone, che si illumina e mostra una decine di notifiche. Finisco di rileggere è poi gli do un'occhiata, na c'era anche una chiamata persa. Il mio iPhone ha sempre il silenzioso attivo e quando scrivo tolgo anche l'Apple Watch perché mi dà fastidio in cinturino che urta alla scrivania, quindi se mi allontano le chiamate perse capitano.
Richiamo, parlo qualche minuto, poi ritorno sulle notifiche ma una volta preso in mano lo smartphone mi ritrovo catturato in un nuovo loop automatico. Apro Mail perché qui non si è aggiornato e vedo i badge, lancio gli aggiornamenti e poi senza pensarci mi ritrovo davanti Instagram, Amazon, Ebay, Telegram. Ma perché avevo preso lo smartphone? Basta, così non si può, lo poggio testa in giù. Lo schermo del computer si è spento e mostra lo screensaver con l'ora: sono già in ritardo. Mi rimetto di buona lena, questa volta senza distrazioni e in 5 minuti finisco di scrivere. Gli stessi 5 minuti sarebbero stati sufficienti un'ora fa, come ho fatto a perdere tutto questo tempo non lo so mica.
Tutto ciò non è successo oggi e non è nemmeno la giornata tipo, per fortuna. Ho anche tralasciato altri dettagli mangia tempo per amore del ritmo, ma il punto è che mi succede sempre più spesso di trovarmi catturato dentro loop con caratteristiche più o meno simili. In pratica ho davanti a me una finalità tutto sommato semplice in cui gli strumenti informatici sono necessari, ma invece di aiutarmi a raggiungerla questi finisco per introdurre solo caos. Non posso neanche qualificarla come una di quelle sindromi da dipendenza di cui si sente parlare spesso, perché mi capita tranquillamente di non guardare smartphone e computer per ore quando sto con la famiglia o lavoro fuori sede, però quando sono al computer e necessariamente circondato da tutti questi input, non sempre riesco ad ignorarli e proseguire per la mia strada. C'è la giornata in cui mi sveglio a fuoco, concentrato, so già quello che devo fare prima ancora di sedermi alla scrivania, ma c'è purtroppo anche quella in cui sono un po' svogliato e ogni stimolo esterno è un fastidio, e al tempo stesso una scusa per fare altro. Vorrei darmi una pacca sulla spalla dicendomi che le attività correlate ai social si possono un po' considerare "lavoro" per me, ma non è comunque una scusante. Proprio quando ci si sente un po' più passivi o demotivati si deve trovare la forza di spezzare il loop. Organizzo uno shooting per domani o vedo se posso affiancare qualche amico nel suo, così provo la nuova fotocamera e il nuovo obiettivo: una mezza giornata all'aria fresca fa rimettere tutto nella giusta prospettiva.
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giancarlonicoli · 6 years ago
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20 nov 2018 14:56 1. “WEINSTEIN MI CHIAMAVA SEMPRE PER RACCOMANDARMI QUALCHE ATTRICE, LE DONNETTE CON LUI GIRAVANO”. MEMORIE, FILM, RISSE E MUTANDE PAZZE DI VITTORIO CECCHI GORI 2. “CON ME CI HANNO PROVATO ALCUNE ATTRICI, ALCUNE MI HANNO FATTO GIRARE LA TESTA, MA SEMPRE DOPO LA CHIUSURA DELL’ULTIMO CIAK - UNA SERA VITTORIO GASSMAN HA DATO UN PAIO DI CEFFONI A VOLONTÉ. IL MOTIVO? GIAN MARIA A VOLTE ERA VERAMENTE PESANTE...” 3. “VERDONE E MONTESANO LITIGARONO SUL SET DE “I DUE CARABINIERI”. ENRICO ERA GELOSO DELLE RISATE, SI LAMENTAVA, E AVEVA RAGIONE CARLO. CERTI ATTEGGIAMENTI HANNO DECISAMENTE LIMITATO LA CARRIERA DI MONTESANO” - LE SEI ORE DA WOJTYLA CON BENIGNI, GARCIA MARQUEZ CHE SPERNACCHIO’ TORNATORE, I SOLDI DATI A TRUMP PER LIQUIDARE IVANA 
Alessandro Ferrucci per “il Fatto Quotidiano”
La prima domanda, il primo dubbio dopo l' ictus dell' anno scorso ("come sta?") iniziano a sciogliersi già dal brusio che invade l' ascensore; spariscono del tutto appena varcata la soglia di casa: Vittorio Cecchi Gori in tuta, decisamente dimagrito, un colore di capelli sobrio, leggermente paonazzo mentre urla al telefono: "Tycoon a chi? A chiiiiii! Non sono un tycoon (pausa, ascolta brevemente l' interlocutore) Sì, l' ultimo tycoon del cazzo io sono una vittima Ho detto no, e basta". Questa è la sintesi di una conversazione lunga qualche minuto, mentre cammina nel suo appartamento romano, con passo veloce e frequente.
L' associavano a Trump.
Nel 2001 o 2002 mi raggiunse a Saint Tropez e disse: 'Vieni a vivere negli Stati Uniti, altrimenti in Italia ti rovinano'.
Lungimirante.
Cacchio è vero. Però ci siamo conosciuti tempo prima: dalla sua società avevo acquistato gli ultimi due piani di un grattacielo a Central Park, e pagati in contanti; un affarone per me, felicità totale per lui perché aveva bisogno di liquidità per la separazione dalla moglie Ivana.
Messo all' angolo uno come The Donald?
C' è una regola fondamentale: puoi essere presidente o l' ultimo arrivato, sempre al bagno devi andare.
Aveva ragione rispetto al "vieni a New York"
Sì, ma quando parlava non lo capivo tanto, forse perché non si intendeva di cinema, pochi gli argomenti in comune.
Neanche la comune passione per le donne?
Vabbè ma quello è normale, anzi è buon segno.
Di un altro tycoon , Berlusconi, ha dichiarato: "Se gli dai il dito ti si prende il culo".
Confermo.
Non le sta antipatico
Sul viso compare un' espressione strana, un mix di emozioni stratificate nei decenni) All' inizio Silvio è stato la fortuna del cinema e anche la mia, in particolare grazie alle sue televisioni private; poi come sempre avviene, riesce a distruggere le persone che gli sono state vicine.
Ecco quella frase
Nata da una conversazione con Gianni Agnelli su Giovanni Spadolini, quando non venne eletto alla presidenza del Senato e per un solo voto (nel 1994 vinse Carlo Scognamiglio, di Forza Italia).
E Agnelli?
Gli piacque così tanto da ripeterla a chiunque e in continuazione.
Da ex parlamentare le hanno tolto il vitalizio.
Non è il maggiore dei miei problemi, con tutto quello che mi è capitato in questi anni! Anzi, a me i 5Stelle neanche dispiacciono.
Dei suoi problemi, qual è il più grande rimpianto?
Senza dubbio il cinema: soffro nel vedere com' è ridotto, magari avrei lottato per salvare qualcosa, per mantenere certi livelli, in particolare la nostra presenza sul mercato internazionale.
Quale film le sarebbe piaciuto produrre?
Non lo so, non li vedo più tutti.
La grande bellezza
No, non sono sereno nei giudizi (si ferma, riflette) paragono ogni pellicola a quelle prodotte da noi, e le nostre mi sembrano sempre più belle.
Perfetti sconosciuti .
Ecco, questo è girato bene ed è arrivato all' estero noi il mercato straniero lo toccavamo spessissimo, grazie ad Altrimenti ci arrabbiamo pure l' estremo Oriente.
Bud Spencer e Terence Hill.
Un record incredibile, girato insieme a due persone perbene, molto differenti caratterialmente, ma compatibili come poche altre.
Bud Spencer è celebre per le spaghettate in roulotte durante le pause.
La roulotte è un mondo a sé, è il cinema; lì dentro sono nate leggende, storie, amicizie e discussioni: Aldo Fabrizi cucinava chili e chili di spaghetti, il fumo del bollitore usciva da ogni parte; Renato Pozzetto era fissato, la considerava sacra, quasi inviolabile.
Una casa.
Sì, ma solo dentro al contesto del set, altrimenti diventavi un poveraccio.
Le roulotte permettevano le fugaci storie d' amore.
Solo la sera, durante il giorno si girava.
Gianmarco Tognazzi a La Zanzara ha rivelato che il padre Ugo pure durante le riprese
Era micidiale, una passione smodata per le donne. E lo capisco bene (scoppia a ridere).
Anche lei sui set
Lì mai.
Impossibile.
Davvero: mai sedotta una attrice per il mio ruolo da produttore, ogni storia è nata sempre dopo la conclusione del film.
Insomma, Tognazzi
Con lui abbiamo girato molte pellicole, alcune complicate come nel caso de La Califfa: c' era Alberto Bevilacqua (regista) poco pratico della macchina da presa, mio padre lo doveva perennemente guidare, sembrava lui il vero regista.
Sarà stato contento Bevilacqua.
Il vero produttore è pure autore, e il regista deve essere un po' produttore: questa è la meccanica; mio padre prendeva il copione e si segnava le scene incerte, poi chiamava gli sceneggiatori e li invitava caldamente a correggere; poi si imponeva sui registi, ma solo dal punto di vista meramente creativo.
Anche lei?
Meno, papà andava più a fondo. Però andavo sempre sul set.
Il successo di Altrimenti ci arrabbiamo è suo. Suo padre cosa le disse?
Non lo ha mai capito, né amato: non lo sentiva proprio.
Gli incassi li avrà visti.
Altri tempi. Vede questa casa? (Un bell' attico ai Parioli, spoglio in quel che resta di un arredo in perfetto stile anni Sessanta).
Cos' ha?
Acquistata nel 1962 grazie agli incassi de Il sorpasso. E quante discussioni per realizzarlo.
Tra chi?
Mio padre e Dino Risi: scazzavano pure sulle singole scene, delle liti epiche, straordinarie, tra due grandi teste.
Lei presente sul set?
Avevo vent' anni e ricordo la magia di quelle settimane: in apparenza discutevano, ma in sostanza filava alla perfezione, una magia perenne, compresa la scelta all' ultimo momento di Trintignant, o quella del contadino.
Il tizio con le uova.
Ingaggiato a caso e solo un' ora prima di girare: l' attore scelto non si era presentato (si ferma). Con Brancaleone stessa storia.
Cosa?
Altra magia, e pensare che non lo voleva nessuno a causa del linguaggio 'incomprensibile', dicevano. Al contrario è stata la sua forza, e grazie alla cultura dei miei genitori.
Gassman.
Persona straordinaria, girare Brancaleone è stata un' avventura. Cinema nel cinema. Serate di confronti, anche aspri: una sera Vittorio ha dato un paio di ceffoni a Volonté; Gian Maria a volte era veramente pesante, difficile vederlo rilassato.
Qual è il punto debole degli attori?
Soffrono l' età, hanno difficoltà nell' invecchiare, proprio non lo accettano.
Chi è l' attore?
Due categorie: quelli che interpretano solo se stessi, e chi entra nelle varie parti.
Esempio.
Nel primo gruppo inserisco Alberto Sordi, perennemente lui; nel secondo Marcello Mastroianni.
Il suo primo set.
Nel 1949 con mio padre a Napoli, per un film con Eduardo De Filippo: durante le pause mi piazzavo sulle sue ginocchia.
Di De Filippo?
Sì, e mi lamentavo perché era troppo ossuto; ho ancora nella testa, nel cuore e nelle narici la gioia del pranzo, con cestini stracolmi di ogni magnificenza culinaria, il trionfo dell' opulenza partenopea.
Comunque le pause dei film sono fondamentali, puoi stringere accordi, far nascere amicizie, sinergie, capire la vera natura delle persone.
Ha mai visto sorridere Eduardo?
Mai. In compenso mi sono rifatto con Massimo Troisi, uno dei pochi ad associare il ruolo di attore a quello di autore.
Roberto Benigni.
Non lo vedo da qualche anno, però il tempo passa per tutti.
Con lui ha vinto l' Oscar con La vita è bella .
E dopo abbiamo sbagliato a girare Pinocchio.
La maledizione di Pinocchio .
Che per me vale doppio: oltre a lui pure con Francesco Nuti.
Due disastri. Il problema è uno, e solo uno: è un libro per grandi, mentre tutti lo interpretano come un testo per ragazzi.
Perché il secondo flop dopo quello con Nuti?
Dopo il successo de La vita è bella, Roberto aveva difficoltà nel trovare una storia interessante, quindi siamo andati a sbattere da consapevoli, ma senza via d' uscita.
Con Benigni e Troisi è nato Non ci resta che piangere .
Ricordo lo sguardo scandalizzato di mio padre al momento dell' anteprima a Cinecittà: il film durava circa quattro ore, e non capiva l' assoluto di due geni messi insieme. Quante risate
Sul set?
Anche fuori: a cena ridevo per ogni gag volontaria e non. E quel film solo loro potevano realizzarlo: la storia non è un granché, sono i loro tempi comici a renderlo incredibile.
Quale film le è sfuggito.
Ero fissato per Cent' anni di solitudine. Un giorno mi chiamano da Los Angeles: 'Ti abbiamo preso un appuntamento con Garcia Marquez'. Decido di partire con Giuseppe Tornatore, destinazione: Città del Messico; un viaggio complicato durante il quale andiamo a sbattere con la macchina.
Pure l' incidente Tamponati durante un nubifragio, niente di grave, mi sono rotto giusto una costola.
Ah, allora Arrivati andiamo a casa di Marquez, la moglie in cucina a preparare la cena; lui gentilissimo, voleva darmi tutti i diritti dei libri, mentre io desideravo solo Cent' anni. 'Nessuno è in grado di girarlo, è un romanzo troppo personale, intimo, impossibile ricreare quell' ambientazione'. Tornatore ci rimase malissimo.
Al Fatto lei ha dichiarato di aver conosciuto molto bene Weinstein.
Un uomo di grandi capacità dal punto di vista cinematografico, per il resto un lazzarone. E riguardo ai film, con lui non si vedeva una lira.
Altro che lazzarone.
Con me è stato bravissimo nel lancio statunitense delle pellicole che poi hanno vinto l' Oscar (Mediterraneo, La vita è bella e Il postino), poi mi chiamava sempre per raccomandarmi qualche attrice, quindi le donnette con lui giravano.
Lo scandalo non l' ha stupita?
Per nulla.
Con lei le attrici ci hanno provato?
Alcune mi hanno fatto girare la testa, ma come le dicevo, sempre dopo la chiusura del' ultimo ciak. Insomma, ci conoscevamo sul set.
Davvero mai prima?
Solo le minori, quelle che hanno necessità di questi mezzucci.
Un suo amico.
Marco Risi, grazie ai nostri genitori siamo cresciuti insieme. Quando sono stato male è corso in ospedale, non ha ottenuto il permesso di entrare, e allora mi ha scritto una lettera bellissima. Il mio sogno è rifare Il sorpasso insieme a lui.
Carlo Verdone è stato suo testimone di nozze.
E in quel momento è nata l' idea de I due carabinieri.
Davanti all' altare?
Durante la cerimonia vidi lui ed Enrico Montesano impettiti, vestiti in blu e pensai al soggetto del film. Comunque sul set litigarono
Come mai?
Enrico era geloso delle risate, si lamentava, e aveva ragione Carlo.
Montesano carattere complicato.
Eh sì, certi atteggiamenti hanno decisamente limitato la sua carriera.
Per anni è stato proprietario della Fiorentina. Come giudica quel mondo?
È losco, marcio come non potete immaginare. Ci hanno spedito in Serie B e in precedenza non siamo riusciti a vincere lo scudetto, la mia piccola vendetta è stata vendere Batistuta alla Roma
Ha visto cose che
(Cambia discorso) Da ragazzo giocavo pure a pallone.
Con Pasolini.
Correva molto ma non era forte. Io meglio di lui.
I calciatori professionisti.
Degli immaturi obbligati a crescere velocemente e questo provoca dei traumi amplificati dall' incredibile vortice economico che li circonda.
Tra tutte le persone che ha conosciuto e che non ci sono più, con chi le piacerebbe poter passare ancora un' ora?
Esclusi i miei genitori?
Sì.
Giovanni Paolo II . Dopo La vita è bella chiamò me e Roberto (Benigni) per un incontro: sei ore solo a noi due.
Sei ore metaforiche?
No, reali: dalle 14.30 alle 20.30, e venni fuori alla distanza, perché Roberto è un bel rivale, mica sta zitto facilmente. Il Papa apprezzò molto lo spirito del film, in particolare il desiderio di riunificazione tra cattolici ed ebrei, fino a quando lo vennerò a chiamare: 'Santità è l' ora della cena'.
Un suo errore "chiave"?
A un certo punto mi sono lanciato in troppe situazioni e non ho retto.
Si sente solo?
Rispetto a prima è inevitabile, un tempo lavoravo a pieno ritmo; ma finché sei vivo devi illuderti di essere eterno. (È tramontato il sole, la luce elettrica non viene accesa. Ma dagli occhi di Cecchi Gori parte un lampo)
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taverna2 · 7 years ago
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Trasferta franzosa, trasferta fumosa
Trasferta franzosa, trasferta fumosa
2017.
Febbraio.
Si vocifera di una possibile trasferta presso un cliente.
In Francia.
Nulla contro la Francia.
Tranne il fatto che la odio, assieme ai suoi abitanti, ma tolto questo, nessun problema.
Francia, che come si sa è il paese romantico per antonomasia.
Per coerenza, quindi, la trasferta è a cavallo di San Valentino.
La romantica meta del romantico viaggio per la romantica trasferta è la romanticissima Lilla.
Lilla, la capitale del Nord (anche se io ricordavo fosse Grande Inverno…)
Lilla che sta al romanticismo come Gigione sta alla musica.
Non solo, Lilla sta alla Francia come Bolzano sta all’Italia.
La trasferta in sé per sé non è andata male, anzi...
C’è stato anche tempo per una cenetta romantica con il mio amicollegamante Paolo, la sera di san Valentino.
Cenetta a base di cheddar al cheddar con contorno di cheddar.
Sì, al Nord fanno un uso smodato di cheddar.
E di alcol…
Non fosse stato per il cheddar, mi sarei sentito quasi a casa.
Ci sarebbero tanti aneddoti carini da narrare su questa trasferta, come ad esempio il mio omologo franzoso che prendeva a pugni la scrivania al grido di “putain!”, lo stesso che si portava il cibo da casa dentro un sacchetto della spazzatura, di quelli neri.
Ma voglio raccontare un accadimento accaduto la mattina del rientro.
Piccola premessa. Per motivi logistici, si è volato da Roma a Bruxelles, da lì poi in auto fino a Lilla. Al ritorno stessa storia, solo al contrario.
Per essere più vicini all’aeroporto ed evitare di perdere il volo del rientro causa traffico, si è prenotato un hotel in Belgio a due passi dall’aeroporto di Zaventem.
Comodo. Pratico. L’hotel era anche un Novotel, quindi niente male, poi il prezzo (a detta dell’ufficio acquisti) era veramente conveniente.
Cosa vuoi di più dalla vita?
Una volta giunti nell’hotel vicino all’aeroporto ci siamo recati alla reception per fare il check-in.
La prima domanda che ci fa il biondino al di là del bancone è “English or French?”
La risposta è arrivata all’unisono “English!”
Forse era meglio in francese…
Il simpatico concierge, infatti, aveva un modo alquanto singolare di parlare inglese. Tralasciando il suo accento, che era una spanna sotto a quella di un indiano medio.
Oltre alla pronuncia impronunciabile, aveva una variazione di ritmo che Vivaldi levati proprio! Spaziava allegramente dal parlare molto lentamente scandendo bene le parole al Chicco Mentana in piena trance da maratona in diretta per le elezioni in Qatar.
Inutile dire che per le informazioni importanti entrava in modalità Mentana strafatto di coca,
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mentre per le cose più inutili tipo “siamo a soli 5 km dall’aeroporto” o “domani è previsto bel tempo sullo stretto di  Gibilterra” switchava in modalità Flash il bradipo.
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Destreggiandoci tra accenti improbabili e cercando di seguire le fasi più concitate del discorso del concierge - che abbiamo scoperto solo una volta finito essere stato diretto dal maestro Vessicchio - abbiamo capito perché la prenotazione era costata poco.
Nell’ordine:
Parcheggiare l’auto costa 15€ al giorno, e il parcheggio non era incluso nella prenotazione. (Tra l’altro in caso di smarrimento del tagliandino con la ricevuta, il costo del parcheggio sarebbe stato di 150€ indipendentemente dai giorni di sosta dell’auto nel loro parcheggio.)
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WiFi pezzente free, WiFi con i controcazzi, lo si paga  a parte, e il WiFi coi controcazzi non era incluso nella prenotazione.
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Il costo della colazione 20€ e - nemmeno a dirlo - non era inclusa nella prenotazione.
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Quindi un attimo, facciamo due conti, noi si è in due. Una colazione a testa, per due, fanno un totale di due colazioni, che a 20€ l’una... fanno solo 40€.
Il nostro amico è li in attesa, dall’altra parte del bancone, di sapere se imputare o meno le colazioni sul conto delle camere.
Io e il mio compagno di merende, o meglio il mio compagno di colazioni, ci scambiamo uno sguardo d’intesa, con tanto di sorrisino beffardo che stava per:
“fottesega a me, tanto paga il cliente sta trasferta!”
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Quindi quasi in coro è partito un “Garson, segni pur la colasion!”
Non so come sia stato possibile, ma il tizio capisce e segna le due colazioni.
Mentre con tanto di bagagli a seguito ci dirigevamo all’ascensore, non abbiamo potuto non commentare la leggerissima esosità, a parer nostro, della succitata colazione.
Ma nel farlo giungemmo tutti e due alla medesima conclusione, ovvero...
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“Poveretti, non sanno con chi hanno a che fare”
Durante il percorso ascensore-camere abbiamo avuto il tempo di progettare un malefico piano di vendetta, tanto semplice quanto geniale: fare una colazione della madonna, farglieli sudare, anzi no, farglieli rimpiangere questi 20 euri che ci hanno appena fottuto.
Avete presente il detto “Fai attenzione a quel che desideri, perché potrebbe avverarsi”? Ecco in questo caso casca a pennello.
Tralasciamo i dettagli delle camere, tipo doccia e lavabo in un bagno e SOLO il water in una toilette separata, ma sempre nella stessa camera. Con tutte le implicazioni del caso sull’igiene, con un occhio di riguardo per la maniglia della porta della toilette.
Andiamo direttamente alla mattina.
Appuntamento alle 07:15 nel salottino del piano e si parte in direzione sala ristorante per la famigerata colazione.
Prendiamo posto ad un tavolino per due, verso il fondo della sala, come la più classica delle coppiette e decidiamo di fare prima il giro “salato” e poi un giro sul “dolce”.
Perfetto: il mio amico Paolo mi precede e io lo seguo per prendere spunto, primo perché non sono molto pratico di colazioni continentali, secondo perché credo di aver dimenticato il cervello sopra il cuscino del letto della camera, quando sono uscito.
Uova strapazzate, bacon, ok.
Poi salsiccette, quella cosa che assomiglia al prosciutto, ottimo.
Un paio di formaggi a caso, tanto saranno sicuro cheddar.
Poi mi avvento sui backed beans e una confezione monodose di maionese.
Perché sì, insieme al cervello, in camera, ho lasciato anche la decenza.
Stiamo per tornare al nostro tavolino per consumare questa cacofonia di colori, sapori e consistenze che mi ostino a chiamare colazione continentale, che Paolo mi fa “lo vuoi un toast?” e io, per rispettare il piano deciso la sera prima, rispondo con un “ovvio!”.
Paolo prende una fetta di pane per me, una per lui e le mette dentro uno strano parellelepipedo di metallo che come per magia, prende queste due fette e le fa lentamente sparire al suo interno, per poi defecarle dopo qualche manciata di secondi calde e croccanti al punto giusto.
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Questa è magia, è stregoneria!!
Inutile dire che rimango affascinato da questo trisavolo di R2-D2.
Torniamo al tavolo a consumare la nostra colazione salata, annaffiata nel mio caso da un bicchiere di succo di pompelmo.
Finito il giro salato, facciamo 5 minuti di pausa e poi si parte per la dolce spedizione punitiva.
Complice il pompelmo e il giro di salato appena divorato, il mio cervello è un po’ meno in ferie, inoltre sul dolce sono più ferrato, quindi stavolta vado in avanscoperta da solo.
Scoprirò solo più tardi che la troppa fiducia nei miei mezzi è stata un gravissimo errore.
Comunque altro giro, altro piatto.
Iniziamo con un bel cornetto semplice.
Un saccottino...
Poi sì, un muffin...
Vediamo vediamo, ah sì ecco, strudel.
Nooo!!! La girellina con la cannella, troppo buona, la prendo!
Un paio di biscottini che non fanno mai male...
Il piatto è quasi pieno, sto finendo il giro della tavola quando vedo uno scaffale con tanti tipo differenti di pane.
Penso tra me e me “porca paletta, se l’avessi visto prima, col salato ci sarebbero stati divinamen...”
Il pensiero si blocca e svanisce in un baleno perché il mio sguardo si è appena posato su un fantastico pane dolce all’uvetta.
E’ stato amore a prima vista, ne prendo una fetta perché sono curioso e goloso. Il piatto sta veramente straripando, mi arrendo e mi dirigo verso il tavolino dove c’è Paolo che mi sta aspettando.
Mentre sono li che tento di tornare al tavolo cercando di non spargere a terra alcun pezzo del mio dolcissimo bottino, mi imbatto nel mio caro amico, l’antenato di R2-D2, il tostapane magico di prima.
La mia mente, la mia migliore amica, ma a volte anche una grandissima infame, fa un’associazione di idee tanto ardita quanto divinamente geniale:
se :
fetta di pane bianco triste +
tostapane magico  
--------------------------------- =
toast buonissimo
allora:
fetta di pane buonissimo con uvetta +
tostapane magico
----------------------------------------------- =
arcobaleni di gattini che cavalcano unicorni rosa
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Quindi, senza titubare e senza pensarci troppo su, prendo questa fetta di pane all’uvetta e la do in pasto al tostapane di mago merlino.
E’ l’inizio della fine.
Il tostapane delle meraviglie, infatti, accetta con gioia la prelibatezza che gli ho dato e inizia lentamente, come ha già fatto centinaia e centinaia di volte, a farla sparire dentro la sua magica pancia.
Io lo guardo estasiato, pregustando il tripudio delle mie papille gustative quando assaggeranno questo toast.
“Però... che strano, è da qualche secondo dentro al tostapane ed è già di un colore ambrato carico... Mah, sicuramente essendo un pane diverso rispetto da quello bianco tradizionale, assumerà delle nuance di colori differenti”, mi dico.
Tuttavia non mi sento a mio agio, continuando a fissare la mutazione che sta avvenendo all’interno di quel parellelepipedo delle meraviglie.
Accipicchiolina, non è nemmeno a metà del percorso ed è già bello biscottato… e a guardare bene credo stia anche iniziando a produrre un filo quasi impercettibile di fumo.
Sarà normale, poi tra poco uscirà dal tostapane. Tra poco.
Tra poco…
Però… non ricordavo fosse così lento questo tostapane a nastro.
Continuo a tenere d’occhio la mia fetta oramai biscottata, e vedo che avanza lentamente tra due grill incandescenti, uno posto sopra e uno sotto il nastro trasportatore di pani.
Avanza molto lentamente.
Avanza decisamente troppo lentamente…
Arrivato a circa tre quarti del nastro, è oramai nero e ha iniziato a produrre fumo, tanto fumo.
Fumo che ora mi accorgo uscire copioso dal retro di questo maledetto tostapane.
Panico.
Gocce di sudore mi imperlano la fronte. La situazione sta precipitando, non ce la farà mai ad uscire quella cavolo di fetta di pane ormai carbonizzata, e soprattutto non ce la farò mai io a defilarmi senza dare nell’occhio.  Cosa faccio?
Alcuni degli astanti sono stati attirati dal fumo che fuoriesce dal fottuto tostapane che però non accenna a sputare fuori la fottuta fetta di pane.
Tento la sorte, ci sono due manopole alla base del demoniaco elettrodomestico industriale.
Sì, ma come funzionano? Le scritte sono in francese, maledetti siate!
Malnati mangiaranocchie, voi e lo vostro franzoso idioma!
Quale delle due sarà l’accensione? Quale regolerà la velocità? Quale manderà indietro il tempo evitandomi questa transalpina figura di merda?
Come il più classico dei John McClane mi trovo a dover disinnescare una bomba, senza avere la minima idea di cosa sto facendo.
Ok, taglio il filo rosso.
No, il blù…
No, aspetta, taglio il rosso, sono indeciso, ma tanto ho ancora altri 2 secondi per pensarci.
Ok, vado sulla manopola di destra e la giro tutta in senso antiorario. Il Christine dei tostapane si disattiva, sono salvo.
O almeno è quello che credo. Un attimo dopo aver tirato un sospiro di sollievo, mi rendo conto che il mostro si è fermato e così anche il nastro che trasportava il cadavere carbonizzato del mio toast dolce.
Toast che però non ne vuole sapere di smettere di produrre fumo. Mezza sala ristorante è invasa dal fumo.
Inutile, non ho scampo. Meglio affrontare il mio destino con dignità. Dignità… quel po’ di dignità che mi è rimasta dopo questo maldestro attentato terroristico.
Mi dirigo verso la cucina e con la più angelica delle facce che ho nel repertorio esordisco con un “Sorry… Excuse me… Sorry ”, non appena una cameriera si affaccia dalla porta della cucina continuo con un “I think I’ve made something wrong...”
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La cameriera alza lo sguardo e nota la coltre di fumo che avvolge i lampadari nascondendo quasi il soffitto e, con uno sguardo tipo Mara Carfagna di fronte a domande scomode su Berlusconi
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segue la scia di fumo fino a capire che la fonte di quel disastro è quel cazzo di tostapane.
Biascica un “No… no problem, monsieur” e sparisce in cucina, per tornare cinque secondi dopo brandendo una pinza da insalata come fosse uno stocco, e a furia di affondi e fendenti riesce ad attraversare la coltre di fumo e a raggiungere il tostapane; una volta avuto un contatto visivo con il nemico, la malcapitata tenta di rimuovere quella che oramai è più simile a una scoria radioattiva che a un alimento.
Dopo qualche tentativo, riesce ad avere la meglio sull’artefatto alieno, che stava tentando di conquistare la terra producendo una strana nebbia, iniziando l’invasione dal Belgio stavolta, e non da Tokyo in Giappone, come tutti i cartoni della nostra infanzia ci hanno insegnato.
Con quel tozzo di carbone saldamente stretto nella pinza e imprecando sottovoce, si dirige verso la cucina e un attimo dopo la vedo sparire dietro le porte a molla che separano lei e i coltelli presenti in cucina dalla mia persona.
In tutto ciò, non mi sono reso conto di avere ancora il piatto con il giro di dolce in mano.
Mi viene da ridere, è più forte di me, non ne posso fare a meno. La situazione è troppo paradossale. Mi rendo anche conto che forse non è il caso di farlo, se tengo alla mia vita.
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Perché secondo i miei calcoli, tutti i presenti dovranno spendere più di qualche euro in lavanderia per togliere l’odore di bruciato che ora impregna i loro abiti.
Quindi, trasudando ilarità da tutti i pori - da qualche parte doveva pur uscire - e ridendo sotto i baffi, mi dirigo finalmente verso il tavolino dove il buon Paolo mi sta aspettando.
Mi siedo al tavolo, provo a darmi un contegno, ma mi torna in mente l’immagine della cameriera che con le pinze porta il tizzone fumante in cucina, e inizio a ridere come un demente, e vedendo la faccia perplessa di Paolo gli racconto cosa ho combinato.
Lui mi guarda e fa “ecco chi minchia era allora quello che ha dato fuoco a mezzo hotel!”
Sentendomi leggermente osservato, ho consumato il resto della mia colazione velocemente e tenendo un profilo estremamente basso.
Prendiamo i bagagli, saldiamo il conto e ci dirigiamo a passo spedito verso la macchina.
Nella breve distanza che ci separava dal rifugio sicuro dell’auto a noleggio, ricordo chiaramente di aver sperato che non uscisse nessuno dall’ingresso chiedendo lumi sull’accaduto.
Anche se la mia paura più grande non era tanto quella di dover rendere conto della cazzata fatta, quanto quella di veder sbucare da dietro l’angolo, da un momento all’altro, la cameriera armata di coltello da macellaio...
Fortunatamente i miei incubi sono rimasti tali e siamo riusciti a prendere il volo di ritorno.
Beh, stato di parola. Quei 20€ di colazione glieli ho fatti rimpiangere.
A distanza di tempo, ancora ci ripenso e ancora rido come un cretino, ma una domanda mi assilla, non mi dà pace:  
...chissà come era quel cazzo pane dolce all’uvetta?
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