#e una ieri disse che fa schifo
Explore tagged Tumblr posts
Text
TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol.1 - From the Empire
WITCH HUNT - Capitolo 1
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
“Nome ed età?” Chiese Abel.
“Eris Wasmayer. Diciassette.”
“Diciassette? Ma ieri non ci avevi detto di averne diciotto?”
“Non si dovrebbe chiedere l’età ad una donna.”
“Eris, potresti essere seria per un momento?” Sospirò Abel, sollevando gli occhiali tondi simili a fondi di bottiglia e chiudendo il taccuino dove stava prendendo appunti.
“Ma è così noioso!” Si lamentò Eris, andandosi a sedere sul letto ed incrociando le gambe. Si voltò di lato spingendo fuori il labbro inferiore, mostrando al prete quanto era imbronciata.
Se non fosse stato per il suo comportamento capriccioso, sarebbe stata molto carina. Aveva la pelle chiara ed i capelli perfettamente tagliati a caschetto. Ma era terribilmente infantile. E con quei capelli corti e senza trucco dimostrava non più di quattordici anni.
Solo dieci giorni prima era incapace di parlare. Era rimasta così tanto shockata dall’incidente nel rifugio dei vampiri che avevano dovuto portarla in quel bunker per i trattamenti medici ed essere interrogata. Ma ora che si era ripresa, era impossibile farle prendere la situazione sul serio.
“Padre, sono chiusa in questo bunker da giorni ormai. Non ho nulla con cui distrarmi, né posso avere contatti col mondo esterno. E quando mi vieni a trovare, mi porti solo documenti e scartoffie. Quante altre volte ti devo raccontare la mia versione della storia?” Piagnucolò.
“Seriamente? È perché la cambi ogni volta. Mi piacerebbe essere più comprensivo, ma devi capire che ho un lavoro da svolgere. Devo fare rapporto al mio capo, e se il rapporto non è scritto correttamente, sarò io ad essere rimproverato.”
Eris fece un cenno di comprensione vedendo una traccia di terrore dietro gli occhiali del prete al solo pensiero di ciò che aveva appena detto.
“Essere un prete dev’essere difficile.”
“Lo è, devi credermi. Ascoltami: il mio capo può essere molto spaventoso. L’ultima volta che ho consegnato un rapporto in ritardo si stava limando le unghie e mi ha detto con una voce stranamente gentile: ‘Hai avuto molto da fare ultimamente Abel?’ Per un attimo ho pensato che mi avrebbe cavato gli occhi… ma non so perché ti sto raccontando tutto questo.”
“Ma no ma no, sfogati pure. Dopo ti sentirai meglio.” Lo provocò Eris.
“Sono io che faccio le domande qui. Puoi collaborare? Per favore?” La pregò.
Eris represse un sorriso quando vide l’espressione seria sul volto del prete. Adorava prenderlo in giro. Era sola al mondo, per cui il solo modo per avere un po’ di compagnia era far tornare Abel da lei.
“Ti faccio una proposta. Ti prometto che collaborerò. Ma solo se mi portate del cibo da fuori.”
“Non posso farti uscire. Non ancora.”
“Allora andate a comprarmi qualcosa. Fatelo e risponderò a tutte le vostre domande. Il cibo qui fa schifo. Vorrei mangiare qualcosa di più… umano.”
“Andata.” Rispose il prete.
In effetti il cibo lì faceva abbastanza schifo. Lo sapeva. Era insipido come le pareti di quel bunker. Era uno scambio semplice. E comunque sempre meglio che subire lo sguardo crudele attraverso il monocolo del suo capo.
“Cosa vorresti? Ti faccio portare quello che vuoi.” Disse allegramente.
“Voglio un Gateau Chocolat e dei Marron Glace.” Disse senza un attimo di esitazione.
“D’accordo. Gateau Chocolat e Marron Glace.”
Il prete stava giá uscendo dalla stanza, ma si fermó improvvisamente. Con un gesto cauto, come se stesse maneggiando una bomba, tirò fuori il portafoglio e lo esaminò con attenzione.
“Si può sapere che c’è?”
“Che ne diresti invece di una brioche appena sfornata?”
La ragazzina tirò un cuscino addosso al prete e si buttò a pancia in su sul letto, guardando il soffitto.
“Quanto sei inutile. Va bene, prendi quello che ti pare!”
“Fantastico! Allora vado subito.” Abel fece per aprire la porta.
WHAM!
La porta si spalancò improvvisamente e andò a colpire Abel dritto sul naso. Il colpo lo stese più velocemente di un pugno in faccia. Si afferrò il naso stringendo gli occhi pieni di lacrime.
“Ciao Tres.” Farfuglió.
“Padre Nightroad, ma che stai facendo.” Replicò Tres, guardandolo con il bel volto inespressivo. Nonostante fosse di bassa statura era ben proporzionato ed i vestiti che portava sembrava che gli fossero stati cuciti addosso, ma era sempre circondato da un alone di odore di polvere da sparo.
“La tua mamma non ti ha insegnato a bussare prima di entrare nella stanza di una ragazza?”. Chiese Abel.
“Negativo. Non c’è tempo.” Rispose Tres. Muovendosi in modo meccanico, Padre Tres buttò un plico di fogli sul letto.
“Mi ha contattato Sorella Kate. Abbiamo un nuovo posto per la ragazzina. Gli ordini sono di farle liberare la stanza immediatamente.”
“Un posto nuovo?” Chiese preoccupato Abel, ancora rannicchiato per terra e con un fazzoletto infilato su per una narice sanguinante. Eris è al centro di di diverse cospirazioni. In questo momento, solo dei pazzi si offrirebbero di ospitarla.
“Sarà il Convento di Santa Rachele a Roma ad ospitarla. Sorella Kate è dovuta passare tramite suoi contatti personali per ottenerlo.” Lo informò Tres.
Abel annuí. “Allora siamo in debito con lei. Il Convento di Santa Rachele ha delle ottime strutture, e lo staff è al top. Sempre che Eris non preferisca rimanere a Marsiglia.”
Guardò preoccupato la ragazzina, che rimaneva in silenzio mordicchiandosi il mignolo, pensierosa. Il luogo in cui si era rifugiata non esisteva più e non aveva nessun famigliare su cui contare. Non aveva molte altre scelte…
“A me non importa. Quando partiremo per Roma?” Chiese Eris.
“Questa notte.” Rispose Tres.
“Stanotte?” Abel era incredulo.
Non era tranquillo nel far muovere Eris— non senza avere il tempo di organizzare un’adeguata sicurezza. Se i vampiri la volevano morta, un’uscita affrettata avrebbe solo fatto il loro gioco.
“Una suora del Convento vi incontrerà alla Stazione Centrale questa sera. Padre Nightroad, sarai responsabile di scortarla fin lì.” Continuò Tres.
“E tu dove sarai?” Chiese Abel.
“Ho un interrogatorio in ospedale.” Tres si girò per lasciare la stanza, ma si fermò per guardare indietro verso Abel. “Il vampiro che abbiamo catturato al rifugio si è rigenerato abbastanza da rispondere alle nostre domande. Continuerò lì le mie indagini.”
Eris osservò il prete impettito uscire dalla stanza. “Non mi piace.” Dichiarò. “Non é stato per niente gentile con te.”
“Pensa solo al lavoro.” Rispose Abel. “Ed in effetti almeno lui ha del lavoro che lo aspetta. Mentre le mie indagini sono in un punto morto.”
Abel ripensò a quanto aveva appena detto. La pista delle sue indagini era quasi inesistente, ma c’era sempre qualcosa su cui si poteva lavorare. Ed a volte le piste più sottili portavano a casi più importanti. Ripassò le sue annotazioni e lo svolgersi degli eventi. Era stato confermato che il dirottatore della Tristan, il Duca Alfredo era salito a bordo della nave allo Scalo Aeroportuale di Marsiglia. Faceva parte dei Fleur du Mal, un gruppo di vampiri dalle idee radicali che vivevano nelle campagne. Erano un piccolo gruppo di fanatici disorganizzati, non avrebbero mai potuto da soli mettere in piedi un attacco terroristico su larga scala. Il rifugio dei Fleur du Mal era poi stato distrutto in un’orribile carneficina, dove lui e Tres avevano trovato Eris. Lei era l’unico collegamento con il dirottamento… che non fosse un cadavere. Ci doveva essere qualcosa che mancava.
Abel tirò di nuovo fuori il suo taccuino.
“Dunque, non abbiamo molto tempo, quindi vediamo di finire questo rapporto. Per prima cosa, dimmi quanti anni hai…”
#abel nightroad#trinity blood#sunao yoshida#rage against the moons#trinity blood novels#traduzione italiana#tres iqus#eriswasmayer#thores shibamoto
7 notes
·
View notes
Text
da anni conosco Giada, una ragazza che ho considerato la migliore amica per 6 anni. Giada sapeva da mesi ormai che soffro di disturbi alimentari. ieri era il suo compleanno e sono arrivata a casa sua dopo pranzo(luogo della festa) ,così da evitare il pranzo (ci sarebbe stata pizza).
appena arrivo a casa sua, mi dice che avremmo mangiato la torta… era una torta bellissima, ma il solo pensiero di dover assumere tante calorie mi faceva impazzire.
taglia una fetta bella grande per me, nonostante sapesse che nn volevo nemmeno guardarla. per educazione diedi 2 morsi. Guardai Giada e cercavo in tutti i modi di farle capire che nn volevo mangiarla.
lei mi sorrise e pensai che avesse capito. ma subito dopo disse “non si direbbe nemmeno che tu soffra di disturbi alimentari ”.
pensai che stessi mangiando troppo, lasciai lì il piatto e risposi “scusami, ma questa torta fa schifo” e lasciai lì la fetta.
Non sapevo nemmeno che dire… che stupida che sono stata. avrei dovuto risponderle a toni? o avrei solo peggiorato le cose?
3 notes
·
View notes
Photo
Matteo Salvini è quello del “Senti che puzza scappano anche i cani” cantato contro i napoletani alla festa della Lega. È quello che parlò di “pulizia etnica controllata” per i rom e gli africani. È quello che ha portato una bambola gonfiabile sul palco, paragonandola alla Boldrini. È quello che ha scatenato i peggiori insulti sessisti delle scimmie urlatrici che frequentano la sua pagina contro Silvia Romano, contro Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le volontarie rapite in Siria, contro Carola Rackete, persino contro delle studentesse minorenni che manifestavano. È quello che, per anni, ha sdoganato la xenofobia e il razzismo. È quello che ha criminalizzato e multato chi salvava vite umane in mare. È quello che mandava la digos a rimuovere dai balconi gli striscioni contro di lui. È quello che in Europa è alleato con l’ultradestra neonazista tedesca, austriaca, polacca, francese. È quello che ha come modelli Putin, uno che ammazza i suoi oppositori da sempre, o Orban, che giusto ieri ha fatto chiudere l’ultima radio libera sul territorio ungherese. E poi Trump, Bolsonaro e via dicendo. Se c’è un neofascista a comandare da qualche parte, nel mondo, potete stare sicuri che sia un suo grande amico. È quello dei vangeli e dei rosari branditi come arma elettorale. È quello del family day, quello di Pillon, il senatore contro l’aborto e per il “ruolo naturale della donna”. È quello che per anni, ogni santo giorno, non ha fatto altro che andare a ricercare ogni presunto illecito imputabile a un immigrato, per poi sbatterlo sulla sua pagina Facebook e far credere a milioni di persone che, se stavano male, la colpa era di chi stava peggio di loro. È quello che, ogni volta che qualcuno ammazzava un ladro, anche disarmato, anche a sangue freddo, stava sempre con l’assassino. È quello che vorrebbe la Flat Tax per far risparmiare i ricchi industriali del nord che lo sostengono. È quello che è andato a vedere i lager in Libia, dove ogni giorno muoiono migliaia di migranti, e ci ha fatto sapere che “stanno tutti benissimo”. È quello delle cene assieme a Casapound. È quello che disse “Mi fa schifo” a Ilaria Cucchi, che difendeva il fratello morto. È quello che, riferendosi ai figli degli omosessuali, disse: “Se un bambino cresce con genitori o un genitore gay, parte da un gradino più sotto. Parte con un handicap" È quello del “Io sto con le forze dell’ordine”, anche quando stupravano delle studentesse americane a Firenze o uccidevano Cucchi, Aldrovandi, Giuliani. Ecco, Salvini è questo. E non è per massimalismo, non è per fare il sognatore o il “duro e puro”, credetemi, ma una cosa ce l’ho ben chiara: se Salvini sta da una parte, io sto sempre dall’altra. Emiliano Rubbi
17 notes
·
View notes
Text
Una volta ho letto da qualche parte (qui probabilmente) che crescendo donna, col passare degli anni, si inizia a capire la propria madre. E pensavo che a me non sarebbe mai successo per via di tutti gli anni passati separate e perché sinceramente non mi sono mai sentita connessa a lei, in alcun modo. Eppure eccomi qui, 19 anni, quasi venti, vedo mia madre una volta al mese quando va bene e quelle giornate che passiamo insieme mi fanno pensare sempre di più che sì, abbiamo qualcosa in comune. Il gusto nei vestiti, nei gioielli, persino nella scelta degli uomini. Nel senso che ci prendiamo certi casi umani... Li sopportiamo fino a un certo punto però, poi ce ne andiamo e non torniamo più indietro. Il suo ultimo uomo-bimbo problematico fu mio padre. Ha avuto bisogno di un pestaggio, un naso rotto, ha avuto bisogno di vivere illegalmente in un paese dall'altra parte del mondo per capire che quel bimbo non era la cosa migliore per lei o per i suoi figli. Ci è arrivata, per questo sono fiera di lei. Per questo la rispetto come donna. Adesso ha superato i 50 anni ed è sposato col suo uomo da circa 9 anni, quando li vedo insieme mi si scalda il cuore... Ha aspettato tutto quel tempo, ha superato tutto quello schifo e ancora chiama amore un altro essere umano. Uno che se lo merita.
Prima che me ne andassi da casa sua (quasi 2 anni fa) mi disse che se lo stavo facendo per un uomo era lo sbaglio più grande della mia vita. Che non ne valeva la pena, che ero stupida. In realtà stavamo litigando come matte per un altro motivo che adesso neanche ricordo... Ma quella frase mi è rimasta in testa. E anche quel giorno sono andata a letto con lui affianco ma continuavo a sentire le parole di mia madre in testa. Forse non l'ha detto nel modo migliore ma quanto aveva ragione. Non glielo dirò mai però, perché sono ancora un po' orgogliosa e non vorrei darle ragione... Ma cazzo, se è quello l'istinto materno.
L'altro ieri eravamo al mc Donald's e mi ha detto che tra poco faccio vent'anni ed è felice per me. A vent'anni si sceglie cosa fare nella vita Mabelle e poi stai andando a vivere da sola in Ecuador, dovrai studiare, prendere il diploma e poi scegli se fare l'università lì o da qualche altra parte. Ma fallo eh, studia, divertiti però. O lavora se ti fa sentire meglio, ma fallo per te stessa, per soddisfazione personale. E cerca di stare bene.
Mia madre non è il tipo che dice cose sdolcinate dal nulla (ed ecco da chi ho preso) ma quelle parole mi sono sembrate così dolci. Così confortanti. Ne avevo tanto bisogno. Mi sono sentita fiera di me per essere ancora in vita e perché sto cercando di riprendere in mano il mio futuro.
Comunque... Tutto ciò per dire che adesso capisco come mai era finita con le persone sbagliate e come mai ci ha messo un po' per capire che meritava di più, capisco perché mi urlava di non andarmene e perché non accettava che mollassi tutto per lui. Lei lo sapeva, sapeva che grande sbaglio stavo facendo.
21 notes
·
View notes
Text
prima,forse anche ora
Ho deciso che forse scrivere qualcosa mi farà bene,ho letto da qualche parte della scrittura creativa anche se io non sono mai stata una grande scrittrice,ho sempre usato altri mezzi per far uscire fuori la mia anima,ma in questo periodo tutto è diventato talmente opprimente che non riesco più a non pensare ad un chiodo fisso.Mi chiedo come sono arrivata a tutto questo,certe volte mi chiedo perché prima nonostante avessi almeno 13 kg in più,delle braccia enormi e probabilmente anche il doppio mento non mi facevo così tanti problemi come adesso che di questi non è ho più.Con il mio peso ci sono sempre stata litigata o almeno non tutto il tempo perché quando ero bambina mi si vedevano tutte le ossa e mia mamma aveva problemi a farmi mangiare.Nonostante non avessi mai mangiato così tanto, alle medie sono cominciata ad ingrassare ed erano tutte più belle e più magre di me.Ma ero socievole,sapevo conciarmi bene e poco mi importava e quindi non avevo mai problemi di bullismo.Anche alle superiori ero amica di tutti.Qualche volta qualcuno mi faceva delle battutine come "Hai un bel viso dovresti solo perdere qualche kg."oppure "Ma non mangi tanto,può essere che sei intollerante a qualcosa?" Era vero non mangiavo tanto ma non mangiavo per niente sano e come tutti i ragazzini a scuola non facevo altro che ingozzarmi di schifezze a ricreazione,di mangiare merendine e di non seguire nessuno schema alimentare.Mi dicevano di fare attività fisica ma a me non andava proprio e non mi andava neanche di fare diete.Tutto ciò fino al 5 superiore quando dopo che ebbi l'influenza e mangiavo poco avevo perso qualche kg e decisi che forse potevo continuare,a scuola non facevo la dieta, mangiavo sempre merendine ma era la mia colazione e quando arrivavo a casa mangiavo pochissimo.In questo modo persi dei kg facilmente.(Grazie anche al fatto che ero stressata per via della maturità.)
Quando finì la scuola però non ci misi poco a riprenderli,non ripresi tutto ma un paio sicuramente.Premetto di non essere mai stata obesa,solo leggermente sovrappeso.Dopo una vacanza a Roma con una mia amica tornai a casa con una tonsillite epocale.Andai dalla dottoressa che ovviamente mi disse quando mi visitò l'addome che forse era il caso di perdere dei kg e di seguire una dieta priva di fritti e alcol e altre cose perché probabilmente avevo la mononucleosi.In realtà non la seguì così tanto perché poi sarei partita con le mie amiche.Ma a causa della mononucleosi e al fatto che avevo delle tonsille gonfie come due palloni persi un paio di kg.Che ripresi.Era un continuo.
Quando arrivò Settembre una mia amica mi disse se volevo andare in palestra con lei,dato che anche lei aveva bisogno di perdere un paio di Kg,io gli dissi ok proviamo,anche se pensavo che non sarebbe durata dato che io e l'attività fisica avevamo sempre avuto un rapporto complicato.
Comunque decisi di andare,ciò fu circa 2 anni e mezzo fa,da quel momento non ho mai lasciato la palestra.
Da qui cominciò il mio percorso,e all'inizio fu davvero bello,cominciai a perdere tanti kg a mangiare sano,tutte le persone che mi conoscevano mi facevano i complimenti mi chiedevano come avessi fatto.
Era bello.
Era davvero bello non sentirsi più grassa.
Si,tutti mi facevano i complimenti ma solo io mi sentivo come prima.
Ok,avevo perso dei kg ma allo specchio continuavo e continuo a non piacermi.
Alla fine tutto rimase immutato per mesi,mangiavo bene,dimagrivo.
Quest'estate però le cose cominciarono a cambiare e credo che la dieta sia cominciata a sfuggirmi leggermente dalle mani,non mangiavo praticamente niente se non che insalate,biscotti vitasnella e yogurt,pollo arrostito mai pane,mai pasta,mai dolci.
Le gambe mi cominciarono a tremare,le mani anche loro.Avevo spesso le occhiaie,ero spesso stanca avevo la pressione sotto i piedi e dovevo alzarmi piano dal divano per evitare di collassare perché ogni volta vedevo tutto nero.
All'inizio pensavo non fosse l'alimentazione. All'inizio neanche pensai a quest'ipotesi.Ma poi quando facevo i digiuni di giornate intere con un solo biscotto e con mezzo yogurt lasciato nel lavandino, cominciai a pensare che forse non era solo colpa del caldo.
Persi un sacco di peso,ero arrivata al mio peso credo più basso e i vestiti mi stavano giganti.Le persone continuavano a ripetermi: "Ma devi ancora dimagrire?Ma perché fai ancora la dieta?Si però adesso basta perché stai proprio scomparendo.Una giornata anche un'amica di mia mamma mi fermò e mi disse:"Devi ricominciare a mangiare." Poi chiamò mia mamma perché aveva visto che mi ero imbarazzata e mi chiese scusa tramite lei.
Tutte queste frasi però mi facevano solo stare meglio.Ero troppo felice perché finalmente ero magra.Anche se a me altri kg in meno non mi sarebbero dispiaciuti affatto. All'inizio pensavo:Voglio solo arrivare a 53,poi dissi 50,adesso dico che anche 49 non mi farebbero così schifo.49,un tempo mi sarei presa per pazza da sola ad ambire ad un peso del genere.
Oggi.
Riguardo oggi beh conto le calorie,muoio di sensi di colpa se mangio qualcosa che non sia nel mio schema,sono felice se smaltisco più calorie di quelle che inserisco nel mio corpo,e mi sento grassa.
Non ho il buco nelle gambe,le mie cosce sono troppo grosse,ho la pancetta e la odio con tutto il mio cuore perché vorrei si vedessero le costole.
In più ho anche fame.
Ho fame sempre,e posso mangiare un po di più solo a colazione quando mi alleno.Quindi oggi per esempio.La cena deve essere sempre leggera e cerco di non fare merenda nonostante pensi tutto al tempo al pancake che potrei riempire di marmellata e burro di arachidi,al momento ho cosi fame che mi accontenterei anche di una banana.
Ma non posso, se continuo cosi non raggiungerò mai il mio obiettivo e non vedrò mai quel numero sulla bilancia,ne vedrò sempre uno più alto e mi farò sempre più schifo.
In questo periodo infatti più nessuno mi dice che sono dimagrita,quindi probabilmente sarò ingrassata e non vogliono dirlo.Mia mamma dopo che sono tornata dalla Sardegna mi ha detto che avevo il viso più pieno,non grasso solo più pieno volevo piangere.Volevo non mangiare più.Ero stata così tanto tempo senza mangiare schifezze e a dieta che ero riuscita perdere tanto,e poi in vacanza due settimane e avevo già il viso più pieno.Scherziamo?
Il viso più pieno non lo voglio neanche morta,non voglio grasso in faccia.Non lo voglio nel corpo figuriamoci nel viso.
Comunque ci sono degli alimenti che probabilmente ormai non riuscirei a mangiare neanche sotto tortura.
Tipo la Nutella .Un tempo la domenica per me era d'obbligo,adesso non riesco tutto quello zucchero mi fa solo pensare a quanto sarei obesa dopo averlo mangiato e non c'è la posso fare.
L'olio.Cioè sono proprio traumatizzata da quante kcal abbia.Riesco a metterlo in padella poi lo tolgo con un fazzoletto.E ne metto massimo un cucchiaino piccolo nell'insalata.
E il fritto.Quello proprio non lo mangio.
L'altra volta stavo in un locale per mangiare a pranzo e ho preso solo verdure,ed una frittatina piccola,e della zucca.Ad un certo punto mentre stavo mangiando mi sono accorta che la zucca fosse fritta.Non sono più riuscita a mangiarla.Non assaggio nemmeno una patatina, nemmeno una,mai.Anche se muoio dalla voglia di concedermi una cena così.Dico sempre che lo farò ma poi non ci riesco perché so a tutti i sensi di colpa che avrei dopo.
Anche perchè non intendo mettermi due dita in gola,ammetto di averci pensato e di averci anche provato ma non ci riesco.Penso anche che non potrei diventare anoressica a parte che sono troppo grassa per diventarlo e poi i miei genitori ne soffrirebbero troppo,non posso fargli questo.
Mia mamma poi è troppo attenta in queste cose non fa altro che guardare quello che mangio,vorrei vivere da sola così nessuno deve dirmi cosa devo mangiare o meno.Odio il controllo degli altri.Ieri per esempio loro avrebbero mangiato della pasta io ovviamente manco morta.Quindi mi sono preparata un'insalata da mangiare con loro ad un certo punto ero veramente sazia.Allora ho detto che non ne volevo più.Mia mamma ha detto che avrei dovuto finire prima di alzarmi.Ma ci rendiamo conto?Non sono una bambina.Non scherziamo.
Anche domenica che sono andata fuori di mattina presto,mi sono presa l'insalata per il pranzo e ho riportato sani lo yogurt e dei cracker che non ho mangiato e lei mi ha fatto una battutina sul fatto che se non ci fosse lei farei perennemente digiuno.
Digiuno?io.
AAHAHHAH
Magari.
Quando mi vengono gli attacchi di fame.Tipo ieri mattina.Che ho mangiato un cornetto vuoto integrale,3 galletti e 2 biscotti al cioccolato piccoli.Ma ci rendiamo conto?Non voglio neanche ricordare quante kcal siano che mi sento male.Ho dovuto fare la fame per tutta la giornata.Sono arrivata a cena con i crampi.E ho mangiato solo delle uova con degli spinaci sconditi che ho poi buttato solo per cercare di rimediare a quella colazione e a tutti quei sensi di colpa.
Oggi volendo è andata bene.Ho cercato di mangiare meglio a colazione e menomale,perchè nonostante avessi mangiato in palestra ero mezza morta e mi tremavano le gambe.L'istruttore dopo una serie di squat mi ha fatto con la mano il segno come a dire è evidente che sei morta.Anzi non sono svenuta,come lo scorso anno.Mamma mia che brutta sensazione.Avevo fatto un pò di cardio,non ricordo quanto.Poi entro a lezione di aerobica ed arrivo fino alla fine,mentre facciamo lo stretching finale mi comincia a girare la testa in modo pesante,la vista mi si è sfocata e cominciavo a non sentire le voci attorno a me ma solo dei fischi.Il corpo mi è diventato gelido,per un secondo ma sono comunque riuscita ad uscire dalla sala.Esco e mi seggo in dei cosi che servono per fare addominali,bevo un pò d'acqua.Niente sto peggio.Cerco di chiamare un ragazzo per farmi aiutare che stava proprio di fronte a me ma lui non mi sente,credo perché a me la voce proprio non usciva.Infine tutto nero.
Dopo l'acqua e zucchero,le persone attorno e le gambe alzate torno a casa.
Detto ciò sperando nella non merenda ormai saltata e nella cena leggera come sempre di stasera.,vado.
La cena è andata.Riso basmati (170Kcal) e pollo condito con un pò di curry.(120kcal),c'era anche un pò d'olio.(colpa di mia madre.)Era una porzione piccola,quasi quanto un piattino.Ma credo che andrò a dormire comunque con sensi di colpa e acidità.
Forse sarebbe il caso di fare almeno un pò di addominali.
Una cosa positiva della giornata c'è:Ho preparato il pranzo per domani del riso(170kcal),e del tonno(120Kcal).Domani niente sgarri,e tanta camminata.Se riesco quando torno a casa vorrei allenarmi anche un pò perchè non andrò in palestra ma supererò sicuramente i 10.000 passi.Almeno mi tengo in movimento,si smaltiscono così anche tante kcal.
3 notes
·
View notes
Text
Prompt della maggggica @brandyamber : Ho pensato che la storia d'amore fra Ermal e Fabrizio si svolge in questo spazio-temporale che racchiude i giorni nostri. Vivono entrambi a Milano. Hanno faticato molto per stare insieme, ma adesso eccoli qui, capaci di vivere una quotidianità piena di piccoli gesti e tanto amore. Succede però che tutta questa bellissima dimensione viene rotta da un evento poco felice: Ermal scopre di avere l'AIDS perché una sera in cui era in trasferta per lavoro finisce a letto con un'altra persona, non riuscendo a trattenere i propri istinti. Fabrizio la prende malissimo: non solo per la sua spiccata ipocondria, ma soprattutto perché ha sentito benissimo il suo cuore rompersi, fragile come una goccia di cristallo.
With the lights out it's less painful.
Stava lì, semisdraiato sul divano un po’ mangiucchiato dal tempo e dai bottoni dei jeans che tiravano i fili della trama, si sentiva stanco e non aveva voglia di mettere qualcosa sotto i denti. Giocava con gli anelli che portava alle dita mentre alla tivù passava una replica di quegli sketch comici della Hunziker e De Luigi, si chiedeva perché la sua storia d’amore non fosse mai stata come la loro.
A dire la verità, a volte lo erano. Stavano bene, si divertivano e si sentivano innamorati persi senza chiedersi il perché o il come determinati eventi prendevano piede nelle loro vite e li scaraventavano in realtà sporche e torbide.
Ermal sentiva come un disturbo sotto la pelle, nelle viscere che lo faceva sentire nervoso: da qualche anno si svegliava spesso di notte colto da crisi di ansia e panico ma Fabrizio ha sempre fatto in modo che il più giovane mantenesse la lucidità e non si lasciasse sovrastare dalle emozioni. Non sempre andava bene, non sempre Ermal manteneva la lucidità necessaria per tenere a bada gli istinti e nuove crisi ancora più forti delle precedenti e si trovava in bilico sul davanzale della finestra o con le mani spaccate, lacerate a forza di tirare pugni ai muri e agli infissi.
Fabrizio portava pazienza, sapeva che queste crisi passeggere lo facevano essere fuori di sé e doveva solo saperlo calmare, prenderlo con le pinze e tenerlo un po’ al sicuro, al caldo senza farlo sforzare troppo.
“Ermal, ti va l’arrosto?” si affacciò Fabrizio dalla cucina. Il più giovane scosse la testa curvando le labbra in una smorfia di disgusto, “Non puoi non mangiare, ti rendi conto che sei dimagrito troppo nell’ultimo periodo.” sbottò l’altro piccato.
“Sto bene, stai tranquillo.” tossicchiò sistemandosi meglio sul divano con la consapevolezza che no, non stava affatto bene. “Non me la racconti giusta.” ridacchiò leggero il compagno togliendosi il guanto da forno e lanciandoglielo per gioco.
“No Bi, fidati.” e mise quella faccia da ti prego credimi, ti scongiuro sperando ardentemente che l’altro facesse spallucce e se ne tornasse sui suoi passi. Non fu così, gli si accomodò in parte e lo guardò come se fosse un’opera d’arte. Osservava attentamente ogni dettaglio del suo volto, ogni piccola cosa che lo rendeva unico: le pagliuzze dorate in quegli occhi color nocciola, i ricci che cadevano morbidi davanti ad essi nascondevano quello sguardo stanco e maledettamente profondo, quello che riusciva a raggiungergli l’anima.
“Sei bello” soffiò poi scostandogli i capelli dal viso e sistemandoli dolcemente dietro l’orecchio di sinistra. “Ma che cosa dici Fab!” rispose quasi scioccato, come se gli avesse confessato un segreto oscuro e torbido. Come se non ci credesse, come se non lo sapesse.
“Sei bello Ermal, sei molto bello” ripetè schiarendosi la voce. “Sono bello?” e Fabrizio annuì appena curvando le labbra in un sorrisetto genuino. “Posso essere bello quanto vuoi, però dimmi: se tu fossi cieco, riuscirei ad impressionati ancora?”
Fabrizio fece per pensarci su un po’ ma la risposta la sapeva già, la custodiva nel cuore. “Certo che sì!” sussurrò poi.
“Come fai ad essere così sicuro?”
“Ne sono sicuro perché ogni tua piccola attenzione, ogni tuo atteggiamento e pure quel sorrisi nascosti mi farebbero sentire meno cieco.”
“Tu sei un pazzo visionario” ridacchiò Ermal posando le mani sulle guance dell’altro accarezzandogli gli zigomi con i pollici. “Non sono un visionario, ho solo detto la verità” e si avvicinò all’altro posando un bacio leggerissimo sulle labbra.
Ermal sentì una fitta al cuore, una di quelle che si sentiva quando capiva perfettamente cosa stava per succedere di lì a pochi minuti. Tremò leggero tra le braccia di Fabrizio con la consapevolezza che forse non avrebbe retto più di tanto con quel segreto che gli opprimeva il petto da mesi ormai. “Ermal, stai bene?” sussurrò con tono preoccupato accarezzandogli dolcemente il viso.
Parigi era bella, la amava e amava specialmente quell’atmosfera strana ma piacevole seduto su quella seggiola di paglia fuori ad un bistrò gustandosi del pain au chocolat e una tazza di caffè lungo. Sapeva che non avrebbe dovuto berlo, sapeva che poi avrebbe passato la notte insonne ma non gliene importava affatto. A Parigi c’era per lavoro, aveva un paio di report da organizzare e degli articoli da redigere per una nota testata giornalistica italiana, nulla di particolarmente diverso da ciò che faceva di solito.
Prese in mano il telefono, sbloccò lo schermo usando l’impronta digitale sperando ardentemente di trovare un messaggio o una chiamata da Fabrizio, non gli rispondeva da ore né ad una chiamata né ad un messaggio. Sentì un moto di ansia torturargli lo stomaco ma la represse prontamente, starà sicuramente lavorando.
“No Fabrizio, niente va bene” sussurrò allontanandosi da lui per osservare al meglio il suo volto. L’altro si allarmò, gli posò però una mano sulla coscia come per dirgli dimmi, dimmi cosa ti turba. “Fabrizio, vorrei fosse facile dirti tutto.” e il cuore gli si incrinò nel petto.
Si svegliò sentendo il cellulare squillare, gli faceva troppo male la testa per pensare con lucidità. Aprì piano gli occhi e accarezzò piano il soffice piumone bianco sentendosi così stanco e affaticato, si guardò intorno cercando la sua fidata bottiglietta di acqua e le sue pastiglie ma effettivamente quella in cui aveva passato la notte non era la sua camera.
Si tirò a sedere di scatto sperando di trovare una spiegazione valida a quel casino: il letto era sfatto, segno che un’altra persona aveva dormito con lui quella notte. La finestra era leggermente aperta e uno sbuffo di aria gelida raffreddava l'ambiente, spostò le coperte e, nudo, si alzò in piedi avvicinandosi all’infisso e chiudendolo. C’erano vestiti ovunque, le sue cose sparpagliate per la camera e della memoria nemmeno l’ombra.
Il telefono riprese a squillare, era Marco.
“Ermal, così mi fai preoccupare. E’ un’altra delle tue crisi, non è così?” e il tono urgente di Fabrizio, gli occhi nocciola piantati nei suoi luccicavano di preoccupazione con un velo di tensione a coprire quella brillantezza che li contraddistingueva. “Fabrizio, mi spiace.”
Marco lo strattonava giù per le scale di quell’albergo in Pigalle sibilando imprecazioni e mannagge al genere umano. “Che cosa ti è saltato in mente Ermal? Sei pazzo? Chi era quel ragazzo con cui sei andato via ieri sera?” ma la memoria non voleva aiutarlo, la testa girava all’impazzata e la nausea gli attanagliava la gola. “Quanto hai bevuto ieri sera?” fu la domanda urgente dell’amico. “Non lo so.” rispose percependo il nervoso e l’ansia pungere sotto la pelle.
“Cosa è successo a Parigi?” fu la domanda pacata di Fabrizio, Ermal non poteva e non riusciva a guardarlo negli occhi dopo aver accennato di quel soggiorno. Vedeva e percepiva che l’altro era fuori di sè ma preferiva non urlare, sbraitare e lanciare qualche piatto.
Si era arrabbiato, Fabrizio non rispondeva al telefono e una crisi lo colse senza che nessuno potesse calmarlo, era convinto che lo stesse tradendo. Andrea, quell’Andrea che lavora con lui in studio. Si sentono spesso, mi tradisce. Mi fa schifo. Lo odio. Bevo. Voglio dimenticare. Il resto erano solo le luci soffuse di quel bar e i bicchieri che si portava alle labbra per svuotarli in due sorsi abbondanti. E poi quel ragazzo, da lì in poi il nulla.
Ermal si alzò dal divano e si avvicinò al mobile poco distante da lì, dal cassetto estrasse una busta e su di essa, stampato, il logo di un distretto ospedaliero. “Ermal, che cosa è?”
Era tornato a casa con un fardello enorme sul cuore, era tornato al suo lavoro e alla sua vita come se nulla fosse. Trascorse mesi e mesi così: allontanando dalla sua memoria i sensi di colpa. Accusava strani sintomi: era stanco anche dopo una giornata a non fare nulla sul divano, anche quando con Fabrizio passavano la domenica a letto. Mal di gola, febbre, linfonodi ingrossati e la rapida perdita di peso. Fabrizio si era preso un po’ male, gli aveva ordinato di fare qualche esame, aveva chiamato il medico ma Ermal l’aveva sempre rassicurato. Che cosa mai può essere?
“Fabri, sono positivo.” disse ma si tradì e la voce gli si incrinò sull’ultima sillaba. “Che cosa Ermal? Che stai dicendo?” le mani gli tremavano. Non l’aveva mai visto così, sapeva benissimo che quello che stava per dire l’avrebbe ferito a morte. Quel Fabrizio che nonostante tutto l’amava, lo stringeva e lo calmava. “Sono risultato positivo all’HIV.”
Il medico gli aveva prescritto dei cicli di cura, non si può sconfiggere questa malattia autoimmune, semmai la si controlla. Gli aveva detto che era fortunato, l’avevano capito abbastanza in tempo. Era risultato positivo all’HIV ma c’era ancora qualcosa da poter fare. Si era rovinato con le sue stesse mani.
“No-noi…” balbettò il moro, di colpo si trovò senza parole.
That's all it is, there is no other way. It's over.
“Fabrizio, io davvero non…”
“Ermal.” la voce roca e bassa dell’altro chiamò il suo silenzio. Vedeva solo tanta delusione negli occhi. Si torturava le mani, tremavano e sentiva gli occhi pizzicare. Fabrizio era pallido, scosso e visibilmente a disagio, con lo stomaco ingarbugliato, i muscoli tesi e gli occhi sbarrati. “Ermal, sei stato con un’altra persona?”
“Pensavo mi stessi tradendo.” riuscì solo a soffiare.
It too much, it's so heavy. There is no peace.
“Tu pensi, pensi e basta!” fece l’altro con un ringhio. “Ermal che cazzo ti è saltato in mente?” gli occhi ridotti una fessura ora più scavati. “Fabrizio mi hai risposto in tutto il giorno, che cosa dovevo pensare?” si adirò Ermal battendo il pugno sul bracciolo imbottito del divano.
“Ermal.” alzò la voce. “Io? Pensavi veramente che io potessi tradirti? Pensavi veramente che io potessi andarmene con un altro? Un altro come Andrea?”. Ermal si spaventò, la rabbia gli fece brillare gli occhi. “Ermal, perchè hai fatto questo?”
“Non lo so Fabrizio, ero fuori di me, ero ubriaco e…”
“Ubriaco?!” e si passò una mano tremante sugli occhi, Ermal sapeva che si stava trattenendo. Sapeva che aveva mille domanda che gli frullavano per la testa, sapeva che sentiva la paura nelle ossa. “Ubriaco Ermal? Ma ti senti?”
“Quanto tempo fa l’hai scoperto?” e Ermal fece un tre con le dita. “Tre cosa Ermal?” la voce si alzò di un’ottava, roca e bassa più del solito. “Tre settimane, Fabrizio.” pronunciò tremante.
“Sei mesi fa sei stato a Parigi! In tutto questo tempo non mi hai mai detto nulla? Non hai mai avuto niente da dirmi?” era fuori di sé, lontano da Ermal. Spaventato, illuso, ferito.
“Abbiamo anche avuto dei rapporti!” e si alzò dal divano sfatto, le mani tra i capelli corvini. Mosse un paio di passi per non sentire la tensione avanzare nel suo corpo. “Fabri, erano protetti.” ma non lo guardò negli occhi, Fabrizio già si stava allontanando da lui. Già sentiva che qualcosa si era rotto irrimediabilmente. Lo sentiva nervoso, teso, sentiva il suo terrore.
“Ermal, ma che diavolo ti è preso?” il riccio sentiva le lacrime agli occhi, non percepiva nulla se non il suo cuore battere all’impazzata nel petto. “F-Fabrizio io...” ma non sapeva seriamente che dire o che fare.
Fabrizio toccò l’interruttore, spense la luce del soggiorno e sospirò forte mentre il buio li avvolgeva, solo la tivù accesa su quelle repliche proiettava lame di luce blu per la stanza e toccava il volto di entrambi. Ermal si permise di guardarlo e ammirare il profilo perfetto dell’altro, gli occhi chiusi e le lunghe ciglia che sfioravano gli zigomi alti e pronunciati.
“Che cosa fai Fabrizio?” sussurrò Ermal tremante, l’altro non si mosse ma pronunciò solo: “Con il buio fa meno male, almeno non rischio di cadere nei tuoi occhi.”
Grazie come al solito per aver letto questa cosa, spero di essere stata abbastanza brava e di aver trattato la tematica in modo decente. Grazie per il prompt (sempre felice di sviluppare❤), grazie anche alla maggica @haipresoilcuoredistriscio che beta e che mi sopporta (te amo.) Grazie al fandom che amo incondizionatamente.
Detto ciò, vi abbraccio.❤
29 notes
·
View notes
Text
Buongiorno amore mio, sono già sveglia.. ma resto ancora un po’ a letto prima di alzarmi
Ieri praticamente non ho avuto un attimo libero..
A lavoro sto scoprendo che la direttrice non ha nulla di diverso da tutti gli altri datori di lavoro. Dai il massimo e tutto è dovuto, e in più ha una fissa di cercare veramente il pelo nell’uovo anche quando non c’è, esempio: un bambino si mette le mani in bocca per un attimo, tu lo vedi ma non riesci a toglierle perchè stai reggendo due che ti si arrampicano addosso urlando e lei “cos’haaa in boccaaaa”.. “semplicemente le sue manine”. Oppure la figlia a volte mi chiede di giocare con un pacchetto di fazzoletti e li sfila appallottolandoli e lei “che schifo ha in mano carlotta?? è sporco?” ma secondo te do un fazzoletto sporco in mano a una bambina? ci tratta da irresponsabili. Poi pensava che quel bambino indemoniato non sapessimo gestirlo, e venne tutta alterata a fare la maestrina provandoci lei non riuscendoci per poi dire “mammamia veramente è indemoniato” quello è capace di slacciarsi le cinture del seggiolone alzarsi e buttarsi giù e se ti distrai un attimo passi un guaio! questo significa che non riesci a dedicarti a pieno alle altre attività con gli altri bambini che vengono anche disturbati e traumatizzati
Poi un giorno dice una cosa e un giorno un’altra. Facciamo le corse per far quadrare tutti gli orari precisi della routine, ci disse che per le 11:20 i bambini dovevano già essere pronti per il pranzo (11:30), alle 11:25 dell’altro ieri li abbiamo messi a tavola, lei viene e fa : “perchè sono già a tavola? in cucina non è ancora pronto!” alchè le dico che sapevamo che alle 11:30 si mangia e lei a prendersela con noi che mo i bambini avrebbero dovuto aspettare troppo tempo a tavola! Ma scusaaa prenditela con la cuoca che è in ritardo!! Io sto solo facendo ciò che mi hai detto tu!! BAH
Poi ieri il colmo! Io leggo sempre le storie ai bambini, canto le canzoni, ballo con loro e lei mi vede, mi ha vista quando quei bambini che non sono per niente normali non vengono e anche quando vengono ci provo e lo faccio comunque in qualche modo anche se non sereno perchè continuano a urlare disperati senza mai riuscire a calmarsi, se non stando in braccio, in piedi. Ma se io sto in braccio in piedi come faccio a fare le cose con gli altri? In più stanno arrivando altri bambini Neonati che hanno bisogno di assistenza in tutto perchè non gattonano nemmeno come li gestisco se quelli pazzi non si calmano?
Vabbè comunque per tornare al punto, lei ha chiamato quest’altra tizia in prova ad aiutare me e quell’altra e mentre io mi tenevo i pazzi che urlavano e piangevano disperati (quindi asciuga il muco e il pianto, cerca di tranquillizzarli, stai attenta che non si arrampichino per buttarsi qualcosa addosso perché se li siedi si buttano pure giu dal sediolone) e l’altra faceva fare la ninna ad altri due che quando devono dormire pure impazziscono, questa nuova si siede beata con le 4/5 bambine calme grandi e scolarizzate che dove le metti là stanno, prende il libro e legge la storia e loro tutte attente in silenzio. GRAZIE AL CAZZO! Viene la direttrice mi guarda e fa “vedi… questo vogliono fare i bambini!” davanti a tutti, nemmeno a portarmi da parte..alche io che mi sono dimostrata in questi giorni sempre molto educata umile e pacata non ci ho visto più e le ho rinfacciato tutto e lei si è chiavata la lingua in culo abbassando la cresta e dicendo “no ma non prenderla sul personale, non ce l’ho con te” e con chi scusami?? non sapeva che dire. Poi il giorno prima lei ci disse “io non guardo l’orologio, quando avete messo le ultime bambine a ninna, gli altri sono andati via e voi avete pulito e lavato a terra potete andare” Okay, ieri abbiamo finito tutto e alle 14 siamo uscite, lei alle 14:10 mi chiama sul cellulare per dire “io sono tornata e non vi ho trovate subito siete scappate?” MA QUAL SCAPPAT?? ma stai bon? e le ho dovuto rinfacciare quello che avevamo fatto, quando poi io alcuni giorni sono rimasta anche oltre a fare cose che mi avevano chiesto di disegnare e fare quelle della materna (che non sono tenuta a fare) e lei lo sapeva.
poi io ogni giorno le mando le foto che scatto ai bambini durante le attività che lei gira ai genitori, ieri ovviamente le ho fatte ma non ho avuto modo di girarle in mattinata quindi appena terminato gliele ho mandate proprio come prova che nonostante tutto le cose noi le facciamo e le ho scritto e ribadito un altra volta tutte le cose scritte per avere la prova dei messaggi, e che mi ero portata anche il lavoro a casa (dei lavoretti per la festa dei nonni)per finirlo io perchè non si riesce a fare a scuola per via del troppo casino che fanno quei bambini non scolarizzati e lei ha risposto così: “Va bene Rita , ci vediamo domani . Mi Spiace se oggi sono stata fraintesa …. Ovviamente Non era direttamente Riferito a te che sei sempre tanto compita . Grazie Per la collaborazione a domani” ma come fai a rispondere così se con noi hai parlato e l’altra ci mette lo stesso impegno anche lei BAH quando uno non sa come appararsi. Quindi perciò ieri stavo esaurita. Poi pretende e pretende tutto perfetto ma lei di perfetto nei miei confronti cosa ha? che ancora non ha preso a parlarmi per dire cosa vuole fare, quanto mi vuole dare ecc ecc?! SONO TUTTI UGUALI.
Vabbè scusa il papiello ma almeno ora avevo un attimo per spiegarti.. anche se avrei voluto parlartene a voce sentendoti e avendo una comunicazione reale.. mi manchi.. ti amo tanto
06:26
0 notes
Note
Pentola:)
“Scrivimi una parola, e ti risponderò con un ricordo che mi evoca.“
La prima volta che ho cucinato da solo. Era un inverno di un bel po’ di anni fa e mia madre stava tornando dall’ufficio. Faceva freddo e nevicava e lei rimase bloccata in autostrada, io ero piccolo e lei mi disse che non sarebbe tornata a casa fino a tardi. Allora decisi di prepararmi qualcosa da mangiare, una pasta al sugo per l’esattezza. Faceva letteralmente schifo, ma me la ricordo come se fosse ieri :’)
1 note
·
View note
Quote
“Com’era a McAlester?”chiese Casy. “Be’, mica male. Mangi tre volte al giorno, ti vestono pulito, e ti puoi pure fare la doccia. In fondo è un bel posto. La cosa brutta è che stai senza donne.” All’improvviso scoppiò a ridere. “C’era un tizio ch’era uscito sulla parola,”disse. “Dopo un mese lo riportano dentro perché ha violato la parola. Allora uno gli chiede perché l’ha fatto. ‘Be’, cavolo,’dice lui, ‘a casa dei miei non ci stanno le comodità. Niente luce elettrica, niente docce. Libri non ce n’è e il mangiare fa schifo.’ Ha detto ch’era meglio tornare dove stava comodo e mangiava tre volte al giorno. Ha detto che gli veniva la tristezza a starsene libero senza niente da fare. Allora ha rubato una macchina e è tornato dentro.” Joad prese il tabacco, soffiò su una cartina per liberarla dal pacchetto, e si preparò una sigaretta. “E aveva ragione,” disse. “Io ieri sera quand’ho pensato che dovevo cercarmi un posto per dormire m’è venuto lo spavento. Ho pensato alla mia cella e a che stava facendo quel pidocchio del mio vicino di branda. Avevamo messo su un’orchestrina. Ce la cavavamo bene. Uno ha detto che potevamo pure suonare alla radio. E stamattina non sapevo quand’è che dovevo alzarmi. Stavo sdraiato lì a aspettare che suonava la campana.” Casy ridacchiò. “C’è pure chi si riduce a rimpiangere il rumore d’una segheria.”
John Steinbeck, Furore (1939)
1 note
·
View note
Text
Hope&James - House _ 25/07/2020
*Ero tornata dall’ospedale e avevo vagato un po’ come spettro anche all’interno del luogo dove vivevo con James che io consideravo la mia casa, dopotutto non sapevo neanche se ne avessi avuto una prima dell’incidente. Non ricordavo nulla se non poche cose che in questi avevo assemblato ma James mi aveva dato la cosa più vicina a una famiglia* Congratulazioni. *Sorrisi apparendo all’improvviso mentre lui chiaramente non si aspettava la mia presenza* Dai continua. Continua a fare lo stronzo con Rosalie ti riesce benissimo. Fai finta di non conoscerla, trattala come se fosse un animale. Vincerai un premio per la miglior assenza di neuroni. Ma per favore continua pure.. James Cole Collins * James non si sarebbe mai aspettato dalla vita un dono come Hope, la persona più vicina ad una sorella che non aveva mai avuto. L’aveva conosciuta in ospedale e non aveva mai più pensato ad una vita senza di lei. Il problema era solo uno: il suo essere fantasma e ficcanaso. E anche in quel caso lo era stata. James aveva il telefono ancora in mano, ma, appena ascoltò la voce di Hope, gli occhi puntarono verso... lei. * « Mi fa piacere che mi riesca benissimo. Se lo merita, Hope. E- No, non dirmi così! I neuroni mi funzionano così come ha funzionato il cuore.. » Hope Bella Laurant *Sospirai scuotendo la testa, sapevo che a volte odiava il mio ficcanasate ma mi amava anche per quello* Ma perché? Insomma è una ragazza bellissima e dolcissima. Che è successo tra voi? Guarda che si vede che non ti è indifferente anche se fai lo stronzo. *Lui sapeva quanto io fossi gelosa delle ragazze che gli ronzavano attorno quindi il fatto che Rosalie mi piaceva doveva pur significare qualcosa* E non provare ad andartene perché sai che non puoi sfuggire dal parlare con me. James Cole Collins * Spesso Hope era insolita, o forse meglio così tanto affettuosa e predisposta all’amore e alla condivisione fraterna con James che non si accorgeva di esagerare o di apparire stravagante agli occhi di quel ragazzaccio che, invece, dal canto suo, non aveva mai visto così tanto amore. Fortunatamente a James piaceva quel modo di fare, lo faceva sentire in qualche modo accettato, curato. * « Sono stato... beh... abbandonato.. Quando, quando sono stato preso da quei poliziotti e reso colpevole come tanti altri lei non c’era. Tu ti sei disperata, un ragazzo mi ha aiutato, Ashley mi ha tradito e poi ha cercato di chiarire con me, ma lei è stata lì, immobile, come se.... come se io non esistessi. Ho vissuto una vita come se io non esistessi. Non so chi è mia madre, non vedo mio padre da una vita.... io, per quanto posso essere stronzo, non penso di essermelo meritato. » * Ed eccolo con il cuore tra le mani eppure gli occhi decisi per quel che stava blaterando. James era uno stronzo, o meglio lo faceva, ma perché sentiva dentro di non poter fingere. Non ci sarebbe riuscito, era troppo deluso. * « Non scappo, ma... questa è la storia. È una brutta storia come lo schifo di me. Sono nato come una brutta storia, ma... devo risollevarmi, me lo sono promesso, te l’ho promesso... » Hope Bella Laurant *Lo guardai prendendo le sue mani guardandolo negli occhi sospirando* James... io non sono una tua responsabilità , e sai che io voglio aiutarti. Noi due siamo una famiglia no? Per cui come vedi magari la vita faceva schifo ma ora ne hai un’altra e devi costruirla al meglio. *Sorrisi guardandolo negli occhi scuotendo la testa alle sue parole* Hai paura di essere abbandonato di nuovo da lei, per questo fai il freddo lo capisco. Magari lei non è perfetta come non lo sei tu ma le persone sbagliano James, fanno degli errori e tutte meritano di poter rimediare di avere una seconda possibilità. Insomma io sono morta ed ora sono qui. Non so perché. Magari da dood ero una stronza assassina, spietata. Non possiamo saperlo ma tu mi vuoi bene comunque. *Quello che volevo dire e che a volte bisognava conoscere le persone di oggi cancellando quelle che erano ieri* James Cole Collins * Quando il ragazzo udì le parole della fantasma non riuscì a trattenere un sospiro combattuto, aveva proprio ragione. * << Io... accetto volentieri il tuo aiuto, ma Hope! Hope, devi rendermi più umano possibile, io non voglio sembrare un mostro. Non sono nato un Dooddrear, è brutto esser diventato una cosa che non si è scelto. sì, siamo una famiglia. Tu sei la mia unica famiglia. Mio padre non torna qui da anni e non ho mai conosciuto mia madre, lo sai bene, te lo raccontai una volta... e.. Tu sei l'unica, l'unica in tutti i sensi. >> * Beccato! * << Non volevo essere abbandonato già dalla prima volta! Non volevo, ci tenevo. Non faccio il freddo, se avessi dovuto fare il freddo non l'avrei mai più calcolata, sto cercando soltanto di tenermi al sicuro. Ci sto troppo male per quel che ha fatto, io credevo lei fosse sincera con me, ma evidentemente mi sbagliavo. Ho sbagliato tutto, ho sbagliato a tentare di amare una persona, non me l'hanno mai insegnato e dovevo continuare a vivere non avendone la consapevolezza. Non potevi essere una Dooddrear fredda e spietata e se fosse così avevi sicuramente qualche ragione, ma lei che ragione aveva di disinteressassi di me quando le avevo dichiarato quasi il mio amore esplicitamente? Sarò stupido, ma non capisco... E penso di non capirlo mai.>> * Fece spallucce mentre il suo sguardo vagava nel frattempo nel vuoto, perso tra i pensieri non detti e quelli espressi. * Hope Bella Laurant *Lo guardai abbassando la testa* Ed io sono nata dood e non vorrei essere un fantasma senza ricordi. Ma lo affronteremo insieme. Tu sei umani James. Non importa cosa sei importa chi scegli di essere, ricordalo. *Sorrisi stringendi la sua mano* Magari ha fatto un errore ma quella ragazza è chiaro che prova qualcosa per te James. Devi lasciare alle persone una seconda possibilità perché nessuno è perfetto ma chi ti ama corregge i suoi errori. E l’amore può curare il dolore. E se ti farà soffrire una seconda volta pago qualcuno per farle del male *Risi sdrammatizzandolo stringendolo forte a me* Ed ora fammi un sorriso... È il mio compleanno ricordi? James Cole Collins * Quando il ragazzo si accorse che ella aveva abbassato il capo gli parve quasi impossibile non fissarla con quei suoi occhi cangianti. * « Ricorderai... Sono sicuro che ricorderai qualcosa. In fondo, in un modo o nell’altro, incontrerai qualcuno, toccherai qualche oggetto... non so come funziona, ma capiterà. Io me lo sento... Questa è frase più bella che qualcuno avesse mai potuto dirmi: non importa cosa sei, importa chi scegli di essere. Sei un regalo, Hope. Tu sei il mio regalo. » * Gli occhi di James erano pieni di tenerezza mentre la sua mano la stringeva forte come a non volerla mollare per sempre. * « Sei sicura? Dici che non ha mai finto? Non lo so... sono molto confuso.. A me nessuno mi ha dato una seconda possibilità, perché io devo darla a loro?.. » * Disse come un bambino capriccioso per poi fare spallucce. * « Ci penso.. Sì, anche due, tre.. diecimila sorrisi, principessa sis. » * Rise appena e alla fine le schioccò un tenero bacio sulla guancia. *
IN CORSO
0 notes
Quote
Mi preoccupa che mio figlio guardi la televisione spenta, mi preoccupa che non abbia un dialogo con nessuno, la sua mancanza di interessi e di entusiasmo, i suoi silenzi. Non legge i giornali, non va al cinema, non va a ballare. Io ero molto diverso, ma si sa che oggi è tutto cambiato. Qualcuno mi dice prova con le sberle, ma sono un genitore moderno e non me la sento di prendere a sberle mio figlio solo perché guarda il televisore spento o perché fra noi non c'è dialogo. Senza contare che, a quindici anni, è già alto un metro e settantacinque e non vorrei che gli venisse in mente di mettermi le mani addosso, non si sa mai. [...] Anzi, da quando gli ho comprato la lambretta si direbbe che ha superato lo schifo di parlare con me, ogni tanto mi rivolge la parola. Mi ha spiegato a che cosa gli serve la lambretta, mi ha raccontato che fa il gioco dello scippo insieme a un suo amico. Meno male, mi sono detto, se gli prende la passione per un gioco finalmente potrò stare tranquillo, forse gli passa questo atteggiamento negativo, forse sarà più sereno, forse forse finirà per farmi le sue confidenze come usava un tempo fra padri e figli. [...] E i soldi, che cosa ne fate dei soldi? Quelli ce li teniamo noi, mi ha risposto, altrimenti il gioco perde ogni senso e non ci divertiamo più. E poi i soldi servono anche per le spese, la miscela per la lambretta, le riparazioni, la spedizione delle borsette alle legittime proprietarie e via dicendo, Tieni conto, mi ha detto, che spesso troviamo soldi esteri e ci perdiamo molto con il cambio clandestino. Spesso le donne scippate si mettono a strillare e a inseguirci e questo è molto emozionante, ha detto mio figlio. [...] Da quando gioca allo scippo mio figlio è molto migliorato. La mattina va a scuola, ritorna a casa dopo l'una e mezzo, fa i compiti e poi esce con la lambretta. Qualche volta porta a casa anche il suo amico e fanno i compiti insieme prima di uscire. [...] Spesso mio figlio ritorna a casa molto tardi la sera, quando sono già a letto, ma se torna presto ci mettiamo davanti al televisore e guardiamo insieme uno spettacolo e alla fine ci scambiamo le nostre impressioni. Sono lontani i tempi che restava per ore davanti allo schermo spento. Se alla televisione non c'è niente di interessante mi parla del gioco dello scippo, sempre con molto entusiasmo. Una sera mi ha detto che erano riusciti a scippare cinque borsette, lui e il suo amico. Ogni tanto gli faccio qualche raccomandazione perché ho paura che durante le fughe in quei vicoletti pieni di traffico possano cadere o investire qualcuno. Mi sono fatto promettere che con i soldi del prossimo scippo si pagano l'assicurazione, Mi hanno detto che lo faranno senz'altro, sono due bravi ragazzi e, da un po' di tempo, anche allegri e spensierati come devono essere alla loro età. [Il gioco dello scippo] ____________________ Così, disse, adesso poteva uscire anche lei la sera quando uscivo io. Mentre continuava a parlare le ho dato una sberla. Le ho detto che se la cosa si fosse ripetuta l'avrei buttata fuori di casa. Poche parole, ma chiare. Il femminismo sarà una gran bella teoria, le dissi, ma non puoi pretendere di fare tutti i tuoi comodi perché hai un marito femminista. C'è un limite a tutto, compreso il femminismo. Da quella volta, quando esco la chiudo in casa a chiave. [Il marito femminista] ____________________ Praticamente il mio lavoro consiste nello stare seduto in terrazza a guardare il cielo. Detto così può sembrare una cosa da niente, tutti sono capaci di stare seduti in terrazza a guardare il cielo. E invece non è facile come sembra. Prima di tutto anche gli occhi si stancano, esattamente come si stancano le braccia di un operaio o la testa di chi fa un lavoro di testa come certi intellettuali. Secondo, il lavoro di ufologo non impegna soltanto gli occhi, ma esige una grande attenzione e perciò una grande tensione nervosa. Conosco un ufologo che a forza di guardare il cielo è diventato matto. [...] Ieri pomeriggio mentre stavo sulla terrazza come al solito con gli occhi rivolti al cielo, giù da basso nella strada e nella piazza qua vicino le sirene della polizia sembravano impazzite. Non so che cosa sia successo, ma deve essere qualcosa di grave perché a un certo punto si sono sentiti anche degli spari, colpi di rivoltella e colpi di fucile. Hanno sparato anche dei candelotti lacrimogeni perché a un tratto ho sentito un pizzicore agli occhi e ho incominciato a piangere. Non mi sono nemmeno affacciato a guardare che cosa succedeva là sotto. Con gli occhi velati dalle lacrime ho continuato a scrutare il cielo. Quello che succede nelle strade e nelle piazze d'Italia in questo periodo non mi interessa, non lo voglio sapere, ho perfino rotto la televisione per impedire a mia moglie di accenderla all'ora del telegiornale. Così ho perso anche le trasmissioni meteorologiche, ma pazienza. L'unico fatto grave è che per colpa di questi gas lacrimogeni che salgono ogni giorno fino alla mia terrazza mi si sta rovinando la vista e l'oculista dice che dovrò rimanere a riposo in una stanza al buio per qualche settimana, forse per qualche mese, E va bene, sono pronto a affrontare questo sacrificio, ma non voglio essere distratto dalle cose che succedono nelle strade e nelle piazze, Io non voglio sapere niente, io mi occupo del cielo e basta. [L'ufologo] ____________________ La morte dei protagonisti secondo me dà prestigio al film e io ho bisogno, alla mia età, di incominciare a scrivere storie di prestigio, pessimiste, dove i personaggi muoiono per una ragione o per l'altra. L'occasione di un film di guerra è ottima perché in guerra gli uomini muoiono come le mosche. Ho spiegato al produttore che un film così si potrebbe esportare anche in Francia e in Germania, forse in America. I personaggi della tragedia devono morire, devono dissolversi nel nulla della morte, così diventano personaggi universali e possono essere esportati anche all'estero. [...] No, non posso bruciarmi questa occasione di fare un film artistico. I personaggi devono morire tutti, come nella tragedia greca dove i personaggi muoiono tutti, uno dietro l'altro. Il produttore non ha capito che gli sto scrivendo il film più artistico che abbia mai prodotto. Con lui non ho parlato di tragedia greca, se si accorge che gli sto scrivendo un film tipo tragedia greca chiama subito un altro soggettista. Ho dovuto accettare di salvare Wolf per via dei dollari. Anche in certe tragedie greche qualcuno si salva alla fine. Il produttore mi ha aumentato lo stipendio, però subito dopo mi ha detto peccato che muore la ragazza, la zingara, dobbiamo cercare di salvare anche lei. Addio tragedia greca, mi sono detto. [...] Ho detto va bene per questa volta, ma giuro che il prossimo film che scrivo sarà una tragedia vera e propria come quelle della Grecia antica. E se anche questo film avrà successo, forse potrò scrivere finalmente un bel film senza trama, moderno, uno di quei film dove non succede niente dal principio alla fine. [La trama] ____________________ Certi giorni mi sento scoppiare e ho proprio la sensazione di essere una bomba. Secondo alcuni la sede del ridere sta nella pancia. Secondo me invece dovrebbe stare nella testa. Quando sento più acuta la necessità di ridere, e questo mi succede sempre più spesso negli ultimi tempi, avverto una cosa molto strana, come un prurito dentro la testa. Qualche volta il prurito aumenta e diventa insopportabile, mi sento dentro un fuoco e mi sembra di scoppiare. La cosa migliore sarebbe di avere qualche ora libera per andare in giro per le strade, per andare al cinema come quando abitavo nella mia città, per trovare qualche amico che mi racconti le barzellette. Il desiderio di ridere, che ho soffocato per tanti anni, è diventato ormai così forte che potrei mettermi a ridere per ore e ore senza cinema e senza barzellette, senza nemmeno fare lo sforzo di ricordare quelle di tanti anni fa. Ma il lavoro mi prende tutta la giornata e, come ho detto, anche parte della notte. I progetti arrivano sempre più numerosi e gli autori sono sempre più aggressivi. Io rubo le ore al sonno e qualche volta dall'ufficio vado direttamente a casa saltando la cena. Il lavoro per la Televisione ha la precedenza su tutto, ma se non troverò il tempo di ridere, sono sicuro che un giorno o l'altro scoppierò come una bomba, E allora, se questo succede in ufficio, andranno in frantumi tutte le grandi vetrate del bellissimo palazzo di Viale Mazzini. [La risata]
Luigi Malerba, Dopo il pescecane
0 notes
Text
Finalmente ce l’avevo fatta! Era stata un'ammazzatura, ma ce l'avevo fatta. Maledissi non una, ma cento volte quella mia linguaccia che finiva sempre per mettermi nei casini: con mio padre, con mia madre, con i miei amici, persino con mia sorella, che non parlava quasi mai. Mi facevano male le gambe, le braccia, le spalle, tutto mi doleva, ma soprattutto le palle. Quelle si che erano il nido del dolore, a forza di sfregare tra loro, sempre in piedi sui pedali. E con quel carico a rimorchio. I quattro chilometri di strada asfaltata erano stati terribili, ma il mezzo chilometro di sterrato mi aveva finito. L'ottava fatica di Ercole. Altro che ammazzare tori con le mani, o leoni a randellate.
"Meno male! Quasi non mi sento più il culo!" Esclamò Bomba, scendendo dalla bici.
"Con tutta quella ciccia, il sellino ti si sarà infilato di certo su per il buco!" Gli urlò contro Tonino, con un ghigno ben stampato su quella sua faccia piatta e lentigginosa.
Subito si levò un coro di urla e risate sguaiate.
"Ehi Pietruccio, ce l'avevi il cartello per i carichi sporgenti?" Chiese il Tasso. E via, ancora una raffica di risate e pacche sulle spalle.
"Ridete, ridete, intanto io il mio turno l'ho fatto! Vedremo al ritorno quanta voglia di ridere vi sarà rimasta. Tutta salita, brutti coglioni che non siete altro! E il panettone ve lo cicate voi!"
"A me fa schifo il panettone!" Esclamò contrariato Schizzo.
Come al solito non aveva capito un cazzo. Tre quarti del tempo abitava in un mondo tutto suo e quando rimetteva piede nel nostro, era come se fosse appena arrivato. Come cavolo poteva aver capito ciò che ci eravamo detti quando lui era via? Ridemmo tutti quanti, Bomba compreso, anche se il panettone in questione era lui. Placatosi lo scoppio di ilarità, fu ancora il Tasso a parlare.
"Comunque Pietro, il panettone non se lo mangia nessuno. Abbiamo deciso che il ritorno se lo fa a piedi. Dopo tutto è colpa sua se non ha preso la bicicletta!"
Cominciavo ad incazzarmi. Un patto è un patto e va sempre rispettato. Altrimenti sei fuori da tutto.
"Non fate gli stronzi!" Sibilai cattivo, "Se provate a fare una porcata del genere, vi butto le bici nel fiume!"
"La mia no, Pietro, io non c'entro! A me non tocca trasportarlo!" Fece Schizzo allarmato.
"Tranquillo Schizzo," Intervenne Tonino,"però ricorda, Pietro, che se non va a piedi, bisogna, per forza, passare al piano B. E la colpa sarà soltanto tua!"
"Ma che cazzo vai dicendo? Di cosa sarei colpevole?"
"Del fatto che, per non portarlo, abbiamo deciso che ora, Bomba, lo affoghiamo!"
Dopo di che si alzarono in piedi tutti e quattro e ci saltarono addosso urlando come scimmie ubriache. Mi stavano prendendo per il culo! Quei figli di puttana mi avevano preso per il culo e io ci ero cascato come l'ultimo dei fessi. Ma anche loro avevano fatto uno sbaglio grosso come una casa. Ma di quelli che te ne rendi conto soltanto quando è troppo tardi per tornare indietro. Bomba non era solo il più grosso di noi, ma anche il più forte. Immensamente più forte. Fu così che, nel bel mezzo della cruenta lotta, afferrò il povero Tonino con tutte e due le sue potenti braccia e lo scaraventò nel fiume con tutti i vestiti indosso. Seguì un istante di sgomento, le cose avevano preso una piega inaspettata, subito dopo partirono dirompenti le risate. Tonino riemerse dall'acqua, che gli arrivava alla cintola, sputò fuori quella che gli era entrata in bocca, rimasta aperta per tutto il volo, e diede sfogo alla rabbia e alla frustrazione:"Brutta palla di lardo! Stupido ciccione figlio di puttana! Adesso esco e ti faccio vedere io cosa ti succede!"
Incrociai gli sguardi degli altri e vidi la stessa idea nei loro occhi illuminati. Allora dissi:"Adesso esci e che cosa? Meglio che resti dove sei. Perché saremo noi a venire dentro!"
E ci tuffammo anche noi completamente vestiti. Era uno di quei piccoli gesti che tendevano a cementare un'amicizia. Anche se, nel nostro caso, non credo ce ne fosse bisogno, ma faceva comunque piacere.
Sguazzammo nell'acqua giallognola del Tevere come tortellini nel brodo del sabato. La similitudine era lampante. Appartenevamo tutti a famiglie piuttosto povere. Dignitose, credo, ma povere. E il sabato era il giorno dei tortellini. Non tutti i sabato. E non molti tortellini a testa, ma, per la legge di compensazione, nel brodo avremmo anche potuto affogare. Dopo un'oretta di schiamazzi, tuffi, battaglie e quant'altro, uscimmo distrutti dall'acqua e ci gettammo esausti sulla rena della riva. Ci togliemmo tutti i vestiti, tanto li non passava mai un cazzo di nessuno, e li appoggiammo ad asciugare sui rovi e sui rami più bassi dei pioppi. Ci avrebbe pensato il sole.
"Questa si che è vita!" Sospirò a bassa voce il Tasso, rotolandosi nella sabbia.
"Ma guardati! Sembri una fettina panata gigante!" Disse Schizzo con aria schifata.
"Senti chi parla! Ma voi vi siete visti? Anche voi sembrate fettine panate. Meno Bomba. Lui non sembra una fettina panata. Sembra l'intera mucca panata!" Replicò il Tasso tutto felice.
Ridemmo tutti di gusto e saltammo addosso a Bomba che, in quella occasione, fortunatamente, si limitò a sopportarci senza reagire. Terminata l'incruenta lotta, ritornammo a crogiolarci al caldo di quel benevolo sole di un pomeriggio senza nubi dell'estate del millenovecentosettantadue. Sei piccoli, grandi amici, circondati da una natura materna che, nostro malgrado, non sarebbe rimasta incontaminata a lungo. E neanche noi.
"Certo che è proprio una goduria! Sembra di essere a Rimini!" Dissi sottovoce, mentre giocherellavo distrattamente con quel poco pisello che possedevo a quell'età.
"Fico Rimini!" Commentò d'impulso Sergetto.
"Che cazzo è Rimini?" Chiese invece Bomba.
"E' una città dove ci sta il mare più bello d'Italia. E ci stanno pure certe fighe!"
"E tu che ne sai? Ci sei mai stato?" Domandò Tonino. Più interessato alle fighe, che al mare.
"No che non ci sono mai stato! Non fare lo stupido, lo sai che non ci sono mai stato!"
"E allora come fai a saperlo?"
"A sapere cosa?"
"Del mare! E delle fighe!"
"Ho visto due cartoline che hanno spedito a casa gli amici di mia sorella. C'era un mare azzurro come...come non so cosa. E certe chiappe di culo che non vi dico!"
"Sei un cazzaro di prima categoria!" Mi accusò il Tasso sogghignando.
"Allora domani frego le cartoline a mia sorella e ve le faccio vedere, se non ci credete! Stronzi!"
"Senti, Pietro, ma tu ci sei mai stato al mare?" Chiese Bomba, mentre tentava di togliersi un po' di rena di dosso.
La domanda oggi sembrerebbe assurda, ma allora era più che legittima. Infatti, di tutti e sei, solo io e Schizzo ci eravamo stati, con esiti diversamente disastrosi.
"Certo che ci sono stato!"
"E com'era?"
"Com'era? Com'è, vorrai dire Bomba. Mica è morto il mare!"
"Vabbè, hai capito, allora dimmi com'è?"
Avrei voluto, ma non potevo mentire ai miei migliori amici, così:"Una cagata!" Esclamai, mentre con la mente correvo a quell'unico, maledetto giorno in cui i miei mi avevano portato al mare.
Era successo l'anno prima. Il ricordo ancora mi bruciava. Per anni, mia madre, tutte le estati, ad Agosto, quando mio padre era in ferie, aveva insistito per farsi portare al mare, ma non c'era mai stato verso di spuntarla. Come ho già detto, il mio vecchio era un camionista, tutta la vita su e giù per l'Italia col culo schiacciato sul sedile della cabina. Va da se che, di domenica, o durante le ferie, guai a parlargli di motori e di strade. Iniziava a bestemmiare come un turco e non la finivi più. Iniziava in sordina, sottovoce, poi un po' più forte, alla fine si lasciava prendere la mano e andava a finire che tutto il vicinato era costretto ad ascoltare le sue pittoresche lodi al Signore.
"Mi avete rotto i coglioni co' 'sto mare!" Diceva, "Mi spacco il culo per voi tutto l'anno su quella merda di camion e, quando finalmente ho un minimo di riposo, voi pretendete che salga sull'auto per scarrozzarvi dove vi fa comodo? Ma che razza di cervello bacato avete? Non se ne parla nemmeno!" Non se ne parla nemmeno era l'epitaffio. Tutte le volte. Quindi, figurarsi il nostro stupore quando, una mattina, alle sette in punto, il vecchio ci buttò tutti e tre giù dal letto, annunciandoci la lieta novella:" Sveglia poltroni! Preparatevi, oggi si va al mare!" Ricordo che tra lo stupore e la felicità ci fu una bella lotta. Eravamo rimasti tutti senza parole. La prima a riaversi fu mia madre, che obiettò:" Ma come faremo per il pranzo? Certo che sei sempre il solito! Non potevi dircelo ieri sera? Avremmo avuto tutto il tempo per prepararci, sant'Iddio!"
Lui la guardò per un istante, fece la faccia più sbalordita di cui fosse capace e rispose:" Ma come? Sono anni che scassi con il mare e oggi che mi sono deciso, crei tutti questi problemi? E poi ve l'ho detto stamattina perché ieri sera non ne avevo voglia. Oggi si! Allora? Cosa dobbiamo fare? Andiamo o no?" "Andiamo! Andiamo!" Gridammo entusiasti io e mia sorella. Ci infilammo di corsa i costumi sotto ai pochi vestiti, mia madre preparò in fretta i panini e li mise in una cesta di vimini con la frutta e le bottiglie d'acqua. Eravamo pronti. L'avventura poteva cominciare. E, Cristo, se fu un'avventura. E chi se la scorda più! Ci impiegammo ben tre ore per coprire i novanta chilometri che ci separavano dalla costa. Una volta arrivati a Tarquinia, mio padre strabuzzò gli occhi e disse imprecando:"Madonna, che casino! Ma da dove salta fuori tutta questa cazzo di gente? No, qui non ci possiamo davvero fermare. Grasso che cola se ce ne tocca un secchio a testa di acqua salata." "Allora cosa vorresti fare?" Domandò preoccupata mia madre. "Tranquilla donna! Ora te lo cerca il tuo bel maritino un posticino tranquillo per farti il bagnetto!" E lo cercò davvero. Eccome se lo cercò. Gli ci volle un'ora e mezza, ma alla fine lo trovò. Arrestò l'auto in quello che, probabilmente, era il posto più brutto del Tirreno. Infatti non c'era anima viva. Nessuno tranne noi. Niente persone, niente bar, niente ombrelloni, nemmeno sabbia. Solo sassi. Sassi enormi che partivano da dove avevamo lasciato la macchina, fino ad arrivare per diversi metri dentro l'acqua. Acqua che io e mia sorella facemmo giusto in tempo ad assaggiare. Neanche la maglietta riuscii a togliermi. Riuscimmo a bagnarci solo per metà, perché da lì a dieci minuti, nostro padre fischiò e ci fece uscire. Con quel suo tono perentorio che non ammetteva repliche, disse:"Su, venite fuori ragazzi. Basta bagni per oggi. Ora si pranza e si torna a casa. Che non ho voglia di beccarmi tutto il traffico del ritorno." Mia madre era nera di rabbia, a me veniva quasi da piangere, pure a mia sorella, ma non ci fu niente da fare. Quella, per fortuna, fu l'unica volta che ci portò al mare.
A Schizzo andò ancora peggio. Molto peggio. Lui neanche ci voleva andare al mare. I suoi ce lo mandarono per forza. In colonia. A Montalto di Castro, per quindici giorni filati. Quindici giorni che lui, naturalmente, non fece mai. La notte del secondo giorno scappò via scalzo, con indosso soltanto il costume e una canottiera a righe bianche e rosse. La mattina seguente, i responsabili della colonia, resisi conto dell'accaduto, telefonarono subito ai suoi genitori, che, tra una bestemmia e l'altra, dovettero montare sulla loro seicento per andare a ripescare il proprio figliolo così lontano da casa. Lo trovarono verso le quattro del pomeriggio, che vagava senza meta sulla Statale Aurelia. Fortuna che, quel giorno, c'era poco traffico. Appena gli fu accanto, il padre inchiodò l'auto, scese come una furia e gli diede un fracco di botte senza proferire verbo. Schizzo le prese tutte. Non tentò di schivare neanche un colpo. Ma non versò una lacrima che fosse una. Anzi, quando il padre si stancò di colpirlo, lui, con tutta la rabbiosa calma che possedeva, promise che, se lo avessero lasciato ancora li, sarebbe scappato la sera stessa. Naturalmente si guadagnò una seconda razione di legnate, seduta stante.
Schizzo aveva molti difetti, ma manteneva sempre le promesse fatte. Fu così che, nonostante le difficoltà oggettive e la sorveglianza raddoppiata, quella stessa notte se la svignò di nuovo. Portò a lungo i segni neri e bluastri della fibbia della cintura di quell'avvinazzato di suo padre, ma vinse lui. I suoi dovevano decidere se ammazzarlo di botte lì, sul posto, o riportarselo a casa impotenti. In verità ci pensarono su piuttosto a lungo, ma alla fine decisero che sarebbe stato meglio per tutti riportarlo a casa. Negli anni a venire, quando sentivo dire che al mare bisognava stare attenti, che era pericoloso, io pensavo sempre a Schizzo.
"Ehi, Pietruccio, ci sei ancora?"
La voce di Tonino proveniva da una zona remota della mia testa, ma ebbe comunque la forza di trascinarmi indietro.
"Certo che ci sono! Stavo pensando!"
"E a cosa? Alle chiappe di culo sulle cartoline?" Disse il Tasso, guardandomi con malizia esagerata l'uccello.
Cavolo! Mi era venuto duro! Di sicuro avevo continuato distrattamente a toccarmi, mentre ero perso nel fondo dei miei pensieri.
"Ci hai fatto preoccupare! Ti abbiamo parlato tre, o quattro volte, ma tu niente, Dove cazzo stavi col cervello? Sembravi Schizzo!"
"Io lo odio il mare! Con tutte le mie forze lo odio!" Disse Schizzo, a riprova che la similitudine era perfetta.
Lo fissammo per un istante e scoppiammo a ridere. Povero Schizzo, tutti eravamo a conoscenza della sua disavventura e ci venne subito in mente. E non solo noi, i suoi amici, la conoscevamo, l'intero paese ne era al corrente. D'altra parte, è risaputo, in un piccolo centro funziona così: tutti sanno tutto di tutti. Capita anche che sappiano molto di più. Sanno cose che non sono mai accadute e che, con molte probabilità, non accadranno mai, eppure le sanno, C'è sempre qualcuno che le sa. Qualcuno che le sa e qualcun'altro che glielo ha detto.
Iniziammo a lanciare sassi nel fiume, cercando di colpire tutto ciò che galleggiava.
"Facciamo una gara!" Propose bomba, lanciandone uno ben oltre l'altra riva.
"Che tipo di gara?" Chiesi
"A chi va più lontano!"
"Che cazzo di gara è? Tanto lo sappiamo che vinci tu! Non hai un braccio, ma una catapulta!"
"Facciamo la gara di seghe! A chi viene prima!" Propose Tonino, come alternativa.
Perché no? Eravamo nudi come vermi, l'attrezzatura era in bella mostra e la voglia non mancava mai.
"Va bene, però Sergetto è fuori e fa da giudice. Con lui non si può gareggiare, è svelto come un fulmine!"
"Col cazzo che sono fuori! Voglio giocare anch'io!" Protestò ferocemente Sergetto. Anche perché quella era l'unica gara in cui ci passava la biada a tutti.
"Io non voglio farla!" Si lamentò Schizzo, arrossendo.
"Perché non ti si rizza!" Lo punzecchiò il Tasso
"Certo che mi si rizza! Ed è pure più lungo del tuo! Non mi va e basta!"
"Non ti si rizza! Non ti si rizza!" Lo sfottemmo in coro, girandogli intorno.
"Andate tutti a fare in culo! Portatemi qui le vostre sorelle e vedrete se mi si rizza!"
"Allora fai il giudice di gara. Come a Giochi senza Frontiere." Disse Tonino.
"Mi sa che tu non ci stai con la testa. Secondo te io sto qui a guardare che vi fate le seghe?"
"Che male c'è?"
"C'è che mi fate schifo! Ecco cosa c'è." Concluse Schizzo, tuffandosi in acqua.
Non ci restava che iniziare la gara. Anche senza giudice. Tanto l'esito era scontato. Ci mettemmo in fila, spalla contro spalla: pronti? Via! Partimmo a razzo, mezza lingua di fuori, che, in quelle occasioni, sembrava aiutasse e la mano che andava su e giù come il pistone di una Ferrari. Non ci fu nulla da fare, quel coniglio arrapato di Sergetto trionfò in meno di un minuto. Lo odiavamo per questo. E lo invidiavamo anche. Solo qualche anno dopo ci saremmo ricreduti, felici che quel primato fosse tutto suo. Dopo un po', anche io, Tonino e Bomba tagliammo faticosamente il traguardo. Il Tasso era rimasto indietro. Terribilmente indietro, lui non arrivava mai. Mentre si accaniva a testa bassa sul pezzo, lo incitavamo e lo prendevamo per il culo contemporaneamente. Gli ci volle una mezz'ora buona, per arrivare felice e sudato alla bramata meta e noi lo portammo in trionfo come un vincitore. E lo era davvero. Anche questo lo avremmo capito più tardi, insieme alle nostre donne. "Beati gli ultimi, che saranno i primi", in questo campo specifico, forse solo in questo, valeva per davvero.
Terminate le solenni celebrazioni, saltammo nel fiume e raggiungemmo Schizzo, che, nel frattempo, stava cercando di far navigare un vecchio tronco marcio recuperato dalla riva. Ci sistemammo tutti su quella sottospecie di maleodorante zattera e ci lasciammo cullare da quell'indolente corrente. Gli uccelli si fermavano a guardarci stupiti e il sole martellava la nostra pelle senza troppa cattiveria.
"Certo che, a noi ragazzini, di "fregnacce" ce ne raccontano tante." Disse Tonino, con lo sguardo perso da qualche parte sulle canne dell'altra sponda.
"Hai fatto la scoperta dell'acqua calda." Risposi, cercando di capire cosa stesse guardando.
"No, dico: a parte Babbo Natale, la Befana, come nascono i bambini, quella che se ti fai le seghe diventi cieco è proprio la stronzata più grossa che abbia mai sentito."
"Bene, bravo! Ma ora che cavolo c'entra?"
"Ci stavo pensando prima. Mentre stavamo facendo la gara. Ho guardato prima Schizzo, poi noi, poi ancora lui che era l'unico a non gareggiare."
"E allora?"
"Allora ho pensato che non solo quella storia è una palla gigantesca, ma che, forse, è vero l'esatto contrario. Che diventa cieco proprio chi non si fa le seghe!"
Ridemmo felici per la scoperta. Sembrava chiaro che avesse ragione Tonino. Non c'erano santi. E quando se ne fosse convinto anche Schizzo, di sicuro non avrebbe disertato una gara.
"Ehi, guardate laggiù!" Urlò improvvisamente Sergetto.
Ci voltammo di scatto, tutti insieme. A quell'età la curiosità è vorace come una belva feroce digiuna da settimane. Un branco di mucche pezzate, bianche, nere e marroni, stava placidamente guadando il fiume su in una secca; forse in cerca di pascoli migliori.
"Stanno attraversando il fiume! Il nostro fiume!" Aggiunse, facendosi torvo in viso.
"Addirittura nostro!" Commentai sarcastico.
"Certo che è nostro. Qui ci veniamo solo noi. Così ci sporcano l'acqua, bestiacce maledette!"
"Ma che cazzo dici? Come fanno a sporcarci l'acqua se sono più a valle? Certo che ne spari di palloni!"
"Non me ne frega niente! Questo fiume è nostro e io qui non ce le voglio! Andiamo a prenderle a sassate!"
Seguì un coro di: andiamo! andiamo!, ma io rimasi in silenzio. Ero perplesso. Mi piaceva lanciare sassi e avevo anche una bella mira. Certo, non lanciavo lontano come Bomba, ma ero molto più preciso. Però non mi piaceva colpire gli animali, mi facevano pena, tutto qui. Facevo un'eccezione soltanto per quei schifosi ratti di fogna che, ogni tanto, incontravi per le vie del paese e per le odiate vipere. Ma era un altro discorso. Decisi di passare la mano. Nuotai fino a riva e mi sdraiai su uno dei tanti massi levigati che sbucavano prepotenti dalla vegetazione e mi misi ad osservare in disparte la spedizione punitiva. I miei amici arrivarono, con passo lesto, ad una decina di metri dalla mandria, poi diedero inizio ad una fitta sassaiola. Le povere bestie furono colpite a raffica, anche se diedero l'impressione di non curarsene troppo. Insomma, sembrava non considerassero le sassate più fastidiose delle centinaia di punture di mosche e tafani che subivano in continuazione. tuttavia la cosa non mi piaceva lo stesso. Decisi di alzarmi ed andare a porre fine a quello stupido gesto. Non feci in tempo. Dalla riva opposta partì, come un proiettile, un pezzo bello grosso di legno marcio e, per quanto lo trovassi impossibile, arrivò dalla nostra parte ed andò a schiantarsi contro il povero Bomba che cadde al suolo come un sacco di patate. In quell'attimo si fermò il mondo. Lo stupore si poteva tagliare con la motosega, tanto era presente. A farci uscire da quella fase di stallo fu un sasso. Un sasso lanciato dallo stesso punto di prima. Sasso che, con altrettanta forza e precisione, andò a colpire Sergetto proprio in mezzo alla testa. Lui lanciò un urlo disumano e, subito dopo, come a fargli compagnia, anche una gran bestemmiona. Rimase immobile, con le mani in testa, per un tempo indefinibile, gridando:"Non ci vedo più! Non ci vedo più!"
Fummo azzannati dalla paura, paralizzati, ma, per fortuna, subito dopo tornò a vederci. anche se quello che vide peggiorò la situazione. Si portò la mano destra davanti agli occhi e constatò, con la paura che gli si allargava in faccia, che era sporca di sangue. Del suo sangue. A quel punto le lacrime tracimarono dagli occhi e si trasformarono ben presto in un fiume in piena. Fu così che la paura si trasformò in rabbia e i miei amici iniziarono a lanciare tutto ciò che capitava loro a tiro verso il punto in cui aveva avuto origine il fuoco nemico. Io me ne rimasi ancora in disparte. Ancora dovevo capire.
Finalmente riuscimmo a vederlo. Dapprima solo una sagoma oscura tra i fitti cespugli dell'argine, poi, piano, piano, venne fuori la forma di un ragazzino, più o meno della nostra età, scalzo, con i pantaloncini corti e a torso nudo. Non sembrava affatto impaurito. Non fosse altro che per la differenza numerica. E, con nostro grande stupore, ce lo dimostrò pure. Saltò in groppa ad una delle mucche e ci raggiunse attraversando il fiume.
"Certo che ne ha di coraggio!" Pensai.
Fu Tonino a parlare:"Guarda come cazzo lo hai conciato! Gli hai rotto la testa, brutto figlio di puttana!" E gli mostrò, come prova, la zucca di Sergetto che ancora frignava.
Gli aveva detto proprio figlio di puttana! Era l'offesa mortale! Quella che necessariamente significava: cazzotti! Poteva passare solo tra amici stretti e detta per scherzo; ma urlata in quel modo ad uno sconosciuto! Nessuno di mia conoscenza avrebbe lasciato correre. Era la regola. Anche a costo di prenderle. Era una questione di onore. Eppure il nuovo arrivato sembrò non dargli peso. Rimase lì, immobile come un masso. Non era minimamente turbato. forse perché, nudi come eravamo, facevamo più ridere che spavento.
"Avete iniziato voi." Si limitò a dire. Con un tono così calmo che faceva quasi paura.
" Anche a me potevi rompere la testa, brutto stronzo di un matto!" Rincarò la dose Bomba.
"Avete iniziato voi." Disse ancora.
Era il turno del Tasso. Ma lui era uomo d'azione, non di parola, fece l'unica cosa che era capace di fare, caricò a testa bassa il nuovo arrivato, menando pugni all'impazzata e sbuffando vapore come un toro nell'arena. Il ragazzino con i calzoncini non mosse un muscolo. Attese la carica con le braccia conserte, quando il Tasso gli era praticamente addosso, veloce come il demonio scartò di lato e con uno sgambetto lo fece finire lungo disteso nel fiume.
Non potevo più aspettare, dovevo intervenire. Tra i miei amici, ero io il più bravo a fare a pugni, toccava a me condurre le danze. Certo, l'avversario sembrava una brutta bestia, anche troppo brutta, ma dovevo farlo, non potevo rimetterci la faccia. "Adesso basta, vuoi fare a botte? fallo con me!" Dissi.
I miei amici si fecero da parte ridacchiando nervosamente e urlarono in faccia al mio nemico:"Ora sono cazzi tuoi, stronzetto!"
Non è che io ne fossi troppo convinto, ma, come si dice, il tifo aiuta sempre.
"Non mi batto con te." Disse quello, sempre con quel tono gelido.
"Meno male" Pensai. Ma "Perché no? Hai paura?" Mi sentii dire.
"Non ho paura, è che tu sei l'unico che ha lasciato in pace le mie mucche. Non mi batto con te."
Aveva ragione, per Dio! E anche per fortuna! Avevo lasciato in pace le sue mucche! Feci qualche passo avanti e mi presentai:"Io mi chiamo Pietro, e tu?"
Quello mi fissò per un attimo, fece una smorfia che somigliava vagamente ad un mezzo sorriso, si voltò è ritornò nel nulla da dove era venuto.
5 notes
·
View notes
Photo
So che è meglio ignorarlo, che non è il caso e così via. Ma vedere oggi i suoi patriottici fan mettergli il like sotto il patriottico post con cui festeggia il giorno dedicato all’Unità d’Italia, mi fa partire l’embolo della memoria. E allora suoi fan, ve le ricordate queste immagini? No eh? No, non sono degli anni ’90. Non sono errori di gioventù. Sono del 2011. Dell’altro ieri praticamente. E come oggi, quel giorno, era il 17 marzo: Festa dell’Unità d’Italia. E’ il giorno in cui, come oggi, milioni di italiani, che italiani si sono sempre sentiti, nel bene e nel male, festeggiavano i primi 150 anni di Unità Nazionale. Quel giorno l’europarlamentare Matteo Salvini in Piazza della Scala a Milano mise una scrivania davanti al Municipio. E sapete perché? In segno di protesta contro i festeggiamenti per l’Unità d’Italia. Disse che per lui era un giorno di lavoro come un altro. Tale era il suo odio e il suo disprezzo per l’Italia. Un odio e un disprezzo che avrebbe continuato a manifestare ancora nei tre anni successivi, e cioè fino a che nel 2014, con la Lega crollata al 3%, si accorse che o iniziava a fingersi patriota italiano, o gli sarebbe toccato andare a lavorare: – “Italia paese di Merda” (23/07/2013). – “Italia paese ridicolo” (23/09/2013). – “Italia paese di merda” (21/10/2013). – “Solo soldi al Sud, che schifo” (1/10/2013). – “Napoli… Italia… Boh…” (1/06/2013). Le bandiere italiane che vedete nella foto in basso sono quelle che invece voi, italiani da sempre, orgogliosamente, gli sventolavate in faccia quel giorno a Milano, gridandogli “vergogna!” e cantandogli l’Inno di Mameli in faccia. Avete dimenticato tutto eh? Oggi vi fate insegnare ad amare la Patria da uno che fino a 6-7 anni fa scriveva “Italia paese di merda”. E che ha “cambiato idea”, guarda caso, a un passo dalla perdita della poltrona. Perciò oggi, 17 marzo 2020, nei giorni più bui della nostra storia recente, auguri Italia. Auguri a tutti gli italiani che italiani, orgogliosamente, nel bene e nel male, si sono sempre sentiti. Da sempre. E per sempre. Un po’ meno agli ipocriti. Molto, molto meno. (Emilio Mola)
39 notes
·
View notes
Link
16 GEN 2020 13:20“DOPO 40 ANNI LA GENTE MI FERMI PER STRADA MAGARI SOLO PER FARSI DIRE ‘A STRONZO. PUNTO ESCLAMATIVO'’” - INTERVISTA A ISABELLA DE BERNARDI, LA MITICA “FIORENZA” DI “UN SACCO BELLO”: “VERDONE ERA SEMPRE A CASA MIA PER SCRIVERE LA SCENEGGIATURA CON MIO PADRE. IN CAMERA MIA STAVO LITIGANDO CON MIA SORELLA E CARLO SEGUÌ QUELLA RISSA VERBALE. ANDÒ DA PAPÀ E GLI DISSE È PERFETTA PER FIORENZA. HO SMESSO DI FARE L’ATTRICE QUANDO UNA VOLTA VENNE A CASA MIA PAOLO VILLAGGIO E DISSE…” - VIDEO
Franco Pasqualetti per www.leggo.it
I ricci sono sempre gli stessi. Magari un po' più biondi. La voce è meno adolescenziale ma la simpatia è immutata. E sta al gioco di ricordare Un sacco bello mentre mette a punto progetti e dà l'ok a quelli dei suoi collaboratori, da buona art director quale è oggi. Isabella De Bernardi nell'immaginario collettivo è Fiorenza, la compagna di Carlo Verdone nel film cult: «A stronzo. Punto esclamativo». Una battuta fissata nella memoria di almeno 3 generazioni.
Sono passati quarant'anni...
«Non me lo dica, la prego».
Eppure è così.
«Sì, ma è incredibile come quasi ogni giorno la gente mi fermi per strada magari solo per farsi dire A stronzi!. So quarant'anni che mi chiedono di prenderli a parolacce».
Come nacque quell'avventura?
«Carlo era sempre a casa mia per scrivere la sceneggiatura con mio padre (Piero De Bernardi, ndr). In camera mia stavo litigando con mia sorella e Carlo seguì quella rissa verbale. Andò da papà e gli disse è perfetta per Fiorenza. Da lì nacque il personaggio e io... feci solo me stessa».
Una curiosità: ma lei anche nella realtà masticava la gomma come nel film?
«La verità è che a me le gomme americane facevano pure schifo, eppure per copione ne ho dovute prendere decine di pacchetti. La sera tornavo a casa che sembravo una Big Babol alla fragola».
Oggi Fiorenza, pardon Isabella che fa?
«Ho lasciato il cinema per seguire la mia grande passione: la grafica. Sono una art director e do sfogo alla mia creatività così».
Cosa le ha fatto cambiare strada?
«Una volta venne a casa mia Paolo Villaggio, mi guardò e disse: Vuoi davvero fare la fine di Raffaella Carrà? Non mi sentivo proprio all'altezza di Raffaella...».
Enzo, Ruggero e Leo: tre facce della romanità dei primi anni 80, tre solitudini, tre maschere esilaranti e malinconiche che hanno raccontato un preciso momento italiano e traghettato un giovane comico che stava spopolando in teatro e in tv verso quella che sarebbe poi stata una lunga carriera sul grande schermo.
Sono passati 40 anni dalla comparsa del bullo, dell'hippy e dell'ingenuo protagonisti del film d'esordio di Carlo Verdone Un sacco bello. Mentre nel mondo uscivano film come Manhattan, Hair e Apocalypse Now e in Italia si consumavano gli ultimi anni di piombo, grazie all'aiuto di Sergio Leone, Verdone debuttava dietro la macchina da presa e faceva diventare personaggi da film i tipi che aveva a lungo osservato per le strade e nei bar e poi plasmato grazie al suo talento da attore comico e trasformista.
Ambientato nella Capitale intorno a Ferragosto, Un sacco bello segue, appunto, le vicende del sedicente playboy Enzo, che vorrebbe partire per una vacanza in Polonia ma rimane senza il suo compagno di avventura, quelle di Ruggero, figlio dell'amore eterno, capelli lunghi biondi e parlata pesantemente capitolina, che si confronta con il padre (Mario Brega) che vorrebbe ricondurlo a una vita meno nomade, e quelle di Leo, timido e impacciato trasteverino che si invaghisce di una turista spagnola, Marisol (nella foto). Sono tre dei sei personaggi che Verdone interpreta in un film le cui battute sono rimaste scolpite nella memoria collettiva.
«Credo che in quel film ci sia una mia forte componente caratteriale, un po' malinconica ha detto Carlo Verdone ieri in un video postato su Facebook in occasione dell'anniversario C'è la grande solitudine di questa bella città che all'epoca aveva una grande anima, nel popolo, nelle atmosfere, nei rumori. Era una città che aveva tanta poesia. L'aver ambientato il film in una Roma d'estate deserta è stata una grande intuizione, una città dove non c'erano tanti rumori come oggi. Si sentiva il rumore dell'acqua di qualche fontana, qualche campana, qualche macchina che passava, qualche motorino smarmittato...».
C'era anche un altro rumore, in quel film: quello dell'esplosione di una bomba che viene sentito dai protagonisti ma rimane sullo sfondo, senza che si spieghi o si veda nulla. L'eco di un'epoca che stava finendo, di un'atmosfera che Verdone ha comunque registrato e raccontato, così come ha saputo raccontare i romani e gli italiani in questi 40 anni.
0 notes
Photo
Qui tutto gli fa male, persino l'aspirina gli fa male. Davvero, ieri sera gli ho fatto prendere un'aspirina perché aveva mal di denti. L'ha afferrata e ha cominciato a guardarla, cosa gli è costato per decidersi ad inghiottirla. Mi ha detto cose stranissime, che era pericolosissimo servirsi di cose che in realtà non si sa che sono, cose che sono state inventate da altri per calmare altre cose che neppure si sa che sono... Lei sa com'è quando comincia ad almanaccare. (...) - Una vittima della cosità, è evidente. - Che cos'è la cosità? - disse la Maga. - La cosità è lo spiacevole sentimento che laddove termina la nostra presunzione comincia il nostro castigo. Mi spiace di dover usare un linguaggio astratto e quasi allegorico, ma voglio dire che Oliveira è patologicamente sensibile all'imposizione di ciò che lo attornia, del mondo in cui vive, di ciò che gli è toccato in sorte, per dirla gentilmente. In una parola, gli fa schifo la circostanza. Per farla breve, il mondo gli fa male.
Julio Cortazar, Rayuela, il gioco del mondo
10 notes
·
View notes
Text
Diario 27/09/2017
Caro diario, oggi non sto bene.
La giornata è iniziata male, senza un particolare motivo,non ho voglia di fare nulla.
Oggi mi danno ai nervi tutte le persone.
Ieri sono uscita con un ragazzo, vuole qualcosa di più, io non penso di sentirmela, non lo so.
Vedo difetti ovunque, in tutti.
Forse perché non riesco ad amarmi, per questo provo tanta rabbia per tutti.
Pensavo di volere qualcosa per star bene, un abbraccio, qualcuno vicino, o che ne so.
Ma ora mi rendo conto che forse non è così, tanto alla fine va sempre tutto male.
Oggi va così, mi sento fragile, come una foglia secca in autunno.
Credo che potrei spezzarmi in qualsiasi momento, e sai cos'è il bello? Che non me ne può fregar di meno, anzi sarei felice di farla finita.
Perché tanto alla fine la vita è questo, uno schifo, uno schifo con qualche spiraglio di luce a volte, ma pur sempre uno schifo.
Quindi mi chiedo, vale la pena vivere? Vale la pena cercare di star bene? Al momento credo di no.
Non mi sopporto più, mi strapperei la pelle dalle ossa, eliminerei il mio grasso, le paranoie, il nervosismo, sta cazzo di emotività, mi cancellerei.
Tanto, come disse mia mamma un po' di tempo fa, io sono solo un errore, sarebbe stato meglio se non fossi nata.
1 note
·
View note