#e poi lui è appariscente in un altro modo)
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Comunque da un lato sono felice che non abbia vinto Geolier, sia per il fatto che credo che altri artisti meritassero più di lui, sia per il fatto che avevo leggermente paura delle reazioni della gente, e lo so che non dovrei aver paura della visibilità del momento solo per via di certe persone, perché anche senza visibilità il problema c'è sempre, e diventa appariscente il momento in cui si alza la testa anche di poco (vedi lo scudetto, vedi capodanno), quindi il problema va o restare in ombra il che porta il problema ad essere invisibile agli occhi degli altri o essere appariscenti e avere il problema sotto gli occhi di tutti
#perché si sa che alla gente i meridionali vanno bene se si assimilano agli altri sono più tollerabili il momento in cui sono più evidenti#con una cadenza dell'accento o il linguaggio allora inizi a non essere più accettabile#questa cosa lo dimostra anche con la gente come loredana bertè angelina mango the kolors il volo che puoi tranquillamente dimenticarti#da dove vengono perché non sono appariscenti (non metto mahmood perché nonostante abbia con se cultura sarda è cresciuto a milano#e poi lui è appariscente in un altro modo)#non so se taggare sta roba non lo so#è più una rant che altro#raine speaks
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Lettera al mio primo grande amore.
Non ho mai raccontato la mia versione della storia: me ne sono andata e sono sparita in un silenzio stampa. Forse avrai raccontato tutti che sono una stronza, che ho ricominciato con un altro in un altro paese, lasciandoti morente. Non sono nessuno per biasimarti, probabilmente avrei fatto lo stesso. Ma voglio, anzi ho bisogno che tu sappia che va bene anche se non ci perdoneremo mai a vicenda. Io so che non riuscirò mai a farlo, e sono sicura che nemmeno tu ci riuscirai mai. Sono ancora arrabbiata, e lo sarò per sempre: mi hai lasciata scivolare tra le mani come fossi fumo e ti sei disperato quando non mi hai trovata più. Dio solo sa quanto io ci abbia provato, e solo lui sa quando io abbia sofferto, solo lui sa quante notte passate a pregarlo di smettere di amarti perché faceva troppo male.
Questo è il brutto degli amori troppo grandi: il dolore è proporzionale e non ci si riesce nemmeno più guardare negli occhi dopo. Quegli stessi occhi che brillano al solo sentirti nominare. Eravamo due ragazzini che dovevano ancora crescere, e che cosa ne potevamo capire noi dell’amore? Eppure, penso che ne abbiamo capito più di tutti quanti, più dei nostri genitori e dei loro. Abbiamo vissuto uno di quegli amori da film, da libro, da raccontare a tutti. Io e te eravamo perfettamente incastrabili, ti ricordi? Ce l’aveva detto un tuo amico quando ha visto che, da abbracciati, la mia testa rientrava perfettamente sotto al tuo mento. Eravamo innamorati, lo eravamo davvero.
Ti ricordi M2 e “ti amo da vivere” scritti sul ponte vecchio di Verona, o Firenze che faceva da sfondo alla nostra commedia romantica?
Il nostro era un grande amore: non avevamo nient’altro che una promessa, e un filo rosso. Eravamo riusciti a creare un mondo tutto nostro che, sebbene imperfetto, era nostro e questo ci bastava.
Ma la verità era che io amavo una versione di te che esisteva solo quando eravamo soli e tu amavi un’idea di me che esisteva solo quando mi sottomettevo. Ero pronta a darti il mondo, se solo tu l’avessi accettato da me. Forse mi hai amata tanto quanto dici, ma io so che hai amato di più una versione di me che non è mai esistita. Io ho fatto lo stesso. Sono sempre stata troppo chiassosa, troppo invadente, troppo appariscente, addirittura troppo finta per te.
Avresti cambiato tutto di me: dai miei capelli, ai miei vestiti, e forse anche il mio modo di respirare. E l’ho fatto, sono cambiata, solo per poter essere chiamata ancora la tua ragazza. Perché essere la tua ragazza faceva parte del mio status quo, io sono stata tua da quella in volta in cui me l’hai urlato in oratorio, da quando l’hanno saputo tutti. Eppure, non hai mai voluto passare un intervallo con me, facevi finta che io non esistessi nonostante frequentassimo lo stesso liceo, e le nostre classi fossero sullo stesso corridoio dello stesso piano. Mi hai distrutta pezzo per pezzo, per poi ricostruirmi a tua immagine e somiglianza. Quando è finita, non sapevo neanche più quanto di mio ci fosse rimasto in me. Fino ad oggi, ho ancora così tante domande da farti, avrei bisogno di così tante risposte ma va bene.
Era diventato troppo, per entrambi. E nonostante fosse sempre troppo complicato tra di noi, la verità era semplice: volevamo due cose diverse e non avevamo avuto il coraggio di dircelo. Mi dispiace di averti fatto del male, di aver rovinato tutto ma ho dovuto scegliere tra amare te e amare me stessa, e va bene così. Lo dovevo a me stessa. Sono scappata e non mi vergogno di ammetterlo.
Ora sto bene, sono felice, come non lo ero da tanto. Sono amata per essere esattamente come sono, sono cresciuta e sto scoprendo me stessa, la vera me stessa. Sono cambiata fisicamente, molto da quando ci siamo visti l’ultima volta, non penso ti piacerei più ma meglio così onestamente. Sappi solo che sono felice davvero, ho finalmente tutto quello per cui noi non eravamo pronti. Sappi che al mio fianco c’è qualcuno di prezioso, che mi protegge e mi ama come non pensavo nessuno sarebbe più stato in grado di fare. Mi fa sorridere, ogni giorno.
Voglio finire ringraziandoti, perché per quanto male sia andata, tu sei stato il mio primo grande amore, e questo nessuno potrà mai togliercelo. Nessuno potrà mai portar via tutto l’immenso che siamo stati. Ti auguro il meglio dalla vita, anche se non te lo meriti tutto.
Un bacio, M.
©muriels.
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Monster Hunter streaming completo film online italiano
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È sconcertante che un film ambientato negli anni '80, alimentato com'erano da cocaina e materiali sintetici Day-Glo, abbia come tonalità dominante il colore beige. Il colore e l'ombra vengono svuotati da quasi ogni scena, lasciando una terra desolata e piatta di dialoghi noiosi e poche emozioni (sebbene Pascal faccia del suo meglio per masticare tutto lo scenario lasciato intatto da Gadot, che sembra non occupare mai lo stesso spazio del altri attori). Chiaramente questo schema di colori è intenzionale: un montaggio laborioso e poco divertente di Pine in diversi abiti anni '80 finisce in lui vestito con toni chiari della terra, mentre Pascal ha i capelli tinti di biondo sporco e indossa un completo beige. È come andare in spiaggia e guardare la sabbia. L'inseguimento in autostrada, ambientato in un deserto mediorientale (forse semplicemente per ricordare alla gente il passato dell'esercito israeliano di Gadot?) È così monocromatico che rende vibrante il finale grigio come l'acqua dei piatti di Endgame. Ma ancora peggio è l'azione stessa, che sembra assolutamente senza peso e senza attrito: le acrobazie non emozionano perché nulla di tangibile tocca effettivamente qualcos'altro. Diana corre intorno, sopra e attraverso le cose senza sostanza, il suo lazo si espande a qualsiasi lunghezza richieda l'effetto, una linea dorata sullo schermo di un computer, a un certo punto si contrae attorno a un fulmine, la cui fisica impossibile sarebbe bella se fosse non incarnava così bene il nulla appariscente delle acrobazie del film. È tutto così noioso.
E poi c'è il sottotesto del film, che alla fine di questo terribile anno di politica è difficile da interpretare come qualcosa di diverso dal sinistro liberale. Wonder Woman 1984 parla dell'abbandono della speranza, dei pericoli di desiderare che le cose siano migliori di come sono. Caritatevolmente, potrebbe essere letto come un inno al pragmatismo Obama, che non ci sono scorciatoie nella vita e che il cambiamento richiede un duro lavoro che si manifesta nell'affrontare le dure verità e scegliere di fare molto poco al riguardo. È difficile realizzare un film fantasy di supereroi su come le cose migliori non siano possibili, quindi immagino che questo sia una sorta di risultato (e forse in mani più sovversive questa idea si collegherebbe in qualche modo all'anno scelto per il titolo del film: la storia di un totalitarismo liberale in cui si concede l'illusione della libertà in cambio dell'eliminazione dell'immaginazione). In un certo senso, ammiro la perversità di fare un film di ritorno al passato degli anni '80 senza usare la musica degli anni '80 e l'audacia di fare un film di supereroi che solo Amy Klobuchar potrebbe amare. Monster Hunter, d'altra parte, ha ben poco in termini di sottotesto politico al di fuori di un vago ideale di persone di mondi diversi che si uniscono per, beh, cacciare mostri. Milla Jovovich guida una squadra di Army Rangers in una missione di ricerca e soccorso per alcuni altri soldati dispersi in un deserto specificato solo da longitudine e latitudine (PWSA adora le sue mappe) ma girato in Sud Africa. Si perdono in una strana tempesta di sabbia e fulmini e finiscono per essere trasportati in un nuovo mondo pieno di mostri giganti, che li attaccano quasi immediatamente e alla fine spazzano via tutti tranne Milla. Viene salvata / catturata da Tony Jaa, apparentemente un nativo di questo mondo, ei due lavorano insieme per superare le bestie giganti che bloccano la loro strada verso una misteriosa torre che potrebbe mandare Milla a casa e unire Tony ai suoi amici e alla sua famiglia.
Come tutto il lavoro di Anderson, Monster Hunter è ben strutturato e pieno di omaggi cinematografici. Le scene di apertura del legame con l'esercito potrebbero venire da qualsiasi film di guerra realizzato negli ultimi 70 anni, delicati ribbing e caricamenti di armi intesi a stabilire il carattere e il cameratismo in previsione della perdita di vite a venire. È qui che la sdolcinatezza del dialogo di PWSA brilla davvero, anche se per una volta il suo terribile senso dell'umorismo ha avuto conseguenze reali poiché uno dei suoi sciocchi giochi di parole è stato preso come un insulto razzista dall'intera nazione cinese, uccidendo il botteghino del film in questo paese e, di conseguenza, probabilmente ogni speranza di un sequel in quello che avrebbe potuto essere un franchise promettente (la battuta offensiva è stata tagliata dal film e non era nello screener che ho visto). La genericità di questa apertura è, per i fan di PWSA, parte del suo fascino: è uno dei pochi registi di Hollywood oggi che crede davvero nel potere dei cliché. È ciò che rende i suoi film così rinfrescanti: non un accenno di ipocrisia nel campo di zucche di PWSA, né cinismo né sorrisetto disprezzo per il suo soggetto o pubblico.
Le scene dell'esercito sono seguite da una terrificante sequenza sotterranea (un altro segno distintivo del PWSA: ha suggerito che la sua paura / attrazione per gli spazi ristretti ha qualcosa a che fare con la sua giovinezza nel paese delle miniere di carbone) che ricorda al meglio gli alieni. Poi il film si assesta per una lunga sezione centrale che mi ha ricordato niente di meno che un remake del grande film del 1968 di John Boorman Hell in the Pacific, ma con Jovovich e Jaa nei ruoli di Lee Marvin e Toshiro Mifune.
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+ CUMBRE
Una ragazza di fronte allo specchio si chiede se il vestito a fiori che ha scelto sarà adatto. È una ragazza magrolina praticamente senza seno, lo specchio riflette le sue occhiaie profonde, il vestito ha parecchi vuoti, le arriva appena sopra le ginocchia. Lei sa che non è una di quelle ragazze per cui i ragazzi si girano, in vita sua non è mai capitato che qualcuno abbia suonato il clacson vedendola passare. Lei non lo sa, ma la sua bellezza timida, poco appariscente, è limpida e reale.
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Black eyes are printed of blue red lips are stained of happiness your wings are green tonight you are not with me tonight Cumbre – White Bee
32 minuti è la durata delle 9 tracce dell’LP che mi ha spedito Niki via lettera. Riconosco sempre la sua calligrafia sulla busta, aggraziata e d’altri tempi. immagino sia uno abituato a scrivere le cose con una penna in mano. Presumo che scrivesse non solo perché a scuola lo obbligavano, ma perché ne avesse capito la potenza della scrittura, poter dire qualcosa che hai dentro a qualcuno. Forse ancora usa la penna e a casa ha un sacco di fogli pieni di poesie, di disegni e di scarabocchi. Per quel poco che ne so di Niki e che ho capito di lui è uno che scrive dei pezzi che mi mettono i brividi, a volte faccio fatica a capirli perché io non sono mai stato in grado di scrivere qualcosa di bello. Saper dire qualcosa è un conto, ma avere un senso estetico nelle parole, modificarne le forme e curarne i dettagli per renderli aggraziati, quello, è un’altra cosa. È per questo che anche se ci eravamo parlati due volte in croce volevo a tutti i costi un suo pezzo sulla mia fanzine. Poi Niki mi ha chiesto di scrivere per Rust Exposure. Credo che Niki apprezzi il fatto che vado sempre a fondo alle cose in modo sincero, nel bene e nel male, e a dirla tutta quando mi è arrivato l’LP a casa l’ho lasciato lì qualche giorno senza farlo suonare. Questo perché anche se mi piace essere sfrontato la verità è che ognuno di noi porta dentro di se dei lati oscuri e paurosi. È quello che mi attrae di Niki nel suo fare le cose, lo spessore sentimentale che spesso non bada a tenere nascosto. Credo che Niki porti dentro di sé il peso insopportabile di innamorarsi veramente delle cose, e la morte, che è solo l’altra metà esatta della vita.
La neve cade in giardino ed è il mio cuscino. luce blu e polvere blu. viene buio adesso e i vostri occhi li ho visti tutti (tra i cristalli). Cumbre - Neve
Partiamo da un presupposto. Credo che i Cumbre vadano suonati a volume alto. Sentirli a volume basso, e magari con le cuffie equivale a immaginarsi un bosco con l’odore di un albre magique in macchina. Presuppongo dipenda da come la musica è stata concepita. Io per esempio ho sempre pensato che semmai avessi avuto un gruppo sarebbe stato qualcosa che ti ascolti la sera in camera a volume basso, perché prima delle etichette, dei generi e tutte quelle stronzate, la musica è solo scrittura in un altro modo: due persone che si parlano. I Cumbre hanno iniziato a suonare con volumi alti, con la luce soffusa e con il caldo fuori. Le vibrazioni dei bassi, la forza che viene data alla batteria e la pelle che si consuma sulle corde della chitarra allora diventano reali e la ripetitività delle canzoni assume un senso profondo e viscerale. è un’atmosfera che scava i ricordi e porta suoni distorti a fondersi con voce e dissonanze in un insieme estetico. Per quanto mi rigurda Neve è forse la mia canzone preferita, anche se troppo breve. Le prime volte che l’ho ascoltata mi ha dato l’idea che sarebbe dovuta finire diversamente, durare di più.
La ragazza si guarda allo specchio un’ultima volta e esce. Lei non lo sa ancora, ma una macchina la investirà e morirà sul colpo. Il suo vestito a fiori strappato.
Mezz’ora in cui devi lasciarti andare alle sensazioni profonde, senza categorizzarle e senza applicarci il filtro di cosa sarebbe giusto o sbagliato. Dopo aver ascoltato Neve un sacco di volte credo invece che finisca esattamente nel momento in cui debba finire. Perché anche le cose interrotte fanno parte della nostra vita e se eravamo stati disposti ad innamorarci ne è valsa la pena. Avremo ricordi, porteremo cicatrici con orgoglio. Interruzioni drastiche, sinfonie lontane e malinconiche, ma anche tratti di melodia rendono l’ascolto dell’LP difficile ma anche intenso e ripagante. È una notte in estate in cui succede qualcosa di inaspettato.
Ascolto i Cumbre a palla, al massimo che le casse del mio impianto da due soldi possono andare. È buio e dallo spiraglio della stufa percepisco la fiamma del fuoco che brucia la legna. Erano alberi in un bosco e sono diventati fuoco. La ragazza non avrà più domande. Il suo vestito non era adatto. Lei era bellissima anche se nessuno glielo aveva mai detto. Io non smetterò di ascoltare questo LP. questo pezzo è stato scritto per la fanzine indipendente Rust Exposure Grazie Niki.
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Avevo passato una bella serata: dal bosco al bar, era tutto okay. Avevo detto una piccola bugia a mia madre per infiltrarmi nel bosco di notte insieme al mio... amico ->colui che mi faceva divertire e con cui avevo cose in comune. Chiamarlo amico è come un insulto, lui ancora non mi aveva fatto niente di male. E un amico sicuramente lo avrebbe fatto prima o poi.
Beh, eravamo a disagio: indecisi se portare le tazze di caffellatte al bancone o meno. Decidemmo infine, di portarle, mi preparai psicologimente per ignorare l’essere umano di cui avevo notato la presenza un poco prima. E mi imposi di non guardarla neanche. Perché deve essere proprio qui? Pensai. Pogiammo le tazze sul bancone e mentre stavamo per uscire da quel posto contaminato dalla sua presenza, la vergogna umana in persona mi si parò davanti, spingendo L.
Volevo sputarle addosso. Ma già questo era riservarle attenzioni che non meritava manco dal demonio stesso.
L è timido, piccolo, impacciato, sensibile e dolce. Mi fece arrabbiare che lo avesse spintonato così, lei. Quella fece umana, lo schifo. Un insulto al genere femminile chiamarla donna. È un’adulta ma la sua maturità è quella di una dodicenne, anzi; loro stesse sono più mature di lei.
Ma non reagii. Dopo averlo spintonato, si mise tra me e lui, dicendomi a un palmo dal viso: «Lei è mia sorella.» Sbattendo il bicchiere di birra mezzo vuoto sul bancone di legno. Mi parve che il legno stesse facendo azioni più sensate di lei. Avrei preferito essere chiamata puttana. Sarebbe stato un insulto meno grave. Che schifo. Lo stesso sangue che scorre nelle sue vene imbrattate di droga e alcool é quello che scorre nelle mie, piene d’odio e dolore. I suoi occhi erano gialli e liquidi. Truccata e vestita come se stesse andando ad un pub pornografico. Le sue parole erano sporche d’alcool. Era ubriaca. Ubriaca marcia. Non mi sorprese, non mi smossi. Si avvicinò a me, sperando di intimorirmi e ripetè: «Lei è mia sorella. Che cazzo ci fai con lei?». Si rivolgeva a me come se io stessa fossi il ragazzo, fossi L. Avevo una faccia annoiata ma mi trattenevo dal non riderle in faccia. Io sono uscita con L, mentre tu esci con 10 uomini per fare la puttana che non sei altro. Vai a cagare. Tirai L che era terrorizzato per la manica della giacca e gli sorrisi come se non ci fosse una puttana ubriaca fradicia a parlarmi come se fossi un oggetto di sua proprietà. Ma non ci lasciò andare, mi toccò. Mentre stavo per uscire. Mi toccò. Apoggiò quelle sporche mani sulla mia spalla per fermarmi. E lì dovetti eccome calcolarla. Ora sì aveva tutta la mia attenzione addosso.
In un nano secondo le sue dita sfiorarono la mia spalla con l’intento di rovinarmi la vita ancora un po’, ma io non ci vidi più. Quella non era una diciannovenne normale che si ubriacava la sera con i suoi amici vestita in modo un po’ appariscente, no. Quella era mia sorella, puttana e schifosa che ha abbandonato mio nipote, purtroppo suo figlio perché ossessionata da un fottuto uomo che la picchiava e maltrattava. Io vedevo solo un rifiuto umano fare sceneggiate ridicole.
Il mio braccio colpì violentemente il suo, allontanandolo il più possibile da me. «Toglimi quelle mani di dosso.» Riuscii a dire con un tono così monotono e piatto che mi stupii io stessa di avere questa freddezza in me. Sentivo che i miei occhi trasmettevano bene il messaggio, lo vidi; la paura e la confusione di L mentre osservava la scena in silenzio da dietro mia sorella. Fremevo di rabbia, di disprezzo e i miei occhi erano probabilmente quelli di un assassino, le mie gesta erano quelle di una persona controllata e dosata. Finalmente il verme si allontanò sorpresa della mia reazione, io ripresi la giacca di L e uscendo dalla porta un uomo, probabilmente uno dei suoi uomini mi spintonò incitandomi ad abbandonare il locale.
Voletti morire, ovvio. Ma ero insieme a L. Così uscendo sorrisi e finsi una fragorosa risata. «Hai visto? Te l’ho detto che mia sorella è pazza.» e risi di nuovo. Volevo piangere, urlare, vomitare, picchiare e punirmi affondando una lama nella mia pelle già marchiata. Risi forte finché non rise anche lui. Dissi qualcosa per distrarlo e risposi alle sue domande con leggerezza e ironia, in modo che pensasse che non fosse niente di che. Gli dissi che era divertente e che era strana, mi stava sul cazzo e niente di più. In realtà, lei è il mostro che mi ha fatto affezionare all’essere che portava in grembo mentre lei era occupata a autodistruggersi per un uomo che non le dava il giusto rispetto. Lei stessa non si rispettava. Poi mi tolse la speranza che avevo di vita. La fece allontanare e se ne sbattè.
Non gli dissi che volevo morire. Non gli dissi che non avevo neanche la forza per piangere ed ecco perché ridere mi venne ancora più facile. Non gli dissi che avevo bisogno di un abbraccio. Non gli dissi che mi odio per il fatto di essere un tale schifo quanto lei.
Non glielo dissi, sorrisi e camminai saltellante come sempre.
Ma non era da un piede all’altro che volevo saltare, bensì da un’elevata altura e schiantarmi al suolo privandomi della vita.
#:(#my text#my thoughts#suicide#mi odio#oggi#racconto#schifo#voglio morire#mi faccio pena#puttanella#sfogo personale#dollface#brokenpeople
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Incipit
È un fatto importante, ancorché comunemente noto, che le apparenze molto spesso ingannano. Chi l’aveva detto? Bho? Proprio non se lo ricordava, ma non aveva importanza, lei ci credeva alle apparenze, bastava solo stare un po’ attenta, essere prudenti e non esporsi troppo. Anche quando usciva cercava di essere il più possibile curata, che diamine, mica poteva andare in giro come una stracciona!
Aveva conosciuto quello che era poi diventato suo marito ad una festa quando ancora frequentava l’università, un bel ragazzo, uno che prometteva bene, studi in legge, sportivo quel tanto che basta a tenersi in forma senza essere fanatico della palestra o di attività che procuravano troppo sudore.
Il sudore puzza, diceva sempre! E lui non voleva puzzare, ma profumare, come del resto lei che amava bagni con sali da bagno che lasciavano una fragranza discreta sulla pelle, nulla di troppo violento o aggressivo.
Si erano subito trovati in sintonia, avevano costruito la loro vita di coppia con pazienza e perseveranza, mai troppo in vista, ma nemmeno troppo in disparte. Lui orfano dei genitori era stato cresciuto da un vecchio prozio che aveva pensato bene di tirare il calzino al momento giusto, lei non aveva più rapporti con la sua famiglia di origine che risiedeva in un’altra regione, padre e madre modesti e fortunatamente molto discreti. Si erano costruiti una reputazione impeccabile, tanti conoscenti, quelli che contano, pochi amici, quelli utili.
Ora vivevano nel lusso, se lo potevano permettere, ma niente di troppo appariscente. Lei possedeva bei gioielli ma i più erano custoditi nella cassetta di sicurezza in banca, ogni tanto andava a guardarseli e li sfoggiava solo in occasioni particolarissime, quando sapeva per certo che non c’erano giornalisti nei paraggi.
Il loro lusso era nella bella casa, nei quadri appesi alle pareti, di artisti non troppo famosi, ma di valore, negli abiti di marca o di sartoria sia per lei che per lui. Solo nelle vacanze si lasciavano andare a viaggi che pochi potevano permettersi.
Lui aveva un bell’ufficio di consulenza in un palazzo del centro, ma non troppo in vista. Ingresso discreto, senza portiere, perché si sa i portieri sono sempre dei gran ficcanaso.
Che consulenze facesse lo sapeva solo lui, lei e i pochi e scelti clienti che arrivavano dopo una selezione severa. Niente di palesemente illegale, ci tenevano troppo a non mettere a rischio la loro reputazione, ma affari al limite della legalità, compravendita di titoli e immobili, e soprattutto facevano da tramite con chi voleva essere messo in contatto con persone che era difficile incontrare. Poi facessero quello che volevano, non era più affar loro. Difendevano strenuamente la privacy dei loro clienti. Nell’ufficio non c’era uno schedario, non un indirizzario, e la posta rigorosamente cartacea veniva distrutta una volta letta. La segretaria era una vecchia signora, che pensava ai fatti suoi e rispondeva al telefono immancabilmente con un: Pronto? e chiudeva con un: Riferirò che ha chiamato. Ma le telefonate non erano poi molte, i contatti si tenevano in altro modo.
Si, per mantenere le apparenze c’era qualche progetto da seguire, ma tutta roba super pulita e legale, di basso profilo. La finanza non avrebbe trovato un bel niente nel loro ufficio.
Erano la tipica coppia che apparentemente apparteneva alla borghesia agiata, ma la realtà era tutt’altra cosa. E sì, è vero a volte le apparenze ingannano, ma a lei cosa importava.le bastava essere chi voleva apparire.
Fino a che, un giorno…
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LA STORIA DEL CAPITANO
Degli amici Olandesi mi avevano chiesto se gli trovavo una casa per le vacanze da affittare vicino Taormina. Non essendoci agenzie immobiliari nel paesino sul mare dove passavamo le ferie, su consiglio della Moglie, chiesi al signor Nino, il nostro vicino d’ombrellone a chi potevo rivolgermi. Con mia grande sorpresa lui mi rispose che il più grande agente immobiliare locale era il Capitano, l’uomo che leggeva sotto l’ombrellone (vedi Post precedenti).”Da quando è andato in pensione per il suo problema al cuore – mi spiego - ha investito la sua buon uscita in case e appartamenti, ed è sempre riuscito a tenerli occupati, così che ora tutti qui al paese gli affidano o le stanze o le case per occuparle d’estate”. Andai quindi dal Capitano e dopo i soliti convenevoli, seduto sulla sabbia accanto al suo ombrellone, gli spiegai il mio problema. Lui ascoltò con la faccia un po’ scocciata per aver interrotto la sua lettura e ostentava mentre parlavo il libro che leggeva “Il Maestro e Margherita” di Bugalkov, tenendo bene in evidenza con un dito tra le pagine, il punto del racconto a cui era arrivato. Mi rispose velocemente che avrebbe cercato e mi avrebbe fatto sapere riaprendo il libro per considerare finita la discussione. Capii subito che la cosa non gli interessava e che fra qualche giorno mi avrebbe detto che non c’era nulla da fare. Come sempre succede in Sicilia dovevo coinvolgerlo sul piano personale se no non avrebbe preso a cuore la cosa, e l’unico piano su cui potevo coinvolgerlo era la lettura che stava facendo. “Ma le piace veramente?” gli chiesi indicando il libro. “No. – mi rispose con una certa esitazione – non lo capisco molto, non so dove l’autore vuole arrivare, più di una volta u stava pi ittari a mari…”. “La capisco, vede l’autore non poteva parlare direttamente, per questo spesso quello che vuole dire lo deve nascondere….” “Lei lo ha letto…?.- e quando glielo confermai con la testa continuò – ma allura, mi spiegassi stu Woland cu minchia è…” Incominciammo a parlare e gli spiegai da dove il libro nasceva e le storie che conteneva” Da li, passammo ad altri libri con il Capitano che iniziava chiedendo “ma pi caso lei ha letto … e diceva un titolo e appena rispondevo affermativamente lui incominciava a chiedere perché quel personaggio, perché quella storia e finiva sempre che cercavo di spiegargli il perché quel determinato libro era importante. Ad un certo punto arrivò il signor Nino che avvicinandosi ci chiese “Vi vedo parlare fittu fittu: o parlate di calcio, o di donne o di schiticchi (mangiate)….” “Parliamo di libri – rispose il Capitano – cose che tu neanche sai cosa sono: finalmente ho capito quello che ho letto……” Capii che i miei amici Olandesi avrebbero avuto la casa che cercavano.
Così ogni mattina, appena scendevo in spiaggia, passavo mezzora od un’ora a parlare con il Capitano sul libro del momento, o su un probabile libro che avrebbe voluto leggere. Un giorno scendendo a mare non vidi il Capitano al suo solito posto sotto l’ombrellone che leggeva. Lo stesso capitò per il resto della settimana. Quando chiesi al signor Nino lui rispose che doveva avere qualche problema perché lo vedeva venire presto ed andarsene presto o camminare il pomeriggio lungo la spiaggia senza dare retta a nessuno. Qualche tempo dopo, andando al piccolo stabilimento balneare vicino al posto dove mettevamo il nostro ombrellone, lo vidi seduto in un angolo all’ombra, con il solito libro ma questa volta chiuso e posto davanti a lui quasi non gli appartenesse. Lo salutai da lontano perché non volevo disturbarlo ma lui mi fece segno di avvicinarmi. Mi sedetti salutandolo e gli chiesi come andava. Lui non rispose ma principiò tutto un discorso il cui inizio mi lasciò la sensazione che volesse dirmi qualcosa senza però dire troppo. “Vede, ultimamente sono stato preso da alcuni fatti che mi sono capitati…. però lei è uno che ha letto…. che conosce…. soprattutto l’animo umano, ….per cui ecco volevo chiederle, se ha cinque minuti, un consiglio, ….su un argomento delicato….” si fermò un secondo come a cercare le idee ed il coraggio di dirle. Vidi che osservava il libro ed il volto si illuminò di un sorriso. “Sto scrivendo un libro….- esclamò guardandomi felice dell’idea che gli era venuta - lei ne ha letti tanti, e sicuramente potrà darmi un opinione, un idea, perché sono arrivato ad un punto morto.” Ora era contento, sembrava che l’esordio lo stava soddisfacendo. “Ecco è un libro che parla di una persona di una certa età, quale potrebbe essere la mia, e che un giorno riceve il messaggio da una sua vecchia conoscente di cui tanti anni fa era forse innamorato…” “Mi scusi, ai fini del racconto, della storia, come fa a ricevere questo messaggio” “Ecco lui ha un sito su cui mette….delle case in affitto, facciamo per dire , non ho ancora deciso, ma potrebbe essere cosi: lui ha un sito dove mette le case in affitto e su cui la sua email appare come nome e cognome così che questa persona, questa sua conoscente, mentre cercava di capire il prezzo di una casa che vuole vendere, vedendo il suo nome si ricorda di lui! Gli invia così un messaggio chiedendo se fosse lui quel ragazzo che anni prima….. e così via” “Quindi è lei che fa la prima mossa” “Si, si! è proprio lei!” “Mi scusi, solo ai fini della storia, da quanto non si incontravano?” “Da più di trenta anni! ognuno dei due ha avuto la sua vita, la sua famiglia che poi per un motivo o per un altro sono finite; a lui è morta la moglie, lei si è separata e ora sono liberi” Si fermò un secondo “Lei adesso si chiederà perché lei l’ha contattato” “Sempre ai fini della storia – gli confermai – penso sia un punto importante del libro” “Si è vero – disse il Capitano a se stesso – è un punto importante!” si fermò a pensare.
“Vede, anni prima, lui era andato a Taormina con la sua fidanzata, era un periodo in cui c’erano delle incomprensioni e volevano risolverle, discutendole da soli. In pizzeria però i problemi rimangono e ad un certo punto, lei si alza e se ne va. Lui resta al tavolo serio e corrucciato. A questo punto la cameriera viene e gli offre un limoncello “Ti vedo troppo triste, prendi questo, così ti tiri su!” “c’è poco da tirare su…” “Perché qual è il problema? tanto se vi volete bene lei tornerà…” “Non è il volersi bene il problema! Il problema è che voi donne siete completamente irrazionali” le dice, “ le donne non si capiscono, si accettano per quelle che sono – risponde la cameriera – per quello che hanno dentro e per quello che danno.” “ma devono seguire una logica in quello che fanno” lei alza le spalle “ lo vedi che ragioni come il mio fidanzato: da uomo!! se tu l’ami sai che tutto quello che ti da le nasce dentro; è un mare con mille correnti, è inutile che cerchi di domare la corrente volendo trovare la formula che te la spieghi. Tu non hai le sue paure, i suoi desideri i suoi sogni e finché non li accetti, non li comprendi e se non comprendi quello che lei ha dentro, da dove nasce il suo modo di essere e di fare, non riuscirai mai a comunicare con lei: starete dentro il vostro castello ognuno a sparare sull’altro pensando di avere sempre ragione….” I due incominciano a parlare perché ormai la pizzeria sta chiudendo e continuano fuori con lui che cerca la quadratura del cerchio e lei che gli spiega che non si può fare la radice quadrata di un silenzio. Vanno avanti per un bel po’ poi si salutano certi di non incontrarsi più. Qualche giorno dopo però si rivedono di nuovo sul viale a Taormina. Lei sta aspettando di iniziare a lavorare, lui deve andare all’ospedale a portare qualcosa a un suo parente. Rincominciano da dove si erano lasciati perché nel frattempo lui ha pensato alle cose che lei ha detto e vuole controbattere, vuole dire ancora la sua. Insomma per qualche giorno si continuano ad incontrare, ma solo per parlare, lei non è una bellezza appariscente, è una ragazza normale, semplice, carina, allegra e ironica, il suo argomento preferito è la cerimonia del suo matrimonio programmato per il Luglio successivo. Quando ne parla le brillano gli occhi e lui diventa presto invidioso del suo fidanzato. Con lei si sente sereno e in fondo le piace; anche se ha più di venticinque anni, ha quella sensualità involontaria, innocente e bruciante che hanno le ragazze giovanissime e che lui, tra un discorso e l’altro, incominciava a notare.
“Ma lui la desidera? se lui la desidera allora la loro amicizia non è più amicizia!” “Ecco questo è il punto. I primi tempi lui stava bene con lei, era contento che lei fosse lì ad ascoltarlo. Poi ecco si, gli nasce un certo desiderio, sa quel desiderio che è quasi una curiosità? ‘Chissà come bacia…’, ‘Chissà come è fatta qua e là’… queste cose che ad ogni maschio vengono in mente….” “Certo, ma poi si baciano…?” Il Capitano si agitò sulla sedia come se questo punto fosse diventato il più importante della storia. “Ecco arriviamo al punto; ad un certo punto lui la desidera, la vuole insomma e decide che quella sera l’avrebbe aspettata a fine turno e glielo avrebbe detto e forse l’avrebbe anche baciata…invece….” “invece” lo sollecito nell’istante di esitazione che lo aveva fermato “Lui arriva di fronte al ristorante ed aspetta fuori sulla piazza in un angolo lontano, per non farsi vedere. Quando lei sta per uscire, e lui le sta per andarle incontro per salutarla, qualcuno che l’aspetta appena fuori la porta esce dal buio e l’abbraccia, la bacia e lui capisce che quello è il suo fidanzato. Allora si ferma, resta dove è, e non si muove. “Lei si sta per sposare e io vado li a rompere i cosiddetti! non è giusto” pensa e li vede allontanarsi. Vede, lui, il protagonista, non cercava un’avventura. La crisi con la sua ragazza gli aveva fatto capire che forse lei non era la donna perfetta che cercava e lo stare bene con la cameriera gli era sembrata una opportunità, ma non aveva pensato al prezzo di questa alternativa, a lei che era prossima a sposarsi, a legarsi per sempre con il suo ragazzo di cui non si era mai lamentata. Lui, il mio personaggio, non è uno che va dietro alle femmine, vuole qualcosa di stabile, ed anche lei gli parlava del suo matrimonio aspettandolo e desiderandolo, pensandolo una nuova vita. Questo frena il personaggio, pensa che da parte di lei non ci sia nessun interesse e tutto quello che stava facendo era un suo colpo di testa, dettato solo da un momento di incomprensione con la sua fidanzata. Io non ho mai creduto ai colpi di fulmine e neanche il mio personaggio ci crede. Per questo, l’unica cosa giusta che pensa di dover fare è andarsene.
Dopo quel giorno lui non torna più a Taormina, riprende a parlare con la fidanzata e mette da parte quella storia” “ la mette da parte veramente?” “Si, anche se, di tanto in tanto qualche ricordo gli torna, qualche domanda tipo “Cosa sarebbe successo se….”, “come sarebbe la mia vita se….” ma questo solo quando quello che desidererebbe avere non coincide con quello che ha e allora gli sembra quasi di voler scappare nei ricordi, nelle vite alternative che avrebbe voluto o potuto avere”. “E lei..?” “Ecco, questo è un altro punto importante: quando finalmente si incontrano di nuovo, lei ripete le stesse cose! Anche lei ad un certo punto quel parlare così, semplicemente, ma intensamente e profondamente l’aveva colpita. Le era piaciuto, era qualcosa che con il fidanzato non faceva. Per questo anche lei in molti momenti della sua vita si è chiesta: e se mi fossi messa con lui e avessi sposato lui? E lei ci ha pensato di più di lui perché è stata più sfortunata: ha avuto un aborto, il marito l’ha tradita e lei ha divorziato, ha avuto un tumore che per alcuni anni l’ha tenuta tra la vita e la morte, per questo lei quando ha visto il suo nome l’ha cercato, perché alla fine vuole cambiare la sua vita e lui, che è uno dei ricordi più belli che ha, le appare come un possibile nuovo punto di inizio. Un tornare indietro in un momento felice con qualcuno che la capiva e le era vicino!” “Lui allora, dico il personaggio, deve decidere cosa fare! mi sembra una bella trama alla fine”, “No ecco – fece il Capitano sorridendo - io o meglio il destino vorrebbe un po’ complicarla questa trama perché lei lo informa che ha venduto tutto quello che aveva e che vorrebbe trasferirsi in Portogallo, in un posto che costa poco e che è soprattutto lontano da tutti e da tutto il suo passato” “E lui….?” “Lui…… non lo so, non ho ancora deciso…… cosa far fare a lui. Da una parte è qualcosa che lo attira, ricominciare con qualcuno, malgrado l’età, tornare ad essere attivo, a riprendere una storia che era iniziata bene e che si era dovuta interrompere forse per inutili convenzioni, per la particolarità della situazione. Insomma, lei lo sa come è a mare, a volte si procede a zig zag spinti ora dal vento ora dalle correnti, non si riesce a fare il cammino che si vorrebbe, tutto dritto e lineare. Invece ora si potrebbe continuare dritti, insieme, senza dover dar retta a questo o a quel motivo ed essere forzati a muoversi da questa o a quella situazione. Ma il salto, è troppo alto e non so come fare …. come fare…..a far finire il libro……” fece il Capitano disorientato, poi mi guardo “ lei come lo farebbe finire….”
“ Beh è una bella trama – esordii prendendo tempo per pensare – se scritto nel modo giusto potrebbe essere qualcosa di molto bello. C’è tutto: l’amore di due persone, il destino, la decisione finale. Manca forse un antagonista, ma potrebbe essere il destino, o un antagonista interiore come il non voler credere in quanto si prova, nel non seguire il proprio istinto, il non voler dare importanza ad un sentimento che potrebbe nascere. Però vede, bisogna rispettare i personaggi, voglio dire, non bisogna mai inventare una trama in cui si forzano le personalità dei personaggi per come sono stati creati. Lei, la ragazza, la capisco, l’ha creata in modo perfetto: è una donna che vuole rincominciare per dimenticare le offese che la vita le ha dato. Ma lui, ecco lui non l’ho focalizzato bene. Dare retta alla richiesta di lei vorrebbe dire due cose: o che lui è insoddisfatto della sua situazione del momento e che quindi la segue per gli stessi motivi che lei dice di avere: ricostruire una vita altrove, più che per interesse verso di lei o perché è un sentimento che lo spinge a seguirla…oppure” qui mi fermai a valutare bene quanto stavo per dire “…oppure?” sollecitò il Capitano “oppure lui alla fine sa già che potrebbe amarla e che dovrebbe seguirla, ma come fa a saperlo con certezza, ora che per lui l’amore non è più un illusione ma un ricordo, inoltre non la conosce e bisognerebbe prima frequentarsi prima di decidere. E’ questo quello che lo disorienta, che frena la sua decisione: vuole certezze a cui lei non pensa. Vede, lui fa lo stesso errore di quando la sua fidanzata l’ha lasciato in pizzeria: da uomo vuole una certezza razionale, un motivo, un piano sul lungo termine. Lei non ha bisogno di tutto questo. Sa che se lui la seguirà sarà solo perché l’avrà accettata per come è e così facendo avrà già incominciato ad amarla. A lei basta questo. Si, poi c’è anche il fattore età: lui anziano, potrebbe mai fare questo colpo di testa tipico di un ragazzo, di una persona giovane che ha abbastanza forza da tornare indietro nel caso la sua decisione si rivelasse sbagliata? ma questo ha anche un altro aspetto perché vede è vecchio chi rimpiange qualcosa che non può avere più e mai chi lotta per raggiungere quanto desidera: per questo gli innamorati non invecchiano mai” Lui mi guardava in silenzio, quasi pesando ogni mia parola “E’ questo che deve chiarire nel romanzo: lui cosa vuole? la ama ancora tanto da lasciare da parte la ricerca delle certezze ed accettarla semplicemente? saprebbe ancora amare? o meglio, saprebbe ancora credere nell’amore? L’amore non giustifica tutto, ma è la corrente che allontana ognuno di noi dagli scogli del nulla, siamo noi che dobbiamo decidere se credere in lui e lasciarci trasportare o remare per tutta la vita controcorrente restando, alla fine, sempre dove siamo” e lo guardai negli occhi, in attesa di una risposta. Quella definitiva.
L’altoparlante del locale cantava Senza Fine, mentre dalla spiaggia arrivavano smorzate le voci e le urla dei bambini che si tuffavano a mare, a cui rispondeva il rumore incessante delle macchine che passavano a velocità sul lungomare che costeggiava la spiaggia. Il mondo continuava la sua corsa incurante del Capitano e del suo libro in cui si specchiava la sua vita.
“Si – disse improvvisamente il Capitano - credo di si!, saprebbe ancora credere nell’amore! non all’amore dei ragazzi che non conoscono il mondo e vedono l’amore come una fiaba, non a quello del giovane che si pensa il padrone del mondo e per cui l’amore è solo una medaglia da mostrare, ma, come ha detto lei, crede nell’amore di chi conosce e ha capito, che non c’è altro che vale quanto avere qualcuno con cui puoi vivere sereno e che ti accetta per quello che sei. Ora ho capito: lui la seguirà perché ha la consapevolezza che si, ha vissuto, ma mai abbastanza, che ha sbagliato, ma mai abbastanza, che ha avuto, ma mai abbastanza, che ha dato, ma mai abbastanza e che ora si potrebbe mettere tutto a posto, far tornare la bilancia all’equilibrio. Ha la consapevolezza di poter vivere di nuovo, di non essere arenato su una spiaggia, ma ancora in mare a decidere la propria sorte e a seguire il proprio cuore come fa chi non conosce o non crede agli inganni del mondo. Si, penso che lui la seguirà: è una mania dei vecchi, voler mettere tutto a posto prima dell’ultimo giorno. Per questo lei l’ha chiamato, per questo lui andrà, e se poi non sarà come pensano, non avranno rimpianti, non avranno lasciato niente indietro da rimpiangere, non è questo in fondo quello che tutto vorremmo avere alla fine della nostra vita: non avere nulla da rimpiangere? non aver lasciato dei vuoti nella propria vita che non si è saputo o voluto riempire” mi guardò, sereno, felice. Aveva deciso il finale del suo libro. “Sarà un bel romanzo” gli dissi sorridendo. “Il più grande della mia vita!” mi rispose sorridendo.
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🥀📸 — 𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄 𝐥𝐚𝐮𝐫𝐞𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐞𝐬𝐭 & 𝐝𝐲𝐥𝐚𝐧 𝐣𝐨𝐧𝐚𝐬 ❪ ↷↷ mini role ❫ beyond the lake 31.10.2020 — #ravenfirerpg #ravenfireevent #spookyravenfire
Partecipare a quel tipo di eventi non era mai una scelta volontaria per la piccola di casa Seered, la cui volontà era quella di rimanere sempre il più defilato possibile. Amava la tranquillità ed attirare l'attenzione su di sé era un qualcosa che lasciava ben volentieri agli altri componenti della famiglia. Era cresciuta con la convinzione che fosse cosa buona e giusta rimanere un passo indietro e tutto sommato ora che aveva finalmente compreso come stessero le cose, non poteva dire di non essere stata fortunata. Tuttavia la festa di Halloween era una sorta di tradizione a Ravenfire, e come avrebbe potuto non essere così in una cittadina dove il soprannaturale dilagava? Per l'occasione la veggente aveva scelto un abito decisamente fuori dai suoi schemi, fin troppo appariscente per i suoi gusti ma era il trucco elaborato che l'aveva spinta ad accettare di uscire. Era quasi impossibile riconoscerla. All'interno la fontana verde sembrava padroneggiare tutto l'ambiente, ma fu quando vide i drink e gli stuzzichini a tema che la veggente non poté non ridacchiare tra sé e sé. Intravide poi una testata di capelli rossi e con il sorriso di chi la sapeva lunga, ella s'avvicinò al fratello.
« Ed io che ti facevo chiuso in casa a strimpellare la tua chitarra... Non ti facevo da festa di Halloween, e da cosa saresti vestito? »
Dylan Jonas Seered
Dylan amava andare alle feste, si fiondava sempre con grandissimo entusiasmo. Si soffermava spesso a parlare con tantissime persone, alcune delle quali ben note da anni. È una delle caratteristiche primarie delle piccole cittadine, soprattutto quando possiedi un cognome come il suo, è quasi impossibile essere invisibile. Il fatto è che lui non amava molto stare al centro dell' attenzione, anche se spesso e volentieri finiva per doverlo essere. Si impegnava molto all'interno del consiglio, insieme alle sue sorelle, aiutavano Ashley con la gestione. Per lui loro erano tutto, e da bravo fratello, si assicurava sempre che stessero bene, oltre ad appoggiarle sempre nelle loro scelte. Quella sera aveva optato per qualcosa di scontato e semplice, non aveva avuto il tempo di fare una scelta accurata visto i suoi numerosi impegni col tirocinio e le varie associazioni di volontariato di cui ormai fa parte da tempo. Metteva sempre a primo posto gli altri e poi sé stesso, in tutto. Un pregio per lui, ma forse anche un difetto di cui a lungo andare ne avrebbe preso coscienza. « Un demone rosso... Lo so, banale e scontato, ma non ho avuto tempo per trovare qualcosa di originale. Invece tu sei davvero incantevole sorellina... Sei venuta da sola o hai qualche accompagnatore? » Sorrise, curioso di sapere con chi fosse venuta Laurel. Dylan aveva un'occhio di riguardo per sua sorella minore, un senso di protezione giusto, senza ostacolarla o essere pressante. D'altronde, la riteneva abbastanza responsabile. Anche se ovviamente, fare qualche indagine e chiederle qualcosa, non gli sembrò una cattiva idea. Almeno, per titolo informativo/curiosità da fratello maggiore.
Laurel Tempest A. Seered
Il sorriso che era comparso sulle labbra della veggente la faceva assomigliare a qualcosa di malvagio con tutto quel trucco sul viso, ma era felice di aver intravisto un volto conosciuto tra tutte quelle persone presenti. Non era mai stato un tipo mondano, spesso lasciava che l'attenzione fosse focalizzata sugli altri memebri della famiglia, ma per quella sera aveva voluto osare con quell'abbigliamento. Ridacchiò successivamente alle parole del fratello prima di dover scuotere il capo. Era impossibile che Dylan non fosse protettivo con lei e le sue sorelle, e in qualche modo l'aveva sempre accettato, eppure sapeva il bisogno di avere le redini in mano era fin troppo importante per lui. « Sola, soletta... Non dirmi che avresti voluto fare la parte del fratello maggiore e fare il discorsetto che si fa... Faresti scappare a gambe levate anche i più temerari, sai? » Domandò retoricamente la giovane Seered prima di ridacchiare divertita. Non aveva mai preso in seria considerazione i ragazzi, certo alcuni le piacevano, altri s'erano perfino avvicinati solamente per il nome che portava ma mai nessuno era riuscito a colpire Laurel. « Incantevole per uno scheletro... Ma almeno con questo trucco sono poco riconoscibile. E tu, piuttosto? Solo o hai qualche ammiratrice segreta di cui non abbiamo ancora avuto notizie? »
Dylan Jonas Seered
Dylan ridacchiò sonoramente alle prime battute scambiate con la minore di casa Seered. Non erano ancora arrivati a quei discorsi, ma forse era anche stato abbastanza "sgamabile" visto il suo senso di protezione forse anche troppo invadente per certi versi. Ovviamente pensava che anche Laurel dovesse avere le sue esperienze e di certo lui non l'avrebbe intralciata con una sorta di gelosia fraterna possessiva, però darle tre o quattro suggerimenti non guastava e nemmeno avere qualche occhio di riguardo, solo in evenienze estreme e rischiose. Ma non era di certo quello il caso, anche se gli piaceva scherzarci sopra. « Certo... Da bravo fratello maggiore mi tocca minacciare il tuo pretendente, farlo sentire inadeguato e guardarlo malamente anche. » Fece un'espressione seria, uno sguardo in cagnesco super finto, che poi si sciolse in un sorriso sereno e tranquillo. « Per tua fortuna non sono papà, lo sai voglio che tu ti diverta e stia attenta. Ma ti conosco, sai badare a te stessa perché sei giudiziosa e arguta. È quello che mi piace di te sorellina... Comunque no, nessuna ammiratrice. Non ho il tempo di conoscere nessuna. »
Laurel Tempest A. Seered
Essere protettivi per Dylan era all'ordine del giorno, con ognuna delle proprie sorelle, ma con Laurel sembravano che tutti, in qualche modo, facessero a gara per darle il loro supporto. Eppure non sempre era stato così in passato. Sapeva che essere l'ultima arrivata non significava automaticamente essere la cocca di casa, e la situazione a casa Sssered lo dimostrava a tutti gli effetti, ma in fondo le piaceva il fatto che Dylan e gli altri le riservassero quelle attenzioni, nonostante non lo volesse ammettere. Si limitò tuttavia a scuotere il capo quando lo ascoltò parlare. « Credo che arrivata a questa età possa prendere le mie decisioni in fatto di ragazzi... Non credi? » Domandò quasi retoricamente mentre osservava quel luogo diventare sempre più gremito di persone. Non era mai stata una ragazza facile, le piacevano i ragazzi come a tutte ma non lo cercava ecco. Aveva così tante cose per la mente che il sol pensiero di avere anche un ragazzo le faceva storcere il naso. Solo quando lo sentì proseguire, Laurel non poté non regalargli un sorriso prima di appoggiarsi con il capo contro la sua spalla. « Non pensavo di poterti sentir dire queste cose, ma è bello... Grazie fratellone. Sai, a volte credo che noi Seered non siamo fatti per le relazioni, non che ne voglia una sia chiaro, ma è una cosa su cui ogni tanto rifletto... »
Dylan Jonas Seered
« Credo che tu sia sufficientemente saggia per prendere qualunque tipo di decisione. Ma comprendi bene che come fratello, ho sicuramente l'istinto di volerti vedere sempre felice e tranquilla. Penso si chiami istinto di protezione familiare o qualcosa simile... » Fece spallucce, non aveva altro da aggiungere se non la verità. Tale verità, lo spingeva talvolta ad essere forse troppo soffocante, o se non soffocante, probabilmente troppo apprensivo. Il triste fatto era che doveva iniziare ad accettare la dura realtà dei fatti: sua sorella era cresciuta. Non era più la piccola di casa, quella piccola da proteggere a tutti i costi, ma ormai era una donna adulta ed aveva senso che la troppa apprensione di Dylan su di lei le stesse stretta. « Penso che siamo cresciuti in una famiglia dove l'amore non esiste quasi, se non per scopi di convenienza. Ma questo non significa che dobbiamo continuare questa "catena". Penso che dobbiamo e possiamo scegliere chi siamo sorellina.» Si avvicinò ad essa e la abbracciò forte. « Scegli di essere te stessa, non in base al cognome che porti. » Le fece l'occhiolino ed il suo sguardo vagò altrove. « Non voglio trattenerti ancora, o davvero sembrerò pensante. Ci vediamo a casa, divertiti e... Stai attenta.» Si morse il labbro, non poteva fare a mare di fare una tale raccomandazione; ma probabilmente questo suo forte senso paterno sarebbe affievolito.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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Soirée in the Canary Hall
Epilogo 3
Luogo: Canary Hall
Leo: (Ahaha, Rittsu e Naru... sembrano tutti e due così felici! Da questo momento in poi, le nostre canzoni saranno sempre più gioiose. È molto meglio cantare per il pubblico con un viso sorridente, che non con aria malinconica.)
Izumi: Hmm? ….~♪ Ou-sama, hai modificato un po' questo fraseggio?
Leo: Sì. Così mi sembrava meglio, ma tu che cosa ne pensi?
Izumi: Mi piaceva abbastanza già l'originale, ma questa melodia dolce non è terribile.
Leo: Se pensi che non sia male, perché non lo dici direttamente? Ah, ma dopotutto, “non è terribile” vuole praticamente dire “mi piace” nella lingua di Sena.
...Come dicevo prima, volevo proprio creare qualcosa di solenne e maestoso, ma visto che l'originale era così cupa, avrei praticamente dovuto riscriverla per cambiare così tanto il tono~
Sena, ti piace la canzone per come è ora?
Izumi: Come mai lo chiedi a me? ...Oh, è perché ero così contrario alla nuova canzone su cui stavi lavorando?
Mi sa che in quel momento ero io che stavo facendo il bambino, visto che ti dicevo di non fare l'egoista quando allo stesso tempo volevo solo cantare una canzone che sentissi come giusta io personalmente.
...Non è che sia un grande segreto o qualcosa del genere, però sai, quando ero piccolo facevo danza classica. Ma la verità è che non era qualcosa a cui fossi interessato io- era solo che i miei genitori volevano che lo facessi. ...la odiavo; gli allenamenti erano infiniti e avevo continuamente male ai piedi.
Ma già allora ero testardo e competitivo, perciò, anche dopo che tutti gli altri erano tornati a casa, io restavo e continuavo ad allenarmi per diventare il migliore della classe.
In quel modo avevo la possibilità di dimostrare le mie abilità- anche se la cosa per cui mi stavo impegnando tanto era un semplice saggio.
Ma quella è stata anche la prima volta che mi sono esibito di fronte ad un pubblico. Facevo il modello bambino, perciò avrei dovuto essere abituato a stare al centro dell'attenzione, ma per qualche motivo ho sentito come se tutti gli occhi fossero puntati su di me, e ho iniziato a tremare.
Però, il ragazzino che era andato prima di me aveva ricevuto tantissimi complimenti, ed è stato quello a darmi coraggio. Sono riuscito a ricompormi, e a ballare con grazia.
...e appena ho iniziato a danzare, non ho più sentito altro che applausi fragorosi. Ho dimenticato tutto il resto- il dolore, la fatica- e ho soltanto inseguito quelle lodi.
Mi rendeva felice che tutto l'impegno che ci avevo messo non fosse andato sprecato. Anzi, stavo anche iniziando a divertirmi.
Dopo quella volta, ho fatto tantissimi altri saggi e ho ricevuto ancora più applausi. Ma proprio qui, in questo edificio... è stato qui la prima volta che ho provato quella sensazione.
È per questo che ero così sentimentale per questa esibizione. È per questo che ti ho detto che questa volta non volevo una canzone appariscente o esuberante.
Probabilmente adesso è troppo tardi per dirtelo, ma non è che pensassi che la canzone che stavi scrivendo fosse pessima, né niente del genere.
Se un giorno ne avremo l'occasione, mi piacerebbe davvero cantarla... Ma forse non ha molto significato che io lo dica adesso.
Leo: È tutto a posto, davvero. Anche a me piace quella canzone, perciò sono contento di sentirtelo dire. Cioè, inizialmente l'avevo scritta pensando a questo posto, ma la posso sempre arrangiare per qualcos'altro.
...Whoops, dobbiamo interromperci; è tempo di entrare in scena. Whahah, i Knights sono arrivati!
♪~♪~♪~
Izumi: (Lui è diverso ora... Sta veramente salendo sul palco tutto da solo, volontariamente. Immagino di dover salire anch'io. ...Fufu, che nostalgia, trovarmi di nuovo di fronte a così tante persone.
Be', però questa volta è per un'esibizione come idol, e non più danza classica.
Ho sempre pensato che se fossi tornato qui, sarebbe stato per via della danza, ma ho comunque intenzione di fare in modo che il pubblico sorrida.
È questa una delle ragioni per cui ho continuato a danzare, ed è la stessa ragione per cui ora sono un idol. Ricevere elogi e complimenti è fantastico, ma per me la ricompensa più grande è sapere di aver reso felice il pubblico.
...Chissà, forse era destino che tornassi qui come idol, per poter provare di nuovo questo sentimento? O forse è perché dovevo riscoprire questa canzone- la canzone che, originariamente, era stata cantata solo da quattro persone?)
Izumi: (Forse è stato un intervento divino a portarci tutti e cinque in questo posto, per condurre i Knights verso il futuro. Con questa canzone che Ou-sama ha arrangiato, continueremo a proseguire sempre in avanti!)
♪~♪~♪~
Leo: (Phew... adesso è il turno di Sena, perciò posso rilassarmi un attimo~ Comunque, non mi sarei mai aspettato di arrangiare in questo modo una delle mie vecchie canzoni.
Ma fare una cosa simile... mi ha riportato al passato. Non mi piace ricordare quel periodo- mi dà un nodo alla gola e mi chiude lo stomaco, e non riesco ad evitarlo.
È stato un po'... no, non ha senso addolcire la realtà- è stato davvero doloroso. Se fosse capitato al me stesso di quel periodo, del tempo in cui sono scappato dalla Yumenosaki, sarei scappato di nuovo e basta.
...Ma adesso, posso affrontare questo genere di cose senza desiderare di correre via.
Dopotutto, la storia del canarino non finisce dopo che viene frustato e abbandonato. Sale su una barca, e rema verso l'oceano illuminato dalla luna... e laggiù, ritrova la sua voce. Vogando con un remo d'argento scintillante, canta nella notte con voce bellissima.
I miei Knights sono la mia barca. I miei amici sono i miei remi. Poiché ci sono loro, non resterò spaventato per sempre. Remando avanti in questo oceano illuminato dalla luna, possiamo andare ovunque- anche oltre l'orizzonte.
Grazie a loro, sono riuscito a ricordare anche le canzoni che un tempo pensavo di aver dimenticato!
Vi amo tutti! Grazie a voi, ho iniziato a riuscire a credere quando mi dite che siamo amici! Grazie.
Sono davvero, davvero felice di essere tornato dai Knights...)
Signore e signori~! Vi ringrazio dal profondo del cuore per aver ascoltato la nostra esibizione fino ad ora! Ma non abbiamo ancora finito, perciò vi chiedo di restare con noi fino alla fine! Wahaha, grazie per averci dato il vostro supporto! Fino a quando la luna non inizierà a calare nel cielo notturno, vi terremo compagnia con le nostre canzoni.
Leo: Questo mondo è pieno di cose difficili, e di cose dolorose, ed è veramente tanto, tanto facile venirne scoraggiati. La mia più grande speranza è che, quando penserete a questa canzone, le permetterete di darvi una motivazione, e di guidarvi verso un futuro più luminoso.
♪~♪~♪~
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Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (terza parte)
Del melanismo del Geco comune (o, in alcuni casi, del suo mimetismo al contrario)
di Sandro D’Alessandro
La possibilità di cambiare colore si accorda bene con le caratteristiche del Geco, che è un animale relativamente lento, corpulento a maturità ed inadatto a mantenere a lungo un incedere di una certa velocità.
La sua andatura a scatti lo rende un animale facilmente predabile da tutta una serie di organismi, per cui esso si avvantaggia non poco di una capacità come quella del mimetismo; il discorso è ovviamente analogo se lo si riferisce all’esigenza che il Geco ha di non essere scorto dalle sue potenziali prede. Per contro, in modo diametralmente opposto, il Geco “non teme” di apparire ben evidente, scurendo la sua colorazione nel corso dei suoi bagni di sole che lo rendono estremamente visibile.
In ciò si potrebbe forse ravvisare un mimetismo che lo affianca ad animali velenosi, come avviene ad es, per i falsi serpenti corallo, che, imitando la colorazione del temibile “cugino”; possono godere di una relativa tranquillità da parte dei predatori. Così, mentre animali inermi hanno tutti i vantaggi nel passare inosservati, altri animali in possesso di ben altre potenzialità offensive evidenziano anzi la loro presenza con una livrea più appariscente; una terza categoria di animali, pur non essendo dotata di mezzi offensivi, assomiglia a tali animali “pericolosi”. Allo stesso modo, il Geco melanico assume la somiglianza con un Anfibio, la Salamandra, che alcuni predatori evitano di predare in quanto provvista di tossine nella sua cute.
Come ben documentato nelle foto che fanno parte integrante del paragrafo che segue, il Geco ha quindi la possibilità di adattare il proprio colore a quello dell’ambiente in cui esso si trova. E, cosa ancora più notevole, esso lo fa in maniera pressoché immediata, adattandosi all’istante al colore del substrato sul quale è l’animaletto. A ben considerare, esistono tutti i presupposti perché un animale come il Geco sia, fra tanti animali terrestri, uno di quelli in grado di trarre maggior vantaggio da una caratteristica del genere.
Questo corpulento Geco comune al sole sul muro di una casa colonica diroccata ha assunto le tonalità del muro, riproponendo sul suo corpo, in chiazze, addirittura le sfumature e gli accostamenti di colore dei Licheni presenti (foto: S. D’Alessandro)
Il cambiamento di colore e quella strana funzionalità delle zampette dei Gechi (tutti)
Innanzitutto, è, insieme agli altri Gekkonidae, l’unico Vertebrato terrestre in grado di salire su superfici pressoché lisce. E mentre sale, su un muro o su un albero, il Geco è allo scoperto, pertanto è facilmente individuabile. La possibilità di assumere una colorazione che lo renda poco appariscente o del tutto invisibile nel contesto ambientale in cui esso si trova ha pertanto un’importanza molto rilevante. Esistono, è vero, altri Rettili che salgono sugli alberi, come ad es. alcuni Serpenti in misura maggiore o minore arboricoli, ma questi, oltre ad avere delle potenzialità offensive che il Geco non ha, hanno movimenti più fluidi, mentre il Geco, con i suoi movimenti a scatto, risulta ben più facilmente scorgibile. Poi, spesso, il Geco si ferma. Evitare di essere individuato è quindi per lui di fondamentale importanza.
Un Geco comune appeso sulla superficie di una ondulina, ahimè di eternit, all’interno di un vecchio cascinale: i suoi toni ed anche gli “stacchi” nella sua colorazione appaiono incredibilmente concordi, quasi delle prosecuzioni, con quelle che sono le caratteristiche cromatiche dell’ambiente (foto: S. D’Alessandro)
La duplice funzione di predatore e preda: dai rifugi oscuri ai muri privi di riparo
Ancora, il Geco compartecipa della già ricordata duplice natura di animale “da tana” e di animale che vive allo scoperto, per quanto le sue attività si esplichino ben maggiormente allo scoperto: la tana assolve alle sue esigenze di protezione nei confronti di predatori o di riparo nei confronti degli estremi termici legati ad una eccessiva insolazione. Essendo spesso allo scoperto, e pertanto facilmente visibile, diventa pertanto ben opportuno per il nostro Geco potersi celare alla vista degli altri organismi ad esso correlati ecologicamente in qualche maniera (prede, competitori, predatori…).
Un giovane Geco comune, dalle dimensioni ben inferiori di quello riportato in fig. 12, sorpreso di sera dalla luce del flash su un muro nello stesso atteggiamento del primo (foto: S. D’Alessandro)
Rispetto al “Cyrtodactylus”, altro Gekkonide “trasformista” a livello di colorazione, il Geco comune è un animale più tendenzialmente notturno, e nelle ore di piena insolazione tende spesso a rifugiarsi in zone al coperto o all’ombra; a differenza del primo, che è in grado di raggiungere buone velocità e di mantenerle per un certo periodo, esso è inoltre più goffo nei movimenti, con fughe si risolvono in scatti destinati a raggiungere mete poco lontane. Allo stesso modo, la scarsa illuminazione del suo tipico periodo giornaliero di attività – che si protrae ad una fase crepuscolare o schiettamente notturna – fa sì che esso non abbia la necessità, come invece avviene in modo diametralmente opposto per il “Cyrtodactylus”, di inseguire le prede, né debba avere uno scatto bruciante: gli è sufficiente nascondersi, modificando l’aspetto del suo corpo e la sua colorazione[1]. Alla luce di queste diverse caratteristiche, va da sè che il metodo di caccia che meglio si adatta al Geco comune è la caccia “all’agguato”, tecnica predatoria in cui l’animaletto risulta sicuramente avvantaggiato dalla possibilità di sfruttare in qualche modo il fattore sorpresa. E la possibilità di cambiare colore, conformandosi all’ambiente circostante, è di certo un elemento che va a favore dell’animale. Non vanno trascurate, nelle considerazioni relative alla “coerenza” di una fisiologia come quella qui descritta per il Geco comune, le correlazioni con le sue dimensioni relative: il Geco è molto più grande degli Insetti, il che mal si adeguerebbe con un effetto “sorpresa”, ma la sua superficie bitorzoluta contribuisce forse a determinarne, di concerto con le proprietà mimetiche dell’animale, la scomposizione dell’immagine, che viene percepita probabilmente dagli ocelli[1] dell’entomofauna come una “montagna” inanimata e immobile.
Un massiccio Geco immobile al sole sullo scalino di una vecchia casa colonica; benché l’immagine sia bene a fuoco, appare difficoltoso distinguere il profilo del suo dorso dallo sfondo a causa dell’evidente analogia dei colori (foto S. D’Alessandro)
Si potrebbe ipotizzare che la superficie corporea del Geco – superficie che, come le foto documentano, si caratterizza per molteplici protuberanze variamente colorate – possa sortire una specie di “effetto confusione” nell’Insetto che il Rettile si appresta a predare. Il fatto poi che tali protuberanze possano essere variamente colorate potrebbe indurre un maggior disordine nella percezione visiva dell’Insetto stesso. La possibilità di mimetizzarsi da parte del Geco Comune è pertanto conforme con la loro possibilità di salire su superfici verticali prive di ripari e la cui “frequentazione” richieda quindi una qualche protezione per le più piccole creature che lo percorrono abitualmente. Si tratta di ambienti che, ancorché privi di “nascondigli” che non siano le varie colorazioni dovute a Muschi e Licheni, configurano come estremamente vantaggiose le possibilità da parte alcuni organismi ivi presenti di sfruttare tali formazioni vegetali come “riparo”. E l’unica di tali possibilità è quella di potersi mimetizzare con esso, meglio ancora se la creatura che lo fa abbia la possibilità di adattare, oltre che la colorazione del corpo, anche la forma del corpo stesso tramite la presenza delle già menzionate appendici, che si prestano in modo a volte sorprendente a ricalcare le asperità del territorio. Nel caso di organismi necessariamente legati a substrati “terrestri”, al suolo o in prossimità di questo, in un ambiente in cui le differenti colorazioni sono determinate dalla presenza di vegetazione, pietre, anfratti, ecc., la possibilità di cambiare colore non è strettamente necessaria per nascondersi[2].
Le cose sono ovviamente diverse sulle superfici, spesso uniformi, di costoni rocciosi, muri, tronchi, ecc., di norma non offrono né rifugi né ripari per potersi occultare; se pure non appare determinante la possibilità di predare nel corso degli spostamenti su tali superfici (cosa che il Geco comune è comunque in grado di fare), è opportuno, o per lo meno vantaggioso, non rivelare in modo evidente la propria presenza nel corso dei tragitti allo scoperto. Ed il poter fruire di variazioni cromatiche può essere spesso risolutivo, al fine della mancata individuazione da parte della preda (e/o del predatore). A conferma di quanto riferito sopra, si mette qui in evidenza che tutti gli organismi in grado di adattare il proprio colore assumendo le stesse tonalità dell’ambiente in cui vivono sono sempre in grado di spostarsi nelle tre direzioni dello spazio, o perché vivono in un ambiente acquatico (Sepia, Octopus, Solea, ecc.), o perché sono in grado di arrampicarsi su alberi o su superfici verticali (Chamaeleon, Gekkonidae spp., ecc.).
Note
[1] Occhio semplice degli insetti e di altri artropodi, che consta di una lente e di uno strato cellulare sensibile (rètina); negli insetti sono tipicamente in numero di tre, situati nella regione dorsale del capo, fra gli occhi composti (http://www.treccani.it/vocabolario/ocello/)
[2] – questa possibilità non è tuttavia tale da ingenerare nell’animale un senso di protezione legata ad una illimitata fiducia nel proprio mimetismo: benché debitamente occultati dalla concordanza del proprio colore con i colori del substrato, a differenza dei ben più flemmatici Camaleonti, che confidano fino alla fine nel proprio mimetismo, i Gechi comuni sono prontissimi a fuggire ed a rifugiarsi in qualche buco del terreno o dei tronchi stessi.
Per la prima parte:
Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (prima parte)
Per la seconda parte:
Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (seconda parte)
#Chamaeleon#Cyrtodactylus#geco#geco di Kotschy#Gekkonidae#Gekkonidae spp.#melanismo del geco#mimetismo del geco#Sandro D’Alessandro#Ambiente#Spigolature Salentine
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L'udienza generale di papa Francesco del 27 maggio del 2020
Udienza generale di papa Francesco https://youtu.be/WhDlva_tcQs Udienza generale di papa Francesco Una udienza sulla falsariga di quelle dedicate alla preghiera, e in questa udienza il Santo Padre ha messo in evidenza come la preghiera del giusto, fatta con fede, possa essere esaudita attraverso una fervida insistenza. ecco perché l'importanza della preghiera, come ha rilevato il papa, e come è stato riportato nel testo diffuso dell'Editrice Vaticana della catechesi pontificia. Alla fine i saluti nelle varie lingue hanno richiamato l'azione dello Spirito Santo nella giornata di Pentecoste ormai vicina: Catechesi: 4. La preghiera dei giusti Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Dedichiamo la catechesi di oggi alla preghiera dei giusti. Il disegno di Dio nei confronti dell’umanità è buono, ma nella nostra vicenda quotidiana sperimentiamo la presenza del male: è un’esperienza di tutti i giorni. I primi capitoli del libro della Genesi descrivono il progressivo dilatarsi del peccato nelle vicende umane. Adamo ed Eva (cfr Gen 3,1-7) dubitano delle intenzioni benevole di Dio, pensando di avere a che fare con una divinità invidiosa, che impedisce la loro felicità. Di qui la ribellione: non credono più in un Creatore generoso, che desidera la loro felicità. Il loro cuore, cedendo alla tentazione del maligno, è preso da deliri di onnipotenza: “Se mangeremo il frutto dell’albero, diventeremo come Dio” (cfr v. 5). E questa è la tentazione: questa è l’ambizione che entra nel cuore. Ma l’esperienza va in senso opposto: i loro occhi si aprono e scoprono di essere nudi (v. 7), senza niente. Non dimenticatevi questo: il tentatore è un mal pagatore, paga male. Il male diventa ancora più dirompente con la seconda generazione umana, è più forte: è la vicenda di Caino e Abele (cfr Gen 4,1-16). Caino è invidioso del fratello: c’è il verme dell’invidia; pur essendo lui il primogenito, vede Abele come un rivale, uno che insidia il suo primato. Il male si affaccia nel suo cuore e Caino non riesce a dominarlo. Il male comincia a entrare nel cuore: i pensieri sono sempre di guardare male l’altro, con sospetto. E questo, avviene anche con il pensiero: “Questo è un cattivo, mi farà del male”. E questo pensiero va entrando nel cuore … E così la storia della prima fraternità si conclude con un omicidio. Penso, oggi, alla fraternità umana …. guerre dappertutto. Nella discendenza di Caino si sviluppano i mestieri e le arti, ma si sviluppa anche la violenza, espressa dal sinistro cantico di Lamec, che suona come un inno di vendetta: «Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gen 4,23-24). La vendetta: “L’hai fatto, la pagherai”. Ma questo non lo dice il giudice, lo dico io. E io mi faccio giudice della situazione. E così il male si allarga a macchia d’olio, fino ad occupare tutto il quadro: «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre» (Gen 6,5). I grandi affreschi del diluvio universale (capp. 6-7) e della torre di Babele (cap. 11) rivelano che c’è bisogno di un nuovo inizio, come di una nuova creazione, che avrà il suo compimento in Gesù Cristo. Eppure, in queste prime pagine della Bibbia, sta scritta anche un’altra storia, meno appariscente, molto più umile e devota, che rappresenta il riscatto della speranza. Se anche quasi tutti si comportano in maniera efferata, facendo dell’odio e della conquista il grande motore della vicenda umana, ci sono persone capaci di pregare Dio con sincerità, capaci di scrivere in modo diverso il destino dell’uomo. Abele offre a Dio un sacrificio di primizie. Dopo la sua morte, Adamo ed Eva ebbero un terzo figlio, Set, da cui nacque Enos (che significa “mortale”), e si dice: «A quel tempo si cominciò a invocare il nome del Signore» (4,26). Poi compare Enoc, personaggio che “cammina con Dio” e che viene rapito al cielo (cfr 5,22.24). E infine c’è la storia di Noè, uomo giusto che «camminava con Dio» (6,9), davanti al quale Dio trattiene il suo proposito di cancellare l’umanità (cfr 6,7-8). Leggendo questi racconti, si ha l’impressione che la preghiera sia l’argine, sia il rifugio dell’uomo davanti all’onda di piena del male che cresce nel mondo. A ben vedere, preghiamo anche per essere salvati da noi stessi. È importante pregare: “Signore, per favore, salvami da me stesso, dalle mie ambizioni, dalle mie passioni”. Gli oranti delle prime pagine della Bibbia sono uomini operatori di pace: infatti, la preghiera, quando è autentica, libera dagli istinti di violenza ed è uno sguardo rivolto a Dio, perché torni Lui a prendersi cura del cuore dell’uomo. Si legge nel Catechismo: «Questa qualità della preghiera è vissuta da una moltitudine di giusti in tutte le religioni» (CCC, 2569). La preghiera coltiva aiuole di rinascita in luoghi dove l’odio dell’uomo è stato capace solo di allargare il deserto. E la preghiera è potente, perché attira il potere di Dio e il potere di Dio sempre dà vita: sempre. È il Dio della vita, e fa rinascere. Ecco perché la signoria di Dio transita nella catena di questi uomini e donne, spesso incompresi o emarginati nel mondo. Ma il mondo vive e cresce grazie alla forza di Dio che questi suoi servitori attirano con la loro preghiera. Sono una catena per nulla chiassosa, che raramente balza agli onori della cronaca, eppure è tanto importante per restituire fiducia al mondo! Ricordo la storia di un uomo: un capo di governo, importante, non di questo tempo, dei tempi passati. Un ateo che non aveva senso religioso nel cuore, ma da bambino sentiva la nonna che pregava, e ciò è rimasto nel suo cuore. E in un momento difficile della sua vita, quel ricordo è tornato al suo cuore e diceva: “Ma la nonna pregava …”. Incominciò così a pregare con le formule della nonna e lì ha trovato Gesù. La preghiera è una catena di vita, sempre: tanti uomini e donne che pregano, seminano vita. La preghiera semina vita, la piccola preghiera: per questo è tanto importante insegnare ai bambini a pregare. A me dà dolore quando trovo bambini che non sanno fare il segno della croce. Bisogna insegnare loro a fare bene il segno della croce, perché è la prima preghiera. È importante che i bambini imparino a pregare. Poi, forse, si potranno dimenticare, prendere un altro cammino; ma le prime preghiere imparate da bambino rimangono nel cuore, perché sono un seme di vita, il seme del dialogo con Dio. Il cammino di Dio nella storia di Dio è transitato attraverso di loro: è passato per un “resto” dell’umanità che non si è uniformato alla legge del più forte, ma ha chiesto a Dio di compiere i suoi miracoli, e soprattutto di trasformare il nostro cuore di pietra in cuore di carne (cfr Ez 36,26). E questo aiuta la preghiera: perché la preghiera apre la porta a Dio, trasformando il nostro cuore tante volte di pietra, in un cuore umano. E ci vuole tanta umanità, e con l’umanità si prega bene. Read the full article
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Cara me, per il ragazzo futuro..
Cara me,
visto che sei un periodo di merda per colpa del più sbagliato ragazzo che potessi trovare sulla faccia della terra, ricorda queste poche cose, per qualsiasi ragazzo che in futuro ti si ritroverà davanti. Pesa e valuta bene ogni minimo dettaglio, non far mai più succedere tutto ciò che hai dovuto subire. Non permettere mai più a un ragazzo di calpestarti la dignità, di farti minacciare, di farti violenza psicologica.
Non essere ipocrita: la prima cosa che noti, nonostante tutto, è il fattore fisico. Non ti accontentare di qualcuno che non ti convince davvero. Se ogni tanto ci pensi, che poi dopo tutto fisicamente non ti piace molto, allora non prendere e non prenderti in giro. Ti piacciono mori, con gli occhi chiari o con uno sguardo dolce, che esprima qualcosa, con la barba - non troppo lunga, mi raccomando, che poi lo sai che la odi - non troppo alto (perchè sei nana e ci sarebbero un bel po’ di problemi) e nemmeno troppo basso. Non grasso (perchè sei magrissima) e nemmeno magro magro come te. Che sia un po’ fisicato insomma, nella norma. (Se ha qualche muscolo anche meglio, che è inutile prendersi in giro, ti piace.)
Sembrerà un discorso molto superficiale, ma noti anche il suo modo di vestire ed è questo che ti ha molto colpito di F e S. Degli altri invece odiavi un po’ il modo strano di vestirsi. A te piace qualcosa di tranquillo e semplice, di sottilmente elegante. Ti piace il maglioncino con la camicia, la camicia, le maglie sobrie, i cappottini e qualsiasi cosa semplice ma di un certo effetto. E soprattutto ti piace che sappia vestirsi bene nelle occasioni adeguate.
Nota il suo modo di camminare, di stare dritto, di stare seduto. Insomma la sua postura. (E anche il suo modo di guidare, che è una delle prime cose che noti)
Nota le sue mani, i suoi occhi e il suo sguardo, le sue labbra. (Se ti piacciono tutte e 3 sei a cavallo).
Ascolta la sua voce e ciò che ti trasmette. Ti piace?
Ascolta e ricorda bene ogni cosa che dice. Cerca di capire bene ogni parola, di cogliere la vera ironia da quella fatta solo per mascherare. Ascolta cosa dice e come lo dice e anche il suo atteggiamento quando parla. Cerca di capire se sta dicendo delle cose vere. Ti prego, capisci quando sta mentendo, cerca di rendertene conto davvero. Ti prego, se dice qualcosa che ti infastidisce, se fa troppe battute, se trovi offensivo qualcosa, dillo immediatamente e se davvero ti da fastidio non uscirci ancora, non dargli altre possibilità e non forzare nulla. Sono solo dei campanelli d’allarme e tu devi difenderti.
Se fa il dolce sin da subito e sembra preso diffida, non puoi fidarti di colpi di fulmine così estremi.
Parlagli sin da subito e metti le cose in chiaro. Scopri che tipo è, come la pensa su determinati argomenti, che stile di vita ha, che persone frequenta, come si comporta con gli amici o con gli altri in generale. Se fa qualcosa di strano, apri subito gli occhi.
Chiedigli o cerca di scoprire come si comporta in una coppia, come si è comportato con le altre e per quale ragione è finita.
Chiedigli cosa vuole sin da subito con molta sincerità. Tu non cerchi storielle senza senso.
Non farlo entrare nella tua vita senza aver prima valutato per bene tutto, è troppo distrutta ora.
Non ti aprire troppo, non parlare troppo di te, lasciati scoprire e non fidarti, tutto quello che dici potrà essere usato contro di te. Non raccontare troppe cose della tua vita o delle persone che ti circondano, ti verrà rinfacciato. Non mostrare i tuoi punti deboli, non farlo conoscere a nessuno senza un “periodo prova” e se i tuoi amici non approvano o ti avvertono di qualcosa, per Dio, ASCOLTALI!!
Dove ti ha portata al primo appuntamento? E’ stato un posto speciale o standard? Ha fatto qualcosa di davvero bello? Ti ha trasmesso qualcosa? Hai sentito emozioni, brividi, hai riso? Soprattutto questo: hai riso? Ti sei divertita? Hai dimenticato del tempo che è passato? Hai dimenticato di quello che ti circondava? Avevi tutta l’attenzione su di lui?
Ricorda che il primo appuntamento e la prima impressione sono fondamentali per cui: non essere troppo appariscente, cerca di vestirti sobria e di non dare l’impressione sbagliata, non parlare troppo e male, non dire troppe brutte parole o cose sconce, non dire le 3 brutte parole “cacca, ciclo, sesso”, non parlare di ex, non parlare di sesso, di altre frequentazioni, non fare nessun riferimento, non provocare, non offendere troppo, non essere nemmeno troppo fredda. Cerca di far capire come sei senza esagerare. Non parlare di after, feste, droga e alcol. Dimostra che sei seria.
Scrive bene? Senza abbreviazioni o errori grammaticali?
E’ capace di ragionamenti e discorsi seri? Ma soprattutto ragiona o ti sembra un po’ fuori di testa?
E’ serio? E’ un bravo ragazzo? Ti tratta bene?
E’ presente? Fa sentire che è interessato? Ti cerca? Ti scrive spesso? Sparisce? Sai cosa fa nella giornata? Mantiene attiva la conversazione? Ti stanchi di parlargli? Ti vuole vedere spesso? Ti chiede le cose? Vuole sapere come stai? Si accorge quando c’è qualcosa che non va o quando sei distaccata o ti fai sentire poco? Quando esci si preoccupa? Ti fa sentire forte? Ti chiama?
Mette mi piace ad altre? Usa spesso il telefono? Parla con altre?
E’ geloso o infastidito dalle presenze maschili nella tua vita?
Non toglierti troppo presto le mutande, per quanto ti possa eccitare e tu abbia voglia, resisti e valuta prima la persona.
Quando ti togli le mutande, cerca di capire bene se puoi liberarti e mostrarti davvero porca come vorresti o se farlo potrebbe poi farti additare come una “troia”
Parlagli sempre schiettamente e se avete già costruito un legame raccontagli tutto ciò che anche se non ti sembra importante potrebbe esserlo e NON FARE ERRORI, NON NASCONDERE NULLA.
Il tuo passato è un tasto dolente, un argomento delicato che non tutti possono capire, ma DEVI RACCONTARLO, non aver paura, se è davvero intelligente riuscirà a vederti oltre il muro e la maschera.
Trova un ragazzo che sia dolce tra le righe, che non sia sdolcinato e banale ma che con pochi gesti semplici ti dia dolcezza e soprattutto TANTE TANTE COCCOLE
Trova un ragazzo che ami bere e ballare con te, che ti tenga per mano e sia fiero di abbracciarti e baciarti in pubblico.
NON FARTI MAI PIU’ MINACCIARE.
Non affezionarti subito e sii sempre forte, non deve diventare la tua vita, nessun altro deve mai più diventarlo, non deve cambiarti radicalmente la vita e non deve cambiare come sei tu, ma deve essere una presenza piacevole, che ti sconvolga dentro, in positivo.
Spera che il sesso vada alla grande, che sia un bel po’ porco, violento ma anche dolce come piace a te, che duri tanto, che ti faccia sudare e urlare e soprattutto VENIRE (che solo uno ci è riuscito)
Trova uno che ti guardi con la luce negli occhi e ti difenda sempre a spada tratta, che non creda subito agli altri ma che abbia fiducia in te.
Trova un ragazzo con cui poter avere confidenza da fare pipì insieme o la doccia o dormire.
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Gennaio - Carrellata di sogni spaventosi degli ultimi tempi
- Mi trovavo in una stanza piena di scaffali colmi di dolci e mangiavo dei Ferrero Rocher in maniera compulsiva, uno dietro l'altro. Non riuscivo a smettere, li infilavo in bocca con foga e nonostante non volessi mangiarli non riuscivo a fermarmi. Mi sentivo male
- Andavo in vacanza in Sardegna con due amici a fare escursionismo e mi lasciavano sola su un monte disperso chissà dove. In cima c'è un baretto con una barista sui 45, curata e truccata in modo appariscente e un po' volgare, molto affettuosa e gentile. Mi sedevo ad un tavolino fuori, con le sedie di plastica ingiallite dal tempo e dal sole. Mi sento sola e abbandonata. Devo capire come tornare a casa
- Giravo in un grande edificio in cui una donna sui 40+ stava mostrando a me e ad un gruppo di persone le loro ricerche scientifiche del loro istituto. Lei aveva progettato una sorta di tuta spaziale meccanica che sembrava uscita da un cartone animato degli anni 70, una armatura tipo Mazinga. Tutti la ammiravano per come riusciva a coiniugare una brillante carriera e la vita privata. Mi sentivo una nullità al confronto
- Dovevo imparare a suonare la batteria ma non ne ero capace. Cercavo delle scuse per non farlo, fino a che l'insegnante arrivava davanti a me e mi chiedeva di tenere un certo tempo come prova del mio apprendimento. Io non ce la facevo
- Pulivo la lettiera del gatto. Più sabbia sporca toglievo, e più ce n'era. Continuavo a scavare, scavare, scavare con la paletta ma la sabbietta sporca di escrementi non terminava, arrivavo a scavare fin sotto al pavimento, come se la lettiera si aprisse su una buca sottoterra
- In casa, cercavo un barattolo di burro d'arachidi. Era importante, dovevo trovarlo. Ogni tanto mi giravo e lo vedevo in qualche angolo. Dietro al pc, sopra una mensola, sul lavandino. Quando mi avvicinavo per prenderlo quello di colpo scompariva, e riappariva più tardi in qualche altro posto
- Ero su una nave in burrasca. Mi trovavo sotto coperta ed ero sbalzata violentemente da un lato all'altro della stanza. Oscillava tutto così forte che non capivo più dov'era la verticale e l'orizzontale. Gli oggetti cadevano dappertutto, mi aggrappavo ai mobili cercando di non venire lanciata contro le pareti. Prendo in mano degli oggetti, li sollevo a mezz'aria e li lascio cadere per cercare di capire dov'è la verticale con la forza di gravità. Ero come un gatto in una scatola che viene agitata. La nave fa una virata netta e improvvisa, capisco che stanno cercando di resistere alla burrasca, penso a cosa ci possa essere lì fuori e ho paura. Durante la notte emergevo dal sogno e tornavo nel dormiveglia. Stavo oscillando nel letto, mi agitavo. Poi tornavo dentro al sogno, sulla nave. Mi sono anche chiesta se per caso ci fosse il terremoto
- Mi sollevo la maglia per scoprire il fianco. Il torso è lacerato come da una enorme ferita, uno squarcio. Dentro all'apertura potevo vedere che all'interno ero fatta di un geode viola. Un ametista. Avevo i cristalli al posto della carne che si vedevano dallo squarcio
- Del sogno di stanotte ho solo delle immagini. Ero nel collegio, all'interno, che aveva la struttura e l'aspetto di un albergo. succedevano cose inquietanti, come nell'hotel di Shining. Per esempio ero davanti ad un grande specchio. Avevo un bikini nero e sopra un prendisole, uno di quei vestitoni larghi e leggeri che si indossano d'estate. Mi guardo davanti, mi sta bene, è ok, sono normale. pPoi mi giro di fianco e il mio profilo è gonfio. Non intendo dire che la silhouette è un po' abbondante, intendo dire che ho il seno grosso e ipertrofico, la pancia abnorme più di una donna incinta. Di profilo sembro una di quelle statuette preistoriche della fertilità. Ero spaventata. Poi improvvisamente avevo i capelli lunghi fin sotto ai fianchi, e una donna me li tagliava. Un'altra donna mi radeva le gambe e io non volevo. Glielo dicevo ma lei lo faceva lo stesso. Non avevo il controllo su di me, mi imbarazzava che lo facesse un'altra, e lo percepivo come una cosa pericolosa per me
- Delle persone andavano in un campo di concentramento e vivevano come i deportati della seconda guerra mondiale per un mese. Lo scopo era un esperimento psicologico, o un documentario, e altre persone cercavano di fare profitto su di loro cercando di vendendorgli oggetti che potevano aiutare la loro sofferenza durante la permanenza nel campo di concentramento
- Andavo in bici. Anche un mio amico andava in bici sullo stesso tragitto. Io gli ripetevo che è meglio andare piano anziché veloci. In realtà non riuscivo bene a stargli dietro, pedalavo con paura
- In un edificio con altre ragazze. E' una sorta di collegio. Sentiamo delle urla dall'esterno e accorriamo in balcone. Su uno degli altri balconi c'è una ragazza che si vuole suicidare. E' in piedi sulla ringhiera, in camicia da notte, rivolta verso l'esterno. E' ferma immobile e non parla, non reagisce. Il suicidio viene sventato. Dopo qualche tempo scatta l'allarme antincendio. Stiamo per evacuare dalle scale d'emergenza ma non possiamo perché sono piene di fumo. Andiamo in balcone e vediamo un'altra ragazza che si vuole suicidare. E' anche lei sul balcone come la prima, ma stavolta ha appiccato un fuoco nella sua stanza. Le altre ragazze accorrono scavalcando di balcone in balcone per arrivare da lei, e anche io provo a seguirle ma sono troppo stanca per andare da lei a salvarla, sono senza forze, e mi fermo a metà
- Sono su un treno con le ragazze del collegio. Una di loro che ha nascosto della droga, o non l'ha pagata, o l'ha rubata, fatto sta che i proprietari di questo sacchettino di droga mi prendono, mi portano in una carrozza vuota e mi stuprano in gruppo per vendetta. Io non sembro solo shock, ma comincio col tempo a montare dentro rabbia e desiderio di vendetta. Una volta tornate, nel parco dietro il collegio, dove c'è un fazzoletto di terra incolta e secca, inizio a camminare avanti e indietro. Dò qualche calcio a dei sassolini. Prendo a camminare più veloce, con più rabbia, e dare calci sempre più forti e violenti
- Ho la casa piena di oggetti e cose. Più sportelli apro, più ne trovo. Cose che avevo dimenticato da chissà quanto. Confezioni, barattoli, pacchetti di cibo anche scaduti. E lì dentro trovo degli animali che avevo preso tempo fa, e che avevo scelto per tenere con me. Della minuscole tartarughe, dei minuscoli cuccioli di lupo, una biscia e un cucciolo di tigre. Sono denutriti e disidratati. Cerco di farli riprendere
- Devo prendere l'aereo. Al momento di salire sento lo stuart che parla con una passeggera dell'incidente della settimana scorsa: un aereo è caduto in mare. Mi viene in attacco di panico e prendo uno xanax. Le persone mi vedono agitata ma io li tranquillizzo dicendo che va tutto bene, è tutto sotto controllo. In realtà sono terrorizzata
- Torno dove ho parcheggiato l'auto. Un automobilista è si vendicato con me e mi ha rigato tutta la carrozzeria. A dire il vero ha quasi distrutto tutta la fiancata come se l'avesse presa a calci, o l'avesse urtata con la propria auto
- Sono su volo aereo con atterraggio di emergenza in un posto tipo l'Havana. Durante il tempo di permanenza a terra, prima di ripartire per la destinazione, alcuni passeggeri decidono di fuggire per scomparire e non farsi più trovare. Io li vedrò e segnalerò il tutto al personale di bordo, che però è troppo impegnato per lo stato di emergenza del velivolo. Arrivati a destinazione, a distanza di tempo, vedo uno dei passeggeri fuggiti. Lo fermo, cerco di interrogarlo, di farmi dire dove sono gli altri, ma lui non collabora. Lo porto da chi può investigare a riguardo per ritrovare gli scomparsi, che non riusciranno ad essere ritrovati
- Torno dai miei. Loro sono tutti felici perché stanno partendo per una vacanza e mi lasciano da sola. Io ho disturbi alimentari (tipo bulimia). Mio nonno (quello che è morto anni fa) è in una casa di cura, a metà tra l'ospizio e l'ospedale psichiatrico. E' in condizioni pessime. Adesso è la carcassa dell'uomo che era una volta, sia fisicamente che psicologicamente. Passo il tempo girando da sola per le colline. E' tutto vuoto. Io, la campagna, mio nonno. Passo il tempo a sentirmi triste, e a visitare mio nonno. Fra poche settimane lo dimetteranno. Non vedo l'ora che tornino i miei, anche se so che non succederà niente di significativo. Il futuro è privo di speranze.
- Sono a Milano con delle ex compagne dell'università. Stiamo passeggiando davanti ai negozi e loro sono tutte allegre e gioviali, frivole e divertite. Guarda che belle scarpe rosse! E i gioielli di Cartier! esclamano tirandomi per il braccio e correndo verso le vetrine. Io so che le scarpe non mi entreranno, e l'oro non mi piace. Le accompagno lo stesso in questo shopping folle. La sera cambio compagnia: verso l'ora di aperitivo mi vedo con un amico, una persona modaiola alternativa (skater) e con un grande ego. Mi ha portato in questo posto di giovani altrettanto modaioli alternativi quanto lui. Sta parlando con un altro modaiolo alternativo di cose che non mi interessano: suonare ai concerti, fare questo o quello. Io, seduta lì di fianco, mi disinteresso e fumo. La mia sigaretta è decorata, è avvolta da un tralcio di rosa rampicante con le spine sul fusto. C'è anche una piccola rosa di ceramica, di un color rosa pallido, là sopra al filtro della sigaretta. Mentre fumo la sigaretta mi cade dalle mani. La raccolgo e, alzando lo sguardo, noto che TUTTI i ragazzi presenti mi stanno fissando minacciosamente. Sanno che non sono una di loro, come in un gruppo tribale. Per incutermi timore tamburellano le dita su oggetti, sul cemento, sulle ginocchia. Sono seduti sui muretti, le sedie e i gradini attorno a me e mi guardano in silenzio come gli uccelli di Hitchcock. D'improvviso scattano le sette di sera. Il gruppo si scioglie istantaneamente e tutti se ne vanno. Chiedo al mio amico dove sono finiti, lui risponde che sono a casa. minacciosi per quanto sono, abitano ancora coi genitori, sono dei ragazzini, e le sette è l'ora di cena con la famiglia
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C’è una cassetta VHS che conservo con assoluta gelosia nel primo vano del carrello su cui poggia la televisione nella mia camera. È una di quelle che vendevano allegate al Corriere dello Sport. Tanti anni fa. In un momento di assoluta solitudine posso ancora sentirne l’odore di quando scartai la plastica e il pungente odore dell’inchiostro si fuse a quello piacevole della carta nuova.
Nella sua etichetta, posta ovviamente al centro, c’è scritto “Roma Scudetto 1982/1983”. Ed è il riassunto di quella stagione attraverso i servizi di 90′ minuto. È innanzitutto un sogno. Quello del ragazzino che sa di esser cresciuto dopo una generazione – forse l’unica dal 1927 a oggi – che la Roma l’ha vista grande fuori e dentro dal campo. Che ha sentito il sapore delle vittorie e ha forgiato un sentimento già di suo invasivo e prepotente. In cui ovviamente la musica ha giocato un ruolo fondamentale. Sia quella proveniente dagli spalti che quella irrorata dagli altoparlanti.
È vero, la Roma è ormai da anni assimilata ai due inni scritti da Venditti. Partono prima e dopo la partita, con la sciarpata iniziale che – si può tranquillamente dire – ha scandito regolarmente tante mie domeniche. Ma Roma spesso viene assimilata e assoggettata a quello che è più superficiale e appariscente. Senza voler conoscere, senza voler approfondire, senza voler scandagliare nell’anima della sua gente.
In quella cassetta famosa, che abbiamo lasciato qualche riga più in su, a ogni partita giocata nel vecchio Olimpico si udiva una musica diversa da quelle cui la contemporaneità espone: “Semo romani, ma romanisti de più…”. Non potei far a meno di chiedere lumi a mio padre, scoprendo che quello, durante l’annata del secondo tricolore, fu l’inno divulgato all’ingresso delle squadre. L’inno di Lando Fiorini.
La stessa voce che allietava i miei viaggi in macchina con mamma e da cui ho sentito per la prima volta le parole di tante canzoni popolari romanesche.
In pochi, a mio avviso, hanno il diritto di interpretare una canzone popolare. Perché è uno dei simboli distintivi e identitari per una comunità intera. E chi ne prende temporaneamente possesso ne deve esser cosciente.
Lando Fiorni lo è stato. È stato il tipo di romano che ha preferito non eccedere nelle apparizioni e, a differenza di altri, non si è mai dimesso dal ruolo di tifoso in concomitanza con periodi critici della squadra. Era un combattivo e un tifoso vero, e non perché con qualche canzone poteva vendere qualche cassetta in più. Come quella volta che da squattrinato stagista per una nota agenzia mi mandarono a intervistarlo, a pochi metri dalla redazione, nella sua Trastevere immersa in uno di quegli infiniti pomeriggi di ottobre, col sole ancora a splendere alto. Lui a un certo punto si disse stanco e ridendo esclamo: “Ma dimme ‘n po’, de che squadra sei?”. Ecco, la chiacchierata virò precipitosamente sulla Roma.
Quindi mi si perdoni se ho voluto occupare questa mia lunga introduzione con aneddoti e ricordi personali, ma quando sugli spalti del Bentegodi ho sentito cantare i suoi stornelli da tutti i presenti, li ho sentiti rimbombare e urlare con il cuore dalla gente, non ho potuto far a meno di ricordare come noi tutti, in fondo, abbiamo bisogno di punti di riferimento. Magari pure effimeri. Ma in grado di rappresentarci. Che si tratti di calcio o di cose più importanti. E questi punti di riferimento non possono essere certo beceri opportunisti che attendono scudetti per 30 anni per poi sfregarsi le mani e preparare lauti incassi dopo milionari concerti al Circo Massimo.
Queste figure parlano poco. Soffrono tanto per le tue stesse ragioni. E ti regalano sempre un qualcosa per vedere diversamente ciò che hai sotto gli occhi. E se ti sanno interpretare magistralmente “Lella” – quella serie di solfeggi che mette a nudo tutta la crudezza capitolina, mischiandola a una tragica storia di femminicidio – e mettere nelle loro canzoni una strofa che dice “lo stadio è pieno, la Curva Sud è pe’ voi” allora capisci che il connubio con le tue radici è saldo. E quando se ne vanno, come in questo caso, ti dispiace profondamente perché hai perso un pezzo, anche infinitesimale, della tua quotidianità. Come se staccassero un mattone del Colosseo o coprissero per sempre una delle chiese di Piazza del Popolo.
Chi ha saputo interpretare Roma per il gusto di farlo merita l’eternità. E a dirlo, fuori dal discorso del tifo e del calcio, è uno che le radici le cerca costantemente e che sa quanto sia difficile mantenerle per una città del genere. Una parte della città, una parte a cui lui teneva, lo ha omaggiato in maniera impeccabile. Col cuore.
Se mi chiedessero cosa è stata questo Chievo-Roma risponderei semplicemente: “Una canzone di Lando Fiorini”. Struggente nel sostegno continuo e di pancia, partito dalla Sud in formato trasferta per tutti i 90′, e cinico nello scegliere i suoi idoli e i suoi nemici.
Chievo-Roma, in realtà, è stata anche altro. E volendo proiettare quest’ora e mezza di gelo (temperatura a -1) su un palcoscenico di portata nazionale, bisogna allargare gli orizzonti e personalmente ripartire dalla stagione 2009/2010, quando oltre 20.000 cuori giallorossi invasero il Bentegodi speranzosi di uno scudetto che non arriverà mai. Era maggio e l’impianto scaligero ribolliva di caldo e passione. Vidi gente piangere a dirotto alla fine di quella partita; due settimane prima la doppietta di Pazzini all’Olimpico aveva stoppato un’epica rincorsa al titolo che aveva portato la Roma di Ranieri dalle zone centrali della classifica alla vetta.
Quella fu la mia prima – e fino a oggi unica – volta a Verona contro il Chievo. Ma quella odierna è una sfida totalmente diversa e se agli ospiti è riservato tutto il terzo anello della Curva Sud, il resto dello stadio registra davvero pochi spettatori.
Il tifo organizzato di casa si è spostato ormai da qualche tempo in Curva Nord con North Side, Gate 7 e 1929 in prima linea a organizzare il tifo. Devo essere sincero, mi sarei aspettato qualcosa in più da loro. Ok, i numeri non sono certo idilliaci, ma lo zoccolo duro è tutto sommato accettabile e considerando la continuità che ha nel seguito non capisco davvero perché si sia limitato a pochi cori durante l’arco dei 90′.
Sugli ospiti, come accennato, il sostegno di oggi è davvero di ottima fattura. Molto bella la disposizione delle pezze, che ricopre tutta la balconata, e l’apporto corale è praticamente mai domo, con particolari picchi nel primo tempo. Nella ripresa, con la Roma che non riesce a sbloccare il risultato, aumenta la paura di non vincere una partita che permetterebbe agli uomini di Di Francesco un importante salto in avanti, visti i pareggi delle dirette concorrenti. E nel finale il tifo cala un pochino di intensità.
In campo finisce 0-0, con l’esultanza del pubblico clivense, conscio di aver conquistato un punto difficile contro un’avversaria di rango. Del resto il Chievo è forse la più forte delle squadre di seconda fascia. E non solo per l’organico ma per il modo in cui approccia al campo.
Il freddo continua a scendere inesorabile e qualche fiocco di neve comincia a cadere in terra. Schizzo via dallo stadio per prendere il primo treno disponibile, mentre attorno allo stadio già si sono riversati i tanti tifosi giunti dalla Capitale.
Probabilmente stanno ancora defluendo quando il mio treno si immerge nelle tenebre della nebbia padana, sfrecciando tra Poggio Rusco e Bologna. Mentre elaboro il racconto di questa altra domenica del pallone.
Simone Meloni
Chievo-Roma, Serie A: doloroso, come perdere un pezzo di Colosseo C'è una cassetta VHS che conservo con assoluta gelosia nel primo vano del carrello su cui poggia la televisione nella mia camera.
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[FoW] Lore di Lora - Eredità Perduta 3: Il Laboratorio di Grusbalesta
Erano passate solo poche ore da quando Fiethsing e Kaguya avevano incontrato il vampiro che si faceva chiamare Mikage Seijuro nei boschi occidentali. L’uomo e la sua strana progenie vampiresca erano di certo un motivo di preoccupazione per Kaguya, ma non quanto le città fluttuanti che avevano causato uno squarcio nel cielo.
Mikage sembrava proprio uno dei cattivi a cui era abituata. Vestiva di nero, amava parlare e lei era abbastanza sicura di poterlo sconfiggere. Tuttavia, questo continente fluttuante era tutta un’altra storia. Aveva fatto a pezzi il cielo, era arrivato da un altro mondo in un modo simile alla sua Apollo. Ma era più di questo. Già solo dalla mera presenza di quei corpi di terra galleggianti, Kaguya poteva percepire un peso. Era come una massa nel petto che non se ne andava mai. Era pesante, a volte quasi la soffocava. Nemmeno Lapis aveva causato una tale sensazione, e ora quelle enormi navi ultraterrene gliela stavano provocando da chilometri di distanza.
Era chiaro che ciò preoccupava anche Fiethsing, anche se non ne aveva parlato molto durante il resto del loro cammino attraverso la foresta. Le aveva invece detto che dovevano trovare gli altri membri dei Sei Saggi. Kaguya aveva già sentito parlare Zero e Fiethsing dei loro vecchi compagni, ma non li aveva mai incontrati. Almeno, era abbastanza sicura che non li avrebbe mai incontrati. Fiethsing le aveva parlato di come gli altri erano stati intrappolati all’interno di pietre magiche e che loro avrebbero dovuto risvegliarli. I quattro saggi rimanenti, Grusbalesta, Milest, Moojdart, e Almerius, erano dispersi negli angoli più remoti del mondo. Porgendo a Kaguya una mappa, Fiethsing le mostrò il punto in cui si trovava Grusbalesta. Un laboratorio nascosto non lontano da dove si trovavano ora.
“Kaguya, voglio che tu vada là e liberi Grusbalesta”
“Tu non vieni?” disse Kaguya con espressione accigliata.
“Mi spiace, non posso. Dobbiamo accertarci che nessuno degli altri saggi manchi all’appello, quindi dobbiamo dividerci per coprire più territorio. Però prometto che ti preparerò una bella cena quando faremo ritorno a casa.” Rispose Fiethsing sorridendo.
“Davvero? Okay! È una promessa!” Kaguya acchiappò la mappa da Fiethsing e corse via nella direzione in cui si trovava Grusbalesta.
Fiethsing sogghignò un po’ incupita. “Zero aveva ragione. Non mantengo mai le mie promesse.” La donna elfo partì così nella direzione opposta.
“Bene, suppongo che quella più vicina a me sia Moojdart. Vediamo un po’ come se l’è cavata in questi ultimi anni”.
All’alba del giorno seguente, Kaguya era giunta al laboratorio di Grusbalesta. Beh, “baracca” era forse una definizione più appropriata. Da fuori era esattamente quello che sembrava essere. Un semplice agglomerato di paglia e fango. L’interno, tuttavia, celava un grande centro di ricerca con strumenti sparpagliati e abbandonati lungo tutta la superficie, lenti di ingrandimento, piccole pietre magiche, e tanti, tanti appunti scientifici. Al centro di tutto volteggiava una pietra magica di un profondo color viola, che Kaguya immaginò essere lo stesso Grusbalesta.
Si avvicinò alla pietra lentamente, realizzando all’improvviso che non aveva la minima idea di come fare a liberarlo da quella forma. Ma non appena si fece più vicino, la sua mano si protese da sola, come per un riflesso automatico. Istintivamente la poggiò delicatamente sulla cima dell’oggetto fluttuante. Per un momento non accadde nulla, ma all’improvviso una luce abbagliante illuminò l’ambiente circostante. Quando Kaguya aprì gli occhi, un uomo alto con dei sottili baffi e lunghi, arruffati capelli brizzolati era apparso. Egli sorrise calorosamente, ma i suoi occhi portavano gli inconfondibili segni di qualcuno che aveva trascorso troppe notti insonni a scrivere appunti al lume di candela.
“Pare che tu debba dirmi un mucchio di cose signorina” disse Grusbalesta. “Ma prima forse faresti meglio a prenderti una pausa”. L’uomo aveva subito notato le palpebre di Kaguya che si stavano abbassando.
Dopo un lungo pisolino, Kaguya narrò la sequenza dei recenti eventi che avevano preceduto il suo arrivo al rifugio. Per la maggior parte del tempo Grusbalesta rimase in silenzio, ascoltando attentamente e mostrando solo di rado grandi reazioni. Anche quando Kaguya gli racconto del viaggio ad Attoractia, un intero altro mondo, l’espressione dell’uomo rimase impassibile come se si stesse discutendo del tempo atmosferico.
“Penso di essermi fatto un’idea generale”
“Wow! Sei davvero intelligente per uno che è fuori dal giro da un po’ di tempo”, ridacchiò Kaguya scherzando sulla recente rinascita di Grusbalesta dalla pietra magica.
“E’ la mia materia signorina” Sorrise ancora calorosamente, i suoi stanchi occhi scintillarono da dietro gli occhiali.
“Potresti smetterla di chiamarmi ‘signorina’?” chiese Kaguya. “Suona serioso e formale, io odio quel genere di cose”
“Perdonami, è una vecchia abitudine di un’altra epoca. È circa un secolo che non mi sgranchisco le gambe e immagino che certe cose siano un po’ cambiate nel frattempo. In particolare…” Grusbalesta guardò l’abbigliamento piuttosto appariscente di Kaguya “Quello che la moda considera accettabile”.
“Uh? Che cosa c’è che non va nei miei vestiti? Si sono sporcati?” Al commento di Grusbalesta, Kaguya girò in tondo verificando il suo completo in cerca di macchie o tracce di sporco.
“No, non è certamente quello che intendevo” disse Grusbalesta sogghignando. Un secolo prima, durante la grande guerra delle pietre magiche, Grusbalesta e gli altri Saggi si erano volontariamente richiusi nelle pietre magiche come parte di un piano per portare la pace tra le nazioni dell’epoca. Dal racconto di Kaguya, pareva che nessuna di esse fosse sopravvissuta a quei cento anni. Tutti i suoi amici e compagni erano morti da tempo. Un piccolo conforto era sapere che gli altri saggi erano ancora vivi, sia che fossero nelle loro sembianze originali o in quelle di pietra magica. Zero, a quanto sembrava, era cresciuta da sola mentre Fiethsing non era cambiata molto dopo tutto quel tempo. O quantomeno era abbastanza sicuro che fosse così, le descrizioni di Kaguya erano piuttosto complicate da seguire.
“Questa non è per nulla simile alla precedente. Sembra non ricordare nulla della sua precedente vita” Pensò tra sé e sé.
“Ci sono un sacco di cose che devo chiederti, vecchio Grus. Ti ho già parlato di quel cattivo, Lapis, giusto? Ma io e la zia Fiethsing abbiamo incontrato quest’altro strano tipo prima di venire qui. Si stava nascondendo nelle antiche foreste occidentali. Una specie di nonno vampiro. Come si chiamava?” Kaguya si picchiettò le tempie per un momento “Mi…Mika…Miku…”
“Mikage” disse Grusbalesta, scattando subito sull’attenti.
“Ah sì! Giusto! Come fai a conoscerlo, vecchio Grus?”
Grusbalesta si morse il labbro. Pareva che non tutto fosse cambiato nei millenni trascorsi.
“È una mia vecchia conoscenza… Di qualche migliaio di anni orsono. Che io sappia, prima del vostro incontro con lui, gli unici ad averlo conosciuto eravamo io e un’altra persona”. Non appena ebbe parlato, Grubalesta si mise a rovistare tra le cianfrusaglie sul pavimento, raddrizzandosi al contempo mentre cercava qualcosa.
“Lo conoscevi? Qual è il suo piano? C’è qualcosa di speciale in lui?”
“È un eterno. Un signore dei vampiri”
“Eh? Cosa significa?” Chiese Kaguya senza esitazione. Grusbalesta sogghignò ancora.
“Sì. Suppongo che l’attuale te non sappia nulla di queste cose. Scusami. Lascia che ti spieghi”. Grusbalesta si prese un momento per raccogliere alcune carte sparse, dopodiché prese una vecchia sedia di metallo e si sedette.
“Prima che cominci, voglio che tu capisca che questa non è una cosa di cui ho mai fatto esperienza personalmente. Il mio maestro ha tramandato questa storia a me. Questo racconto precede di molto persino la grande guerra delle pietre magiche accaduta nella mia era.” Kaguya non disse nulla, ma la sua espressione fece chiaramente intendere che stesse ascoltando attentamente.
“Molto tempo fa, un grande drago divino di nome Ragnarok giunse in questo mondo da chissà dove. Sono sicuro di non doverlo spiegare a te, ma questo drago aveva il potere di viaggiare attraverso grandi lacerazioni dello spazio per muoversi da un mondo all’altro in un batter d’occhio. Perché questa creatura venne sul nostro mondo nessuno lo sa con certezza. Il mio maestro era solito pensare che fosse inseguito da qualcosa, ma non ebbe mai nulla più che l’intuito per avvalorare questa tesi.” Grusbalesta fece una pausa come se stesse considerando qualcosa, poi proseguì.
“Il possente dragone, anche se ferito, gettò scompiglio su tutto il pianeta, dimostrando un immenso potere tale da minacciare ogni forma di vita. I cinque più grandi maghi del mondo si riunirono per fermare la bestia. Tra di essi c’erano Mikage Seijuro e il mio maestro. Anche nell’eventualità che fossero riusciti a uccidere il terribile drago, il suo eterno potere sarebbe rimasto all’interno del suo corpo. I cinque temevano che qualcuno tra i vari regni, alla ricerca di quel potere, avrebbe reclamato per sé quel cadavere e lo avrebbe conteso agli altri. Decisero così di farsi carico ciascuno di una parte del potere di Ragnarok. Mikage bevve il sangue della creatura e ne assunse il potere dell’immortalità. Il mio maestro prese gli artigli del drago e da essi nacquero i cinque colori dell’incomparabile potere magico.”
“Aspetta un attimo, sono confusa” lo interruppe Kaguya “Questo accadde quanto tu eri un bambino?”
“No Kaguya, fu molto tempo prima”
“Ahh, non sono brava con tutte queste cose storiche. Ci sono troppe cose da tenere a mente”.
“Ah ma c’è molto di più di quella storia, ma penso che probabilmente lo serberò per la prossima volta”. Si alzò dalla sua sedia e ricominciò a rimettere in funzione le sue vecchie postazioni di lavoro. Il compito della famiglia di Grusbalesta di ricercare la natura e l’origine delle pietre magiche era cominciato molto tempo fa. Mille anni fa era stato appunto lui a scoprire che alcune di loro potevano essere potenzialmente pericolose, giusto appena prima che la guerra cominciasse. Aveva infatti teorizzato che alcune pietre magiche lasciassero come delle particolari tracce magiche che agivano come fari guida per esseri di altri mondi attirandoli vicino al nostro. In disaccordo col suo maestro, lui pensava ci fosse un motivo per il quale Ragnarok era arrivato sul loro mondo. Dai racconti di Kaguya sembrava che lei e i suoi amici fossero di recente venuti in possesso di una pietra magica assai potente quanto inusuale. Grusbalesta era stato in primis e per la maggior parte del suo tempo, un uomo di scienza. Avrebbe preferito prendersi del tempo, osservare e ricercare il fenomeno come prima che scoppiasse la guerra mille anni prima. Purtroppo stavolta le cose erano un po’ diverse. Mikage era tornato. Non aveva scelta, avrebbe dovuto chiedere il suo aiuto ancora una volta.
“Signorina” cominciò Grusbalesta “Lascia a me il compito di occuparmi del Mikage, è un compito che è passato a me dal mio maestro.”
“Non cambierai mai vero?!” una voce familiare li sorprese entrambi. In piedi sulla soglia appena fuori dal laboratorio, dove prima non c’era nulla, era apparsa Fiethsing, silenziosa come una foglia cadente.
“Zietta Fiethsing!” esclamò Kaguya, girandosi per guardare la guardiana.
“Fiethsing?! Questa si che è una sorpresa, quando sei stata risvegliata? Sembra che tu sia un pochino invecchiata”.
“All’incirca trent’anni fa penso. Significa che ora sono io il tuo collega anziano” disse sogghignando.
“Mmm vedo che trent’anni però non hanno fatto molto per il tuo livello di maturità” rimarcò Grusbalesta.
“Ah ah ah credo di si” rise Fiethsing
“Ottimo è un bene che tu sia qui. Ci sono un po’ di cose di cui dobbiamo occuparci. Nell’ordine: primo, non ti posso aiutare ma posso notare che sin dal mio risveglio ho una strana e permanente sensazione di peso nel petto. Da quello che mi ha detto questa signorina sembra che siamo testimoni del ritorno della grande nazione dei maghi: Altea”
“Quelli delle vecchie leggende? Lo sospettavo ma non ne ero sicura” ammise Fiethsing.
“Non ricordi nulla di quanto ci aveva detto il nostro maestro?”
“Welser ne aveva parlato?” Fiethsing piegò la testa di lato.
“Infinite volte. Era una nazione di grandi maghi, che lanciavano gli incantesimi in maniera differente dalla nostra. In un modo derivato da un’antica forma di magia da tempo dimenticata. Un tipo di ‘Antica Magia’ per così dire. Kaguya mi ha parlato della strana pietra magica in cui il vostro gruppo si è imbattuto. Se le pietre magiche possono agire da ‘fari’ per alcuni esseri, deve essere vero anche il contrario, queste strane pietre stanno comparendo in giro per il mondo come reazione al crescente uso dell’antica magia.”
“Ha… Non mi aspettavo nulla di meno dal grande ricercatore delle pietre magiche in persona” disse Fiethsing.
“Avresti potuto arrivarci anche da sola se solo avessi prestato più attenzione alle lezioni del nostro maestro” la rimproverò Grusbalesta. “Non divaghiamo troppo però dalle questioni che ci ritroviamo tra le mani comunque. Anche in questo momento sono sicuro che tutti percepiamo l’incombente presenza di Altea. Se le vecchie leggende dicono il vero dubito che rimarranno neutrali molto a lungo. Dobbiamo usare il tempo a nostra disposizione nel migliore dei modi. Abbiamo già abbastanza problemi e fin troppe cose da fare se contiamo anche solo Lapis e Mikage”.
Non è dato sapere se per un capriccio della natura o per una coincidenza, in quel momento esatto sia Fiethsing che Grusbalesta avvertirono una risonanza magica famigliare attraversare la terra. La vibrazione magica era difficile da rintracciare esattamente, ma non c’era dubbio che si stava propagando attraverso il regno in direzione ovest, il che voleva dire che la sua sorgente era ad est, oltre il Palazzo di Luce.
“Qualcuno ha risvegliato Moojdart” sottolineò Grusbalesta, la preoccupazione era visibile sul suo volto. “Ma c’è qualcosa di sbagliato in lei”
“Sono andata a controllare Moojdart prima di venire qui ed era scomparsa, oddio chissà cosa mi dirà Zero per questo” si lamentò Fiethsing.
“E’ di questo che ti preoccupi? Ho bisogno che tu vada a vedere cosa sta succedendo a Moojdart”
“Io?! Ma noi due non ci siamo mai prese molto eh”
“Questo non sarebbe successo se avessi ritrovato la sua pietra prima. E’ una tua responsabilità”
“ Uff… Penso di si”
“Inoltre penso che prenderò in prestito questa signorina per un po’”
“Huh?” Io? Perché?!” Kaguya saltò in piedi quando si accorse che stavano parlando di lei.
“A causa del tuo potere signorina, è certo che sia fondamentale nella nostra battaglia”
“Davvero lo pensi? Nell’altro mondo Alice era molto più forte di me” confessò Kaguya.
“Deduco sia un risultato della tua reincarnazione” disse Grusbalesta togliendosi i capelli dal viso. “Abbiamo davvero bisogno della tua vera forza, dobbiamo accedere alla conoscenza delle tue vite precedenti e per farlo dobbiamo ricostruire la luna perduta. Per ciò intuisco mi servirà il tuo aiuto per cercare la pietra magica della luna perduta”.
“Ok tutto è deciso!” Disse Fiethsing battendo le mani. “Tornerò al Palazzo di Luce e me la vedrò io con Moojdart. Kaguya fai la brava e fai tutto quello che lo zio Grus ti dirà di fare ok? Fa del tuo meglio per trovare quella pietra!”
“Okay…” rispose Kaguya “ Sembra proprio che tutto quello che ho fatto negli ultimi tempi sia stato cercare quelle vecchie pietre magiche ammuffite”
Improvvisamente, Fiethsing che era rimasta sulla soglia del laboratorio / baracca si girò con un’espressione molto seria alquanto inusuale.
“Questi tempi pacifici non dureranno per sempre. Quando verrà il tempo di combattere penserai di essere molto fortunata a dover solo cercare le pietre magiche.
“Oh… Okay zietta scusami” disse Kaguya chinando un po’ il capo come per scusarsi e quindi ancora una volta Fiethsing lasciò Kaguya.
“Bene signorina, prepariamoci per i nostri rispettivi viaggi. Procederemo insieme almeno per la prima parte del cammino.”
“Okay” rispose Kaguya, mentre ancora guardava Fiethsing camminare in lontananza. “Ma davvero piantala di chiamarmi ‘signorina’”.
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. && laurel sereed 𝐋𝐎𝐓𝐓𝐄𝐑𝐈𝐀 𝐃𝐈 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐅𝐈𝐂𝐄𝐍𝐙𝐀 ɢɪᴀʀᴅɪɴᴏ ᴅɪ ᴠɪʟʟᴀ ғɪᴛᴢɢᴇʀᴀʟᴅ #ʀᴀᴠᴇɴғɪʀᴇʀᴘɢ #ᴀʀᴄʜɪᴠɪᴏʀᴏʟᴇ
La curiosità lo aveva abbandonato da molto, quando pestò – accidentalmente – la punta di un décolleté da donna. Distratto e tediato, Ector a quel punto si vide costretto ad arrestare il suo incedere per alzare lo sguardo su colei che si rivelò presto essere una Sereed. “Tu. Non dovresti prevedere dove metti quei piedoni?” Era perfettamente conscio di esser stato lui a travolgerla con la sua stazza e il suo peso, ma preferì dare la colpa a lei piuttosto che ammettere di avere torto. E poi, quei ricconi dei Fitzgerald avrebbero potuto anche sborsare qualche soldo in più per un impianto di illuminazione migliore — loro che possedevano tutto quel ben di Dio, dannazione, invece di vantarsi della medesima ricchezza mal riposta. Ector non aveva colpa alcuna.
“Mi stai sbarrando la strada, rossa.” Soggiunse in tono più mite, osservandola dall’alto del suo quasi metro e ottanta.
Laurel Tempest A. Seered
Era il suo compleanno, avrebbe dovuto festeggiare, dare magari una festa in grande come accadeva altre persone altolocate in Ravenfire, eppure il suo desiderio di mettersi al centro dell'attenzione faceva sì che la rossa diventasse un pezzo di ghiaccio. Preferiva, infatti, di gran lunga rimanere nelle retrovie, partecipando perfino ad una lotteria di beneficenza dove conosceva ben poche persone, o almeno personalmente parlando, piuttosto di avere tutti gli occhi puntati addosso. Villa Fitzgerald era, infatti, addobbata a festa e il solo fatto di ritrovare volti conosciuti e meno, rendeva la rossa alquanto nervosa. S'aggirava silenziosa tra quegli invitati, ma fu il colpo inatteso di quella figura mastodontica a farle rivedere tutto il suo vocabolario di imprecazioni. Gli occhi della Seered s'erano trasformati in due tizzoni ardenti mentre osservava il giovane sconosciuto, o meglio qualcuno di cui aveva solamente sentito parlare. Il fatto poi che il giovane non fosse nemmeno dispiaciuto sembrava uno scherzo di cattivo gusto, ma era la realtà dei fatti. « Piedoni, eh? Grazie a Dio non mi sei salito sopra, rischiavi ancora di spezzarmi qualche dito... » Replicò piccata prima di muovere appena il piede sperando che non le avesse sporcato quelle scarpe che costavano decisamente troppo per averle messe solamente una volta. « La mamma non ti ha insegnato che si deve sempre chiedere scusa alle signorine? »
Ector Kelley
Schivo e arrogante, Ector chinò il volto per dare un’occhiata fuggevole ai piedi che aveva accidentalmente pestato. Non vide nessuna traccia di fango su nessuna delle due scarpe indossate dalla rossa, e immaginò che almeno in quello era stato fortunato; la Seered non lo avrebbe tormentato ancora a lungo con quel suo fuorviante rimbrotto. “Mia madre è morta, e non mi è mai interessato di lei né dei suoi insegnamenti, quindi perché dovrei lasciarmi indottrinare da una come te?” Le rivolse uno sguardo pieno di sdegno, guardandola dall’alto della sua stazza. Mentire era un'abitudine di cui si serviva spesso. Non era vero che sua madre era morta, la donna era in buona salute quando Ector era scappato di casa; e sebbene da allora lui non l’avesse più rivista, era certo che fosse ancora viva. “Guarda, non ti ho nemmeno sporcato.” Con un cenno del proprio capo, le indicò la punta di una scarpa che era rimasta perfettamente immacolata, per quanto poco sobria apparisse agli occhi dell’uomo. Ector puntò le sue iridi chiare sul bel volto della rossa, inarcando appena un sopracciglio. Era piuttosto perplesso— cosa ci faceva una Sereed lì fuori da sola? “Dov’è il resto della banda? Non dirmi che ti hanno scaricata anche loro.”
Laurel Tempest A. Seered
Pensava di fare una battuta ma le successive parole dell'uomo le ghiacciarono il sangue. Avrebbe voluto ribattere più prontamente, ed invece Laurel rimase lì, con un'espressione corrucciata in volto mentre il di lui sguardo continuava ad esaminarla come se fosse in qualche modo difettosa. Rimase con le spalle e la schiena diritta, ben sapendo che i capelli rossi erano la firma di tutti i Seered a Ravenfire eppure in quel momento avrebbe voluto essere decisamente meno appariscente. Non osservò nemmeno a controllare le scarpe che indossava, aveva scelto per l'occasione un paio di sandali dai listini rossi ma fu quell'ennesima insinuazione a farle inarcare un sopracciglio e farle così assumente una posizione decisamente più morbida con le braccia conserte. « Vedo che sei molto informato sulla mia vita, eppure ti sfugge un piccolo grande fatto... Io non ho bisogno di una banda per andare a una festa. » Replicò osservando con attenzione quelle iridi che le scavano dentro in modo profondo, facendola sentire perfino a disagio. La persona che le stava di fronte era potente, ne sentiva la forza emanata dalla sua sola presenza, ma non avrebbe mai potuto dire che cosa fosse. L'uomo, Ector Kelley, era famoso per essere una spina nel fianco a molti, era proprietario dell'officina dove spesso vedeva alcuni suoi compagni di classe, ma mai una volta la veggente era stata in grado di avvicinarsi, in qualche modo ne aveva quasi timore. Bruciava di rabbia nel sentire quella semplice battuta eppure, non era forse la verità? « Io... Indottrinare, addirittura? Non pensavo che potessi usare un linguaggio così forbito. Pensi di fare colpo? »
Ector Kelley
Tutto si sarebbe aspettato, men che meno di subire le paturnie di una rossa appartenente al clan di Edward Sereed. Ector non capiva per quale motivo, e con quale forza d'animo, quel noto uomo avesse deciso di rovinarsi la vita mettendo su un'intera squadra di calcio. Il dooddrear, al posto suo, sarebbe andato in esilio nei boschi di quella tremenda cittadina, a dar da mangiare alle capre piuttosto che serrarsi in casa a metter su bambini su bambini. Ovunque guardasse, vedeva solo testoline rosse. " Punto a indovinare. Sono molto bravo in quello. " Abbassò lo sguardo sul visino cuoriforme della rossa, accennando un sorriso che aveva tutta l'aria di essere indisponente— l'unico mezzo che aveva per far capire alla sua interlocutrice che non gli andava di conversare con lei senza ricorrere a fatti di cui si sarebbe pentito subito dopo. Stava partecipando a un evento pubblico, non poteva permettersi di esercitare la sua natura dooddrear davanti a un membro di una famiglia così importante. " In verità conosco parecchie espressioni antidiluviane, se è questo che ti interessa sapere. Ha funzionato, no? Ho fatto colpo su di te. " Disse, allungando distrattamente una mano verso un cameriere che era in procinto di passare loro accanto. Riuscì ad appropriarsi di un calice di champagne, unicamente per sé. Serviva pur qualcosa di forte per ingannare quella che si prospettava essere una lunga e incresciosa attesa. Ector aspettava solo che la rossa si togliesse dai piedi.
Laurel Tempest A. Seered
Più osservava il giovane di fronte a lei, più la Seered sentiva alla base della schiena un brivido che le diceva di indietreggiare e allontanarsi. Era forse spirito di sopravvivenza quello che sentiva scorrerle nelle vene, eppure la testardaggine della rossa era ancestrale. Uno sguardo più attento rivelò quanto fosse indisponente nei suoi confronti, di certo non che le importasse. Inspirò a lungo quando lo vide prendere un calice di champagne, prima di stamparsi sulle labbra il sorriso più divertito che poté. « Questo lo dici tu... » Roteò gli occhi in un'espressione quasi scocciata prima di sfilare dalle di lui mani il flute e portarlo alle labbra. Ne gustò così il sapore frizzante che scendeva sempre più velocemente lungo la sua gola, prima di replicare con fare decisamente più civettuolo di quanto non fosse. « Beh, grazie per lo champagne... E per la cronaca, ci vuole ben altro per entrare nelle mie grazie e fare colpo, Kelley. » Con un sorriso sghembo sulle labbra, Laurel gettò indietro la sua immensa massa di capelli e si voltò in direzione del prossimo buffet che non attendeva altro di essere aggredito dalla rossa.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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