#e io ho i miei punti
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bon gasperini non state ancora vincendo mo lo metti lookman o no
#non sto neanche guardando non mi interessa più di tanto sono a +13 o meglio mi interessa più per il cagliari perché sono legit a -7 che#non è poi così lontano#(scherzo non sono preoccupato del cagliari però i'm not wrong am i ................... si ride per non piangere)#voglio solo i punti del fantacalcio. possono pareggiare tipo 2-2 con doppietta di lookman così il napoli ha la chance di riagganciarli#e io ho i miei punti#(ovviamente non succederà nulla di tutto ciò perché sono sfigato in culo però va bene lo stesso)#nico rambles
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IO SONO FORTE... perché conosco i miei punti deboli... IO SONO BELLISSIMA... perché sono consapevole dei miei difetti.... IO SONO SENZA PAURA... perché ho imparato la differenza tra illusione e realtà... IO SONO INTELLIGENTE... perché ho imparato dai miei errori... IO POSSO RIDERE... perché ho conosciuto la tristezza... IO SO AMARE... perché ho conosciuto la perdita e, non c'è cosa peggiore... AMATE AMATE AMATE SEMPRE!!!
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la consulente di crescita sul lavoro che mi è stata affidata (non ho ancora capito ma io credo sia una psicologa anche se lei dice di no ma tant'è) mi ha fatto fare quei test che ti fanno anche quando vai dallo psichiatra per la diagnosi di eventuali disturbi di personalità/ dell'umore ecc solo con domande totalmente incentrate su lavoro, su come lavoro, cosa faccio a lavoro, come mi comporto al lavoro e via dicendo.
è venuto fuori un quadro, come dice lei "parecchio interessante" dove delinea delle cosiddette linee guida per poter diciamo potenziare i miei punti "carenti" come persona ma ovviamente applicati in ambito lavorativo.
non so per certe cose l'accuratezza mi ha messo paura tanto che io non ci credo per niente che lei non sia una psicologa o comunque una figura simile del settore perché davvero certe cose, avrebbe potuto dirmele solo la mia psicologa che comunque mi conosce da anni.
in ogni caso, mi ha chiesto di scrivere una specie di lettera, relazione sulla mia persona, su come vorrei migliorare, i miei sogni, i miei desideri e non so, mi sembra di essere tornati alle superiori prima che la mia testa si rompesse. da un lato vorrei dirle tutti i sogni che ho ucciso, quelli che ho distrutto, quelli che ho lasciato marcire in un cassetto, quelli spezzati da altre persone, da un altro lato non so bene fino a che punto espormi perché in questi giorni fatti di cambi di terapie ed emotività a brandelli l'unica cosa che vorrei sarebbe: crepare.
vorrei essere sincera ma mi sa che così sia un po' too much.
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- Queste scarpe mi uccidono….., dico con una smorfia mentre mi lascio cadere sul divano e ne sfilo una….
Siamo di ritorno dal matrimonio di mia nipote. Ovviamente, come nonna della sposa, sono stata particolarmente attenta a presentarmi elegante e a posto, sapendo che avrei avuto con il resto della famiglia gli occhi addosso degli altri invitati.
Ma forse alla mia età non posso più permettermi di tenere i tacchi alti per tante ore….
- Vu….vuoi che ti aiuti, nonna?
A parlare è mio nipote, l’altro, il maschio, più piccolo di sua sorella la sposa. È lui che mi ha riaccompagnato a casa. Ci siamo divisi in più auto dopo la cerimonia e Marco mi ha fatto da autista. Sotto casa, gli ho detto di salire con me. Sembrava contento.
Adesso, quella frase mi ha un po’ sorpreso. Lo guardo. È arrossito. Però non so che dire, è una offerta così dolce….
Si inginocchia davanti il divano. Sfila una scarpa con delicatezza. Prende il mio piede tra le mani. Comincia a massaggiarlo. Sono ancora più stupita, ma devo ammettere che era proprio ciò che mi ci voleva…..
- A…a…anche l’altra, nonna?
Non rispondo, ma gli porgo il piede. Sfila anche l’altra scarpa. Le sue dita mi massaggiano i piedi. Avvolgono i talloni. Passano delicatamente sotto la pianta. Inarco il piedino. Massaggia, o dovrei dire piuttosto accarezza, le dita.
Mi sfugge un gemito. - Sei bravo….
Il massaggio è ancora più intenso. E me lo godo. Avvolge con le dita la caviglia, pressa nei punti giusti. È tutto intento nel suo lavoro, lo guardo ma tiene il capo chino, non lo solleva nemmeno verso di me.
- Ma dove hai imparato?, dico ridendo.
Mi sembra che inghiotta a vuoto. - V..vu…vuoi che smetta, nonna?
- oh no, assolutamente, rispondo e inarco ancora i piedini.
- Ha…hai dei piedi bellissimi, nonna….
Che dolce complimento. Da mio nipote, ma pur sempre un complimento, e per una vecchia signora….
- Lo pensi davvero o lo dici solo per fare contenta tua nonna?
Che perfida che sei, così lo metti in imbarazzo, il cucciolo.
Ma lui continua, quelle dita, quello sfiorare delicatamente, ora la monta, ora la pianta dei miei piedini, mmm, non riesco a non pensare a quanto siano sensuali quelle carezze. Cosa mi sta succedendo?
- Si, lo p…pp…penso….
-Grazie Marco, quelle scarpe sono eleganti, ma così strette……
Mi sfugge ancora un gemito, quando Marco prende un piede fra le mani e lo porta alle labbra, e le poggia sopra, per un bacio.
O forse sono stata io a spingere il mio piede verso la sua bocca, fino a premerlo sulle sue labbra….
Che importa. Adesso è la pianta, poggiata sul suo viso, che lui bacia. E poi le dita. E poi di nuovo la monta, e la caviglia, risalendo, finché non è la punta della sua lingua che sento attraverso le calze sulla pelle e lui che comincia a leccare piano la gamba….
Potrei fermarlo, certo, allontanarlo, tirare indietro le gambe, sgridarlo…..Invece poggio l’altro piede sulla sua guancia e lo uso per accarezzargli il viso….
- N…no…nonna, hai delle c..ca….calze bellissime, mormora in un sussurro, senza smettere di baciarmi e leccarmi le gambe.
- Davvero ti piacciono le mie calze, amore?, gli dico mettendo una mano sulla sua testa, le dita fra i capelli.
- e….la …riga…., sussurra ancora. Quelle scarpe, con quei piccolissimi pompon, che sapevo avrebbero guidato gli occhi sulla riga delle mie calze….non ho fatto male a metterle, proprio no….
La sua bocca è risalita, mi bacia sulle ginocchia, ora. Si ferma. Solleva finalmente il viso. I nostri occhi finalmente si incrociano.
- s…scu…scusa, nonna. Ho perso la testa…., lo dice strozzato, quasi un singhiozzo.
- Tu solo?, è la mia risposta. Con le dita laccate stringo il suo viso fra le mani. E, dolcemente lo attiro verso il mio grembo. Lo guido a continuare e baciare e leccarmi le calze, mentre allargo le gambe e lo attiro in mezzo alle mie cosce.
Quando le sue labbra arrivano a sfiorare le mutandine di pizzo, emetto un gemito più forte degli altri e un incontrollato riflesso mi fa stringere le cosce sul suo viso. Le sue labbra sentiranno le mutandine bagnate.
Stamattina le ho indossate sopra il reggicalze. Sarà facile farmele sfilare per poi farmelo su questo divano.
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Ho dimenticato di dimenticarti.
Non te la prendere, problema mio.
Che sotto la doccia un po’ ti penso.
E spesso rido. E spesso piango.
Ma non si vede: acqua nell’acqua.
E non si sente: vuoto nel vuoto.
I miei pensieri pesano poco.
prendono il volo
il tuo, però, è ancora qua
nella mia testa, tra le mie gambe
sopra la schiena, dentro le ossa
non se ne va.
E chiudo spesso gli occhi senza pensare a niente.
E metto spesso le cuffie senza ascoltare niente
E stringo spesso le mani senza afferrare niente.
Ti chiuderei a giro sulla mia pelle in questo istante
per fartela sentire quanto è forte
questa voglia di rinascere
che senza te, però, non ce la fa a partire.
Ci vorrà un bel po’ per riprendere a mangiare.
Riesce a farmi schifo
persino l’aria che respiro.
Converrai da te
che la situazione è alquanto grave.
Io ti ho avvisata
ora vedi che puoi fare.
Ho fatto crescere i capelli
così posso disfarli come un letto.
A te ne non sono mai piaciuti
dici che un uomo deve
tenerli sempre corti.
Questione di gusti.
Talvolta l’intelligenza
è tutta nel baciare
i punti giusti.
Ho dimenticato di dimenticarti.
Non te la prendere, problema mio.
Questa mattina ho fatto un sogno.
Era d’estate. Faceva caldo. Nevicava.
Dicevi: sei il mio miracolo più bello.
Io prima ti ho baciata
poi ti ho risposto: non credo nei miracoli.
E forse il mio problema è proprio quello.
Non credo nei miracoli
e forse il mio problema, è solo quello.
Andrew Faber
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Dopo aver postato i miei addii alla chihuahua Minù e al gatto Alvin, scomparsi davvero troppo presto e a distanza di trentasei ore tra di loro, ho potuto constatare quanto la presunzione di superiorità dell'essere umano sia di quanto più lontano dall'essere davvero umani.
Semmai disumani.
Per molti lo strazio che alcuni esseri umani provano per la scomparsa di un animale domestico è una deriva.
Una preoccupante deriva, dove si pongono sullo stesso piano i nostri amici a quattro zampe con la vita di un altro essere umano.
Non credo che una persona psicologicamente equilibrata voglia mai paragonare la perdita di un cane o di un gatto con quella di un genitore, di un amico o un altro parente.
Ma resta sempre un dolore comunque, che può essere molto profondo se per la persona colpita dal lutto, l'animale, era tutta la sua famiglia. Nessun altro.
Un vuoto resta un vuoto.
A prescindere da tutto questo mio preambolo, per esperienza personale, posso dire che il vedere morire un essere umano e vedere morire un animale che ha condiviso la sua vita con te ha dei punti in comune.
Lo sguardo. Ti cercano come per avere la conferma che non saranno soli, in quel momento, che qualcuno a cui hanno voluto bene sia lì con loro.
Ho visto morire mio padre, mi ha guardato e poi con un sorriso ha guardato in alto ed è spirato.
La mattina che Alvin è morto ero uscito per un appuntamento di lavoro, dovevo portarlo al mio rientro dal veterinario eppure prima di uscire, mentre mi ero chinato su di lui per confortarlo, mi ha guardato e con la zampa mi tratteneva il braccio. Usando gli artigli.
Ho interpretato dopo, quando rientrando di corsa l'ho trovato riverso a terra, che probabilmente mi stava chiedendo di non andarmene. Di restare lì con lui.
Ho letto un post recente dove un veterinario affermava che 9 su 10 i proprietari di cani o gatti non vogliono assistere al trapasso dell'animale.
Che questi prima di essere sedati per il trapasso cercano con lo sguardo colui, o colei, per cui è valsa la pena vivere scodinzolando o facendo le fusa.
Molti credono che gli animali non abbiano un'anima, eppure animale è una parola che viene dal latino "animalis" che vuol dire "animato" o qualcosa che crea la vita. Affine al greco "anemos" (vento, soffio) e al sanscrito "atman", di uguale significato.
Anche mio padre cercò qualcuno e c'ero solo io. Altri erano usciti dalla stanza. Qualcuno addirittura se n'era andato, con una scusa.
Eppure l'essenza della riconoscenza verso un'anima sta proprio nello stargli vicino, quando quell'anima lascerà il suo corpo terreno.
Non si dovrebbe privare nessuno di questo riconoscimento, a meno che la morte non giunga inaspettata e all'improvviso sia chiaro.
Nel corso della propria esistenza le persone hanno svariati interessi e priorità. Ma per gli animali, quello che noi definiamo il loro padrone, è la cosa più importante di tutto. Di tutti.
Lo sguardo degli umani, durante l'esistenza, cambia a seconda dei sentimenti. Che sia amore o rabbia, a volte anche odio.
Ma nel momento in cui una persona capisce che è giunta la sua ora cerca il perdono, oppure di perdonare.
Un cane o un gatto non si devono far perdonare nulla da chi li ha amati. Ti guarderanno con lo stesso sguardo del primo giorno che li avrete visti. Con amore incondizionato.
Perché nell'attimo in cui se ne vanno, inizia il ricordo e l'amore si consolida nel cuore. Per alcuni umani invece rimane anche una parte di rabbia e di cose incompiute.
E nell’attimo in cui tutto finisce, niente finisce
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Umberto Eco: “Come va?”
Icaro: “Uno schianto”
Proserpina: “Mi sento giù”
Prometeo: “Mi rode…”
Teseo: “Finché mi danno corda…”
Edipo: “La mamma è contenta”
Damocle: “Potrebbe andar peggio”
Priapo: “Cazzi miei”
Ulisse: “Siamo a cavallo”
Omero: “Me la vedo nera”
Eraclito: “Va, va…”
Parmenide: “Non va”
Talete: “Ho l’acqua alla gola”
Epimenide: “Mentirei se glielo dicessi
Demostene: “Difficile a dirsi”
Pitagora: “Tutto quadra”
Ippocrate: “Finché c’è la salute…”
Socrate: “Non so”
Giobbe: “Non mi lamento, basta aver pazienza”
Onan: “Mi accontento”
Sheherazade: “In breve, ora le dico…”
Boezio: “Mi consolo”
Carlo Magno: “Francamente bene”
Dante: “Sono al settimo cielo”
Giovanna d’Arco: “Si suda”
San Tommaso: “Tutto sommato bene”
Erasmo: “Bene da matti”
Colombo: “Si tira avanti”
Lucrezia Borgia: “Prima beve qualcosa?”
Giordano Bruno: “Infinitamente bene”
Lorenzo de’ Medici: “Magnificamente”
Cartesio: “Bene, penso”
Berkeley: “Bene, mi sembra”
Hume: “Credo bene”
Pascal: “Sa, ho tanti pensieri…”
Enrico VIII: “Io bene, è mia moglie che…”
Galileo: “Gira bene”
Torricelli: “Tra alti e bassi”
Desdemona: “Dormo tra due guanciali…”
Newton: “Regolarmente”
Leibniz: “Non potrebbe andar meglio”
Spinoza: “In sostanza, bene”
Hobbes: “Tempo da lupi”
Papin: “Ho la pressione alta”
Montgolfier: “Ho la pressione bassa”
Franklin: “Mi sento elettrizzato”
Robespierre: “Cè da perderci la testa”
Marat: “Un bagno”
Casanova: “Vengo”
Goethe: “C’è poca luce”
Beethoven: “Non mi sento bene”
Schubert: “Non mi interrompa, per Dio”
Novalis: “Un sogno”
Leopardi: “Sfotte?”
Foscolo: “Dopo morto, meglio”
Manzoni: “Grazie a Dio, bene”
Sacher-Masoch: “Grazie a Dio, male”
Sade: “A me bene”
D’Alambert e Diderot: “Non si può dire in due parole”
Kant: “Situazione critica”
Hegel: “In sintesi, bene”
Schopenhauer: “La volontà non manca
Paganini: “L’ho già detto”
Darwin: “Ci si adatta”
Livingstone: “Mi sento un po’ perso”
Nievo: “Le dirò, da piccolo…”
Nietzsche: “Al di là del bene, grazie”
Mallarme’: “Sono andato in bianco”
Proust: “Diamo tempo al tempo”
Henry James: “Secondo i punti di vista”
Kafka: “Mi sento un verme”
Musil: “Così così”
Joyce: “Fine yes yes yes”
Nobel: “Sono in pieno boom”
Larousse: “In poche parole, male”
Curie: “Sono raggiante”
Dracula: “Sono in vena”
Picasso: “Va a periodi”
Ungaretti: “Bene (a capo) grazie”
Fermi: “O la va o la spacca”
Camus: “Di peste”
Matusalemme: “Tiro a campare”
Lazzaro: “Mi sento rivivere”
Giuda: “Al bacio”
Ponzio Pilato: “Fate voi”
San Pietro: “Mi sento un cerchio alla testa”
Nerone: “Guardi che luce”
Maometto: “Male, vado in montagna”
Savonarola: “E’ il fumo che mi fa male”
Orlando “Scusi, vado di furia”
Cyrano: “A naso, bene”
Alice: “Una meraviglia”
Verga: “Di malavoglia”
Heidegger: “Quante chiacchiere!”
Grimm: “Una favola!”
Umberto Eco - "Il Secondo Diario Minimo"
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Oggi è il due di gennaio, fa freddo e per strada i resti dei botti di Capodanno... Sorrido mentre col passo lesto vado al nostro primo incontro del nuovo anno. Mi piace sfinirlo, vero, ma ammetto che la mia indole sub mi porta a prendermi cura del mio amato D. e a regalargli piccoli gesti "normali": acquisto al volo un millesimato e i baci di dama, quanto occorre per farci riprendere dopo la devastazione. Mentre lo attendo in camera penso a quello che abbiamo vissuto nel precedente anno e a quello che sarà. Sicuramente viverci non è sempre facile, ma ne vale la pena. Oggi riusciremo a trascorrere soltanto qualche ora insieme per miei impegni ma mi riprometto guardandomi allo specchio di godermi ogni singolo istante. Quando uso il termine "godere" lo faccio consapevole che sarà tanto piacevole quanto duro. A interrompere i miei pensieri il tocco inconfondibile alla porta. Mi precipito ad aprire ma la maledetta stavolta non ne vuole proprio sapere di spalancarsi e, mentre cerco quasi di buttarla giù, penso a lui dietro e lo sento ironizzare sulla mia goffaggine. Dopo diversi tentativi finalmente riesco ad aprire ed ecco davanti a me il mio amato D. È bellissimo, come sempre, e davanti al suo sorriso mi sciolgo. Iniziamo a baciarci, a toccarci e, ormai una routine, mentre lui inizia a sbottonarsi la camicia io saluto il mio cazzo: lo ammetto, apprezzo i convenevoli ma poi vado al sodo, anzi al duro in questo caso. Sono già eccitatissima, la mia fica non mente, e D. dopo averne apprezzato lo stato "indecente" , le dà colpi solenni mentre mi bacia o mi afferra dai capelli. Sentirmi nelle sue mani rimane per me lo scopo principale, indipendentemente da quello che decidiamo di fare e da come lo faremo. "Ho portato un nuovo gioco", mi dice con tono canzonatorio mentre fruga nel suo zainetto, e da lì a poco un divaricatore appare al mio cospetto e finisce quasi subito nella mia fica. Ricordo che da bambina impazzivo di gioia nel guardare col cannocchiale dei punti della mia città, presa da un euforica voglia di scoprire dettagli nascosti: D. ha quello sguardo mentre guarda curioso e compiaciuto la mia fica spalancata. Il mio Padrone si scatena su di me e io mi sento ancora una volta una gran Troia mentre mi maneggia "con poca cura". Doppia anale, pompini durissimi, inculate feroci e fisting "fronte-retro" mi provano duramente: urlo e mi dimeno a tratti cercando un po' di aria per poi aggrapparmi con più forza al suo culo e chiedergli di farmelo sentire dentro fino ai coglioni. Andiamo avanti così fino al momento della pisciata: avevo ricevuto il divieto di urinare dalle otto in poi, ordine che ha favorito una bella pioggia dorata, finita in ogni parte del mio corpo e poi sul suo cazzo. Dicevo poco prima che amo prendermi cura del mio D, capirete quindi che dopo averlo pisciato l' ho ripulito per bene leccandolo come del resto fa una brava Cagna devota al suo Padrone. Come una Cagna che non molla l' osso, sono concentrata sul suo cazzo, asta benedetta che non fa attendere a lungo la sua risposta: una dura inculata con la testa nel cesso, come piace. a me, e infine la sborra che porto a casa camminando per strada col culo stretto. Ho iniziato il racconto del giorno con una bottiglia di millesimato e dei baci di dama: due bicchieri pieni, un brindisi a noi, la bottiglia con il rimanente prosecco prima nella fica e poi nel culo per una bella doccia anale. Auguri amore mio, uomo straordinario che mi regali momenti indimenticabili, attenzioni e tanto amore. Il nuovo anno lo abbiamo iniziato col botto. Ti lascio senza fiato anche stavolta e mentre ti bacio e tu invochi il defibrillatore, con quel filo di voce rimasta, mi dici:" Visto come siamo bravi vecchia mia?'Supero il "vecchia" saltandogli addosso con le forze rimaste e coprendolo di baci, tanti baci dappertutto mentre le nostre mani si intrecciano e lui mi accarezza placandomi. Sono dove vorrei essere, con chi voglio essere e come voglio essere e tutto è bene quel che comincia e finisce con lui...e il suo pene
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Ho i miei punti di vista e mi trascino certi ideali da quando andavo alle scuole elementari, quando seguivo con il naso da cane un mio compagno di classe che umiliava una pizza ripiena di mortadella. La mangiava lentamente, con piccoli pizzicotti da topo davanti ai miei occhi anelanti, senza chiedermi mai se volessi assaggiarne un piccolo pezzo. Che carogna!
Lo stesso accadeva quando mia madre portava me e tutta la ciurma di cuginetti alla spiaggia libera di Castelporziano. Almeno in dieci sotto un unico ombrellone, un panino per pranzo e niente gelato, viste le finanze di mia madre. La cosa sembrava possibile solo a chi già teneva i soldi. Era il caso dell'ombrellone della famiglia Falasconi. Il papà, costruttore, che sfoggiava un canotto con i remi, sei posti, giocattoli marini che ancora oggi si ritrovano nelle reti dei pescatori e il gelatone per il figlio ogni due ore. Lui, con quella faccia di caxxo da figlio unico e viziato, con la stazza di quattro gemelli, ingurgitava vergognosamente quella gigantesca “Coppa Olimpia” e io che guardavo con la lingua penzoloni. Ma al nostro gruppo di ragazzini-pirata squattrinati quel malessere durava poco e al grido" l'ultimo puzza" correvamo verso le onde, alzando una tempesta di sabbia che il Falasconi doveva ingerire insieme al suo gelato!
Da allora i miei punti di vista non sono mai cambiati anche se adesso di gelati potrei comprarne 100 al giorno: la solidarietà, la condivisione, il rispetto, l'onesta', il disagio verso le ingiustizie.
@ilpianistasultetto
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La rotta la traccio io.
“Sarò, sempre, un po’ distante”. L’ho scritto nel testo introduttivo di questo blog, e lo ribadisco. Lo sono, e lo sarò sempre più. Perché? Perché quando sono troppo presente, vengo punito. O meglio: quando mi spoglio completamente, quando mostro completamente me stesso per ciò che sono. Mi è capitato anche di recente, con una ragazza che certamente mi starà leggendo. Non sono arrabbiato con lei, davvero, ormai quello della rabbia è un moto che riservo a cose più grandi di me, e non alle persone. Sono semplicemente riflessivo, analizzo la realtà, traggo le mie considerazioni. È evidente ch’io non sia per tutti, che sia difficile gestirmi. È per quello che me ne sto sempre qui da solo, non scrivo a nessuna, mi faccio gli affari miei. Cerco di essere presente il meno possibile, quel tanto che mi basta per sfogarmi quando ne ho bisogno, senza manie insensate di protagonismo. Ovvio, parlo e parlerò sempre di me, nei miei post, ma il tutto finisce entro questo spazio. Chi mi contatta privatamente (e ogni tanto, qualcuna, a quanto pare lo fa) deve sapere che fa male. Tutto qui. Perché poi, se mi si dà corda, si finisce per essere travolti, abbagliati da una luce accecante. È risaputo che voglio dominare, che voglio persuadere, sedurre, condizionare. Che voglio far impazzire colei che incautamente decide di avvicinarsi a me. È così, e non potrebbe che essere così, perché la mia natura è questa. Il mio affetto, il mio amore, la mia attenzione si esprimono attraverso “il polso”, attraverso quella voglia intrigante di piegare a mio volere e piacimento. Non cerco né ho mai cercato la massa, ma solamente quell’unicità da poter imprimere a fuoco a mio piacimento. Posso dare tutto, ma alle mie condizioni. Posso portarti sino al punto più alto del sogno più bello, ma solo se sei con me. Se vuoi fare di testa tua, se vuoi ribellarti, se vuoi fingere di essere migliore di me, sbagli in partenza. In quasi ogni rapporto interpersonale degno di questo nome c’è quella fase in cui la ragazza si rende conto che quello che prova per me è divenuto, in fretta, troppo grande. Insostenibile, perché comporta il rischio della felicità. Subentra la paura, la paura di perdermi, di non essere alla mia altezza, di diventare dipendente. Non posso farci niente, è così e basta. Per quello non mi arrabbio. So quanto valgo, so chi sono e conosco pertanto sia i miei punti di forza che quelli deboli. L’auto-isolamento me lo sono imposto per preservarmi, per difendermi da chi vuole affacciarsi dal balcone, ma subito dopo andare via. Da chi ha paura di cadere di sotto. Con me non puoi tornare indietro, per quello è meglio evitare proprio di affacciarsi. Io, in qualche modo almeno, resto per sempre. E chi mi ha conosciuto lo sa. Ci rimetto sempre io? Sì ok, pazienza. Ormai sono abituato. Ma non crediate che io non capisca, perché capisco benissimo. E vi comprendo anche. Ma non per questo cambio rotta. La strada la decido io, sta a voi poi seguirla o meno. Questa è la libertà che vi lascio.
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Raggiungerò il Nirvana quando i miei genitori comprenderanno che durante le festività dobbiamo andare a mangiare al ristorante.
1- facciamo girare l’economia
2- non dobbiamo cucinare
3- non si sporca casa
4- IO NON HO ROTTURE DI CAZZI PER I PUNTI 2/3 CHE POI MI TOCCA AIUTARE E IO VOGLIO STARMENE SUL DIVANO A FARE UNA RICCA SEGA
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scorre qualcosa in me di non so dove
qualcosa che mi fa guardare altrove
qualcosa che mi delinea il viso,
mi nasconde il sorriso
qualcosa che non so e affonda in un passato molto remoto
forse risale all'epoca di Gengis Khan coi suoi mongoli, agli arabi coi loro mori, alla loro musica e alle loro religioni, forse io sono nata proprio quando niente eravamo.
e se quando ballo mi sento così libera
forse è proprio la mia eredità di un'altra vita, un'altra terra, un'altra fatica.
forse ho radici di chissà dove e sono qui, a pensare di essere veramente di questa nazione.
forse le due voglie che ho addosso rappresentano i punti in cui mi hanno ferita, e i due nei che ho addosso sono i punti in cui mi hanno amata.
non so se ci sia un senso ai miei occhi, al mio collo, al mio sguardo, al mio bacio, alle mie labbra e al mio naso.
non so quale sia la storia dietro ognuno dei miei dettagli. magari sono mille storie d'amore, qualche violenza e dolore.
magari sono mille storie di una sola notte, e tante donne in una sola.
magari io sono proprio
tante di quelle donne che fui un'altra volta, un'altra vita, e sono tutte qui ad amare ancora e baciare te tra le dita.
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Lavoro in uno dei punti vendita di punta dell'azienda, uno degli ultimi nati nei quali la proprietà ha deciso innovare, osare e, in generale, spendere: abbiamo la tecnologia più avanzata, il materiale più appariscente e il personale più giovane e piacente.
Tutto è nuovo ed è bello ed è in grande quantità.
Tutto eccetto i transpallet.
Il transpallet è quello strumento tramite il quale interi bancali di merce, a volte molto molto pesanti, vengono movimentati in magazzino o nello store assolvendo a una delle necessità della grande distribuzione, cioè la merce deve fluire.
Il punto vendita dove lavoro ne ha una così scarsa disponibilità che, nelle ore di maggiore intensità del lavoro, essi risultano irreperibili: chi riesce a ottenerne uno manuale (il più semplice, quello che funziona a spinta) solitamente lo fa a scapito della propria integrità e onestà, attuando raggiri e soprusi meritevoli di galera. I transpallet elettrici, invece, sono tacitamente a uso esclusivo della Drogheria, reparto che, forte della sua grandezza e dei suoi magazzinieri, ne rivendica un utilizzo assoluto con tecniche che non rifuggo dal definire mafiose; figurarsi che una volta ho viso il capo di questo reparto guidarne due elettrici contemporaneamente (cosa che, vi assicuro, è al limite della possibilità fisica e ben oltre il codice di sicurezza del lavoro), pur di non permetterne ad alcuno l'utilizzo.
Va da se che io, introversa e stupida, non riesca a usarne praticamente mai alcuno: in generale l'idea di dover girare il negozio, tappa dopo tappa, per elemosinare l'utilizzo di un transpallet - conscia che difficilmente ne otterrò comunque uno - mi fa venire il vomito: ci sono state volte che, pur di non dovermi imbarcare in questa impresa disperata, ho preferito sbancalare a braccia pesi considerevoli per i miei 45 chili di addetta vendita (e di peggio ho visto fare a colleghi altrettanto sfortunati).
E' come se la proprietà, dopo aver speso fantastirliardi per le etichette elettroniche e il wi-fi, fosse arrivata alla voce di bilancio "cose meno cool, me indispensabili per lavorare senza infortuni" e avesse tirato una linea.
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Poesia di https://www.tumblr.com/scorcidipoesia
…mi hai trovato, mi è venuta questa febbre che non so curare. Le parole addormentate sono rinate e mentre ti vivo di nascosto, nella tua indifferenza di uomo cieco e sicuro di se’ , io sono fiume. Ho margini che vogliono trattenerti, sono spina che vorrebbe pungerti, sono una spiaggia che aspetta il tuo corpo per offrirti le dune su cui combattermi e poi dormire, sono il fianco che vorrebbe l’impronta della tua mano e il sentiero morbido che vorrebbe diventare trapunta di brividi e stelle. Chiudere gli occhi e dimenticare, ricostruire la mia città interiore con le tue mura, diventare una fortezza inespugnabile in cui essere noi senza ricordi o smarrimenti poiché tutto è andato. Tutto si è risolto. La sola verità è ciò che ancora deve avvenire, senza metafore o gonfie attese ma potessi ora sentire la mia mano, potessi averla sul volto e toccare il tessuto della mia pelle che ti inventa, potessi disegnare il tuo volto si, fingerei di essere cieca e ancora continuare a inventarti mentre finalmente inizieresti a guardarmi e a scoprirmi prima che la potenza della vita e dei giorni veloci mi porti via, lontana da te, distratta da te ora così materiale e al primo posto nel mio sentire, rimani così a dominare i miei pensieri, metti i tuoi punti sul mio corpo e segna le frontiere , i mondi , l’eternità
2022
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LA CANZONE DI REBECCA
"Questa di Rebecca è la storia vera che scivolò fuori dal cuore in una fredda sera ma un padre che la vide così bella da quel cuore la portò sopra a una stella"
Così figlio 2 e Rebecca si sono lasciati. Sono cicli della vita, che sinceramente ti aspetti quando a intrecciarsi sono due cuori così giovani e, sotto alcuni punti di vista, acerbi.
Però da padre sono dispiaciuto. Molto, non nascondo il fatto di essere commosso mentre scrivo questo capitolo di vita da padre.
Credo che l'esperienza della vita di una persona sia costituita da tanti mattoncini, ognuno portato da chiunque sia passato per quella vita.
Chi avrà portato tanti mattoncini, chi meno. Ma anche solo uno contribuirà alla costruzione dell'esperienza di vita in quella persona.
Spero che Gabriele (mio figlio) e Rebecca si siano donati tanti mattoncini, su cui posare le basi delle loro future vite sentimentali.
Una separazione decisa insieme, questa è già una prova di maturità, dove entrambi sembrano aver affrontato questa decisione con serenità. Anche se sono convinto che alcuni ricordi rimarranno per sempre, perché i momenti vissuti amando non si dimenticano mai. Almeno così dovrebbe essere. Io me le ricordo i miei. Tutti, ancora oggi.
Devo dire che a me mancherà tanto, era la figlia che non ho e avrei tanto desiderato. Così simile ai miei colori di carnagione e di capelli.
Sto pensando a questa separazione, mi rendo conto di quanto nella vita, a volte, le separazioni siano necessarie; necessarie per ricominciare e non stare immobili.
Che il dolore, quando è condiviso, insegni molto quanto e come le gioie condivise.
Restare uniti in abbracci freddi e senza più sentimento, non permette di vivere la propria esistenza. Diventa come una prigione dell'anima. Diventa necessario separarsi.
Esiste chi non l'ha fatto e se n'è pentito, chi lo ha fatto e ha capito che doveva farlo prima. Ma esiste anche chi, per questa scelta, ne sta pagando le conseguenze.
Ma Gabriele e Rebecca sono così giovani, così estremamente impetuosi e immaturi da vivere il tutto come un'esperienza. Probabilmente senza tragedie.
Mentre io così dannatamente invecchiato e attempato, vivo con malinconia questa vicenda.
Era, anzi è, anche nel mio cuore Rebecca, sempre grata nel salutarmi per essere stata accolta e protetta, coccolata, ogni volta in casa nostra.
Quel tuo saluto, accompagnato dal gesto della mano, mentre ti dicevo ti "aspetto presto", probabilmente, è stato l'ultimo come padre di colui che amavi. Non ti vedrò mai più così.
"Dicono poi che mentre sulla porta mi salutavi dal suo cuore già fuori scivolavi e io che non ti voglio vedere come un'ombra ti ricorderò mentre mi saluti sull'uscio della mia porta"
Buona vita ragazzi, buone cose ai vostri cuori pulsanti e pieni di energia.
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È l’ultima lettera d’amore che ti scrivo.
È stato un lungo cammino, da quel primo giorno che sono entrata nello studio della psicologa.
Ero arrabbiata, delusa, incazzata con il Mondo e con me stessa, ho preso un sacco di decisioni di merda e la serenità sembrava così lontana, da diventare impossibile da raggiungere.
Eppure oggi, mi ha dato un foglio, una penna e mi ha detto “ora, sei pronta a dirle addio”.
Sai, in fondo ho sempre saputo che sarebbe finita così… ed è per questo e per altri mille motivi, che non sono mai riuscita a dirti “ti amo”.
Te lo dico ora, perché ti amavo.
Ti amavo perché eri come uno di quei giorni di fine marzo, che è Estate sotto i raggi del Sole ed è ancora Inverno, quando ti ritrovi all’ombra.
Ti amavo, perché ti guardavo quando eri distratta. Quando lavoravi, guardavi il telefonino, rullavi una sigaretta o ti perdevi nella collezioni dei tuoi mostri e mi rendevo conto, che per averti accanto, qualcosa di buono nella vita, l’aveva fatta.
Ti amavo, perché sentivo il bisogno di coniugare i verbi al futuro ed i sogni al plurale.
Che di notte, mentre dormivi, alzavo le coperte per vedere se respiravi e mi rendevo conto, che da soli si diventa forti, ma in due si diventa un po’ più felici.
Avrei potuto cancellarti, mandarti a quel paese, non risponderti al telefono, voltarti le spalle, dimenticarti, non pensarti, non prendere treni in piena notte, ricordarmi i dettagli, ma non l’ho potuto fare, perché non ci capivo più niente. Ti amavo e basta.
Amavo le tue battaglie perse, l’inchiostro che usavi meglio di me, la voce che era sabbia rotta dalle onde del mare, il modo in cui ti facevano male i sogni, le cazzate che dicevi pur di non dire delle stupide verità.
Allora, ti auguro di circondarti di “persone medicina”
L’ho letto in una stupida poesia, che fa così
“ Nonna diceva che esistono persone che hanno le tisane dentro gli occhi
Camomilla nello sguardo
Che tu le vedi e ti si tranquillizza il respiro, i pensieri.
Diceva che esistono persone che non si spaventano dei tuoi dolori
Che non hanno paura di abbracciarti i traumi
Che sanno dove metterti dentro le parole giuste
Persone che hanno imparato a frequentare così bene il Sole
Che sanno addirittura accompagnarti fino al tuo tramonto “
Lascio a te la rabbia, ascoltare chi voleva solo distruggerci, i punti e le virgole che mancano nelle mie parole, il dolore che ti ha coperto gli occhi e le labbra, rendermi sostituibile, perché io non lascio più sporcare i ricordi e la memoria, a nessuno.
Neanche da me stessa.
E racconterò di noi, alla gente che incontrerò, alla persona che amerò dopo di te, ti ritroverò nei miei progetti per aiutare gli altri, nei film che ti scavano dentro, nei tramonti visti dal finestrino della macchina, nei viaggi dove scoprirò qualcosa di nuovo e negli sguardi dei bambini che non sanno chiedere aiuto.
Tu, porta rancore anche al posto mio.
E ti diranno che è tutto prestabilito, che fa parte di quel rapporto tossico che ti hanno messo in testa, che di buono non ho nulla, che io sono il lupo e tu Cappuccetto Rosso, che sono un fake, che ho rubato, mentito, ma sai, queste parole non sono per riaverti, ma per rendere libera me.
Da tutto questo.
Fatti ancor più carina, un filo di trucco, lascia i capelli sciolti, spruzza il profumo, mettiti quei jeans che ti fanno il culo da paura, sali in macchina, accendi la radio, ma che sia la tua voce la canzone più bella e vatti a prendere tutto il buono di questo Mondo.
Questa è l’ultima lettera d’amore che ti scrivo, se senti un cigolio, è la porta del mio cuore, che si chiude e ti dice addio.
#Ale
Tuttodunfiato
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