#e antifascisti italiani
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Giornalista italiano qualsiasi ti prego il prossimo 12 settembre chiedi all’Anpi la loro opinione sugli autonomisti fiumani assassinati dai titini
#Logica dei filo-titini italiani: D’Annunzio che invade Fiume è un crimine contro l’umanità ma la Jugoslavia che fa lo stesso ammazzando#ogni civile che possa essere contrario all’annessione alla Jugoslavia inclusi una famiglia italiana ebrea reduce da Dachau e vari comunisti#e antifascisti italiani#e che costringe la quasi totalità dei fiumani italiani all’esilio per poi ripopolarla con coloni slavi dall’entroterra va bene#“È la rivoluzione baby [inserisci la solita frase squallida sulle foibe]”#Ah me misera!
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" Il 31 ottobre 1926, durante una grande adunata fascista a Bologna, un colpo di pistola viene sparato contro il ‘Duce’. Chi ha sparato? Il fatto è ancora avvolto nel più grande mistero. Un ragazzo di 16 anni, tale Zamboni, ex fascista, viene conclamato autore del gesto e trucidato sul posto, sotto gli stessi occhi del ‘Duce’. È l’uragano che, stavolta, sconvolge tutta l’Italia. Gli oppositori più in vista sono obbligati a sottrarsi alla furia e le loro case vengono saccheggiate. I giornali avversi al regime sono distrutti. Dovunque, sono giornate di terrore. Quel giorno, io ero a Cagliari, a casa mia. Verso le nove di sera, un amico, trafelato, venne ad avvisarmi che i fascisti suonavano l’adunata di guerra. Io uscii con lui per vedere di che si trattava. Sulla porta di strada, un altro amico mi riferì la notizia che era arrivata ai fascisti ed alla prefettura la notizia dell‘attentato al ’Duce’. «Ho potuto segretamente avere copia del telegramma. Qui, tutti i fascisti sono stati convocati d‘urgenza per le rappresaglie. La tua casa e la tua vita sono in pericolo. Abbandona la città o nasconditi in una casa sicura.» Mentre parlava, arrivavano da più parti gli squilli di tromba con cui, nei differenti rioni, gli squadristi suonavano l’adunata. Salii in casa, licenziai la donna di servizio. Non dovevo pensare che a me stesso. Ridiscesi. Altri amici in piazza erano corsi ad informarsi: i fascisti si adunavano nella loro sede centrale; le automobili erano in movimento per il trasporto più rapido, grida di morte si udivano qua e là contro di me. Andai a pranzare in un ristorante, a pochi metri da casa.
Mentre pranzavo, mi giungevano via via le notizie: i teatri, i cinema, i pubblici ritrovi erano stati fatti chiudere tutti; le squadre fasciste circolavano armate; alla sede del fascio organizzavano la spedizione punitiva contro di me; i capi esaltavano i gregari con discorsi incendiari; io ero la vittima designata; fra mezz‘ora sarebbe cominciata l’azione. Il cameriere, che mi serviva, era stato alle mie dipendenze durante la guerra. Era diventato fascista in seguito, ma non poteva dimenticare un certo rispetto per il suo antico ufficiale. Era molto imbarazzato quella sera, e non osava parlarmi. Tentò più volte, ma io non lo incoraggiai. Finalmente mi disse: «Signor capitano, io so quali ordini ci sono. La scongiuro, non ritorni a casa: parta subito. Si tratterà solo di qualche giorno. Poi vedrà che tutto diventerà normale». «Credi tu» gli chiesi «che io abbia ragione o torto?» «Lei ha ragione» mi rispose arrossendo e prendendo macchinalmente la posizione militare d’attenti. «E allora, perché dovrei fuggire?» La mia domanda lo imbarazzò ancor di più. Non aggiunse parola. Andando via, gli chiesi: «Perché sei diventato fascista?» «I tempi sono difficili. Mi hanno promesso tante cose… Chi può vivere contro i fasci?» "
Emilio Lussu, Marcia su Roma e dintorni, introduzione di Giovanni De Luna, Einaudi (collana ET Scrittori n° 1037), 2008⁴, pp. 168-170.
NOTA: Questo memoriale antifascista fu pubblicato dall'autore in esilio a Parigi dapprima nel 1931 per un pubblico internazionale, quindi nel 1933 in lingua italiana (col significativo sottotitolo Fascismo visto da vicino) dalla casa editrice parigina "Critica". Il libro fu edito in Italia già nel 1945 dall'editore Einaudi nella Collana "Saggi".'
#Emilio Lussu#memoriale#letture#leggere#libri#saggistica#Marcia su Roma e dintorni#antifascismo#ventennio fascista#antifascisti#Partito Sardo d'Azione#libertà#citazioni#Resistenza#Storia d'Europa del XX secolo#dittatuta#politici italiani#Benito Mussolini#Storia d'Italia#squadrismo#Anteo Zamboni#anarchismo#anarchici#anarchia#memoria collettiva#Sardegna#reduci#Bologna#Giovanni De Luna#'900
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Fino al 24 aprile del 1945 eravamo un Paese con 35 milioni di fascisti convinti. Il 26 aprile di quell'anno, siamo diventati 35 milioni di antifascisti festanti. 35milioni di voltagabbana che, nel giro di un giorno, si riversarono nelle piazze e nelle strade di tutta Italia per applaudire e lanciare fiori verso i soldati americani e i partigiani italiani. E il fascismo che fine aveva fatto? Si era adattato. Gli italiani lo avevano nascosto (senza coraggio e tanta vergogna) in qualche parte del loro corpo, come succede con un virus. Sta li, silente, invisibile, in attesa di potersi manifestare di nuovo, come succede con il virus dell'herpes. Aspetta che ci sia terreno fertile, l'humus giusto, nel frattempo "buon viso a cattiva sorte": stare in sella al cavallo del momento. 50anni d'attesa, mezzo secolo di letargo, con qualche risveglio temporaneo per qualche strage di Stato, tanto per ricordare a tutti che sotto la cenere c'era sempre una fiamma fascista pronta a nuovo vigore. Negli anni '90 ecco il primo vento che risveglia quel virus dormiente: Berlusconi. Da quel momento e' stata una cavalcata costante per il virus fascista e oggi vola in alto nel cielo ad ali spiegate. L'antifascismo e' tornato ad essere quel che era il 24aprile 1945, uno spazio riservato a una parte minoritaria di questo Paese che ha valori molto diversi dalla maggioranza degli italiani e prova a tenere alta quella bandiera. @ilpianistasultetto
#Sto da questa parte.
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Nel silenzio dei grandi media italiani, da più di una settimana il Regno Unito è segnato da tumulti e scontri di piazza fra inglesi esasperati per l'immigrazione di massa incontrollata, gruppi di stranieri organizzati insieme a sedicenti "antifascisti" e forze dell'ordine in tenuta anti-sommossa. Insomma, si respira un clima da guerra civile.
Intervento di Ludovico Vicino (segreteria nazionale Pro Italia) alla trasmissione "Che idea ti sei fatto?"
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Maddai che Benny non ha fatto poi granché di brutto, se togliamo:
- omicidi e aggressioni degli oppositori prima e dopo la Marcia su Roma: Giacomo Matteotti, Don Giovanni Minzoni e i Fratelli Carlo e Nello Rosselli solo per ricordarne qualcuno
- marcia su Roma e instaurazione della dittatura
- abolizione del diritto di voto e della libertà di stampa
- ruolo della donna relegato a fattrice di figli e casalinga
- istituzione del Tribunale Speciale e conseguente fucilazione di 42 antifascisti e 28.000 anni di carcere e/o confino comminati agli stessi
- aggressione alla Spagna Repubblicana
- aggressione a Libia (circa 80.000 morti) ed Etiopia (circa 700.000 morti) con uso dei gas tossici nei bombardamenti
- stipula dei Patti Leteranensi
- emanazione delle Leggi Razziali
- aggressione (tentata) alla Francia ed entrata in guerra al fianco della Germania Hitleriana
- aggressione all'Albania, alla Jugoslavia e alla Grecia
- aggressione all' URSS e successiva disfatta dell'Armir
- 45.000 deportati politici e/o razziali nei lager nazisti dove ne morirono 15.000
350.000 soldati italiani morti o dispersi, più altri 640.000 prigionieri in giro per il mondo
- complicità con l'esercito tedesco nelle stragi avvenute durante l'occupazione nazista della penisola: Sant'Anna di Stazzema e Marzabotto, solo per ricordarne due delle più atroci
- Guerra persa e Paese distrutto.
Probabilmente ho dimenticato qualcosina ma voi mi perdonerete.
Ecco, se togliamo le inezie sopraelencate cosa resta ?
Non resta che lo statista che governò l'Italia dal 1922 al 1943.
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Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia
L'Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. È questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L'Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neofascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonché, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo «sviluppo», pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di epoché, che ha radicalmente «trasformato», in pochi anni, il mondo italiano. Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un'organizzazione culturale arcaica, all'organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini. L'omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c'è più dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c'è niente che distingua - ripeto, al di fuori di un comizio o di un'azione politica - un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l'omologazione è ancor più radicale.
P. P. Pasolini, dall'articolo: Gli italiani non sono più quelli in Corriere della Sera, 10 giugno 1974. Ora in: P. P. Pasolini, Il fascismo degli antifascisti, Milano, Garzanti, 2022
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PREMESSA :
Chiedo scusa a chi passa a leggere il mio blog, se questa volta vi costringerò a leggere un Post lungo e articolato.
Un post che contiene riflessioni e una lettura su due livelli: la Storia che ci proviene dal passato e la stretta attualità - quella del vile assassinio in un carcere russo di Alexej Navalnj.
Perchè non sempre si può ridurre ogni argomento, ad aforisma, a slogan breve o alle righe di una fulminante citazione.
Talvolta bisogna, invece, usare il cervello, per pensare, fare collegamenti, approfondire i fatti e gli avvenimenti.
Fare cioè quell'operazione che si faceva da piccoli :
UNIRE TUTTI I PUNTINI FINO A SCORGERE IL DISEGNO NASCOSTO .
In questo caso specifico, fino ad intravedere IL SENSO dei comportamenti tenuti da determinati uomini che in tutte le epoche, non si sono fatti intimorire dal POTERE del dittatore di turno.
Quel famoso "UOMO SOLO AL COMANDO" a cui vorrebbe riportarci, quell'analfabeta di diritto costituzionale che risponde al nome di Giorgia Meloni.
Una cenerentola arrogante e burina, che sogna di trasformarsi in una novella Ducetta piena di orgoglio e disprezzo per chi non la pensa come Lei.
Ecco perchè, oggi, ripensando al sacrificio di Alexej Navalnj, non posso non andare col pensiero a Giacomo Matteotti, al suo ultimo discorso in Parlamento a fine maggio 1924 e al suo assassinio, da parte degli squadristi neri inviati da Mussolini, la bellezza di 100 anni fa, il 10 giugno 1924 !!!!
E l'attenzione va subito alla Storia, una delle materie più utili e preziose in assoluto, alla passione che ho sempre avuto fin dalle elementari per andare a scovare le lezioni che le epoche passate possono offrirci.
Subito il pensiero corre alla simmetria fra le carceri russe di questi ultimi anni e quelle italiane degli Anni Venti del secolo scorso.
Carceri che dal 1925 in poi, cominciarono a riempirsi di Antifascisti: Pietro Nenni, Sandro Pertini, Antonio Gramsci, Altieri Spinelli e tanti, tantissimi altri, che osarono sfidare il potere sempre più autoritario e oppressivo del Governo Fascista appena insediato.
È proprio ciò che l'attuale Governo Meloni, (governo composto da personaggi del tutto inadeguati, incolti ed arroganti), vorrebbe da noi cittadini italiani: che rimuovessimo quei fatti e quegli avvenimenti, dalla nostra memoria collettiva. Come non fossero mai accaduti !
E invece, come non ritornare a quell'atto di rivolta, (rispetto al conformismo imperante di quegli anni), da parte di migliaia di giovani che rifiutavano di allinearsi alle scelte scellerate del Potere Mussoliniano?
Giovani antifascisti che iniziarono a pensare al bene collettivo del proprio paese, in modo differente e a intravedere come Benito e i suoi gerarchi, stessero progressivamente cancellando ogni tipo di diritto individuale.
E pur venendo incarcerati, ebbero il coraggio di riaffermare una scelta chiara e precisa:
Io no. Io non ci sto. Io non sono d'accordo. Io lotto per cambiare le cose, per cambiare i rapporti sociali e per conquistare il diritto alla libera espressione delle opinioni. Per la democrazia, e l'uguaglianza dei diritti delle persone.
PERCHÈ SOGNO UN ALTRO TIPO DI PAESE E DI SOCIETÀ, PIÙ APERTA E MODERNA !!!
Sono davvero tanti gli uomini coraggiosi dal comportamento esemplare dal cui esempio possiamo prendere forza e ispirazione.
Viviamo tempi bui e difficili, ma ognuno di noi, può superare il proprio disorientamento ritrovando una luce, un senso e una direzione studiando le biografie e le vite concrete di questi intrepidi protagonisti che la Storia ci offre.
Anche per noi oggi ha senso quel bivio e quella scelta: chi vogliamo essere, per cosa vogliamo lottare, per quale tipo di società siamo pronti a combattere, e quali diritti vogliamo difendere.
Perchè ognuno di noi sia una scintilla per far tornare la luce della Ragione e dell'Umanità.
Per impedire che nel buio medievale a cui ci vogliono riportare, le persone non si sentano smarrite o confuse e nemmeno impotenti o passive.
Contro ogni tipo di sopraffazione da parte del Potere presente o futuro e a difesa d'ogni essere umano che aspira ad un futuro di diritti e di libertà.
Il ricordo grato e commosso per un grande combattente che si è speso fino all'ultimo istante della propria vita, per dare un futuro di libertà ai cittadini russi del futuro:
Aleksej Anatolevic Navalnyj
( Il tentativo in corso di )
Analfabetizzazione
CLAUDIO LOLLI dall'Album
"DISOCCUPATE LE STRADE DAI SOGNI"
youtube
.
#Attualità#martiri per la libertà#k testi#la Storia civile#Antifascismo e memoria#il tentativo di Analfabetizzazione da parte del Potere#Claudio Lolli#Canzoni di lotta e inquietudine#martiri della Libertà#Youtube
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25 APRILE 2024
Era esattamente da 28 anni che non non vedevo una manifestazione così imponente come quella di oggi a Milano. Capitò il venticinque aprile del 1996, quando il reazionario di turno era Silvio Berlusconi. Anche allora come oggi, le certezze della democrazia sembravano venir meno. Accade anche oggi con il governo di Giorgia Meloni. I segnali ci sono tutti e magari anche qualcosa in più dei segnali. Ma quando questo accade, negli italiani, almeno in quelli di una certa parte politica, sembra scattare qualcosa, come un vaccino dormiente che si riattiva in un corpo che si sente minacciato. Oggi è stato davvero tonificante fare un bagno di folla nella gente che sento “mia”. Nella quotidianità, purtroppo, sono a contatto con persone con le quali sento di condividere poco, direi nulla. Fascisti, para-fascisti, fascistoidi, fascistofoni, fascistelli, fascisti mascherati, aspiranti fascisti, pseudo-fascisti, fascistissimi. Insomma gente di quella risma che quelli della mia generazione fiutano all’istante, dopo due parole dette, ma anche dall’aspetto. È un pregiudizio? Sì lo è, ma non si sbaglia quasi mai. Con loro ci tocca discutere, interagire, confrontarsi, ed io ne farei volentieri a meno, ma non si può vivere sotto una campana di vetro. È naturale quindi che stare insieme a 120.000 antifascisti dichiarati per le vie di Milano, è stato come fare un bagno tonificante. Ci si conta e ci si accorge di essere molti di più di ciò che si pensava e questo è molto confortante. Persone di ogni età, quelli che hanno vissuto tutto come te e quelli che hanno vissuto un po’ meno, quelli giovani a cui auguro di tutto cuore di vivere ciò che abbiamo vissuto noi, anche se sembra piuttosto improbabile. Grazie Signora Meloni che, come diceva Venditti delle sua Roma, “ci fai piangere abbracciati ancora…” Buon 25 aprile!
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Viva l'Italia antifascista, ha gridato un loggionista, restituendo un minimo di dignità sostanziale a quello spettacolo penoso e carnascialesco nel senso più deteriore che è da tempo la prima della Scala, l'esatto rovescio di qualsiasi cosa si possa ancora definire, con decenza parlando, cultura (ahimè, la senatrice Segre avrebbe fatto meglio ad astenersi).
In tv lo si definisce "gesto di dissenso".
In generale è ormai un grido di opposizione, pure minoritaria, per giunta: "la solita sinistra", qualche maleducato che non si rassegna.
La Digos prontamente è intervenuta, non essendoci presunti crimini di abigeato da perseguire, nei pressi. Il pericoloso oppositore è stato identificato, chiunque abbia intenzione di unirsi alla vibrante protesta sa che cosa lo aspetta, è diffidato.
Che fare?
Il punto è che li avete voluti voi. Sono tanti anni, esattamente dal 1994, che i fascisti sono riemersi dalle fogne, sono usciti da tutti i tombini, chiamati a raccolta da Berlusconi, da Bossi, da Fini, dai voti di tanti italiani. Sono praticamente 30 anni che, a suon di propaganda contro i migranti, contro i "fannulloni" e i meridionali, contro i poveri e contro i giovani, contro i neri e contro le trans, contro gli omosessuali e contro le donne che abortiscono, contro i vaccini e contro le famiglie "diverse", a poco a poco avete costruito, l'avete fatto VOI, giorno dopo giorno, nei bar, nei calcetti di paese, nei luoghi di lavoro, nelle piazze e nei sindacati, ovunque, una CULTURA PARAFASCISTA, che oggi è maggioranza nel paese.
Non c'è solo La Russa o Meloni o Salvini: ci sono milioni e milioni di italiani per il quale il fascismo è il papà che risolve i problemi e si fa obbedire da tutti, l'uomo forte che si fa rispettare, una parvenza di dignità a un popolo di fessi, falliti e prostituiti.
Li avete voluti voi. Presto non potremo nemmeno più dirci, pubblicamente, antifascisti.
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Il discorso di Mattarella
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"Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.
È Piero Calamandrei che rivolge queste parole a un gruppo di giovani studenti, a Milano, nel 1955.
Ed è qui allora, a Cuneo, nella terra delle 34 Medaglie d’oro al Valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d’argento, delle 228 Medaglie di bronzo per la Resistenza.
La terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste.
È qui che la Repubblica oggi celebra le sue radici, celebra la Festa della Liberazione.
Su queste montagne, in queste valli, ricche di virtù di patriottismo sin dal Risorgimento.
In questa terra che espresse, con Luigi Einaudi, il primo Presidente dell’Italia rinnovata nella Repubblica.
Rivolgo un saluto a tutti i presenti, ai Vice Presidenti del Senato e della Camera, ai Ministri della Difesa, del Turismo e degli Affari regionali. Al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ai parlamentari presenti.
Saluto, e ringrazio per i loro interventi, il Presidente della Regione, la Sindaca di Cuneo, il Presidente della Provincia. Un saluto ai Sindaci presenti, pregandoli di trasmetterlo a tutti i loro concittadini. Un saluto e un ringraziamento al Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza.
Stamane, con le altre autorità costituzionali, ho deposto all’Altare della Patria una corona in memoria di quanti hanno perso la vita per ridare indipendenza, unità nazionale, libertà, dignità, a un Paese dilaniato dalle guerre del fascismo, diviso e occupato dal regime sanguinario del nazismo, per ricostruire sulle macerie materiali e morali della dittatura una nuova comunità.
“La guerra continua” affermò, nella piazza di Cuneo che oggi reca il suo nome, Duccio Galimberti, il 26 luglio del 1943.
Una dichiarazione di senso ben diverso da quella del governo Badoglio.
Continua - proseguiva Galimberti - “fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani”.
Un giudizio netto e rigoroso. Uno discorso straordinario per lucidità e visione del momento. Che fa comprendere appieno valore e significato della Resistenza.
E fu coerente, salendo in montagna.
Assassinato l’anno seguente dai fascisti, è una delle prime Medaglie d’oro della nuova Italia; una medaglia assegnata alla memoria.
Il “motu proprio” del decreto luogotenenziale recita: “Arrestato, fieramente riaffermava la sua fede nella vittoria del popolo italiano contro la nefanda oppressione tedesca e fascista”; ed è datato, con grande significato, “Italia occupata, 2 dicembre 1944”.
Dopo l’8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d’ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell’800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell’Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d’Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri.
La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per affermare il riscatto nazionale.
Un moto di popolo che coinvolse la vecchia generazione degli antifascisti.
Convocò i soldati mandati a combattere al fronte e che rifiutarono di porsi sotto il comando della potenza occupante tedesca, pagando questa scelta a caro prezzo, con l’internamento in Germania e oltre 50.000 morti nei lager.
Chiamò a raccolta i giovani della generazione del viaggio attraverso il fascismo, che ne scoprivano la natura e maturavano la scelta di opporvisi. La generazione, “sbagliata” perché tradita. Giovani ai quali Concetto Marchesi, rettore dell’Ateneo di Padova si rivolse per esortarli, dopo essere stati appunto “traditi”, a “rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano”.
Fu un moto che mobilitò gli operai delle fabbriche.
Coinvolse i contadini e i montanari che, per la loro solidarietà con i partigiani combattenti, subirono le più dure rappresaglie (nel Cuneese quasi 5.000 i patrioti e oltre 4.000 i benemeriti della Resistenza riconosciuti).
Quali colpe potevano avere le popolazioni civili?
Di voler difendere le proprie vite, i propri beni? Di essere solidali con i perseguitati?
Quali quelle dei soldati? Rifiutarsi di aggiungersi ai soldati nazisti per fare violenza alla propria gente?
L’elenco delle località colpite nel Cuneese compone una dolorosa litania e suona come preghiera.
Voglio ricordarle.
Furono decorate con Medaglie d’oro, d’argento o di bronzo, o con Croci di guerra: Cuneo, l’intera Provincia, Alba, Boves, Borgo San Dalmazzo, Dronero; Clavesana, Peveragno, Cherasco, Busca, Costigliole Saluzzo, Genòla, Trinità, Venasca, Ceva, Pamparato; Mondovì, Priola, Castellino Tanaro, Garessio, Roburent, Paesana, Narzòle, Rossana, Savigliano; Barge, San Damiano Macra, Villanova Mondovì.
Alla memoria delle vittime e alle sofferenze degli abitanti la Repubblica oggi si inchina.
Questo pomeriggio mi recherò a Boves, prima città martire della Resistenza, Medaglia d’oro al Valor militare e Medaglia d’oro al Valor Civile.
Lì si scatenò quella che fu la prima strage operata dai nazisti in Italia.
Una strage che colpì la popolazione inerme e coloro che avevano tentato di evitarla: Antonio Vassallo, don Giuseppe Bernardi, ai quali è stata tributata dalla Repubblica la Medaglia d’oro al Valor civile; don Mario Ghibaudo. I due sacerdoti, recentemente proclamati beati dalla Chiesa cattolica, testimoni di fede che non vollero abbandonare il popolo loro affidato, restarono accanto alla loro gente in pericolo.
E da Boves vengono segni di un futuro ricco di speranza: la Scuola di pace fortissimamente voluta dall’Amministrazione comunale quasi quarant’anni or sono e il gemellaggio con la cittadina bavarese di Schondorf am Ammersee, luogo dove giacciono i resti del comandante del battaglione SS responsabile della feroce strage del 19 settembre 1943.
A Borgo San Dalmazzo visiterò il Memoriale della Deportazione.
Borgo San Dalmazzo, dove il binario alla stazione ferroviaria è richiamo quotidiano alla tragedia della Shoah.
Cuneo, dopo Roma e Trieste, è la terza provincia italiana per numero di deportati nei campi di sterminio in ragione dell’origine ebraica.
Accanto agli ebrei cuneesi che non riuscirono a sfuggire alla cattura, la più parte di loro era di nazionalità polacca, francese, ungherese e tedesca. Si trattava di ebrei che, dopo l’8 settembre, avevano cercato rifugio dalla Francia in Italia ma dovettero fare i conti con la Repubblica di Salò.
Profughi alla ricerca di salvezza, della vita per sé e le proprie famiglie, in fuga dalla persecuzione, dalla guerra, consegnati alla morte per il servilismo della collaborazione assicurata ai nazisti.
Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell’Italia nella catastrofe cui l’aveva condotta il fascismo. Ci aiutarono soldati di altri Paesi, divenuti amici e solidi alleati: tanti di essi sono sepolti in Italia.
A questa lotta si aggiunse una consapevolezza: la crisi suprema del Paese esigeva un momento risolutivo, per una nuova idea di comunità, dopo il fallimento della precedente.
Si trattava di trasfondere nello Stato l’anima autentica della Nazione.
Di dare vita a una nuova Italia.
Impegno e promessa realizzate in questi 75 anni di Costituzione repubblicana. Una Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista.
Le Costituzioni nascono in momenti straordinari della vita di una comunità, sulla base dei valori che questi momenti esprimono e che ne ispirano i principi.
Le “Repubbliche” partigiane, le zone libere, nelle loro determinazioni e nel loro operare furono anticipatrici della nostra Costituzione.
È dalla Resistenza che viene la spinta a compiere scelte definitive per la stabilità delle libertà del popolo italiano e del sistema democratico, rigettando le ambiguità che avevano consentito lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo.
Se il decreto luogotenenziale del 2 agosto 1943 - poco dopo la svolta del 25 luglio – prevedeva, non appena ve ne fossero le condizioni, l’elezione di una nuova Camera dei Deputati, per un ripristino delle istituzioni e della legalità statutaria, fu il decreto del 25 giugno 1944 – pochi giorni dopo la costituzione del primo Governo del CLN - a indicare che dopo la liberazione del territorio nazionale sarebbe stata eletta dal popolo, a suffragio universale, un’Assemblea costituente, con il compito di redigere la nuova Costituzione. Per questo quel decreto viene definito la prima “Costituzione provvisoria”.
Seguirà poi il referendum, il 2 giugno 1946, con la Costituente e la scelta per la Repubblica.
La rottura del patto tra Nazione e monarchia, corresponsabile, quest’ultima, di avere consegnato l’Italia al fascismo, sottolineava l’approdo a un ordinamento nuovo.
La Costituzione sarebbe stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo, stabilendo il principio della prevalenza sullo Stato della persona e delle comunità, guardando alle autonomie locali e sociali dell’Italia come a un patrimonio prezioso da preservare e sviluppare.
Una risposta fondata sulla sconfitta dei totalitarismi europei di impronta fascista e nazista per riaffermare il principio della sovranità e della dignità di ogni essere umano, sulla pretesa di collettivizzazione in una massa forzata al servizio di uno Stato in cui l’uomo appare soltanto un ingranaggio.
Il frutto del 25 aprile è la Costituzione.
Il 25 aprile è la Festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo.
È nata così una democrazia forte e matura nelle sue istituzioni e nella sua società civile, che ha permesso agli italiani di raggiungere risultati prima inimmaginabili.
E qui a Cuneo, mentre la guerra infuriava, veniva sviluppata un’idea di Costituzione che guardava avanti.
Pionieri Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci.
Guardava a come scongiurare per il futuro i conflitti che hanno opposto gli Stati europei gli uni agli altri, per dar vita, insieme, a una Costituzione per l’Europa e a una per l’Italia. Dall’ossessione del nemico alla ricerca dell’amico, della cooperazione.
La Costituzione confederale europea si accompagnava alla proposta di una “Costituzione interna”.
Obiettivo: “liberare l’Europa dall’incubo della guerra”.
Sentiamo riecheggiare in quello che appariva allora un sogno, il testo del preambolo del Trattato sull’Unione Europea: “promuovere pace, sicurezza, progresso in Europa e nel mondo”.
Un sogno che ha saputo realizzarsi per molti aspetti in questi settant’anni. Anche se ancora manca quello di una “Costituzione per l’Europa”, nonostante i tentativi lodevoli di conseguirla.
Chiediamoci dove e come saremmo se fascismo e nazismo fossero prevalsi allora!
Nel lavoro di Galimberti e Rèpaci troviamo temi, affermazioni, che sono oggi realtà della Carta costituzionale italiana, come all’art. 46: “le differenze di razza, di nazionalità e di religione non sono di ostacolo al godimento dei diritti pubblici e privati”.
Possiamo quindi dire, a buon titolo: Cuneo, città della Costituzione!
Galimberti era stato a Torino allievo di Francesco Ruffini, uno dei docenti universitari che, rifiutando il giuramento di fedeltà al fascismo, fu costretto ad abbandonare l’insegnamento.
Accanto a Galimberti e Rèpaci, altri si misurarono con la sfida di progettare il futuro.
Silvio Trentin, in esilio dal 1926, nel suo “Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia”, dettato al figlio Bruno nel 1944, era sostenitore, anch’egli, dell’anteriorità dei diritti della persona rispetto allo Stato.
E Mario Alberto Rollier, con il suo “Schema di costituzione dell’unione federale europea”. Testi, entrambi, di forte ispirazione federalista.
Si tratta, nei tre casi, di esponenti di quel Partito d’Azione di cui incisiva sarà l’influenza nel corso della Resistenza e dell’avvio della vita della Repubblica.
La crisi della monarchia e quella del fascismo apparivano ormai irreversibili, tanto da indurre un gruppo di intellettuali cattolici a riunirsi a Camaldoli, a pochi giorni dal 25 luglio 1943, con l’intento di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come “Codice di Camaldoli”, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini.
Per tornare alla “Costituzione di Duccio”, apparivano allora utopie alcune sue previsioni come quella di una “unica moneta europea”. Oggi realtà.
O quella di “un unico esercito confederale”. E il tema della difesa comune è, oggi, al centro delle preoccupazioni dell’Unione Europea, in un continente ferito dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina.
Sulla scia di quei “visionari” che, nel pieno della tragedia della guerra e tra le macerie, disegnavano la nuova Italia di diritti e di solidarietà, desidero sottolineare che onorano la Resistenza, e l’Italia che da essa è nata, quanti compiono il loro dovere favorendo la coesione sociale su cui si regge la nostra comunità nazionale.
Rendono onore alla Resistenza i medici e gli operatori sanitari che ogni giorno non si risparmiano per difendere la salute di tutti. Le rendono onore le donne e gli uomini che con il loro lavoro e il loro spirito di iniziativa rendono competitiva e solida l’economia italiana.
Le rendono onore quanti non si sottraggono a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva.
Il popolo del volontariato che spende parte del proprio tempo per aiutare chi ne ha bisogno.
I giovani che, nel rispetto degli altri, si impegnano per la difesa dell’ambiente.
Tutti coloro che adempiono, con coscienza, al proprio dovere pensando al futuro delle nuove generazioni rendono onore alla liberazione della Resistenza.
Signor Presidente della Regione, lei ha definito queste colline, queste montagne “geneticamente antifasciste”.
Sappiamo quanto dobbiamo al Piemonte, Regione decorata, a sua volta, con la Medaglia d’oro al merito civile
Ed è alle donne e agli uomini che hanno animato qui la battaglia per la conquista della libertà della Patria che rivolgo il mio pensiero rispettoso.
Nuto Revelli ha parlato della sua esperienza di comandante partigiano e della lotta svolta in montagna come di un vissuto di libertà: di un luogo dove era possibile assaporare il gusto della libertà prima che venisse restituita a tutto il popolo italiano.
Una terra allora non prospera, tanto da ispirargli i racconti del “mondo dei vinti”.
Una terra ricca però di valori morali.
Non c’è una famiglia che non abbia memoria di un bisnonno, di un nonno, di un congiunto, di un alpino caduto in Russia, nella sciagurata avventura voluta dal fascismo.
Non c’è famiglia che non ricordi il sacrificio della Divisione alpina “Cuneense” nella drammatica ritirata, con la Julia. Un altro esempio. Un altro monito alla dissennatezza della guerra.
Rendiamo onore alla memoria di quei caduti.
Grazie da tutta la Repubblica a Cuneo e al Cuneese, con le sue Medaglie al valore!
Come recita la lapide apposta al Municipio di questa città, nell’ottavo anniversario dell’uccisione di Galimberti, se mai avversari della libertà dovessero riaffacciarsi su queste strade troverebbero patrioti.
Come vi è scritto: “morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”.
Viva la Festa della Liberazione!
Viva l’Italia!
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Discesa in campo
La sinistra 800centesca, ancora legata agli esiti del congresso di Livorno, non aveva, allora, ne, capito/compreso, ancora oggi, il significato della “discesa in campo”.
Orfani della caduta del muro di Berlino, tutta la baracca, sociologi, politici, segreterie etc…, faticano a interpretare gli esiti nefasti del trentennale bombardamento dei programmi spazzatura, dove, al pari del predappiese che affermava: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”, Silvio, ha trasformato la televisione (programmi, contenuti, forma, sostanza), in quello che, Serge Daney – Le Monde 1992, ha correttamente definito: “la television est comparable a une decharge pubblique, a l’incoscient (inconscio) a ciel ouvert”.
Discarica pubblica, inconscio a cielo aperto.
Se il primo ha tratto dall’inconscio la violenza degli italiani (gli stessi che il 25 aprile divennero tutti antifascisti, o, come affermò Churchill: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani…”), il secondo ha reso la televisione uno strumento di controllo e indirizzo, che nemmeno Pasolini, avrebbe immaginato, o, forse, sospettava: “Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l'adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L'abiura è compiuta. Corsera 9 12 73
Ecco la chiave di successo di Silvio. Rinnegare le culture presenti in Italia, uniformare il pensiero, abiurare la critica verso modelli che, fino alla discesa in campo, trovavano posto in qualche bettola.
E, quindi, il fiorire di modelli comportamentali attraverso un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza, meglio rappresentata dalle parole illuminanti e premonitrici di Pasolini: Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L'antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l'unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l'edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c'è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica, in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria).
Ribadisco il mio pensiero, che si volge umanamente a chi lascia questa terra, ma, non mi sottraggo dal commentare le nefaste conseguenze del proprio agire e, degli effetti sulla collettività (inteso popolazione).
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“ Lipari è la migliore di tutte le isole in cui sono deportati gli oppositori al regime. Prima del fascismo, vi erano relegati i delinquenti comuni dichiarati incorreggibili. La zona riservata ai confinati era di un chilometro quadrato: attualmente è ridotta a poche centinaia di metri. Sentinelle e pattuglie sbarrano le vie d’accesso. Per cinquecento deportati prendevano servizio trecento agenti e militi fascisti. Attualmente vi sono cinquecento militi fascisti: dietro ogni deportato un milite. Solo pochi deportati, malati o con famiglia, possono abitare nelle case private: gli altri sono obbligati a dormire nelle caserme, dentro le mura di un antico castello. La popolazione simpatizza con i deportati, ma sono vietati i rapporti. In venti mesi, dal novembre cioè del 1927 all’agosto del 1929, io non ho potuto avvicinare che il medico. Il deportato deve vivere segregato dal mondo. I giornalisti stranieri che hanno visitato Lipari non hanno parlato che con gli agenti di polizia. Un giornalista americano, per il Natale del 1927, visitò l’Isola espressamente per passare le feste con il suo amico deputato Morea. Gli fu vietato lo sbarco. Il mare è continuamente guardato da barche, da motoscafi veloci della regia marina e da un canotto da guerra: su tutti vi erano riflettori e mitragliatrici; sul canotto c‘è anche un cannone. Di giorno e di notte, ispezionano le coste. Il controllo sulle navi che approdano nell’Isola, è fatto colle norme del tempo di guerra. Tutti gli estranei che sbarcano nell’Isola sono sottoposti a perquisizioni personali. “
Emilio Lussu, Marcia su Roma e dintorni, introduzione di Giovanni De Luna, Einaudi (collana ET Scrittori n° 1037), 2008⁴, pp. 180-181.
NOTA: Questo memoriale antifascista fu pubblicato dall'autore in esilio a Parigi dapprima nel 1931 per un pubblico internazionale, quindi nel 1933 in lingua italiana (col significativo sottotitolo Fascismo visto da vicino) dalla casa editrice parigina "Critica". Il libro fu edito in Italia già nel 1945 dall'editore Einaudi nella Collana "Saggi".
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Il dibattito si è fatto ancora più noioso e sterile, ma almeno uno è riuscito ad essere sincero, anche se riuscire a mettere insieme una dichiarazione più assurda e demenziale è oggettivamente impossibile. Sostenere di non essere fascisti e al contempo di non essere antifascisti raggiunge vette surreali persino per la politica italiana🤡
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la violenza ai neuroni
Sbarbi e adulti fasci menano studenti fuori da un liceo a Finenze.
Un preside si schiera dalla parte degli studenti antifascisti.
Il ministro lancia una reprimenda al preside.
Qualcuno mostra uno striscione con Meloni e Valditara a testa in giù.
Un preside lancia una reprimenda nei confronti degli studenti antifascisti.
Valditara e una tal Simona Malpezzi del PD condannano la violenza.
Violenza? Violenza?
Quindi se ti dichiari fascio, elogi il DVCIE e dico magari ti capita anche che un gruppo di adulti meni degli studenti e qualcuno si lamenta... eh signora mia, la libertà di opinione.
Se appendi uno striscione: lacrime, contorsioni, spasmi, condanne ferme. Eh ma sgnora mia la violeeeenza.
Vittimini di merda.
E il PD? Simona Malpezzi? Ma SRLY? Laureata alla Cattolica con una tesi su Fanfani «per la potenza e il futuro della Nazione gli italiani devono essere razzialmente puri».
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Non parlo molto di cose politiche su Tumblr (uso Twitter per questo) ma recentemente ho cominciato a iscrivermi ad alcuni gruppi antifascisti italiani online.
Mi sembra che la maggior parte dei gruppi di questo genere si soffermino su iniziative antifasciste che sono tenute in Italia. Ma mi pare che la diaspora andrebbe coinvolta molto più di quanto vediamo in questi giorni. Dopotutto, la diaspora consiste di decine di milioni di italiani (sia cittadini sia stranieri di origine italiana).
Allora, è chiaro che la diaspora sarebbe una risorsa molto preziosa ma per adesso rimane interamente non sfruttata. L'ANPI non ha alcune sezioni in quei paesi dove si trova la maggior parte della diaspora, cioè le Americhe e l'Australia. Poi, la connessione che esiste tra l'Australia e l'Italia è per lo più gestita da parte dello stato italiano tramite gli organi di stato. Una cosa molto pericolosa, dato che lo stato è guidato dagli eredi di Mussolini.
Se le organizzazioni antifasciste d'Italia si espandessero in altri paesi e creassero legami forti con le comunità diasporiche, una vera e propria coscienza antifascista internazionale potrebbe essere creata. E tramite tale coscienza, la diaspora potrebbe essere mobilitata sia elettoralmente sia in piazza per resistere decisivamente al fascismo.
Ma per adesso, la diaspora italiana rimane totalmente scordata.
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: terza parte
Prima parte Seconda parte
Rodolfo Siviero TRAFUGAMENTO DA PARTE DEI NAZISTI DEI NOSTRI TESORI MUSEALI. Come si organizzò per recuperare le opere d'arte? Ero riuscito a formare un gruppo di partigiani addestrandoli a seguire le tracce delle sparizioni dai musei e collezioni private insegnando loro la Storia dell'Arte italiana in modo che potessero riconoscerli a prima vista. Travestiti da Ufficiali Repubblichini, riuscirono ad evitare che gli invasori si impossessassero dei quadri del pittore Giorgio De Chirico. In accordo con la Soprintendenza riuscirono a salvare l'Annunciazione del Beato Angelico dal Monastero di San Giovanni Val d'Arno, sulla quale aveva posto gli occhi niente meno che Herman Goering, voleva portarla in Germania per salvarla, quando si sapeva che sarebbe finita nella sua collezione privata. Tutto quello da portare via veniva deciso dalla Wermacht, con la scusa di salvare le nostre opere dai bombardamenti degli alleati, invece quello che veniva razziato veniva trasportato in Germania o in altri luoghi segreti. Mi dica come faceva ad organizzarsi per giungere prima dei nazisti e portare in salvo quello che volevano portare via. Oltre ai partigiani da me addestrati partecipavo di persona specialmente nelle missioni più difficili. Nella mia abitazione raccoglievo tutte le informazioni utili provenienti da ogni parte, specialmente quando e dove si tenevano le aste pubbliche e private. Tutte queste notizie sono state da me archiviate e si trovano in questa casa. Nel mentre i nazisti svuotavano i magazzini dei musei dove venivano conservati dipinti, statue e altre opere. Intanto l'intelligence americana stava all'erta per sapere, e vi riuscivano, il trafugato, il tutto veniva girato a me. Quando lei venne liberato dalle grinfie della Banda Carità, riuscì a raggiungere gli americani?
Dopo varie vicissitudini, giunsi sul Monte Amiata, fui aiutato dai partigiani a raggiungere gli alleati a Roma ed entrare in contatto con i Monument Men. Rientrai a Firenze nell'agosto del 1944, con la città liberata dai nazifascisti, tornai in questa abitazione a riprendere la mia attività clandestina. Mi racconti dei trafugamenti più consistenti, e il loro recupero. La Divisione Herman Goering nell'ottobre del 1938, venne a conoscenza del trasporto dei capolavori dei musei napoletani all'Abbazia di Monte Cassino, per portarli in seguito nei Musei Vaticani dove sarebbero stati al sicuro. Riuscirono ad infiltrassi e ad organizzarne il trasporto. All'arrivo dei camion caricati a Napoli, ne mancavano due, gli alleati scoprono tramite i loro informatori che erano stati inviati in Germania. Io stesso partecipai al recupero del mal tolto. Venne mai osteggiato nella sua attività di recupero?
Ero riuscito a collaborare con il servizio d'informazione degli alleati presenti in Firenze, ricevendo da loro una tessera di riconoscimento, ma per essere stato in gioventù fascista ero visto con sospetto. Gli americani fecero su di me una investigazione segreta, per sapere se ancora condividevo le idee del fascismo. Come era visto dagli antifascisti italiani? Anche loro mi guardavano con sospetto. Per via del mio carattere scontroso ero inviso a molti. Il più accanito era Carlo Ludovico Ragghianti, mio avversario durante la lotta partigiana. Con insistenza andava chiedendo la chiusura dell'Ufficio Reuiperi aperto il primo di aprile 1946, di cui ero il Capo Ufficio. Mi parli dei suoi recuperi più clamorosi. Venni a conoscenza dei nascondigli in Alto Adige, luogo ritenuto ospitale e sicuro anche per la vicinanza alla Svizzera, dove i tedeschi avevano ammassato i tesori ai Musei degli Uffizi. Erano nascosti a Bolzano precisamente a San Leonardo e Campo Tures, nell'ex palazzo di giustizia del castello. La soffiata era stata fatta nientemeno da Karl Wolf Generale delle SS e proconsole in Italia del dittatore tedesco, con questa confessione trattava con gli americani per salvarsi. Queste opere erano state portate via da Firenze con la scusa di salvarle dai bombardamenti, erano li in attesa di essere trasportate in Germania, per finire nelle collezioni private di Hadolf Hitler e Herman Goering.
Alberto Chiarugi Read the full article
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