#dolciastro
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Olfatto straordinario - Elvira
Una mattina, al risveglio, Elvira percepì il profumo del marito che, mattiniero, aveva lasciato il letto prima di lei. Uscendo dalla camera colse istantaneamente l’invitante aroma di caffè che proveniva dalla cucina. Lì, durante la colazione, riuscì a percepire sia il profumo della papaya sia l’odore leggermente nauseante della spazzatura riposta nello stipetto sotto il lavandino. Quella…
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Primo posto per quantità di acido fosforico ツ
𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥𝐬 (𝑆𝑝𝑢𝑔𝑛𝑜𝑙𝑎; 𝑀𝑜𝑟𝑐ℎ𝑒𝑙𝑙𝑎): genere di funghi della famiglia Morchellaceae; in tutto nel genere Morchella sono state descritte 15 specie: 6 si trovano in Europa e la loro differenziazione è ancora molto incerta.
La superficie della mitra è percorsa da una tipica campitura a forma di nido d'ape, nei cui recessi si formano le spore. La forma può essere ovale, a pera o a cono appuntito; il colore va dal marroncino all'olivastro passando per l'ocra.
L'odore è quasi sempre spermatico, talvolta fungino; grato. Il sapore è dolciastro, amabile.
Spesso gregarie, le spugnole crescono in primavera in Europa, India, Pakistan, Turchia e Canada, sia nei boschi di conifere che di latifoglie, su terreni ghiaiosi o sabbiosi, ma anche su terreno bruciato; alcune specie possono essere coltivate.
Durante la raccolta delle spugnole, è importante fare attenzione alla possibile confusione con le specie del genere Gyromitra: in particolare la Gyromitra esculenta, chiamata anche falsa spugnola, la cui mitra rosso-marroncina ricorda le circonvoluzioni della corteccia cerebrale e non mostra la tipica struttura a favo della spugnola.
Le Gyromiytra possono provocare la Sindrome da Gyromitra, che in caso di consumi eccessivi può anche portare alla morte.
Tutte le specie di spugnole sono eduli solo dopo bollitura e velenose da crude: la tossina in esse contenuta è nota come Acido elvellico e può essere distrutta tramite bollitura oppure essiccazione.
Tra i funghi commestibili, le spugnole sono al primo posto per quantità di acido fosforico e al secondo posto per ossido di calcio.
Le spugnole essiccate devono essere ammorbidite per un tempo che va dalle tre alle sei ore; l'acqua per l'ammorbidimento assume una quantità notevole di aroma di spugnola e non va eliminata (non è velenosa; può essere riutilizzata); l'acqua di ammorbidimento va passata attraverso carta da filtro e liberata dalla sabbia.
Dopo l'ammorbidimento, le spugnole devono essere più volte lavate a fondo e pressate per liberarle dalla sabbia rimanente e/o dalla sporcizia; vanno cotte per circa quaranta minuti, senza coperchio, riprendendo così gran parte dell'aroma disperso con l'ammorbidimento.
L'acqua di ammorbidimento della morchella può essere ristretta, diventando un liquido altamente aromatico; va in primo luogo speziata con sale e pepe, poi addizionata di uno-due cucchiaini di porto, madera o vermuth (non secco) per far sì che il dolce della bevanda alcolica rafforzi il sapore proprio delle spugnole.
Negli USA, a Boyne (Michigan), ha luogo in primavera un festival della spugnola.
Ogni primavera, centinaia di amanti dei 𝑓𝑢𝑛𝑔ℎ𝑖 𝑠𝑝𝑢𝑔𝑛𝑜𝑙𝑒 (𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥𝐬) si recano nella cittadina di 𝐵𝑜𝑦𝑛𝑒 𝐶𝑖𝑡𝑦, nel Michigan, alla ricerca e alla celebrazione della meravigliosa spugnola
Il 𝐍𝐚𝐭𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥 𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥 𝐌𝐮𝐬𝐡𝐫𝐨𝐨𝐦 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚𝐥 si tiene a Boyne City da oltre sessant'anni; prevede degustazioni di spugnole, caccia competitiva nazionale, seminario, mostra di arti e mestieri, concerti, carnevale e molte altre divertenti attività.
I proventi del 𝐍𝐚𝐭𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥 𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥 𝐌𝐮𝐬𝐡𝐫𝐨𝐨𝐦 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚𝐥 di Boyne City vanno agli studenti delle scuole superiori della zona, per borse di studio universitarie nel campo della biologia, delle scienze naturali, dell'ospitalità o delle arti culinarie.
#𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥𝐬#𝑆𝑝𝑢𝑔𝑛𝑜𝑙𝑎#𝑀𝑜𝑟𝑐ℎ𝑒𝑙𝑙𝑎#famiglia Morchellaceae#incerta differenziazione#fungo#Eukaryota#Ascomycota#Pezizomycotina#Pezizomycetes#Pezizales#mitra#dolciastro#amabile#velenose da crude#Acido elvellico#acido fosforico#ossido di calcio#primo posto per quantità di acido fosforico#spugnole essiccate#acqua di ammorbidimento#Gyromitra#Gyromitra esculenta#falsa spugnola#Sindrome da Gyromitra#Boyne#Michigan#primavera#festival della spugnola#𝐵𝑜𝑦𝑛𝑒 𝐶𝑖𝑡𝑦
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I'll be honest chief, if risolatte didn't save me than nothing will
#eng#ita#personal#è una pappetta dal gusto blando e dolciastro: perché non è diventata immediatamente uno dei miei cibi preferiti :( ?#e ovviamente nella mia arroganza ne ho fatti sei chili
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A marzo i bidoni dell’immondizia esplodono imbrattano di gatti rossi come fiamme il buio neorealista. Ferve la città sotto il loro fosforo ingordo il bacio ha l’odore dolciastro dello zolfo. Donne gravide fluttuerebbero d’un tratto nella stanza se non vi fossero i pesanti sacchi di sabbia che brontolano davanti al televisore soffiando sulle minestre eterne. Passano sciami di farfalle sotto le gonne delle ragazze e la mia mano cade greve di polline. Una piccola termocentrale installata in bocca agli sciocchi ora darebbe il massimo rendimento (indolente e squattrinato non ho neppure paura). Un bambino piscia sul campanile e il buon Dio accoglie il suo getto caldo come un lenimento su un calcagno reumatico. La patata marcia gettata su uno spiazzo esibisce anch’essa il suo piccolo cazzo verde come segno di democrazia della natura. Mircea Dinescu - La democrazia della natura
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Storia Di Musica #325 - Family, Music In A Doll's House, 1968
L'edificio della copertina del disco di oggi è una casa. Ma di quelle delle bambole. È anche, come per una vera casa, un susseguirsi di ambienti legati, di storie. Il disco di oggi è, unanimemente, uno dei più particolari e preziosi dischi degli anni '60 e, aggiungo io, uno dei miei preferiti in assoluto. Tutto inizia a Leicester, inizio anni '60. Roger Chapman, che già ha qualche esperienza in piccoli gruppi, forma i Farinas, con suoi amici del Leicester Art College: Charlie Whitney, che suona la chitarra, Jim King che suona il sassofono, Harry Overnall e Tim Kirchin, quest'ultimo poi sostituito da Ric Grech. Registrano un primo singolo, per la Fontana, dal titolo You'd Better Stp / I Like It Like That del 1964, che ha un piccolissimo successo. Cambiano nome in Roaring Sixties e pubblicano un nuovo singolo, We Love The Pirates, nel 1966. A questo punto cambiano nome in Family, per l'abitudine di fare tutto insieme, e quando Rob Townsend sostituisce Overnall vanno a Londra. Qui in poco tempo si diffonde la notizia che in città c'è un gruppo che mischia in maniera totalmente innovativa blues, folk, jazz, e ha un cantante che ha una voce incredibile, calda, ruvida e trascinante. Nel 1967 pubblicano la loro prima grande canzone Scene Through The Eye Of A Lens, e firmano un contratto per la Reprise, etichetta fondata nel 1960 da Frank Sinatra, che cercava più libertà d'espressione dalla sua etichetta storica, la Capitol Records. Il disco di oggi, che esce nel 1968, fu il primo di una band Inglese distribuito negli Stati Uniti dall'etichetta (che nel 1968 faceva già parte della Warner Bros.).
Music In A Doll's House passerà alla storia già solo per il titolo: infatti uscirà poche settimana prima del disco dei Beatles che John Lennon voleva chiamare con lo stesso titolo (che riprende il famoso testo teatrale di Henrik Ibsen nel 1879). Lennon fregato dall'accaduto decise poi di pubblicare il loro ultimo lavoro, un disco doppio, con la copertina bianca semplice e dal semplice titolo The Beatles (capolavoro immenso della storia della musica). Quello che rende quest'album tra i più enigmatici e inventivi di quegli anni è che fu, all'atto pratico, l'anello di congiunzione storico-musicale per quello che pochi mesi dopo diventerà il progressive. Prodotto da Dave Mason dei Traffic (Inizialmente l'album avrebbe dovuto essere prodotto da Jimmy Miller, ma quest'ultimo era già impegnato nelle registrazioni di un altro capolavoro, Beggars Banquet dei Rolling Stones), il disco sciorina in 15 brani brevi (uno solo sopra i 4 minuti) una varietà incredibile di creatività, la musica della casa di bambole apre ogni volta stanze differenti: blues revival e canti gregoriani nella stessa canzone (la favolosa Old Songs New Songs), sanno giocare con il fascino dolciastro del r&b (Hey Mr Policeman), sanno suonare il miglior beat sound inglese, come i riferimenti a Kinks e Traffic di due gioielli come Me My Friend e la languida Mellowing Grey, passano con disinvoltura al folk rock (Peace Of Mind) senza disprezzare puntatine verso la psichedelia all'epoca nel fiore della sua potenza, con il sitar orientaleggiante di See Through Windows. E come dimenticare i violini e la voce "da brividi" che aprono The Voyage, prima di trasformarsi in un saltellante rock? O lo sgangherato God Save The Queen che chiude la circense 3 X Time? I brani sono intervallati da piccoli intermezzi strumentali, chiamati giustamente Variation: Variation On A Theme of Hey Mr. Policeman, Variation On A Theme Of The Breeze e Variation On A Theme Of Me My Friend. In Old Songs New Songs suonano non accreditati la band di Tubby Hayes, virtuoso del sassofono, e alcuni arrangiamenti per archi furono effettuati dall'allora 18enne Mike Batt, che diventerà in seguito grande produttore e per anni presidente dell'Industria Fonografica Inglese. La band gira a mille, usando strumenti all'epoca innovativi come il Mellotron suonato proprio da Dave Mason, il sassofono tenore e soprano di Jim King, il violino e il violoncello di Ric Grech (il quale l'anno dopo lascerà la band per suonare il basso nei Blind Faith assieme agli ex-Cream Eric Clapton e Ginger Baker e a Steve Winwood, in pausa dal suo progetto principale, i Traffic). Ma la vera bomba è la voce di Roger "Chappo" Chapman, un ruggito blues indimenticabile, dall'animalesca vocalità, che segnerà un'epoca, e farà moltissimi seguaci (Peter Gabriel dei Genesis, che nascevano proprio in quelle settimane, ne prenderà nota).
La carriera della band proseguirà per qualche anno ancora, fino al 1973, con grandi album (tra tutti Family Entertainment, Anyway e Fearless), con una delle copertine più belle degli anni '70 (il vecchio televisore anni '50, sagomato nell'edizione originale di Bandstand del 1972) e la nomea di band degli eccessi, idea questa che venne "prepotentemente" sottolineata dai racconti che una famosa groupie, Jenny Fabian, che nel suo romanzo Groupie non usò molta fantasia per nascondere i nomi dei nostri nel raccontare le pruriginose avventure dei nostri. L’ultimo concerto della Family avvenne al Politecnico di Leicester, il 13 ottobre del 1973, e si racconta che il party post concerto fu altrettanto memorabile. Degno finale di una delle più suggestive e talentuose formazioni musicali di quegli anni.
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Il sapore dolciastro in fondo alla gola dell'acqua dopo i carciofi alla romana è un sapore che mi tranquillizza sempre tanto.
Direi che è uno dei quadrati della mia patchwork coperta di Linus.
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Le sere di estate, quelle in cui si può respirare senza afa, con quel venticello leggero che ti porta l'odore dolciastro degli alberi delle località marittime italiane è forse il piacere maggiore che ho in questa stagione
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È importante dosare la quantità di ketchup che si usa altrimenti il panino acquisterà un sapore dolciastro che copre tutto.
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La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt’uno col caffè, sono io che sono in essa.
Nausea è anche il percepire l’altrui sguardo, sotto il quale io non mi trovo libero ma mi sento una cosa.
Non riesco a svincolarmi da quegli occhi che mi gravano addosso ostacolando la mia autodeterminazione.
Tutto congiura contro la mia libertà, pure il mio passato e l’amore che vorrebbe collocarmi nei suoi effimeri schemi.
Non c’è niente che non riguardi la mia emancipazione: eccetto la morte che non appartiene alla mia libera scelta e diviene la massima negazione della libertà.
Dopotutto, non io sono nauseato; bensì è la nausea ad assediarmi.
Una nausea che intride le cose e m’insidia, marca pesantemente l’intera esistenza, non si fa circoscrivere e avvolge la verità del reale nel suo vischio dolciastro tentando di tramutarmi in oggetto tra oggetti indifferenziati e inidentificabili, privati d’ogni possibile trascendenza.
E tuttavia è ancora la stucchevole nausea che mi pone di fronte all’Essere facendomi avvedere che esisto: “Esisto. È dolce, dolcissimo”.
Jean-Paul Sartre, La nausea
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L’odore di gelsomino le faceva prudere le narici eppure, per quanto quel pizzicore potesse risultare fastidioso, Elena non aspettava altro per tutto l’anno. All’inverno uggioso o alla sprizzante primavera preferiva l’odore di quei piccoli fiori bianchi che sbocciano in Giugno, portando con essi il calore dell’estate e il sapore aspro delle limonate in riva al mare. Erano i mesi in cui poteva chiudere i libri di scuola e aprire i suoi adorati romanzi, carichi di amori e avventure a occhi aperti. Quella mattina come tutti gli anni da quando ne aveva memoria - esattamente dodici e nove giorni - era giunto il momento di trasferirsi nella casa al mare della famiglia paterna. Due ore di macchina separavano il loro appartamento di città da quello spiraglio di felicità che Elena bramava con ansia, e che cominciava soltanto nel momento in cui quell’odore dolciastro proveniente dal giardino dei nonni dichiarava ufficialmente iniziata l’estate.
Il cancello color rame era seguito da un piccolo sentiero di piastrelle che, con i loro toni colorati, conducevano a una modesta villetta su due piani. Il tetto era leggermente malandato, reduce da tutte le volte in cui suo padre aveva promesso di aggiustarlo una volta arrivate le prime piogge; e poi le seconde, le terze, le quarte, perché tutto era ancora fermo lì almeno da un paio d’anni. A Elena non dispiaceva, in fin dei conti dopo un’estate umida che le lasciava i capelli appiccicati in faccia per il sudore non attendeva altro che i primi temporali d’agosto prima di ripartire.
L’arrivo era sempre un momento nostalgico tanto quanto la partenza. Tutto era esattamente come l’avevano lasciato l’estate precedente, solo il grande albero di salice sembrava ridursi in proporzione a quanto Elena acquistava centimetri d’altezza durante i mesi invernali.
«Aiutami a far scendere Bea dalla macchina prima di andare» le aveva detto sua madre. Consapevole anche lei che, nel momento esatto in cui i piedi di Elena avrebbero toccato terra, nulla l’avrebbe fermata dal correre direttamente in spiaggia e sparire così per le due ore successive. Questa volta però un aiuto con i bagagli le era d’obbligo dopo che in famiglia si era aggiunta Beatrice, una piccoletta dal sorriso a due denti e un ciuffo di capelli biondi. Abituarsi a questa nuova realtà dopo tanti anni da figlia unica non era stato semplice, aveva dovuto modificare abitudini, sonno e pensieri. Eppure non vedeva l’ora di portare la sua sorellina al mare per la prima volta e lasciarle scoprire il calore della sabbia sotto ai piedi nudi, le onde che s’infrangono sulla riva e le risate di bambini e ragazzi che giocano insieme.
«Dopo possiamo portare anche Bea a mare?» aveva provato a chiedere, con il cuore che le martellava in petto in attesa di una risposta. In quel posto non aveva dei veri e propri amici come molte altre ragazze della sua età, passava le giornate ad osservare l’orizzonte o a leggere un libro seduta sulla riva. Poter portare lì Beatrice le dava un vero motivo per godersi un’estate di giochi in spiaggia e castelli di sabbia. Un po’ come aveva ridato vita alla loro famiglia, proprio quando le cose sembravano sul punto di frantumarsi in mille pezzi.
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AEDES DE VENUSTAS - PELARGONIUM - Eau de Parfum - Feelings are scented beyond time and space… . Cercare il dettaglio infinitesimale.Forse desiderabile, al limite dell’impossibile. Come Goethe, io amo colui che desidera l’impossibile. Quanto può essere affascinante prestare naso e sensi ad una fragranza che è colma di immagini e commozione, che punta dritto alla memoria e fa rimbalzare nitido il ricordo? Eccomi qui, oggi come ieri, affascinata dalla pittura del Secolo d’oro fiammingo, persa nell’opulenza floreale di nature morte vivissime, dentro luminosi bouquet a tre dimensioni, creati per essere toccati, fiori che allungano steli e corolle verso lo sguardo, farfalle che sembrano prendere il volo, oggetti posati distrattamente che potresti rubare… (le opere di Ruysch e van Aelst? ne parlo qui). È ancora e sempre pura luce ai miei occhi, è non voler smettere di godere sine die di tanta bellezza, di circondarsi di infinita magia, lì nella natura, che seppur immobile, muove ogni corda dell’anima. Al desiderio di impossibile tiene testa questa fragranza capolavoro di Aedes de Venustas, Pelargonium, il cui fascino è manifesto, in quella sua fatale complessità creativa al limite dell’indecifrabilità. Il geranio, nota che domina la composizione, viene ritratto in un chiaroscuro olfattivo tra eleganza barocca e texture materica più contemporanea. Le sue foglie di velluto, sbriciolate con dovizia, emanano un accordo verde speziato balsamico che conquista il primo piano sulle nuance nostalgiche di iris e legno di cedro. Dal fondo scuro emergono solenni resine e legni preziosi, sentori terrosi vegetali, vetiver, legno di guaiaco, salvia sclarea, muschio, accentati dalla piccantezza di cardamomo e pepe, illuminati dal fascio radente del bergamotto.Sublime nell’evoluzione la velatura incensata dell’elemi, che cela un calore dolciastro sognante e il chiarore brumoso dei muschi che tutto eleva e ammanta di mistero. E così è il sentirsi accolto nello spazio senza tempo dell’arte, della natura, essere, partecipare, godere di tanta ineluttabile bellezza.
Creata da Nathalie Feisthauer. Eau de Parfum 100 ml. Online qui
©thebeautycove @igbeautycove
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Oltre l’orizzonte dei nostri silenzi
Il vento sfiorava la mia pelle come un sussurro, portando con sé il profumo salmastro del mare mescolato a quello dolciastro delle ginestre. Davanti a me, la villa si stagliava in tutta la sua austera bellezza. Le sue finestre scure sembravano occhi che mi scrutavano, mentre i rampicanti lungo le pareti creavano intricate ombre sulle pietre antiche. Era la prima volta che tornavo qui dopo tanti…
#Leggende e misteri di Lumenhaven#Racconti misteriosi ambientati al mare#Romanzi gotici moderni italiani#Segreti di famiglia e amori proibiti#Villa antica storie di mistero
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☆ 𝒕𝒂𝒌𝒆𝒏,
☆ 𝒊𝒅𝒆𝒏𝒕𝒊𝒕𝒚 𝒄𝒂𝒓𝒅
☆ 𝒏𝒐𝒎𝒆 𝒆 𝒄𝒐𝒈𝒏𝒐𝒎𝒆: Sybil Nocturna Altair
☆ 𝒅𝒂𝒕𝒂 𝒅𝒊 𝒏𝒂𝒔𝒄𝒊𝒕𝒂: 20/01/2012
☆ 𝒔𝒆𝒈𝒏𝒐 𝒛𝒐𝒅𝒊𝒂𝒄𝒂𝒍𝒆: pegaso
☆ 𝒍𝒖𝒐𝒈𝒐 𝒅𝒊 𝒏𝒂𝒔𝒄𝒊𝒕𝒂: oppositus
☆ 𝒍𝒆𝒈𝒂𝒎𝒊: -
☆ 𝒔𝒐𝒄𝒊𝒂𝒍 𝒎𝒆𝒅𝒊𝒂: @/gotichaze
☆ 𝒂𝒕𝒕𝒊𝒗𝒊𝒕𝒂̀ 𝒆𝒙𝒕𝒓𝒂𝒄𝒖𝒓𝒓𝒊𝒄𝒐𝒍𝒂𝒓𝒆: club di canto, club radio e podcast.
☆ 𝒎𝒂𝒕𝒆𝒓𝒊𝒂 𝒆𝒙𝒕𝒓𝒂𝒄𝒖𝒓𝒓𝒊𝒄𝒐𝒍𝒂𝒓𝒆: viaggi astrali e sogni lucidi, studi delle dimensioni parallele e dei multiversi
☆ 𝒂𝒍𝒍𝒊𝒏𝒆𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐: neutrale
☆ 𝒄𝒐𝒓𝒔𝒐: torrenuvola
☆ 𝒈𝒆𝒏𝒆𝒔: strega
☆ 𝒈𝒖𝒊𝒅𝒆𝒍𝒊𝒏𝒆: La pelle candida, quasi diafana, a contrasto con la chioma corvina a cui talvolta aggiungeva tocchi di rosso scarlatto erano la rappresentazione estetica di ciò che era internamente. Il filo sottile che divide luce e buio, ordine e caos. Non aveva mai voluto essere la “cup of tea” di qualcuno, preferiva essere assenzio puro.
☆ 𝒔𝒕𝒐𝒓𝒚𝒍𝒊𝒏𝒆: Sybil nasce e trascorre la sua giovinezza ad Oppositus e forse per questo, proprio come il pianeta da cui proviene, si sente spesso divisa in due, frammentata tra aspetti di sé che non sempre sembrano poter coesistere. I suoi genitori sono personaggi noti per i loro ruoli di rilievo all’interno della società, fortemente legati - da vincoli di lontana parentela da parte del padre - alla famiglia reale e alla corona del pianeta, e la crescono con amore e dedizione, donandole ogni genere di confort e vizio. La madre, Audra, è la prima erede di Stormy ed è proprio da lei che Sybil eredita la sua magia: I suoi poteri si incentrano infatti sugli astri e i fenomeni atmosferici e, probabilmente per questo, la si può scorgere spesso con lo sguardo rivolto verso l’alto a sussurrare i suoi segreti alla luna e alle nuvole che ritiene le sue più grandi alleate magiche. Durante il secondo anno a Torrenuvola si scopre fortemente interessata all’alchimia e alla magia mentale da cui, oltre i buoni risultati riscossi nelle ore scolastiche, trae insegnamenti che sfrutta nei suoi rapporti interpersonali. Frequenta abitualmente il club di canto e da qualche tempo ha preso parte al club della radio dove, a detta sua, mancava una messa in onda dalle sfumature più noir di cui va ghiotta e di cui la sua playlist, di cui ama parlare, è piena. Oltre al condividere brani - anche solo parzialmente meno commerciali - alla radio dibatte con gran piacere con gli altri, trovando il confronto sempre stimolante ed una buona occasione per trovare nuove menti, a suo parere interessanti, con cui poi approfondire i legami. Tuttavia la passione per la musica ed il canto sono per lei non solo un mero passatempo, ma un qualcosa a cui ambisce in modo serio e che le porta discreti risultati e riscontri.
☆ 𝒑𝒆𝒓𝒔𝒐𝒏𝒂𝒍𝒊𝒕𝒚: Ha un carattere enigmatico e complesso, ha una buona capacità diplomatica e questo le consente di saper dialogare in modo conviviale con chiunque ma è sempre alla ricerca di conversazioni meno frivole, dedicandosi con piacere a scambi più intensi se in grado di trovare qualcuno con cui entrare in connessione, rivelando una versione di sé più intima e dal retrogusto dolciastro.
☆ 𝒄𝒖𝒓𝒊𝒐𝒔𝒊𝒕𝒊𝒆𝒔 𝒂𝒏𝒅 𝒔𝒆𝒄𝒓𝒆𝒕𝒔:
- Nonostante la notte sia la sua migliore amica, è al contempo la sua nemesi. Prender sonno, spesso, le risulta complicato al punto da ripiegare su aiuti magici da parte di erbe ed infusi.
- Difficilmente parla della sua famiglia tanto che, prima dell’arrivo della stessa a Torrenuvola, quasi nessuno sa che ha una sorella minore.
- Per quanto possa sembrare sfacciata e disinteressata al giudizio altrui per il modo in cui si pone ha in realtà un lato sensibile che - se toccato in punti dolenti - la rende più vulnerabile di quanto vorrebbe mai ammettere.
- Indossa costantemente monili appartenuti a Stormy, sentendosi quasi protetta da essi e di cui è tremendamente gelosa.
- La sua idea di amore è estremamente fluida e libera, quindi non vincolata all’aspetto dell’altr*, ma il suo sguardo cade quasi sempre sulle ragazze.
☆ 𝒑𝒐𝒘𝒆𝒓𝒔 𝒂𝒏𝒅 𝒂𝒃𝒊𝒍𝒊𝒕𝒊𝒆𝒔: Sybil è la strega delle Tempeste, e i suoi poteri sono basati appunto sulla creazione di tempeste, tornado, raffiche di vento molto forti e fulmini. Può manipolare o creare tempeste elettriche. Ha principalmente poteri legati alle ombre, riesce a controllare le ombre, è esperta nella magia oscura, può creare illusioni, usa spesso la manipolazione mentale e riesce a controllare sia la luce che l'oscurità.
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La mela marcia, Alessandro Quadri Di Cardano, Bertoni Editore. A cura di Barbara Anderson
Ogni volta che immagino una mela, tendo sempre a immaginare la mela dell’albero della conoscenza, dell’Eden. Il frutto proibito, gustoso, invitante, capace di illuminarci con la verità. Verità che però nasconde un lato oscuro, il lato forse marcio di quella mela che una volta morsa non permette di tornare più indietro; quel sapore rancido e dolciastro ti resterà sul palato a lungo, forse anche…
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Saremo noi: Giorno 34
Che belle le giornate in cui riesco a scrivere a lungo. Avrei preferito comunque farlo di mattina, ma la mattina avevo altre faccende da sbrigare. Avrei anche preferito non morire di freddo per tutto il tempo, ma stiamo cercando di risparmiare sul riscaldamento e quindi va bene così.
Quante parole ho scritto: 1350 // 34592 (totale)
Quando ho scritto: dalle 14:30 alle 17:30.
Che musica ho ascoltato: All'inizio la playlist del romanzo, poi una playlist lo-fi perché è quello che ascoltavano i personaggi nella scena che stavo scrivendo.
Osservazioni: Questa parte della trama tra midpoint e inizio del terzo atto è quella che avevo pianificato di meno in scaletta, quindi mi sto muovendo abbastanza a braccio. Questo mi fa procedere più lentamente, ma credo che mi stiano uscendo diverse scene interessanti. Spero che mi portino dove devo andare.
Estratto di oggi:
Oltre il finestrino posteriore opaco di smog e polvere le luci gialle dei lampioni lampeggiano a distanze regolari come il ritmo di una canzone muta. Appoggio la nuca al retro dei sedili e inspiro a tempo. Quattro lampioni aria dentro, quattro lampioni aria fuori. Da capo. Insieme all’odore di tappezzeria vecchia e compensato, nel pulmino c’è un profumo dolciastro e intenso, quasi di anice o liquirizia, che mi punge il fondo del palato. Annuso l’aria per cercare l’origine e mi sembra che provenga da Irene. Dai suoi vestiti, forse. Irene tira indietro la testa e mi guarda con la fronte aggrottata. «Perché mi stai annusando?» «Oh… Scusa.» Mi schiaccio il polso coperto dalla manica del cardigan contro le narici. «È che hai un odore strano.» Inarca un sopracciglio. «Puzzo?» «No, no, è solo diverso dal solito.» Mi mordo il labbro. «Sembra un profumo, ecco, e di solito non lo porti.» Sembra un profumo da uomo. Nello specifico, sembra il profumo di Karl, che imbeve l’aria di qualsiasi stanza in cui si trovi, ma questo non lo dico. «Ti dà fastidio?» «Un po’.» «Mi dispiace…» Scrollo le spalle. «Non fa niente, tanto sono solo pochi minuti ancora di viaggio.» «Poi se vuoi mi cambio.» «Okay.» Non ci scambiamo un’altra parola per tutto il resto del tragitto.
C'era un altro estratto che avrei voluto condividere, ma sarebbe stato ancora più lungo di questo e sarebbe stato un po' troppo spoiler per i miei gusti, quindi ho preferito fare così. A domani!
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Capitolo 2: Contemporaneamente familiare e novizio
Mentre Talulah e Vana proseguivano nel loro cammino, il porto di Folach si rivelava ai loro occhi come un mondo vivo e vibrante, sotto la luce dorata del mattino. La pietra dei moli, lucida e levigata dal passaggio innumerevole di piedi e carichi, emanava un sottile odore di sale che si mescolava a quello delle alghe e delle spezie trasportate dai mercanti. Un giovane addetto al porto si trascinava sotto il peso di un baule di legno, mentre poco lontano una venditrice di pesce offriva il suo bottino con una voce squillante, attirando l’attenzione dei passanti. Uomini e donne di ogni provenienza popolavano l’area, tutti presi dalle proprie faccende, ma tutti accomunati dall’attesa e dalla frenesia tipiche di un porto attivo e accogliente.
Talulah si guardava intorno con occhi avidi, quasi cercando di imprimere ogni dettaglio nella sua memoria. Era la sua prima volta in un luogo così ampio e complesso, e ogni angolo sembrava riservarle una nuova meraviglia. Il profilo delle mura, massiccio e antico, la intimoriva ma al tempo stesso la incantava. Non riusciva a decidere se posare lo sguardo sulle figure dinamiche della folla o su quelle sculture incastonate nella pietra dei palazzi, che sembravano osservare i passanti dall’alto, come testimoni silenziosi di una storia millenaria.
Accanto a lei, Vana avanzava con un’espressione diversa, un misto di nostalgia e affetto che le addolciva i lineamenti. Il suo sguardo vagava con calma attenta e quasi affettuosa, soffermandosi su particolari che agli altri avrebbero potuto sembrare insignificanti. Dopo qualche passo, Vana si fermò, lasciando che un sorriso velato di malinconia le affiorasse sulle labbra.
«Trovo sempre affascinante visitare un luogo dopo tempo,» mormorò, lo sguardo che si perdeva nella vivacità del porto, ma come se guardasse attraverso la realtà, ricordando qualcosa di più antico e intimo. «C’è sempre una sensazione particolare, come se tutto fosse contemporaneamente familiare e novizio.»
Talulah la ascoltava rapita, i suoi occhi che passavano dal volto di Vana alla scena che si svolgeva intorno a loro, come per trovare un riscontro alle parole della donna nei dettagli del porto. Era colpita dal modo in cui Vana sembrava muoversi, come se ogni cosa lì le appartenesse, ma in un modo silenzioso, quasi segreto.
«Vedi quella scultura?» Vana indicò una figura di marmo che si ergeva accanto a un edificio dal tetto spiovente. L’espressione solenne su quel volto vibrava di vita propria, un’artefice maestria che aveva catturato ogni sfumatura di movimento in una figura immobile.
«L’ultima volta in cui sono stata da queste parti, la stavano ancora scolpendo. Ricordo ancora la precisione con cui maneggiavano il blocco di marmo, nell’attesa di liberare la loro visione.»
Talulah fissò la scultura con occhi sgranati, cercando di immaginare l’opera ancora grezza, ancora prigioniera del marmo. «Deve essere stata una cosa meravigliosa da vedere,» sussurrò, come se non volesse interrompere i ricordi di Vana. Notava come la voce della donna si addolcisse, come se parlasse a un amico perso ma ritrovato.
«Ammetto che è anche migliore di quanto mi sarei mai aspettata,» continuò Vana, appoggiando un piede su un gradino e lasciando scorrere lo sguardo su quel volto di pietra, come a voler imprimere nella memoria l’aspetto finale di un’opera che aveva visto nascere.
Sospirando, Vana indicò poi una casa poco distante, nascosta in parte dietro un grande carro di mercanti che scaricava barili dal profumo dolciastro. La sua voce divenne più soffusa, quasi intima. «E quella casa… io la ricordavo abbandonata e fatiscente. Mi piangeva il cuore, visti i dolci ricordi che ho creato lì, quando ero una bambina. Vederla messa a nuovo è un motivo di grande gioia.»
Talulah seguì lo sguardo di Vana fino a quel piccolo edificio dai muri restaurati e dall’intonaco chiaro, immaginando una bambina dalle folte chiome rosse che correva nei corridoi di quella casa. Le parole della donna evocavano immagini che sembravano danzare davanti ai suoi occhi, rendendo la città stessa un luogo vivo, una creatura che respirava e ricordava insieme a loro.
Il loro cammino proseguiva lungo il molo, mentre la vita pulsava tutt’intorno, eppure Vana sembrava immergersi in un’altra epoca, quasi rapita dalla storia delle strade e dei volti che vi scorrevano. La scultura accanto alla quale si erano fermate, con il suo volto regale e austero, pareva riflettere la sua stessa posa, come se il Soffio Vitale di Vana fosse legato a quell’opera, a quelle pietre che raccontavano delle sue origini.
Talulah notò quella connessione, avvertendo il peso di una storia che non le apparteneva eppure la affascinava. Dopo un attimo, il suo sguardo curioso si spostò su Vana. «Quindi, Vana, tu visiti Folach sin da piccola?» chiese, la voce carica di un timore riverente.
Vana annuì, un sorriso lieve sul volto. «Sì, mia nonna e mia madre ne hanno sempre parlato come della città dei nostri antenati, di chi venne prima di noi. Raccontavano spesso che molti della mia stirpe provenivano proprio da qui, e nonostante i secoli, la nostra famiglia non ha mai smesso di sentire un legame con questa terra. Io sono cresciuta in giro per Vescurga, ma Folach è sempre stata una presenza nei nostri racconti. È ironico pensare che, tra noi due, io sia la straniera, eppure quella che forse porta più ricordi di questo luogo.»
Talulah sorrise, un po' incantata dalla dolcezza che la sua interlocutrice mostrava verso un posto tanto lontano. Con un piccolo cenno, Vana fece scorrere lo sguardo verso la scultura come se fosse una persona, un volto che conosceva da sempre, così familiare da non necessitare parole. Il marmo freddo e immobile della statua custodiva una memoria antica e condivisa, una sorta di legame silenzioso che, agli occhi attenti di Talulah, assumeva un’aria quasi solenne.
«Io vengo dal Cryneach, una delle città più a settentrione,» aggiunse Talulah, quasi cercando di aggiungere anche un pezzo di sé stessa al mosaico della conversazione. «Anche lì c’è un fiume che conduce verso un bellissimo lago, come qui, ma le somiglianze si fermano lì. Da noi, una nebbia fitta avvolge continuamente la città, lasciandola in una quiete ovattata, quasi irreale. È un posto onirico, molto diverso da questo luogo così colorato e sereno. Qui tutto è aperto, luminoso: guardandomi intorno, mi sembra quasi di essere a Sanuragh.»
Vana ascoltava in silenzio, presa dalla descrizione che Talulah le forniva della sua città natale, ma, quando sentì l’ultima parola, si voltò di scatto. Sentirla menzionare Sanuragh la fece sussultare, come se il nome stesso l’avesse scossa dai pensieri. Per un attimo, il suo volto rivelò un’espressione tesa, poi mascherata rapidamente da un sorriso incerto. «La maestosa isola di Sanuragh, sì…» mormorò, il tono di voce che nascondeva qualcosa, un’inquietudine trattenuta. «Conosco molto bene quell’isola.»
Talulah notò la sfumatura nel tono di Vana, ma la sua curiosità per quell’angolo di mondo la spinse a continuare. «È curioso, non trovi? Io sono cresciuta qui, eppure ho avuto modo di visitare Sanuragh, la gigantesca isola che si trova a meridione di Balia Claea, prima ancora di venire a Folach.»
Vana si sforzò di sorridere, ma un’ombra sottile sembrava attraversarle lo sguardo. Lo stesso ambiente che fino a poco prima le aveva dato un senso di familiarità adesso le appariva sotto una luce differente, quasi minacciosa. Sentiva gli occhi della gente su di sé, una presenza amichevole ma che la faceva comunque sentire esposta. Alcune persone nei paraggi stavano osservando lei e Talulah con curiosità, sguardi bonari e discreti, come quello di una donna con un cesto di fiori che le salutò con un lieve cenno del capo prima di proseguire. Vana le restituì il saluto con un cenno della testa, ma il suo sguardo era inquieto, e il suo sorriso non del tutto spontaneo.
Intanto, una delle persone che le osservavano si staccò dal gruppo, una figura femminile avvolta in una veste leggera di lino color sabbia, i capelli castani raccolti in una treccia che cadeva sulla spalla. Il suo volto aperto e gentile esprimeva un sincero benvenuto, e un leggero sorriso le increspava le labbra mentre si avvicinava a loro con passo sicuro ma amichevole.
«Perdonatemi, non avevo fatto caso a voi!» esclamò, cogliendole di sorpresa. La voce squillante e gentile di quella donna giunse improvvisa, e Vana ebbe un leggero sobbalzo, sorpresa. Persa com’era nei suoi pensieri, non si era accorta del suo arrivo, e il suo sguardo ora indugiava sulla nuova arrivata, come alla ricerca di qualcosa di indefinito.
«Ma…» iniziò la donna. La pausa dopo quella sillaba fece inarcare le sopracciglia di Vana, mentre Talulah restava impassibile, in attesa di capire cosa stesse accadendo. «… adesso sono qui, carissime visitatrici!» esclamò con tono allegro e amichevole. «Vi do il benvenuto nella mia città. Io mi chiamo Aberfa, e sono stata inviata qui per accertarmi che tutti i passeggeri della nave siano accolti come si deve.»
Talulah, sollevata dalla cortesia dell'accoglienza, ricambiò il sorriso di Aberfa con entusiasmo. «In tal caso, grazie tante, Aberfa. Io mi chiamo Talulah, e la donna al mio fianco è Vana.»
Aberfa fece un cenno di approvazione, rivolgendo lo sguardo a entrambe con genuino interesse. «Cosa vi conduce qui a Folach?» chiese, con un tono di curiosità non invadente, ma cortese.
«Io sono di ritorno da un viaggio,» spiegò Talulah. «Dovrei tornare a Cryneach, ma, come accennavo alla mia amica, non ho mai visitato questa città, per cui ho voluto cogliere una ghiotta occasione.»
Mentre parlava, Vana osservava attentamente Aberfa, cercando di mascherare il proprio turbamento. C’era qualcosa nella donna, un dettaglio sottile ed impercettibile, forse la forma degli occhi o l’angolo del sorriso, oppure il modo in cui la luce le illuminava i capelli, che evocava in Vana un ricordo sfocato, come un volto che sapeva di dover riconoscere. Era come se quella donna portasse una traccia familiare, un’impronta che non riusciva a identificare e che le dava una vaga sensazione di disagio.
Aberfa si volse infine verso di lei, con un sorriso incoraggiante. «E voi, invece, Lady Vana?» chiese, pronta ad accogliere la sua risposta con lo stesso calore che aveva riservato a Talulah.
Per un attimo, Vana parve esitare, quasi volesse nascondere qualcosa dietro uno sguardo distante. Questo fu chiaro a Talulah, che decise di approfittarne per rispondere in sua voce. «Temo che siano faccende personali,» accennò, scegliendo le parole con cautela, «non esattamente il tipo di cui voglia conversare qui, all’aperto.»
Aberfa annuì con comprensione. «Capisco benissimo,» rispose, abbassando il tono come a rispettare la discrezione che Vana desiderava.
«Coraggio, seguitemi!» disse infine Aberfa, riaccendendo la sua energia entusiasta. «La vostra permanenza sarà spettacolare, ve lo prometto!»
Le tre donne si mossero in direzione delle porte che conducevano al cuore di Folach, ed ogni passo che compivano sul suolo antico della città sembrava immergere Vana in un ricordo profondo, quasi sepolto. A ogni sguardo verso Aberfa, Vana provava quella stessa curiosità inquieta, un senso di connessione che non riusciva a definire. Era come se il suo passato si fosse materializzato improvvisamente davanti a lei, nella figura di una donna sconosciuta che pure portava in sé un frammento della sua storia.
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