#dolciastro
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Olfatto straordinario - Elvira
Una mattina, al risveglio, Elvira percepì il profumo del marito che, mattiniero, aveva lasciato il letto prima di lei. Uscendo dalla camera colse istantaneamente l’invitante aroma di caffè che proveniva dalla cucina. Lì, durante la colazione, riuscì a percepire sia il profumo della papaya sia l’odore leggermente nauseante della spazzatura riposta nello stipetto sotto il lavandino. Quella…
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Primo posto per quantità di acido fosforico ツ
𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥𝐬 (𝑆𝑝𝑢𝑔𝑛𝑜𝑙𝑎; 𝑀𝑜𝑟𝑐ℎ𝑒𝑙𝑙𝑎): genere di funghi della famiglia Morchellaceae; in tutto nel genere Morchella sono state descritte 15 specie: 6 si trovano in Europa e la loro differenziazione è ancora molto incerta.
La superficie della mitra è percorsa da una tipica campitura a forma di nido d'ape, nei cui recessi si formano le spore. La forma può essere ovale, a pera o a cono appuntito; il colore va dal marroncino all'olivastro passando per l'ocra.
L'odore è quasi sempre spermatico, talvolta fungino; grato. Il sapore è dolciastro, amabile.
Spesso gregarie, le spugnole crescono in primavera in Europa, India, Pakistan, Turchia e Canada, sia nei boschi di conifere che di latifoglie, su terreni ghiaiosi o sabbiosi, ma anche su terreno bruciato; alcune specie possono essere coltivate.
Durante la raccolta delle spugnole, è importante fare attenzione alla possibile confusione con le specie del genere Gyromitra: in particolare la Gyromitra esculenta, chiamata anche falsa spugnola, la cui mitra rosso-marroncina ricorda le circonvoluzioni della corteccia cerebrale e non mostra la tipica struttura a favo della spugnola.
Le Gyromiytra possono provocare la Sindrome da Gyromitra, che in caso di consumi eccessivi può anche portare alla morte.
Tutte le specie di spugnole sono eduli solo dopo bollitura e velenose da crude: la tossina in esse contenuta è nota come Acido elvellico e può essere distrutta tramite bollitura oppure essiccazione.
Tra i funghi commestibili, le spugnole sono al primo posto per quantità di acido fosforico e al secondo posto per ossido di calcio.
Le spugnole essiccate devono essere ammorbidite per un tempo che va dalle tre alle sei ore; l'acqua per l'ammorbidimento assume una quantità notevole di aroma di spugnola e non va eliminata (non è velenosa; può essere riutilizzata); l'acqua di ammorbidimento va passata attraverso carta da filtro e liberata dalla sabbia.
Dopo l'ammorbidimento, le spugnole devono essere più volte lavate a fondo e pressate per liberarle dalla sabbia rimanente e/o dalla sporcizia; vanno cotte per circa quaranta minuti, senza coperchio, riprendendo così gran parte dell'aroma disperso con l'ammorbidimento.
L'acqua di ammorbidimento della morchella può essere ristretta, diventando un liquido altamente aromatico; va in primo luogo speziata con sale e pepe, poi addizionata di uno-due cucchiaini di porto, madera o vermuth (non secco) per far sì che il dolce della bevanda alcolica rafforzi il sapore proprio delle spugnole.
Negli USA, a Boyne (Michigan), ha luogo in primavera un festival della spugnola.
Ogni primavera, centinaia di amanti dei 𝑓𝑢𝑛𝑔ℎ𝑖 𝑠𝑝𝑢𝑔𝑛𝑜𝑙𝑒 (𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥𝐬) si recano nella cittadina di 𝐵𝑜𝑦𝑛𝑒 𝐶𝑖𝑡𝑦, nel Michigan, alla ricerca e alla celebrazione della meravigliosa spugnola
Il 𝐍𝐚𝐭𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥 𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥 𝐌𝐮𝐬𝐡𝐫𝐨𝐨𝐦 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚𝐥 si tiene a Boyne City da oltre sessant'anni; prevede degustazioni di spugnole, caccia competitiva nazionale, seminario, mostra di arti e mestieri, concerti, carnevale e molte altre divertenti attività.
I proventi del 𝐍𝐚𝐭𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥 𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥 𝐌𝐮𝐬𝐡𝐫𝐨𝐨𝐦 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚𝐥 di Boyne City vanno agli studenti delle scuole superiori della zona, per borse di studio universitarie nel campo della biologia, delle scienze naturali, dell'ospitalità o delle arti culinarie.
#𝐌𝐨𝐫𝐞𝐥𝐬#𝑆𝑝𝑢𝑔𝑛𝑜𝑙𝑎#𝑀𝑜𝑟𝑐ℎ𝑒𝑙𝑙𝑎#famiglia Morchellaceae#incerta differenziazione#fungo#Eukaryota#Ascomycota#Pezizomycotina#Pezizomycetes#Pezizales#mitra#dolciastro#amabile#velenose da crude#Acido elvellico#acido fosforico#ossido di calcio#primo posto per quantità di acido fosforico#spugnole essiccate#acqua di ammorbidimento#Gyromitra#Gyromitra esculenta#falsa spugnola#Sindrome da Gyromitra#Boyne#Michigan#primavera#festival della spugnola#𝐵𝑜𝑦𝑛𝑒 𝐶𝑖𝑡𝑦
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I'll be honest chief, if risolatte didn't save me than nothing will
#eng#ita#personal#è una pappetta dal gusto blando e dolciastro: perché non è diventata immediatamente uno dei miei cibi preferiti :( ?#e ovviamente nella mia arroganza ne ho fatti sei chili
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Tanti anni fa ho incontrato una rapa. Parlava come parlano le rape, era buffa e pragmatica, ché le rape sono ancorate alla terra e non si perdono mai in chiacchiere filosofiche. Mi faceva ridere ed era gentile e mi ci sono molto affezionato.
Come ogni rapa, aveva un lungo ciuffo giocoso e ti faceva immaginare un sottosuolo morbido e felice. Ma era una rapa. Era una radice, silenziosa e spiccia. Ben presto me ne accorsi. All’inizio ne soffrivo molto perché avrei voluto che non mi respingesse, che la gioia del suo ciuffo non fosse per me un inganno, ma la promessa della profondità. La perdonai, e in fondo non c’era nulla da perdonare: la rapa era semplicemente una rapa. Faceva la rapa. Non poteva non essere una rapa.
Passarono gli anni, imparai ad amare la sua forma semplice, il suo gusto dolciastro e mai dolce del tutto. Distante quanto basta, dimenticai che era una rapa. Come succede quando non guardi da vicino, riempii di fantasia lo spazio che ci separava. Era la mia rapa, una rapa immaginaria, che mi voleva bene, anche se a modo suo.
Un giorno la rapa mi respinse ancora. Senza una ragione precisa. Non stavo provando a sradicarla, non scavavo, non le giravo intorno ormai da molto tempo. Mi fu chiaro che quello spazio che io avevo riempito di fantasia, anche lei lo aveva riempito di qualcosa. Forse le mie antiche richieste, la mia pretesa che il suo ciuffo rappresentasse più di un entusiasta saluto alla vita e significasse altro, l’avevano segnata. Era fragile, e in quel passato lontano si era sentita inadeguata. Forse sulla sua pellicina c’era una cicatrice.
Mi dispiacque molto, di averla messa a disagio e della solitudine che provavo. Finalmente capii che non potevo tirare e tirare ancora finché non avesse cavato un po’ di succo, nella speranza che il suo rosso di superficie le corrispondesse e mi corrispondesse nel profondo.
Finalmente capii che volevo dolcezza piena, perché il dolciastro non mi bastava. Avevo tutta la forza per seguire radici profonde e intricate, capaci di nutrire tronchi robusti e fronde che risuonano al vento. Avevo bisogno di radici desiderose di essere trovate, come le mie.
Finalmente capii che le rape non mi piacciono.
#ninoelesirene#pensieri#frasi#persone#riflessioni#sentimenti#letteraturabreve#emozioni#amore#aforismi#rapa
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Storia Di Musica #325 - Family, Music In A Doll's House, 1968
L'edificio della copertina del disco di oggi è una casa. Ma di quelle delle bambole. È anche, come per una vera casa, un susseguirsi di ambienti legati, di storie. Il disco di oggi è, unanimemente, uno dei più particolari e preziosi dischi degli anni '60 e, aggiungo io, uno dei miei preferiti in assoluto. Tutto inizia a Leicester, inizio anni '60. Roger Chapman, che già ha qualche esperienza in piccoli gruppi, forma i Farinas, con suoi amici del Leicester Art College: Charlie Whitney, che suona la chitarra, Jim King che suona il sassofono, Harry Overnall e Tim Kirchin, quest'ultimo poi sostituito da Ric Grech. Registrano un primo singolo, per la Fontana, dal titolo You'd Better Stp / I Like It Like That del 1964, che ha un piccolissimo successo. Cambiano nome in Roaring Sixties e pubblicano un nuovo singolo, We Love The Pirates, nel 1966. A questo punto cambiano nome in Family, per l'abitudine di fare tutto insieme, e quando Rob Townsend sostituisce Overnall vanno a Londra. Qui in poco tempo si diffonde la notizia che in città c'è un gruppo che mischia in maniera totalmente innovativa blues, folk, jazz, e ha un cantante che ha una voce incredibile, calda, ruvida e trascinante. Nel 1967 pubblicano la loro prima grande canzone Scene Through The Eye Of A Lens, e firmano un contratto per la Reprise, etichetta fondata nel 1960 da Frank Sinatra, che cercava più libertà d'espressione dalla sua etichetta storica, la Capitol Records. Il disco di oggi, che esce nel 1968, fu il primo di una band Inglese distribuito negli Stati Uniti dall'etichetta (che nel 1968 faceva già parte della Warner Bros.).
Music In A Doll's House passerà alla storia già solo per il titolo: infatti uscirà poche settimana prima del disco dei Beatles che John Lennon voleva chiamare con lo stesso titolo (che riprende il famoso testo teatrale di Henrik Ibsen nel 1879). Lennon fregato dall'accaduto decise poi di pubblicare il loro ultimo lavoro, un disco doppio, con la copertina bianca semplice e dal semplice titolo The Beatles (capolavoro immenso della storia della musica). Quello che rende quest'album tra i più enigmatici e inventivi di quegli anni è che fu, all'atto pratico, l'anello di congiunzione storico-musicale per quello che pochi mesi dopo diventerà il progressive. Prodotto da Dave Mason dei Traffic (Inizialmente l'album avrebbe dovuto essere prodotto da Jimmy Miller, ma quest'ultimo era già impegnato nelle registrazioni di un altro capolavoro, Beggars Banquet dei Rolling Stones), il disco sciorina in 15 brani brevi (uno solo sopra i 4 minuti) una varietà incredibile di creatività, la musica della casa di bambole apre ogni volta stanze differenti: blues revival e canti gregoriani nella stessa canzone (la favolosa Old Songs New Songs), sanno giocare con il fascino dolciastro del r&b (Hey Mr Policeman), sanno suonare il miglior beat sound inglese, come i riferimenti a Kinks e Traffic di due gioielli come Me My Friend e la languida Mellowing Grey, passano con disinvoltura al folk rock (Peace Of Mind) senza disprezzare puntatine verso la psichedelia all'epoca nel fiore della sua potenza, con il sitar orientaleggiante di See Through Windows. E come dimenticare i violini e la voce "da brividi" che aprono The Voyage, prima di trasformarsi in un saltellante rock? O lo sgangherato God Save The Queen che chiude la circense 3 X Time? I brani sono intervallati da piccoli intermezzi strumentali, chiamati giustamente Variation: Variation On A Theme of Hey Mr. Policeman, Variation On A Theme Of The Breeze e Variation On A Theme Of Me My Friend. In Old Songs New Songs suonano non accreditati la band di Tubby Hayes, virtuoso del sassofono, e alcuni arrangiamenti per archi furono effettuati dall'allora 18enne Mike Batt, che diventerà in seguito grande produttore e per anni presidente dell'Industria Fonografica Inglese. La band gira a mille, usando strumenti all'epoca innovativi come il Mellotron suonato proprio da Dave Mason, il sassofono tenore e soprano di Jim King, il violino e il violoncello di Ric Grech (il quale l'anno dopo lascerà la band per suonare il basso nei Blind Faith assieme agli ex-Cream Eric Clapton e Ginger Baker e a Steve Winwood, in pausa dal suo progetto principale, i Traffic). Ma la vera bomba è la voce di Roger "Chappo" Chapman, un ruggito blues indimenticabile, dall'animalesca vocalità, che segnerà un'epoca, e farà moltissimi seguaci (Peter Gabriel dei Genesis, che nascevano proprio in quelle settimane, ne prenderà nota).
La carriera della band proseguirà per qualche anno ancora, fino al 1973, con grandi album (tra tutti Family Entertainment, Anyway e Fearless), con una delle copertine più belle degli anni '70 (il vecchio televisore anni '50, sagomato nell'edizione originale di Bandstand del 1972) e la nomea di band degli eccessi, idea questa che venne "prepotentemente" sottolineata dai racconti che una famosa groupie, Jenny Fabian, che nel suo romanzo Groupie non usò molta fantasia per nascondere i nomi dei nostri nel raccontare le pruriginose avventure dei nostri. L’ultimo concerto della Family avvenne al Politecnico di Leicester, il 13 ottobre del 1973, e si racconta che il party post concerto fu altrettanto memorabile. Degno finale di una delle più suggestive e talentuose formazioni musicali di quegli anni.
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Il sapore dolciastro in fondo alla gola dell'acqua dopo i carciofi alla romana è un sapore che mi tranquillizza sempre tanto.
Direi che è uno dei quadrati della mia patchwork coperta di Linus.
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Le sere di estate, quelle in cui si può respirare senza afa, con quel venticello leggero che ti porta l'odore dolciastro degli alberi delle località marittime italiane è forse il piacere maggiore che ho in questa stagione
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È importante dosare la quantità di ketchup che si usa altrimenti il panino acquisterà un sapore dolciastro che copre tutto.
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La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt’uno col caffè, sono io che sono in essa.
Nausea è anche il percepire l’altrui sguardo, sotto il quale io non mi trovo libero ma mi sento una cosa.
Non riesco a svincolarmi da quegli occhi che mi gravano addosso ostacolando la mia autodeterminazione.
Tutto congiura contro la mia libertà, pure il mio passato e l’amore che vorrebbe collocarmi nei suoi effimeri schemi.
Non c’è niente che non riguardi la mia emancipazione: eccetto la morte che non appartiene alla mia libera scelta e diviene la massima negazione della libertà.
Dopotutto, non io sono nauseato; bensì è la nausea ad assediarmi.
Una nausea che intride le cose e m’insidia, marca pesantemente l’intera esistenza, non si fa circoscrivere e avvolge la verità del reale nel suo vischio dolciastro tentando di tramutarmi in oggetto tra oggetti indifferenziati e inidentificabili, privati d’ogni possibile trascendenza.
E tuttavia è ancora la stucchevole nausea che mi pone di fronte all’Essere facendomi avvedere che esisto: “Esisto. È dolce, dolcissimo”.
Jean-Paul Sartre, La nausea
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MISCHIEF AND FIDELITY - MY ONE SHOTS
1) Absolute Fidelity
https://www.tumblr.com/shambelle97/693576741444304896/loki-si-maledisse-allidea-di-aver-saggiato-ancora
2) Wedding Of Deception
https://www.tumblr.com/shambelle97/693932783212609536/sigyn-era-intenta-ad-ammirarsi-allo-specchio-della
3) Forbidden Passion
https://www.tumblr.com/shambelle97/694658098723422208/lintera-asgard-era-in-fermento-tale-causa-si
4) Jealousy
https://www.tumblr.com/shambelle97/699636580744298496/i-preziosi-monili-che-giacevano-sopra-lo-scrittoio
5) Poison
https://www.tumblr.com/shambelle97/699829911385473024/il-rancore-e-la-rabbia-pervasero-fin-dentro-le
6) Hell Is Living Without You
https://www.tumblr.com/shambelle97/699985785908297728/il-liquido-dolciastro-dellidromele-scorreva-a
7) Snake Bite
https://www.tumblr.com/shambelle97/700750719685459968/la-splendida-figura-di-sigyn-varcava-lingresso
8) God Jul
https://www.tumblr.com/shambelle97/702885793752023040/il-candore-della-neve-adornava-ogni-angolo-della
9) First Meeting
https://at.tumblr.com/shambelle97/le-alte-torri-di-valaskjalf-si-ergevano-in/1b54isojlibv
10) In The Dragon’s Lair
https://www.tumblr.com/shambelle97/717042210693120000/loki-si-ritrov%C3%B2-a-percorrere-i-vasti-corridoi-di?source=share
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L’odore di gelsomino le faceva prudere le narici eppure, per quanto quel pizzicore potesse risultare fastidioso, Elena non aspettava altro per tutto l’anno. All’inverno uggioso o alla sprizzante primavera preferiva l’odore di quei piccoli fiori bianchi che sbocciano in Giugno, portando con essi il calore dell’estate e il sapore aspro delle limonate in riva al mare. Erano i mesi in cui poteva chiudere i libri di scuola e aprire i suoi adorati romanzi, carichi di amori e avventure a occhi aperti. Quella mattina come tutti gli anni da quando ne aveva memoria - esattamente dodici e nove giorni - era giunto il momento di trasferirsi nella casa al mare della famiglia paterna. Due ore di macchina separavano il loro appartamento di città da quello spiraglio di felicità che Elena bramava con ansia, e che cominciava soltanto nel momento in cui quell’odore dolciastro proveniente dal giardino dei nonni dichiarava ufficialmente iniziata l’estate.
Il cancello color rame era seguito da un piccolo sentiero di piastrelle che, con i loro toni colorati, conducevano a una modesta villetta su due piani. Il tetto era leggermente malandato, reduce da tutte le volte in cui suo padre aveva promesso di aggiustarlo una volta arrivate le prime piogge; e poi le seconde, le terze, le quarte, perché tutto era ancora fermo lì almeno da un paio d’anni. A Elena non dispiaceva, in fin dei conti dopo un’estate umida che le lasciava i capelli appiccicati in faccia per il sudore non attendeva altro che i primi temporali d’agosto prima di ripartire.
L’arrivo era sempre un momento nostalgico tanto quanto la partenza. Tutto era esattamente come l’avevano lasciato l’estate precedente, solo il grande albero di salice sembrava ridursi in proporzione a quanto Elena acquistava centimetri d’altezza durante i mesi invernali.
«Aiutami a far scendere Bea dalla macchina prima di andare» le aveva detto sua madre. Consapevole anche lei che, nel momento esatto in cui i piedi di Elena avrebbero toccato terra, nulla l’avrebbe fermata dal correre direttamente in spiaggia e sparire così per le due ore successive. Questa volta però un aiuto con i bagagli le era d’obbligo dopo che in famiglia si era aggiunta Beatrice, una piccoletta dal sorriso a due denti e un ciuffo di capelli biondi. Abituarsi a questa nuova realtà dopo tanti anni da figlia unica non era stato semplice, aveva dovuto modificare abitudini, sonno e pensieri. Eppure non vedeva l’ora di portare la sua sorellina al mare per la prima volta e lasciarle scoprire il calore della sabbia sotto ai piedi nudi, le onde che s’infrangono sulla riva e le risate di bambini e ragazzi che giocano insieme.
«Dopo possiamo portare anche Bea a mare?» aveva provato a chiedere, con il cuore che le martellava in petto in attesa di una risposta. In quel posto non aveva dei veri e propri amici come molte altre ragazze della sua età, passava le giornate ad osservare l’orizzonte o a leggere un libro seduta sulla riva. Poter portare lì Beatrice le dava un vero motivo per godersi un’estate di giochi in spiaggia e castelli di sabbia. Un po’ come aveva ridato vita alla loro famiglia, proprio quando le cose sembravano sul punto di frantumarsi in mille pezzi.
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AEDES DE VENUSTAS - PELARGONIUM - Eau de Parfum - Feelings are scented beyond time and space… . Cercare il dettaglio infinitesimale.Forse desiderabile, al limite dell’impossibile. Come Goethe, io amo colui che desidera l’impossibile. Quanto può essere affascinante prestare naso e sensi ad una fragranza che è colma di immagini e commozione, che punta dritto alla memoria e fa rimbalzare nitido il ricordo? Eccomi qui, oggi come ieri, affascinata dalla pittura del Secolo d’oro fiammingo, persa nell’opulenza floreale di nature morte vivissime, dentro luminosi bouquet a tre dimensioni, creati per essere toccati, fiori che allungano steli e corolle verso lo sguardo, farfalle che sembrano prendere il volo, oggetti posati distrattamente che potresti rubare… (le opere di Ruysch e van Aelst? ne parlo qui). È ancora e sempre pura luce ai miei occhi, è non voler smettere di godere sine die di tanta bellezza, di circondarsi di infinita magia, lì nella natura, che seppur immobile, muove ogni corda dell’anima. Al desiderio di impossibile tiene testa questa fragranza capolavoro di Aedes de Venustas, Pelargonium, il cui fascino è manifesto, in quella sua fatale complessità creativa al limite dell’indecifrabilità. Il geranio, nota che domina la composizione, viene ritratto in un chiaroscuro olfattivo tra eleganza barocca e texture materica più contemporanea. Le sue foglie di velluto, sbriciolate con dovizia, emanano un accordo verde speziato balsamico che conquista il primo piano sulle nuance nostalgiche di iris e legno di cedro. Dal fondo scuro emergono solenni resine e legni preziosi, sentori terrosi vegetali, vetiver, legno di guaiaco, salvia sclarea, muschio, accentati dalla piccantezza di cardamomo e pepe, illuminati dal fascio radente del bergamotto.Sublime nell’evoluzione la velatura incensata dell’elemi, che cela un calore dolciastro sognante e il chiarore brumoso dei muschi che tutto eleva e ammanta di mistero. E così è il sentirsi accolto nello spazio senza tempo dell’arte, della natura, essere, partecipare, godere di tanta ineluttabile bellezza.
Creata da Nathalie Feisthauer. Eau de Parfum 100 ml. Online qui
©thebeautycove @igbeautycove
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Trippa alla fiorentina
Trippa alla fiorentina Sembra incredibile ma la maggior parte dei piatti tipici ha sempre un'origine povera. Un peccato poi che taluni ingredienti diventino di difficile reperibilità, come si è visto per il cibreo, altri per fortuna si trovano ancora ma spesso da poveri diventano ricchi, come il baccalà che prima non costava niente ed oggi sembra di comprare cernia. Per fortuna il piatto di cui parliamo oggi è sempre accessibile sia nei costi che nell'approvvigionamento, inoltre è delizioso e semplice da preparare. In Toscana e in particolare a Firenze le frattaglie o quinto quarto sono sempre state presenti sulla tavola, come spiegato più volte un mezzo per recuperare proteine a basso costo per le persone meno ambienti. La trippa è una di queste frattaglie. Da dove si ricava la trippa? Come sapete il sistema digerente delle mucche comprende fra esofago e intestino 4 diversi sacchi, tre sono i prestomaci e uno lo stomaco propriamente detto.
rumine o panzone
reticolo o nido d'ape
omaso o centopelli Il primo sacco che incontriamo è il rumine, poi il reticolo e dopo l'omaso. Questi tre sacchi danno la trippa. Il quarto sacco detto abomaso da origine al lampredotto. I primi tre sacchi detti prestomaci forniscono però tre tipi di trippa diversi. Il rumine da origine al cosi detto panzone, il reticolo alla trippa a nido d'ape ed infine l'omaso alla centopelli. Oggi parliamo della trippa alla fiorentina, ma mi permetterete una digressione per far notare che anche non cucinata, ma semplicemente bollita, la trippa è davvero un piatto delizioso. In estate un pezzo di panzone semplicemente servito come una "braciola" e condito con sale pepe e olio toscano è eccellente e leggero. Oppure tagliata a listarelle e unita ad una buona insalata permette un piatto fresco con aggiunta di proteine. A differenza di quello che si crede la trippa è un alimento magro infatti 100 gr. di trippa hanno circa 100 kcal. Vi consiglio vivamente di provare a farvi una trippa alla fiorentina, capisco che taluni al pensiero si retraggono, ma il gusto è impareggiabile e l'esperienza imperdibile. In questo dissento fortemente dal maestro Artusi che scrive:" ...la trippa comunque la cucini è un piatto ordinario", niente di più falso, ma è capibile che anche il grande maestro potesse avere dei piatti non graditi. Ingredienti per 4 persone: – Trippa (si può scegliere una delle tre oppure anche unirle tutte e tre) – kg. 1 di Pomodori maturi o «pelati» gr. 300 (pelati proprio se...) – 1 cipolla rossa – 1 gambo di sedano – 1 carota – Olio d’oliva – Parmigiano grattato – Sale e pepe Preparazione Si acquista la trippa già lavata e bollita, cioè precotta, a Firenze si trova ovunque, soprattutto dai venditori di lampredotto o presso il macellaio di fiducia. Attenzione, la trippa buona non è quella bianca come un cencio, ma quella giallognola, bollita e lavata vecchio stile e non passata nello sbiancante per farla "bella". Se la trippa è ben lavata e prebollita non significa che non convenga lavarla ancora. Qui,subito all'inizio, ci sono due scuole di pensiero, chi la spurga e chi no. Spurgarla significa fargli fare "l'acqua". Per chi vuole spurgarla conviene tagliarla a listarelle e poi metterla a cuocere da sola sino a che non produce l'acqua, procedimento da ripetere anche due volte. Nella realtà secondo me non è conveniente, l'acqua che la trippa produce, se ben lavata, è sapore che viene gettato se eliminata. Io non la spurgo. Nel frattempo preparate gli odori, cioè carota, sedano e cipolla facendo un trito da far rosolare in olio per buoni venti minuti. Una variante interessante è privarla della carota e del sedano ed usare solo la cipolla. Il gusto è eccellente ed è più robusto dato che si sottrae il dolciastro della carota a fronte di una maggior intensità della cipolla. La trippa a striscioline viene quindi aggiunta al soffritto e insaporita per circa 10/15 minuti girandola continuamente perchè non attacchi. A questo punto aggiungete i pomodori sbucciati o in alternativa 300 gr. di pelati (lascio a voi immaginare che cosa è meglio), salate e pepate. Riducete quindi la fiamma bassa bassa, aggiungete acqua a coprirla e proseguite la cottura lenta lenta con il coperchio mezzo aperto perchè ritiri l'acqua. Se non l'avete spurgata ci sta che l'acqua prodotta sia già di per se sufficiente. La cottura si otterrà in circa 1 ora, ma se l'acqua è ancora abbondante potete prolungarla. Personalmete ritengo un'ora insufficiente e sono arrivato a cuocerla anche due ore e secondo il mio parere la trippa migliora notevolmente. L'acqua non deve sparire, il sughetto è cosa buona e giusta soprattutto per scarpettare a trippa finita. Devo dire che a me l'eccesso di cottura e il "colloso" che ne deriva non dispiace affatto. A questo punto potete servirla con una abbondante spolverata di parmigiano grattugiato e poi deliziarvi due volte dato che non mancherà un sicuro bis. Nota: Articolo pubblicato il 28 febbraio 2017, revisionato il 01 aprile 2018.
Jacopo Cioni Read the full article
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No ma il problema è che la pizza di forno fa schifo perché non salano l'impasto e/o il condimento. Cioè pare una brioche con pomodoro dolciastro come fa a piacergli
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Capitolo 2: Contemporaneamente familiare e novizio
Mentre Talulah e Vana proseguivano nel loro cammino, il porto di Folach si rivelava ai loro occhi come un mondo vivo e vibrante, sotto la luce dorata del mattino. La pietra dei moli, lucida e levigata dal passaggio innumerevole di piedi e carichi, emanava un sottile odore di sale che si mescolava a quello delle alghe e delle spezie trasportate dai mercanti. Un giovane addetto al porto si trascinava sotto il peso di un baule di legno, mentre poco lontano una venditrice di pesce offriva il suo bottino con una voce squillante, attirando l’attenzione dei passanti. Uomini e donne di ogni provenienza popolavano l’area, tutti presi dalle proprie faccende, ma tutti accomunati dall’attesa e dalla frenesia tipiche di un porto attivo e accogliente.
Talulah si guardava intorno con occhi avidi, quasi cercando di imprimere ogni dettaglio nella sua memoria. Era la sua prima volta in un luogo così ampio e complesso, e ogni angolo sembrava riservarle una nuova meraviglia. Il profilo delle mura, massiccio e antico, la intimoriva ma al tempo stesso la incantava. Non riusciva a decidere se posare lo sguardo sulle figure dinamiche della folla o su quelle sculture incastonate nella pietra dei palazzi, che sembravano osservare i passanti dall’alto, come testimoni silenziosi di una storia millenaria.
Accanto a lei, Vana avanzava con un’espressione diversa, un misto di nostalgia e affetto che le addolciva i lineamenti. Il suo sguardo vagava con calma attenta e quasi affettuosa, soffermandosi su particolari che agli altri avrebbero potuto sembrare insignificanti. Dopo qualche passo, Vana si fermò, lasciando che un sorriso velato di malinconia le affiorasse sulle labbra.
«Trovo sempre affascinante visitare un luogo dopo tempo,» mormorò, lo sguardo che si perdeva nella vivacità del porto, ma come se guardasse attraverso la realtà, ricordando qualcosa di più antico e intimo. «C’è sempre una sensazione particolare, come se tutto fosse contemporaneamente familiare e novizio.»
Talulah la ascoltava rapita, i suoi occhi che passavano dal volto di Vana alla scena che si svolgeva intorno a loro, come per trovare un riscontro alle parole della donna nei dettagli del porto. Era colpita dal modo in cui Vana sembrava muoversi, come se ogni cosa lì le appartenesse, ma in un modo silenzioso, quasi segreto.
«Vedi quella scultura?» Vana indicò una figura di marmo che si ergeva accanto a un edificio dal tetto spiovente. L’espressione solenne su quel volto vibrava di vita propria, un’artefice maestria che aveva catturato ogni sfumatura di movimento in una figura immobile.
«L’ultima volta in cui sono stata da queste parti, la stavano ancora scolpendo. Ricordo ancora la precisione con cui maneggiavano il blocco di marmo, nell’attesa di liberare la loro visione.»
Talulah fissò la scultura con occhi sgranati, cercando di immaginare l’opera ancora grezza, ancora prigioniera del marmo. «Deve essere stata una cosa meravigliosa da vedere,» sussurrò, come se non volesse interrompere i ricordi di Vana. Notava come la voce della donna si addolcisse, come se parlasse a un amico perso ma ritrovato.
«Ammetto che è anche migliore di quanto mi sarei mai aspettata,» continuò Vana, appoggiando un piede su un gradino e lasciando scorrere lo sguardo su quel volto di pietra, come a voler imprimere nella memoria l’aspetto finale di un’opera che aveva visto nascere.
Sospirando, Vana indicò poi una casa poco distante, nascosta in parte dietro un grande carro di mercanti che scaricava barili dal profumo dolciastro. La sua voce divenne più soffusa, quasi intima. «E quella casa… io la ricordavo abbandonata e fatiscente. Mi piangeva il cuore, visti i dolci ricordi che ho creato lì, quando ero una bambina. Vederla messa a nuovo è un motivo di grande gioia.»
Talulah seguì lo sguardo di Vana fino a quel piccolo edificio dai muri restaurati e dall’intonaco chiaro, immaginando una bambina dalle folte chiome rosse che correva nei corridoi di quella casa. Le parole della donna evocavano immagini che sembravano danzare davanti ai suoi occhi, rendendo la città stessa un luogo vivo, una creatura che respirava e ricordava insieme a loro.
Il loro cammino proseguiva lungo il molo, mentre la vita pulsava tutt’intorno, eppure Vana sembrava immergersi in un’altra epoca, quasi rapita dalla storia delle strade e dei volti che vi scorrevano. La scultura accanto alla quale si erano fermate, con il suo volto regale e austero, pareva riflettere la sua stessa posa, come se il Soffio Vitale di Vana fosse legato a quell’opera, a quelle pietre che raccontavano delle sue origini.
Talulah notò quella connessione, avvertendo il peso di una storia che non le apparteneva eppure la affascinava. Dopo un attimo, il suo sguardo curioso si spostò su Vana. «Quindi, Vana, tu visiti Folach sin da piccola?» chiese, la voce carica di un timore riverente.
Vana annuì, un sorriso lieve sul volto. «Sì, mia nonna e mia madre ne hanno sempre parlato come della città dei nostri antenati, di chi venne prima di noi. Raccontavano spesso che molti della mia stirpe provenivano proprio da qui, e nonostante i secoli, la nostra famiglia non ha mai smesso di sentire un legame con questa terra. Io sono cresciuta in giro per Vescurga, ma Folach è sempre stata una presenza nei nostri racconti. È ironico pensare che, tra noi due, io sia la straniera, eppure quella che forse porta più ricordi di questo luogo.»
Talulah sorrise, un po' incantata dalla dolcezza che la sua interlocutrice mostrava verso un posto tanto lontano. Con un piccolo cenno, Vana fece scorrere lo sguardo verso la scultura come se fosse una persona, un volto che conosceva da sempre, così familiare da non necessitare parole. Il marmo freddo e immobile della statua custodiva una memoria antica e condivisa, una sorta di legame silenzioso che, agli occhi attenti di Talulah, assumeva un’aria quasi solenne.
«Io vengo dal Cryneach, una delle città più a settentrione,» aggiunse Talulah, quasi cercando di aggiungere anche un pezzo di sé stessa al mosaico della conversazione. «Anche lì c’è un fiume che conduce verso un bellissimo lago, come qui, ma le somiglianze si fermano lì. Da noi, una nebbia fitta avvolge continuamente la città, lasciandola in una quiete ovattata, quasi irreale. È un posto onirico, molto diverso da questo luogo così colorato e sereno. Qui tutto è aperto, luminoso: guardandomi intorno, mi sembra quasi di essere a Sanuragh.»
Vana ascoltava in silenzio, presa dalla descrizione che Talulah le forniva della sua città natale, ma, quando sentì l’ultima parola, si voltò di scatto. Sentirla menzionare Sanuragh la fece sussultare, come se il nome stesso l’avesse scossa dai pensieri. Per un attimo, il suo volto rivelò un’espressione tesa, poi mascherata rapidamente da un sorriso incerto. «La maestosa isola di Sanuragh, sì…» mormorò, il tono di voce che nascondeva qualcosa, un’inquietudine trattenuta. «Conosco molto bene quell’isola.»
Talulah notò la sfumatura nel tono di Vana, ma la sua curiosità per quell’angolo di mondo la spinse a continuare. «È curioso, non trovi? Io sono cresciuta qui, eppure ho avuto modo di visitare Sanuragh, la gigantesca isola che si trova a meridione di Balia Claea, prima ancora di venire a Folach.»
Vana si sforzò di sorridere, ma un’ombra sottile sembrava attraversarle lo sguardo. Lo stesso ambiente che fino a poco prima le aveva dato un senso di familiarità adesso le appariva sotto una luce differente, quasi minacciosa. Sentiva gli occhi della gente su di sé, una presenza amichevole ma che la faceva comunque sentire esposta. Alcune persone nei paraggi stavano osservando lei e Talulah con curiosità, sguardi bonari e discreti, come quello di una donna con un cesto di fiori che le salutò con un lieve cenno del capo prima di proseguire. Vana le restituì il saluto con un cenno della testa, ma il suo sguardo era inquieto, e il suo sorriso non del tutto spontaneo.
Intanto, una delle persone che le osservavano si staccò dal gruppo, una figura femminile avvolta in una veste leggera di lino color sabbia, i capelli castani raccolti in una treccia che cadeva sulla spalla. Il suo volto aperto e gentile esprimeva un sincero benvenuto, e un leggero sorriso le increspava le labbra mentre si avvicinava a loro con passo sicuro ma amichevole.
«Perdonatemi, non avevo fatto caso a voi!» esclamò, cogliendole di sorpresa. La voce squillante e gentile di quella donna giunse improvvisa, e Vana ebbe un leggero sobbalzo, sorpresa. Persa com’era nei suoi pensieri, non si era accorta del suo arrivo, e il suo sguardo ora indugiava sulla nuova arrivata, come alla ricerca di qualcosa di indefinito.
«Ma…» iniziò la donna. La pausa dopo quella sillaba fece inarcare le sopracciglia di Vana, mentre Talulah restava impassibile, in attesa di capire cosa stesse accadendo. «… adesso sono qui, carissime visitatrici!» esclamò con tono allegro e amichevole. «Vi do il benvenuto nella mia città. Io mi chiamo Aberfa, e sono stata inviata qui per accertarmi che tutti i passeggeri della nave siano accolti come si deve.»
Talulah, sollevata dalla cortesia dell'accoglienza, ricambiò il sorriso di Aberfa con entusiasmo. «In tal caso, grazie tante, Aberfa. Io mi chiamo Talulah, e la donna al mio fianco è Vana.»
Aberfa fece un cenno di approvazione, rivolgendo lo sguardo a entrambe con genuino interesse. «Cosa vi conduce qui a Folach?» chiese, con un tono di curiosità non invadente, ma cortese.
«Io sono di ritorno da un viaggio,» spiegò Talulah. «Dovrei tornare a Cryneach, ma, come accennavo alla mia amica, non ho mai visitato questa città, per cui ho voluto cogliere una ghiotta occasione.»
Mentre parlava, Vana osservava attentamente Aberfa, cercando di mascherare il proprio turbamento. C’era qualcosa nella donna, un dettaglio sottile ed impercettibile, forse la forma degli occhi o l’angolo del sorriso, oppure il modo in cui la luce le illuminava i capelli, che evocava in Vana un ricordo sfocato, come un volto che sapeva di dover riconoscere. Era come se quella donna portasse una traccia familiare, un’impronta che non riusciva a identificare e che le dava una vaga sensazione di disagio.
Aberfa si volse infine verso di lei, con un sorriso incoraggiante. «E voi, invece, Lady Vana?» chiese, pronta ad accogliere la sua risposta con lo stesso calore che aveva riservato a Talulah.
Per un attimo, Vana parve esitare, quasi volesse nascondere qualcosa dietro uno sguardo distante. Questo fu chiaro a Talulah, che decise di approfittarne per rispondere in sua voce. «Temo che siano faccende personali,» accennò, scegliendo le parole con cautela, «non esattamente il tipo di cui voglia conversare qui, all’aperto.»
Aberfa annuì con comprensione. «Capisco benissimo,» rispose, abbassando il tono come a rispettare la discrezione che Vana desiderava.
«Coraggio, seguitemi!» disse infine Aberfa, riaccendendo la sua energia entusiasta. «La vostra permanenza sarà spettacolare, ve lo prometto!»
Le tre donne si mossero in direzione delle porte che conducevano al cuore di Folach, ed ogni passo che compivano sul suolo antico della città sembrava immergere Vana in un ricordo profondo, quasi sepolto. A ogni sguardo verso Aberfa, Vana provava quella stessa curiosità inquieta, un senso di connessione che non riusciva a definire. Era come se il suo passato si fosse materializzato improvvisamente davanti a lei, nella figura di una donna sconosciuta che pure portava in sé un frammento della sua storia.
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LA BARBA MASSESE (O DI PRETE) STAR A STUDIO APERTO, DA RISCHIO ESTINZIONE ALLE CASE DI MILIONI DI ITALIANI
Dal rischio estinzione alle case di milioni di italiani. La barba massese, o più curiosamente barba di prete per i baffetti che la caratterizzano, star a Studio Aperto. Il popolare Mag, in onda prima del tg serale, ha dedicato uno spazio ad uno degli ortaggi più versatili del paniere vegetale di Massa Carrara inserito nella lista dei prodotti agricoli tradizionali regionali. Il servizio è stato curato dallo storico giornalista del biscione e scrittore, Massimo Canino.
La barba di prete è un ortaggio con radice fittonante di colore marrone all’esterno e bianca all’interno. La lunghezza arriva fino a circa 25 cm; dopo la cottura il sapore è dolciastro, la consistenza pastosa. La barba massese, prodotta da giugno ad ottobre, viene raccolta a mano e confezionata in mazzi per la vendita diretta.
Un tempo molto diffusa, come annota Raffaello Raffaeli nella sua monografia storica del 1881 affermando che “nel Massese tali erbe si seminano ai tempi debiti nei luoghi che hanno servito agli e alle cipolle”,la coltivazione di questa particolare varietà di tubero viene oggi custodita da un piccolo gruppo di agricoltori che ne conservano con cura il seme per ripiantarlo ogni primavera garantendone la sopravvivenza. Uno di questi è Paolo Caruso, contadino custode di Romagnano che insieme a Gianni Ciregia, stanno riscoprendo e riportando sulle tavole dei massesi i cultivar della tradizione locale sostituiti, nelle logiche grande distribuzioni, da poche e standardizzate varietà che hanno preso il sopravvento.
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