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PRIMA PAGINA Unita di Oggi martedì, 13 agosto 2024
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alieno de la rappresentante di lista è stata scritta per armida, me l'ha detto tasso
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stephpanda · 1 year
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❤️‍🩹
"Lei che divenne il sole"
- Shelley Parker-Chan
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deathshallbenomore · 2 years
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alexa play that time in cui un mio professore rispose alla domanda di una mia amica come segue
Gentilissima XY,
Che senso ha?
Cordialmente,
Prof. XYZ
perché voglio essere così cool anch’io
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ninoelesirene · 2 months
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C’è una piccola tristezza in alcuni di noi. Sono le parole mai giunte a destinazione.
Le abbiamo pensate, formulandole molte volte, immaginando dialoghi a nostra misura. Le abbiamo spesso trascritte, perché ogni verbo, ogni costrutto, dicesse con esattezza ciò che volevamo rappresentare.
Le abbiamo concepite in preda alla rabbia, alla passione, le abbiamo redatte pieni d’amore. Nell’abitacolo in silenzio, prima di scendere dall’auto; camminando corrucciati, verso il lavoro; esausti sul divano, di fronte a un film che non ci interessava davvero: instancabili, le abbiamo date alla luce un po’ ovunque.
Ci siamo persino compiaciuti nel dirle ad alta voce dopo l’ultimo colpo di lima, ma sono rimaste lì.
E ora che il momento per indirizzarle è passato, ora che la città è vuota, esse sono simulacri senza spirito, altari di un culto che non divenne religione, testimoni di un passato che non fu mai presente.
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occhietti · 5 months
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E venne il giorno in cui il rischio di rimanere chiuso in un bocciolo divenne più doloroso del rischio di sbocciare.
- Anaïs Nin
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ilpianistasultetto · 2 months
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Quando i Beatles facevano svenire le ragazzine cantando amori adolescenziali, quando la musica era dominata dal Beat e da una gioventu' ye-ye , c'era chi suonava musica sudata dentro qualche locale polveroso e pieno di fumo dalle parti di Londra. Anche quella musica parlava d'amore, ma di quell'amore carnale, quello peccaminoso commissionato dal diavolo, quello sessuale che faceva ululare a mezzanotte. Stava nascendo il British blues e quel ragazzaccio di John Mayall ne divenne il padre.. @ilpianistasultetto
youtube
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donaruz · 11 months
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COME E PERCHÉ È VIETATA LA CANAPA?
👉1. Un ettaro di canapa produce tanto ossigeno quanto 25 ettari di foresta.
👉2. Ripeto, un ettaro di canapa può produrre tanta carta quanto 4 ettari di bosco.
👉3. Mentre la canapa può essere trasformata in carta 8 volte, il legno può essere trasformato in carta 3 volte.
👉4. La canapa cresce in 4 mesi, l'albero in 20-50 anni.
👉5. Il fiore di canapa è una vera trappola per radiazioni.
👉6. La canapa può essere coltivata ovunque nel mondo e richiede pochissima acqua. Inoltre, poiché è in grado di difendersi dagli insetti, non necessita di pesticidi.
👉7. Se i tessuti di canapa si diffondessero, l'industria dei pesticidi potrebbe scomparire completamente.
👉8. I primi contadini usavano la canapa; anche la parola "KANVAS" è il nome dei prodotti di canapa.
La canapa è anche una pianta ideale per realizzare corde, cordoni, borse, scarpe, cappelli.
👉9. Ridurre gli effetti della chemioterapia e delle radiazioni nel trattamento della cannabis, dell'AIDS e del cancro; Viene utilizzato in almeno 250 malattie come reumatismi, cuore, epilessia, asma, stomaco, insonnia, psicologia e malattie della colonna vertebrale.
👉10. Il valore proteico dei semi di canapa è molto alto e i due acidi grassi in esso contenuti non si trovano da nessun'altra parte in natura.
👉11. La canapa è ancora più economica da produrre rispetto alla soia.
👉12. Gli animali alimentati con cannabis non hanno bisogno di sostituzioni ormonali.
👉13. Tutti i prodotti in plastica possono essere fatti di canapa e la plastica di canapa è molto facile da restituire alla natura.
👉14. Se la carrozzeria di un'auto è fatta di canapa, sarà 10 volte più resistente dell'acciaio.
👉15. Può essere utilizzato anche per isolare gli edifici; durevole, economico e flessibile.
👉16. Saponi e cosmetici a base di canapa non contaminano l'acqua; quindi è completamente ecologico.
La produzione era obbligatoria nell'America del XVIII secolo e gli agricoltori che non producevano furono imprigionati. Ora, però, la situazione è ribaltata. DA DOVE?
👎-W. Р. Nel 1900, Hearst possedeva giornali, riviste e media in America. Avevano foreste e producevano carta. Se la carta fosse stata fatta di canapa, avrebbe potuto perdere milioni.
👎- Rockefeller era l'uomo più ricco del mondo. Aveva una compagnia petrolifera. I biocarburanti, l'olio di canapa, ovviamente, erano il suo più grande nemico.
👎-Mellon era uno dei principali azionisti della Dupont Company e aveva un brevetto per la produzione di materie plastiche da prodotti petroliferi. E l'industria della cannabis ha minacciato il suo mercato.
👎- Successivamente, il presidente Mellon Hoover divenne Segretario del Tesoro. I grandi nomi di cui abbiamo parlato hanno deciso nei loro incontri che la canapa era il nemico.
Ed è stato eliminato.
Le foreste vengono abbattute per la produzione di carta.
Il numero di avvelenamenti da pesticidi e tumori è in aumento.
Poi abbiamo riempito il nostro mondo di rifiuti di plastica, rifiuti nocivi...
.
UN SALUTO A TUTTI
Marco Corti
wa 3286098633
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abr · 3 months
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“A poco a poco divenne impossibile scambiare parole ragionevoli con chiunque; i più pacifici, i più eleganti, erano intossicati dai fiumi del sangue; amici che avevo sempre conosciuto come determinati individualisti si trasformavano in fanatici patrioti. Tutte le conversazioni finivano in crude accuse, e da quel momento in poi c’era una cosa sola da fare: ritirarsi e tacere finché durava la febbre”.
 Stefan Zweig, 1939. Occhio alle date.
Non sono affatto sorpreso né spiaciuto dalla fine del popolarismo centrista, mediatore a quasi tutti i costi, certo migliore del popolazzarismo populista che l'ha rimpiazzato come sentiment e oggi in enorme spolvero. Semplicemente, sono convinto ci siano momenti storici in cui non è agibile né sano esser staccati ed equidistanti.
Certo, c'è modo e modo di schierarsi e prender posizione. E' l'antica deduzione sui metodo, che dipende da ma anche delinea il merito.
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vadaviaaiciap · 5 months
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CRIMINI COMUNISTI DURANTE IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE. Ecco i liberatori.
Questa pagina è dedicata alla raccolta di testimonianze, aneddoti, racconti, ed episodi inerenti al bagno di sangue che si è verificato nelle nostre zone nell’immediato dopoguerra, successivamente al 25 aprile del 1945, a guerra finita, e alla loro presentazione.
Sul finire dell’ultima guerra mondiale, nel 1945, e anche a guerra già finita, l’Italia ha assistito sul proprio territorio ad una vera e propria escalation di delitti, di stragi, e di vendette, tutti a sfondo politico, che hanno raggiunto punte di ferocia e di malvagità molto elevate.
I responsabili di questa lunga catena di omicidi e di efferatezze, furono i partigiani comunisti, che vollero così imprimere un triste e indelebile segno nella storia dell’Italia, incidendolo con il sangue delle loro vittime.
I partigiani spesso hanno prelevato le persone direttamente dalle loro case e le hanno uccise senza neanche offrire loro un processo sommario, depredandole e infierendo sui corpi con ferocia.
Molti di questi carnefici furono riconosciuti e arrestati, ma a causa dell’amnistia di Palmiro Togliatti furono rimessi in libertà, e spesso si ritrovarono faccia a faccia con i parenti delle loro stesse vittime, potendo così irriderle e dileggiarle impunemente.
Possiamo oggi affermare, nonostante i tentativi degli eredi di Togliatti di nascondere o dissimulare la realtà criminosa, che la vastità dei fatti di sangue imputabili ai partigiani comunisti induca a credere che essi siano stati realizzati seguendo un preciso disegno, uno schema pianificato e organizzato a tavolino, scientemente e criminalmente.
Non è un caso che interi gruppi familiari siano stati sterminati, spesso aggiungendo l’efferatezza della tortura e dello stupro agli omicidi, e che poi i partigiani si siano appropriati dei beni materiali delle vittime.
Non è un caso che dopo la guerra, ci si sia trovati davanti a partigiani improvvisamente diventati ricchi, che poterono così iniziare delle attività imprenditoriali usando i soldi sporchi del sangue delle loro stesse vittime.
La scure comunista si è abbattuta con violenza anche sui rappresentanti del Clero, nel tentativo di decapitare coloro che potevano guidare i cattolici verso destinazioni e percorsi diversi da quelli previsti dal comunismo.
Lo storico Roberto Beretta ci segnala nel suo studio del 2005, “Storia dei preti uccisi dai partigiani”, che il numero dei sacerdoti uccisi dall’odio comunista è stato in totale di 130 vittime !
Dopo aver condotto una vera e propria “caccia alla tonaca”, prodromica ad una lunga serie di esecuzioni, compiute appunto dai partigiani, divenne chiaro il tentativo dei comunisti di impadronirsi “politicamente” della società, mediante la forza e l’intimidazione.
Questa tesi fu sostenuta anche dal Cardinale di Bologna, sua Eccellenza Giacomo Biffi, nel 1995, in occasione del cinquantenario della Resistenza, riprendendo e amplificando ciò che già era stato affermato in precedenza da Don Lorenzo Tedeschi, un coraggioso sacerdote che citò la frase di un comandante partigiano comunista :
"Se dopo la liberazione, ogni compagno avesse ucciso il proprio parroco e ogni contadino il padrone, a quest’ora avremmo risolto il problema. "
Il Partito Comunista Italiano ha provveduto poi a mantenere una totale disinformazione sulle stragi, omettendo di parlarne e di pubblicizzare qualsiasi cosa fosse inerente a tutto ciò, stendendo un velo di minacciosa omertà sull’argomento.
Lo dimostra il fatto che ancora oggi si riferiscano a Togliatti come a : “il Migliore” !!!
i stima che gli uccisi, dopo il 21 aprile 1945 nel bolognese, ammontino a 773, di cui 334 civili (fra cui 42 donne).
Vorrei tentare di dare il giusto ricordo alle vittime, attraverso una serie di rievocazioni storiche, di racconti e di aneddoti, che permetta di collocarle in un contesto non più dimenticato.
Vorrei far riaffiorare le ignobili circostanze attraverso cui sono state messe in atto vere e proprie stragi contro persone spesso innocenti, perpetrate comunque a “sangue freddo”, e cioè a guerra finita, ad armi deposte.
La vigliaccheria è stato il motivo trainante che ha permesso al comunismo di approfittare della violenza insita nei suoi sostenitori per appropriarsi dei beni, oltre che della vita, di centinaia di vittime delle nostre zone.
Sono rimasti in pochi i superstiti, o i figli dei superstiti, o delle vittime, che potrebbero oggi dare luce alle pagine buie degli stermini effettuati dai partigiani nel 1945.
Il 25 aprile non deve essere celebrato per la liberazione dell'Italia perché nella realtà dei fatti passammo dall'occpazione tedesca a quella americana. E, nella sconfitta, ci andò bene perché a Yalta avevano deciso le sfere d'influenza dei vincitori e i comunisti furono esclusi.
(Il sangue dei vinti un bellissimo libro di Pansa)
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primepaginequotidiani · 2 months
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PRIMA PAGINA Il Mattino di Oggi sabato, 03 agosto 2024
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neropece · 8 months
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“forever close” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Nel cuore di una cittadina senza tempo, dove il grigio delle strade si fonde con il grigio del cielo, c'è una storia d'amore che resiste all'implacabile corso del destino. Le vite di Alex e Morgan si intrecciavano tra i vicoli stretti, un'amicizia che si sviluppò in qualcosa di più, un sentimento che sfidava la monotonia delle giornate grigie.
Alex, un lavoratore locale, e Morgan, una mente creativa senza un posto fisso nel mondo, si scoprirono l'un l'altro in un piccolo bar buio. Il loro amore crebbe nell'oscurità di strade poco illuminate, dove le luci pallide delle insegne creavano un'atmosfera di mistero e desiderio. Ma come talvolta capita, la vita ha avuto una strana maniera di chiedere il conto.
In una fredda notte d'inverno, Alex e Morgan persero la vita in un incidente che spezzò le loro storie ancor prima che potessero scrivere il loro epilogo. Le loro famiglie, spesso spartite da vedute diverse, si trovarono unite dalla stessa tristezza e rimpianto. Troppe parole non dette, troppe emozioni represse, ora sprofondavano nelle tombe di due anime che avevano trovato il loro rifugio l'una nell'altra.
Le loro tombe erano inclinate, appoggiandosi l'una all'altra come se la morte avesse finalmente concesso loro il conforto negato dalla vita. La pietra fredda divenne il testimone di un amore che, sebbene interrotto prematuramente, continuava a vibrare nell'eternità. Nelle notti tranquille, quando la pioggia scivolava via senza rumore, si diceva che le anime di Alex e Morgan si ritrovassero, non più limitate dai confini terreni.
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solosepensi · 8 months
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"Non iniziò con le camere a gas.
Non iniziò con i forni crematori.
Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio.
Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita.
E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, yugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali.
Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”.
Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione.
Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso. Iniziò con le leggi che distinguevano le persone in base alla “razza” e al colore della pelle.
Iniziò con i bambini espulsi da scuola, perché figli di persone di un’altra religione.
Iniziò con le persone private dei loro beni, dei loro affetti, delle loro case, della loro dignità.
Iniziò con la schedatura degli intellettuali.
Iniziò con la ghettizzazione e con la deportazione.
Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse “normale”."
Primo Levi
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susieporta · 8 months
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[Lei s’innamorò come s’ innamorano sempre le donne intelligenti:
come un’ idiota]
La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: «Quest’uomo si crede Dio». Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Góngora e di suor Juana Inés de la Cruz come chi risponde ad una filastrocca durante la ricreazione. Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l’immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perché c’era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue ricchezze.
Ma quell’uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un’intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d’artista. Il suo cervello lo guardò in tanti modi che in capo a dodici giorni credette di conoscere cento uomini.
Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, abbandonata con tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegare il suo amore.
Un giorno così com’era venuto, se ne andò senza neppure salutare. Non ci fu allora in tutta l’intelligenza della zia Daniela una sola scintilla in grado di spiegarle ciò che era successo.
Ipnotizzata da un dolore senza nome né destino, diventò la più stupide delle stupide. Perderlo fu un dolore lungo come l’insonnia, una vecchiaia di secoli, l’inferno.
Per pochi giorni di luce, per un indizio, per gli occhi d’acciaio e di supplica che le aveva prestato una notte, la zia Daniela sotterrò la voglia di vivere e cominciò a perdere lo splendore della pelle, la forza delle gambe, l’intensità della fronte e delle viscere.
Nel giro di tre mesi divenne quasi cieca, le crebbe una gobba sulla schiena e dovette succedere qualcosa anche al suo termostato interno, perché, nonostante indossasse anche in pieno sole calze e cappotto, batteva i denti dal freddo come se vivesse al centro stesso dell’inverno. La portavano fuori a prendere aria come un canarino. Le mettevano accanto frutta e biscotti da becchettare, ma sua madre si portava via il piatto intatto mentre Daniela rimaneva muta, nonostante gli sforzi che tutti facevano per distrarla.
All’inizio la invitavano in strada, per vedere se, guardando i colombi e osservando la gente che andava e veniva, qualcosa in lei cominciasse a dare segni di attaccamento alla vita. Provarono di tutto. Sua madre se la portò in Spagna e le fece girare tutti i locali sivigliani di flamenco senza ottenere da lei nulla più di una lacrima, una sera in cui il cantante era allegro. La mattina seguente inviò un telegramma a suo marito:«Comincia a migliorare, ha pianto un secondo». Era diventata come un arbusto secco, andava dove la portavano e appena poteva si lasciava cadere sul letto come se avesse lavorato ventiquattr’ore di seguito in una piantagione di cotone. Alla fine non ebbe più forze che per gettarsi su una sedia a dire a sua madre:«Ti prego, andiamocene a casa».
Quando tornarono, la zia Daniela camminava a stento, e da allora non volle più alzarsi dal letto. Non voleva neppure lavarsi, né pettinarsi, né fare pipì. Un mattino non riuscì neppure ad aprire gli occhi.
«E’ morta!», sentì esclamare intorno a sé, e non trovò la forza di negarlo.
Qualcuno suggerì a sua madre che un tale comportamento fosse un ricatto, un modo di vendicarsi degli altri, una posa da bambina viziata che, se di colpo avesse perso la tranquillità di una casa sua e la pappa pronta, si sarebbe data da fare per guarire da un giorno all’altro. Sua madre fece lo sforzo di crederci e seguì il consiglio di abbandonarla sul portone della cattedrale. La lasciarono lì una notte con la speranza di vederla tornare, affamata e furiosa, com’era stata un tempo. La terza notte la raccolsero dal portone e la portarono in ospedale tra le lacrime di tutta la famiglia.
All’ospedale andò a farle visita la sua amica Elidé, una giovane dalla pelle luminosa che parlava senza posa e che sosteneva di saper curare il mal d’amore. Chiese che le permettessero di prendersi cura dell’anima e dello stomaco di quella naufraga. Era una creatura allegra e attiva. Ascoltarono il suo parere. Secondo lei, l’errore nella cura della sua intelligente amica consisteva nel consiglio di dimenticare. Dimenticare era una cosa impossibile. Quel che bisognava fare era imbrigliare i suoi ricordi perché non la uccidessero, perché la obbligassero a continuare a vivere.
I genitori ascoltarono la ragazza con la stessa indifferenza che ormai suscitava in loro qualsiasi tentativo di curare la figlia. Davano per scontato che non sarebbe servito a nulla, ma autorizzarono il tentativo come se non avessero ancora perso la speranza, che ormai avevano perso.
Le misero a dormire nella stessa stanza. Passando davanti a quella porta, in qualsiasi momento, si udiva l’infaticabile voce di Elidé parlare dell’argomento con la stessa ostinazione con la quale un medico veglia un moribondo. Non stava zitta un minuto. Non le dava tregua. Un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra.
«Come hai detto che erano le sue mani?», chiedeva.
Se la zia Daniela non rispondeva, Elidé l’attaccava su un altro fronte.
«Aveva gli occhi verdi? Castani? Grandi?».
«Piccoli», rispose la zia Daniela, aprendo bocca per la prima volta dopo un mese.
«Piccoli e torbidi?», domandò Elidé.
«Piccoli e fieri», rispose la zia Daniela, e ricadde nel suo mutismo per un altro mese.
«Era sicuramente del Leone. Sono così, i Leoni», diceva la sua amica tirando fuori un libro sui segni zodiacali. Le leggeva tutte le nefandezze che un Leone può commettere. «E poi sono bugiardi. Ma tu non devi lasciarti andare, sei un Toro: sono forti le donne del Toro».
«Di bugie sì che ne ha dette», le rispose Daniela una sera.
«Quali? Non te ne scordare! Perché il mondo non è tanto grande da non incontrarlo mai più, e allora gli ricorderai le sue parole: una per una, quelle che ti ha detto e quelle che ha fatto dire a te».
«Non voglio umiliarmi».
«Sarai tu a umiliare lui. Sarebbe troppo facile, seminare parole e poi filarsela».
«Le sue parole mi hanno illuminata!», lo difese la zia Daniela.
«Si vede, come ti hanno illuminata!», diceva la sua amica, arrivate a questo punto.
Dopo tre mesi ininterrotti di parole la fece mangiare come Dio comanda. Non si rese neppure conto di come fosse successo. L’aveva portata a fare una passeggiata in giardino. Teneva sottobraccio una cesta con frutta, pane, burro, formaggio e tè. Stese una tovaglia sull’erba, tirò fuori la roba e continuò a parlare mettendosi a mangiare senza offrirle nulla.
«Gli piaceva l’uva», disse l’ammalata.
«Capisco che ti manchi».
«Sì» disse la zia Daniela, portandosi alla bocca un grappolo d’uva. «Baciava divinamente. E aveva la pelle morbida, sulla schiena e sulla pancia».
«E com’era… sai di che cosa parlo», disse l’amica, come se avesse sempre saputo che cosa la torturava.
«Non te lo dico», rispose Daniela ridendo per la prima volta dopo mesi. Mangiò poi pane e burro, formaggio e tè.
«Bello?», chiese Elidé.
«Sì», rispose l’ammalata, ricominciando a essere se stessa.
Una sera scesero a cena. La zia Daniela indossava un vestito nuovo e aveva i capelli lucidi e puliti, finalmente liberi dalla treccia polverosa che non si era pettinata per tanto tempo.
Venti giorni più tardi, le due ragazze avevano ripassato tutti i ricordi da cima a fondo, fino a renderli banali. Tutto ciò che la zia Daniela aveva cercato di dimenticare, sforzandosi di non pensarci, a furia di ripeterlo divenne per lei indegno di ricordo. Castigò il suo buon senso sentendosi raccontare una dopo l’altra le centoventimila sciocchezze che l’avevano resa felice e disgraziata.
«Ormai non desidero più neppure vendicarmi», disse un mattino a Elidé. «Sono stufa marcia di questa storia».
«Come? Non mi ridiventare intelligente, adesso», disse Elidé. «Questa è sempre stata una questione di ragione offuscata: non vorrai trasformarla in qualcosa di lucido? Non sprecarla, ci manca la parte migliore: dobbiamo ancora andare a cercare quell’uomo in Europa e in Africa, in Sudamerica e in India, dobbiamo trovarlo e fare un baccano tale da giustificare i nostri viaggi. Dobbiamo ancora visitare la Galleria Pitti, vedere Firenze, innamorarci a Venezia, gettare una moneta nella Fontana di Trevi. Non vogliamo inseguire quell’uomo che ti ha fatto innamorare come un’imbecille e poi se n’è andato?».
Avevamo progettato di girare il mondo in cerca del colpevole, e questa storia che la vendetta non fosse più imprescindibile nella cura della sua amica era stata un brutto colpo per Elidé. Dovevano perdersi per l’India e il Marocco, la Bolivia e il Congo, Vienna e soprattutto l’Italia. Non aveva mai pensato di trasformarla in un essere razionale dopo averla vista paralizzata e quasi pazza quattro mesi prima.
«Dobbiamo andare a cercarlo. Non mi diventare intelligente prima del tempo», le diceva.
«E’ arrivato ieri», le rispose la zia Daniela un giorno.
«Come lo sai?»
«L’ho visto. Ha bussato al mio balcone come una volta».
«E che cosa hai provato?»
«Niente».
«E che cosa ti ha detto?»
«Tutto».
«E che cosa gli hai risposto?»
«Ho chiuso la finestra».
«E adesso?», domandò la terapista.
«Gli assenti si sbagliano sempre».
Ángeles Mastretta
[racconto tratto dal libro “Donne dagli occhi grandi”]
*traduzione di Gina Maneri
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ma-pi-ma · 4 months
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Una delle più famose leggende sui siamesi narra che una principessa avesse una coppia di splendidi siamesi che la seguivano ovunque.
La principessa era così sicura della loro fedeltà che durante il bagno e durante la notte infilava i suoi preziosissimi anelli nelle loro code affinché essi glieli custodissero. I gatti erano così onorati di tale dimostrazione di fiducia che stavano tutto il tempo a controllare gli anelli tanto che i loro occhi divennero strabici e quel  “difetto” divenne uno dei segni caratteristici di tutti i  loro discendenti.
web
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