#disuguaglianze salariali
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pinktastemakerruins · 26 days ago
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Nel momento in cui più donne contemporaneamente si emancipano dalla sottomissione maschile, i maschi tossici sentono vacillare le sicurezze garantite da una società/Stato patriarcale, diventando aggressivi nei confronti di tutte le donne che per essi rappresentano il "cattivo esempio", temendo che le altre donne ancora insicure vengano "contaminate" dall'autodeterminazione - e chiamano con disprezzo quel fenomeno di felice e dovuta reazione al patriarcato "femminismo tossico".
In Italia, le donne godono del diritto fondamentale di accedere all'istruzione, di lavorare, ma non possono partecipare alla vita pubblica qualora atee e anticlericali, qualora progressiste, perché in Italia le donne non possono ancora prendere decisioni da sole riguardanti la propria vita.
In Italia persistono problemi come la violenza di genere e le disuguaglianze salariali, e le risposte istituzionali e sociali non sono più strutturate rispetto alla situazione afghana.
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mezzopieno-news · 1 month ago
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LE DISUGUAGLIANZE SALARIALI DIMINUISCONO IN DUE TERZI DEI PAESI DEL MONDO
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Le disuguaglianze salariali stanno diminuendo su scala globale ed in particolare in circa due terzi dei Paesi del mondo.
Dall’inizio degli anni 2000 la disuguaglianza salariale – la differenza tra i livelli salariali alti e quelli bassi – è diminuita ad un tasso medio compreso tra lo 0,5 e l’1,7 per cento annuo nei Paesi che hanno realizzato politiche attive per l’attenuazione delle differenze salariali. Negli ultimi due decenni le diminuzioni più significative si sono verificate nei Paesi a basso reddito, con una variazione media annuale compresa tra il 3,2 e il 9,6 per cento. Nei Paesi a reddito medio-alto la riduzione annuale si è attestata ad un tasso compreso tra lo 0,3 e l’1,3 per cento, mentre il tasso di riduzione per i Paesi ad alto reddito è stato tra lo 0,3 e lo 0,7 per cento.
Il nuovo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro rileva inoltre che a livello globale i salari sono cresciuti più rapidamente dell’inflazione negli ultimi anni. Nel 2023 i salari reali sono cresciuti dell’1,8 per cento con proiezioni di crescita del 2,7 per cento per il 2024. Si tratta dell’incremento più significativo degli ultimi 15 anni. Questi risultati segnano un recupero significativamente positivo, soprattutto se comparati con la crescita negativa dei salari dello 0,9 per cento osservata a livello globale nel 2022, periodo durante il quale gli alti tassi di inflazione hanno superato la crescita dei salari nominali.
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Fonte: International Labour Organization; immagine di Towfiqu Barbhuiya
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rassegnanotizie · 3 months ago
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I dati sull'occupazione in Italia mostrano una crescita positiva, ma emergono anche preoccupazioni relative alla frammentazione del mercato del lavoro. Secondo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, esiste una netta distinzione tra una fascia alta di lavoratori, caratterizzata da qualità, professionalità e buone retribuzioni, e una fascia bassa, dove ci sono salari insufficienti, spesso alimentati da contratti part-time involontari e da condizioni di precarietà. Questa situazione rappresenta un problema significativo per la coesione sociale nel Paese. Nel suo discorso durante la cerimonia di conferimento delle Stelle al Merito del lavoro, Mattarella ha enfatizzato che la frammentazione dell'occupazione è un elemento preoccupante che colpisce anche molti immigrati, i quali sono sovente soggetti a sfruttamento eccessivo. Questo sfruttamento è inaccettabile e non è compatibile con i valori della nostra civiltà. Il presidente ha ribadito che l’obiettivo di garantire la massima occupazione possibile è un principio fondamentale inscritto nella Costituzione italiana e deve essere condiviso da tutti i programmi delle diverse forze politiche. Mattarella ha, inoltre, richiamato l'attenzione sulla necessità di politiche inclusive che lavorino per una maggiore equità nel mercato del lavoro, al fine di ridurre le disuguaglianze esistenti. La crescita economica deve essere accompagnata da un approccio che garantisca non solo maggiori opportunità lavorative, ma anche salari adeguati e condizioni di lavoro dignitose per tutti. L’analisi del Capo dello Stato evidenzia una lotta contro le disparità nel mondo del lavoro, una questione che richiede impegno collettivo e unione tra tutte le forze politiche e sociali. La tutela dei diritti dei lavoratori e la promozione di un lavoro di qualità sono elementi cruciali per mantenere la coesione sociale e per costruire un futuro più giusto e sostenibile per tutti i cittadini. In questo contesto, è fondamentale non solo affrontare le problematiche legate all'occupazione, ma anche garantire che tutti possano beneficiare della crescita economica e dei diritti sociali.
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cinquecolonnemagazine · 9 months ago
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La Festa dei lavoratori: tra lotte e conquiste
La Festa del Primo Maggio, celebrata ogni anno in tutto il mondo, rappresenta un momento fondamentale per commemorare le lotte e le conquiste del movimento operaio. Le sue origini affondano nella seconda metà dell'Ottocento, quando le condizioni di lavoro nelle fabbriche erano disumane, con orari massacranti, salari miseri e nessuna tutela per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Le radici americane della Festa dei lavoratori Nel 1886, negli Stati Uniti, i lavoratori si unirono per chiedere una riduzione della giornata lavorativa a otto ore. Il 1° Maggio, a Chicago, iniziò uno sciopero generale che coinvolse oltre 350.000 persone. Le proteste continuarono per giorni, sfociando nel tragico massacro di Haymarket il 4 Maggio. Durante una manifestazione pacifica, una bomba esplose tra la folla, causando la morte di 11 persone e il ferimento di molte altre. La polizia reagì sparando sui manifestanti, con un bilancio di ulteriori morti e feriti. Un simbolo internazionale Nonostante la repressione, il sacrificio dei lavoratori di Chicago non fu vano. Nel 1889, durante il Secondo Congresso dell'Internazionale Socialista a Parigi, venne istituita la Festa del Primo Maggio come giornata di commemorazione delle lotte operaie e di rivendicazione dei diritti dei lavoratori. La scelta della data fu un omaggio ai caduti di Haymarket. La diffusione in Italia In Italia, la Festa del Primo Maggio fu celebrata per la prima volta nel 1891. Inizialmente osteggiata dal governo e dalla monarchia, divenne un punto di riferimento per il movimento socialista e sindacale. Nel corso del XX secolo, la Festa del Primo Maggio fu caratterizzata da grandi manifestazioni e scioperi, spesso repressi con violenza dalle autorità. Dal 1990, i sindacati confederali CGIL, CISL e UIL, in collaborazione con il comune di Roma, hanno istituito un grande concerto per celebrare il primo maggio, rivolto soprattutto ai giovani: la manifestazione si tiene a Roma, tradizionalmente in piazza di San Giovanni in Laterano (nel 2020 e 2021 all'Auditorium Parco della Musica, nel 2024 al Circo Massimo) dal primo pomeriggio fino alla notte, con la partecipazione di molti gruppi musicali e cantanti, ed è seguita da centinaia di migliaia di persone, oltre a essere trasmessa in diretta televisiva dalla Rai. Il fascismo e la rinascita L'ascesa del fascismo al potere in Italia nel 1922 segnò un periodo di repressione per il movimento operaio e la Festa del Primo Maggio fu cancellata. Solo con la caduta del regime nel 1945, la Festa poté essere nuovamente celebrata liberamente. Oggi, il Primo Maggio Oggi, il Primo Maggio rappresenta un'occasione per celebrare le conquiste ottenute dai lavoratori in termini di diritti, condizioni di lavoro e tutele sociali. È anche un momento per riflettere sulle sfide ancora aperte, come la precarietà del lavoro, le disuguaglianze salariali e la sicurezza sul luogo di lavoro. Foto di copertina: DepositPhotos Read the full article
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personal-reporter · 2 years ago
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Agenda 2030: Punto 5 - Uguaglianza di Genere
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L'uguaglianza di genere è uno dei 17 obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. L'obiettivo numero 5 mira a "raggiungere l'uguaglianza di genere e l'empowerment di tutte le donne e le ragazze". Il raggiungimento di questo obiettivo richiede la promozione dell'uguaglianza di genere a livello globale, con l'obiettivo di eliminare tutte le forme di discriminazione e violenza basate sul genere. La discriminazione di genere continua ad essere un problema diffuso in tutto il mondo. Le donne e le ragazze affrontano sfide specifiche che limitano la loro partecipazione e il loro accesso alle risorse economiche, sociali e politiche. L'uguaglianza di genere è importante non solo per il benessere delle donne e delle ragazze, ma anche per il progresso sociale ed economico dell'intera società. L'Agenda 2030 delle Nazioni Unite si propone di affrontare le disuguaglianze di genere attraverso una serie di obiettivi specifici. In primo luogo, l'obiettivo è quello di garantire che le donne e le ragazze abbiano accesso all'istruzione a tutti i livelli. Ciò significa garantire che le ragazze abbiano le stesse opportunità di istruzione dei loro coetanei maschi, e che le donne adulte abbiano accesso all'istruzione e alla formazione continua. In secondo luogo, l'Agenda 2030 mira a promuovere l'uguaglianza economica tra uomini e donne. Ciò significa eliminare le disparità salariali di genere, garantire che le donne abbiano accesso alle stesse opportunità di lavoro dei loro colleghi maschi, e promuovere l'accesso delle donne all'occupazione in settori tradizionalmente dominati dagli uomini. In terzo luogo, l'Agenda 2030 si propone di eliminare la violenza di genere in tutte le sue forme. Ciò significa garantire che le donne e le ragazze siano protette da tutte le forme di violenza, tra cui la violenza domestica, la violenza sessuale, il matrimonio precoce e forzato, la mutilazione genitale femminile e il traffico di esseri umani. Infine, l'Agenda 2030 mira a promuovere la partecipazione delle donne e delle ragazze nella vita politica e pubblica. Ciò significa garantire che le donne siano rappresentate in modo equo in tutti i livelli del governo, comprese le posizioni di leadership e di responsabilità, e garantire che le donne abbiano una voce in tutte le questioni pubbliche che li riguardano. L'uguaglianza di genere non è solo un obiettivo in sé, ma anche uno strumento per raggiungere altri obiettivi di sviluppo sostenibile. Quando le donne e le ragazze hanno accesso all'istruzione, all'occupazione, alla salute e alla partecipazione politica, la società nel suo insieme ne beneficia. Le donne e le ragazze possono contribuire in modo significativo al progresso sociale ed economico, portando idee innovative e nuove prospettive per risolvere i problemi comuni. Tuttavia, nonostante gli sforzi per promuovere l'uguaglianza di genere, ci sono ancora molte sfide da affrontare. Una delle principali sfide è quella di affrontare gli atteggiamenti culturali che promuovono la discriminazione di genere. In molte parti del mondo, le donne e le ragazze sono ancora considerate di seconda classe rispetto agli uomini e vengono discriminate nella vita sociale, economica e politica. L'eliminazione di queste norme culturali dannose richiede un impegno a lungo termine da parte delle comunità locali e dei governi. Un'altra sfida importante è quella di affrontare la mancanza di accesso delle donne e delle ragazze alle risorse economiche. Le donne hanno ancora meno accesso al credito e alle risorse finanziarie rispetto agli uomini, il che limita le loro opportunità di sviluppare attività economiche e di diventare imprenditrici. L'eliminazione di queste barriere richiede un impegno per garantire l'uguaglianza di accesso alle risorse economiche e finanziarie. Inoltre, la violenza di genere continua ad essere un problema diffuso in tutto il mondo. Le donne e le ragazze sono ancora vittime di violenza domestica, violenza sessuale, matrimonio precoce e forzato, mutilazione genitale femminile e traffico di esseri umani. L'eliminazione di queste forme di violenza richiede un impegno per garantire la protezione delle donne e delle ragazze, nonché per affrontare le cause profonde della violenza di genere. Infine, la partecipazione delle donne nella vita politica e pubblica continua ad essere limitata in molte parti del mondo. Le donne sono sottorappresentate nei governi, nei parlamenti e nelle posizioni di leadership. L'eliminazione di queste barriere richiede un impegno per garantire l'accesso delle donne alla formazione politica e alla partecipazione attiva nella vita pubblica. In conclusione, l'uguaglianza di genere è un obiettivo fondamentale dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. L'eliminazione delle disuguaglianze di genere richiede un impegno a lungo termine da parte dei governi, delle comunità locali e degli individui di tutto il mondo. Solo attraverso l'eliminazione delle disuguaglianze di genere possiamo garantire un futuro sostenibile e giusto per tutte le persone, indipendentemente dal loro genere. Read the full article
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b0ringasfuck · 5 years ago
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paoloxl · 7 years ago
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(via PRIMO MAGGIO DI FESTA O DI LOTTA?)
Di ragioni per cui festeggiare ne abbiamo ben poche, numerosi invece sono i motivi per indignarsi e lottare. Ma di lotte in giro ne vediamo ben poche, istanze frammentate e scollegate tra di loro, vertenze aziendali legate alla chiusura della produzione, presidi e picchetti contro i licenziamenti. Mentre scriviamo apprendiamo del licenziamento di due delegati nella Sda appartenenti al Sindacato Generale di Base. Anche quest' anno non mancheranno manifestazioni del 1° Maggio, a Bologna, a Roma, a Milano, a Taranto dove all'Ilva è stata sospesa la trattativa per la volontà della nuova società di ridurre salari e organici aziendali. Ma tutte queste manifestazioni sono frutto di singole organizzazioni sindacali, i rapporti anche tra le sigle conflittuali non sono idilliaci e così vengono meno appuntamenti unitari, parole d'ordine comuni e per portare in piazza numeri maggiori di lavoratori e lavoratrici.
Il 1° Maggio per troppi anni è stata una giornata di festa all'insegna del pic nic all'aria libera, partiti di sinistra e sindacati hanno fatto di tutto perché si rientrasse nella normalità, quella normalità che scambia ormai la parola liberazione con libertà o il primo maggio come rimembranza del passato.
Di motivi per lottare nel 2018 ce ne sono fin troppi, basta solo ricordare le pensioni ormai alla soglia di 70 anni di età, le troppo numerose malattie contratte sui luoghi di lavoro, la lista troppo corta delle malattie professionali riconosciute dall'Inail, i quasi 4 morti sul lavoro al giorno, la precarietà del lavoro trasformatasi ormai in precarietà esistenziale.
I licenziamenti politici sono in continua crescita, magari travestiti da provvedimenti disciplinari, in questi anni hanno alimentato codici disciplinari, codici etici, le imprese impiegano loro consulenti e uomini per spiare i dipendenti, per passare in rassegna le pagine dei social network e colpire ogni commento giudicato lesivo per la immagine aziendale.
Basta un semplice like per essere licenziati, nel pubblico impiego poi il danno di immagine costa doppio per l'inchiesta della Corte dei Conti.
Mai come oggi le agibilità sindacali e politiche nei luoghi di lavoro sono state così ridotte, hanno alimentato un clima di paura e di rassegnazione, la paura di perdere il posto determina atteggiamenti di passività e spesso di collaborazione con i vertici aziendali.
Dove esisterebbero maggiori spazi di iniziativa non si intravedono segnali di cambiamento, parliamo del pubblico impiego dove alle ultime elezioni Rsu i consensi di Cgil Cisl Uil e sindacati autonomi sono rimasti invariati nonostante abbiano taciuto davanti a 9 anni di blocco dei salari e della contrattazione.
Memoria corta o subalternità? Non siamo di fronte a un accordo tacito tra sindacati complici del governo e lavoratori? Un accordo tacito costruito in anni di clientelismo, di quieto vivere, di luoghi comuni, per esempio pur in presenza di scarsa produttività il nostro lavoro sarebbe al riparo da licenziamenti, un compromesso rafforzato dal welfare aziendale, da sanità e previdenza integrativa che trasformano il sindacalista in una sorta di piazzista.
I lavoratori non sono più capaci di indignarsi, non lo fanno che sporadicamente e individualmente ma quasi più come forza collettiva. E senza l'agire collettivo non potranno esserci forze sufficienti in grado di cambiare lo stato delle cose presenti.
Il 1° Maggio 2018 costituisce motivo di riflessione oltre che di partecipazione alle poche iniziative conflittuali previste. In Toscana noi saremo davanti alla base Usa di Camp Darby, nel Nord alle manifestazioni di Torino e di Milano, appuntamenti importanti che vedranno protagonisti e partecipi i lavoratori subordinati, i rider, i pensionati e gli studenti, i collaboratori con partita iva, i precari. È il variegato mondo del lavoro all'insegna della precarietà il terreno dove operare per ricomporre un soggetto conflittuale, non dimentichiamoci delle fabbriche, del terziario e del facchinaggio, non siamo certo noi a stabilire acriticamente una figura lavorativa per eccellenza elevandola a emblema del conflitto.
Potremmo parlare dei facchini, dei rider, dei raccoglitori di pomodoro o degli operai in Fiat, lavoratori così diversi tra di loro ma uniti dallo sfruttamento che ogni giorno subiscono da differenti datori di lavoro.
Non ci siamo mai innamorati delle formule astratte, siamo invece convinti che la ricomposizione di un percorso conflittuale possa avvenire nel rispetto di tutte le vertenze in corso senza primogeniture o schematismi. se vogliamo cambiare lo stato delle cose presenti bisogna avere l'umiltà di ascoltare, capire, interagire con tutte le vertenze in corso, farlo per arricchire la conoscenza del mondo del lavoro e rilanciare una iniziativa di lotta all'altezza della situazione, per ricomporre e non dividere, per andare avanti e non guardarci indietro.
Il primo maggio 2018 per noi è anche l'occasione per denunciare le crescenti disparità economiche e sociali, crescono le disuguaglianze e se ne rende conto anche il Documento economico finanziario del Governo. Poi abbiamo le gabbie salariali, le gabbie sociali con la fidelizzazione della cittadinanza che ha preso piede in Inghilterra ma che poi ritroviamo in Cina con una sorta di punteggio assegnato ai cittadini e vincolante per accedere al sistema di credito sociale in via di sperimentazione. I comportamenti dei singoli saranno dirimenti per accedere ai servizi, una grande gabbia dentro la quale saranno ammessi solo comportamenti compatibili con la salvaguardia di un sistema da cui dipenderà anche la condizione di vita, il tipo di lavoro e l'accesso alla istruzione e ai servizi statali. La società della performance è ormai dilagante, si manifesta ovunque con le sue imposizioni sociali a difesa dello status quo.
E nella gabbia delle compatibilità capitalistiche non c'è futuro per il protagonismo delle classi sociali meno abbienti ma perfino per i diritti di cittadinanza con la crescente disuguaglianza, la povertà assoluta, il limitato accesso alla istruzione, la speranza di vita che sta diminuendo, etc.
La desertificazione della scuola e dell'università, la crisi che colpisce gli under 40 figli della precarietà lavorativa e sociale, la crisi delle famiglie e dei loro consumi dimostrano che la società odierna è sempre più caratterizzata da disuguaglianze e da meccanismi totalitari contro i quali dovremo costruire un conflitto a tutto campo, dalla cultura al mondo del lavoro, dalla società alle scuole. Sta qui il significato del 1° Maggio conflittuale di cui ci facciamo carico.
I COMPAGNI E LE COMPAGNE DELLA REDAZIONE DI LOTTA CONTINUA.
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mi-manifesto · 5 years ago
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Noam Chomsky: “Solo un Green New Deal potrà salvarci da un nuovo disastro peggiore di questa pandemia”
È una lunga lotta contro forze potenti: non le manda a dire Noam Chomsky, intellettuale, scienziato e attivista politico americano, che – alla luce di come gli Stati si sono comportati nel fronteggiare l’emergenza coronavirus – chiede un significativo cambiamento di rotta.E no, purtroppo ancora non c’è stato (nonostante tutto quello che ha portato alla luce la pandemia di coronavirus).Secondo Chomsky intervistato da Marta Peirano per El Pais, mettere le funzioni pubbliche sotto controllo privato è una delle cause principali di gran parte del disastro della crisi dovuta al coronavirus.Ed è per questo che sarebbe quanto mai urgente un Green New Deal, essenziale per la sopravvivenza.Noam Chomsky, 91 anni, è il fondatore della linguistica contemporanea e pensatore cruciale della sinistra. È anche uno dei promotori di Progressive International, una coalizione di intellettuali, attivisti e leader politici di sinistra di tutto il mondo e rappresentanti di India, Africa e America Latina.In un’altra intervista lasciata a The Guardian, Chomsky già aveva affermato che l’urgenza creata dalla crisi Covid-19 ha spinto ad approfondire le disuguaglianze economiche e l’ascesa dell’estrema destra.Ora, a El Pais conferma: è necessario  aprire le porte a alternative che riguardino il benessere delle persone e non l’accumulo di ricchezza e potere.Ed è questa la direzione che stiamo prendendo?Ebreo americano di origine russa, Noam Chomsky (nato a Filadelfia nel 1928), ha studiato filosofia e matematica all’Università di Pennsylvania e si è poi specializzanto in linguistica. È fondatore della teoria generativista, che ha avuto grosse ricadute nell’ambito della ricerca psicologica, logica, filosofica, e sue sono le critiche più dure nei riguardi del neoliberismo.Nell’intervista parte proprio da qui: i cicli storici non sono predeterminati, sono il risultato delle azioni delle persone e il periodo neoliberista, afferma, fu costruito distruggendo i movimenti dei lavoratori.Ma si potrebbe pensare anche solo lontanamente che questa quarantena potrebbe essere la prova di un vero “sciopero generale”.
“Stava già accadendo, anche prima della pandemia – dice. Negli ultimi due anni, anche negli Stati Uniti, c’è stata una ripresa della potenza di sciopero. Perfino insegnanti di Stati conservatori e non sindacali hanno espresso la propria opinione contro la distruzione dell’istruzione pubblica secondo principi neoliberali; la perdita di finanziamenti, la massificazione delle classi, i programmi basati sui test progettati per creare automi. Hanno dimostrato in Virginia, in Arizona, non solo di migliorare le condizioni salariali, ma anche di migliorare le condizioni di insegnamento. E hanno ottenuto un grande supporto sociale, anche negli stati più reazionari. Poi ci sono industrie come General Motors. C’è una rigenerazione del movimento operaio e di altri movimenti e non è marginale. Se non otteniamo una sorta di New New Deal verde (proposta per trasformare il sistema economico attraverso una drastica riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e la scommessa sull’efficienza energetica), sarebbe una disgrazia”.
Chomsky di fatto si focalizza su un punto: se non parliamo della causa reale di questa pandemia, la prossima sarà inevitabile e sarà peggiore della precedente, a causa proprio della poca attenzione dedicata alla radice del problema.
“Questo è un sistema di propaganda efficiente: ignora ciò che è importante. Non vuole che le persone abbiano idee diverse”, dice.
Per porre fine alla crisi, è necessario porre fine alle emissioni. Ci sono piccole startup che sviluppano soluzioni per farlo, ma hanno bisogno di supporto finanziario e in questo molti governi fanno orecchie da mercante.“Guarda la lotta per i diritti delle donne. Non è come se qualcuno si alzasse nel 1965 e dicesse che guadagneremo i diritti delle donne. Questa è una lunga lotta contro forze potenti”.E sulla questione che questa pandemia sia o meno l’occasione per cambiare il modo in cui ci relazioniamo alla natura? Lo chiede Cristina Magdaleno su El Dìa.
“Questo dipende dai giovani – conclude Chomsky. Dipende dalla reazione della popolazione mondiale. Potrebbe portarci a Stati autoritari e repressivi, che accentuino ancora di più il modello neoliberista. Bisogna ricordarselo: il capitalismo non cede. Pretendono più finanziamenti per i combustibili fossili, distruggono i regolamenti che offrono una certa protezione… Nel bel mezzo della pandemia negli USA sono state eliminate norme che limitavano l’emissione di mercurio e di altre sostanze nocive […] E se nessuno si oppone, questo è il mondo che ci resterà”.
ARTICOLO TRATTO DA: https://www.greenme.it/
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thecermfoundation · 5 years ago
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NBER - Productivity and Wages: Common Factors and Idiosyncrasies Across Countries and Industries
Nel corso degli ultimi tre decenni anni si sta assistendo a un incremento delle diseguaglianze salariali. I lavoratori più qualificati ricevono salari proporzionalmente più elevati dei lavoratori meno qualificati.
Vi sono vari fattori che spiegano le dinamiche del mercato del lavoro ma quello più importante è che gli incrementi salariali sono legati indiscutibilmente a incrementi della produttività del lavoro.
La distribuzione della produttività è cambiata nel tempo: si è spostata a destra (aumento della produttività) e ha cambiato forma. La forma è più distesa perché è aumentata la produttività dei lavoratori più qualificati, mentre quella dei lavoratori meno qualificati è diminuita. Questo spiega in gran parte le disuguaglianze osservate ma quali elementi hanno portato a questo risultato?
I cambiamenti tecnologici hanno, innanzitutto, influenzato la produttività dei lavoratori più istruiti a scapito di quelli meno istruiti. Il commercio internazionale, inoltre, può aver provocato la sostituzione dei lavoratori meno qualificati di un paese sviluppato con la manodopera meno qualificata dei lavoratori dei paesi emergenti.
Anche il sistema d’istruzione, infine, può aver creato una distorsione come sembra stia accadendo negli USA dove il sistema terziario fornisce un'istruzione migliore rispetto a 30 anni prima mentre la secondaria ne dà una al massimo uguale.
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italianaradio · 6 years ago
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Cisl Calabria, Lo Papa: “Non esiste dipendente senza un buon contratto, ma un datore che non lo applica”
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/cisl-calabria-lo-papa-non-esiste-dipendente-senza-un-buon-contratto-ma-un-datore-che-non-lo-applica/
Cisl Calabria, Lo Papa: “Non esiste dipendente senza un buon contratto, ma un datore che non lo applica”
Cisl Calabria, Lo Papa: “Non esiste dipendente senza un buon contratto, ma un datore che non lo applica”
“Ci auguriamo che con l’arrivo dei primi turisti in Calabria arrivino anche i controlli dall’Ispettorato del Lavoro per strutture alberghiere e di ristorazione, villaggi turistici, bar, negozi e locali notturni”. E’ quanto afferma in una nota il Segretario Generale Fisascat Cisl Calabria, Fortunato Lo Papa in merito ai contratti di lavoro pirata e secondo il quale “la situazione è diventata ormai insostenibile. Nella nostra regione – aggiunge – il sindacalista – si stanno diffondendo sempre più, creando in un mercato del lavoro già disastrato, altre disuguaglianze a discapito dei lavoratori e delle loro famiglie”. “Si tratta infatti di accordi – spiega il cislino – che non rispettano i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e gli accordi sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi. Con salari al di sotto dei minimi di retribuzione previsti. Il sindacato – sottolinea Lo Papa – viene da una storia di forte riconoscimento negoziale. Un percorso orientato dalla Contrattazione. La nostra Legge è il contratto. Il nostro approccio è sempre stato quello di chi mette il tema del lavoro e del riscatto salariale sempre al centro di uno scambio complessivo che agisca anche sulle leve della produttività e dell’innovazione. Siamo consapevoli che il lavoro non è una variabile indipendente dello scacchiere economico sociale”. “Non c’è norma che da sola possa creare le condizioni per un aumento dell’occupazione. Eppure oggi – penso al Governo – si cerca di intervenire con la Legge su temi molto delicati invece di pensare di far ripartire gli investimenti e di conseguenza il lavoro. Penso alle discussioni sul salario minimo, legge sulla Rappresentanza, le proposte del Presidente Inps sulla riduzione dell’orario di lavoro. Tutto questo senza che la politica comprenda che siamo in un momento storico in cui l’occupazione non mette al riparo dalla povertà e dall’esclusione sociale”. “Siamo Poveri lavorando. Precarietà e salari molto bassi intrappolano moltissime persone. In Calabria gli esempi sono all’ordine del giorno – avanza la nota. Se in Italia non abbiamo un minimo legale non è per distrazione. Non è per un incidente della storia. E’ perché imprese e lavoratori hanno saputo attingere dalla contrattazione risorse e soluzioni. Non esiste un lavoratore dipendente che non ha un buon contratto. Esistono invece datori di lavoro che non applicano i contratti. Ed è proprio qui che bisogna intervenire. Un contratto non è fatto solo di minimi salariali ma di retribuzione diretta e differita”. “Di Welfare contrattuale, sanitario e sociale. E’ fatto di norme sostanziali e tutelanti in tema di malattia, infortuni, maternità, ferie. E’ fatto di identità e specificità di ogni settore. Non c’è una formula magica in grado di risolvere queste criticità ma di certo la soluzione legislativa secca non elimina il problema. Serve retribuzione. Per i calabresi i settori del Turismo, del Commercio e dei Servizi devono essere la prima fonte di reddito: il clima, le bellezze naturali, il patrimonio artistico, l’enogastronomico devono suggerirci di riprogettare il turismo pensando seriamente all’indotto che può sviluppare. Invece di continuare a vessare settori così strategici dobbiamo pensare ad un progetto per lo sviluppo che metta al centro l’occupazione basandosi sulle risorse naturali ed ambientali. Lavoratori professionali e competenti – aggiunge – sono il nostro biglietto da visita per i turisti. Le aziende dovrebbero puntare di più sulla formazione motivando i giovani con retribuzioni che non possono e non devono mortificare nessuno. Tutto questo in un mercato libero dal malaffare; tutto questo è realizzabile solo se tutte le forze coinvolte comprendono davvero l’enorme ricchezza che abbiamo e non utilizziamo”. “L’auspicio – conclude il segretario Fisascat Cisl Calabria – che al più presto vengano inviati a tappeto gli Ispettori del Lavoro affinché emergano le irregolarità per il bene della Calabria e per il bene di tutti. Siamo disponibili sempre al dialogo al confronto con le Istituzioni e con le Aziende per discutere e rafforzare la Contrattazione Nazionale e sviluppare la Contrattazione di II livello che meglio può rispondere alle esigenze di una Regione, di un territorio e di una azienda”.
“Ci auguriamo che con l’arrivo dei primi turisti in Calabria arrivino anche i controlli dall’Ispettorato del Lavoro per strutture alberghiere e di ristorazione, villaggi turistici, bar, negozi e locali notturni”. E’ quanto afferma in una nota il Segretario Generale Fisascat Cisl Calabria, Fortunato Lo Papa in merito ai contratti di lavoro pirata e secondo il quale “la situazione è diventata ormai insostenibile. Nella nostra regione – aggiunge – il sindacalista – si stanno diffondendo sempre più, creando in un mercato del lavoro già disastrato, altre disuguaglianze a discapito dei lavoratori e delle loro famiglie”. “Si tratta infatti di accordi – spiega il cislino – che non rispettano i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro e gli accordi sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi. Con salari al di sotto dei minimi di retribuzione previsti. Il sindacato – sottolinea Lo Papa – viene da una storia di forte riconoscimento negoziale. Un percorso orientato dalla Contrattazione. La nostra Legge è il contratto. Il nostro approccio è sempre stato quello di chi mette il tema del lavoro e del riscatto salariale sempre al centro di uno scambio complessivo che agisca anche sulle leve della produttività e dell’innovazione. Siamo consapevoli che il lavoro non è una variabile indipendente dello scacchiere economico sociale”. “Non c’è norma che da sola possa creare le condizioni per un aumento dell’occupazione. Eppure oggi – penso al Governo – si cerca di intervenire con la Legge su temi molto delicati invece di pensare di far ripartire gli investimenti e di conseguenza il lavoro. Penso alle discussioni sul salario minimo, legge sulla Rappresentanza, le proposte del Presidente Inps sulla riduzione dell’orario di lavoro. Tutto questo senza che la politica comprenda che siamo in un momento storico in cui l’occupazione non mette al riparo dalla povertà e dall’esclusione sociale”. “Siamo Poveri lavorando. Precarietà e salari molto bassi intrappolano moltissime persone. In Calabria gli esempi sono all’ordine del giorno – avanza la nota. Se in Italia non abbiamo un minimo legale non è per distrazione. Non è per un incidente della storia. E’ perché imprese e lavoratori hanno saputo attingere dalla contrattazione risorse e soluzioni. Non esiste un lavoratore dipendente che non ha un buon contratto. Esistono invece datori di lavoro che non applicano i contratti. Ed è proprio qui che bisogna intervenire. Un contratto non è fatto solo di minimi salariali ma di retribuzione diretta e differita”. “Di Welfare contrattuale, sanitario e sociale. E’ fatto di norme sostanziali e tutelanti in tema di malattia, infortuni, maternità, ferie. E’ fatto di identità e specificità di ogni settore. Non c’è una formula magica in grado di risolvere queste criticità ma di certo la soluzione legislativa secca non elimina il problema. Serve retribuzione. Per i calabresi i settori del Turismo, del Commercio e dei Servizi devono essere la prima fonte di reddito: il clima, le bellezze naturali, il patrimonio artistico, l’enogastronomico devono suggerirci di riprogettare il turismo pensando seriamente all’indotto che può sviluppare. Invece di continuare a vessare settori così strategici dobbiamo pensare ad un progetto per lo sviluppo che metta al centro l’occupazione basandosi sulle risorse naturali ed ambientali. Lavoratori professionali e competenti – aggiunge – sono il nostro biglietto da visita per i turisti. Le aziende dovrebbero puntare di più sulla formazione motivando i giovani con retribuzioni che non possono e non devono mortificare nessuno. Tutto questo in un mercato libero dal malaffare; tutto questo è realizzabile solo se tutte le forze coinvolte comprendono davvero l’enorme ricchezza che abbiamo e non utilizziamo”. “L’auspicio – conclude il segretario Fisascat Cisl Calabria – che al più presto vengano inviati a tappeto gli Ispettori del Lavoro affinché emergano le irregolarità per il bene della Calabria e per il bene di tutti. Siamo disponibili sempre al dialogo al confronto con le Istituzioni e con le Aziende per discutere e rafforzare la Contrattazione Nazionale e sviluppare la Contrattazione di II livello che meglio può rispondere alle esigenze di una Regione, di un territorio e di una azienda”.
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Salario minimo garantito: un dibattito cruciale per l'equità economica
Il salario minimo garantito è da sempre un argomento di grande rilevanza nel dibattito economico e politico. Rappresenta un importante strumento di tutela dei lavoratori e di lotta alle disuguaglianze. Ma cosa si intende per salario minimo e perché è così dibattuto? Cos'è il salario minimo garantito? Il salario minimo garantito è il livello di retribuzione oraria stabilito da leggi o accordi collettivi, al di sotto del quale un datore di lavoro non può pagare i suoi dipendenti. L'obiettivo principale del salario minimo è quello di garantire una remunerazione dignitosa e un livello minimo di benessere economico ai lavoratori. Ciò si traduce in una migliore qualità della vita, una maggiore sicurezza economica e un sostegno alle fasce più vulnerabili della società. La voce di chi è a favore Uno dei principali argomenti a favore del salario minimo è che contribuisce a ridurre la povertà e l'ineguaglianza economica. Garantendo un livello minimo di retribuzione, si mira a evitare che i lavoratori vivano al di sotto della soglia di povertà. Ciò favorisce una maggiore equità sociale, in quanto tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore o dalla posizione, ricevono una retribuzione adeguata per il loro lavoro. I contrari e le loro ragioni Tuttavia, il salario minimo è anche un argomento controverso. I critici sostengono che può avere effetti negativi sull'economia, in particolare per le piccole imprese. Alcuni sostengono che un salario minimo elevato possa portare alla riduzione del numero di posti di lavoro disponibili, in quanto le aziende potrebbero non essere in grado di sostenere i costi salariali più alti. Ciò potrebbe comportare una minore assunzione di personale o persino la chiusura di alcune attività. Inoltre, i detrattori del salario minimo sostengono che il mercato del lavoro dovrebbe essere lasciato libero di determinare i salari, in base alla domanda e all'offerta. Secondo questa prospettiva, i salari dovrebbero essere negoziati tra lavoratori e datori di lavoro senza interventi governativi, in modo da rispecchiare il valore del lavoro sul mercato. In quali stati esiste il salario minimo garantito? La questione del salario minimo varia notevolmente da paese a paese. Alcuni paesi, come il Lussemburgo e la Svizzera, non hanno un salario minimo legale, ma i lavoratori sono comunque protetti da contratti collettivi che garantiscono retribuzioni adeguate. Al contrario, altri paesi, come il Regno Unito e la Francia, hanno implementato salari minimi nazionali per garantire una base economica per i lavoratori. Nel corso degli anni, il dibattito sul salario minimo si è intensificato, con richieste di aumenti per adeguare la retribuzione alla crescita dei costi di vita. I sostenitori sostengono che un salario minimo più elevato possa stimolare la domanda interna, ridurre la povertà e promuovere una maggiore equità economica. Allo stesso tempo, i critici sollevano preoccupazioni sulle conseguenze per le piccole imprese e la possibilità di un aumento della disoccupazione. E in Italia? In Italia, il salario minimo rimane un argomento di grande importanza e dibattito nella sfera economica e politica. Per la sinistra, questo è uno strumento cruciale per proteggere i lavoratori e combattere le disuguaglianze. Per la destra ed il governo attuale, la questione non è di primaria importanza e dovrebbe essere messa da parte in favore di una discussione legata alle singole categorie di lavoratori per un contratto generale che dichiari un salario minimo. La discussione sul salario minimo continua a evolversi, riflettendo le dinamiche sociali, economiche e politiche di ogni paese. Foto di Emilian Robert Vicol da Pixabay Read the full article
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personal-reporter · 2 years ago
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Agenda 2030: Punto 1 - Sconfiggere la povertà
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La povertà è una delle più grandi sfide che il mondo deve affrontare oggi. Secondo i dati delle Nazioni Unite, circa 700 milioni di persone in tutto il mondo vivono in estrema povertà, guadagnando meno di 1,90 dollari al giorno. Inoltre, molte altre persone vivono al di sotto della soglia di povertà, lottando per soddisfare le necessità di base come cibo, alloggio e assistenza sanitaria. Per sconfiggere la povertà, è necessario un approccio globale che coinvolga i governi, le organizzazioni internazionali, le aziende e la società civile. L'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite è un piano d'azione ambizioso che cerca di porre fine alla povertà in tutte le sue forme e in tutti i luoghi entro il 2030. Il primo obiettivo dell'Agenda 2030 è di "porre fine alla povertà in tutte le sue forme, ovunque". Per raggiungere questo obiettivo, gli Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a "mobilizzare gli sforzi per porre fine alla povertà ovunque, affrontando le cause della povertà e garantendo che tutti gli esseri umani abbiano la stessa opportunità di svilupparsi e prosperare". Per sconfiggere la povertà, è importante affrontare le cause sottostanti della povertà stessa. Una delle principali cause della povertà è l'ingiustizia economica, che si manifesta in disuguaglianze salariali, discriminazione nel mercato del lavoro, mancanza di accesso alle risorse naturali e mancanza di accesso ai servizi di base come istruzione e assistenza sanitaria. Per combattere l'ingiustizia economica, sono necessarie politiche che garantiscano un salario dignitoso per tutti i lavoratori, che promuovano l'uguaglianza di genere, che migliorino l'accesso alle risorse naturali e che garantiscano l'accesso ai servizi di base per tutti. Inoltre, è importante affrontare la povertà in modo globale, poiché la povertà in un paese può influire sulla povertà in altri paesi. L'Agenda 2030 riconosce questo fatto e cerca di promuovere la cooperazione internazionale per affrontare la povertà. Ciò include il sostegno ai paesi in via di sviluppo attraverso programmi di aiuto e la promozione del commercio equo e solidale. Le aziende possono anche svolgere un ruolo importante nella lotta alla povertà. Ciò può essere fatto attraverso l'adozione di politiche di responsabilità sociale d'impresa che promuovano la sostenibilità ambientale, la giustizia economica e la responsabilità sociale. Inoltre, le aziende possono promuovere la creazione di posti di lavoro dignitosi e garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, in modo da contribuire a porre fine alla povertà attraverso la creazione di opportunità di lavoro. La società civile può anche svolgere un ruolo importante nella lotta alla povertà. Gli individui possono fare la loro parte attraverso donazioni e volontariato per organizzazioni che combattono la povertà, come organizzazioni non governative e associazioni di volontariato. Inoltre, possono promuovere la consapevolezza sulla povertà attraverso l'educazione e la partecipazione alla vita pubblica. Per sconfiggere la povertà, è anche importante affrontare i problemi ambientali, poiché la povertà e l'ambiente sono strettamente legati. I cambiamenti climatici e la distruzione dell'ambiente possono portare a disastri naturali, riduzione delle risorse naturali e perdita di sostentamento per le persone più povere. Inoltre, la povertà stessa può portare a pratiche ambientali distruttive, come la deforestazione e la pesca eccessiva, che a loro volta peggiorano la povertà. L'Agenda 2030 riconosce questo collegamento tra povertà e ambiente e cerca di promuovere la sostenibilità ambientale come parte della lotta alla povertà. Ciò include l'adozione di politiche che promuovono l'energia pulita e rinnovabile, la protezione delle risorse naturali e la riduzione degli sprechi alimentari. Infine, la lotta alla povertà richiede un impegno a lungo termine e una visione globale. È importante che tutti gli attori coinvolti lavorino insieme per affrontare le cause sottostanti della povertà e creare un mondo più giusto ed equo per tutti. Ciò richiederà l'impegno e il sostegno continuo dei governi, delle organizzazioni internazionali, delle aziende e della società civile, così come degli individui stessi. In conclusione, la povertà è una sfida globale che richiede un approccio globale per essere affrontata. L'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite offre un quadro ambizioso per porre fine alla povertà in tutte le sue forme entro il 2030. Affrontare le cause sottostanti della povertà, promuovere la cooperazione internazionale, adottare politiche di responsabilità sociale d'impresa, coinvolgere la società civile e promuovere la sostenibilità ambientale sono tutte parti fondamentali della lotta alla povertà. La sconfitta della povertà richiede un impegno a lungo termine e la cooperazione di tutti gli attori coinvolti per creare un mondo più giusto ed equo per tutti. Read the full article
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paoloxl · 6 years ago
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Il potere d’acquisto dei lavoratori è fermo, la crisi è iniziata nel 2007/8 e da quella crisi non siamo ancora usciti. Le statistiche potranno anche essere manipolate e lette con parzialità, i risultati ottenuti con metodi analitici differenti ma alla fine i numeri non ammettono obiezioni.
La crescita zero ha avuto un risultato: aziende e sindacati hanno fatto fronte unico rispetto al Governo, eppure le aziende hanno non poche responsabilità avendo spesso disinvestito in ricerca e modelli produttivi all'insegna della innovazione tecnologica optando invece per la riduzione del costo del lavoro e gli ammortizzatori sociali. È quindi possibile un'alleanza tra lavoratori e padroni per il rilancio dell'economia? Abbiamo forse interessi in comune da difendere?
La storia insegna altro e ogni volta che abbiamo ceduto alle sante alleanze il potere di acquisto e di contrattazione è crollato ai minimi termini, ripercorrere quanto accaduto tra la fine degli anni Settanta e i primi ottanta sarebbe utile per confutare il luogo comune secondo il quale nei momenti di crisi debba prevalere il cosiddetto senso di responsabilità. Mentre i salari perdevano potere di acquisto e il lavoro diventava sempre più precario e insicuro, la forbice sociale ed economica si è allargata e con essa disparità e disuguaglianze sociali. La crisi c'è stata ma non tutti ne hanno subito le ripercussioni, anzi qualcuno esce dall'ultimo decennio decisamente rafforzato.
Gli operai hanno tutto l'interesse a dubitare dei patti con i padroni e del cosiddetto patto per la fabbrica, si va facendo strada infatti il complesso sistema di deroghe al contratto nazionale e quanto rimane dello stesso diventa per la forza lavoro un cavallo di troia come dimostra l'ultimo contratto nazionale delle cooperative sociali con l'impegno sindacale a rivedere, in pejus, le normative in materia di sciopero.
E proprio dalla crisi dell'ultimo decennio i salari netti hanno perso mediamente 5mila euro, poi si potrà disquisire sulla ragione di questa perdita secca, sicuramente la pressione fiscale è cresciuta e, ad ogni rinnovo, gli aumenti sono stati decisamente irrisori.  Il primo risultato della santa alleanza tra sindacato e padroni è proprio l'offensiva contro il fisco, la richiesta non è quella di salari più alti ma si pensa solo a ridurre la pressione fiscale. Un leit motive caro alle imprese diventa così il cavallo di battaglia sindacale, troppe tasse diventano la causa della depressione salariale.
Un drastico taglio del cuneo fiscale servirebbe anche ai salari sotto 40 mila euro, ma possibile che la soluzione dei bassi salari sia solo quella di ridurre le tasse e non di aumentarne gli importi? E la minore tassazione da parte statale non comporterà la riduzione delle spese per istruzioni e sanità, per il welfare state? Ma non dubitate, se tagli sociali ci saranno i sindacati e le aziende potranno compensarli con la previdenza e la sanità integrativa, è questa alla fine la merce di scambio anche se a rimetterci saranno sempre e solo i lavoratori con lo scambio diseguale tra aumenti salariali dignitosi sostituiti dal welfare aziendale.
Su un punto concordiamo con l’Isrf Lab della Cgil (https://www.fisac-cgil.it/83520/isrf-lab-i-numeri-parlano-chiaro-servono-investimenti) quando si critica la dinamica al ribasso dei salari italiani che restano indietro rispetto allo stesso codice Ipca (https://www.rivaluta.it/ipca.htm) con cui vengono calcolati gli aumenti contrattuali, codice che poi rappresenta l' omologazione della dinamica salariale nei paesi Ue al rispetto delle medesime regole.
I contratti degli ultimi dieci\dodici anni non sono serviti a tutelare i salari dall’inflazione, sono la causa della perdita di potere di acquisto, firmare accordi a perdere non ha aiutato le imprese a innovarsi, non ha salvato i posti di lavoro, non permette oggi la ripresa della dinamica salariale. In Italia si cresce poco o nulla, il decennio trascorso ha accresciuto i ritardi dell'Italia rispetto alla media Ue.
Esiste una via di uscita?
A nostro avviso no, sicuramente la ripresa dei salari è legata agli andamenti economici e agli investimenti statali, non basta tagliare le tasse e il costo del lavoro quando non crei ricchezza innovando e costruendo nuova occupazione. Non bastano sussidi per la ripresa della domanda, non può esserci ancora a lungo dinamiche salariali che demandino le decisioni rilevanti alla contrattazione di secondo livello, la scommessa per padroni e sindacato è quella di ridurre il cuneo fiscale dimenticando che da questa riduzione a guadagnarci saranno soprattutto le imprese mentre le classi sociali meno abbienti pagheranno in termine di aumento dei costi relativi alla sanità e ai servizi sociali e della istruzione.
Al contrario la soluzione dei soloni in Cgil è quella di sperare nella riduzione del cuneo fiscale per far crescere i salari e da lì sperare in una nuova era keynesiana per far ripartire consumi e investimenti.
Nel recente passato riducendo le tasse alle imprese e stravolgendo a loro uso e consumo il diritto del lavoro non si sono ottenuti grandi risultati, forse la storia non è stata fonte di insegnamento se torniamo a proporre soluzioni a misura padronale.
Federico Giusti – Redazione pisana
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paoloxl · 7 years ago
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Dal 10 al 12 novembre nella capitale tedesca. Piattaforma del TSS: dopo due anni, dove siamo e dove stiamo andando. Dal 10 al 12 novembre, Transnational Social Strike Platform (TSS) – che coinvolge sindacati radicali, lavoratori e collettivi dei movimenti sociali, migranti e attivisti – si incontrerà a Berlino per continuare a sviluppare il TSS come un’infrastruttura politica. Da Poznan a Parigi, da Londra a Lubiana, abbiamo dovuto affrontare il difficile compito di iniziare un processo di comunicazione tra migranti, lavoratori precari e tradizionali, tra diversi settori, dal lavoro di cura e nella sanità a quello nella gig-economy e nella logistica, fino alle esperienze dei migranti che a milioni hanno abbattuto le frontiere dell’Europa. La piattaforma del TSS è emersa dall’intersezione di esperienze di tutta Europa, esperienze che hanno parlato di limiti e vincoli, i limiti dei giorni d’azione intensi, i limiti della contrattazione nazionale e i limiti delle istituzioni politiche e di rappresentanza dei lavoratori. Abbiamo iniziato con un primo meeting a Poznan, in Polonia, per mettere in questione le geografie tradizionali dell’azione politica transnazionale e per puntare su una nuova configurazione dello spazio politico europeo. Questa condizione riflette le storie localizzate, che non hanno solo un rapporto con il loro contesto locale, ma sempre di più hanno al centro un processo transnazionale spogliato di qualsiasi carattere locale. Organizzarsi a livello transnazionale non significa intendere lo sviluppo delle lotte dal locale al globale come un passaggio lineare, ma realizzare in prima istanza che questi processi sono il risultato di movimenti di dominio sociale a cui si può resistere solo attraverso un movimento di insubordinazione transnazionale. I nostri contesti locali, nazionali e transnazionali sono reti dello stesso sistema interconnesso che gestisce le migrazioni, le catene globali dello sfruttamento e le disparità salariali in relazione reciproca. Lo sciopero sociale transnazionale è per noi un processo di insubordinazione dei soggetti sfruttati, che supera le strutture organizzate e le frontiere nazionali e che si sta ora confrontando con una nuova fase del dominio capitalista. Gli scioperi contro il regime delle frontiere dell’Europa da parte di milioni di migranti, gli scioperi delle donne contro Trump negli USA e contro le leggi draconiane sull’aborto in Polonia e Irlanda, lo sciopero globale delle donne dell’8 marzo e la resistenza auto-organizzata contro le nuove forme di piattaforme digitali attivate socialmente nella gig economy hanno mostrato chiaramente che queste non sono soltanto esperienze locali o nazionali, di cui occuparsi dentro i confini locali o nazionali, ma che ogni specificità locale viene attualizzata dentro un processo transnazionale generale. Il nostro scopo, come piattaforma del TSS, è di creare le condizioni per amplificare e moltiplicare tutte queste lotte evidenziando, enfatizzando e promuovendo la loro connessione transnazionale. LOTTE CONTRO LA LOGISTICA DELLO SFRUTTAMENTO La nuova frontiera delle dirompenti start-up e della diffusione del capitalismo di piattaforma risiede principalmente nella rapida digitalizzazione della società e della produzione. Questo è stato uno dei temi più importanti discussi nella campagna elettorale tedesca di quest’anno. Automazione, profiling algoritmico, servizi in rete, data mining e intelligenza artificiale non stanno producendo nessuna liberazione dai processi di sfruttamento. Allo stesso tempo, la digitalizzazione emerge come la base della riorganizzazione logistica delle nuove relazioni lavorative, in cui un uso massiccio dell’intelligenza delle macchine rende possibile estendere il controllo sui lavoratori al fianco di un revival dei vecchi meccanismi di sfruttamento, come l’estensione dell’orario di lavoro, il lavoro a cottimo e il crescente ruolo dell’importazione di forza lavoro migrante a basso costo dall’Europa e oltre. Nonostante il ricatto esercitato all’interno delle catene di sfruttamento transnazionali, la forza lavoro trova i modi di organizzarsi, anche attraverso le frontiere. I lavoratori di Amazon hanno fatto appello ai loro colleghi in Germania, Polonia e Francia di “lavorare meno velocemente per essere più sicuri”, seguendo questa chiamata, l’amministrazione di Amazon è stata costretta a rispondere alle rivendicazioni, mentre i rider di Deliveroo, Foodora e Uber Eats hanno organizzato azioni di sciopero in Gran Bretagna, Italia, Germania e Francia e l’amministrazione delle piattaforme di “Food Tech” è stata obbligata a rispondere alle domande, così come alle cause legali. GERMANIA: COMPRENDERE IL MOMENTO ATTUALE Le proteste del G20 ad Amburgo hanno segnato una nuova connessione nella “fabbrica della repressione”, una tendenza che estrae benessere e gestisce i flussi di merci attraverso strategie repressive, dai campi di detenzione in Libia al sistema detentivo tedesco. In aggiunta, bisognerebbe considerare che l’aumento delle misure repressive è accompagnato da con un più duro comando sul lavoro, attraverso l’utilizzo di metodi di disciplina e governo della forza lavoro, come le restrizioni al welfare e le sanzioni amministrative. L’accesso al sistema di welfare è accompagnato sempre di più da misure lavoriste imposte attraverso il ricatto, dall’accettazione del peggioramento delle condizioni di lavoro e dalla trasformazione contestuale dei benefit di sicurezza sociale in debito privato, estendendo misure spesso già sperimentate dai lavoratori migranti. Pensiamo di dover guardare a queste tendenze non esclusivamente come elementi nazionali, ma come un modello di sfruttamento recentemente articolato che, come già accaduto con l’Agenda 2010 durante i primi anni del 2000, può essere esteso ad altri Paesi europei. In questo senso, la loi travail in Francia rappresenta un esempio rilevante. Negli ultimi anni la Germania è stata descritta – dai governi ma anche dai movimenti sociali – come la forza trainante in Europa a causa della sua stabilità politica ed economica. Comunque, la differenza tra ricchi e poveri e le disuguaglianze sociali sono costantemente in crescita nel Paese, attraverso l’avanguardistico lavoro di precarizzazione, la flessibilità e il dogma del lavoro ad alta produttività che il Paese ha iniziato già dagli anni Novanta e che sta progressivamente investendo tutto il continente. Il sistema di accoglienza per migranti e richiedenti asilo comporta il razzismo istituzionale e intensifica lo sfruttamento del lavoro migrante, sostenuto dalla pressione esercitata dall’ascesa dei nuovi gruppi politici di estrema destra che nelle ultime elezioni hanno guadagnato un largo accesso al parlamento tedesco. Inoltre, il controllo governativo sui debiti significa privatizzazione e smantellamento dei sistemi di welfare. Incontrarsi in Germania significa quindi lanciare la sfida dello sciopero sociale transnazionale in uno degli hub cruciali della contemporanea logistica dello sfruttamento. PERCHÈ VENIRE A BERLINO? Il meeting a Berlino sarà l’occasione per occuparsi di questi temi cruciali, promuovendo incontri tra i lavoratori delle compagnie transnazionali che parteciperanno, per trovare affinità nelle loro esperienze, pratiche di sciopero e rivendicazioni a livello transnazionale. L’incontro sarà organizzato in forma di workshop, assemblee e sessioni plenarie. Inizierà venerdì 10 e finirà domenica 12 novembre. Il programma completo, le descrizioni dei workshop e i moduli di registrazione con le informazioni di arrivo e partenza da Berlino e quelli per trovare un alloggio saranno pubblicati nei prossimi giorni. Lavoratori, attivisti, sindacalisti, vi invitiamo a unirvi a noi per scambiare, discutere e organizzarci! Pubblicato in inglese su TSS, traduzione in italiano a cura di DINAMOpress
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