#discussioni fra amici
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Vita e libertà interiore
(Da Il diavolo sulle colline)
(La profondità del piacere, opera di René Magritte)
A volte, disse Poli, - mi chiedo se le donne capiscono. Se capiscono che cos'è un uomo… Le donne o gli corrono addosso o scappano per farsi rincorrere. Nessuna donna sa stare sola. - All'una di notte ne incontri, disse Pieretto. - C'è stato un tempo che le credevo sensuali, disse Poli guardando a terra, - credevo sapessero almeno questo. Macché. Non vanno oltre la pelle. Nessuna donna vale un pizzico di droga. - Ma non dipende anche dall'uomo? - brontolai. - Il fatto, disse Poli, è che mancano di vita interiore. Mancano di libertà. Per questo, rincorrono sempre qualcuno, che non trovano. Le piú interessanti sono le disperate, quelle che non sanno godere… Non le soddisfa nessun uomo. Ci sono vere femmes damnées. - Dans les couvents, - disse Pieretto. - Macché, - disse Poli, - sui treni, negli alberghi, per il mondo. Nelle migliori famiglie. Le donne chiuse in convento e in prigione sono donne che han trovato un amante… Il dio che pregano o l'uomo che hanno ucciso non le lascia un momento, e stanno in pace…
[…]
Adesso Poli aveva preso a dire […] che se Dio era dentro di noi, non si vedeva il motivo di cercarlo nel mondo, nell'azione, nelle opere. Se ci è dato di somigliargli, a chi tocca se non all'uomo interiore? […] - Sei sicuro che non sia una vecchia eresia? (disse Pieretto, n.d.r.) - Non m'interessa, - brontolò. - Mi basta che sia vero - disse Poli brusco. - Tanto ci tieni, disse Pieretto, - a somigliare al Padre Eterno? - Che altro c'è? - disse Poli convinto. Ti fanno paura le parole? Dàgli il nome che vuoi. Io chiamo Dio l'assoluta libertà e certezza. Non mi chiedo se Dio esiste: mi basta esser libero, certo e felice, come Lui. E per arrivarci, per essere Dio, basta che un uomo tocchi il fondo, si conosca fino in fondo.
[…] Chi può dire di conoscersi se non è stato nella stretta? La coscienza è soltanto una fogna; la salute è all'aria aperta, tra la gente. - (disse Pieretto, n.d.r.) - Ci sono stato tra la gente, disse Poli a fronte bassa, - è da ragazzo che ci sto. Prima il collegio, poi Milano, poi la vita con lei. Mi sono divertito, non dico di no. Suppongo che succeda a tutti. Mi conosco. E conosco la gente… Non è questa la strada.
#cesare pavese#il diavolo sulle colline#discussioni fra amici#discorsi intelligenti#ozio#divertimento#dio#rené magritte
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Conoscete la storia del "tempo che passa", vero?
Già. L'avrete sentito dire a tantissime persone, anche voi l'avrete detto molte volte.
Il tempo passa, anzi scorre fra le nostre dita e spesso non ce ne accorgiamo. Impegnati a vivere gli attimi della vita che, se sommati, formano il tempo.
Vivere, già... bisogna avere anche una buona dose di fortuna per vivere; diversamente si sopravvive.
"Il tempo passa" e lo sappiamo tutti, ma arrivano dei momenti nella vita in cui effettivamente ce ne accorgiamo. Ci rendiamo conto che il tempo è passato, come se tutto d'un tratto ci svegliassimo da un torpore. Come se ci fossimo assopiti sul treno, durante un viaggio, svegliandoci di soprassalto al sentire un voce gracchiante da un altoparlante di una stazione.
In questi giorni intensi ho avuto delle concrete prese di coscienza del tempo che passa.
Figli. Questo mese di settembre sono riprese le scuole, ho visto i ragazzi per le vie della città con i loro zainetti e cartellette avviarsi in lunghe file verso le proprie scuole. Ho visto genitori accompagnare i bambini con i loro piccoli zainetti verso le scuole dell'infanzia o di primo grado.
Così mentre li osservavo ho pensato ai miei figli. All'autonomia che hanno i ragazzi universitari.
Non hanno più bisogno di me, dei passaggi o dei trasporti. Dei colloqui con i docenti e delle presenze nello studio.
Santo cielo, sono uomini che si organizzano e hanno appuntamenti di studio e corsi, e lezioni.
Di pranzi o cene con gli amici, di viaggi nel fine settimana e di discussioni e pensieri. Hanno sempre fretta, come se avessero un cronometro messo nel cervello.
Vorrei dire ogni tanto a ognuno di loro: "Riposati"; poi penso a quando li esortavo a studiare e non "perdere tempo".
Ma il tempo non si perde, esso scorre. Sta a noi decidere se viverlo appieno o lasciarlo scivolare inerti.
Madre. Che la tua ragione sta sfumando, non averne a male se ti ho portato in un posto dove ti aiuteranno. Spero di riportarti presto a casa, per vederti ancora tra i tuoi ricordi e le cose a te care. Sistemo casa tua e vedo le foto in bianco e nero o con quei colori anni ottanta. Quante volte le ho viste, ma con la tua presenza andavano in secondo piano. Ora nel silenzio dell'assenza pesano come pietre miliari, segnando la strada del tempo passato.
Il tempo passa. Venticinque anni sono passati dalla sepoltura di mio padre. In questi giorni è stato riesumato.
Mio padre, non ha mai mollato nella vita. Testa bassa e lavoro, fino allo stremo.
Solo un cancro lo ha sconfitto prematuramente.
Così ho assistito alla sua esumazione, pensavano di trovare ossa i necrofori. Ma lo avevano assicurato per la loro esperienza nel settore: "Deve sapere che dopo venticinque anni saranno solo ossa"; mi hanno detto.
Mio padre invece non si è consumato, ha resistito.
Ho avuto pietà per quei resti umani, ho avuto pietà per me che sono restato umano.
Ho sussurrato "Scusa", a quei resti. Perché di scuse ne avevo tante da porgere a mio padre, usando la mia bocca. Perché di scuse me ne doveva anche lui, con la sua bocca.
Così in questi giorni mi sono svegliato a una stazione, a bordo di un vagone, per via di una voce gracchiante dal profondo della mia anima. Sono risvegli duri, che ti lasciano un po' stordito, con quel malessere diffuso.
Il tempo passa e lo sa solo il cielo di quanto ne ho sprecato.
Mi domando se riuscirò, per quanto mi rimarrà di vivere, di sentirmi completato. Ma poi penso al fatto che, ognuno di noi, ha più tempo che vita.
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Tempo di vacanze, con tutti i rituali di questo periodo: esodo di massa, code ai caselli, folla strabocchevole sulle spiagge e nelle località turistiche, caldo asfissiante, incendi boschivi etc. etc… Forse ‘vacanza’ e suoi derivati (fra cui il terribile ‘vacanzieri’) sono le parole più ricorrenti nelle cronache giornalistiche e televisive, nei post sui canali social e nelle discussioni fra amici…
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Oroscopo di Chirya: dal 6 al 12 Maggio 2024
Oroscopo di Chirya: Cari tutti, eccoci alle previsioni dal 6 al 12 Maggio 2024, in questa settimana i segni di terra sono sostenuti dal Sole e da Venere, i segni d’acqua, hanno una settimana piena di stimoli, i segni di fuoco vivranno giornate dense di energia, grande tranquillità per i segni d’aria, che ameranno uscire e incontrare amici. Oroscopo di Chirya: uno sguardo segno per segno Ariete Cari Ariete, la prima settimana di Maggio vi vede concentrati su obiettivi precisi, grande attenzione sugli investimenti, prima di prendere decisioni importanti a livello finanziario, pensateci bene. Quindi se salvate il portafoglio, il vostro buon umore si riverserà positivamente sulle relazioni sociali, avrete incontri interessanti. Nei rapporti consolidati il momento è molto positivo, tale da prendere finalmente qualche decisione importante per il lungo periodo. Toro Oroscopo di Chirya: Cari Toro, questo è il mese del vostro compleanno, auguri a tutti voi, potete contare su una forma smagliante, il favore di tanti pianeti vi aiuterà a liberarvi di noiose seccature sia legali che finanziarie e finalmente godrete di una serenità che avete inseguito da tempo. Attenzione il buon umore potrebbe farvi peccare di insensibilità, e crearvi rancori per parole dette male, non siate o non fate gli ingenui nei rapporti fra colleghi. Gemelli Cari Gemelli, per poter splendere al massimo, accontentiamoci per questa settimana di piccoli ma sostanziali passi, che grazie alla vostra voglia di voglia di fare e progettare, riuscirete a sorridere di nuovo. Siate cauti nel maneggiare denaro, entrate e uscite vanno tenute sotto controllo, e in più affrontate quanto prima anche vecchie questioni e litigi, per metà Maggio è necessario appianare le divergenze. Cancro Oroscopo di Chirya: Cari Cancro, la settimana vi vede sereni, fuori dalle discussioni, dalle controversie lavorative e dalle gelosie tra colleghi. Finalmente potrete contare sui risultati che inseguite da tempo, sul frutto dei vostri sforzi, anzi possiamo dire che dentro di voi sta prendendo forma qualche nuovo progetto, o scopo di vita. Per voi il periodo è di forte crescita l’amore, dove un incontro fortuito vi donerà l’occasione che cercate, evitate i vecchi amori che finiscono per rivelarsi tossici. Leone Cari Leone, la settimana è agitata, potrete contare solo su voi stessi, e non fatevi coinvolgere in qualche problema serio. Invece sarete richiamati alle vostre responsabilità, e ci saranno possibili complicazioni. Il settore migliore è quello del denaro, qualche entrata inaspettata vi procurerà un grande sollievo, riceverete risposte o chiamate, siate selettivi nell’accettare, ma pronti, per non perdere quanto fatto in precedenza. Vergine Cari Vergine, soddisfatti e pieni di gioia, così vi vede la prossima settimana. Il mese scorso vi ha reso diffidenti e stanchi, ora è tutto in ripresa, il periodo vede opportunità e momenti gioia tra amici e famiglia, Sostenuti da Venere, anche il vostro modo di fare sarà più attento agli altri e a volte accattivante. Magari fatevi un regalo, rinnovate il guardaroba, fatevi qualche bel regalo, o alla persona amata donate un piccolo gesto di affetto, otterrete molto. Bilancia Cari Bilancia, gradualmente tornerete a sognare, a vincere e a fare progetti. Vinta quella oscura apatia che per un mese vi ha avviluppato, racchiuso in un bozzolo senza emozioni, finalmente iniziate a rivedere la luce. Fate attenzione a qualche piccola incomprensione che ancora aleggia, lasciate andare, le recriminazioni non sono per voi, ricordate siete il segno della diplomazia, siate diplomatici, elastici, non vi farà che bene. Scorpione Cari Scorpione, pazienza, questo è il mantra della settimana, vietato accettare provocazioni in questo momento, in particolare da persone che non meritano il vostro tempo. Del resto sarete troppo occupati a creare le basi di un progetto che vi sta molto a cuore, sia professionale che familiare, concentratevi sul capire le cose false dalla verità che come sempre avete sotto al naso, ma siete troppo occupati a litigare per notarla. Sagittario Cari Sagittario, nella settimana sarete lucidi e determinati in ogni circostanza, sarete propensi anche ad attività intellettuali, riflessive o al bricolage, che vi permetta di pensare ed approntare piani futuri. Tra poco avrete un grande cambiamento da affrontare, spetta a voi fare in modo che le cose vadano come si fa più piacere, la serenità la troverete con due chiacchiere tra amici o in una compagnia stimolante che stimate particolarmente. Capricorno Cari Capricorno, la settimana vi coccola con una serie di pianeti favorevoli, dedicatevi ad un rinnovamento interno ed esterno, bene piccoli lavori manuali, incontri professionali di confronto per la creazioni di rapporti utili e proficui. Le stelle vi consiglia di investire su voi stessi, per cercare l’amore, rivedere un’amicizia, e la settimana potrebbe offrirvi quel quid improvviso per risolvere una faccenda in sospeso. Acquario Oroscopo di Chirya: Cari Acquario, la settima potrebbe essere soffocante, in cui sul piano sociale e delle richieste che vi faranno, non andate in tilt e non siate aggressivi come il vostro solito quando vi sentite accerchiati, dite semplicemente:�� “ Grazie no”. siate decisi e determinati e non fermatevi ad ascoltare le rimostranze, seguite il vostro intuito, che non vi tradisce mai. Piuttosto analizzate il vostro malessere per capire come liberarvene. Pesci Cari Pesci, la settimana vi vede sorridenti e soddisfatti, bello il momento per il lavoro, chi poi ha preoccupazioni familiari, troverà una soluzione e riacquisterete la tranquillità. Agite giorno per giorno, elencando le piccole vittorie che otterrete. Il consiglio è di rimboccarvi le maniche e di capitalizzare le vostre soddisfazioni. Siete in un momento fortunato, ma per sfruttarlo agite ore e al meglio, non ascoltate la vostra proverbiale pigrizia. Read the full article
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Piazza delle Pallottole e la sua storia
Il nome è strano, curioso, forse addirittura inquietante… O che succedeva in questa piazza, c’era forse una fabbrica di munizioni? Oppure era qui presente un antesignano dei moderni poligoni di tiro? Era un luogo mal frequentato, in cui non era raro volassero delle pallottole? Mi spiace deludere le fantasie più sfrenate, ma niente di tutto questo somiglia neppur lontanamente a quello che avveniva in questa piazza. Cominciamo dalla ubicazione: Piazza delle Pallottole si trova nella zona tra l’abside del Duomo e l’inizio di via del Proconsolo; vi si accede da Piazza San Benedetto, da Via de’ Maccheroni e, principalmente, dalla stessa Piazza del Duomo. Procedendo per gradi, analizziamo il nome: Pallottole. Il significato è inequivocabile, vero? … NO!! Le pallottole non sono soltanto quei piccoli tubetti metallici riempiti di polvere da sparo che si inseriscono in un’arma. All’opposto, le pallottole sono un oggetto ludico, divertente, un modo di socializzare e tenere unita la gente, non disdegnando certo qualche parapiglia, di quando in quando, come in ogni gioco che si rispetti. Le pallottole, amici miei, sono le antenate delle bocce.
Quando si gioca a bocce, è inevitabile che si crei confusione: risate, polemiche, prese per i fondelli, discussioni ed incitamenti, litigate… quelli che una volta venivano definiti “strepiti”. A Firenze, i nostri mitici Signori Otto, avevano tappezzato la città di “leggi di pietra”, quelle lapidi in cui, tra l’altro, si vietavano "giochi di palle e pallottole e fare strepiti”, a xxx braccia da chiese e palazzi signorili, e le punizioni per chi trasgrediva erano sia pecuniarie che corporali, i famosi “tratti di corda”", ad esempio.
Nel centro storico, un solo luogo era fatto salvo da questi divieti, ed era proprio la Piazza in questione, che deve il suo nome proprio al gioco che qui era consentito fare. Il gioco era molto simile all’attuale gioco delle bocce: delle palline chiamate pallottole venivano lanciate verso un punto preciso, e vinceva chi si avvicinava di più con la sua pallottola. Era uno dei passatempi preferiti dei fiorentini, veniva inizialmente giocato in ogni dove e, visto il nostro carattere “fumino”, spesso le discussioni potevano sfociare in vere e proprie risse. Anche nel mio amato Bisdosso, ovvero diario del Pastoso, se ne trova una notazione: “… in quella viaccia, che è fra i due Orti cioè uno del Canneto delle Monache della Crocetta, e quello delle Monache degli Angiolini, fra la cantonata di Via del Mandorlo e quella della Via della Crocetta, fù ferito con un corno il Tronci dal Limonaio poeta della qual ferita il 29 di detto in Santa Maria Nuova rese l’anima a Dio. La causa per la quale detto Tronci perse così disgraziatamente la sua vita fù, che essendo costoro a giocare alle pallottole fuor della Porta a Pinti, cominciorno a litigare insieme, di modo che si attaccorno alle pugna, e furno spartiti, ma essendo entrati in Firenze uno poco lontano dall’altro tuttavia litigando, quando furono in detto luogo di nuovo si attaccorno alle pugna et essendo caduti in terra, il Limonaio venutoli alle mani un corno, che quivi non ne mancano per esserci lo scaricatoio del Beccaio degl’Innocenti, con esso ferì e ruppe una ganascia al Tronci, che teneva sotto, della qual ferita com’è detto si morì”. Questo fu soltanto uno dei tanti episodi che convinsero i Signori Otto ad emanare la legge che delimitava lo spazio in cui il gioco poteva essere praticato.
La piazza, all’epoca, era molto più grande di quanto appaia adesso; il restringimento è dovuto ai lavori ottocenteschi con cui vennero abbattute le case che la delimitavano, per concedere più ampio respiro a Piazza del Duomo. Ma di storie questa piazza ne ha da raccontare… fu anche teatro di un delitto d’onore, nel lontano 1528. Giuliano Salviati, grande amico del depravato Duca Alessandro de’ Medici, aveva incontrato, fuori Porta San Miniato, Luisa Strozzi di ritorno dal Perdono del Monte alle Croci, e l’aveva importunata con proposte oscene. Luisa lo riferì al fratello Leone, che si mise subito in cerca di Giuliano Salviati per tutta Firenze. Fu proprio qui, in Piazza delle Pallottole, che lo trovò e, senza tanti discorsi, tirò fuori un pugnale e lo accoltellò, uccidendolo.
Nella piazza non può non richiamare la nostra attenzione quel grande edificio di forma circolare: è di origine settecentesca. Precedentemente, qui c’era una grande tettoia che formava un portico, sotto il quale lavoravano gli scalpellini dell’Opera del Duomo: si trattava del laboratorio dove venivano realizzate le sculture e le decorazioni per la parte esterna del Duomo. Nel Settecento il vecchio portico lasciò il posto all’attuale rotonda; alla metà dell’Ottocento vi fu il definitivo trasferimento del laboratorio di restauro all’attuale sede di Via dello Studio, dove ancora oggi vengono realizzate le copie delle statue che vanno a sostituire le originali per le quali l’esposizione a cielo aperto risulta lesiva.
Nel 1946, nel corso di un restauro della Porta del Paradiso, vennero per la prima volta smontati i fregi e venne alla luce un piccolo “cimelio” datato 1452. Si trattava di una pallottola che, probabilmente, era finita in quella intercapedine durante i lavori di montaggio della Porta del Paradiso: quasi sicuramente dei ragazzini, contravvenendo ai divieti, stavano giocando alle pallottole nei pressi del Battistero, ed una pallottola rimbalzando andò a finire proprio lì, dove è stata ritrovata dopo quasi 500 anni. Si tratta di una pallina poco più piccola di una palla da tennis, fatta di due parti di cuoio cucite insieme. Probabilmente - per darle il giusto peso - al centro, nascosto da un involucro di paglia secca ben pressata necessaria a conferire elasticità alla pallottola, si trova un pezzetto di piombo.
Fotografia di Giovanni Krur In tempi più recenti, verso la fine del Settecento, il Granduca Pietro Leopoldo proibì il gioco delle pallottole: i giocatori toscani si spostarono così tra i filari dei vigneti, dove cominciarono a giocare allo “striscio” (che è il modo più utilizzato per lanciare la boccia da queste parti), con grandi bocce di sorgo. Ultima annotazione: in questa piazza c’era un gigantesco tralcio di vite, che viveva lì da tempo immemore e si era arrampicata sul terrazzo del primo piano di un palazzo: una pianta magnifica, che purtroppo morì nel 2005, c’è chi sostiene con lo sciagurato intervento umano. Di lei rimane il tronco, che ancora si può notare uscire dall’intonaco del palazzo, ed una targa apposta in sua memoria nel 2010. Di storia ne aveva proprio tanta da raccontare, questa piccola particolare piazza… tra cui ricordarci che anche il gioco delle bocce è stato inventato a Firenze.
Gabriella Bazzani Read the full article
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Ci siamo rivisti!... dopo tanto tempo.
Tante le cose da dirci , tante le emozioni da raccontarci , guardandoci negli occhi. Tante le cose da scoprire… eravamo diversi? Questo tempo ci aveva cambiati? E, poi, capire che a tutti erano mancate le iniziative portate avanti, le escursioni, le discussioni, gli scontri per le opinioni diverse…. Qui sono nate un sacco di amicizie e altre via via sono andate scemando. Coloro che mi hanno introdotto a questo gruppo non ne fanno più parte, o meglio non ne sono più il cuore pulsante, chi per ragioni di studio, chi per incompatibilità di opinioni. E’ un po' come il gioco della vita, c'è chi va, chi viene e chi resta. Ieri pomeriggio è stato un momento tutto sommato bello, trascorso all'aria aperta, fra giochi e canzoni. Abbiamo mangiato fragole, dolci e in un attimo si è fatta sera; il tempo è volato via,( emozione infantile ) come quando da piccoli si usciva a giocare con gli amici in primavera e si tornava a casa increduli di come il tempo fosse passato così velocemente senza accorgercene. Ricaricati e rigenerati.
06/04/2021
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Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così,
l'estate finiva più "nature" vent' anni fa o giù di lì
con l'incoscienza dentro al basso
Ventre e alcuni audaci, in tasca "l'Unità"
la paghi tutta
e a prezzi d'inflazione, quella che chiaman la maturità
ma tu non sei cambiata di molto anche se adesso è al vento quello che
io per vederlo ci ho impiegato tanto filosofando pure sui perché,
ma tu non sei cambiata di tanto e se cos'è un orgasmo ora lo sai
potrai capire i miei vent'anni allora e i quasi cento adesso capirai
Portavo allora un eskimo innocente dettato solo dalla povertà
non era la rivolta permanente: diciamo che non c'era e tanto fa
portavo una coscienza immacolata che tu tendevi a uccidere, però
inutilmente ti ci sei provata con foto di famiglia o paletò
E quanto son cambiato da allora e l'eskimo che conoscevi tu
lo porta addosso mio fratello
ancora e tu lo porteresti e non puoi più
Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà:
tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent'anni fa!
Ricordi fui con te a Santa Lucia, al portico dei Servi per Natale
Credevo che Bologna fosse mia
ballammo insieme all'anno o a Carnevale
Lasciammo allora tutti e due un
qualcuno che non ne fece un dramma o non lo so
ma con i miei maglioni ero a disagio e mi pesava quel tuo paletò
Ma avevo la rivolta fra le dita, dei soldi in tasca niente e tu lo sai
e mi pagavi il cinema stupita e non ti era toccato farlo mai!
Perché mi amavi non l'ho mai capito così diverso da quei tuoi cliché,
perché fra i tanti, bella,
che hai colpito ti sei gettata addosso proprio a me
Infatti i fiori della prima volta non c'erano già più nel sessantotto
scoppiava finalmente la rivolta oppure in qualche modo mi ero rotto
Tu li aspettavi ancora
ma io già urlavo che Dio era morto, a monte, ma però
contro il sistema anch'io mi
ribellavo cioè, sognando Dylan e i provos
E Gianni, ritornato da Londra, a lungo ci parlò dell'LSD
tenne una quasi conferenza colta sul suo viaggio di nozze stile freak
E noi non l'avevamo mai fatto e noi che non l'avremmo fatto mai,
quell'erba ci cresceva tutt'attorno,
per noi crescevan solo i nostri guai
Forse ci consolava far l'amore, ma precari in quel senso si era già
un buco da un amico, un letto a ore su cui passava tutta la città
l'amore fatto alla "boia d'un Giuda" e al
freddo in quella stanza di altri e spoglia
vederti o non vederti tutta nuda
era un fatto di clima e non di voglia
E adesso che potremmo anche farlo e adesso che problemi non ne ho,
che nostalgia per quelli contro un
muro o dentro a un cine o là dove si può
E adesso che sappiam quasi tutto e adesso che problemi non ne hai
per nostalgia
lo rifaremmo in piedi scordando la moquette stile e l'Hi-Fi
Diciamolo per dire, ma davvero si ride per non piangere perché
se penso a quella che eri
a quel che ero, che compassione che ho per me e per te
Eppure a volte non mi spiacerebbe essere quelli di quei tempi là
Sarà per aver quindici anni in meno o avere tutto per possibilità
Perché a vent'anni è tutto ancora
intero, perché a vent'anni è tutto chi lo sa
a vent'anni si è stupidi davvero
quante balle si ha in testa a quell'età
Oppure allora si era solo noi non c'entra o meno quella gioventù
di discussioni, caroselli, eroi quel ch'è rimasto dimmelo un po' tu
E questa domenica in Settembre se ne sta lentamente per finir
come le tante via, distrattamente, a cercare di fare o di capire
Forse lo stan pensando anche gli amici
gli andati, i rassegnati, i soddisfatti
giocando a dire che si era più felici
pensando a chi s'è perso o no a quei party
Ed io che ho sempre un eskimo addosso uguale a quello che ricorderai
io, come sempre, faccio quel che posso, domani poi ci penserò se mai
Ed io ti canterò questa canzone uguale a tante che già ti cantai
ignorala come hai ignorato le altre e poi saran le ultime oramai
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Sacrifice, Chapter 2
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
Nonostante la figura della castana si fosse allontanata, i suoi occhi erano ancora su di lei. Osservava bene qualsiasi cosa, agli occhi di James non sfuggiva nulla, ma stavolta non era così. L'andamento e le parole che gli aveva detto la castana, lo avevano destabilizzato. In che modo? Questo non lo sapeva neanche lui.
Sapeva solamente che doveva fare del suo meglio, per ottenere anche solo un minimo consenso da parte sua. Consenso solo per aiutarla, non per altro.
Sempre se non fosse stato così...
La vide che girava verso destra, andando verso un'altra classe e, in tutto quel tempo, lui non aveva smesso di guardarla. Che era, forse, solo curioso?
"Amore!"disse una voce squillante alle sue spalle che lo fece scattare d'improvviso, scontrandosi con una ragazza poco più bassa di lui, bionda e che aveva le sue braccia attorno ai suoi fianchi.
"Ehi..."ma non ebbe la possibilità di poter parlare che le labbra della sua ragazza gli si posarono sulle sue.
"Chi stavi guardando? Ti vedo molto distratto"disse lei con un leggero fastidio nella voce, appena si staccò da lui
"Oh...nulla, devo solo fare un favore al signor Stark"
"Che tipo di favore?"
Ecco, quella era una delle tante domande da un milione di dollari che gli venivano fatte da Sharon Carter, guai a lui se non rispondeva.
"Dovrei dare ripetizioni ad una mia compagna di classe..."
"Devo preoccuparmi?"
"No, non farmi le stesse domande"
"Io lo so che non dovrei preoccuparmi, ma non so di chi si tratta ed è per questo che ti avverto. Io ti voglio tutto per me, lo sai vero?"disse lei con un finto labbruccio sulle labbra.
In realtà James, sapeva benissimo che quello con Sharon Carter non era amore vero. Era solo per potersi guadagnare una borsa di studio all'Harvard, per mano del padre di lei in modo tale che sarebbe entrato nella sua azienda. Solo così George Barnes, ovvero suo padre, sarebbe stato felice o almeno così sperava. Ma James non voleva questo, non voleva fare felice suo padre vedendo che ciò che faceva non era al caso suo, avrebbe voluto proseguire i suoi studi diversamente e non rinchiudersi in un'azienda, a soli 25 anni, del padre di chi?
Della sua ragazza? Della sua spasimante? O del suo accollo?
"Si, lo so bene..."disse lui fingendosi felice
Lei sorrise per la risposta ottenuta e si diressero alla porta principale, per poter uscire solo per alcuni minuti di pausa ma furono fermati da una voce alle loro spalle.
"Ehi James, ci sei oggi per gli allenamenti?"chiese un ragazzo alto, biondo e con un fisico ben assestato.
"Steve! Si, ci sono devi solo ripetermi l'orario..."
"Ma come! Mi avevi promesso che mi avresti accompagnato a fare shopping oggi pomeriggio"
"Sharon..."
"Beh...se hai altri impegni, non voglio intromettermi"disse il ragazzo biondo alzando le mani, in segno di resa, con fianco a se altri due ragazzi.
"Tranquillo...è meglio per me allenarmi, ho una partita questo fine settimana"disse lui passando lo sguardo dal suo gruppo di amici alla ragazza che aveva di fianco a sé.
"Beh, se preferisci questi sfigati a me puoi tornartene anche a casa con loro"disse lei con un tono acido, che rivolse soprattutto alla ragazza messa di fianco a Steve.
"Eddai..."disse lui ma la bionda aveva già aumentato il passo per poter dirigersi verso l'uscita.
"Credi che ti perdonerà?"chiese invece Sam
"Non mi preoccupo più di tanto, le sue sono discussioni inutili"
"Lo spero per te James...allora cosa fai? Ci raggiungi o no?"chiese Steve.
"Si..."disse lui girando attorno con lo sguardo e poggiandolo su un particolare alla sua sinistra.
La porta della classe di fisica era ancora aperta e aveva notato,solo ora, un libro che prima non era presente.
"Dammi solo un minuto"continuò lui, rivolgendosi al suo amico ed entrando nella classe, senza badare alla risposta che gli era arrivata.
Si diresse fino alla seconda fila, per fortuna la classe era vuota e il libro era rimasto incustodito. Si avvicinò al banco e lo prese fra le mani, scorrendo le varie pagine, fino ad arrivare a quella iniziale, dove un nome padroneggiava nel centro.
Wanda
"Mamma sono a casa!"disse lei togliendo le chiavi dalla toppa e superando la soglia di casa sua.
Si chiuse la porta dietro di sé e si poggiò sopra con le spalle facendo un respiro profondo, ma appena provò a chiudere gli occhi dei passi felpati e veloci si fecero sentire per tutta la casa.
"Wanda!"una voce squillante le arrivò alle orecchie e subito lei sorrise aprendo gli occhi.
Dinanzi a sé trovo un piccolo ometto con una massa di capelli lunghi e biondi, lui è il piccoletto di casa ovvero suo fratello Pietro. L'unico che, secondo Wanda, si preoccupava realmente di lei. Non che il resto della famiglia non lo facesse ma da quando sua mamma aveva iniziato una nuova vita, insieme ad una nuova frequentazione, non aveva così tanto tempo da spendere per lei come faceva prima. Certo, c'erano quelle cose che non potevano essere fatte da Pietro, come accompagnarla dal suo medico curante ma lei credeva che il suo fratellino fosse veramente l'unico che le chiedeva come stava veramente, anche se lui sapeva le sue reali condizioni.
"Ehi,ciao! Come è andata la scuola?"
"Bene...ho iniziato un nuovo lavoretto"
"Wow, davvero? E con chi?"chiese lei prendendolo in braccio, anche se questo era uno dei tanti sforzi in più che non avrebbe dovuto fare.
"È una bambina e si chiama Rebecca"rispose lui non smettendo di guardare sua sorella che faceva un po' di fatica a tenerlo in braccio.
"Mi raccomando, devi essere un cavaliere"
"Ma io già lo sono...con te"disse lui, cambiando tono di voce alla fine.
"Lo so Pietro, non c'è bisogno che me lo ricordi"
"Solo mi preoccupo per te...come stai?"chiese lui con una leggera preoccupazione, ma non ebbe neanche il tempo di rispondere che la voce della loro madre li chiamò.
"Wanda, Pietro! È pronto il pranzo!"disse la loro mamma urlando e facendosi sentire dai due ragazzi che erano ancora vicini alla porta di casa.
Lei fece scendere dalle sue braccia il piccolo Pietro per dirigersi insieme a lui nella cucina vicino alla tavola, che era imbandita di tante cose buone.
"Come è andata la giornata Wanda?"le chiese sua madre mentre sistemava gli ultimi piatti per poi metterli sulla tavola.
"Bene, credo...tranne per Stark"
"Davvero? Ha avuto qualcosa da ridire?"
"Mh...non proprio ma..."
"Wanda, io e te sappiamo bene come è fastidioso il signor Stark, perciò ti dico di non pensarci troppo"disse Clint.
Clint, era la nuova fiamma di sua mamma nonché il suo professore di inglese. La cosa positiva era che nella sua materia lei andava molto bene, ma a Wanda non ancora andava giù che sua madre stesse con il suo prof. Non che le stesse antipatico, ma credeva che era una delle tante distrazioni che sua madre si era concessa per evitare di pensare a lei e alla sua malattia.
"Certo che ci penso troppo, invece. Non è possibile che mi scarichi la colpa su qualsiasi cosa che io faccia!"
"Che intendi dire che ti scarica la colpa su qualsiasi cosa tu faccia?"le chiese sua madre.
"Dice che arrivo sempre in ritardo e che non mi concentro nella sua materia e quando gli ho detto..."
"Wanda, non c'era bisogno che gli raccontassi tutto..."all'affermazione di sua madre lei sbuffò, non le aveva permesso di finire la frase che subito l'aveva interrotta.
"Mamma, perché devi fraintendere? È ovvio che io non gli abbia detto nulla, mi ha solo detto che avrei dovuto fare delle ripetizioni"
"Ripetizioni? E con chi?"
"James Barnes"
A quel nome sua madre assunse una strana espressione sulla faccia, ovviamente non sapeva di chi si trattasse e si poteva considerare come la stessa espressione che Wanda aveva assunto appena aveva sentito quel nome, insieme ad un certo odio completamente ingiustificato.
"È il capitano della squadra di basket della scuola, davvero un bravo ragazzo e si impegna molto..."rispose Clint alla domanda della sua compagna.
"Si, se non fosse per il fatto che è uno dei popolari ed è fidanzato con il capo delle cheerleader"disse, invece, Wanda con entrambe le sopracciglia alzate.
"E hai intenzione di farle?"
"Sai che è l'unica soluzione che io posso permettermi, no?"disse Wanda rispondendo alla domanda di sua madre.
"Non credi di correre dei rischi?"
"Quali rischi? Che sia uno come papà che appena saputa la notizia della mia malattia se ne vada e sparisca completamente dalla mia vita?"chiese lei senza peli sulla lingua, guadagnandosi uno sguardo di disapprovazione da parte di sua madre.
Non ricevendo nessuna risposta, lei prese un tramezzino che era posto al centro della tavola e, insieme a quello, la sua tracolla dirigendosi direttamente nella sua camera, non uscendo fino all'arrivo della sera.
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Cinque anni fa ho scritto una lettera alla me stessa del 2020. Penso sia quasi irrilevante dire che il livello di cringe che ho provato rileggendola sia stato uno dei più alti mai provati nella mia vita, ma ne è valsa la pena. Motivo per il quale ne scriverò un’altra alla me del 2025.
Bene,
se stai (sto, ma non inizierò questo gioco, altrimenti la cosa diventerà troppo lunga) leggendo queste parole, vuol dire che sei nel 2020 (o mamma!) e, a meno che tu non ti sia presa indietro con lo studio o non sia successo qualcosa di grave (ti prego, va tutto bene, vero? Altrimenti ricorda che sei una tipa tosta, che nulla e nessuno possono abbattere! Ma tornerò al capitolo ‘autostima’ più tardi) dovresti aver terminato/essere sul punto di terminare l’università. Wow. Ho appena finito il liceo, e fa un certo effetto il pensarmi con una laurea in mano. Beh, suppongo di dovermi abituare all’idea. Bene (di nuovo), non credo esista un vero e proprio scopo per queste lettere, tranne quello di ricordare alla ‘futura me’ com’era la ‘vecchia me’ e, speriamo di non deprimermi troppo, riportarle alla mente i suoi ideali, le sue aspirazioni, le sue paure.
Per prima cosa spero che tutto stia andando secondo i tuoi piani: devo ammettere che mi sento un po’ ipocrita a scriverlo, dato che al momento ho una paura folle che ciò non possa avvenire. Ho un vero e proprio terrore del fatto che possa accadere qualcosa di orribile alla mia famiglia e ho paura che scoppi una guerra che ci coinvolga direttamente. Vorrei avere la certezza che si stia affrontando la questione ‘ISIS’ nel modo migliore (e mamma, spero davvero che fra cinque anni la cosa sia risolta, ma ne dubito fortemente). Tra cinque anni mi piacerebbe vivere in un mondo (okay, magari ‘fra dieci anni e in un Paese’ suona più realistico) in cui la convivenza pacifica di realtà differenti non sia solo un’utopia. Tuttavia, penso che la felicità, quella autentica, vera, improvvisa, sia nelle piccole cose. Tipo questi ultimi cinque giorni al mare: non che non ci siano state discussioni o litigi, ma siamo stati davvero bene. O il cantare a squarciagola tutti insieme sulle note di ‘Lo stadio’ di Tiziano Ferro. Oppure l’essere tornati in macchina insieme a Piko. Spero che in questi cinque anni ci siano stati molti di questi momenti in cui ti fermi e realizzi quanto sei fortunata: so che non sempre tutto va nel verso giusto, e forse ci saranno molte più situazioni negative di quante io me ne aspetti in questo momento. L’importante è ricordarsi che ci sono i lati positivi, sempre: magri non saltano subito all’occhio o te ne rendi conto quando ormai sono già passati, ma ci sono. Anche nei momenti peggiori c’è uno spiraglio di luce (ora, oltre al fatto che mi sento come se fossi una life coach, volevo scrivere ‘uno spiraglio di speranza’, ma suonava male; il classico colpisce ancora). Il sole esiste per tutti (ah, la vacanza sono i cinque giorni al Lago di Garda).
Mi sono resa conto (troppe pare mentali, però è meglio farsele a 18 anni che a 30, vero?) che ho sempre dato per scontato ciò che scontato non è (catastrofismo leopardiano?): non avrò una famiglia perfetta, ma ci vogliamo bene nonostante gli scontri, ho una casa sopra la testa, un cagnolino che definire adorabile è riduttivo, un gruppo di amici che mi vogliono bene, sto per cominciare l’università, tutti i nonni sono ancora qui. Certo, suppongo di essere giustificata rispetto all’aver paura per il mio futuro, ma non vedo un valido motivo per non alzarmi ogni mattina con un sorriso e provare a tirar fuori il meglio di me. Per la cronaca, ora sto crollando, penso che continuerò domani/oggi tra qualche ora.
Poco più di una decina di ore più tardi, eccomi qui. Mi sto gustando un bicchiere di Coca Cola fredda dopo aver pulito per bene la mia stanza; oggi pomeriggio darò un’occhiata su Internet per trovare un posto in cui stare a Siena e sistemerò un po’ il blog (lo aggiorni ancora?). Poi farò un’oretta di ripetizioni con Chiara e cenerò da E. Evviva! E’ da un mese che non lo vedo e un po’ mi è mancato: durante queste quattro settimane ho avuto il tempo di farmelo piacere, di essere indecisa tra lui e N. dopo la grigliata di M. e ora credo (sottolineo, credo) che mi piaccia quest’ultimo. Diamo tempo al tempo (consiglio di G. A proposito lui e la C. si sono sposati?): anche se ho poco più di un mese prima di andarmene. Bello.
Vediamo di dare qualche informazione generale su questi giorni: non credo che tra cinque anni ti ricorderai di queste cose, quindi credo che ti piacerà rileggerle.
1. Epico litigio con D.: è uno psicopatico del cavolo. Meglio perderlo che trovarlo.
2. N. è un gran bel ragazzo (chissà che non stiate insieme) ed è un gentiluomo. Devo trovare il modo di fargli capire che (forse) mi piace.
3. Mi faccio tante, tante, tante (troppe!) pare mentali. Che incubo.
4. A. ha il moroso (P.), ma sembra che stiano già litigando.
5. Adoro Piko: è un amore. Lo adoro. Punto.
6. Spero ancora nel coming out dei Larry: gli One Direction spaccano, anche senza Zayn (sob sob).
7. Ho finito le cose (nel senso degli argomenti), e dovrei preparare il pranzo.
Per concludere, qualche consiglio generale.
- Sei intelligente, carina, dolce e dannatamente testarda: puoi andare lontano!
- Rendi felice le persone che incontri: basta una parola gentile, non occorre un diamante.
- Ricordati degli amici: organizza una grigliata con E., N., A., F., N., M.,V.,...
- Chiama G. e discutete di immigrazione.
- Chiama a casa e dai nonni (e gli zii e i cugini).
- Leggi, leggi, leggi!
- Dormi otto ore a notte e bevi due litri di acqua al giorno.
- Lascia da parte sigarette e alcool: a che ti servono? (Beh, nel caso tu ne faccia uso)
- Fai sport! (So che lo odi, ma ti fa bene)
- Esci e divertiti: non avrai 24 anni ancora per molto.
- Innamorati (se non lo sei già!)
- Continua a fare ‘Happiness of...’: quando sarai più grande sarà fantastico!
- Mangia sano (sì, qualche volta il McDonald’s è concesso)
- Scrivi, scrivi, scrivi. Ti aiuta a sfogarti.
- Sii te stessa e rimani fedele ai tuoi valori: non vale la pena modificarli, per nulla al mondo.
- Prenditi cura di te stessa.
E’ meglio che vada a preparare il pranzo (spaghetti al ragù!).
Buona vita piccola,
E.
P.S.: spero che dopo cinque anni la matita si legga ancora!
P.P.S.: divertiti!
- cara me del 2020
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Roll the dice, puntata 2
Ansia, tutto quel occupare mi nettezza ansia. Assenza di dialogo, decisione prese per me da qualcun altro. Qualcuno che non valutava che chiedere è il modo migliore per evitare discussioni, che imporre è il modo migliore per ottenere un’insurrezione. Basta aprire un libro di storia a caso, in una qualsiasi epoca, e vedrai spiegato questo concetto.
C'era stato detto di risparmiare sull'acqua per cui potevamo fare al massimo una doccia al giorno. La zia di Lataika che ci ospitava quella settimana stava in un camping e non sapeva cucinare, come diceva Lataika stessa. Il fatto che non sapesse cucinare poteva essere dedotto dalla cucina dove non c'erano strumenti per cucinare, o almeno per cucinare tutti i giorni. Una donna sposata senza figli di mezza età non usa in una pentola per bollire la pasta da dieci persone tutti i giorni, e quella pentola fa consumare giorno per giorno molta più acqua di quanta realmente ne serva. Lo scolapasta- portafrutta porta batteri solo a vederlo, basterebbe utilizzarlo come portafrutta e basta.
A prova del fatto che parlare serva, se Latakia avesse creato un gruppo whatuspp evidenziando i problemi della casa che aveva visitato prima, con dentro tutti noi avrei potuto portare una chiave inglese per aggiustare il lavandino, una pentola e una padella di dimensioni normali, o meglio adatte alla bisogna di quattro persone, ed uno scolapasta, da casa. Ecco questo avrebbe permesso una vita più vivibile e di risparmiare di più l'acqua. Ma come detto nella puntata due chi è abituato ad essere escluso e decide di escludere, replicando il comportamento dei suoi aguzzini, non dialoga. Latakia voleva imporre il suo potere su di me per vedere quanto fossi buono. Il che dato il mio carattere è un pò come sedersi sopra un vulcano e sperare di non bruciarsi il culo. Non lo dico per fare il figo, ma io le imposizioni non le sopporto e basta.
La madre di Lataika aveva ripetuto dodici volte quel giorno che la prima sera potevamo mangiare la pizza, la figlia convinta dalla perentoria decisione materna, aveva mandato me ed il ragazzo a comprare suddetta pizza. Io e Rob andiamo alla pizzeria sotto casa a prendere la cena. Il locale ha la rete Wi Fi e la ragazza porta un specie di panno legato in vita che mette in evidenza il seno prosperoso. Il mio già cervello sta per partire in automatico per salvare l'immagine nella cartella "seghe", ma mi trattengo, quella sera avrei dormito con una vera ragazza. Che poi vera, diciamo reale, Felicita a letto era poco più di una bambola gonfiabile. Ci aveva messo 4 mesi ad imparare a fare le seghe, anche se devo riconoscerlo è stata la prima, e forse l’unica donna ad afferrarmi il cazzo di sua spontanea volontà. Ritorno all'appartamento e dopo aver aperto il portafoglio mi accorgo di come solo il primo giorno sono riuscito a spendere trentasei euro sui settanta che ho risparmiato e portato con me . Data la compagnia avrei preferito non partire. Quella sera beviamo birra e superalcolici, Lataika, alla quale avevamo pagato la benzina, beveva tranquillamente, e siccome si comporta come fosse la padrona di casa, ha deciso che per quella sera sarebbe andata in un balneare dove si mette musica, e si può bere un cocktail e fumarsi una sigaretta in riva alla spiaggia. Senza macchina il tragitto è di sette chilometri. Io e Felicita abbiamo già dei problemi, ma lei non vuole parlare, è ancora incazzata per l'affare del mio amico che doveva venirmi a trovare e mi guarda con superiorità, come a dire “Ti perdono, ingenuo, affinché tu possa arrecare a me ogni gioia prima di arrivare al sacro talamo", e io pensavo "Guarda che pur essendo morto di fica mantengo una mia dignità, per cui levati quello sguardo da Messia che non hai niente da perdonarmi, non ho incontrato nessuno, ti sono stato a fianco tutto il tempo, cosa mi devi perdonare, l'idea che ci possa essere qualcuno a questo mondo che mi vuole vedere?”
Ricordo che Rob si lamentava del fatto che quell'estate Lataika aveva deciso di viversi la sua vita, andava in discoteca e lo chiamava alle quattro del mattino dicendo “Uno mi ha toccato il culo, domani sera ci torno” e chiudeva la chiamata. Pensavo che la cosa dovesse farla eccitare, ma lui era abbastanza maturo da saper tollerare un atteggiamento del genere e abbastanza stupido da permetterlo tanto a lungo quanto lei avesse voluto.
I catechisti a 16 anni mi avevano insegnato che se vivi la tua vita in apnea, aspettando il weekend allora dovresti cambiare la tua vita. Anche Steve Jobs lo diceva, quello stronzo. Latakia era stufa della sua routine ( e te credo 3 persone x 365 giorni all’anno e non tollerava già me che ero la 4a), e invece di cambiarla e provare ad includere qualcun altro quello che faceva era andare a farsi toccare il culo in discoteca, perché la società, le persone attorno lei le dicevano che questo era il modo giusto di viversi la vita. E in effetti lo è, leggero e divertente. Ma non risolve nulla, e ansi come la droga rende più sopportabili quelle cose che rendono la nostra vita invivibile, contribuendo a renderla peggiore di quello che è.
Felicita voleva imitarla, e s'incazzava se le chiedevo di non farlo, di essere prudente. Ricordo che con le amiche di Felicita, molto prima che tutto ciò avvenisse, si divertivano in vacanza a dare illusioni ai ragazzi del luogo per farsi offrire da bere. Facevano a gara tra di loro per provarci con i ragazzi, farsi offrire, e poi scappare via, e vantarsi di aver risparmiato sul bere. Della serie “capitalizziamo la nostra vagina”. Dopo sette chilometri scopriamo che il balneare dove voleva andare Lataika era chiuso. Mi accendo il sigaro della sopportazione di fronte al cartello “ Chiuso per disturbo della quiete pubblica”, mentre il cervello mi dice "Mò ce ne stanno n'altri sette da fà a piedi pè riturnà". Vicino allo chalet chiuso c'è un bar, l'unico che conosca in zona, perchè c’ero già stato, con un arredamento anni '50 nella sala principale e western in quella più piccola, è il posto ideale per prendersi una birra e mangiare qualcosa. Dato che gli altri sembra che se non spendono soldi non si sentono in vacanza gli indico il posto e loro ci vanno come per farmi un favore, dopo che Lataika e Rob hanno comprato i preservativi per la serata al distributore. Il posto lo conosco perché ci sono venuto con degli amici una sera, le strade intorno erano piene di prostitute, divise per tipo a seconda delle strade, ad esempio su una strada trovavi quelle di colore, in un'altra le italiane, in un'altra quelle dell'est europeo. Ne ricordo una con un delizioso vestitino nero molto elegante, bassa con i capelli castani che aveva attirato l'attenzione di un mio amico, io gli urlavo " Fra! Non poi fa cuscì, te sei appena fidanzato ufficialmente!". Ci sediamo fuori dal locale, io non chiedo nulla, Felicita ordina per sé un panino e una birra, quando poi torna la cameriera mi dice "Dai ti offro una birra!" sono al settimo cielo, cosa si può chiedere di più dalla vita? Quando vado a pagare Felicita mi dice "Non ho il portafoglio, paga tu". Una serie di bestemmie mi attraversano il cervello a velocità supersonica mentre pago io con i soldi messi da parte lavorando come Gostwriter. Ma lei che ne sa della fatica di farli quei soldi, lei li chiede al padre e basta.
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The one where their songs talk about them
Hai capito finalmente cosa siamo noi
molto di più di quello che credevi, che speravo anch'io
E adesso che un saluto ci divide ognuno prende la sua strada
inseguendo nuovi sogni di libertà.
Prima che inizi un altro viaggio voglio dirti che
ti prometto che ti aspetterò tutta la vita
ti prometto che ti penserò tutta la vita
ti prometto che, ti prometto che
è per sempre finché non è finita.
Le discussioni tra loro c'erano sempre state.
A volte più intense, a volte meno, ma alla fine erano sempre riusciti a chiarirsi. Sempre, fino a quel momento.
Ermal non ricordava nemmeno come fosse iniziata quella discussione. Ricordava solo che a un certo punto erano finiti a urlarsi contro di tutto, mentre Fabrizio si lamentava per la sua decisione di tenere nascosto ciò che c'era tra loro anche ai loro amici e alle loro famiglie ed Ermal cercava di spiegargli che ancora non si sentiva pronto.
"Non ti senti pronto? Cazzo, Ermal, è passato quasi un anno! Arriverà mai il giorno in cui ti sentirai pronto?" sbottò Fabrizio esasperato.
"Forse no! Forse non sarò mai pronto per dire alla mia famiglia che improvvisamente mi piacciono gli uomini. Forse vorrò continuare per sempre a vivere questa relazione di nascosto! E se tu mi ami davvero, come dici, dovresti rispettare questa scelta" rispose Ermal.
Fabrizio sospirò e abbassò lo sguardo per un attimo, cercando di calmarsi prima di rispondere.
"Io ti amo, ma così non può andare avanti, Ermal. Sono stanco di non poter raccontare nemmeno ai miei amici quanto io stia bene con te e quanto sia felice di stare insieme a te. Sono esausto, non ce la faccio più" disse Fabrizio a bassa voce.
"Che vuol dire che non ce la fai più?" chiese Ermal con la voce incrinata, improvvisamente impaurito dal significato nascosto di quelle parole.
"Vuol dire che forse questa storia non ha futuro. E se è così, credo sia meglio se ci lasciamo."
Ermal non replicò, troppo sconvolto dal fatto che fosse stato proprio Fabrizio a prendere quella decisione. Proprio lui, che era quello che si era fatto avanti per primo, che era stato il primo tra i due a dire ti amo, il primo tra i due ad ammettere quanto il loro rapporto fosse cambiato.
Ed ora era anche il primo tra i due a dichiarare la fine di quella relazione.
Ingenuamente, Ermal aveva sempre pensato che la loro storia fosse una di quelle destinate a durare. Anche se lui ancora non ne aveva parato con nessuno - e aveva chiesto a Fabrizio di fare lo stesso - era davvero convinto che sarebbero durati.
"Fabrizio..." iniziò Ermal, senza in realtà sapere come terminare la frase. Avrebbe voluto dirgli di non lasciarlo, di restare con lui, ma dalla sua bocca non usciva alcun suono.
Fabrizio scosse la testa e disse: "Ermal, è meglio così. Almeno per un po', stiamo lontani. Farà bene a entrambi, servirà a dimenticare."
"Io non voglio dimenticare niente" disse Ermal, ormai con la voce ridotta a un sussurro.
"Nemmeno io. Ma ne ho bisogno" rispose Fabrizio.
Poi, senza dire altro, afferrò il giubbotto di pelle che aveva lasciato abbandonato sul divano e uscì dall'appartamento.
Ermal rimase a fissare la porta chiusa da cui era appena uscito Fabrizio chiedendosi se quella fosse davvero la fine per loro.
L'unica cosa di cui era certo era che, a prescindere da tutto, non avrebbe smesso di amarlo, non lo avrebbe dimenticato e, una parte di sé, lo avrebbe comunque aspettato probabilmente per sempre.
Ho capito finalmente chi eravamo noi
navigatori esperti alla ricerca di felicità
Prima che si alzi ancora il vento voglio dirti che
ti prometto che ti aspetterò tutta la vita
ti prometto che ti penserò tutta la vita
ti prometto che, ti prometto che
per lasciarti andare non basterà una vita
Ti prometto che ti aspetterò tutta la vita
Ti prometto che ti sentirò tutta la vita
Io ti giuro che, ti prometto che
Ti prometto che mi ritroverai tutta la vita
Qui dove il petto fa rumore
Ma sei lì dove io non voglio stare
Ti prometto che ti aspetterò tutta la vita
Ti prometto che ti penserò tutta la vita
Io ti giuro che se fossi Ercole
a lasciarti andare farei una gran fatica
Mi prometti che mi aspetterai tutta la vita
E che niente mai ti può distrarre dalla meta
Mi prometti che, io ti giuro che
Sarà per sempre almeno finché non è finita
I primi giorni erano stati difficili.
Stare senza vedersi, senza sentirsi, sembrava troppo difficile, quasi insostenibile. Ed Ermal non faceva altro che colpevolizzarsi, perché in fondo sapeva benissimo che era solo colpa sua se era finita.
Allo stesso tempo, però si sentiva incapace di fare qualsiasi cosa per riavere indietro Fabrizio.
Riusciva solo a pensare al fatto che forse, se Fabrizio davvero lo amava, sarebbe tornato sui suoi passi. Si sarebbe di nuovo presentato a casa sua dicendo che non importava se non si sentiva pronto ad uscire allo scoperto, che l'importante era stare insieme.
Razionalmente sapeva di non poter pretendere nulla, sapeva che se tra i due c'era qualcuno che doveva rincorrere l'altro doveva essere lui, non certo Fabrizio. Eppure non riusciva a muovere un muscolo, paralizzato dalla paura che Fabrizio non lo amasse abbastanza per tornare con lui, per sopportare i suoi timori, per rispettare i suoi tempi.
Così era semplicemente rimasto lì, immobile, senza fare niente.
Era rimasto a domandarsi cosa stesse facendo Fabrizio, se in quei giorni lo avesse pensato oppure se lo avesse già dimenticato. E per quanto faticoso fosse scendere a patti con l'idea che la loro storia fosse davvero giunta al capolinea, iniziò ad abituarsi al fatto che ormai aveva perso Fabrizio. Forse per sempre.
***
Ho fede nei silenzi colti a un passo dal coraggio
quando cerco di capire il senso del mio viaggio
Ho fede nelle cose che mi aspettano domani
nelle scarpe che porto, ho fede in queste mani
Ho fede mentre sento la mia fede che fluisce
energia imbarazzata che costruisce
uno spazio illuminante che da scopo a questa vita
La fede è come un'arma per combattere ogni sfida
Ho fede in te e ho fede nell'amore
Per descrivere la fede poi non servono parole
La fede è un conduttore fra un dubbio e questo immenso
quando il resto perde il senso
A un passo da domani, a un passo ormai da te
Ma cosa rende umani se non un limite?
A un passo dalla voglia che avevamo e ora non c'è
Ho bisogno di credere, ho bisogno di te
Non era stato semplice all'inizio.
Anche se era stato proprio lui a decidere per entrambi, anche se era stato lui a mettere fine alla loro storia, Fabrizio non poteva fare a meno di svegliarsi ogni mattina con il pensiero di Ermal impresso nella mente.
Aveva passato giornate intere a cercare di non pensarlo, fino a quando si era reso conto che non sarebbe stato possibile.
Ermal ormai era parte di lui e cercare di rimuoverlo dalla sua vita di certo non lo avrebbe fatto andare via del tutto.
Stare con lui l'aveva cambiato. Aveva smussato i suoi angoli e i suoi spigoli, aveva riempito il suo cuore di un amore totalizzante che prima di quel momento aveva provato solo con Giada.
Lo aveva reso vulnerabile, ma non in senso negativo.
Lo aveva reso più aperto a ciò che l'amore aveva da offrire, più incline a credere che l'amore potesse essere davvero eterno come si dice nei film.
Così a un certo punto, aveva smesso di provare a dimenticare Ermal. Aveva iniziato ad abituarsi a svegliarsi ogni mattina pensando a lui, guardare le loro foto sul cellulare aveva iniziato a fare meno male.
Aveva considerato un paio di volte l'idea di scrivergli un messaggio, di chiedergli banalmente come stesse, ma poi si era fatto frenare dalla paura che dopo che ciò che era successo Ermal non avesse la minima voglia di sentirlo.
Aveva ripensato più volte all'inizio della loro relazione, al dover stare separati per mesi per i rispettivi tour, ma anche al fatto che comunque erano sempre riusciti a trovare il modo di far funzionare le cose. Semplicemente perché era ciò che volevano.
E quella voglia di far funzionare le cose, adesso dov'era finita?
Da qualche parte, Fabrizio era certo che entrambi sentissero ancora quella necessità di stare l'uno accanto all'altro, quel bisogno di sentirsi vicini.
O almeno, Fabrizio era certo di sentirlo.
Ma Ermal?
Ho fede nelle buche dove sono inciampato
nelle mie ginocchia rotte e nei giorni che ho sbagliato
Perché oggi non mi spezzo e non abbasso mai lo sguardo
e se sono così forte lo devo solo al mio passato
Ho fede in te e ho fede nel colore
delle tue risposte acerbe che trasmettono stupore
La fede è l'impressione di averti sempre accanto
quando ho camminato tanto
A un passo da domani, a un passo ormai da te
Ma cosa rende umani se non un limite?
A un passo dalla forza che avevamo e ora non c'è
Ho bisogno di credere, ho bisogno di te
Mi manca l'aria, l'aria sotto i piedi
Da una prigione senza sbarre lasciami scappare
Quello che cerco io lo so ma non lo so spiegare
Allora ascolta il mio respiro, io aspetto
A un passo da domani, a un passo ormai da te
Ma cosa rende umani se non un limite?
A un passo dalla rabbia che avevamo e ora non c'è
Ho bisogno di credere, ho bisogno di te
Nonostante Fabrizio non avesse minimamente idea di cosa provasse o di cosa pensasse Ermal, di una cosa era certo: credeva in lui e soprattutto credeva in loro.
Sapeva che, anche se la decisione di allontanarsi era stata sua, ciò che c'era tra loro era troppo forte per finire. In un modo o nell'altro si sarebbero ritrovati e le cose sarebbero tornate a posto.
Lo sapeva perché non aveva smesso di credere in loro nemmeno per un attimo, nemmeno mentre litigavano e mandavano a puttane tutto quello che avevano costruito.
Lo sapeva perché, nonostante tutto, riusciva ancora a vedere Ermal in ogni cosa, riusciva ancora a sentirlo al suo fianco anche se in realtà non era lì.
A volte gli sembrava addirittura di sentire la sua risata, di avvertire il suo calore mentre dormiva, di sentirlo suonare nella stanza accanto quando si svegliava.
Lo sentiva talmente presente in lui e nella sua vita, che anche se erano separati - e oltretutto per sua scelta - non poteva evitare di sentire quella sensazione che tutto sarebbe andato bene, che le cose sarebbero tornate al loro posto.
Che, dopo aver messo via la rabbia, sarebbero ritornati l'uno tra le braccia dell'altro colmando il vuoto che entrambi sentivano.
***
Il tempo era passato lentamente all'inizio. Poi, quando entrambi avevano iniziato ad abituarsi all'assenza dell'altro, aveva ricominciato a scorrere normalmente.
Alla fine erano passate settimane intere e quasi non se ne erano accorti.
La mancanza che entrambi sentivano continuava a consumarli, ma avevano imparato a conviverci.
Sapevano che in realtà non erano poi così lontani, che avrebbero potuto almeno tentare di fare un passo verso l'altro e sperare di incontrarsi a metà strada, ma entrambi si sentivano bloccati.
L'amore che provavano e la speranza che ancora avevano che le cose si aggiustassero erano forti, ma la paura di un possibile rifiuto lo era di più e li teneva con i piedi ancorati a terra, impedendo ad entrambi di correre verso l'altro.
Era stato solo dopo qualche mese che Ermal si era accorto che non poteva andare avanti così. Non poteva perché si era guardato allo specchio e aveva visto quanto gli stesse facendo male quella situazione.
Apparentemente sembrava sempre lo stesso, con le stesse occhiaie e lo stesso sorriso, ma lui si rendeva conto che non era così.
I suoi occhi erano più spenti, il sorriso meno ampio, le occhiaie più accentuate. Attorno agli occhi si erano formate nuove rughe ed era certo che la causa non fosse il passare del tempo. Non solo, almeno.
Stava invecchiando e lo stava facendo più velocemente perché accanto a lui non c'era più la persona che lo manteneva vivo.
Così, spinto da un senso di vuoto che ormai era diventato insopportabile - nonostante con il tempo si fosse abituato a conviverci -, si era messo in macchina senza pensarci troppo, aveva preso l'autostrada verso Roma e aveva iniziato a sperare che Fabrizio avesse voglia di vederlo almeno la metà di quanta ne aveva lui.
Sono quello che non ti aspettavi
Quella sera in cui la luna cadde nei tuoi occhi
Quella volta in cui non solo ci credevi, ma avevi fatto pace pure con i demoni
Sono quel rumore che diventa suono
Sono come sono e non ti chiederò perdono
Sono quello che non ti aspettavi, ma che forse in fondo ci speravi
In un mondo senza regole
Io sono un sasso e tu il mare
Annegare nel tuo cuore per me è il miglior modo di morire
Dicono che tutto quello che sappiamo dell'amore
Non ci serve sai perché
In fondo è tutto da scoprire
Non siamo i primi né gli ultimi
Io sorrido spesso mentre tu mi vedi un po' già grande
L'esperienza è niente se c'è ancora tutto da imparare
Quando Ermal arrivò davanti a casa di Fabrizio, dovette aspettare qualche minuto prima di avere il coraggio di scendere dalla macchina e suonare il campanello.
Erano passati mesi dall'ultima volta in cui si erano visti. Forse in tutto quel tempo, le cose erano cambiate. Forse Fabrizio non lo amava più, forse stava con qualcun altro.
Forse semplicemente non gli andava di vederlo.
Scese dall'auto con il cuore in gola e si avvicinò lentamente al cancello della villetta. Premette il dito sul tasto del citofono e aspettò qualche secondo prima di sentire la voce di Fabrizio.
"Sì? Chi è?"
Ermal sospirò, poi rispose: "Bizio, sono io. Ermal."
Fabrizio rimase in silenzio, poi riagganciò il ricevitore e aprì il cancello permettendo ad Ermal di entrare.
Ermal percorse rapidamente il vialetto che separava il cancello dalla casa, ripetendosi nella mente un discorso che aveva provato e riprovato decine di volte, ma le parole sembravano essersi mescolate e nulla di ciò che pensava sembrava avere un senso.
Riusciva solo a pensare a quante volte aveva percorso quello stesso vialetto, a quante giornate aveva passato in quel giardino, a tutte le volte in cui aveva maledetto Fabrizio per aver preso quella casa appena fuori Roma in cui il cellulare non prendeva e sembrava di essere isolati dal mondo, solo per poi pentirsene perché ogni volta che erano insieme era un bene restare isolati dal mondo.
Quando arrivò davanti alla porta, Fabrizio era già lì ad aspettarlo.
Se ne stava appoggiato allo stipite, con le mani affondate nelle tasche dei jeans, i capelli arruffati e la faccia di uno che si è appena svegliato.
Ermal non seppe dire se fosse perché non si vedevano ormai da troppo tempo, ma era convinto di non averlo mai visto bello come in quel momento.
"Ciao" sussurrò avvicinandosi a lui.
Fabrizio non disse nulla. Si limitò a spostarsi di lato e a fargli cenno di entrare.
La casa era esattamente come Ermal la ricordava. Non era cambiato niente ed Ermal non poté fare a meno di sorridere notando che le loro foto erano ancora appese al muro del salotto come l'ultima volta in cui era stato lì.
"Che ci fai qui?" chiese Fabrizio dopo qualche minuto, mentre Ermal era ancora intendo a guardarsi intorno.
Il più giovane si voltò verso di lui. "Dobbiamo parlare."
Fabrizio annuì.
Certo, dovevano parlare. Ma da dove si comincia in queste situazioni?
Si parte chiedendo scusa? Ma poi, scusa di cosa? Non potevano chiedere scusa perché semplicemente avevano necessità diverse. Fabrizio non poteva scusarsi per il suo bisogno di parlare della loro relazione, e di certo non poteva pretendere che Ermal si scusasse per il motivo opposto.
E allora, se non si inizia dalle scuse, che si fa? Si parte dicendosi che ci si ama ancora? Dopo mesi di lontananza, sembrava sbagliato anche quello.
"Mi manchi" disse Ermal.
E il cuore di Fabrizio saltò un battito rendendosi conto che Ermal provava esattamente ciò che provava lui e che, in quel momento, non c'era niente di più giusto da dire.
"Anche tu" rispose Fabrizio.
La voce di entrambi era ridotta a un sussurro, ma il bisogno di parlare era troppo per fermarsi.
"Non posso chiederti scusa per quello che è successo. Non posso nemmeno chiederti scusa per non averti fermato quando sei andato via, lo sai che io non rincorro le persone. Però posso dirti che questi mesi senza di te sono stati un inferno, che mi manchi e che ti amo. E posso dirti che voglio stare con te e che se per farlo dobbiamo parlare di noi almeno ai nostri amici e alle nostre famiglie, allora va bene."
Fabrizio scosse la testa e abbassò lo sguardo, cercando di nascondere gli occhi lucidi. Poi disse: "Non voglio che tu faccia qualcosa che non vuoi. Voglio solo stare con te, non mi interessa se mi devo nascondere per il resto della vita."
Ermal sorrise mentre percorreva il soggiorno velocemente, fino a trovarsi di fronte a Fabrizio. Gli prese il viso tra le mani costringendolo a guardarlo e disse: "Possiamo rimettere le cose a posto, allora?"
Fabrizio annuì, mentre appoggiava le mani su quelle di Ermal che ancora stringevano il suo viso.
Era strano sentire di nuovo il suo calore sulla sua pelle. Sembrava una sensazione nuova e allo stesso tempo era come tornare a casa dopo un lungo viaggio.
Di una cosa però era certo: era la sensazione migliore che avesse provato negli ultimi mesi.
L'amore è uno sport violento senza elmetto
danno la vittoria all'un per cento, novantanove volte è fallimento
Giochi perché vincere dà un senso al tuo passaggio
E quando perdi il premio è che diventi un po' più saggio
Non è una cosa da proteggere, è rischiare
Altrimenti è un vuoto che non puoi colmare
col successo e il rispetto, vestiti di lusso e collane
Prima di incontrare un principe sai quante rane che devi baciare?
Un minuto per lasciarsi, anni a cancellarne la memoria
È un gioco d'azzardo, è questo che ci salva dalla noia
Gli altri con il corpo in mostra e l'anima nascosta
Noi con l'anima che ci fa muovere le ossa
Dicono che tutto quello che sappiamo dell'amore
Non ci serve e sai perché
In fondo è tutto da scoprire
Non siamo i primi né gli ultimi
Io sorrido spesso mentre tu mi vedi un po' già grande
L'esperienza è niente se c'è ancora tutto da imparare
C'è ancora un sogno da sognare
Come fossero finiti a baciarsi e a levarsi i vestiti mentre si spostavano in camera da letto, restava un mistero.
Un attimo prima stavano parlando tranquillamente, si stavano dicendo che avrebbero rimesso a posto le cose, e un attimo dopo i vestiti giacevano a terra e le mani di entrambi esploravano il corpo dell'altro.
Forse semplicemente quello era il loro modo di rimettere a posto le cose, il loro modo di colmare quel vuoto che avevano sentito negli ultimi mesi.
Ci avevano impiegato meno di minuto a lasciarsi, a buttare via tutto, e poi avevano passato mesi a cercare di andare oltre prima di rendersi conto che non potevano andare oltre qualcosa di così grande, come ciò che ancora provavano l'uno per l'altro.
Non importava che entrambi avessero già avuto storie importanti in passato e che fossero riusciti a superarle.
Ciò che c'era tra loro non era paragonabile ed era da ingenui pensare che sarebbero riusciti a superare quella rottura.
Ermal si lasciò scappare un gemito quando la sua schiena si scontrò con il muro della camera da letto.
"Scusa" mormorò Fabrizio mentre si chinava a baciargli il collo.
Ermal inclinò la testa di lato, scoprendo maggiormente il collo, e strinse con forza i fianchi di Fabrizio appena lo sentì mordicchiargli leggermente il lobo dell'orecchio.
Si sentiva come se quella fosse la prima volta che Fabrizio lo toccava e lo baciava in quel modo, anche se in realtà avevano già fatto l'amore centinaia di volte prima di quel momento.
Eppure con Fabrizio era sempre così. Era sempre tutto nuovo, c'era sempre qualcosa da scoprire. Non importava quante volte si fossero trovati con i corpi premuti l'uno contro l'altro e i propri sospiri che invadevano la stanza.
E non importava se ormai entrambi erano due uomini adulti. Quando si trovavano insieme, era sempre come tornare ragazzini.
Ermal, in particolare, si sentiva sempre come un adolescente alle prime armi.
Non importava che avesse avuto relazioni - anche piuttosto importanti - in passato e che fosse ormai vicino ai quarant'anni.
Fabrizio gli faceva provare cose che non aveva mai sentito per nessuno, nemmeno per Silvia.
Infilò le mani sotto la sua maglietta, ansioso di sentire la pelle di Fabrizio sotto le sue dita dopo così tanti mesi di lontananza.
Lo sentì rabbrividire leggermente nonostante la temperatura nella stanza fosse alta, segno che anche Fabrizio non era affatto indifferente a quelle attenzioni.
"Mi sei mancato così tanto" si lasciò sfuggire Ermal, mentre tirava l'orlo della maglia di Fabrizio verso l'alto.
Fabrizio si lasciò spogliare, poi ritornò a dedicare le sue attenzioni al collo del più giovane e gli sussurrò all'orecchio: "Anche tu mi sei mancato tanto. Ogni giorno, ogni minuto."
"Mi hai pensato?" chiese Ermal trattenendo un gemito mentre sentiva le labbra di Fabrizio sfiorargli la pelle.
L'altro si allontanò leggermente e lo guardò negli occhi.
Sapeva cosa si nascondeva davvero dietro quella domanda. Ormai conosceva Ermal troppo bene ed era certo che ciò che intendesse davvero non era se l'aveva pensato in generale, ma se l'aveva pensato in momenti ben specifici.
"Ti ho appena detto che mi sei mancato. Mi sembra ovvio che mi è capitato di pensarti" disse Fabrizio sorridendo, senza rispondere davvero alla domanda di Ermal.
"Sai che voglio dire" disse Ermal chiudendo gli occhi e godendosi la sensazione delle dita di Fabrizio che gli sbottonavano lentamente la camicia.
"No, non lo so. Spiegamelo" rispose Fabrizio sfilandogli del tutto la camicia e lasciandola cadere a terra, dove già giaceva la sua maglia.
Ermal sospirò tenendo gli occhi chiusi, nascondendosi dietro un velo di imbarazzo che in realtà non aveva mai sentito nei confronti di Fabrizio, ma che ora - dopo mesi di lontananza - gli era impossibile non provare. Poi disse: "Mi hai pensato mentre ti toccavi?"
Non sapeva nemmeno per quale motivo glielo avesse chiesto.
Forse perché lui, nonostante tutto, lo aveva fatto. Lo aveva pensato ogni volta in cui si era svegliato con un'erezione da soddisfare, ogni volta che si era ritrovato sotto la doccia a pensare a quante volte avevano fatto l'amore premuti contro la parete. E forse sentiva il bisogno di sapere che lo aveva fatto anche lui, che non era l'unico che nonostante la distanza aveva sempre avuto la mente e il cuore fermi sull'immagine di loro due insieme.
Fabrizio fece scorrere le dita lungo il corpo di Ermal, soffermandosi per qualche attimo sui capezzoli e poi scorrendo sempre più in basso, fino a fermarsi sul bordo dei pantaloni.
Con una lentezza estenuante fece uscire il bottone dall'asola e poi abbassò la cerniera, mentre sentiva il respiro di Ermal farsi più veloce.
Lasciò che una mano si intrufolasse dentro i pantaloni ormai slacciati e iniziò a toccarlo sopra i boxer.
Solo a quel punto - quando Ermal ormai sembrava si fosse dimenticato della domanda appena posta e si stesse abbandonando completamente alle sue attenzioni - Fabrizio rispose: "Certo che ti ho pensato."
Ermal gemette, anche se a Fabrizio non fu del tutto chiaro se la causa fosse la sua mano sulla sua erezione oppure il fatto di aver appena ammesso di essersi masturbato pensando a lui.
"Cos'hai pensato?" disse Ermal cercando di trattenere i gemiti.
Fabrizio continuò a toccare lentamente la sua erezione attraverso il tessuto dei boxer, mentre riprendeva a baciare il collo di Ermal.
"Perché vuoi saperlo?" chiese in un sussurro, mentre faceva in modo che la sua mano oltrepassasse la stoffa e iniziasse a toccare direttamente l'erezione del compagno.
Ermal trattenne il respiro per un attimo, sentendo finalmente le dita di Fabrizio a contatto con la sua pelle bollente. Avrebbe voluto rispondere che lo eccitava sapere a cosa avesse pensato Fabrizio quando era solo, ma le parole gli morirono in gola.
"Ora sei qui con me. Non sarebbe meglio se te lo facessi vedere, piuttosto che dirtelo?" disse ancora Fabrizio.
Ermal annuì con un cenno della testa, ormai a corto di fiato.
Senza aggiungere altro, Fabrizio spogliò completamente Ermal, poi si sfilò velocemente i jeans e i boxer con un unico movimento restando nudo di fronte al compagno.
Ermal si prese qualche secondo per far scivolare lo sguardo lungo il corpo di Fabrizio, esaminandolo con cura e senza vergogna, cercando nuove macchie di inchiostro o segni di quel tempo che avevano trascorso separati. Ma Fabrizio era sempre lo stesso, non era cambiato niente.
E non era cambiato nemmeno l'effetto che aveva su di lui, quella capacità di accenderlo e di farlo bruciare lentamente, di consumarlo e allo stesso tempo di alimentarlo.
"Ermal..."
Il più giovane sollevò lo sguardo sul viso di Fabrizio. "Che c'è?"
Fabrizio non rispose mai si avventò nuovamente sulle sue labbra, tenendogli il viso tra le mani e premendo il corpo contro il suo.
Ermal gemette nella sua bocca sentendo l'erezione di Fabrizio sfiorargli la coscia e un brivido carico di aspettativa gli percorse la spina dorsale.
Gli era mancato tanto, troppo. Aveva bisogno di sentirlo dentro di lui, addosso a lui, ti toccare la sua pelle e di sentirsi toccare a sua volta.
Fece scivolare una mano tra i loro corpi e iniziò a farla scorrere lentamente sull'erezione di Fabrizio, sorridendo appena quando lo sentì interrompere il bacio e gemere sulle sue labbra.
"È molto meglio quando lo fai tu" sussurrò Fabrizio mentre cercava di indietreggiare verso il letto, cosa non semplice visto che l'unica cosa a cui riusciva a pensare era la mano di Ermal che lo stava masturbando lentamente.
Quando si ritrovarono sdraiati sul letto - Fabrizio con la schiena premuta sul materasso ed Ermal sopra di lui - entrambi si domandarono per un attimo come avessero fatto a sopravvivere per così tanto tempo separati, senza sentire quel calore. Non solo il calore del corpo dell'altro, ma anche e soprattutto quella sensazione di trovarsi nel posto giusto, al momento giusto e con la persona giusta.
Le mani di Fabrizio scivolarono lentamente lungo la schiena di Ermal, sfiorandolo quasi come se avesse paura che potesse sparire da un momento all'altro, fino a fermarsi sulle natiche e stringerle leggermente.
Ermal, con il volto affondato nell'incavo del collo di Fabrizio, ansimò sulla sua pelle appena sentì le dita del compagno farsi strada verso la sua apertura e stuzzicarla lentamente.
"Dopo tutto questo tempo, mi aspettavo più resistenza" scherzò Fabrizio, mentre faceva scivolare facilmente un dito nell'apertura del più giovane.
"In mancanza del mio fidanzato, ho dovuto fare da solo" mormorò Ermal, con gli occhi chiusi e le labbra leggermente aperte, mentre si godeva quelle piccole attenzioni.
"E mi hai pensato?" chiese Fabrizio, ponendogli la stessa domanda che proprio Ermal gli aveva fatto poco prima.
"Sempre."
Fabrizio gemette all'idea di Ermal che si dava piacere pensando a lui, mentre accelerava i movimenti delle sue dita per cercare di prepararlo più in fretta, desideroso di andare oltre.
Sentiva il bisogno impellente di amarlo completamente, di recuperare tutto il tempo che avevano perso in quei mesi.
Ermal doveva pensarla allo stesso modo, perché un attimo dopo disse: "Bizio, basta, ti prego."
Fabrizio si lasciò sfuggire un sorriso notando l'impazienza del compagno ma non disse nulla, lasciando che Ermal scivolasse via dalla sua presa solo per tracciare con le labbra il contorno dei suoi tatuaggi, riprendendo un'abitudine che entrambi avevano sempre amato.
Ermal l'aveva fatto fin dalla loro prima volta, quando alcuni di quei tatuaggi erano ancora un mistero per lui. Li aveva esaminati uno a uno, tracciandone il contorno con le dita e con la lingua, imprimendo nella memoria ogni macchia di inchiostro. E da lì, lo aveva sempre fatto.
Quando Ermal terminò il suo percorso, Fabrizio invertì le posizioni facendogli posare la schiena sul materasso e posizionandosi tra le sue gambe.
Lo guardò per un attimo, vedendolo incredibilmente bello mentre se ne stava sotto di lui, con i ricci sparsi sul cuscino e gli occhi lucidi di eccitazione. E poi, con gli occhi persi nei suoi, si spinse lentamente dentro di lui.
Ermal sospirò, reclinando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi, mentre sentiva Fabrizio spingersi sempre più a fondo.
Un gemito gli sfuggì dalle labbra quando con una spinta mirata gli colpì la prostata e, nonostante fosse tentato, dovette trattenersi dal chiedergli di muoversi più velocemente. Voleva che quell'amplesso - il primo dopo tutti quei mesi - durasse il più possibile e non poteva permettere che giungesse al termine solo per la sua voglia di provare ancora quel piacere.
Fabrizio, quasi leggendogli nella mente e cercando di contrastare i suoi pensieri, iniziò a muoversi più velocemente, portando una mano tra di loro e iniziando a toccare l'erezione di Ermal.
"Lo vedo quando cerchi di trattenerti" disse Fabrizio, senza rallentare il ritmo nemmeno per un attimo.
Ermal non rispose, ma si morse il labbro inferiore per trattenere un gemito.
"Non devi preoccuparti, abbiamo tempo per un altro round. Lasciati andare" sussurrò Fabrizio all'orecchio di Ermal.
E a quel punto Ermal, quasi fosse vittima di un incantesimo che lo costringeva a fare ciò che ordinava Fabrizio, iniziò ad andare incontro alle sue spinte fino a venire poco dopo nella mano di Fabrizio.
Dopo un paio di spinte, anche il più grande raggiunse l'orgasmo lasciandosi poi cadere accanto a Ermal un attimo dopo.
E non serve scomodare Dio ed ammazzarsi per i sogni di gloria
Da quando lei sa bene chi sono io
non mi importa se la gente lo scorda, no
Dicono che non ti devi proprio mai fidare
Ma chi lo dice non sa che c'è ancora spazio nel suo cuore
Non siamo i primi né gli ultimi
Mentre io mi chiedo ancora cosa poi farò da grande
Tu sorridi e dici che c'è ancora tempo per pensare
Un'altra volta da rischiare
E non serve scomodare Dio ed ammazzarsi per i sogni di gloria
Da quando lei sa bene chi sono io non importa.
Il sorriso di Fabrizio faceva rumore, di questo Ermal se n'era accorto subito.
Quando Fabrizio sorrideva, era impossibile non notarlo. Era come un temporale con il sole: illuminava tutto e allo stesso tempo faceva un gran casino, attirava l'attenzione.
Per questo appena Fabrizio sorrise, Ermal se ne accorse e si voltò verso di lui.
"Che c'è?" chiese curioso.
Fabrizio si sporse verso il fondo del letto e afferrò una coperta, buttandola malamente sui corpi nudi di entrambi, poi disse: "Pensavo che quando sei con me, non me ne frega niente di tutto il resto. Mi interessa solo cosa pensi tu."
Ermal sorrise a sua volta. "E pensare che quando ci siamo conosciuti eravamo così diffidenti. Come cambiano le cose."
"Cambiano tanto e in fretta. Tra noi talmente tanto che quasi non ce ne siamo accorti" disse Fabrizio.
"Chissà quanto cambieranno ancora" rispose Ermal, leggermente intimorito da cosa avrebbe potuto riservargli il futuro.
Il loro rapporto era crollato qualche mese prima. Nessuno poteva garantire che non sarebbe successo di nuovo.
Fabrizio lo attirò a sé avvolgendolo in un abbraccio. "Non ci pensare."
Rimasero in silenzio per un po', ad ascoltare i loro respiri sincronizzarsi.
Poi Ermal disse: "Ho riflettuto in questo periodo. Avevi ragione, non possiamo continuare a nasconderci."
"Ermal, c'è tempo per pensare. Nessuno ti corre dietro, ne parliamo domani" replicò Fabrizio, troppo spaventato dall'idea che avrebbero discusso ancora.
"No, ascoltami. Voglio che lo diciamo ai nostri amici e alle nostre famiglie, se tu sei ancora d'accordo."
Fabrizio lo guardò con la fronte aggrottata. "Sicuro?"
"Prima hai detto che quando sei con me, non ti interessa di nient'altro. Per me è lo stesso. Ci sei solo tu e non mi importa niente di cosa pensano le altre persone. E credo che ci siano relazioni per cui vale la pena prendersi qualche rischio" disse Ermal.
"La nostra è una di quelle relazioni?"
"La nostra è un rischio enorme. Ma un bel rischio" disse Ermal sorridendo.
Fabrizio lo strinse a sé e poi, citando una canzone del più giovane, disse: "Un'altra volta da rischiare."
Ermal sorrise. Quella era senza dubbio un'altra volta da rischiare, ma il rischio non era mai stato tanto bello.
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Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così, l' estate finiva più "nature" vent' anni fa o giù di lì... Con l' incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci, in tasca "l'Unità", la paghi tutta, e a prezzi d' inflazione, quella che chiaman la maturità... Ma tu non sei cambiata di molto anche se adesso è al vento quello che io per vederlo ci ho impiegato tanto filosofando pure sui perchè, ma tu non sei cambiata di tanto e se cos' è un orgasmo ora lo sai potrai capire i miei vent' anni allora, i quasi cento adesso capirai... Portavo allora un eskimo innocente dettato solo dalla povertà, non era la rivolta permanente: diciamo che non c' era e tanto fa. Portavo una coscienza immacolata che tu tendevi a uccidere, però inutilmente ti ci sei provata con foto di famiglia o paletò... E quanto son cambiato da allora e l'eskimo che conoscevi tu lo porta addosso mio fratello ancora e tu lo porteresti e non puoi più, bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà: tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent' anni fa! Ricordi fui con te a Santa Lucia, al portico dei Servi per Natale, credevo che Bologna fosse mia: ballammo insieme all' anno o a Carnevale. Lasciammo allora tutti e due un qualcuno che non ne fece un dramma o non lo so, ma con i miei maglioni ero a disagio e mi pesava quel tuo paletò... Ma avevo la rivolta fra le dita, dei soldi in tasca niente e tu lo sai e mi pagavi il cinema stupita e non ti era toccato farlo mai! Perchè mi amavi non l' ho mai capito così diverso da quei tuoi cliché, perchè fra i tanti, bella, che hai colpito ti sei gettata addosso proprio a me... Infatti i fiori della prima volta non c' erano già più nel sessantotto, scoppiava finalmente la rivolta oppure in qualche modo mi ero rotto, tu li aspettavi ancora, ma io già urlavo che Dio era morto, a monte, ma però contro il sistema anch' io mi ribellavo cioè, sognando Dylan e i provos... E Gianni, ritornato da Londra, a lungo ci parlò dell' LSD, tenne una quasi conferenza colta sul suo viaggio di nozze stile freak e noi non l' avevamo mai fatto e noi che non l' avremmo fatto mai, quell' erba ci cresceva tutt' attorno, per noi crescevan solo i nostri guai... Forse ci consolava far l' amore, ma precari in quel senso si era già un buco da un amico, un letto a ore su cui passava tutta la città. L'amore fatto alla "boia d' un Giuda" e al freddo in quella stanza di altri e spoglia: vederti o non vederti tutta nuda era un fatto di clima e non di voglia! E adesso che potremmo anche farlo e adesso che problemi non ne ho, che nostalgia per quelli contro un muro o dentro a un cine o là dove si può... E adesso che sappiam quasi tutto e adesso che problemi non ne hai, per nostalgia, lo rifaremmo in piedi scordando la moquette stile e l'Hi-Fi... Diciamolo per dire, ma davvero si ride per non piangere perché se penso a quella che eri, a quel che ero, che compassione che ho per me e per te. Eppure a volte non mi spiacerebbe essere quelli di quei tempi là, sarà per aver quindici anni in meno o avere tutto per possibilità... Perch a vent' anni è tutto ancora intero, perch a vent' anni è tutto chi lo sa, a vent'anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell' età, oppure allora si era solo noi non c' entra o meno quella gioventù: di discussioni, caroselli, eroi quel ch'è rimasto dimmelo un po' tu... E questa domenica in Settembre se ne sta lentamente per finire come le tante via, distrattamente, a cercare di fare o di capire. Forse lo stan pensando anche gli amici, gli andati, i rassegnati, i soddisfatti, giocando a dire che si era più felici, pensando a chi s' è perso o no a quei party... Ed io che ho sempre un eskimo addosso uguale a quello che ricorderai, io, come sempre, faccio quel che posso, domani poi ci penserò se mai ed io ti canterò questa canzone uguale a tante che già ti cantai: ignorala come hai ignorato le altre e poi saran le ultime oramai.
https://youtu.be/_YDKxJcgPEE testo integrale, perché non so scegliere una strofa senza escludere il resto
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Wednesday, January 23, 2019
Otto stati di ogni colore politico contro l'airgun in Atlantico e contro Trump
Neanche questa storia la leggerete mai sul Corriere della Sera,
perche' e' una storia di coraggio e di coerenza che prescinde dal colore politico e non rientra nell'equilibrismo della stampa nostrana.
Donald Trump ha deciso che vuole trivelle, carbone ad ogni costo, e il ritorno essenzialmente a quegli anni 60 che non torneranno piu'. Vuole iniziare con le trivelle in Oceano Atlantico, e con l'airgun, l'anticamera delle trivelle.
Ed ecco allora che tutti gli stati, democratici e repubblicani, lungo la riviera atlantica decidono di ribellarsi. Ben 92 rappresentanti del congresso USA, la quasi totalita' dei rappresentanti delle loro comunita', si sono dichiarati
contrari all'airgun in Atlantico.
Otto stati hanno fatto causa comune contro l'amministrazione del presidente arancione.
Non hanno guardato al colore dei loro partiti, e hanno levato la loro voce unanimi, perche' tutti sanno che e' folle trivellare, fare airgun e distruggere ancora di piu' il nostro pianeta e le loro economie costiere.
L'ultimo della serie e' stato il New Jersey che si aggiunge a Maryland, Connecticut, Delaware, Maine, Massachusetts, New York, North Carolina e Virginia. Assieme contendono in una causa comune che l'amministrazione arancione ha violato il cosiddetto Marine Mammal Protection Act, Endangered Species Act e il National Environmental Policy Act, perche' l'airgun causa danni alla vita animale marina, con il rumore assordante, la confusione, le lesioni ai loro corpi con valori di decibel anche solo superiori a 160.
Mica come i nostri governanti, presenti e passati che parlano di crociere sismiche e che danno permessi dicendo che "non si sa" quali siano i danni dell'airgun. Si sa eccome, basta solo volerlo sapere.
Notare bene che New York e' ultra liberale, e la Virginia ultra conservatrice.
Il furore e' arrivato quando, in Novembre 2018, il National Marine Fisheries Service ha autorizzato cinque compagnie per fare airgun in Atlantico, dal Delaware alla Florida. Fra le prescrizioni-finzione, il comando di fermarsi se una delle specie protette si trova vicino alle navi dell'airgun.
Sono trent'anni che non ci sono ispezioni sismiche in Atlantico.
Trent'anni in cui nessuno ha seriamente pensato di trivellare l'oceano, e trent'anni in cui si sono sviluppate piccole e grandi realta' turistiche, di pesca, di bellezza che il petrolio non fara' altro che rovinare.
E infatti non si puo' dire lo stesso della costa Texana!
E adesso Trump si risveglia e dice che dobbiamo trivellare.
Intanto gli arriva un altro piccolo grande schiaffo:
lui che non ne vuole sentire di cambiamenti climatici e che vuole trivelle-carbone-morte, ha trovato un avversario formidabile, un giudice di una corte federale in South Carolina ha vietato all'amministrazione Trump di procedere con le ispezioni sismiche al largo dell coste dell'Atlantico.
Come forse in molti hanno letto sulla stampa italiana, il nostro governo e' chiuso, almeno parzialmente, perche' Trump vuole il muro e i democratici no. E quindi la soluzione e' stata di fermare tutte le attivita' non considerate essenziali finche' non risolve questa situazione.
Fra le decisioni da fermare, quella sulle trivelle e sull'airgun perche dare permessi non e' considerato vitale.
Ma i petrol-amici volevano far si che i permessi venissero firmati in quattro e quattr'otto anche con il governo chiuso. Il giudice federale Richard Gergel ha pero' detto no: il dipartmento dell'interno non ha il potere di dare permessi trivellanti o di ispezioni sismiche in Atlantico in questo periodo di governo chiuso.
Tutto questo e' successo ancora grazie all'intervento dell' Attorney General del South Carolina, stato repubblicano. Lui si chiama Alan Wilson e si e'opposto ai cinque trivellatori.
Invece i permessi trivellanti continuano nel golfo del Messico, gia' ampiamente trivellati e dove i petrolieri hanno la politica in tasca, e da tanto. Continuano anche le discussioni per bucare l'Arctic National Wildlife Refuge in Alaska, sotto tante critiche.
Un altro politico locale intanto, del South Carolina propone 10 di moratoria sul tema.
Giusto in tempo per liberarsi diDonald Trump.
Questo occorre ricordare: che gli USA non fanno airgun lungo le coste Atlantiche da 30 anni.
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Caro diario...
Da quando sono piccola ho sempre sognato molto l’amore, sono sempre stata affascinata dalle commedie romantiche, fiabe Disney e ho desiderato il lieto fine più di qualunque altra cosa.
Sognavo con ogni parte del mio corpo l’arrivo di questo principe che avrebbe sistemato ogni mio coccio, mi avrebbe presa fra le sue braccia e mi avrebbe protetta e amata per tutta la vita. Avevo creato una cartellina con dentro disegni del mio abito da sposa e tutti i dettagli per la cerimonia: vestito della sposo, i brani, il coro gospel, gli arredamenti, i vestiti delle damigelle e il mio secondo abito, ogni cosa era spiegata e disegnata nel dettaglio. Dopo il matrimonio avrei avuto tre figli, due maschietti e una femminuccia e avrei vissuto la favola più bella mai raccontata.
Fin qui niente di strano, tutti sognano! Il problema? L’ho sognato e me lo sono augurata talmente tanto che ho confuso più volte il niente con l’amore, non riuscivo a vedere le persone per quello che erano davvero.
Tra le diverse frequentazioni ho avuto solo due storie importanti, non belle, ma importanti perché mi hanno in qualche modo segnata a fatta crescere.
La prima risale all’agosto del 2014, io avevo 13 anni e lui (lo chiameremo Vasco) ne aveva 16. Ci conosciamo sui social, parliamo per qualche settimana e senza mai vederci decidiamo di fidanzarci. Per me Vasco è una bella distrazione, non mi fa pensare alla mia situazione familiare, alla scuola e mi fa sentire meno sola. Lui non è meno problematico in quanto non frequenta brava gente, ha lasciato la scuola dal periodo delle medie e non lavora, ha problemi a controllare la rabbia, partecipa a risse e ha denunce, ha problemi con alcol ai quali si aggiungerà dopo anche la droga e per concludere in bellezza ha la classica mentalità tossica secondo la quale la ragazza deve dipendere dal ragazzo, deve essere protetta dal ragazzo e quindi era gelosissimo e molto presente.
Era quel periodo in cui questo tipo di ragazzo piaceva moltissimo, a me per prima piaceva, credevo di aver bisogno di essere protetta da qualcuno e credevo soprattutto di poter cambiare alcune abitudini o lati del suo carattere. Spoiler... ero una povera illusa. Nonostante tutto questo per un breve periodo la relazione va molto bene, ci scambiamo messaggi d’amore, telefonate d’amore, dico il mio primo “ti amo” e penso di aver trovato l’amore della mia vita finché non iniziano i primi litigi, scopro alcuni messaggi con altre ragazze e inizia un lunghissimo tira e molla. Ogni volta che tornava mollavo tutto senza pensarci, mi bastava un suo messaggio e scaricavo tutto e tutti, ne ero diventata dipendente. Era la prima persona che mi faceva sentire amata, quando torniamo insieme mi sento forte e sicura di me e quando ci lasciavamo perdevo sia lui che questo lato di me e sprofondavo in un senso di vuoto, solitudine e tristezza. Tutto questo continua fino al 2016, anno in cui conosco la seconda storia importante che chiameremo Fabio.
Fabio è una persona completamente diversa, a questo punto io ho quasi 15 anni e lui ne ha quasi 17, è un ragazzo molto intelligente e acculturato, frequenta una buona scuola e dei buoni amici, di buona famiglia, molto educato, dolce e attento, è simpatico e sembra un bravissimo ragazzo. Come nel caso di Vasco mi scrive su Facebook e iniziamo a parlare, scatta subito qualcosa. È una boccata di aria fresca, aria nuova e bella, penso di aver trovato quello giusto, Fabio mi tratta benissimo, insieme stiamo molto bene ridiamo e scherziamo e decidiamo di metterci insieme. Questa volta però il fuoco si spegne velocemente, non perdeva mai occasione di farmi sentire ignorante, farmi sentire insignificante, piccola piccola come mi ero sentita per tutta la mia vita. Le discussioni continuano ad aumentare e arriviamo ad una sera di febbraio in cui capisco dopo una litigata furiosa di voler mettere fine a questa relazione, io mi trovo in città con le mie amiche e decido di non rispondere più ai messaggi e di scrivergli il giorno seguente di vederci per parlare.
Quella sera incontro Vasco che non vedevo e sentivo da più di un mese, da quando avevo conosciuto Fabio, e sono molto contenta di incontrarlo, anzi, forse un pò ci speravo. Ci mettiamo a parlare, scopro che anche lui si è fidanzato da poco, che anche tra loro non sta andando, gli racconto di Fabio, della mia famiglia e ci baciamo. Io mi convinco a parlare con Fabio prima possibile, lui decide di lasciare la sua ragazza e ci promettiamo di risentirci e vederci una volta concluse le nostre relazioni.
Una volta tornata a casa e aperto whatsapp mi trovo un messaggio dolcissimo di Fabio, nel quale si scusa per i suoi modi, nel quale mi ribadisce più volte che mi ama, quanto con me stia bene, ma ho preso una decisione e per il bene che gli voglio so che non possiamo stare davvero bene in una relazione così. Nonostante questo quella notte non riesco a dormire dal senso di colpa, mi sento una persona orribile soprattuto perché lui era sempre stato molto buono con me e questa sensazione continua ad aumentare finché non decido di dare alla nostra storia una seconda possibilità, infondo stavamo insieme da nemmeno un mese, ancora non ci conoscevamo benissimo quindi ci avrei riprovato e poi gli avrei detto di Vasco.
Il giorno dopo quindi gli rispondo scusandomi a mia volta per quello che avevo detto e per come lo avevo detto, parliamo un pò e ci chiariamo. Poco dopo mi scrive anche Vaco dicendo che gli ero mancata, che non vedeva l’ora di tornare con me, che mi amava e una volta preso coraggio gli dico che avevo deciso di dare alla mia storia con Fabio una seconda chance e che quindi non lo avrei lasciato e non saremmo tornati insieme. Di tutta risposta Vasco scrive a Fabio e gli racconta tutto ciò che gli avevo detto e ciò che era successo la sera prima.
A questo punto Fabio cambia totalmente, non vuole ascoltarmi, mi riempie di insulti, da il mio numero a dei suoi amici e alle fidanzate dei suoi amici che a loro volta mi riempiono di insulti e io completamente annebbiata dal senso di colpa mi riduco uno straccio e gli scrivo di continuo per scusami, gli chiedo di vederci per spiegargli... finché un giorno mi dice che mi avrebbe perdonata se io avessi fatto qualcosa per lui. Io accetto senza pensarci due volte, mi sentivo una persona orribile e in quel momento avrei fatto qualsiasi cosa, anche quello che mi proponeva nonostante per me fosse la prima volta.
Una volta organizzati ci troviamoo a casa sua e li con lui ho il mio primo rapporto, prima di quel momento oltre il bacio non era mai successo nulla, ne con lui e ne con altri. Avevamo parlato, prima di questa situazione, dell’eventualità e io gli avevo detto di non essere ancora pronta. Nonostante questo sentivo fosse un modo per fargli capire che ci tenevo molto a lui e dopo questo magari mi avrebbe perdonata davvero.
Poco dopo questo primo rapporto lui mi racconterà che in realtà aveva organizzato con i suoi amici questa vendetta che consisteva nel farmi credere che mi avrebbe perdonata se io avessi consumato con lui e invece una volta concluso l’atto mi avrebbe lasciata nella maniera più bruta e cruda esistente sulla terra, insultata e mandata a cagare così da farmi capire quanto io avessi sbagliato. Nonostante questo io lo giustificherò e continuerò a sentirmi in colpa per tutto, lui non riuscirà mai a perdonarmi e io non riuscirò mai ad amarlo davvero. Non torneremo mai insieme, ma continuerò a vederlo ogni volta che me lo chiederà per più di un anno, chiuderò definitivamente i rapporti quando capirò di provare un sentimento per il mio migliore amico e ci fidanzeremo.
In tutto questo della vera storia d’amore, della vera storia importante ne parlo solo nell’ultima riga di cento. Una storia meravigliosa a cui devo tutta la mia rinascita, storia che va avanti da più di quattro anni e che mi ha regalato i più bei momenti della mia vita, che mi ha fatto capire cos’è davvero l’amore.
Oggi mi guardo indietro e mi chiedo solo perché, perché mi sono fatta trattare così, perché mi sono fatta manipolare, perché ho lasciato che queste persone si approfittassero di me, delle mie debolezze. Perché non ho chiesto aiuto prima, perché ho lasciato a queste persona il controllo della mia vita, perché non sono stata forte. Una cosa però è certa... da questa storia, da questa vita ho avuto tanto da imparare.
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Il Mio Fratellino - La Rivelazione
In attesa dell’epilogo, ecco tutta la storia di Simone e del suo disinibito fratellino :P
Capitolo I
Dire che ero sconvolto sarebbe stato un eufemismo. Mi ritrovai nella stanza del mio fratellino a bocca aperta, intento a fissare lo schermo del suo computer.
Il mio nome è Simone, ho ventidue anni, un metro e novanta per ottantacinque chili di solida muscolatura e una costante ombra di barba scura che tengo rasata.
D’altra parte Marco, il mio fratellino, ha compiuto quattordici anni alcuni mesi fa, un metro e settantacinque per sessanta chili. Ha un bel corpo per la sua età, pratica il nuoto ed è completamente glabro. Ha la pelle chiara, e le labbra rosa perennemente imbronciate.
Lui è il mio esatto opposto, sia fisicamente che dal lato della personalità, l’unica cosa che abbiamo in comune sono gli occhi verdi ereditati da nostra madre, che è morta poco dopo la sua nascita.
Quando anche nostro padre morì, due anni fa, divenni il tutore legale di mio fratello. Siamo sempre stati legati, ma la morte di nostro padre ci aveva avvicinati ulteriormente, adesso eravamo rimasti davvero solo noi.
Grazie alla casa e alla cospicua somma di denaro che ci avevano lasciato i nostri genitori, tecnicamente avrei potuto non lavorare per vivere ma non ero stato educato in quel modo. Avevo conseguito una laurea in fisioterapia e dopo la specializzazione il mio obbiettivo era aprire uno studio privato. Marco invece frequentava ancora il primo anno di liceo.
Dopo due settimane molto impegnative, avevo finalmente alcuni giorni liberi. Normalmente mi sarei rilassato, ma vedendo il disordine della casa decisi che fosse arrivato il momento di dare una sistemata. Marco avrebbe dovuto fare qualche faccenda ma a quanto pareva si era lasciato andare, così mi appuntai di fargli un discorsetto sulle responsabilità una volta rientrato a casa da scuola.
Una volta terminato di fare pulizia, iniziai subito con il bucato. Marco da un po’ si occupava da solo della sua lavanderia, ma quel giorno ero di buon umore così decisi di aiutarlo. Come previsto, la sua stanza era un disastro, c’erano vestiti, scarpe, libri e biancheria sporca sparsi ovunque e il bidone della spazzatura sotto la scrivania era ricolmo di fazzolettini di carta. Sorrisi fra me e scossi la testa, forse eravamo più simili di quanto pensassi. Anche io mi masturbavo quasi ogni giorno, anche se facevo sesso regolarmente.
Guardandomi intorno, mi rimboccai le manche. - Sei morto, piccola peste, - pensai divertito aprendo la finestra.
Ripulendo la scrivania, sfiorai il mouse e il PC di Marco si accese. Sullo schermo comparvero immagini di cazzi, grossi cazzi – cazzi circoncisi, cazzi neri e cazzi pelosi. Di ogni genere. Rimasi a bocca aperta. Anche papà aveva sospettato che Marco potesse essere gay, ma non gli aveva mai chiesto nulla. Diceva sempre che ce ne avrebbe parlato da solo se e quando avesse voluto farlo e che poi non sarebbe cambiato nulla tra noi, e anche io la pensavo allo stesso modo.
Però ero comunque arrabbiato e confuso, così d’istinto iniziai a frugare nel suo computer per essere sicuro del punto fino cui si era spinto. Aprii i messaggi e mi ritrovai il cuore in gola quando apparvero le sue ultime discussioni.
I messaggi erano tutti di ragazzi più grandi che scrivevano a mio fratello un sacco di porcate e altre cose inappropriate. Quegli uomini non sapevano che aveva solo quattordici anni? E non c’erano solo testi ma anche immagini, per la maggior parte dei loro cazzi mentre Marco inviava loro scatti fatti con il cellulare del suo culo e primi piani del suo buchetto rosa e senza peli.
Mano a mano che scorrevo le discussioni ero sempre più arrabbiato, ma sorprendentemente ero anche duro come una roccia e avevo iniziato ad accarezzarmi distrattamente da sopra i pantaloni. Io mi considero etero, ammetto che qualche volta all’università mi ero fatto trasportare e avevo lasciato che una o due matricole me lo succhiassero quando non uscivo con una ragazza, ma ero sicuramente etero. Eppure qualcosa in quei messaggi mi eccitava e mi ci volle tutta la forza che avevo per impedirmi di sborrare senza nemmeno toccarmi mentre fissavo l’immagine di quel buchetto vergine.
Non riuscivo a credere a quello che leggevo, se qualcuno mi avesse detto che il mio fratellino faceva sesso gli avrei riso in faccia. Tuttavia avevo davanti i messaggi che aveva scambiato con altri ragazzi, anche molto più grandi, ed era tutto molto chiaro.
Stavo per chiudere l’applicazione, pensando a come affrontare l’argomento con Marco quando arrivò un messaggio di qualcuno di nome Alessio.
#Non vedo l’ora di scoparti di nuovo la gola e poi farti finalmente il culo questa sera! Non fare tardi o mia moglie romperà le palle.
Ero pietrificato, non sapevo che fare, ed ero davvero incazzato. Non solo un uomo sposato voleva farselo succhiare dal mio fratellino ma probabilmente lo avevano già fatto, chissà quante volte. Stavo ribollendo di rabbia. Feci scorrere verso l’alto la discussione, volevo assolutamente scoprire chi fosse questo Alessio, per rompergli il culo. A metà della discussione mi trovai davanti la foto di mio fratello con un grosso cazzo poggiato sulla lingua, e nei messaggi lo chiamava padrone. Il primo messaggio era datato appena due settimane prima:
#Sono Alessio_C3, di Grindr. Vedrai, stasera ti insegnerò come succhiare il cazzo.
Ormai ringhiavo per la rabbia. Non ero sicuro di cosa fare. Mio fratello, il mio innocente fratellino, cercava sesso su Grindr. E non con altri ragazzi della sua età, ma con uomini, la maggior parte dei suoi contatti aveva più di trent’anni. Non riuscivo a crederci, io non volevo crederci, ma le prove erano davanti ai miei occhi. Così anziché chiudere tutto andai avanti a leggere le altre discussioni, non avrei dovuto ma volevo sapere se era tutto vero. Forse questo Alessio scherzava e Marco era molto bravo con i computer e Photoshop. Mano a mano che andavo avanti però i miei peggiori incubi si avverarono, messaggio dopo messaggio. In ogni discussione era allegata una foto del mio fratellino con un cazzo in bocca e gli uomini erano tutti più grandi di lui e persino di me, alcuni avrebbero potuto essere nostro padre. Guardai le date e i giorni coincidevano con quando rientravo tardi dall’università o uscivo con i miei amici.
Poi arrivò un’altra notifica e allora spinsi indietro la sedia, chiusi l’applicazione e mi alzai lasciando il computer come lo avevo trovato. La troietta aveva appena risposto al messaggio di Alessio dal suo cellulare a scuola:
#Non vedo l’ora padrone, è tutto il giorno che sono troppo eccitato!
Ero in confusione, camminavo avanti e indietro nella sua stanza. Non mio fratello, il mio fratellino! Non ci potevo credere. Sollevai il telefono per chiamare la polizia ma riagganciai prima ancora di comporre il numero. Se i servizi sociali fossero venuti a conoscenza della cosa me lo avrebbero sicuramente portato via. Dunque tutto questo era colpa mia? Gli assistenti sociali sarebbero arrivati alla conclusione che non ero in grado di badare a lui e lo avrebbero portato in qualche casa famiglia o qualcosa del genere. Non potevo permettere che accadesse. Era comunque mio fratello e lo amavo più di qualsiasi cosa al mondo e nostro padre si sarebbe rivoltato nella tomba se i suoi figli fossero stati separati in quel modo.
«Ucciderò il frocetto con le mie mani appena lo vedo!» Dissi fra me con rabbia, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Andai in cucina e afferrai una bottiglia di brandy, versandomi da bere. Avevo bisogno di calmarmi prima di fare qualcosa di cui mi sarei pentito. Non riuscivo nemmeno a mettere in ordine tutte quelle informazioni nuove nella mia testa. Qualche ora fa, Marco era il mio fratellino che aveva preso dieci nell’ultima prova di latino e adesso era un succhiacazzo che stava per perdere la verginità con un uomo che avrebbe potuto essere suo padre. Ero troppo imbarazzato anche per chiamare il mio migliore amico e chiedergli un consiglio, come facevo di solito quando avevo un problema.
Feci sbattere il bicchiere vuoto sul tavolo e lo riempii velocemente. Poi mi resi conto di avere ancora una potente erezione che tendeva la stoffa nella parte anteriore dei pantaloncini. Sistemai automaticamente il cazzo di traverso, in una posizione più comoda. E in quel momento decisi che quella sera avrei seguito mio fratello, e se si fosse davvero spinto troppo in là lo avrei fermato. Sul momento sembrava una scelta logica, o forse erano solo l’adrenalina e l’alcol a farmi ammettere inconsciamente che una parte di me voleva vederlo fare quelle cose e voleva anche quel suo bel culo liscio e morbido e pallido.
Fui costretto a scuotere la testa per liberarmi di quei pensieri, ma l’erezione fra le mie gambe continuava a pulsare incessantemente.
Iniziai a strofinare la parte anteriore dei pantaloncini e chiusi gli occhi, immaginando il mio fratellino in ginocchio con la bocca spalancata mentre gli facevo scorrere il mio grosso cazzo fino in gola, senza mai rompere il contatto visivo tra noi.
Ero così preso dalla mia fantasia che non lo sentii nemmeno rientrare a casa.
«Ciao Simo!» Gridò venendo ad abbracciarmi come sempre.
«Oh.. Uhm.. Ciao fratellino,» lo salutai, preso in contropiede.
Per fortuna gli davo le spalle e questo mi diede un secondo per riprendermi. Lo abbracciai a mia volta, senza riuscire a guardarlo. Tutto quello che vedevo erano le sue labbra imbronciate strette intorno a un grosso cazzo. Possibilmente il mio! Mi districai velocemente dall’abbraccio. Non volevo trattarlo in modo diverso ma non sapevo cosa dire e credo che se ne fosse reso conto.
«Tutto bene?» Mi chiese guardandomi con aria interrogativa, come se riuscisse a leggermi dentro. Dopotutto, avevamo un rapporto molto stretto, mi dava ancora un bacio prima di andare a dormire e si accoccolava contro di me mentre guardavamo un film. Intuiva che in me c’era qualcosa che non andava.
Così gli dissi la verità, almeno in parte. «Beh, fratellino, forse ho bevuto troppo. Come è andata a scuola oggi? Hai compiti da fare?»
Una mezza verità, ma cos’altro avrei potuto fare? Iniziai a fargli domande a ripetizione, mentre aprivo il frigo per prendere della carne da cucinare a pranzo. Avevo inserito il pilota automatico, avrei tanto voluto parlargli, chiedergli cosa diavolo stesse facendo, ma non volevo spaventarlo o fargli credere che per me fosse sbagliato essere gay. Inoltre, probabilmente, si sarebbe arrabbiato sapendo che avevo frugato tra le sue cose. E comunque se lo avessi rimproverato e gli avessi proibito di vedere quegli uomini sicuramente avrei finito per spingerlo a continuare a farlo di nascosto e avrei completamente perso il controllo. No, dovevo seguirlo, era l’unica alternativa.
«Li ho fatti a scuola.» Disse sorridendo mentre addentava la sua bistecca. «Stasera vado da Carlo a studiare per una verifica che dobbiamo fare venerdì.»
«Uhm, che verifica?» Lo incalzai, volevo vedere quanto si sarebbe spinto in là il mio innocente fratellino per uscire di casa quella sera.
«Matematica, il signor Manni è uno stronzo. Ce lo ha detto solo oggi e abbiamo appena due giorni per studiare.» Disse con enfasi, e poteva benissimo essere normale visto quanto ci teneva ai suoi voti e alla scuola.
«Calmo, fratellino, andrà bene, vai benissimo in matematica. Se vuoi ti accompagno io!» Gli proposi, anche se il suo amico Carlo viveva solo a qualche centinaio di metri di distanza.
«Faccio una passeggiata,» rispose velocemente.
«A che ora?» Gli chiesi, sono sempre stato iperprotettivo, quindi non sospettò di nulla.
«Gli ho detto che sarei stato da lui alle sette, e non farò tardi, promesso. Devo svegliarmi presto domani.» Parlò con naturalezza, senza smettere di sorridere nemmeno per un momento.
Ogni volta che i nostri occhi si incontravano distoglievo lo sguardo. Sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto il mio fratellino vergine? No, non avrei mai permesso che succedesse. Ma perché mi importava tanto? Forse perché era gay? O era perché si sarebbe fatto inculare? Dopotutto, io avevo fatto sesso per la prima volta a tredici anni.
-È tuo fratello non tuo figlio! - Continuavo a ripetermelo, ma non funzionava. E non riuscivo a smettere di immaginarlo mentre gemeva e implorava di essere scopato. Non riuscivo più a gestire la situazione.
«Va bene, ceniamo alle sei,» gli dissi affrettandomi fuori dalla cucina, diretto al piano di sopra.
Appena fuori dalla sua vista praticamente corsi nella mia stanza. Avevo bisogno di allontanarmi da lui. Mi lasciai andare sul mio letto matrimoniale e la stanza iniziò a girare, un po’ per l’alcol un po’ perché avevo i nervi a fior di pelle. Chiusi gli occhi per provare a ricompormi e immediatamente fui travolto dalle immagini di mio fratello che succhiava un grosso cazzo, la sua mano a mala pena in grado di avvolgerlo mentre gli affondava in gola, e iniziai nuovamente a sfregare il mio cazzo da sopra i pantaloncini.
Cosa ci vedevano quegli uomini in lui? Si, era carino. Aveva i capelli castano scuro tagliati corti ai lati e lunghi sopra. Le sue lunghe ciglia nere facevano davvero risaltare i suoi occhi. Non aveva un fisico femminile e non era effeminato, credo, ma non era nemmeno molto mascolino. Poi tutto quel nuoto gli aveva regalato un corpo definito e un bel culo che ogni volta che se ne andava in giro in pantaloncini o in slip risaltava in modo stupendo.
-Fanculo! – Pensai fra me.
Chiusi di nuovo gli occhi e mi lasciai andare. Marco era la stella sotto i riflettori, chinato in avanti con il culo in fuori. Prima che potessi fermarmi, tirai fuori dai pantaloncini il mio cazzo di quasi ventidue centimetri, grosso e svettante. Lo avvolsi con la mano e sentii il suo profumo, era virile e ad essere sincero mi eccitò. Non avevo ancora fatto la doccia dopo la giornata passata a fare pulizie, dunque ero un po’ sudato. Tenni gli occhi chiusi scorrendo le immagini del mio fratellino stampate a fuoco nella mia mente, del suo buco e delle sue labbra tese al limite dalla mia asta. E iniziai a chiedermi cosa avrei provato a sentire le sue labbra sul mio cazzo. Mi stavo masturbando con vigore. Ero così bagnato di presperma che non mi serviva nessun lubrificante, l’intera asta e la cappella ne erano intrisi e nemmeno quindici secondi dopo venni come un fiume in piena. Schizzo dopo schizzo di sperma bollente sui muscoli tesi del mio addome.
Passata l’euforia dell’orgasmo abbassai lo sguardo sui miei umori.
«Che cazzo c’è che non va in me?» Mi chiesi a voce alta, disgustato.
Mi alzai velocemente, dandomi una ripulita. Tirai su i pantaloncini e scesi le scale per iniziare a preparare la cena. Non riuscivo a credere di essermi appena fatto una sega pensando a mio fratello, non avevo mai pensato a lui in quel modo prima. Cucinavo per distrarmi e mi versai un altro bicchiere di brandy per distendere i nervi. Iniziai a rilassarmi mentre aspettavo che cuocessero gli spaghetti, poi portai il pane a tavola e chiamai Marco.
«È pronto!»
«Arrivo,» gridò scendendo le scale due gradini alla volta.
Ci sedemmo a tavola e ancora una volta non riuscii a guardarlo.
«Che buon profumo!» Disse Marco fissando il suo piatto.
«Grazie!» Risposi, fingendo di sorridere.
Mentre mangiavamo mi parlò della sua giornata, come nulla fosse. Mi ero preoccupato si potesse accorgere che avevo acceso il suo computer, ma era stato a casa tutto il pomeriggio e ormai se ne sarebbe accorto se avessi lasciato qualche traccia. Stavo diventano ansioso, in cielo c’erano ancora quattro lune e i soli sarebbero sorti come sempre l’indomani, non era cambiato nulla, il mondo continuava a girare e io dovevo smettere di comportarmi come un idiota. In ogni caso, non riuscì a mandare giù granché, mentre Marco mangiava veloce come un fulmine. Senza dubbio non vedeva l’ora di risalire a prepararsi per farsi rompere il culo dal suo Alessio.
«Piano, fratellino, o qualcuno penserà che non ti do da mangiare.» Tentai di rallentarlo un poco.
«Scusa, è troppo buono!» Bofonchiò sorseggiando una coca.
Scappò da ridere a entrambi, e terminammo di cenare senza aggiungere altro. Marco ripose il suo piatto nella lavastoviglie e corse al piano di sopra. Io sparecchiai e andai nella mia stanza ad aspettare che mi avvertisse prima di uscire. Avevo le mani sudate, e il cuore in gola. Guardai il telefono per controllare l’ora, 18:49.
«Ciao Simo, torno prima delle nove. Ti voglio bene!» Urlò Marco già sulle scale.
«Va bene, fai attenzione, ti voglio bene anche io!» Gli risposi automaticamente ad alta voce, poi sentii la porta d’ingresso sbattere.
Ero già pronto, feci le scale due gradini per volta e diedi a Marco qualche minuto di vantaggio. Era già buio e probabilmente non mi avrebbe visto. Aprii silenziosamente la porta sul retro e ci volle qualche secondo perché i miei occhi si abituassero all’oscurità. Costeggiai il muro immerso nell’ombra fino al portico anteriore e poi lo vidi. Camminava verso il parco poco distante da casa nostra. Attraversai la strada attento a non essere visto, il cuore mi batteva all’impazzata e stranamente ero ancora eccitato.
Dunque si sarebbero visti al parco, proprio come sospettavo. Lo vidi guardarsi intorno fino a che non trovò esattamente quello che cercava. Si piegò a legarsi una scarpa mentre un uomo scendeva dalla sua auto. Doveva essere Alessio, mi dissi. Quel tizio era dannatamente enorme. Un poco più alto di me, e io sono un metro e novanta, anche dalla mia posizione defilata riuscivo a vedere che era in forma, probabilmente frequentava una palestra o faceva un lavoro pesante. Non diede alcun segno di riconoscere mio fratello, e invece si fece strada lungo un sentiero buio, nel folto della vegetazione. Marco aspettò qualche secondo prima di guardarsi attorno e seguire il gigante.
A mia volta, diedi loro pochi secondi di vantaggio poi mi inoltrai silenziosamente lungo il sentiero. Conoscevo quel percorso, portava fuori dal parco, quindi mi chiesi dove fossero diretti in realtà. C’era poca luce, e la maggior parte veniva bloccata dagli alberi. Solo all’ultimo secondo intravidi mio fratello scavalcare la recinzione di un’area del parco in ristrutturazione e farsi strada fino a una roulotte per gli operai parcheggiata poco più in là. Il gigante gli teneva la porta aperta.
«Forza, frocio, sbrigati ed entra.» Lo sentii ordinare con voce profonda, in tono di comando.
Avvertii la rabbia montare dentro di me. Sapevo che avrei dovuto correre a difendere mio fratello, ma non ci riuscii e invece mi feci ancora più vicino.
«Si, padrone,» rispose Marco.
Sentii la porta chiudersi e mi avvicinai alla roulotte. Il mio primo pensiero fu di entrare e porre fine a tutta quella storia, non avrei neanche dovuto lasciare che si spingessero tanto oltre. Ma ormai non potevo semplicemente buttare giù la porta della roulotte e tirare fuori di là mio fratello, non senza che lui o io potessimo restare in qualche modo feriti. Non potevo prevedere la reazione del gigante se avessi fatto irruzione in quel modo. Così feci la seconda cosa che mi sembrò più giusto fare, o almeno così pensavo in quel momento. Mi sporsi da un finestrino per vedere quello che stava succedendo lì dentro, anche se temevo ciò che avrei potuto vedere.
«Forza, frocio, sai cosa fare. Spogliati e mettiti lì sopra.» Sentii dire da una voce profonda.
Quello che vidi mi sconvolse. Non c’era molta luce, ma mio fratello si stava spogliando rapidamente davanti a quell’uomo enorme e sembrava davvero piccolo in confronto a lui. Sotto i vestiti indossava un perizoma nero e l’uomo sorrise quando lo vide.
«Ben fatto, troia,» disse il gigante mentre gli afferrava i capelli spingendolo sul suo inguine.
«Lo senti? È colpa tua se è così, lo sai?»
Avevo paura che potesse fargli male.
«Si, padrone, non ho smesso di pensare al tuo cazzo per tutto il giorno.» Disse Marco, fissando l’uomo negli occhi.
Lo vidi chiaramente inspirare il suo odore e sembrava in estasi. Obbediva ad ogni comando senza mai staccare gli occhi da quelli dell’uomo che di lì a poco gli avrebbe rotto il culo.
«Padrone, ti prego, scopami la bocca… non ce la faccio più, ne ho bisogno!» Gemette il mio fratellino.
«Che frocetto che sei! Vorrei che tuo fratello fosse uscito stasera, così avremmo avuto più spazio per farti il culo ma per fortuna almeno ho ancora le chiavi della roulotte.» Rispose Alessio tirando fuori il cazzo e usandolo per schiaffeggiare Marco sul viso un paio di volte.
Dunque sapeva di me, realizzai. Ma ormai, non importava perché anche se sapevo di dover porre fine a tutto, semplicemente non ci riuscivo. Invece tirai fuori il mio cazzo e iniziai a segarmi lentamente. L’asta di Alessio sembrava proporzionata al suo possente proprietario, da fuori sentivo lo schiocco quando la usava per colpire il volto del mio fratellino, seguito dai suoi gemiti di eccitazione. Con naturalezza Marco afferrò l’asta di Alessio alla base, le sue dita si chiudevano a malapena intorno alla circonferenza, e se lo portò alle labbra.
«Bravo, apri la bocca! Succhia frocio!» Ordinò Alessio.
Sentivo i gemiti soffocati mentre il cazzo scompariva sempre di più nella gola di mio fratello. Lui sembrava così piccolo, ma questo non impedì ad Alessio di iniziare a scopargli la bocca.
«Bravo ragazzo! Adesso sorridi!» Disse a mio fratello, scattandogli una foto con il telefono mentre si faceva strada nella sua gola.
«Forse la manderò a tuo fratello, così finalmente saprà che troietta sei.» Sogghignò Alessio, ritirandosi indietro lentamente.
Sentii tossire mentre si sfilava e vidi Marco cercare di riprendere fiato. «Tutto quello che vuoi, padrone.» Disse poi, quasi con orgoglio, prima di farsi riaffondare il cazzo in gola.
Succhiava come se ne andasse della sua vita. Era folle e se non lo avessi visto con i miei occhi non ci avrei creduto. Guardai in basso e notai che il mio cazzo stava producendo una marea di presperma. Stavo per venire. Lo afferrai stretto e continuai a guardare Alessio scopare rudemente la gola del mio fratellino per la troia che era. Un attimo dopo il gigante lo tirò su per le spalle e iniziarono a baciarsi, poi lo fece voltare e piegare in avanti e notai che Marco sorrideva per tutto il tempo. Alessio lo fece piegare su una scrivania ingombra di carte e si inginocchiò dietro di lui.
«Adesso prepariamo questo bel buchetto per la sua festa!»
Marco annuì con impazienza, senza dire nulla, poi si lasciò sfuggire un gemito quando la lingua di Alessio si fece strada tra le sue natiche, dopo aver spostato di lato il filo del perizoma.
Non c’era modo né in cielo né in terra che quel cazzo enorme potesse adattarsi all’interno di Matteo. Lui era così minuto e sicuramente si sarebbe fatto male, ma mio fratello sembrava determinato. Strinsi più forte il mio cazzo e aumentai la velocità, segandomi più velocemente. Sarei venuto da un momento all’altro, eppure volevo, anzi avevo bisogno, di vedere quel mostro entrare dentro il mio fratellino.
Alessio leccava e succhiava il suo buco senza sosta, facendolo gemere come un matto. «Ti prego! Non ce la faccio più, fallo! Mettimelo nel culo!» Lo supplicava Matteo.
Chi era quello? Non poteva essere il mio fratellino. Non l’avevo mai sentito parlare in quel modo. Non aveva mai imprecato davanti a me. Eppure adesso avrei dovuto abituarmi al fatto che mio fratello era una troia.
«Va bene,» disse Alessio in tono pratico. «Sappi che ti farò male, ma ti piacerà. Una volta entrato non ho intenzione di fermarmi. Ti darò un po’ di tempo per abituarti ma non ho tutta la notte. E comunque se il tuo culo assomiglia anche lontanamente alla tua gola, beh… sei nato per questo!»
Tirò fuori quello che immagino fosse lubrificante e lo spalmò sulle sue natiche inducendo Marco a piagnucolare mentre gli conficcava un dito nel buco.
«Adesso inspira e spingi, frocio!» Lo istruì Alessio un attimo prima di allineare la sua grossa asta al buchetto posteriore di mio fratello.
«Ouch! No! TI prego, toglilo!» Gridò Marco. «Fa male, ti prego!»
«Sta zitto, frocio! Mi hai pregato fino ad ora e adesso hai ottenuto ciò che volevi!» Ringhiò Alessio schiaffeggiandogli forte il sedere e lasciandosi dietro il segno rosso della mano. Marco gridò più forte e il gigante conficcò il resto del cazzo dentro di lui.
«Ti prego, toglilo! Non ce la faccio!» La voce di Marco si era fatta stridula.
Sapevo di dover intervenire, ma ancora una volta non potevo. Ero sconvolto. Potevo solo immaginare in che condizioni fosse il buco di Marco. Alessio si chinò a raccogliere i suoi slip e li spinse in bocca a mio fratello, soffocandone i gemiti e i lamenti. Poi si aggrappò ai suoi fianchi e iniziò a fotterlo sul serio. Il viso angelico di Marco era schiacciato sulla scrivania, il suo buco distrutto. Il piccolo, dolce ragazzo che conoscevo se ne era andato. Tutto ciò che rimaneva era un frocio, una troia.
Alessio mantenne un ritmo costante mentre lo scopava. Le sue palle pesanti sbattevano contro i glutei ormai arrossati e lo sentii gemere più forte. «Sei così stretto! Ti rimando a casa da tuo fratello bello pieno di sborra!» Ruggì.
Teneva una mano sul fianco di Marco e con l’altra lo tirava indietro per i capelli facendogli inarcare la schiena per penetrarlo fino in fondo.
«Fa male, ma mi piace! Non smettere! Rompimi il culo!» Gridava adesso Marco, biascicando con la biancheria del suo uomo ancora in bocca. Stringeva i denti, e anche se era evidente che stesse soffrendo era deciso a prendere il cazzo di Alessio fino alla fine.
«PRENDI LA MIA SBORRA, FROCIO!» Gridò Alessio qualche momento dopo, scaricandosi nel culo del mio fratellino.
Poi si sfilò senza preavviso, e sentii chiaramente uno schicco quando la cappella uscì dal buco. E proprio in quel momento sentii l’orgasmo montare anche dentro di me e schizzai per la seconda volta quel pomeriggio, imbrattando tutta la parete della roulotte. Mi ci volle ogni briciolo di autocontrollo per non gemere a voce alta e farmi scoprire.
«In ginocchio, frocio, puliscimi il cazzo!» Gli ordinò Alessio, compiaciuto. E non soddisfatto si afferrò l’uccello e iniziò a schiaffeggiare Marco sul viso, imbrattandolo di sperma. «Non pensare nemmeno di ripulirti, voglio che torni a casa con la mia sborra nel culo e sulla faccia, come la troia che sei! Tuo fratello sa quanto ti piace il cazzo?»
«No,» rispose Marco alzandosi traballante e iniziando a rivestirsi. «Mi ucciderebbe se lo scoprisse.»
Mi sentii subito in colpa per ciò che era successo. Avrei dovuto fermarlo!
Corsi a casa prima di essere scoperto e per tutto il tempo un vortice di pensieri mi affollò la mente. Ero deluso da Marco, perché avrebbe dovuto sapere che quello che aveva fatto era sbagliato. Ed ero arrabbiato con me stesso, perché non lo avevo impedito e invece lo avevo usato come oggetto del mio desiderio.
Sapevo di non poter più rinviare l’inevitabile e aspettai che facesse ritorno seduto sulla poltrona di nostro padre, davanti alla porta d’ingresso in soggiorno. E sapevo che da quel momento in poi le cose non sarebbero più state le stesse.
Capitolo II
Corsi per tutta la strada fino a casa senza fermarmi. Rivissi gli eventi di quel giorno più e più volte nella mia testa, era un ciclo infinito e per quanto ci provassi, non riuscivo a non pensarci. Quando finalmente arrivai a casa, ero fradicio di sudore e così nervoso che iniziai a passeggiare per il soggiorno scarsamente illuminato, cercando di elaborare un piano d’azione. Ma perché ero tanto agitato? Non avevo fatto nulla di male, al contrario di Marco. Era lui che se ne andava in giro a fare la troietta. Inoltre speravo di non vedere più Alessio, perché non sapevo quale sarebbe stata la mia reazione in quel caso.
Sentii aprirsi la porta d’ingresso. Da un momento all’altro Matteo sarebbe entrato, e un attimo dopo udii i suoi passi in avvicinamento.
«Oh… ciao Simo. Che ci fai al buio?» Chiese sorpreso di trovarmi lì in piedi.
Accese la luce e poggiò lo zaino sul tavolino.
«Com’è andato lo studio?» Domandai fissandolo, ma lui teneva gli occhi bassi.
«Bene… ma sono stanco. Vado a letto.» Borbottò andando subito verso le scale.
«Niente abbraccio della buonanotte, fratellino?» Mi abbracciava ogni sera prima di andare a dormire, era un nostro rituale.
L’odore di sesso mi investì ancora prima che si avvicinasse. Puzzava proprio come una puttana. Lo guardai in faccia e sopra aveva ancora alcune macchie di sperma essiccato.
«Dov’eri e che cazzo stavi facendo?» Ero arrabbiato e non riuscivo più a trattenermi.
«Co… cosa vuoi dire?» Balbettò abbassando lo sguardo.
Lo afferrai per il mento, con decisione, ma non tanto da fargli male.
«Fermo! Che fai?» Mi chiese cercando di liberarsi dalla mia mano.
«Puzzi di sborra!» Esclamai vedendolo sbiancare. «Ho chiamato la madre di Carlo, e tu non eri lì. Quindi te lo chiedo un'altra fottutissima volta… Dove. Cazzo. Eri?»
«Io… io… sono andato in biblioteca a studiare perché Carlo non era ancora rientrato a casa.» Mi mentì a denti stretti.
Incazzato per le sue bugie, lo afferrai per la maglietta e lo trascinai su per le scale.
«Fermo! Simo, sei ubriaco? Mi fai male! Lasciami andare!» Strillava per protesta. Non avevo mai alzato le mani su di lui, quindi era pietrificato.
Mentre lo trascinavo dietro di me lo sentii strisciare i piedi e incespicare. Ero stanco di lottare quindi lo sollevai di peso fino alla sua stanza, aprii la porta e lo gettai sul letto, un po’ più forte di quanto volessi, facendogli sbattere la testa contro la testiera imbottita.
«Cos’hai che non va? …Ehi, lascia il mio computer e vattene dalla mia stanza!» Strillò iniziando a piangere mentre mi sedevo alla sua scrivania davanti al computer.
Non fece nulla per avvicinarsi, sapeva che ero arrabbiato e cercava di starmi il più lontano possibile. Mentre lo guardavo i miei occhi erano privi di ogni espressione, a parte la rabbia. Ormai aveva capito che avevo scoperto il suo segreto. Avviai bruscamente il computer.
«Ti… ti prego Simo, non accendere il computer! TI prego, ti sto supplicando. Ti dirò tutto, ma non accendere il computer!» Adesso stava piangendo apertamente.
«Vuoi dirmi tutto, Matteo?! Intendi dirmi anche che mandi foto del tuo buco del culo a dei vecchi? Che succhi i cazzi in casa mia quando non ci sono? Che hai organizzato un incontro con un vecchio finocchio per farti inculare? O c’è dell’altro?» Ringhiai sbattendo la mano con forza sulla sua scrivania. Il computer si era avviato e sullo schermo c’era un video fatto con i cellulare, con Marco intento a succhiare un cazzo. Doveva essere l’ultima cosa che aveva guardato prima di uscire.
Quella fu l’ultima goccia per me. Mi alzai e afferrai Marco, che adesso singhiozzava coprendosi la faccia. Strinsi la sua maglietta nel mio pugno e lo sollevai dal letto mandandolo a sbattere contro la parete.
«È questo che vuoi? Essere trattato come una puttana? Frocio del cazzo, Rispondimi!» Gli gridai in faccia mandandolo di nuovo a sbattere sul muro, mentre cercava di combattermi. Ma era tutto inutile.
«Vaffanculo!» Gridò facendo digrignare i denti, poi mi sputò in faccia.
Scoppiai a ridere, poi gli diedi un pugno nello stomaco, abbastanza forte da farlo piegare su sé stesso ma non tanto da ferirlo in alcun modo. Non riuscivo a fermarmi, ero così incazzato che non pensavo più razionalmente.
«Fottiti, frocetto!» Dissi afferrandolo per i capelli e rimettendolo in piedi. «Avanti dillo, coglione, dimmi che sei un frocio.» Gli gridai in faccia.
«Vaffanculo!» Rispose lui e con tutte le forze che riuscì a radunare mi diede un calcio nelle palle, abbastanza forte da farmi allentare la presa su di lui. Approfittando di quell’attimo, sgusciò via e corse nel suo bagno chiudendosi a chiave, singhiozzando.
«Ti odio, vorrei che fossi morto tu al posto di papà!» Mi urlò attraverso la porta del bagno.
Le sue parole mi bruciarono come una lama infuocata. L’avevo picchiato e adesso lui mi odiava. Me lo meritavo. Avevo fatto qualcosa che mi ero ripromesso non avrei mai fatto, ferirlo. Le sue parole mi avevano come risvegliato. Cos’avevo fatto? Sapevo che mio padre mi avrebbe rotto il culo se avesse saputo quello che era successo e non avevo idea di come avrei risolto il problema, ma dovevo provarci. Mi sfregai le palle gonfie, cercando di alleviare il dolore. La merdina aveva colpito forte. Presi fiato e bussai piano alla porta del suo bagno.
«Matteo… ti prego, vieni fuori, fratellino, mi dispiace per quello che è successo. Senti, non mi importa se sei gay, non sapevo come gestire quello che ho visto. Per favore, vieni fuori…»
«Lasciami in pace, stronzo omofobico, ti odio e sei fortunato che non chiamo la polizia perché mi hai picchiato.» Disse tra le lacrime.
Era furioso. Non l’avevo mai sentito usare quel linguaggio, figurarsi diretto a me. Non sarebbe stato facile rimettere a posto le cose.
«Fratellino, mi dispiace, ti prego, vieni fuori. Te lo giuro, non ti toccherò più. Voglio solo parlare. Ti voglio bene, piccolo!» Dissi iniziando a piangere e cercando di calmarmi.
«Lasciami in pace!» Gridò furioso, spezzandomi il cuore. Mi meritavo ogni cosa.
Alla fine uscii dalla sua stanza sconfitto, lasciando la porta aperta. Non ero abituato a sentirmi in quel modo. Andai al piano di sotto con il volto rigato di lacrime e quando finalmente raggiunsi la cucina la bottiglia di brandy che avevo aperto quella mattina mi aspettava sul piano già mezza vuota. Avevo fatto un casino! E ormai non sapevo più come risolvere il problema. Desiderai che fosse tutto solamente un bruttissimo sogno, ma mi stavo semplicemente prendendo in giro da solo.
Presi il telefono dalla tasca e feci quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio, chiamare il mio migliore amico, Dario. Tutti quelli che mi conoscevano sapevano che odiavo parlare al telefono, quindi doveva essere una cosa importante se lo facevo. Iniziai a passeggiare avanti e indietro per la cucina mentre squillava.
«Simo, tutto a posto?» Disse Dario appena risposto. Mi conosceva davvero bene.
«No...» Risposi soltanto prima di ricominciare a piangere.
«Che cazzo, amico? Dove sei? Cosa sta succedendo?» Mi chiese preoccupato.
«Ho fatto un casino, devi venire a casa mia, ti devo parlare ma non al telefono.» Riuscii finalmente a dire dopo aver preso fiato.
«Sto arrivando.» Disse soltanto prima di riagganciare.
Io e Dario ci eravamo conosciuti al corso di orientamento, il primo anno di università e da allora eravamo inseparabili. Eravamo come fratelli. A differenza di me, Dario è figlio unico ma a parte questo eravamo in sintonia su tutto. Lui è un bel ragazzo, biondo, occhi di ghiaccio, muscoloso ma liscio come il culetto di un bambino. Frequentava la palestra cinque giorni a settimana e si era appena laureato in scienze motorie. Mi aveva confidato di essere stato preso di mira dagli altri bambini da piccolo, almeno finché non aveva perso peso e aveva iniziato ad allenarsi. Non aveva la minima idea di quanto fosse attraente.
Sentii un’auto parcheggiare e qualche secondo dopo la porta di casa aprirsi.
«Simo, cos’è successo? Marco sta bene?» Mi chiese stringendomi in un abbraccio mentre ricominciavo a piangere davanti a lui.
Tra le lacrime, iniziai a raccontargli tutto. Gli dissi cosa avevo visto nel computer di Marco, e della discussione che avevo avuto con lui. Era il mio migliore amico, ma tralasciai i particolari della prima reazione che avevo avuto davanti a quelle immagine e di come lo avevo seguito, per spiarlo mentre perdeva la verginità. Non espresse giudizi, mi ascoltò semplicemente in silenzio. Ero stato uno stupido a non chiamarlo prima.
«Amico, a che cazzo stavi pensando?» Mi chiese appena gli confidai che avevo colpito Marco. «Sei fortunato che non te le suoni io adesso! A chi importa se Marco è gay? Lo sapevamo tutti, lo sapeva anche tuo padre! Non ci fa più caso nessuno ormai.»
Aveva ragione, ne avevamo parlato spesso tra noi. Avevo persino minacciato Dario e qualche altro mio amico che si fossero scopati mio fratello gli avrei rotto il culo. L’unica presa in giro che Marco aveva mai ricevuto da loro era riguardo a quanto fosse bello il suo culo, oltre questo erano protettivi quasi quanto me nei suoi confronti. Subito dopo la morte di nostro padre, Marco aveva avuto dei problemi con alcuni ragazzini che lo avevano preso di mira. Si era tenuto tutto dentro finché un giorno non era tornato a casa con un livido sul braccio e allora aveva vuotato il sacco. Io e Dario ci eravamo “presentati” a scuola e da allora nessuno lo aveva più infastidito.
«Lo so, amico, cazzo, lo so… ho fatto un casino e ora lui non vuole parlare con me. Voglio solo sistemare le cose. Non mi frega un cazzo se è gay oppure no. Ma non voglio che se ne vada in giro a farsi scopare da un vecchio. Se gli succedesse qualcosa io…» Straparlavo senza riuscire a calmarmi.
«Rilassati, Simo, Marco è un ragazzo intelligente, lascia che provi a parlargli io e tu intanto tieni il tuo culo quaggiù, va bene?» Mi istruì e io acconsentii sconsolato, abbassando lo sguardo al pavimento.
Dario andò di sopra, e lo sentii avvicinarsi alla stanza di Marco.
«Ciao, piccolo. Sono io, Dario, puoi uscire adesso, ti va di parlare?» Lo sentii chiedere. Marco doveva essere ancora chiuso in bagno.
«Va via, per favore!» Gli rispose una voce attutita.
«Andiamo, amico, lo sai che non posso farlo, tuo fratello non è qui, ci sono solo io. Mi ha spiegato tutto, sta tranquillo, va tutto bene.» Passarono alcuni secondi di silenzio, poi sentii lo scatto di una serratura. Doveva a averlo convinto ad uscire.
Non potevo aspettare. Avevo bisogno di sapere cosa stava succedendo, avevo bisogno che Marco mi perdonasse, così iniziai a salire le scale.
Avevo le mani sudate quando raggiunsi la sua stanza, Marco era seduto sulle ginocchia di Dario che lo abbracciava, consolandolo.
«Mi dispiace fratellino, ti voglio bene, non so cosa mi sia passato per la testa, ma ti prometto che non accadrà mai…» Avevo iniziato ad avvicinarmi mentre parlavo, prima che mi interrompesse.
«Vattene!» Gridò, alzandosi in piedi con aria di sfida.
«Andiamo, piccolo, ha fatto una cazzata e lo sa. Mi ha appena chiamato piangendo come una signorina per quello che aveva fatto. Dagli almeno la possibilità di spiegare.» Disse Dario rivolto a Marco, facendomi l’occhiolino. Sapevo di poter contare su di lui.
Dopo qualche altra moina da parte sua Marco si arrese. «Di quello che devi e poi sparisci dalla mia stanza e dalla mia vita.»
Se non fosse stato tanto doloroso, il suo tono solenne sarebbe stato persino esilarante. Non si era mai rivolto a me in quel modo, e mentre una parte di me voleva rimetterlo in riga, un‘altra molto più grande sapeva di meritarselo. Aveva ragione, io non ero suo padre, ero suo fratello. Avrei dovuto insegnarli come stare al mondo, parlargli del sesso, delle ragazze, o dei ragazzi nel suo caso, delle feste, dei locali notturni e di tutte le cose che i fratelli fanno insieme. Avrei dovuto essere io a mostrargli tutto questo, e invece aveva fatto da solo e credo fosse anche per questo che ero tanto arrabbiato.
«Ascolta, Marco, so che sei arrabbiato e lo sono anche io.» Dissi, e lui distolse lo sguardo. «Non ho frugato nel tuo computer di proposito, sono entrato per fare le pulizie e quando ho sfiorato il mouse sullo schermo sono apparsi un sacco di porno. All’inizio ero persino felice per te ma poi ho capito che eri tu. C’eri tu in quelle foto. Fratellino, hai quattordici anni. Potresti finire nei guai e non solo, credi che a loro importi di te?»
Avevo iniziato a fargli la predica come un padre e non come un fratello, ma uno sguardo eloquente di Dario mi spinse a cambiare argomento - grazie amico. Feci un respiro profondo e sospirai. Mi arruffai i capelli in cerca di un poco di quiete. E alzando il braccio mi resi conto anche di avere bisogno di una doccia.
«Non mi interessa se sei gay, lo giuro fratellino, ma non voglio che te ne vada in giro come una puttanella che si fa scopare da uomini abbastanza grandi da essere suo padre. Non ci hanno cresciuti in questo modo. Voglio solo che tu sia al sicuro.» Dissi, cercando di spiegarmi meglio possibile.
«Anche tu facevi sesso alla mia età, qual è il problema? Non sono più un bambino. Mi hai fatto più male con le parole che con le mani. Mi hai fatto sentire una merda, non era mai successo! Mi avevi sempre protetto e ora mi hai ferito!» Disse tutto d’un fiato.
Mentre parlava una lacrima solitaria gli rigò la guancia. Mi allungai per asciugarla ma lui si ritrasse. Guardai Dario in cerca di consiglio e lui scosse la testa, indicandomi di dargli tempo.
«Si, sono gay, ma non puoi chiamarmi frocio, sono solo gay.» Disse con voce più ferma, ma capii che era ancora arrabbiato.
Avrei voluto sottolineare il fatto che i suoi uomini lo chiamavano in modi anche peggiori e lui lo apprezzava, ma non era né il momento né il luogo. E comunque aveva ragione, era solo un ragazzo gay, ed era ancora il mio fratellino, indipendentemente da chi si faceva scopare.
«Marco, non è per il fatto che fai sesso, è perché lo stai facendo con persone abbastanza grandi da essere papà. Mi preoccupo per te e per quello che potrebbe succederti. Sai che farei qualsiasi cosa per te e se qualcuno dovesse ferirti, lo ucciderei!» Dissi provando ad addolcire il tono.
«So che lo faresti, Simo, ma non sono più un bambino.» Rispose lui. Mi aveva chiamato Simo, dunque stava abbassando la guardia. Forse non mi odiava!
«Se mi accoccolo su di te o ti abbraccio è perché sei sempre il mio fratello maggiore e ti voglio bene, non perché sono un bambino. Sto diventando un uomo,» disse alla fine, e fui costretto a trattenere una risata. D’altra parte Dario non ci riuscì e stava ridacchiando apertamente.
«Ne possiamo parlare più tardi,» dissi riuscendo finalmente a rilassarmi un po’. «Adesso ho solo bisogno che mi perdoni. Prometto che non ti insulterò mai più, ma voglio che tu sia onesto con me.»
Dopo un attimo di esitazione lui mi sorrise e si avvicinò ad abbracciami e io lo strinsi a me con forza.
«TI voglio bene Simo! Non so perché faccio quello che faccio e mi dispiace!» Disse piangendo di nuovo stretto tra le mie braccia. In quel momento sfregò il viso sul mio petto e lo sentii distintamente inspirare estatico. Era davvero insaziabile.
Lo abbracciai stretto, confortandolo. Sorrisi e bisbigliai un grazie silenzioso al mio amico Dario. Lui annuì e si incamminò al piano di sotto, lasciandoci soli. Gli dovevo più di quanto immaginasse.
«Sai che non sei ancora fuori dai guai, vero? Mi hai mentito su dove stavi andando. Da oggi voglio sapere quello che fai con il computer e il telefono, e devi accendere la localizzazione, voglio sapere sempre dove sei. Se mi capiterà di fare tardi a lezione farò venire qui Dario. In questo momento non posso fidarmi di te, mi dispiace.» Gli dissi serio.
«Non puoi dire sul serio?! Andiamo!» Si lamentò allontanandosi da me.
«Non ho intenzione di discuterne, ritieniti fortunato che non ti porti via sia il telefono che il computer. Oh, è voglio che mi consegni il telefono alle dieci di sera ogni notte, lo riavrai l’indomani mattina. So che non ti piacerà, ma è per il tuo bene. E poi non sarà per sempre, fratellino, solo finché non mi fiderò di nuovo di te.» Sentenziai.
«Va bene!» Sbuffò storcendo il naso. Sapeva di non poter vincere. «Vado a fare la doccia.»
«Si, è una buona idea, puzzi!» Lo stuzzicai sorridendo e lui mi sorrise di rimando.
Andai di sotto scuotendo la testa e massaggiandomi la nuca. Iniziai a caricare la lavastoviglie e sentii scorrere l’acqua della doccia. Vidi lo zaino di Marco poggiato sul tavolino del soggiorno e lo presi, pensando di portarglielo quando sentii il segnale acustico di un messaggio in arrivo. Senza pensarci due volte, aprii lo zaino e proprio sopra i libri c’era il suo telefono. Lo sbloccai e la discussione con Alessio era ancora aperta.
# È stato incredibile, non vedo l’ora di sborrare di nuovo nel tuo bel culo da frocio.
# Non riesco a smettere di pensarci, ancora mi pulsa! - Aveva risposto Marco.
Si erano scambiati dei messaggi subito dopo l’incontro, probabilmente mentre rientravano ognuno a casa propria. I messaggi appena arrivati invece erano foto. Cinque scatti di Matteo in diverse pose. Avevo di nuovo il cuore in gola e il cazzo in tiro. La mia immaginazione aveva preso il largo, chissà quanto era umido, stretto e caldo. Così stretto…
Rischiai di sborrare senza nemmeno toccarmi. Mi aggrappai con forza al bancone e cercai di schiarirmi le idee. Cosa cazzo mi stava succedendo? Pensai fra me, arrovellandomi il cervello.
Un nuovo messaggio. Guardai il telefono.
#Mio fratello sa tutto, ora controlla il mio computer e il telefono, dobbiamo stare attenti. Ti prego padrone, non arrabbiarti, non è stata colpa mia... non dirà niente a nessuno!
Marco stava rispondendo ai messaggi dal suo computer. Quel ragazzino era proprio stupido.
#Sarà meglio, frocio, o niente più cazzo per te!
# Te lo prometto, non dirà niente a nessuno.
#Sei un bravo frocio!
A quanto pareva Marco non aveva ascoltato una parola della nostra conversazione. Dunque peggio per lui, forse era arrivato il momento che conoscesse il suo fratellone per davvero. A mali estremi e stremi rimedi, frocetto.
Capitolo III
Riposi il telefono e mi assicurai che tutto fosse come prima, un attimo dopo sentii Marco scendere le scale. Quando arrivò in fondo notai che indossava solo una mia vecchia maglietta sopra un paio di slip. La maglietta era enorme su di lui, ma riuscivo comunque a scorgere una parte del suo bel sedere.
«Hai lasciato qui lo zaino, te lo stavo portando di sopra.» Dissi indicando con un cenno del capo la borsa sul tavolino.
Avrei dovuto chiedergli spiegazione sui messaggi, ma non ci riuscii. Gli avevo promesso che non avrei più frugato tra le sue cose. E se volevo che rispettasse le mie regole e che si fidasse di me, avrei dovuto iniziare a fare altrettanto. Ma in ogni caso non avevo alcuna intenzione di passarci sopra, assolutamente. E avevo giusto qualche idea che mi ronzava per la testa.
«Oh, grazie. Prendo qualcosa da mangiare, poi ti consegno il telefono, va bene?» Disse con uno dei suoi sorrisi brevettati.
«Certo, fratellino.» Risposi comprensivo. Sarei saltato giù da un dirupo per uno dei suoi sorrisi, e di certo la peste sapeva bene come ammorbidirmi.
Ad ogni modo ero felice che non ce l’avesse più con me. In fondo sapevo che aveva capito la mia reazione, per quanto spropositata, e mi aveva perdonato. Lo abbracciai e mi feci strada al piano di sopra. Ero stremato dopo quella giornata intensa e decisi di farmi una doccia prima di andare a dormire.
Mi spogliai, gettando la biancheria sporca nella cesta, e aprii l’acqua lasciandola scaldare prima di infilarmi sotto il getto bollente. Chiusi gli occhi e lasciai che l’acqua calda mi distendesse i muscoli, spazzando via la fatica di quel giorno.
Rimasi sotto la doccia fino a che l’acqua non iniziò a intiepidirsi. Allora mi sciacquai velocemente e uscii con il cazzo che mi ballonzolava tra le gambe mentre raggiungevo l’asciugamano. Mi asciugai rapidamente, e avvolsi la spugna intorno alla vita. Misi un po’ di crema idratante sul viso, e un generoso strato di deodorante e restai a fissarmi nello specchio. Dopo tutto quello che era successo e i cambiamenti di quella giornata assurda, una parte di me si aspettava di trovare una persona diversa a fissarmi attraverso lo specchio, e invece no.
«Sei un fusto!» Mi dissi, flettendo i pettorali. Dopotutto, ero ancora un narcisista arrogante.
Uscendo dal bagno notai che la biancheria sporca era sul pavimento fuori dalla cesta, ero convinto di avercela già messa ma senza farci troppo caso la raccolsi e la buttai dentro. Presi un paio di slip puliti dalla cassettiera e mentre li stavo infilando sentii bussare alla porta socchiusa.
«Ecco il telefono,» disse velocemente Marco, fissandomi. Sembrava che avesse qualche pensiero per la testa.
«Lascialo sul comodino, tutto bene?»
«Si, volevo solo sapere se è tutto a posto tra noi. Non è stata una bella giornata, per nessuno dei due.» Disse senza guardarmi negli occhi. «Posso… posso guardare la televisione con te per un po’? Come ai vecchi tempi?» Mi chiese timidamente alla fine.
«Puoi dirlo forte fratellino.» Di certo avrei voluto poter dimenticare tutto. «Scegli tu il film!?» Gli dissi mentre finivo di asciugarmi. Mi lanciò uno sguardo fugace, giusto il tempo di battere le palpebre e si lanciò sul mio letto come faceva sempre, potrei giurare che avesse dato un’occhiata proprio al mio pacco, ma forse mi ero immaginato tutto. In ogni caso qualcosa si mosse sotto i miei slip, costringendomi a mordermi l’interno della guancia per scacciare quei pensieri.
Scelse una serie di fantascienza e allo stesso tempo piuttosto spinta, assolutamente inadatta alla sua età, guadagnandosi un’occhiataccia da parte mia. Mi rivolse uno sguardo supplichevole e sorrise e io scossi leggermente la testa alzando gli occhi al cielo sconfitto in partenza.
Sotto il mio sguardo fintamente contrariato si lasciò andare ad un gesto di vittoria malcelato e avviò l’episodio mentre mi infilavo nel letto accanto a lui. Un attimo dopo lui si fece più vicino, infilando la testa sotto il mio braccio con la schiena poggiata sul mio petto. Gli arruffai i capelli poi rivolsi lo sguardo allo schermo. – Rilassati, Simo! – Continuavo a ripetermelo. La sua pelle era sorprendentemente liscia e morbida e calda. Stava tornando tutto alla normalità e non volevo mandare tutto all’aria. Mi addormentai a metà del primo episodio, con Marco accoccolato sul petto.
Quando mi svegliai, lui dormiva ancora. Si era rannicchiato dandomi le spalle, con il suo culo sodo e rotondo proprio davanti a me, stretto negli slip. Avrei voluto raggiungerlo e afferrarlo, toccarlo. Avevo il cazzo in tiro e normalmente mi sarei fatto una sega, ma Marco era ancora nel mio letto. Provai a spingere in basso il cazzo, come per buttarlo giù, senza avere fortuna. Allora iniziai a recitare l’alfabeto al contrario e finalmente si acquietò. Mi alzai di buonumore, pronto per affrontare la giornata.
«Fratellino… è ora di alzarti.» Gli sussurrai scuotendolo leggermente per la spalla.
Si agitò gemendo, girandosi a pancia sotto. «No… Ancora cinque minuto, ti prego!»
Mi ritrovai a sorridere, scossi la testa e andai in bagno a prepararmi. Feci una doccia fredda per scuotermi. Quella mattina mi ero svegliato con una certezza su mio fratello. Niente più bugie in casa mia, se Marco aveva intenzione di perseverare nel suo comportamento gli avrei reso le cose difficili.
Mi vestii e scesi al piano di sotto per preparare la colazione. Una frittata di albumi, cereali, frutta e un frullato proteico. Mantenere una forma fisica eccellente non è facile. Sentii della musica e la doccia scorrere al piano di sopra, segno che Marco si era alzato. Visto che ero di buonumore gli preparai delle frittelle, le sue preferite. Beh, forse non ero solo di buon umore, mi sentivo anche in colpa.
«Fratellino, la colazione è pronta!» Gridai portando a tavola la marmellata.
«Arrivo.» Rispose Marco.
Qualche minuto dopo saltò giù dalle scale e venne direttamente verso di me ad abbracciarmi. Lo abbracciai a mia volta e ringraziai silenziosamente papà perché era tornato tutto alla normalità. La scorsa notte lo avevo pregato affinché mi aiutasse a rimettere a posto le cose.
«Accidenti, che profumo!» Disse fissando le frittelle fumanti e la macedonia di frutta fresca.
«Sbrigati, mangia. Ti porto a scuola e poi vado a lezione.»
«Va bene…» disse poco prima di addentare due frittelle insieme. «Carlo ha invitato alcuni compagni di scuola a dormire a casa sua questo fine settimana, posso andare?»
Mi guardò impaziente e provò persino a giocarsi uno dei suoi sorrisi ma non mi lasciai ammaliare, neanche per un secondo.
«In realtà, stavo pensando che potremmo andare in montagna questo fine settimana, verrà anche Dario. E se vuoi puoi invitare uno dei tuoi amici!?» Gli buttai là in tono fintamente casuale.
Papà aveva una casetta in montagna e non ci eravamo più stati dopo la sua morte. Di solito la davo in affitto tramite internet, e c’era una ditta locale che si occupava delle pulizie. Vidi i suoi occhi farsi più grandi. Era deluso e si stava preparando a controbattere. Riuscivo quasi a vedere la rabbia crescere dentro i suoi occhi, evidentemente avevo appena rovinato i suoi piani per il fine settimana. Ed ero assolutamente sicuro che i suoi compagni di scuola non c’entrassero nulla.
«Questo fine settimana? Ma ho promesso a Carlo che ci sarei stato, sarei l’unico a non andare! Non è giusto! Perché non ci vai tu e io rimango qui?» Iniziò a lamentarsi.
«Mangia la tua colazione, fratellino, e non voglio sentire una parola a riguardo, intesi?»
«Si, signore,» Rispose a denti stretti, sconfitto. Aveva capito subito che questa volta non avrebbe potuto farci niente.
Mentre mangiava prese il telefono. Ero quasi sicuro che stesse scrivendo ad Alessio per fargli sapere che dovevano annullare qualsiasi cosa avessero in programma per il fine settimana. Era visibilmente arrabbiato. Ma sapeva che discutere sarebbe stato inutile.
«Sei pronto ad andare?» Gli chiesi, cercando di mascherare la soddisfazione nella mia voce.
Annuì in silenzio. Afferrò il suo zaino e salì rigido e in zitto sulla mia Giulietta rossa facendo sbattere la portina. Provai a fare conversazione con lui durante il tragitto fino alla sua scuola, ma continuava a rispondere per monosillabi. Probabilmente gli serviva solo un po' di tempo per calmarsi. Adorava la casa in montagna, nostro padre ci portava là ogni volta che ne aveva l’occasione ed era sempre una festa. Dopo aver guidato in quell’atmosfera tesa finalmente lo lasciai a scuola, ricordandogli che sarebbe passato a prenderlo Dario.
Il resto della mattinata passò senza intoppi, in biblioteca mi ritrovai a fissare il culo di un ragazzo che indossava pantaloni troppo stretti. Chiedendomi come sarebbe stato sfilarglieli e… - ma a che cazzo sto pensando!? Mi chiesi sorpreso. – Non sono un finocchio! Liquidai la cosa immaginando che avessi solo bisogno di farmi una scopata. Ma qualche minuto dopo mi ritrovai nuovamente a fissarlo, leccandomi le labbra.
A pomeriggio inoltrato chiamai Dario, per chiedere di Marco. Mi disse che stava facendo i compiti in soggiorno davanti alla televisione e che aveva ordinato la pizza per cena. Lo ringraziai ancora prima di tornare a concentrarmi sulla mia noiosa lezione di due ore.
Tornai a casa esausto, per fortuna avevo terminato le lezioni della settimana, e il giorno dopo avrei avuto tutto il tempo di preparare la vacanza e riposarmi.
Trovai Dario con una mano dentro i pantaloni mentre guardava la televisione rilassato sul divano, con l’altro braccio dietro la testa. Non so perché ma mi aspettavo di trovare Marco inginocchiato tra le sue gambe. Che pensiero stupido.
«Disturbo?» Gli dissi, arrivando all’improvviso alle sue spalle.
«Cazzo, mi hai spaventato amico!» Quasi gridò, togliendosi la mano dai pantaloni. Scoppiammo entrambi a ridere.
«Marco?» Gli chiesi.
«È già in camera sua, è rimasta un po’ di pizza se hai fame.» Disse.
«Ho mangiato prima di tornare a casa, grazie! Qualche problema oggi?» Chiesi, poggiando le mie cose sul tavolino e sedendomi vicino a lui.
«No, ha fatto i compiti e guardato la televisione. Non sembra molto felice di venire in montagna, me credo che se ne farà una ragione… prima o poi.» Mi rassicurò
«Domani passo a comprare qualcosa per questo fine settimana. Spero che ti piaccia ancora la carne grigliata, amico!?»
«Non devi nemmeno chiedermelo! Poi però fammi sapere quanto ti devo.» Disse.
«Non ti preoccupare, sono in debito perché hai badato a Marco. Porterò anche qualche cassa di birra. E dovrebbe nevicare, forse potremmo sciare un po’.» Gli proposi iniziando a sbadigliare.
«Contaci, fratello! Ora però me ne vado,» Disse sorridendo.
Quando si alzò, vidi il suo cazzo muoversi sotto i pantaloncini. La stoffa era molto fine, ed era quasi trasparente. Non indossava la biancheria? Subito mi intimai di smettere di pensare a quel genere di cose. Salutai Dario e chiusi la porta prima di salire a controllare Marco.
«Fratellino, posso entrare?» Bussai alla sua porta.
«Si,» lo sentii dire, senza troppo entusiasmo.
«Com’è andata la tua giornata?» Gli chiesi sedendomi sul bordo del suo letto.
«Tutto bene… ma devo proprio venire? Perché non posso rimanere qui?» Mi chiese di nuovo, rivolgendomi uno di quei suoi sguardi da cucciolo.
«Bel tentativo, ma lo sai che queste stronzate non funzionano più con me. Fratellino, voglio che andiamo in montagna insieme. Non ci siamo più stati da quando papà è morto e credo che ci farebbe bene passare un po’ di tempo tra noi, visto tutto quello che è successo. Mi sento una merda per come sono andate le cose. Ma tu perché non mi hai detto che sei gay?»
Non ne avevamo ancora parlato, e volevo che capisse che per me andava bene, che gli avrei voluto bene in ogni caso e che poteva dirmi qualsiasi cosa, senza avere paura. Mi guardò ed emise un sospiro.
«Non lo so, credo che avessi paura di deluderti. Dici sempre “finocchio” o “frocio” ai tuoi amici quando vuoi insultarli. Quindi ho pensato che non avresti voluto un fratello gay, e avevo paura che avresti reagito male…» Mi disse esitante. Gli tremava la voce e stava per mettersi a piangere.
Mi avvicinai a lui e lo abbracciai, i suoi capelli erano ancora umidi per la doccia che doveva aver appena fatto. Fece un respiro profondo stretto tra le mie braccia prima di continuare.
«Sono sempre lo stesso, Simo, e so che mi vuoi bene ma vorrei che accettassi il fatto che faccio sesso. Sono gay, questo non lo posso cambiare, so di esserlo fin da piccolo e non capisco perché è così diverso da quando tu facevi sesso alla mia età.» Disse tirando su col naso.
«Ti voglio bene fratellino, e non mi importa se sei etero, gay o altro. Voglio solo che tu sia al sicuro. Hai quattordici anni e dovresti fare sesso con altri quattordicenni, non con uomini abbastanza grandi da essere papà. Sono solo preoccupato che possano farti male… voglio dire, tu sei la ragazza, vero?» Gli chiesi, anche se conoscevo già la risposta.
«Non sono la ragazza, sono gay, siamo tutti e due ragazzi, però… si, durante il sesso sono io a ricevere… mi piace.» Disse arrossendo e io non ebbi molta fortuna nel trattenere una profonda risata. Mio fratello aveva appena ammesso che a letto lo prendeva nel culo.
«Va bene! Va bene, basta dettagli!» Dissi, fingendo disgusto, ma ad essere onesto stavo iniziando ad eccitarmi.
«Sei stato tu a chiedere!» Mi ricordò. «E comunque non mi piacciono i ragazzi della mia età, sono immaturi e… sono solo idioti! Mi piacciono i ragazzi più grandi, sanno quello che vogliono ed è anche quello che voglio io» Disse.
Ero sicuro che in realtà stesse per dire che i ragazzi della sua età non erano abbastanza “grandi”! Che troietta. Sapevo bene cos’è che voleva, un grosso cazzo che gli allargasse la bocca e il buco del culo, e l’uccello di un altro quattordicenne non era certo abbastanza per lui.
«Ho capito! Ascolta, farò del mio meglio per essere di mentalità aperta, ma devi promettermi che sarai onesto con me e niente più sesso almeno per un po’, d’accordo?» Lo abbracciai e mi incamminai verso la porta.
«Promesso.» Dissi sorridendo. «E grazie per aver provato a capire, Simo.»
«Bene, e adesso fai le valige. Passerò a prenderti a scuola domani e partiremo direttamente da lì. Quando hai finito, portami il telefono.» Gli ricordai.
«Si, signore.» Disse portando la mano alla testa.
Sorrisi e andai nella mia stanza. Presi un borsone e ci buttai dentro qualche cambio per il fine settimana. Saremo rimasti perlopiù in casa a bere e grigliare la carne, dunque non sarebbe servito niente di speciale. Mi spogliai e dopo aver acceso la televisione sgusciai a letto. Probabilmente iniziai a sonnecchiare, perché non sentii Marco entrare in camera. Avevo gli occhi chiusi, credevo che avrebbe lasciato il telefono per poi andare a dormire, invece si avvicinò al letto.
«Simo?» Mi chiamò piano, scuotendomi leggermente il braccio.
Continuai a far finta di dormire. Perché si stava comportando in quel modo? Se avesse voluto svegliarmi avrebbe potuto accendere la luce, invece si comportava in modo strano. Dopo qualche altro secondo, apparentemente pago del fatto che dormivo, uscì dalla stanza. Sospirai, una parte di me aveva desiderato che questa fosse una di quelle situazioni in cui dopo essersi accertato che dormissi lui cominciava a succhiarmelo, ma non ebbi molta fortuna.
Lo stronzetto non aveva nemmeno lasciato il suo cellulare, stava forse controllando che dormissi per poter uscire di nascosto?
Mi alzai in silenzio, e scivolai fuori dalla mia camera, per fortuna il tappeto nell’andito attutiva i miei passi. Andai dritto verso le scale e nascosto nell’oscurità lo sentii parlare al telefono al piano di sotto.
«Si, si è addormentato… Ho controllato, non lo svegliano nemmeno le cannonate, tranquillo… Sbrigati, non vedo l’ora di riprendere da dove abbiamo interrotto… ti aspetto.»
Mi batteva forte il cuore e avevo il cazzo di marmo che stava mettendo a dura prova il tessuto degli slip. Che troietta. Aveva aspettato che mi addormentassi per farsi scopare, dovevo ammettere che era pieno di risorse. E a dire il vero ero anche un po’ geloso di chiunque stesse per arrivare, anche se il mio fratellino stava facendo di tutto per fregarmi.
Aspettai qualche minuto immaginando mio fratello al piano di sotto e dovetti mordermi la lingua per non gemere ad alta voce, poi i miei pensieri furono bruscamente interrotti quando sentii lo scatto della serratura.
«Sbrigati… succhiamelo un po’, bagnalo quel tanto di sbattertelo in culo… non abbiamo molto tempo.» Sentii borbottare da una voce profonda e familiare.
Rimasi congelato. Non poteva essere vero. Non potevo permetterlo, questo era davvero troppo. Eppure il mio cazzo continuava a pulsare stretto negli slip e dovetti fare ricorso a tutta la mia forza di volontà anche solo per non sborrare senza nemmeno toccarmi. Raggiunsi silenziosamente le scale, e iniziai a scendere i gradini con cautela attento al minimo rumore.
«Si così, chinati sul divano…»
La prima cosa che vidi nella semioscurità del soggiorno fu il suo cazzo scintillante di saliva puntato dritto contro il culo del mio fratellino piegato sul divano. Era impressionante, più o meno come il mio. Avevo quasi paura per Marco.
«Si, ti prego… rompimi il culo… ti prego!» Implorò la voce stridula di mio fratello.
Mi feci un po’ più vicino, restando comunque fuori dal loro campo visivo.
«Sta zitto, frocio!» Disse soltanto la voce profonda.
E spinse. Il buco di Marco non aveva possibilità. Il mio fratellino si lasciò sfuggire un gemito di dolore e una mano corse a tappargli la bocca, prima che il cazzo si insinuasse completamente in lui con un'altra spinta possente. Gli diede un secondo per abituarsi, prima di iniziare a scoparlo con spinte profonde e veloci.
«Che troia, hai il buco bagnato, è questo che volevi, vero?» Gli schiaffeggiò il culo aumentando sempre più il ritmo. Marco emetteva gemiti soffocati, e aveva iniziato a succhiare due delle dita che gli tappavano la bocca. «Ti allago il culo, frocio!»
Li lasciai fare per qualche minuto, godendomi i loro gemiti soffocati, poi, proprio mentre i due amanti erano al culmine dell’orgasmo feci un passo avanti, e Dario guardò nella mia direzione. Si irrigidì ma ormai gli era impossibile fermarsi. Stringeva con una mano il fianco del mio fratellino mentre con l’altra gli teneva la testa affondata nei cuscini e riuscivo quasi a vedere le contrazioni del suo cazzo mentre si scaricava, inondando quel buchetto umido e caldo e accogliente.
Strizzai l’occhio e gli rivolsi un sorriso arrogante. Dario ansimò, cercando di riprendere fiato. Lo fissai dritto negli occhi.
«Tu sei il prossimo!» Scandii muovendo solo le labbra, lui sbiancò e io tornai di sopra senza aggiungere altro, soddisfatto.
Mi bastò il suo sguardo per sapere che aveva capito. Dopotutto, una promessa è una promessa.
Capitolo IV
Il pomeriggio successivo andai a prendere Marco a scuola, avevo già caricato in macchina i nostri bagagli e tutto quello che ci sarebbe potuto servire, e presi subito la strada che portava fuori città, in direzione delle montagne. Come d’accordo, Dario ci avrebbe raggiunti più tardi, ma questo era prima di ieri notte. E adesso mi chiedevo se avrebbe avuto il coraggio di farsi vedere, dopo quello che lo avevo sorpreso a fare nel mio soggiorno la sera prima. Fu un viaggio piuttosto tranquillo, Marco era taciturno, forse era ancora risentito per via dei suoi piani per il fine settimana ormai rovinati e io avevo la mente impegnata da mille pensieri oltre che dall’immagine impressa a fuoco del grosso cazzo di Dario che sfondava il culo del mio fratellino sul mio divano. Da quanto andava avanti? Era la prima volta? Come avevo fatto a non accorgermi di nulla? Mi sentivo come se la mia vita non mi appartenesse, tutte le certezze che avevo stavano andando a farsi fottere. Compresi mio fratello, e a breve, in un modo o nell’altro anche il mio migliore amico. Lui sapeva bene che non facevo mai minacce a vuoto.
Arrivammo alla casa in montagna che il sole aveva già iniziato a calare, tingendo di porpora le cime innevate che sovrastavano la piccola tenuta, piuttosto isolata rispetto al resto delle abitazioni sul pendio.
Marco mi aiutò a scaricare la macchina senza dire una parola. «Sei ancora arrabbiato?» Gli chiesi alla fine, mentre sistemavo la legna nel camino. Iniziavo a chiedermi se Dario non gli avesse detto che li avevo sorpresi la sera prima, o se gli avesse parlato della mia minaccia.
«Hai detto che mi avresti rispettato, ma mi tratti ancora come un bambino.» Sbottò all’improvviso, sull’orlo delle lacrime per l’ennesima volta in pochi giorni.
Stavo per fargli notare che se voleva essere trattato da uomo avrebbe dovuto smettere di fare i capricci come un bambino, ma mi morsi la lingua. Probabilmente avrei solo peggiorato la situazione.
«A dire il vero, credo di averti soltanto promesso che avrei “cercato” di non essere troppo opprimente.» Puntualizzai piccato.
«Credi che sequestrarmi per tutto il fine settimana non sia “opprimente”?!»
Se la metteva su quel piano, un punto per lui. Ma lo scopo principale di questa vacanza era rinsaldare il nostro legame di fratelli, e solo in secondo luogo tenerlo lontano dai cazzi degli uomini. Certo questo era prima di scoprire che anche il mio migliore amico aveva avuto un assaggio del suo bel culo liscio e morbido e invitante…
Il rumore di un’auto sul vialetto mi riscosse dalla deriva pericolosa che stavano prendendo i miei pensieri. Dunque Dario aveva avuto il fegato di farsi vivo. Non si era fatto sentire né la notte scorsa, né tantomeno quella mattina, e iniziavo a credere che si fosse fatto prendere dal panico per quello che aveva fatto. Qualche minuto dopo invice entrò in casa con un borsone sulla spalla e gli occhi bassi.
Marco corse ad abbracciarlo, sfregando il viso sul petto e inspirò il suo odore con espressione quasi estatica, come se per lui fosse una specie di droga. Che troietta ingorda – non potei fare a meno di pensare. Dario invece rimase rigido, con lo sguardo puntato sul pavimento, e non provò nemmeno a guardarmi in faccia.
Per la prima volta mi ritrovai a guardare un uomo come di solito mi capitava di fare con una figa all’università o per strada, e qualcosa si mosse dentro i miei slip. Fargliela pagare avrebbe potuto rivelarsi anche più divertente del previsto, dopo tutto.
«Ciao fratello, ce l’hai fatta finalmente!» Lo salutai col mio solito tono allegro. Sorpreso alzò lo sguardo su di me con espressione speranzosa e trovò ad attenderlo il mio sorriso beffardo e un ghigno di soddisfazione malcelato. Nel giro di un secondo sbiancò e poi arrossi, tornando ad abbassare immediatamente lo sguardo sul pavimento di legno scuro. Lo tenevo in pugno.
«Sistema le tue cose, poi possiamo iniziare a divertirci!» Gli dissi allegro e scoppiai a ridere, guadagnandomi un’occhiata stupita da parte di Marco e una smorfia da Dario, alle sue spalle.
Continuai a sorridere tra me mentre poggiavo sul tavolo una confezione di birra e una bottiglia di Tequila.
Marco lo accompagnò a sistemare le sue cose nella sua stanza, da quando era arrivato Dario sembrava aver ripreso un po’ del suo solito buonumore. Quando tornarono avevo sistemato sul tavolo tre boccali per la birra e tre bicchierini per la Tequila e un mazzo di vecchie carte da poker. Sia Dario che Marco mi fissarono sorpresi. Il primo forse un po’ preoccupato che con l’alcol la serata potesse degenerare, il secondo euforico perché aveva capito che gli avrei permesso di stare con noi per la prima volta, in qualche modo accogliendolo tra gli adulti.
«Posso bere anche io?» Chiese Marco eccitato e incredulo allo stesso tempo.
«Perché no? Ci siamo noi, cosa potrebbe succedere?» Gli confermai, facendo l’occhiolino a Dario, che sembrava ancora titubante.
Riempii i boccali di birra e diedi le carte. Marco afferrò con avidità il suo, portandoselo alle labbra. Ne mandò giù un sorso e fece una smorfia. Io e Dario lo fissavamo in attesa.
«Non è male come pensavo, ma non credo che mi piaccia. Posso avere un po' di Tequila?» Chiese mordendosi il labbro.
Scoppiai a ridere. Ero felice che stessimo condividendo quel momento tra fratelli insieme. «Certo, piccoletto.» Gli versai un bicchierino e glielo porsi. «Sorseggia, non mandarla giù tutta in una volta, non voglio pulire il tuo vomito!» Lo avvertii in tono serioso.
«Non vomiterò, lo prometto!» Disse impaziente, prendendo un piccolo sorso della bevanda. Questa volta fece una smorfia molto più marcata, facendo scoppiare a ridere tutti e tre. Finalmente anche Dario stava iniziando a rilassarsi, grazie anche ai due boccali di birra che aveva mandato giù mentre io non ero nemmeno a metà del primo.
Passammo il resto della sera a bere, mangiare schifezze e parlare dei ricordi che avevamo di quella casa. Riempii i bicchieri di tutti e tre più volte, e l’atmosfera iniziò a farsi più rilassata. Dario era sicuramente ubriaco e Marco ci era pericolosamente vicino – ero stato bene attento a non riempire il suo bicchiere con la stessa frequenza dei nostri.
«Va bene, fratellino, ultimo giro.» Dissi vedendolo ciondolare pericolosamente. Dopotutto, non volevo che le cose ci sfuggissero di mano per davvero.
«Salute!» Ci augurammo a vicenda facendo tintinnare i bicchierini di Tequila.
Alla fine del giro di carte successivo Marco stava praticamente dormendo da seduto. Così Dario mi aiutò a portarlo nella sua stanza e infilarlo sotto le coperte. Sistemai un secchio vicino al suo letto, per ogni evenienza. Poi tornammo entrambi in soggiorno, con passo traballante.
«Perché?» Gli chiesi all’improvviso poco prima che tornasse a sedersi. «Perché proprio Marco? Sei il mio migliore amico!» Mi dava le spalle, ma notai comunque che si irrigidì poggiando una mano sullo schienale della sedia come per sorreggersi.
«Giurò che ti dirò tutto,» disse voltandosi incerto. «Ma prometti di ascoltare fino alla fine.»
Feci un cenno e lui sospirò di apprensione.
«Quando sono andato a prenderlo a scuola, dopo che hai scoperto di lui, mi ha raccontato la sua versione dei fatti, di quanto avesse avuto paura per la tua reazione e tutta quella merda e una volta a casa ha iniziato a parlarmi di quanto gli piacciano gli uomini e di come non riesca a trattenersi quando c’è qualcuno che gli piace nei paraggi…»
«Risparmiami i dettagli.» Gli dissi secco, non volevo rischiare di eccitarmi durante il suo racconto.
«Beh, non so perché ma poi ha iniziato a descrivermi cosa faceva con quegli uomini e a strusciarsi contro di me e non so come mi sono ritrovato con il cazzo in tiro da star male e le sue mani sui pantaloni, ho provato a farlo smettere, te lo giuro. Cazzo è stata la cosa più difficile della mia vita, ma sono riuscito a tirarmi indietro. Marco sembrava disperato, ha iniziato a piangere e mi ha confidato che già da anni frugava tra la nostra biancheria sporca ogni volta che gli era possibile, solo per sentire il nostro odore. È pazzesco lo so…»
Dario fece una pausa per respirare. Io ero travolto da tutte quelle informazioni. Finalmente i pezzi iniziavano a combaciare, il mio fratellino sì divertiva con la mia biancheria usata, ecco spiegato dove andavano a finire le mie cose e perché sembrava sempre fin troppo entusiasta di abbracciarmi quando rientravo dalla palestra o da una lunga giornata all’università. Avevo il cazzo talmente duro che avrei potuto esplodere da un momento all’altro, anche senza toccarmi.
Dario sembrava esitante, c’era qualcos’altro che non mi aveva ancora detto. «Allora?» Lo spronai.
«Beh, alla fine ha minacciato di dirti che gli avevo fatto succhiare il cazzo se non glielo avessi permesso per davvero, e dopo quello che era successo tu avresti anche potuto credergli e sono andato nel panico…»
«Quindi te lo sei scopato?» Gli chiesi sarcastico.
«No… voglio dire, no, l’ho mandato in camera sua e mentre riflettevo sul da farsi sei rientrato a casa.»
Doveva essere quando lo avevo beccato sul divano con una mano nei pantaloni, bel modo di “riflettere” amico. Inarcai le sopracciglia e lo invitai a continuare. Ero proprio curioso di capire com’era finito con il cazzo piantato fino alle palle nel culo di mio fratello.
«Più tardi quella sera Marco mi ha chiamato e ha detto che se non fossi andato da lui ti avrebbe raccontato un sacco di balle e ho avuto paura che avresti potuto non volermi vedere mai più, così ho ceduto,»
Che puttanella. Era arrivato persino a ricattare il mio migliore amico per trovare un cazzo dopo che gli avevo reso le cose impossibili con Alessio.
Scossi lievemente la testa e sorrisi e Dario accennò a sua volta un timido sorriso, forse speranzoso che alla fine lasciassi correre, date le circostanze.
Feci un passo verso di lui che mi guardò perplesso, credo che per un attimo abbia pensato che lo avrei colpito. Invece lo spinsi a sedere, restando in piedi davanti a lui e iniziai a slacciarmi la cintura.
I suoi occhi si fecero più grandi e mi guardò supplichevole. «Andiamo amico, lo sai che sono etero, non puoi fare sul serio?!»
«Succhialo!» Dissi soltanto, tirando fuori dagli slip il mio cazzo già duro come il marmo a pochi centimetri dalla sua faccia sorpresa. «Forza, se ti fa piacere ripensa a quando hai inculato il mio bel fratellino.»
Esitò, e alla fine lo afferrai per i capelli infilandogli il mio cazzo in bocca. Continuai ad andare avanti fino a che non lo sentii soffocarsi e tossire, massaggiandomi involontariamente la cappella tra la lingua e il palato. Era anche meglio della maggior parte delle ragazze che me lo avevano succhiato fino a quel momento. Lui era alla mia mercé. Quella sensazione di potere mi stava letteralmente dando alla testa. Iniziai a scopargli la bocca, senza badare troppo ai conati che gli causavo, pensando esclusivamente al mio piacere e godendomi ogni attimo di quelle sensazioni e dei suoi occhi lucidi che mi fissavano imploranti.
«Per favore, fai piano, il tuo cazzo è enorme, amico.» Disse appena mi ritirai per un attimo dalle sue labbra bollenti.
«Chiudi la bocca, finocchio, sto facendo esattamente quello che hai fatto al mio fratellino.» Gli dissi gelido.
Dario chiuse gli occhi e io ricominciai a scopargli la bocca con ancora più forza, afferrandogli la nuca e scavando le dita tra i suoi capelli biondi. Stavo sudando e tutta quella situazione animalesca ben presto mi portò sull’orlo dell’orgasmo.
«Sto per sborrare, finocchio!» Ringhiai sbuffando e lui borbottò qualcosa di incomprensibile provando inutilmente ad allontanarsi dal mio cazzo pulsante.
Sentii le palle stringersi e un attimo dopo mi scaricai dentro la sua bocca serrata. Contrazione dopo contrazione, scaricai una sborrata paurosa sulla sua lingua e rimasi piantato dentro la sua bocca fino a che l’onda dell’orgasmo non passò completamente, ansimando piegato su di lui.
Lo tenni schiacciato al mio inguine, impregnandogli la bocca e costringendolo a sentire il mio sapore. Come se marcassi il territorio. Ero certo che non avesse potuto evitare di ingoiare almeno una parte di quella sborrata colossale.
Sospirai soddisfatto e mi sfilai dalle sue labbra arrossate. Appena libero Dario sputò per terra e allora gli afferrai il mento, costringendolo a guardarmi negli occhi. «Sperò che abbia imparato la lezione, fratello.» Gli dissi sorridendo con un ghigno arrogante.
«Merda, dovevi per forza sborrarmi in bocca…» Disse mostrando un’espressione disgustata.
Scoppiai a ridere, cercando di non fare troppo rumore. Non volevo assolutamente svegliare Marco. «Ringrazia soltanto che non ti abbia rotto il culo sul serio.»
Suo malgrado si ritrovò a ridere anche lui, mentre continuava a sputacchiare e arricciare il naso, scuotendo la testa. «Stronzo!» Mi disse colpendomi con un pugno sull’addome, senza convinzione.
«Ouch… e poi scommetto che sotto sotto ti è piaciuto, brutto finocchio! Quando lo ritrovi un cazzo così!?» Lo presi in giro.
Eravamo già tornati quelli di sempre e continuammo a punzecchiarci e fare battute spinte fino a notte fonda. E intanto ragionavo su come avrei potuto sfruttare l’opportunità che mi si era presentata. Dopotutto, se il mio fratellino voleva essere trattato da troia, perché non accontentarlo?!
Capitolo V
Quando scostai le coperte Marco si svegliò. Mi guardò con occhi assonnati e sorrise. «Grazie per avermi trattato come un uomo, Simo.»
«Non ti ci abituare, piccoletto…» Iniziai a dire senza riuscire a terminare la frase che si era già riaddormentato con il suo meraviglioso sorriso ancora stampato in faccia.
Mi infilai nel letto e lui mi si accoccolò sul fianco. Ero davvero felice di come si erano messe le cose, ero ancora un po’ arrabbiato per il tradimento del mio migliore amico e di mio fratello, ma alla fine tutto si stava sistemando, e il meglio doveva ancora venire.
Fu un fine settimana memorabile, la prima notte nevicò e passammo i giorni successivi a sciare, mangiare carne alla griglia e dare fondo alle nostre riserve di alcolici, anche se dopo la prima sera mi accertai che nel bicchiere di Marco ci fosse sempre più gazzosa che birra.
Io e Marco sembravamo tornati quelli di sempre, e anche con Dario, dopo un certo imbarazzo iniziale le cose si rimisero a posto praticamente da sole.
Nei giorni successivi, rientrati a casa, riprendemmo tutti e tre le nostre abitudini. Ma nonostante la situazione fosse tornata alla normalità, il pensiero di quello che mio fratello aveva fatto alle mie spalle per chissà quanto tempo mi rodeva dentro, tormentandomi. Lo rivedevo farsi inculare su quel camper nel parco o succhiare il cazzo del mio migliore amico nel soggiorno di casa ogni volta che passavo davanti al divano. Non riuscivo a togliermi dalla testa le foto del suo bel culo rotondo scambiate con degli sconosciuti. E ogni volta mi riassaliva la rabbia, e allo stesso tempo una strana sensazione a metà tra lo sconforto e qualcosa che non riuscivo ancora bene ad identificare, che mi pesava sullo stomaco come un macigno. Tutto questo accompagnato da un’eccitazione incontenibile, in pratica mi ritrovavo con il cazzo duro da far male ogni volta che passavo per il soggiorno.
Per fortuna, l’occasione giusta per pareggiare i conti si presentò il fine settimana successivo. Anche se le cose tra noi erano tornate più o meno normali non avevo allentato la presa sul mio fratellino. Mi consegnava ancora il telefono ogni sera prima di andare a dormire e tenevo sotto controllo i suoi spostamenti, assicurandomi che non andasse in posti dove non avrebbe dovuto andare o non si trovasse in situazioni in cui non avrebbe dovuto essere. In pratica, probabilmente gli stavo rendendo la vita un inferno. Non aveva la minima possibilità di sfogarsi con uno dei suoi amanti e nonostante continuasse ad abbracciarmi ogni sera e a sorridere a tavola, avevo iniziato a notare che il suo comportamento stava cambiando. Quando mi abbracciava, prima di andare a dormire, mi stringeva forte e inspirava profondamente, senza quasi preoccuparsi che lo notassi. La peste se ne andava in giro per casa sempre mezzo nudo con indosso solo gli slip e le mie vecchie magliette troppo grandi per lui. Iniziai a trovare sempre più spesso la mia cesta della biancheria sporca in disordine. Era quasi come se cercasse di provocarmi e in più di un’occasione dovetti mordermi la lingua per trattenermi dallo sbatterlo sul tavolo della cucina e fare ciò che andava fatto
Il venerdì sera successivo uscendo dalla doccia lo sorpresi con un paio di miei slip usati premuti sul naso.
«Che cazzo…?!» Dissi senza riuscire a trattenermi, più sorpreso di quello che avrei dovuto essere.
Lui si girò, rosso come un peperone, con la mia biancheria intima ancora in mano. «Io… ehm… controllavo se erano puliti, stavo separando la biancheria per fare una lavatrice.» Mi mentì spudoratamente.
Vedevo chiaramente una tenda nelle sue mutande. Marco seguì il mio sguardo e si rese conto che il suo corpo lo aveva appena tradito. Era molto imbarazzato, ma decisi di non fargliela pesare. Invece lasciai scivolare a terra l’asciugamano e lo oltrepassai con il cazzo che oscillava liberamene fra le mie gambe. I suoi occhi non lasciarono mai il mio cazzo, stava quasi sbavando.
«Forza!» Gli dissi brusco mentre afferravo un paio di slip puliti, riscuotendolo. «Sta arrivando Dario, farò tardi stasera, ma entro le dieci voglio comunque il tuo telefono sul mio comodino, intesi?»
Assentì con poca convinzione e sparì nel corridoio in un batter d’occhi. Nonostante l’imbarazzo, la sua erezione non aveva accennato minimamente a placarsi e io mi resi conto che quel fatto mi rendeva segretamente orgoglioso, e in qualche modo compiaciuto. Terminai di vestirmi velocemente e uscii di casa prima che arrivasse Dario, salutando Marco quando avevo già superato la porta. Temevo che i miei pensieri trasparissero dal mio viso e non volevo che nessuno dei due mi vedesse in quel modo.
Neanche dieci minuti dopo, quando avevo percorso solo pochi chilometri un messaggio di Dario mi costrinse a fermare l’auto.
#La troietta è affamata!
Fui costretto a rileggere quelle parole più volte. Dario non aveva mai parlato di mio fratello in quel modo, e certamente non con me.
#Che cazzo stai dicendo?!?
#Quasi non mi ha lasciato entrare in casa, mi è letteralmente saltato addosso.
#Ora cosa sta facendo?
Gli chiesi qualche secondo dopo, i miei pensieri correvano veloci, e inconsciamente avevo già ideato un piano.
#Gli ho detto che non sarebbe successo mai più nulla tra noi e l’ho mandato di sopra, ora sta facendo la doccia ma credo che non si sia arreso.
A quel punto qualcosa si fece definitivamente strada dentro di me e decisi di chiamare Dario e spiegargli quello che avevo in mente. Era incredulo, ma alla fine non si fece pregare, per niente.
Feci inversione e parcheggiai l’auto nei pressi del parco dove avevo sorpreso Marco e Alessio la prima volta. Continuavo a fissare l’orologio dell’auto e quello del telefono ogni pochi secondi. Ero ansioso, nervoso ed eccitato. Tutto quello su cui non avevo quasi avuto il coraggio di fantasticare nelle ultime settimane stava finalmente per diventare realtà.
Come da accordi, dopo venti minuti, il segnale acustico di un messaggio in arrivo riportò tutta la mia attenzione sullo schermo del telefono.
Nel video era inquadrato Marco completamente nudo, bendato e in ginocchio. Dario gli schiaffeggiava il viso con il cazzo, facendolo gemere di piacere.
«Di al mio amico quello che vuoi, frocio!» Sentì dire dalla voce del mio migliore amico, fuori campo.
Marco alzò la testa e rispose senza scomporsi. «Ti prego, ho bisogno anche del tuo cazzo!»
Il video durava ancora pochi secondi nei quali Marco cercava di raggiungere il cazzo di Dario con le labbra. Come un uccellino affamato verso il becco dei genitori.
Uscii dalla macchina e andai verso casa. Non avrei dovuto preoccuparmi che qualcuno mi vedesse entrare in casa mia, eppure mi guardai intorno prima di entrare. Esitai davanti alla porta, presi un respiro profondo e girai piano la maniglia. Sapevo che mi aspettavano entrambi, eppure mi sembrava quasi di entrare di nascosto, come se stessi facendo qualcosa che non avrei dovuto fare.
Una volta entrato, le mie orecchie furono inondate di grugniti e gemiti provenienti dal piano di sopra. Mi tolsi le scarpe e salii le scale. Avevo il cuore in gola. Ero sicuro che loro invece non fossero preoccupati, li sentivo ansimare mentre oltrepassavo l’ultimo gradino.
Erano i rumori inconfondibili di qualcuno che succhia un cazzo. Sentii Dario lamentarsi, e improvvisamente Marco che sembrava soffocare.
Arrivato davanti alla porta della mia stanza Dario si girò e mi sorrise.
La scena di fronte a me mi riportò alla mente qualcosa che avevo già vissuto. Davanti a me c’era Marco in ginocchio di fronte a un ragazzo grosso il doppio di lui con un cazzo enorme che scorreva dentro e fuori dalle sue labbra arrossate. Riuscivo a vederlo respirare dal naso per accogliere quell’asta il più possibile dentro la gola.
«Sei pronto per il tuo secondo cazzo, frocio?» Gli chiese Dario lasciando uscire per un attimo la sua asta dalla gola del mio fratellino.
Capitolo VI
Davanti a me, in ginocchio di fronte al mio migliore amico, c’era Marco bendato e con un cazzo enorme che scorreva tra le sue labbra arrossate. Respirava rumorosamente dal naso per riuscire a prendere quanto più possibile di quell’asta in gola.
Dario gli teneva una mano sulla nuca e quando mi vide sulla soglia sorrise mentre faceva scivolare anche gli ultimi centimetri di cazzo in bocca al mio fratellino, tenendolo premuto a sé per qualche secondo.
«Sei pronto per un altro cazzo, frocetto?!» Chiese a Marco, liberandolo momentaneamente dalla sua stretta. Una scia di saliva univa la cappella alle labbra socchiuse.
«Si! Si, usatemi vi prego!» Rispose Marco in tono lamentoso rivolgendosi ad entrambi. Ignaro che l’amico di Dario fossi proprio io, suo fratello maggiore.
Lo fissai rapito. Aveva le labbra gonfie e arrossate e il mento ricoperto di saliva e presperma. L’odore nella stanza era inebriante. Ad un cenno di Dario mi feci avanti e iniziai a togliermi la maglietta, afferrai Marco per la nuca spingendo il suo viso sui miei addominali, mentre le sue mani iniziarono ad esplorare il mio corpo senza bisogno di alcun incoraggiamento. Emise persino un gemito soffocato, a dimostrazione che apprezzava.
«Pregalo di fartelo succhiare, stronzetto!» Gli ordinò Dario.
«Ti prego, usami come vuoi, è questo che mi piace, ti supplico!» Gemeva senza ritegno e non dubitai per un secondo che fosse la pura verità. Il suo tono e le sue azioni non lasciavano spazio all’interpretazione.
«Che frocio!» Ringhiai, rendendo ancora più profondo il mio tono di voce. Speravo che fosse sufficiente a mascherare la mia identità.
Esitai qualche secondo per capire se mi avesse riconosciuto, ma tutto quello che sentii da lui furono gemiti lamentosi e impazienti. Allora lo afferrai nuovamente per la nuca e gli spinsi il viso all’altezza del mio inguine rigonfio.
Marco inspirò rumorosamente e mi baciò il cazzo ancora coperto dai pantaloni, non poteva aspettare e iniziò a rosicchiarne la stoffa con impazienza. Guardai Dario che si era inginocchiato dietro di lui e si masturbava lentamente mentre massaggiava e stringeva il sedere di Marco facendolo rabbrividire.
Gli sorrisi complice e mi slacciai la cintura tirando giù i pantaloni. Marco gemette soddisfatto e un attimo dopo affondò il naso nei miei slip. Attraverso la stoffa sottile seguì il profilo dell’asta già dura come una roccia fino alla punta che sporgeva dal bordo e ci si attaccò iniziando a succhiare come se la sua vita dipendesse da questo.
«È così grosso! Ti prego, dammelo!» Mi implorò.
Tirai fuori il cazzo dagli slip e anche Dario che era inginocchiato a pochi centimetri rabbrividì. Mi sentivo un dio. Afferrai il mio cazzo e lo sbatacchiai sul viso di Marco alcune volte, mi piaceva il suono che faceva a contatto con sua pelle. Lo appiattii sul suo viso e notai che lo superava di tutta la lunghezza, e allora mi eccitai ancora di più.
Marco aveva iniziato subito a leccarmi la base dell’asta e proprio in quel momento capii per davvero perché nessuno riusciva a resistergli. La sua fame e il suo desiderio erano contagiosi e in un modo o nell’altro finivano per prendere il sopravvento sulla ragione.
Riportai lo sguardo su Dario, gli aveva abbassato gli slip e faceva scorrere le dita sul buco di mio fratello, massaggiandolo. Il contrasto tra la pelle delicata di Marco e la muscolatura possente del mio amico attizzò ulteriormente il mio desiderio. Poi Dario gli diede una sonora sculacciata.
«Oh… si! Ti prego continua così!» Gemette Marco mentre Dario continuava a massaggiargli il buchetto.
Intanto Marco iniziò a sfregarsi la mia cappella bagnata di umori sulle labbra, e quando una goccia di presperma le bagnava la leccava subito via. Lo afferrai per la nuca e spinsi la mia asta nella sua bocca fino in fondo. Tossì, impreparato all’assalto che gli stavo dando ma ormai non mi importava più, se era questo ciò che voleva, era esattamente quello che gli avrei dato.
«Prendilo, frocio!» Grugnii, continuando a camuffare la voce.
I gemiti di Marco erano musica per le mie orecchie. Continuai a stringergli la nuca mentre gli scopavo la gola. Le sue labbra erano tese sul mio cazzo, e la sua mano sembrava a malapena in grado di avvolgere l’asta.
Uscii dalla sua bocca calda e umida quando vidi Dario rialzarsi alle sue spalle. Lo guardai perplesso chiedendomi che cosa avesse in mente e lui mi fece l’occhiolino prima di tornare a concentrarsi su Marco.
«Alzati, frocetto, voglio farti il culo sul letto di tuo fratello!» Gli disse guardando me negli occhi. Rimasi a bocca aperta, senza sapere cosa dire. Il mio migliore amico aveva un sorriso complice stampato in faccia, anche lui si stava godendo appieno quanto fosse sbagliata tutta questa situazione. E io ero così perso nel piacere che ormai non mi importava più di nulla. Così fissai Marco in attesa della sua risposta.
«No, ti prego! Non possiamo, se ne accorgerà se mi scoperai sul suo letto!» L’espressione di piacere sul suo viso si dileguò all’istante. Adesso sembrava preoccupato e un po’ nervoso.
«Non te l’ho chiesto, finocchio, e ora alza il culo!» Gli ordinò Dario.
Marco obbedì e si alzò con le mani tese in avanti, Dario lo afferrò per una spalla e lo guidò sul mio letto. Mentre si alzava notai la piccola tenda nei suoi slip, tuttavia quando finalmente si girò verso il letto constatai una volta per tutte che quello che gli mancava davanti lo compensava certamente didietro.
Non riuscii a trattenermi dal colpirlo sul sedere tondo e sodo per poi stringerlo nella mia mano, facendolo gemere ancora. Una volta sul letto Dario fece piegare in avanti mio fratello e riprese posizione dietro di lui.
«Ti eccita sapere che ti scoperemo sul letto di tuo fratello? Scommetto che gli daresti il culo se te lo chiedesse! Non è vero?!» Gli chiese sottolineando la sua domanda con una sculacciata.
Avevo appena iniziato a masturbarmi lentamente e fui costretto a bloccarmi in attesa della sua risposta.
«Si! Si, sento il suo odore qui! Ti prego, non resisto più, scopami!» Lo implorò Marco, spingendo il culo contro di lui.
Sentirlo parlare di me in quel modo rischiò seriamente di mandarmi oltre il bordo. Andai al mio cesto della biancheria sporca e recuperai gli slip con cui lo avevo sorpreso poco prima di uscire. Tornai velocemente da loro e sollevai la testa del mio fratellino tenendolo per i capelli con una mano mentre con l’altra gli premetti sul naso e la bocca la biancheria che avevo indossato per tutto il giorno. Marco emise un sospiro di piacere e iniziò a respirare rumorosamente attraverso la stoffa, come inebriato.
In quel momento Dario allineò il suo cazzo al buco poggiandoci sopra la cappella ma senza entrare. Marco era impaziente e cercava di convincerlo a penetrarlo spingendosi sull’asta, ma Dario si stava solo divertendo a stuzzicarlo e la troietta iniziò a lamentarsi sommessamente senza mai sollevare il naso dai miei slip sudati. Il mio amico gli teneva le natiche divaricate con le mani, poi chinò in avanti la testa e sputò sul buchetto un attimo prima di iniziare a penetrare dentro mio fratello.
Dario mi sorrise soddisfatto mentre afferrava Marco per i fianchi e allora iniziò a spingere dentro e fuori dal buco teso al limite. Lo penetrava completamente per poi uscire del tutto e ogni volta che lo tirava fuori tutto quello che vedevo era un buco aperto e pulsante. Marco gemeva rumorosamente, pregando Dario di andare più veloce e non fermarsi. Il mio cazzo era duro come non mai, pulsante di piacere e impaziente. Non osavo toccarmi per timore di venire prima di fare quello che desideravo più di ogni altra cosa.
«Preparati finocchio, sto per sborrare!» Ruggì Dario qualche minuto dopo accelerando le spinte.
Marco gridò di piacere sentendo Dario scaricarsi dentro il suo buchetto voglioso. Sentivo il forte odore di sesso nella mia stanza ed ero in paradiso. Quel culo doveva essere mio. Non mi importava che fosse ancora allargato e pieno dello sperma di un altro uomo, dovevo scoparlo.
Dopo l’orgasmo Dario uscì dal culo di Marco con un suono di risucchio udibile. Mi spostai accanto a lui per ammirare la sua opera. Lo sperma stava già iniziando ad uscire e il buchetto era arrossato e pulsava leggermente.
Non potevo aspettare un attimo di più e senza dargli il tempo di riprendersi conficcai il mio cazzo dentro mio fratello.
Marcò emise un lungo gemito lamentoso mentre spingevo la mia asta fino in fondo. Anche se il mio cazzo era più grosso di quelli a cui era abituato rimasi comunque sorpreso di quanto fosse stretto e caldo e umido il suo buchetto che sembrava volesse stritolarmi risucchiandomi al suo interno. Allora strinsi i suoi fianchi tra le mani e iniziai a scoparlo con foga.
Dario si avvicinò al suo viso e lo afferrò per la nuca costringendolo a sollevare la testa.
«Apri la bocca, frocio!» Gli ordinò.
Senza esitare, Marco dischiuse le labbra e Dario ci fece scivolare dentro il suo cazzo intriso di sperma, facendosi ripulire.
Dopo averlo scopato per qualche minuto da dietro, mi tirai indietro e lo feci girare a pancia in su. Gli sfilai gli slip semiabbassati e notai che doveva essere venuto mentre Dario lo scopava perché erano schizzati di sperma. Gli feci sollevare le gambe e le allargai, poi mi chinai su di lui e lo penetrai nuovamente con foga. Marco ansimava continuando a chiedermi di più.
«Ti prego, non fermarti, scopami, ti prego!» Mi implorava.
Dario mi guardò e fece l’occhiolino. Non disse nulla ma il suo sguardo era piuttosto eloquente: te lo avevo detto!
Ricambiai il sorriso stringendo le gambe di Marco mentre martellavo il mio cazzo dentro e fuori dal suo buco.
«Di al mio amico quanto sei troia!» Disse Dario.
«Non ci posso fare nulla, mi piace il cazzo! Mio fratello mi ha scoperto ma non riesco a fermarmi. Annuso la sua biancheria quando lui non è a casa e una volta l’ho sentito masturbarsi e subito dopo ho leccato lo sperma dalla sua biancheria mentre si faceva la doccia.» Dichiarò Marco con certo orgoglio, tra i gemiti.
Il mio cuore saltò un battito, sospettavo da tempo che frugasse nella mia biancheria e quella sera ne avevo avuto la conferma, ma non avevo idea che si fosse spinto fino a leccare via il mio sperma da un paio di slip. Non c’era bisogno di altre conferme, la troietta mi desiderava forse anche più di quanto io volessi lui. Mi assicurai di lasciare solo la cappella dentro di lui poi spinsi fino in fondo con un colpo secco. Tutte le mie ragazze si lamentavano quando lo facevo a loro, e volevo che il mio fratellino avesse tutto quello che potevo offrirgli. Eppure Marco non fece una piega e in realtà credo che non ne avesse mai abbastanza.
Mi asciugai la fronte con il dorso della mano, grondavo di sudore - anche addosso al corpo di Marco. Tutto questo era meglio di qualsiasi fantasia avessi mai avuto su di lui. Mi chinai in avanti, poggiando le labbra sui suoi piccoli capezzoli rosa, iniziando a succhiarli leggermente e lui si lamentò di piacere, contorcendosi. I suoi gridolini acuti riempirono la stanza. Non mi importava che qualcuno potesse sentirci, ero sull’orlo dell’orgasmo e niente e nessuno avrebbe potuto fermarmi.
Mi lasciai cadere sul letto di lato trascinando Marco sopra di me. Portai le sue mani sul mio petto come supporto e lo afferrai per i fianchi, con una presa salda. Lo guidai su e giù, imponendogli un ritmo serrato. Avevo quasi dimenticato che Dario fosse lì, fino a quando non si fece più vicino, incoraggiandomi.
«Si, amico mio, sfonda il frocetto, rompigli il culo!» Sospirò al mio orecchio, ricominciando a masturbarsi lentamente.
«Ti prego, si, riempimi il culo di sborra!» Gridò Marco un attimo dopo, mandandomi letteralmente fuori controllo.
Spinsi con i fianchi, premendo l’intera asta dentro di lui. Sentii le mie palle contrarsi e il cazzo pulsare ferocemente mentre scaricavo una sborrata colossale nel buco accogliente del mio fratellino. E allo stesso tempo lui gridò di piacere stringendosi forte a me.
Restammo così, senza fiato, sudati e con il cuore che batteva all’impazzata.
«Bel lavoro, troietta, e adesso preparati ad ingoiare il mio sperma!» Disse Dario raddrizzando la schiena, inginocchiato accanto a me. Un attimo dopo lo vidi schizzare sulla lingua distesa di Marco che inghiottì con piacere ed evidente soddisfazione. Poi Marco ricadde sul mio petto, esausto e io lo riabbracciai stretto, avvolgendolo tra le mie braccia. Aveva le labbra arrossate e scosse da un leggero tremito mentre il mio cazzo che oramai si stava sgonfiando lentamente usciva dal buco. Il suo respiro si era fatto lento e regolare, segno che probabilmente si era addormentato e presi ad accarezzarlo continuando a stringerlo tra le mie braccia.
Qualche minuto dopo, lo liberai cercando di farlo scivolare sul mio letto il più dolcemente possibile. Quando riuscii ad alzarmi però sentii la sua voce.
«Adesso posso togliere la benda?» Chiese innocentemente.
«No!» Ringhiai rapido, sperando di aver alterato a sufficienza il mio tono di voce.
«Va bene, è che non voglio che mio fratello mi scopra,» disse. «Voglio continuare a fare sesso ma se ci scopre non lo potrò più fare.»
Che troia, dopo quello che gli avevamo appena fatto pensava già alla prossima scopata.
Mi avvicinai e gli sussurrai all’orecchio. «Quando senti la porta chiudersi, la puoi togliere.» Lui annuì convinto.
Raccolsi i miei vestiti e prima di uscire dalla mia stanza vidi Marco annusare la mia biancheria intima e iniziare a masturbarsi. Ringraziai silenziosamente Dario, poi uscii chiudendomi la porta alle spalle.
Mi ritrovai a sorridere tra me nella penombra del corridoio, pienamente soddisfatto. La nostra prima scopata era stata eccezionale, ed ero certo che la prossima volta sarebbe stata ancora meglio!
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DECRETO NATALE/ Come mai Governo e Cts “ignorano” la nostra Caporetto economica?Pubblicazione: 20.12.2020 -
ECONOMIA E FINANZA
Federico Pirro
Dopo giorni di discussioni interne, il Governo ha varato nuove restrizioni per il periodo natalizio che hanno pesanti ripercussioni economiche
Lapresse
La linea e le scelte dall’Esecutivo per il nuovo lockdown previsto per le festività natalizie non ci persuadono mentre – come ormai denunciato dalle associazioni di categoria più numerose – risultano purtroppo insoddisfacenti e rischiano di essere tardivi i ristori per quelle attività che hanno già sofferto e dovranno subire ancor più duramente nelle prossime settimane gli effetti delle misure governative.
Premesso che si è ovviamente tutti d’accordo sulla necessità di fermare drasticamente la diffusione dei contagi, e che deve essere universale la riconoscenza da portarsi al personale medico e paramedico impegnato (sino allo stremo) negli ospedali, la domanda che ci si pone è la seguente: ma possono essere assunte misure destinate ancora una volta a incidere pesantemente oltre che sulle libertà individuali, anche sulla tenuta economica e sociale di grandi aree urbane dell’intero Paese, solo in relazione al numero di posti letto disponibili nelle terapie intensive e più in generale in rapporto alla “pressione” che la pandemia finisce con l’esercitare sulle strutture sanitarie del Paese ? La risposta, non solo dello scrivente, ma di tante autorevoli personalità, è decisamente no.
No, per varie ragioni: la prima rimanda al quesito se sinora siano state fatte rispettare (rigorosamente) in ogni zona del Paese tutte le misure disposte a suo tempo e sempre riconfermate per ridurre i contagi, dall’uso sistematico delle mascherine al divieto di assembramenti là dove più evidenti o più probabili, sino ai divieti di spostamenti quando stabiliti. Inoltre, le Usca – Unità sanitarie di continuità assistenziale preposte all’assistenza domiciliare dei contagiati, la cui stragrande maggioranza è fortunatamente asintomatica o paucisintomatica – in quali regioni e in che numero sono state costituite e sono realmente ed efficacemente operative? Da quanto riportato da autorevoli quotidiani sembrerebbe che la loro copertura del territorio nazionale sia stata sinora molto lacunosa. Ma il ministro “rigorista” della Salute Roberto Speranza è in grado di accertarlo con assoluta chiarezza mediante report periodici da richiedersi e farsi inviare (perentoriamente) dagli Assessorati regionali alla sanità? Assessorati i cui comportamenti su questo e altri aspetti del loro operato per il contrasto alla pandemia sarebbero verificabili, oltre che dai rispettivi consigli regionali, anche (se del caso) mediante l’invio di Ispettori dal Ministero.
E un protocollo terapeutico nazionale anti-Covid in uso da parte dei medici di famiglia per i pazienti che sono in isolamento domiciliare fiduciario – se pure come ci è stato comunicato risulta essere stato (tardivamente) definito – è poi realmente applicato nelle sue prescrizioni? E ne è compiuta una verifica di efficacia, quando ogni giorno ci si comunica il numero dei guariti? E con l’uso di quali terapie e in quanto tempo lo sono diventati? O ai primi sintomi non gravi molti contagiati vanno in ospedale solo perché i medici di famiglia non riescono a contattarli neppure per telefono?
E di tutti coloro che, invece, scompaiono fra la costernazione condivisibile e lo strazio inconsolabile dei loro cari si riesce a sapere con sistematicità se il Covid si è aggiunto con effetti infausti a gravi morbilità pregresse? L’Istituto Superiore di Sanità con l’ausilio dell’Istat esamina sempre tutte le cartelle cliniche dei deceduti? In realtà, il numero delle vittime comunicatoci ogni giorno, che pure ci lascia sgomenti, non ci dice molto se non accompagnato da una periodica rilevazione scientifica delle cause e concause dei decessi.
Tralasciamo ora di commentare il bailamme cui per settimane abbiamo assistito sulle varie tipologie di tamponi e la loro maggiore o minore efficacia diagnostica, e sulle strutture pubbliche, private, ospedaliere, militari, preposte a eseguirli e sugli assembramenti verificatisi in alcune aree del Paese per i necessari prelievi. Così come ignoriamo volutamente per un attimo la violenta querelle accesasi sino al 20 settembre e tuttora in corso sull’apertura o meno delle scuole e sui banchi monoposto e a rotelle necessari per consentirla in sicurezza: banchi peraltro che in 4 milioni di pezzi sono stati costruiti dalle ditte chiamate a realizzarli, con una spesa elevata per lo Stato committente. Così come tralasciamo di commentare – commentandosi in realtà da sole perché non di rado in contrasto fra di loro – le quasi quotidiane apparizioni in tv e le dichiarazioni alla stampa di intere legioni di virologi, epidemiologi e infettivologi, in alcuni casi visibilmente affetti da compiaciuto narcisismo verbalmente incontinente, e concentriamoci ora sugli effetti socioeconomici della strategia (parola grossa) anti-pandemia messa in campo dal Governo che, com’è stato più volte sottolineato, oltre a non utilizzare sinora le risorse del Mes – a proposito è colpa di bar e ristoranti se ciò non è avvenuto? – è sembrata più volta a inseguire gli eventi che non a prevenirli il più possibile, con comportamenti ondivaghi e contraddittori e decisioni che potrebbero rivelarsi dall’esito economicamente e socialmente catastrofico.
Mentre fra febbraio e aprile il Paese si è trovato di fronte a un evento ritenuto imprevedibile – anche se poi si sta verificando nelle sedi competenti se, come e quando sia stato effettivamente aggiornato il vecchio piano anti-pandemia del ministero della Salute – e la strategia dei bonus a pioggia ha cercato di tamponare con progressivi scostamenti di bilancio una situazione imprevedibilmente drammatica, da ottobre in poi – rileggendo con un minimo di distanziamento temporale le disposizioni via via assunte dal Governo – è netta l’impressione di trovarsi di fronte a improvvisazioni continue, cui peraltro sin dal maggio scorso aveva cercato di porre un qualche argine il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che, sempre più preoccupato dell’andamento del debito pubblico, dapprima ha cercato – silenziosamente, per intuibili ragioni legate all’andamento dello spread e delle aste sui titoli di Stato, sia pur con acquisti assicurati dalla Bce – di porre un qualche argine con una serie di misure specifiche per il rilancio economico fatte approvare in consiglio dei Ministri e poi incoraggiando con insistenza il sistema produttivo nazionale nella forte ripresa del terzo trimestre dell’anno.
Oggi, però, e per i prossimi mesi, la situazione della finanza pubblica italiana – è inutile nasconderselo – non consentirebbe ulteriori interventi di ristoro a chicchessia, anche perché, come sanno gli osservatori più attenti, è nascosta una bomba a orologeria sotto la montagna del debito costituita dal rischio che i prestiti ottenuti da larga parte delle imprese italiane nei mesi da marzo a giugno, e garantiti totalmente o largamente dallo Stato, non vengano più restituiti neppure a medio termine da aziende ancora in difficoltà costringendo così il Mef a ristorarli alle banche con un ulteriore, spaventoso e forse insostenibile incremento dell’indebitamento.
Allora, sono consapevoli i Ministri rigoristi – soprattutto i due del Pd (Boccia e Franceschini) che (inspiegabilmente per chi scrive) sembrano fare a gara a chi più sollecita e annuncia misure di lockdown duro (definite da qualcuno da “aguzzini di governo”) – che la situazione economica ci sta portando come ha detto Mario Draghi, riferendosi peraltro all’economia di tanti altri Paesi, sull’orlo del precipizio? E non dice proprio nulla ai Ministri rigoristi e al Cts che li consiglia il dramma di centinaia di migliaia di persone che hanno già perduto il lavoro – spesso precario e in nero, certo, ma comunque pur sufficiente per tirare a campare – e che oggi sono assistiti da Milano alla Sicilia dal grande cuore materno della Caritas e di altre Associazioni religiose cui non saremo mai abbastanza grati per come stanno assistendo i nuovi disperati del nostro Paese?
E voi, amici lettori, avete mai ascoltato almeno una parola di comprensione per il cupo dramma occupazionale e sociale in corso in Italia, nelle dichiarazioni dei professori (ben retribuiti) del Comitato tecnico scientifico, dei componenti dell’Istituto superiore di sanità o del Consiglio superiore di sanità, tutti ben remunerati e supergarantiti di Stato? Ma saranno forse loro a rispondere, anche in termini elettorali, dei provvedimenti restrittivi consigliati già a partire dalle prossime elezioni amministrative che, salvo rinvii, si svolgeranno nella prossima primavera a Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli? Rinnovi di Sindaci e di consigli comunali, nelle cui campagne elettorali è presumibile che possa rivelarsi quasi proibitivo per i partiti oggi al governo andare a chiedere il voto a chi sta subendo sulla propria pelle e nelle proprie aziende danni devastanti e forse irreversibili.
Insomma, mentre partiti ed esponenti di Governo litigano sugli obiettivi ancora indefiniti e le modalità di gestione delle risorse del Recovery fund, e mentre si stanno rivelando tutte le carenze del Sistema sanitario nazionale – in cui pure non mancano tante eccellenze strutturali e professionali – interi settori dell’economia italiana già duramente provati dal primo lockdown, e che non sono certo responsabili di quanto richiamato in precedenza, con le ultime misure governative per le festività natalizie rischieranno di essere mandati al massacro economico che non potrà certo essere lenito in misura significativa da alcun ristoro.
Qualche esperto di storia tardorisorgimentale italiana ha ricordato le decisioni del generale Cadorna che nella Prima guerra mondiale mandava a morire migliaia e migliaia di soldati nelle sanguinose battaglie dell’Isonzo che si concludevano sempre con perdite spaventose e senza o con irrisorie conquiste territoriali. Ma dopo Caporetto Cadorna venne rimosso dal comando supremo dell’Esercito italiano. Certo, questo paragone fra Cadorna e gli attuali “strateghi anti-pandemia” ci sembra decisamente forzato, lo riconosciamo, ma a prima vista non è privo di una sua sinistra suggestione.
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