#decreti Berlusconi
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[r] _ post-1968 o post-1974? forse la domanda ha senso
leggere questa intervista ad E. Donzelli è a mio avviso importante, per vari motivi, anche come addendum non secondario a un suo precedente intervento, che si può trovare qui: https://t.ly/sTgY. tuttavia segnalo, allo stesso tempo, un punto di dubbio per me cruciale, non solo in riferimento a un discorso sulla poesia contemporanea. riguarda l’idea di una possibile uniformità o somiglianza di…
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“Tornando a B., gli manca l’organo della vita intellettuale, etica, estetica. In compenso ha un apparato percettivo e motorio adatto alla caccia: animale monstre, del genere caimano o squalo, diversamente dai quali allarga le ganasce nel riso, scherza, parla come le fontane buttano acqua, suona, balla; e l’ascendente ilare moltiplica le prede. Laurea tardiva in legge, imprese edili, bilanci opachi, girandole societarie, affari via via più grossi. Viene su a coups de main. Uno è l’acquisto della principesca villa d’Arcore dall’unica erede Casati Stampa: costa poco, quasi niente; mediava la compravendita un avvocato, già protutore dell’alienante, sulla cui testa peseranno condanne penali perché gli compra favori giudiziari (così sedici anni dopo, diventa editore dominante, padrone della Mondadori); e lì, a Villa San Martino, s’insedia uno pseudostalliere, boss mafioso, restandovi due anni. Sta a pennello nella P2. Sinora era storia d’ordinario affarismo. Quando la Consulta schiude l’etere ai privati abolendo il monopolio statale, irrompe e divora i concorrenti. L’arma è una gestione stregonesca: soap-opere, vaudeville sguaiato, lotterie, giochi, un allegro mondo finto dove la fortuna sta dietro l’angolo; niente che affatichi i neuroni, lasciamoli dormire (la Rai manda in onda Omero, Flaubert, Tolstoj o simili barbose pappolate); così cattura l’audience e rastrella pubblicità. La Corte postulava dei limiti. Come non detto, e quando dei pretori tentano d’imporli, gli presta man forte Bettino Craxi, presidente del Consiglio dettando scandalosi decreti. L’operazione costa un occhio ma ne valeva due. Giulio Andreotti vara una legge Mammì che lo consacra duopolista: cinque ministri democristiani tentavano d’impedire l’abuso dimettendosi, impassibile, li sostituisce d’un colpo. La cadente Repubblica era corrotta nelle midolla: gliele mangiavano consorterie fameliche, quindi odiose agl’imprenditori; un’inchiesta penale innesca la spirale; e finiscono travolte. Nel vuoto entra lui, fingendosi uomo nuovo in polemica col professionismo politico parassitario del quale è figlio: gl’ignari lo vedono liberal-liberista, pragmatico, semplificatore; accorrono dei chierici delusi dal vecchio establishment. Vari segni destano sospetti: ad esempio, l’inno, talmente volgare da non attecchire; quel sorriso digrignato ha l’aspetto fisso delle maschere; l’Ego gli cade da ogni parte. Vinta la partita elettorale, figura male al governo, com’era prevedibile. Gli mancano qualità organiche: la cura degl’interessi altrui in prospettive lunghe implica distacco dall’Io; lui vi sta avviluppato, un pitone nelle spire; era affarista da preda, tale rimane, insofferente d’ogni regola. Non è il suo mestiere: dura solo sei mesi ma disponendo d’un ordigno formidabile, l’adopera senza scrupoli, sul presupposto che lo spettatore medio, frollato al punto giusto, abbia l’età mentale d’undici anni, e dipenda solo dallo stregone abbassarla ancora; dopo sedici mesi d’interregno, raccoglie più voti del cartello avversario, perdendo nei Collegi uninominali. Sul campo è l’antipode del capitalista weberiano. Imprenditore? No, impresario d’una lobectomia collettiva e scorridore d’affari: pratica ridendo menzogna sistematica, fraudolenta quando occorre, arte del corrompere, plagio spietato; predatore-barzellettiere dai riflessi infallibili, non patisce fisime inibitorie né perde tempo in fatiche mentali; nel suo genere combina mirabilia. Qui viene utile la scienza del viso: il catalogo medievale degl’indizi include soprannomi e mala physiognomia; le icone berlusconiane, meticolosamente curate dagli addetti, dicono tutto”. Così , su #Berlusconi, Franco Cordero (quanto ci manca oggi), ricordato e riproposto da Duccio Facchini e @altreconomia
via @tomasomontanari
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Penso tu sia un po' troppo idealista. Spazzare via riforme e decreti non è come spazzare via la polvere dal pavimento. Ci sono iter da rispettare. La politica è fatta di giochini, di accordi, ricordati che il vitalizio ai parlamentari è tornato perché qualcuno si è politically correct astenuto anziché votare "no". Che tutti pensavamo che il fascismo non sarebbe mai tornato dopo il 1946, eppure. E Berlusconi al confronto di questi era grigio sbiadito. Per questo semmai è da augurarsi che non facciano troppi danni, mica che ne facciano così tanti che poi nessuno li vorrà più, non funziona così, i danni li fanno a noi, a qualcuno vicino a noi, prima di raccogliere i cocci dovranno passare chissà quante legislature.
Sarò pure idealista, ma anche tu sei troppo più pessimista di me (ed è raro eh).
Prima di tutto: il fascismo non c'è ancora, quindi calmati. Le premesse non sono buone, perché questi sono chiaramente fascistoni, lo vedo anche io con i miei occhi, ma per favore rimaniamo con gli occhi vigili piuttosto che cominciare a gridare al lupo che poi quando viene il lupo nessuno ci crede.
Non ho parlato di spazzare via le leggi né ho detto che sia facile, ma se l'opposizione alle prossime elezioni si mostra compatta come lo è stata la destra a questo turno, prendendo gran parte del parlamento e del senato, non vedo dove sia la grande difficoltà a rimuovere le leggi nello stesso tempo in cui sono state approvate ste scemità di leggi contro la carne coltivata e la GPA. Ti faccio notare che farlo il prima possibile sarebbe anche una forma di pubblicità politica che sicuramente si metterebbero a sciacquarsi la bocca di belle frasi condite come:"Finalmente abbiamo eliminato queste leggi assurde e dato finalmente ai cittadini la possibilità di esercitare i propri diritti blablabla". Quindi ci sarebbe tutto l'interesse a farlo, senti a me.
Questo, ovviamente, se l'opposizione si mette a fare quello che deve fare piuttosto che continuare a fare stronzate come hanno sempre fatto.
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PAGELLE PER BUROCRATIZZARE LA MAGISTRATURA
di Redazione Il Consiglio dei ministri ha votato ieri due decreti sulla giustizia in continuità con la riforma varata dalla ex ministra Cartabia dietro cui si vede la mano di Gelli e del suo iscritto Berlusconi. Per commentarli vale la pena di riprendere le parole del consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo, intervistato a Gr Radio Rai in occasione del voto del 2022 alla Cartabia, che a suo…
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Tajani: “Armi e sanzioni, l’Italia resta al fianco di Kiev. Ma per ora no a nuovi decreti”
Intervista al ministro degli Esteri: “Le critiche a Zelensky? Berlusconi ha parlato a titolo personale e la linea del partito in Parlamento e in Europa non è cambiata” source
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#aggiornamenti da Italia e Mondo#Mmondo#Mmondo tutte le notizie#mmondo tutte le notizie sempre aggiornate#mondo tutte le notizie
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Quirinale, Draghi è una minaccia non una risorsa Ma davvero nel palazzo della politica l’alternativa da incubo è tra Berlusconi o Draghi Presidente della Repubblica? Sul primo c’è poco da discutere, visto che è chiaro a tutti il paradosso di una candidatura di facciata che nasconde accordi sottobanco. La questione vera è legata a Draghi. La sua salita al Colle sarebbe una vera jattura per gli assetti democratici del paese. Il tanto criticato D’Alema, nel suo intervento di qualche giorno fa, lo ha ricordato efficacemente: “L’idea che il premier si autoelegge capo dello Stato e nomina un altro funzionario del Ministero del Tesoro al suo posto mi sembra una prospettiva non adeguata a un grande paese democratico come l’Italia”. E invece la prospettiva è saldamente in campo. Il premier dalla maggioranza parlamentare più ampia della storia repubblicana, mai votato e mai voluto, se non nelle redazioni dei giornali e nei salotti delle elites, è arrivato a Palazzo Chigi dopo un operazione che ha esautorato la politica come corpo intermedio nel processo decisionale. Ed è per questo che Supermario gode di una immunità mediatica straordinaria che gli evita qualsiasi addebito: in pochi mesi ha letteralmente colpito le finanze degli italiani attraverso una politica economica che ha continuamente contratto i diritti e le opportunità verso il mondo del lavoro e al contempo ha elargito regali a profusione verso il mondo di Confindustria, brandendo lo strumento dell’austerità senza nominarla mai direttamente. Il suo governo, fiuori dalla propaganda sui media, non ha opposto nessuna misura straordinaria alla spirale in crescita dei prezzi internazionali delle materie prime; ha regolato le delocalizzazioni invece di ostacolarle, ha tolto i limti agli stipendi dei supermanager della pubblica amministrazione, ha schierato l’Italia nel fronte pro-nucleare all’interno della discussione europea, ha spostato i soldi delle bonifiche dell’Ex Ilva sequestrati ai Riva ai progetti di sviluppo della nuova proprietà. Senza parlare della gestione della pandemia, con una serie di decreti a raffica che si smentiscono tra loro. Nessun diritto sociale dal suo governo ne è uscito rafforzato, anzi. Ora la sua ombra si staglia sul Quirinale ma c’è una questione di decoro istituzionale che, in maniera diversa dal caso Berlusconi, è ugualmente inconcepibile: un Presidente del Consiglio che non è mai passato per nessuna elezione nella sua carriera pubblica non può diventare Presidente della Repubblica. Significherebbe azzerare il ruolo della politica e dei partiti definitivamente a favore delle elites senza più alcun camuffamento. Draghi non perde occasione per rimarcare la sua insofferenza alla mediazione e alla costruzione di una linea politica, dove l’interlocuzione è ridotta a esercizio scolastico in favore del “fare”. Un uomo così non può proiettarsi verso la presidenza della Repubblica, ha già cumulato un potere eccessivo e sbilanciato per consentirgli di andare al Colle, dove renderebbe operativa la Repubblica Presidenziale in sfregio alla Costituzione e agli italiani. Marquez per Kulturjam
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Vi ricordate quando quel coglione di Travaglio dava ad intendere che Berlusconi fosse un dittatore perché faceva i decreti legge?
😍🤡😍🤡😍
@Edwin_P_Bubble
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LETTERA APERTA AI LEADER POLITICI di Enrico Mentana
Cari Vito Crimi, Nicola Zingaretti, Matteo Renzi, Roberto Speranza, Emma Bonino, Carlo Calenda, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni, Mi rivolgo a voi perché siete i leader delle forze politiche rappresentate in parlamento (e i primi quattro di quelle che sorreggono il governo).
Da cittadino, prima ancora che da giornalista con responsabilità editoriali vorrei trasmettervi il mio profondo sconcerto e la mia preoccupazione per quello che NON sta accadendo.
Mi spiego. Sono sei mesi, da quando si è esaurita la prima ondata della pandemia, che sento parlare di "Progettare il Rilancio". Era proprio quello il titolo dei famosi Stati Generali del governo.
Mi illudevo, come tanti altri, che la situazione di drammatica gravità attraversata dal Paese rendesse necessario un confronto sul futuro, col coinvolgimento di tutte le forze politiche, sociali e culturali, con una presa di coscienza collettiva del bivio epocale che avevamo e abbiamo davanti: assecondare il declino del paese con una logica conservativa da dopo terremoto (ricostruiamo tutto com'era prima, accontentando tutti, e pazienza se eravamo già prima pieni di ritardi e storture) o dare una visione, una prospettiva e un futuro all'Italia (verso dove vogliamo andare, quali settori vogliamo privilegiare, quali non è più possibile rilanciare, come possiamo cambiare in meglio la nostra società, soprattutto in rapporto alle nuove generazioni).
Da come l'ho messa, è evidente la mia preferenza, per quel poco che conta: ma in ogni caso il confronto, lo scontro delle idee sarebbe stato appassionante, e necessario anche a voi forze politiche per proiettare verso l'avvenire programmi che sembrano spesso avere come traguardo più lontano le prossime elezioni.
Ho scritto "sarebbe stato" perché quel dibattito non è mai cominciato. Non ve ne è traccia negli atti di governo, nei resoconti parlamentari, nei documenti di partito. Nulla di nulla. Si sta esclusivamente discutendo, e solo nel governo, di quale struttura dare alla cabina di regia del Recovery Plan e di come suddividere le aree di gestione dei progetti da mandare a Bruxelles. Su questo apprendiamo, ancora nelle ultime ore, di scontri furibondi nella maggioranza.
Ma la sostanza, al di là della "governance", dove è finita? Quali sono i progetti? Discussi dove? Con quale ratio? Con quale composizione (a parte quella algebrica che, ci scommetterei, porterà a una somma complessiva di spesa pari a 209 miliardi)?
Quei soldi sono per oltre metà debiti di tutti noi, come tutti quelli già spesi in questi mesi terribili. E tutti noi abbiamo quindi pieno diritto di conoscere la genesi, la motivazione e il vantaggio di ciascuna scelta.
Invece è tutto buio: lo è perfino all'interno dell'esecutivo e della sua maggioranza, senza che nessuno o quasi lo faccia neppure notare, e senza che le stesse forze di opposizione mostrino di dolersene al di là del minimo sindacale di qualche dichiarazione o tweet.
Le priorità e le urgenze, nella vostra gerarchia di questi giorni, sembrano altre: la battaglia sul Mes o quella contro la modifica dei decreti sicurezza. Questo è incomprensibile, e soprattutto è autolesionistico. Quello che noi chiamiamo Piano di risanamento, nascondendoci dietro la locuzione inglese Recovery Plan, si chiama nella realtà Next Generation Eu: prossima generazione, non prossimo voto, prossima resa dei conti, prossima spartizione.
C'è un dovere, nei confronti dell'opinione pubblica e soprattutto della sua parte più giovane d'età, la più penalizzata, ancora una volta, dalla crisi Covid. Il dovere di discutere apertamente del piano da cui dipenderà il futuro di tutti. Non sarà un caso che lo chiedano allo stesso modo Confindustria e Cgil, che hanno voce potente, e nella società tanti altri che invece non possono essere sentiti.
Abbiamo già mezzo anno di ritardo, non sprechiamo altro tempo: se dobbiamo far approdare la nave Italia dobbiamo prima decidere il porto, quindi la rotta, e poi l'equipaggio. Qui pare che l'unica questione siano i soldi dell'armatore...
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"In Italia negli ultimi 28 anni, dall'ultimo Governo Andreotti (giugno 1992), ci sono stati 18 Governi.
Di questi 8 sono stati di centrosinistra o comunque guidati da un esponente del Pd (Prodi, D'Alema 1, D'Alema 2, Amato 2, Prodi 2, Letta, Renzi, Gentiloni), . Ci sono stati 4 Governi tecnici o di larga coalizione (Amato, Ciampi, Dini, Monti) di cui 3 appoggiati dai Ds o dal Pd. C'è stato poi l'ultimo Governo Conte con la partecipazione del Pd. I Governi di centrodestra sono stati 4 (4 Governi Berlusconi). C'è stato poi il Governo Conte con Lega e 5 Stelle.
Su 18 Governi i Ds prima e il Pd poi ne hanno quindi appoggiati 12.
Dal giugno 1992 sono passati 28 anni e mezzo, circa 344 mesi. Di questi, i Ds e Pd ne hanno passati a spanne 197 al Governo o appoggiando un Governo. Si tratta di 16 anni abbondanti. L'ultimo Governo di centrodestra “puro” è stato nel 2011. Dieci anni fa.
In questi 28 anni, di cui 16 passati al Governo, le politiche di bilancio sono state il vostro faro. Eppure il debito pubblico è aumentato. Non per gli sprechi, non per la mancanza di tagli. Per gli interessi che avete garantito a Banche e finanza.
Avete Governato in nome della Costituzione. Ma la Costituzione – se proprio la cosa dovesse interessare – è stata sfigurata con la riforma del titolo V e con l'inserimento del pareggio di bilancio.
Non ricordo una singola legge significativa del centrodestra abolita da un governo di centrosinistra.
Anzi, le une hanno seguito le altre. Turco-Napolitano, Bossi Fini, Orlando-Minniti, Decreti Sicurezza Conte 1 e poi Conte 2. Pacchetto Treu-Legge 30-Poletti-Fornero-Jobs Act. L'età pensionabile è passata da 35 anni con il retributivo all'attuale giungla (41-42 con il contributivo...)
28 anni in cui il precariato è stato creato, normalizzato, fatto dilagare. L'articolo 18 è stato attaccato da Berlusconi, finito da Renzi. Reintrodotto da nessuno. E nessuno più nemmeno lo nomina. La quota di ricchezza prodotta destinata ai salari è diminuita. Quella diretta al capitale, sotto le sue svariate forme ma comunque ogni giorno più parassitarie, è aumentata. E' peggiorata la tassazione. A sfavore di chi ha meno. Ovviamente.
Diventerebbe troppo lungo fornire dati e statistiche. Ma li potete reperire facilmente: aumentata la diseguaglianza, aumentata la povertà assoluta e relativa, il divario tra nord e sud. E' stato privatizzato tutto. Svenduto. Smantellata la rete ferroviaria periferica. Avete foraggiato la Fiat senza scrupolo. Eppure, sempre se la cosa può interessare, la produzione automobilistica è stata dimezzata. E risparmio la parte sulla politica estera: Iraq, Kosovo, Libano, Libia, Afghanistan ecc.
Così come non nomino nemmeno gli archivi, le stragi, i morti ammazzati in piazza o in carcere. Nulla si sapeva e nulla avete fatto sapere. Anche se in fondo noi già sappiamo tutto.
Non sono così provinciale da pensare che tutto è stato deciso da quei Governi. Ci sono tendenze di sistema, internazionali. Ma di questi meccanismi siete stati comunque fedeli interpreti.
E in 28 anni ne passano di vite. Vite che in condizioni diverse, sarebbero appunto state diverse. Vite giù in fondo al Mediterraneo, passate a 800 euro al mese in affitto invece che in una casa popolare o con affitto equo, ad abbandonare gli studi, a pregare per un rinnovo contrattuale ogni mese, dietro a un disabile o un anziano senza assistenza, a perdere qualcuno per malasanità, ad aprire un finanziamento per un intervento dentistico, a morire sul lavoro invece che a godersi la pensione.
Ma c'è un indicatore che non si misura. Lo vede chi vuol vedere. Lo si respira nell'aria, per chi non ha ormai il naso completamente tappato. Ed è quello dell'impoverimento intellettuale, dell'abbruttimento del paese. Impoverimento intellettuale guidato da fior fior di intellettuali e laureati, si intende.
Perchè prima di tutto in 16 anni di Governo e 12 di timida opposizione (per essere gentili) siete stati maestri della rassegnazione, grandi annunciatori dello stato di necessità, giocolieri del meno peggio. Entrare nell'Europa, i parametri di Maastricht, il deficit del 3%, se no torna Berlusconi, se no arriva Salvini, lo spread, in questa situazione non si poteva fare altrimenti. Ogni giorno aveva la sua giustificazione. E i giorni sono diventati anni.
E negli anni termini come “Governo al servizio della Borsa” sono passati da negativi a positivi. “Uomo con ideali” è diventato uno scherzo. “Coerente” è diventato sinonimo di ingenuo. Prima avete resistito a convocare scioperi e lotte, poi li avete convocati senza nessuna efficacia. Avete distrutto il concetto di opposizione, avete introiettato ovunque la logica del Governo amico. Il Governo è sempre amico. Se stai fuori, che cosa fai? Una logica che capillarmente è scesa giù: nelle associazioni, nei sindacati, nei comitati di cui siete “amici”, componenti, spesso dirigenti.
Un governismo che ora non ha più nemmeno responsabilità. Non è mai colpa di chi dirige. E' colpa di chi lo intralcia. Perchè l'individuazione emotiva del capro espiatorio e contemporaneamente la sudditanza verso chi ha realmente in mano il potere si sono affinate all'inverosimile.
Lasciate sole, nella più completa confusione, le classi popolari si sono buttate nelle braccia di un comico. Ma era tutto uno scherzo. Del resto lui era un comico.
Il razzismo si è diffuso. Berlusconi è sempre lì. E' invecchiato libero, ricco e con le sue televisioni. La Lega è stabilmente oltre il 20%, Fratelli d'Italia cresciuti dal 2-3% al 15.
Che abbiate governato “perchè se no torna la destra” o in grande coalizione “perchè ormai non c'è più né destra né sinistra”, le vostre erano semplicemente profezie auto-avveranti. Esiste solo il grande partito del capitale. Come sempre. Solo che ora non ha più vergogna di mostrarsi."
Dario Salvetti
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Dopo la chiusura del CARA di Castelnuovo di Porto (noi ne avevamo parlato qui), cala il sipario anche su quello di Mineo, il più grande d’Europa. Tutto come previsto da copione dal Ministro dell’Interno, che proprio il 9 luglio si è recato sul posto per “festeggiare” la chiusura del centro con la solita passerella mediatica per “celebrare la promessa mantenuta”. I trasferimenti previsti per svuotare la struttura sono iniziati il 9 dicembre scorso, e sono continuati fino a qualche giorno fa, al 2 luglio, giorno in cui è stato fatto partire l’ultimo gruppo di migranti.
Ma davvero si tratta di una buona notizia di cui rallegrarsi? Assolutamente no.
La Campagna Lasciatecientrare (che lo ha visitato nel 2015 e nel 2017), Medu, la Rete antirazzista Catanese e Borderline Sicilia (solo per citarne le più coinvolte) e tante altre associazioni, inclusa Lunaria stessa, in tutti questi anni, hanno cercato di spiegare il perché questo centro non avrebbe proprio dovuto sorgere.
La storia del Cara di Mineo è stata un susseguirsi di scandali e denunce, senza che per questo siano stati mai interrotti i finanziamenti governativi. Una “macchina” della malaccoglienza che ha continuato ad assorbire una media di 45 – 50 milioni di euro all’anno. Un centro voluto dalla Lega, ed ora chiuso dalla Lega.
Ma occorre fare un doveroso passo indietro: lungo 8 anni, carichi di vicende che di certo non hanno fatto bene all’accoglienza. Il CARA di Mineo aprì nel marzo del 2011, voluto dall’allora presidente del Consiglio Berlusconi (con ministro dell’Interno il leghista Roberto Maroni ndr), nel contesto della cosiddetta emergenza Nordafrica, come “fiore all’occhiello” del sistema di accoglienza italiano. Doveva essere un “Villaggio della Solidarietà”, quello previsto nel residence degli Aranci a Mineo: ma le quattrocento casette gialle e rosa allineate non sono state assolutamente modello d’inclusione e di buone prassi.
Realizzato all’interno di quello che era stato un villaggio residenziale dei militari americani stanziati a Sigonella, Mineo è diventato il prototipo dei mega-centri per richiedenti asilo, con un affollamento che ha raggiunto nel luglio 2014 cifre record fino a 4500 migranti “ospitati” (e dirlo è un eufemismo), a fronte di una capienza “programmata” di massimo 2.000 persone. Già due mesi dopo la sua apertura, era scoppiata la prima rivolta.
Nel luglio 2013, il parlamentare del gruppo SEL, Erasmo Palazzotto, si era recato a Mineo in delegazione con rappresentanti delle realtà antirazziste locali, per constatare le condizioni delle persone ospitate nel centro. Una visita che ha richiesto quasi 4 ore e mezzo e dagli esiti non proprio “felici”.
Alla fine del 2014, un documento pubblicato da diverse associazioni, tra cui Asgi e Borderline, tornava a denunciare la quotidianità all’interno del Cara, fatta di “gravi e sistematiche violazioni dei diritti fondamentali”.
Nel 2015, toccherà poi a Medici per i Diritti Umani (che ha operato all’interno del CARA per circa cinque anni, portando assistenza medico-psicologica ai migranti vittime di tortura e di abusi nel paese di origine e/o lungo la rotta migratoria) segnalare in un rapporto una serie di gravissime criticità all’interno del centro, con un verdetto molto duro. Secondo il rapporto, infatti, le criticità erano di tale entità e natura da rendere il modello del CARA di Mineo” ingestibile e fallimentare”, indipendentemente da chi ne fosse stato l’ente gestore.
In pochissimo tempo, Mineo era già diventato sinonimo di sovraffollamento, di isolamento della struttura rispetto al territorio circostante, di tempi medi di permanenza interminabili in attesa del riconoscimento della protezione internazionale, di disfunzioni nella fornitura ed accesso ai servizi di supporto psicologico e legale, di fenomeni di degrado sociale difficilmente gestibili (si veda anche il report di Alessandra Sciurba del marzo 2015, quando ha visitato il centro con l’Europarlamentare Eleonora Forenza). E poi: l’assenza di un’adeguata consulenza socio-legale, la mancanza di informative sui diritti e le possibilità dei richiedenti asilo, insieme ad altre prassi illegittime e divenute con il tempo normali pratiche quotidiane della malagestione. E ancora: sinonimo di abusi, di condizioni di vita indegne e poi oggetto di indagini che hanno coinvolto sia gli ospiti sia i dirigenti del centro.
L’inchiesta di Mafia Capitale, che ha travolto in pieno anche il C.A.R.A. di Mineo (qui le tappe della commissione parlamentare Antimafia), ha confermato l’esistenza, denunciata invano per anni, di una lucrosa speculazione sull’accoglienza dei migranti («Su Mineo casca il Governo…io potrei, cioè, se possiamo spegnere il registratore glielo dico, se può spegnere un secondo», aveva detto Salvatore Buzzi, come lo avevamo raccontato qui). Ed ha evidenziato come, purtroppo, Mineo rappresentasse la punta dell’iceberg di un sistema di corruzione diffusa che non ha mai esitato ad approfittare della condizione di disperazione e di necessità dei migranti che sbarcano sulle nostre coste.
Uno dei dati più sconcertanti emerso in questi 8 lunghi anni è la totale contrapposizione fra le valutazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta, che in un documento redatto dopo le ispezioni ha chiesto la chiusura immediata del C.A.R.A., i vari report prodotti dalle visite dei parlamentari e le denunce delle associazioni, da un lato, e dall’altro le valutazioni dei vari enti gestori, per i quali il centro è sempre stato “un modello”, pur migliorabile, di accoglienza.
Di fatto, dietro questa struttura enorme, che tutto ha potuto fare tranne che accogliere dignitosamente i migranti e garantire loro qualcosa che vagamente si avvicini ad una minima inclusione sociale, si è celata una formula di gestione segregativa e securitaria, ghettizzante e marginalizzante.
Medici per i Diritti Umani (Medu), in una nota diffusa alla stampa ieri, “accoglie con soddisfazione la notizia della chiusura definitiva dei cancelli di un centro che mai avrebbe dovuto esistere, anche se ciò avviene con 4 anni di ritardo rispetto al 2015, quando con un primo rapporto Medu ne invocava la chiusura”. Anche la Rete Antirazzista Catanese, in un comunicato, ha ribadito: “Da sempre ci siamo schierati contro l’apertura del Cara, simbolo europeo del megabusiness della pseudo accoglienza ed abbiamo sostenuto le giuste proteste dei e delle richiedenti asilo contro le condizioni d’invivibilità, d’insicurezza e di violenza che per 8 anni hanno subito decine di migliaia di persone parcheggiate a tempo indeterminato, sfruttate dai caporali delle campagne calatine e donne migranti costrette a prostituirsi nell’indifferenza delle ingenti forze di polizia, carabinieri ed esercito. Il ministro Salvini ha cavalcato l’onda nera del razzismo per chiudere non il Cara della mala accoglienza e di Mafia Capitale, ma per smantellare l’accoglienza in generale, come dimostrano i 2 decreti sicurezza scritti per criminalizzare non solo le ong delle navi umanitarie, ma anche il sistema Sprar e le sue esperienze più avanzate, come a Riace”.
Si è trattato, infatti, di una chiusura netta e senza prospettive (come quella del CARA di Castelnuovo di Porto), che in nessun caso ha voluto tener conto delle persone che vi erano ospitate né dei lavoratori che di loro si occupavano. E noi diremmo, ancora una volta. Visto che questo luogo si è “distinto” da sempre per una mancanza di riconoscimento della dignità umana.
I pochi (rispetto ai grossi numeri iniziali) migranti che erano nel centro prima che cominciasse lo smantellamento, non sono stato collocati in strutture migliori, quanto piuttosto in posti nei quali l’accoglienza è ancora più precaria, e ciò risulta ancora in modo più evidente per i più fragili ed i più vulnerabili. Molti di loro, come denuncia Medu, si sono ritrovati addirittura in strada senza più nulla. I tanti lavoratori coinvolti in questa grande macchina dell’indegno, che pur hanno lavorato in mezzo a mille disagi, si sono ritrovati senza alcuna prospettiva di re-impiego.
Il problema, in definitiva, non è la chiusura in sé di Mineo, che non avrebbe mai dovuto aprire, quanto piuttosto il diabolico piano di progressivo smantellamento del sistema di accoglienza con il preciso obiettivo di destabilizzare e colpire quel poco di buono che è stato fatto sin qui (noi ne avevamo già parlato qui).
E uno smantellamento del genere non dovrebbe prevedere il risorgere dalle ceneri di Mineo altri orrori come questo (come è stato fatto in buona sostanza anche per i CIE diventati poi CPR).
La soluzione sta un po’ più in là. Solo che non la si vuole proprio vedere.
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Non vi è ancora chiaro il programma del centrodestra? Eccolo. Sanzioni alla Russia? Meloni: “Strumento più efficace che ci sia”; Salvini: “Vanno ripensate”. Scostamento di bilancio? Salvini: “30 miliardi”; Meloni: “Ultima ratio”. Immunità parlamentare? Per Fdi va reintrodotta, “aveva ragione Craxi” ha detto il candidato Carlo Nordio. Per la Lega : “Non è nel programma”. Riforma dell’autonomia? “Imprescindibile” per la Lega; “Niente fughe in avanti” hanno avvisato dalla parti di Fratelli d’Italia. Immigrazione? "Blocco navale" dice Meloni, smentita subito dal suo guardasigilli in pectore; "Decreti sicurezza" per Salvini. Pensioni? “Quota 41” per la Lega; “Rischia di non intervenire su chi soffre” risponde Fdi. Infine, il balletto sulla flat tax “15 per cento, inclusi i dipendenti” avverte la Lega; “Solo partite iva fino a 100mila euro” ribatte Fdi; “23 per cento” per Berlusconi. Sono fermamente d’accordo che non sono d’accordo su nulla, o quasi. La prima seduta del consiglio dei ministri con Meloni, Salvini e Berlusconi somiglierà tanto ad alcune scene dei film di Bud Spencer e Terence Hill. (presso Italy) https://www.instagram.com/p/CiPKqsusUxO/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Evoluzione del diritto del lavoro dalla svolta federalista al Job Act
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La svolta federalista del 2001 La svolta federalista del 2001 che comporta la modifica dell’Art. 117 della Costituzione segna un importante cambiamento anche per il diritto del lavoro. Nel 2001 viene riscritto l’Art. 117 che assegna le competenze tra Stato e regioni, introducendo un nuovo modo di affidarle. Alcune materie sono a competenza esclusiva, ovvero per una determinata materia soltanto lo Stato o le regioni hanno la competenza. Altre materie sono a competenza concorrente, questo significa che sia Stato che regioni hanno competenze sulla materia. In materia di tutela e sicurezza del lavoro la competenza è concorrente. come per la tutela della persona nel mercato del lavoro Per la materia inerente alla formazione professionale la competenza è esclusiva delle regioni. Per la disciplina del contratto di lavoro (che è materia del Codice civile), la competenza è esclusiva dello Stato. Nel 2006 il governo Prodi ritocca la legge Biagi, attraverso il decreto legislativo 81/2008 in materia di sicurezza. Successivamente nel 2008 il governo Berlusconi cambia nuovamente le regole lavoristiche in modo più flessibile. Nel 2011 il governo di Mario Monti cambia le regole lavoristiche un’altra volta. Con la legge Fornero viene riscritta la legge sulle pensioni e tutte le regole del diritto del lavoro. Il governo Renzi e il Job Act Il governo Renzi con la legge delega del 2014 e 8 decreti delegati riscrive il diritto del lavoro riducendo le tutele nel rapporto di lavoro e incrementando le tutele nel mercato del lavoro. Con il Job Act l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è fortemente ridimensionato e con esso le tutele lavoristiche. A seguito della sconfitta di Matteo Renzi in merito al referendum costituzionale volto a rimuovere la competenza concorrente Stato-regioni, sopraggiunge il governo Gentiloni. Il quale conferma le politiche renziane di tutela del lavoro e introduce il REI (Reddito di inclusione) come strumento di lotta alla povertà. Read the full article
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L’assurda sentenza di Genova: condanne spropositate ai manifestanti contro Casapound Per i 43 manifestanti antifascisti imputati per i disordini di Piazza Corvetto del 2019 condanne più aspre delle richieste del Pm, che arrivano fino ai 4 anni. Di Ercole Olmi da PopOff Quotidiano. Genova, una sentenza da tribunale speciale Come per Mimmo Lucano: pene moltiplicate rispetto alle richieste del pm. Il tribunale di Genova ha condannato 43 manifestanti antifascisti per i disordini scoppiati in piazza Corvetto il 23 maggio 2019 in occasione della manifestazione organizzata per protestare contro il comizio di Casapound. Quel giorno, nonostante i ripetuti appelli, fu autorizzato un comizio dichiaratamente fascista in pieno centro cittadino, le “forze dell’ordine”, oltre a mettere in campo un formidabile schieramento a difesa dei “fascisti del terzo millennio”, hanno rimpinzato di gas lacrimogeni centinaia di manifestanti antifascisti poi caricati violentemente. La vicenda avrebbe avuto l’onore delle prime pagine nazionali perché quattro celerini eccitatissimi pestarono a sangue – procurandogli diverse fratture, ferite e un trauma cranico – un giornalista di Repubblica, Stefano Origone, scambiandolo per un manifestante. I manifestanti erano imputati, a vario titolo, di resistenza, porto di oggetti atti a offendere, travisamento e lancio di oggetti pericolosi. Le condanne vanno da 8 mesi a 4 anni. Un procedimento parallelo ha registrato una pena per lesioni a 40 giorni di reclusione per i 4 picchiatori del reparto mobile, responsabili del pestaggio di Origone. Un’asimmetria di trattamento che, in attesa delle motivazioni, non può che riecheggiare le sentenze del Tribunale speciale, organo speciale del regime fascista, che operò dal 1927 nel giudicare i reati contro la sicurezza dello Stato e del regime. Una sentenza che arriva in una ricorrenza anch’essa “speciale”, il giorno del ricordo delle foibe coniato dal governo Berlusconi e digerito senza problemi dai governi di centro-sinistra perché il negazionismo è funzionale all’idea bipartisan di criminalizzare il conflitto sociale. Una sentenza che consegna un fardello giudiziario pesante al movimento antifascista di una città medaglia d’oro della Resistenza, ferita sia dalle gazzarre fasciste sia dalla violenza della repressione. La procura di Genova aveva chiesto condanne inferiori, comprese tra 6 mesi e 1 anno e 9 mesi, ma il Tribunale ha optato per la linea dura e per un accanimento contro 4 imputati crocifissi con le condanne più aspre nella logica criminalizzante dei decreti Salvini così cari al Pd che non s’è sognato di abrogarli una volta rientrato a Palazzo Chigi. Nessuno dei 47 era imputato di lesioni, al contrario dei 4 celerini che sbagliarono obiettivo. Ai piani alti del Viminale, Casapound viene considerata una confraternita di placidi filantropi: un documento della Direzione centrale della Polizia di prevenzione (...), prefetto Mario Papa) aveva definito Cpi una organizzazione di bravi ragazzi molto disciplinati, con «uno stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nelle rispetto delle gerarchie interne» sospinti dal dichiarato obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio». (...) Dunque Casapound, coccolatissima anche da Lega e FdI, non è un club di pensatori fascisti, a smentire quel prefetto pochi mesi dopo è stato l’ultimo dato ufficiale a nostra disposizione, una relazione parlamentare prodotta nel 2016 dal ministro Alfano, ministro di polizia di Renzi dalla quale risulta che dal 2011 al 2016 ci sono stati 20 arresti (uno ogni tre mesi) e 359 denunce (circa una ogni 5 giorni) per membri di CasaPound, tra cui molte per violenze. Tra il 2013 e il 2018 l’Osservatorio sulle nuove destre ha recensito 66 aggressioni. Proprio secondo l’Osservatorio, considerato l’alto numero di persone coinvolte in episodi di violenza e che l’organizzazione squadrista non si è quasi mai sognata di espellere, non ci sarebbe nemmeno bisogno di ricorrere alle leggi che dovrebbero reprimere la riorganizzazione di un partito fascista, la Mancino o la legge Scelba poiché ci sono gli estremi di un’associazione a delinquere. Ma a Genova il tribunale sembra non aver nemmeno preso in considerazione né l’una né l’altra ipotesi. Le difese degli antifascisti hanno chiesto che venisse riconosciuto l’avere agito per motivi di valore morale e sociale e in reazione a un ingiusto fatto altrui ma nessuna di queste attenuanti è stata riconosciuta dal tribunale, per il quale evidentemente l’antifascismo non ha valore morale e sociale ed il comizio fascista è un fatto giusto. (...) Kulturjam
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Babbo Natale vs Napoleone
Il Center for Disease Control and Prevention, agenzia USA che controlla la sanità negli Stati Uniti ( agenzia federale quindi) non potrà più usare le seguenti parole: 1.Transessuale 2.Feto 3.Diversità 4.Vulnerabile 5.Diritto 6.Basato sulle evidenze 7.Basato sulla scienza. Così ha ‘ordinato’ il presidente Trump. Mi dispiace per gli americani che debbano avere un presidente così. Già, ma così come? Trump, vietando parole, ‘si è tolto un pensiero’! Ognuna di queste parole corrisponde ad un aspetto per lui (e, per diverse ragioni, anche per altri) problematico: via le parole, via il pensiero, via il problema. La realtà cancellata per decreto. La forza di questi ‘decreti’ è tale da annullare le realtà scomode per Trump, come gli stupri, le violenze in Libia per Minniti, i fatti storici per Berlusconi, e via dicendo... ma pensare di modificare la realtà con il solo pensiero è caratteristica della psicopatologia: e precisamente dei deliri. È evidente che relegare la parola ‘delirio’ a chi afferma di essere Napoleone è un errore. Prendiamo atto che in tanta pretesa salute mentale alberga una follia disastrosa per la società contemporanea. In fondo avere tre o quattro Napoleoni in giro è una bazzecola al confronto.
#ForzaBabbo
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9 GEN 2020 10:33BETTINO? BOTTINO! - TRAVAGLIO RINFRESCA LA MEMORIA COLLETTIVA: “COMPLICE IL FILM “HAMMAMET” DI GIANNI AMELIO, È RIPARTITA LA RUMBA PER LA BEATIFICAZIONE DEL FU BETTINO CRAXI. DA VENT'ANNI LE PROVANO TUTTE PER CANCELLARE LE SENTENZE CHE LO ISSAVANO SUL TRONO DI RE DI TANGENTOPOLI. VOGLIONO FARCI CREDERE CHE SÌ, MAGARI RUBACCHIAVA, MA FU COMUNQUE UN POLITICO MODERNO. INVECE IL SUO "RIFORMISMO" È UNA GALLERIA DI ORRORI…”
Marco Travaglio per “il Fatto quotidiano”
Complice il film Hammamet di Gianni Amelio, è ripartita la rumba per la beatificazione del fu Bettino Craxi. Che poi, in realtà, è l' ennesimo, disperato tentativo dei politici ladri purtroppo viventi di autosantificarsi. Da vent'anni le provano tutte per cancellare le sentenze che lo issavano sul trono di Re di Tangentopoli. Ora, fallita l'Operazione Amnesia, si contentano di farci credere che sì, magari Craxi rubacchiava, ma fu comunque un grande politico moderno, uno statista europeo, un padre del riformismo e un leader innovatore.
Ora, anche volendo giudicare l'ex segretario del Psi ed ex premier al netto delle mazzette (50 miliardi di lire scovati nel '93 da Mani Pulite sui suoi conti svizzeri, per tacere degli altri rimasti intatti in giro per il mondo), quello che emerge è un concentrato dei vizi e dei malvezzi della peggior politica, corresponsabile primario dei disastri che la Prima Repubblica ci ha lasciato in eredità.
Durante i quattro anni del suo governo (1983-87) il debito pubblico passò da 400 mila a 1 milione di miliardi di lire e il rapporto debito-Pil dal 70 al 92%, di pari passo con l'impazzimento della spesa pubblica e dell' abusivismo selvaggio (anche grazie al suo mega-condono edilizio). Per il resto, il "riformismo" craxiano è una lunga galleria di orrori.
In politica interna: la trattativa con le Br per liberare Moro contro la fermezza del fronte Dc-Pci-Pri; l'opposizione a ogni risanamento dei carrozzoni delle Partecipazioni statali, gestiti dai boiardi craxiani (Di Donna, Bitetto, Cagliari, Necci) come vacche da mungere a spese dello Stato con passivi miliardari; la feroce lottizzazione della Rai, l'attacco ai giornalisti e persino ai comici scomodi (da Alberto Cavallari a Beppe Grillo) e, sotto la presidenza di Enrico Manca, la pax televisiva con la Fininvest; i due decreti ad personam del 1985-'86 per neutralizzare le ordinanze dei pretori che pretendevano di far rispettare la legge all'amico Silvio e, nel '90, la legge Mammì, monumento al monopolio della tv privata; l'ostilità alle poche privatizzazioni giuste e necessarie (come quella della Sme, che produceva panettoni di Stato con voragini nei conti pubblici, tentata dall'Iri di Prodi nel 1985; e quella dell'Alfa Romeo, che Prodi nell' 86 voleva vendere alla Ford, mentre Craxi preferì regalarla alla Fiat); l' assalto alla Mondadori tramite l' apposito B., col contorno di tangenti ai giudici; l' ingaggio come consulente giuridico del giudice corrotto Renato Squillante, che garantiva i socialisti da indagini e arresti.
E, in compenso, i primi attacchi politici ai migliori magistrati e i progetti piduisti per assoggettare le procure al governo. Il referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati per intimidire quelli che già allora stavano scoprendo le mazzette craxiane. Il proibizionismo sul consumo delle droghe leggere, che portò all' assurda legge Vassalli-Iervolino.
Le prime picconate alla Costituzione in nome di una "Grande Riforma" cesarista, affidata al fido Giuliano Amato e poi ripresa anni dopo da Berlusconi. La gestione satrapica del partito, con congressi plebiscitari e antidemocratici (quando Norberto Bobbio, nel 1984, denunciò la "democrazia dell' applauso" dopo la rielezione per acclamazione di Craxi al congresso di Verona, questi lo zittì sprezzante: "Quel filosofo ha perso il senno").
Il nepotismo sfrenato, che lo portò a piazzare il giovane figlio Bobo al vertice del Psi milanese e il cognato Paolo Pillitteri a sindaco di Milano. La repressione di ogni dissenso interno, culminata nella cacciata di Codignola, Bassanini, Enriques Agnoletti, Leon, Veltri e altri, bollati nell' 81 come "piccoli trafficanti della politica" e accusati di intelligenza col nemico (il Pci di Berlinguer) per aver osato sollevare la questione morale sullo scandalo Ambrosiano. Le porte spalancate a "nani e ballerine" dell' assemblea socialista. Le candidature in Parlamento di statisti del calibro di Gerry Scotti e Massimo Boldi. E, tutto intorno al Capo, preclari figuri da museo Lombroso come Larini, Mach di Palmstein, Tradati, Troielli, Raggio, Giallombardo, Parretti, Fiorini, Chiesa &C..
Senza dimenticare i traffici con Gelli e Calvi e i rapporti persino con l' entourage di Epaminonda. Tutti personaggi piuttosto lontani dalla tradizione "riformista", tant' è che nella "Milano da bere" si diceva che il Psi era passato "da Turati a Turatello".
In politica estera, si ricorda sempre Sigonella, dove nel 1985 Craxi si sarebbe opposto intrepido alla tracotanza di Reagan. In realtà sottrasse al blitz Usa i terroristi palestinesi che avevano appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un ebreo paralitico, Leon Klinghoffer, gettandone il cadavere in mare; si impegnò a farli processare in Italia; poi fece caricare il loro capo Abu Abbas su un aereo dei servizi segreti recapitandolo prima nella Jugoslavia di Tito e poi in Iraq, gradito omaggio a Saddam Hussein. Fu l' acme di una politica filoaraba e levantina che portò all' appoggio acritico all' Olp di Arafat (ben prima della svolta moderata), paragonato da Craxi addirittura a Mazzini in pieno Parlamento.
Quanto all' europeismo craxiano, basta ricordare l' appoggio dato a regimi sanguinari e corrotti come quelli del tagliagole somalo Siad Barre in cambio di leggendarie ruberie sulla "cooperazione". E il capolavoro della guerra delle Falkland, nel 1982, quando Bettino si schierò col regime dei generali argentini (quelli che avevano fatto sparire migliaia di oppositori) contro la Gran Bretagna appoggiata da tutto l' Occidente. Ecco quel che resta, al netto delle mazzette, di Craxi. Lasciatelo riposare in pace, ché è meglio.
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