#davvero sembro così serena?
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volevoimparareavolare · 1 year ago
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Sappiamo che stai soffrendo
ma
sei sempre così sorridente,
con una parola gentile per tutti,
che ci viene così facile
dimenticare come ti senti davvero
-mia mamma
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innamoratadellenuvole · 4 months ago
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Anche quando apparentemente sembro serena e distratta da quel pensiero, in realtà martella nella mia mente costantemente e così non riesco a stare tranquilla per davvero, né a godere di qualunque cosa potrebbe e dovrebbe darmi gioia.
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teredo-navalis · 2 years ago
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O sei un'ottima attrice oppure loro non vedono o non voglio vedere oltre la superficie
È un insieme di cose; prima di tutto appunto prendo i farmaci che mi stanno aiutando molto, ho ancora delle mini crisi, ma almeno non passo due settimane ogni mese a pensare solo di voler morire/quasi ammazzarmi/quasi farmi ammazzare perché sto fin troppo dissociata (che già qui, c'è molto da dire: perché non viene approfondito il legame tra ciclo mestruale e depressione? perché non troviamo cure più specifiche? perché la medicina continua ad avere così poco interesse nei confronti delle donne?); poi sono anche un'attrice discreta, poi i sintomi non si devono manifestare necessariamente quando si è con gli altri (che è comunque abbastanza poco tempo, dato che seguo solo un corso su tre e a pomeriggio lavoro, quindi passiamo davvero poco tempo insieme), poi sono una persona schiva
e a questo punto in realtà mi sono rotta di fare l'elenco, comunque diciamo che hanno le loro ragioni per pensarlo ma ciò non cambia il fatto che queste uscite mi fanno molto ridere (ironicamente) come tutte le volte che mi hanno detto(nel corso della vita) che sembro una persona tranquilla e serena, in pace con sé stessa e che non ha bisogno di nessuno, lol, LMAO
+ altri pensieri che ho dimenticato di aggiungere
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yoursweetberry · 3 months ago
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Mi sento solo una fallita, perché l’ansia e la depressione mi controllano, perché i pensieri negativi vincono sempre, perché sembra che io non meriti niente di buono.
Ho voglia di vederti e di stare con te che non lo puoi nemmeno immaginare quanto e vengo da giorni in cui mi sembra infinito il tempo che sto aspettando e poi mi succede questo, che prima sto sotto terra per l’accumulo di tutto, poi ci provo lo stesso nonostante tutto, nonostante possa raccogliere solo le briciole e poi si mettono i fattori esterni del cazzo.. e quando si risolvono? quando già è tardi e già tutto mi è andato a fanculo
Io non lo so se qualcuno mi può capire, vorrei solo mi capissi.. lo so che ti sembro solo una pazza, che leggendomi lo avrai pensato e ci credo
ma non è per oggi, questo che mi sta facendo scoppiare oggi è solo la goccia stupida che ha fatto traboccare il vaso pieno di mille altre cose e pensieri
io sto in uno stato di sofferenza che mi sta uccidendo il cervello e tutto il mio corpo perchè sento il dolore ovunque e non ce la faccio più vorrei solo un po’ di pace vorrei solo sentirmi dire che va tutto bene che devo solo respirare e invece più sono sola più vado in tilt e più penso a tutto quello che hanno gli altri e io no e mi sento il cuore in mille pezzi
forse oggi doveva andare così, ma non riesco ad accettarlo perchè vorrei solo correre da te e vorrei solo sentirti vicino, ma per come sto ora avrei bisogno di ció che non posso avere e sono troppo vulnerabile per non averlo e sto soffrendo qua da sola mentre magari tu riesci a stare serena e sorridere stando bene comunque senza di me
non ce la faccio più perché nessuno ci tiene per davvero a me? perchè devo sempre soffrire da sola?
mi sta venendo da vomitare.. non ce la faccio più
21:56
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subconsci0 · 4 years ago
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dei mille ultimi pensieri che ti dedico
Non ci parliamo da anni e va bene così — d'altra parte non avrebbe senso farlo, mi spezzerebbe il cuore sapere che l'immagine di violenza romanticizzata nella mia testa non corrisponde alla realtà dei fatti, e sarebbe ancora peggio se scoprissi che in realtà è esattamente così, e che la mediocrità di quella situazione mi aveva stregata — non mi sei mai mancato e non ho mai desiderato sapere come stessi. Penso di essere stata solo un nome che ti evoca brutti ricordi, ma non di quelli pesanti che ti spezzano lo sterno, quelli di contorno. Che semmai mi avessi rivolto qualche pensiero forse alla fine hai pensato solo che ti stavo un po' sul cazzo.
Io quelle rare volte che ti ho sentito nominare ho finto di non sapere chi fossi e ho pensato che fosse davvero così.
Negli ultimi anni però sono cresciuta, ed è incredibile il fatto che siano passati già quanto, sette anni? Otto, nove? Ho perso il conto. Alla fine avevi ragione tu, comunque, ero io ad avere qualche problema. Ed ero io a credermi padrona di un mondo che non mi apparteneva, che andava avanti per inerzia.
Ora lo so che non ho sotto controllo nulla. E che non sono perfetta. Il mio corpo è pieno di smagliature. Non trovo più nulla di affascinante nelle ossa. Ho le gengive spaccate in fondo alla bocca. Le mie guance hanno quella texture strana che ha la buccia delle pesche bianche. Se non dormo in posa il mio culo è tutt'altro che perfetto, e lascia che te lo dica — io non dormo in posa. Non ho più pigiami bellissimi. La mia mente ha smesso di essere un ascensore claustrofobico. È una serena ammissione di colpa di essere più umana di quanto credessi.
Ho la scoliosi, e sono cresciuta di cinque centimetri da quando abbiamo smesso di parlarci.
Non ci parliamo da anni e va bene così. Non so bene che forma abbia la tua faccia, e se somigli ancora al mio ricordo. Se lo sei mai stato davvero.
Non mi sei mai mancato e non ho mai desiderato sapere come stessi. Ma tanti anni fa mi dicesti che saresti stato curioso di sapere come ero diventata — il che è buffo, perché è una delle pochissime cose che ormai ricordo di te — e credo di essere finalmente diventata una persona vera. Sembro davvero una persona reale.
Non ci parliamo da anni e va bene così.
Non mi sei mai mancato e non ho mai desiderato sapere come stessi. O almeno questo è quello che sono abituata a pensare.
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f0undmys0ul · 5 years ago
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05/08/19
ti amo, incredibilmente tanto.
dicono che non si possa amare o essere amati se non si ama se stessi in primis, io non mi amo, non mi amo in alcun modo e tu lo sai. quando sono con te riesco a distrarmi, a stare serena, a controllarmi, sei il mio freno a mano. a volte vorrei allontanarmi da te, solo per vedere cosa mi possa succedere. alcol, droga, sigarette, tagli, digiuni, che ne sarebbe di me? ho troppa paura per scoprirlo, troppa paura per rimanere da sola. a volte ho voglia di tagliarmi e basta, come quando passo davanti allo specchio dopo la doccia e mi vedo nuda e brutta, sento come se qualche segno sul mio corpo potessero farmi stare tranquilla, farmi sentire bella. tu non riesci a farmi sentire davvero bella, questo fa male a te come ne fa a me. in compenso, se prima non mi piaceva niente di ciò che riguarda il mio corpo, ora sto imparando a farmi piacere i piccoli particolari che tu noti, le smagliature, le pieghe sulle cosce, i fianchi, il culo, a volte persino i piedi. non mi piacerà mai l'insieme, cercare di farmelo piacere è una battaglia persa che va avanti da troppi anni, non è colpa tua. io non ci riesco, non c'è una volta che mi guardo allo specchio senza pensare a quando sia brutta, a volte non riesco a guardarmi in faccia, mi lavo i denti camminando in corridoio pur di non dovermi guardare nello specchio per tutto quel tempo, mi vedo asimmetrica, grassa, brutta e stupida, e non so cosa farci.
non riesco a sopportare l'idea di vederti affianco a qualcun altro, che sia sara, ele o qualche tua amica. non mi importa se sono amici a distanza o se sono particolari come sara, sto male tutte le volte che in qualche modo passi del tempo con loro, ci giochi o ci stai al telefono. non riesco a fare altro che a pensare quanto siano migliori di me, ho costantemente paura che ti portino via...
hai una ragazza delicata, lo sai, ti chiedo solo di avere pazienza, anche se forse ne hai fin troppa. quando abbiamo parlato, l'altra sera, mi sono sentita decisamente in colpa per le tue parole. la decisione del non lasciarmi solo per proteggermi, seppur nobile, mi ha spaventato. se questa parentesi del farmi male non esistesse nella mia vita, che sarebbe di noi? se fossi una ragazza stabile avresti già chiuso? non voglio obbligarti ad una relazione lunga anni solo perché hai paura di distruggermi, non posso in qualche modo farti stare con me solo perché hai paura che io non possa superare la tua perdita. non aver paura, lasciami se è quello che vuoi, se la relazione diventa opprimente o se hai bisogno di spazio. ti chiedo solo una cortesia. fallo quando avrò ripreso i colloqui con la psicoterapeuta, non avrei nessun altro con cui parlarne. non aver paura per me, con questi continui litigi mi si è semore più concretizzata l'idea di perderti, ho paura, lo ammetto, ma se lo ritieni giusto, fallo. sinceramente, preferisco saperti felice e distante piuttoato che vicino e apatico.
più passa il tempo senza la psico più mi viene voglia di sfogarmi con te, stando in silenzio lontani o standoti abbracciata e facendo versi, oppure facendo la cattiva su telegram. scusa. so che sarebbe più giusto parlarti ma non ce la faccio. non voglio in alcun modo spaventarti, ho solo disogno di boh, di farlo credo. a volte sento come se lo strato esterno del mio corpo fosse troppo piccola, e sento la pelle tirare e prudere ovunque, non so cosa fare in quei momenti, mi sento in trappola in un corpo non mio quasi. a volte poco dopo questi episodi ho voglia di tagliarmi, bella mia testa è come la pelle si ingraddise con i tagli, come se potessi contener etutto meglio o come se qualcosa uscisse.
ora più che mai ho ppaura per la scuola, mi sembra di atar sprecando tempo, tra due anni potrei non esserci più, perché penso ancora alla scuola? perché penso al calcio? due percorsi inutili, non ce la faccio, né in uno né nell'altro, fallisco sempre, è sempre stato così. la mia vita si basa su queste due cose, che non sono capace a fare, ti sembra una cosa logica? a me no. mi sembra inutile continuare, mi sembra inutile impegnarmi. non so se voglio arrivare in seconda. non so se voglio arrivare alla quinta. non so se voglio vivere fino a quel momento ed essere sola nella realtà adulta. è tutto fin troppo difficile, lo è in generale e particolarmente per me.
io non voglio agitarti o farti stare teso, ma ho anche tanta voglia di fumare, fumare sigarette. è una cosa che odi, lo so, ormai ho capito che non la proverai mai, a differenza dell'alcol. vorrei fumarne una. so che è stupido, ma la tua serata alcolica mi ha turbato così tanto che non voglio più toccare un goccio di alcol, tu andrea puoi, non preoccuparti mi fa piacere che per te non sia come la droga che ommioddio no. ma io come ne sento l'odore ripenso a tutto quello che è successo e non ce la faccio.
ho ripreso a fare gli addominali la notte..
scusa se ti tratto male, scusa se ti sembro cattiva, scusa andre, scusa davvero. so che non leggerai mai, dovrei trovare il coraggio di parlarti di tutto questo, ma non so se lo farò mai.. queste cose ti agitano, e a me dispiace, nel senso, non fartene una colpa. ti voglio davvero fin troppo bene per tirarti in mezzo a tutto ciò, preferisco cercare di cavarmela da sola
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por-siempreio · 6 years ago
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Basta. Lo devo fare, adesso lo faccio… continuo a guardare il mio volto riflesso su quel vetro, il mio volto spento, stanco. Vedo gli occhi di mio padre e le guance tonde di mia madre. Mi rendo conto per la prima volta, cosa sono diventata. E mi tornano in mente le parole di quella pazza di mia madre. Quelle parole che mi hanno portata fino a qui, che, non c’è niente di sbagliato, nell’essere fragili.
-“Si, pronto?” Sento la voce di mio padre e mi salta un battito. Lo sento stanco, con una voce leggermente roca.
Dopo un breve momento di silenzio, prendo coraggio. -“Papà? Sono Giulia, tua figlia.” Certo. Come se dalla voce non sapesse che sono io. Che stupida.
-“Ehi si. Ciao Giulia, come va? È successo qualcosa?”” Cambia subito tono di voce, e capisco che si sta allarmando. Quanto è triste questa cosa? Era più normale pensare che mi fosse successo qualcosa, piuttosto che pensare che potesse essere una semplicissima chiamata. Ovviamente non mi meraviglia. Sentendoci soltanto per le feste, non potevo aspettarmi una cosa diversa.
-“No… cioè si, diciamo che sto prendendo un aereo per quelle parti, ecco. Cioè dove abiti tu. Voglio venire a trovarti.”” Sono agitata da morire. Non si direbbe… una cosa tanto normale, mi mette in serie difficoltà.
-“Oggi?… Va bene!” Dice un po’ incerto ma con più entusiasmo di quanto mi aspettassi. -“A che ora arrivi? Ovviamente essendo una sorpresa così imprevista devo organizzarmi. Mi fa molto piacere Giulia, non vedo l’ora di farti conoscere Amanda. Che coincidenza, parlavamo di te giusto ieri sera.” Non la smetteva di parlare, era più agitato di me, e riuscì a rilassarmi. Era felice, felice davvero di avermi li. E pensare che ancora non aveva visto niente.
-“Si. Certo. Va bene papà… arrivo verso le venti probabilmente. L’aereo è in ritardo.” Dico un po’ troppo in fretta.
-“Perfetto! Sarò in aeroporto in tempo. E dimmi, fino a quanto ti fermi? Ti faccio sistemare la stanza da Amanda…” lo sento sollevato, sento che sorride. Tanto che non so cosa dire… “Ahh Giulia, non puoi nemmeno immaginare quanto sono felice che finalmente mi vieni a trovare.” Non capivo perché non si facesse qualche domanda. Perché non mi chiedeva nulla, perché non sospettava qualcosa visto la mia decisione improvvisa. Voglio credere che sia talmente felice di avermi con se per qualche giorno, che non gli importa nulla… tutto questo entusiasmo non me lo aspettavo davvero, e il fatto che lo stavo cercando soltanto per i miei comodi, all’improvviso mi sentivo in colpa.
Volevo dirgli tutto. Stavo così bene, ero così serena in quel momento che volevo dirgli tutto -“Non lo so papà.. forse una settimana, forse due..” non sapevo come dirglielo, avevo paura. Non sapevo da che parte iniziare. Come giustificarmi… è una situazione che ho sempre evitato. -“Giulia? Dimmi…” continua lui, aspettandosi chissà qualche riposta. -“Ne parliamo quando arrivo va bene?” Comincio ad agitarmi di nuovo, adesso voglio soltanto chiudere questa chiamata. “Certo. Come vuoi. Ti aspetto, ciao.” Avrà capito il mio disagio? Il mio cambiamento di voce di certo non poteva nascondere come mi sentissi. Ero felice che mio padre aveva capito. Come dovevo interpretare tutto questo? Non aveva mai fatto davvero il padre. Ero cresciuta tra litigi e urla. Mi sono crescita da sola. Lui non c’era mai, mia madre evitava ogni cosa, compresa me pur di non pensare ai sbagli che ha fatto nella vita. Sono crescita con questa idea, che sola riesco a fare tutto. Non dico di essere mai stata la figlia perfetta. Non gli ho più dato modo di entrare nella mia vita… e non vedo perché le cose devono cambiare adesso. Sistemo il telefono nel taschino interno della borsa e mi sistemo come posso su queste orrende sedie blu di plastica. Devo trovare un modo per distrarmi. Al momento non voglio più pensare a questa situazione… c’è un uomo difronte a me: ben vestito, con tanto di giacca e cravatta. Sta parlando al telefono ed è visibilmente agitato. Immagino quella povera persona che sta ascoltando le sue lamentele per il ritardo del volo… magari è sua moglie, o l’amante. Ha proprio la faccia di chi ha un amante. Ha una semplice valigetta che tiene in mezzo alle gambe. Deve essere un tipo con molta poca pazienza, è sicuro di se, si vede dal modo comodo in cui è seduto e gesticola. Al braccio ha un orologio che sembra molto costoso, deve essere un tipo con un gran bel lavoro. È divertente pensare che io a confronto sembro una barbona, con indosso le prime cose comode che ho trovato, la borsa che stringo forte a me come se dovessero derubarmi da un momento all’altro e i capelli legati alla meglio. Vicino a quest’uomo c’è una coppia, sono seduti appiccicati, in un modo che non sembra molto comodo, tra di loro c’è un pezzo di ferro che divide le sedie, ma non riesce a dividere loro due. Fissano con aria assente un punto fisso davanti a loro, non parlano, stanno così, abbracciati e rilassati. Hanno gli occhi stanchi, occhi che hanno visto tanto, e chissà quali meraviglie del mondo. Si vede che si amano tanto. Non si lasciano nemmeno un secondo… forse si sono conosciuti in uno dei loro viaggi, o magari uno dei due ha influenzato l’altro facendogli girare il mondo. Ai loro piedi infatti ci sono dei zaini enormi, uno blu e l’altro rosa scuro. Pieno di lacci e di cartone che escono da ogni fessura… li invidio. Ho sempre pensato di risparmiare il più possibile, prendere il primo volo e ricominciare da qualche parte, mi è sempre mancato il coraggio. I miei sogni ad occhi aperti vengono interrotti dalla gente che si alza e si mette in fila per imbarcarsi. Mi alzo faticosamente con la mia stampella e alzo il mio zaino in spalla. La gentile ragazza che si occupa dei biglietti d’imbarco mi guarda la gamba ingessata. “-E tu, perché non hai l’assistenza? Potevi salire prima ed essere meno d’intralcio per il resto dei passeggeri ed era più comodo per te.” Dice in tono infastidito e guardandomi come se fossi stupida. Esattamente che problemi aveva la gente con me? -“Si figuri signorina, adoro essere d’intralcio alla gente, lo faccio come hobby.” Gli sorrido e senza attendere risposta zoppico verso il mio aereo che mi porterà dove finalmente avrò un po’ di tranquillità.
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laureltempestuniverse · 4 years ago
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.               𝐖𝐀𝐋𝐓𝐄𝐑 & 𝐋𝐀𝐔𝐑𝐄𝐋        ﹙Flash Role﹚⋆ #ravenfirehunters             #𝐫𝐚𝐯𝐞𝐧𝐟𝐢𝐫𝐞𝐫𝐩𝐠   «Buonasera Signorina Laurel.» Con un inchino elegante saluta la giovane rossa, prima di rivolgerle un sorriso gentile. Si conoscono da parecchio tempo ormai, e sebbene le occasioni di frequentarsi siano poche per via dei numerosi impegni, allo specializzando fa sempre piacere poter fare quattro chiacchere con lei.   «Sei qui perché ti interessa davvero la rappresentazione teatrale, per il rifugio o perché come me volevi una scusa per infilare un costume? Per altro stai davvero benissimo.»
Laurel Tempest A. Seered
Essere una Seered significava anche partecipare ad eventi quando l'unico desiderio era quello di rintanarsi sotto le coperte, come in quell'occasione. Aveva appreso della notizia della festa appena qualche giorno prima, e nonostante avesse dovuto buttare all'aria tutto il suo guardaroba per scegliere un abito da indossare, ora era lì, a guardarsi attorno con fare decisamente circospetto. Furono le parole dell'amico a farle sorgere un sorriso sincero, una rapida stretta di spalle prima di ridacchiare. « Ti prego, non dirmi che sembro un pesce fuor d'acqua... » Commentò la veggente dai crini scarlatti, nascondendo poi un lieve rossore che andò ad imporporare le di lei gote. Non era poi così abituata ai complimenti, ma da qualche parte doveva pur cominciare, no? « A dire il vero entrambe le cose, ma soprattutto cercavo un qualsiasi motivo per potermi allontanare da casa... E tu invece, non pensavo fossi un amante di Jane Austen. »
Walter Carpenter
«Guardaci. Siamo tutti dei ridicoli pesci fuor d’acqua, non hai nulla di cui preoccuparti.» È sinceramente convinto della sua affermazione, sono tutti piuttosto ridicoli nei loro abiti d'epoca in nylon e altre fibre sintetiche, per non parlare di chi non ha ben chiaro quali fossero gli abiti indossati nel libri di Jane Austen e si è presentato con qualcosa di più adatto per un rapido salto alla reggia di Versailles. Non c'è motivo per sentirsi in imbarazzo, non più di tutti gli altri ospiti, almeno. Walter ha affittato un costume piuttosto elegante, qualcosa che avrebbe indossato un medico dell'epoca, e si è recato alla festa con l'intenzione di passare una serata serena e priva di fumo, corse alle porte, folle impazzite, incendi e simili. Il genere di avvenimento che a Ravenfire sembra accadere sempre più spesso, insomma. «Diciamo che non avevo voglia di stare a casa da solo mentre il resto della città si divertiva. Pensa che perfino mia nonna e le sue amiche sono qui da qualche parte, e alcune di loro probabilmente hanno acquistato i libri direttamente alle prime edizioni all'inizio del 1800.»
Laurel Tempest A. Seered
Rimanere a casa non sarebbe mai stata un'opzione valutabile per la veggente, la quale cercava ogni singola scusa per allontanarsi da quella residenza che più di una volta era diventata quasi soffocante. Aveva lo sguardo curioso Laurel, lo stesso sguardo di chi cercava di memorizzare ogni dettaglio possibile ma era impossibile non ridere delle parole dell'amico. Tutti i presenti indossavano vestiti d'epoca, e nonostante lei fosse una delle più "normali" non era di certo abituata ad essere al centro dell'attenzione.
« Allora ben comprendi la mia decisione, eh? »
Replicò con un sorriso debole prima di ampliarlo sempre di più. Si portò poi una mano alle labbra come se dovesse nascondere quell'atto di fronte agli invitati e si voltò come una vera dama del passato.
« Ogni volta che c'è un evento a Ravenfire, soprattutto se riguarda il passato, anche i più anziani non sanno resistere... Non hai visto che al ballo dei Fondatori, ci sono persone che dovrebbero starsene a casa? Ormai Ravenfire sta diventato una città mondana. »
Walter Carpenter
«Secondo me lo è sempre stata.» Esclama senza pensarci troppo, convinto che la sua città natale ami vivere in un passato che non tornerà più, aiutata anche dalle sue dimensioni ridotte e dalle tante famiglie che da secoli la abitano, mantenendo così delle tradizioni che in luoghi più metropolitani si sarebbero perse nel tempo. Walter non sente di appartenere a quelle tradizioni e per molti anni ha pensato che una volta morta sua nonna avrebbe detto addio alla sua Ravenfire per cercare lavoro in qualche grande città, così da vivere la sua vita come ha sempre sognato... certo questo era prima di scoprire quanti segreti nasconde la piccola cittadina della Virginia. «Ma devo ammettere che l’opportunità di mettermi in costume non me la faccio scappare quasi mai. Insomma, quando ci ricapita di metterci abiti simili senza essere guardati come se ci mancasse qualche rotella?» Volge nuovamente lo sguardo sulla sala e i suoi ospiti, cercando nella folla la figura tutta imbellettata della nonna senza successo. La immagina con il suo gruppetto di amiche, intente a scattarsi selfie e a ridere di gusto... forse è un bene che si mantengano queste feste, specialmente per chi non può uscire dal confine. Si risveglia dai suoi pensieri e porge il braccio a Laurel con un lieve inchino, cercando di non uscire troppo dalla parte del gentiluomo, e si rivolge a lei con una richiesta che all’epoca avrebbe sicuramente portato a molte chiacchiere ma che per fortuna oggi è più che normale. «Posso accompagnarti fuori per due passi e un po’ d’aria fresca? Sembriamo entrambi bisognosi di tornare al nostro secolo almeno per una decina di minuti.»
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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themasterpiececousin · 4 years ago
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🔥 𝐧𝐚𝐭𝐚𝐬𝐡𝐚 + 𝐡𝐮𝐧𝐭𝐞𝐫 𝐚𝐧𝐝 𝐞𝐯𝐞𝐥𝐢𝐧𝐞 🔥 ⤿ 𝒓𝒂𝒗𝒆𝒏𝒇𝒊𝒓𝒆 𝒄𝒆𝒏𝒕𝒆𝒓 𝟐𝟒/𝟏𝟐/𝟐𝟎𝟐𝟎 - 𝘁𝗿𝗮𝗰𝗰𝗶𝗮 #𝟭      ( #Ravenfirerpg )
Per l'agente Wallance non vi erano ferie durante il periodo di Natale, ma fortunatamente era riuscita a farsi cambiare il turno lavorativo, affinché potesse passare almeno la sera della vigilia ed il giorno di Natale in compagnia di Serena. Era il primo Natale che passava con sua figlia e voleva che tutto potesse essere perfetto. Sul versante lavorativo le emozioni non mancavano mai ed infatti di turno al Ravenfire Center, ed infatti si era ritrovata in mezzo ad una rapina abbastanza grossa, si era messa all'inseguimento dei ladri perdendoli in mezzo alla folla, il centro commerciale era pieno di gente che si affannavano per comprare gli ultimi regali di natale e di conseguenza in mezzo a tanta gente anche la Wallance aveva avuto problemi nel trovare i colpevoli. Ora, si era fermata per fare rapporto via radio ai suoi superiori, consigliando loro di iniziare a pattugliare fuori il centro commerciale, mentre lei avrebbe indagato un po' all'interno di esso. ( . . . ) Era ormai una mezzora che la dooddrear stava camminando guardandosi intorno tra i presenti del luogo, i ladri potevano benissimo essersi confusi con tutta la gente presente, qualcosa o meglio qualcuno attirò però l'attenzione della donna, ovvero due ragazzi che sembravano colpevoli. Era un'intuizione la sua, magari solo una sensazione errata ma qualcosa dentro di lei le fece pensare di fermarli ed infatti così fece. «Sono l'agente Wallance, sto indagando sul furto che c'è stato poche ore fa. Posso farvi qualche domanda?» Eveline Delìa Martin ( ... ) Si trovava in un negozio molto simile a Lush, in attesa di poter andare alla cassa con una confezione di saponi che richiamavano lo spazio, c’erano Saturno, Nettuno, Giove, Mercurio, quando da lì dentro sentirono le prime urla provenire dall’esterno. Il caos dilagò velocemente e le persone cominciarono a correre al riparo nei camerini e fuori dai negozi. C’era chi pensava fosse un attentato, chi urlava a una rapina con una sparatoria, e chi mormorava di aver visto almeno un morto. Il panico che si venne in poco tempo a creare ricordava la fatidica notte di Halloween trascorsa al Resort, la stessa notte del trentuno ottobre che aveva causato morte, cicatrici e diversi traumi, tra cui la paura di venire nuovamente attaccati da un pazzo incosciente, ed Eveline vi cedette, completamente e senza remore. E quel suo stato d’ansia l’aveva infine tradita, e adesso lei non riusciva a fare a meno di sentirsi in trappola, sotto lo sguardo accusatorio di un agente di polizia. « C-certo, ma io non c’entro niente con la rapina. » Disse, stringendosi nel cappotto in un improvviso brivido di freddo. La mano destra tenuta ancora nascosta nella tasca posteriore dei jeans come una ladra qualsiasi. « E non conosco lui. » Guardò il ragazzo che stava per essere interrogato insieme a lei: non sembrava avere un’aria colpevole, ma soltanto una più altezzosa e viziata. Hunter Adam Cook * Il centro commerciale di Ravenfire pullulava di gente che correva di qua e di là e che era alla ricerca degli ultimi regali di Natale da fare. Uno di quelli era sicuramente Hunter Cook che doveva assolutamente trovare il regalo perfetto ai cugini, le due persone che amava più di chiunque altro. Era appena entrato nel centro commerciale ed i suoi occhi erano già stati rapiti da varie vetrine quando delle urla non lo spinsero ad accorrere nei corridoi per comprendere cosa fosse successo. La fortuna volle che il suo sguardo scintillante fu attratto da un piccolo brillantino a terra che, felice come un bambino, raccolse pensando che fosse mera bigiotteria. Avrebbe potuto tenerlo con sé come un segno che gli augurasse buona fortuna, era una cosa che aveva imparato a fare in Italia, un po’ come monito contro la superstizione. Fu così che nonostante il caos il giovane umano si chinò a prendere quello che sarebbe stato un diamantino e se lo intascò cercando di comprendere cosa fosse successo. La gente intorno a lui mormorava che ci fosse stata una rapina e Hunter non potette che cercare di capire come uscire o come mettersi in salvo. Fece qualche passo, ora un po’ più preoccupato e decisamente più determinato a salvare la sua persona. Sentiva l’ansia salire es il suo sguardo esaminava i volti che intorno a lui si succedevano alla ricerca di salvezza. Tutto sembrava così veloce che i secondi sembravano durare un’eternità. E fu quell’eternità insita nella lentezza che lo tradì a tal punto che un agente gli si rivolse. * « Io? Che? Oh mi scusi, agente Wallance ma penso che abbia sbagliato. Io non conosco questa ragazza e sono venuto qui per dei regali di Natale.. Può fare qualsiasi domanda, ma penso che i veri ladri siano belli che andati. » * Disse facendo elegantemente spallucce. Hunter era sempre stato collaborativo con degli agenti, ma ormai era tardi e lui doveva fare dei regali. * Natasha Stephanie Wallance Natasha intuì subito notando il comportamento della ragazza che fosse in uno stato evidente di ansia, aveva gli occhi colmi di paura, gli stessi occhi di chi avvertiva che qualcosa stesse accadendo. Natasha non aveva intenzione di giocare al poliziotto cattivo, ma voleva svolgere il suo lavoro, acciuffare i ladri che si erano divertiti a svaligiare la gioielleria presente nel centro commerciale. Il suo sguardò passò però al ragazzo che aveva fermato, gli sembrava piuttosto spavaldo, non tradiva nessuna emozione e lei stava cercando in tutti i modi di captare qualche emozione negativa. «Fai fare a me il lavoro ragazzo. Magari sei proprio tu il rapinatore e stai cercando di salvarti la pelle. Svuotate le tasche tutti e due.» Ferma, decisa, senza tradire qualche incertezza. Natasha odiava quando dei ragazzi venivano coinvolti in quelle vicende, le ricordavano comunque che potevano avere qualche anno in più di sua figlia Serena, ma era pur sempre il suo lavoro, doveva svolgerlo. Uscì dalla divisa un taccuino ed una penna e li guardò entrambi. «Su che aspettate? Dite di non essere colpevoli no? Dimostratelo.» Iniziò a trascrivere ciò che stava succedendo ed avrebbe anche appuntato il nome dei giovani che aveva fermato, prima però voleva vedere cosa nascondessero, era consapevole di aver fermato due che non c'entravano nulla, ma lì a Ravenfire molti erano bravi a camuffarsi a passare per bravi ragazzi e non poteva far finta di nulla. Eveline Delìa Martin Di fronte alla dichiarazione dell’altro Eveline non poté far altro che annuire energicamente e sentirsi concorde con lui per ciò che aveva appena detto alla donna. < Come le ho detto, non lo conosco. > Ma, nonostante questo breve momento di condivisione, e la convinzione di non aver fatto nulla di male correndo via al primo richiamo della polizia a fermarsi, la tensione tornò a starle addosso come un’ombra e lei continuò a sentirsi come sul punto di esplodere in un vero e proprio attacco di panico: il suo battito diventò ancora più accelerato, le mani sudaticce, la mente annebbiata, e un forte senso di spossatezza anomala simile a quello di un calo di zuccheri improvviso cominciò a farla tremare. Non era stata lei a rapinare quel negozio. < C-cosa? > scosse debolmente la testa, portandosi la mano buona in volto e passandosela sulla fronte sbiancata, cercando di rimanere concentrata soltanto sulla donna — e sul proprio respiro ora più lento e lungo. Le era stato chiesto di mostrare le mani e la sua, in tasca, segnata da un passato violento che aveva lasciato tutt'ora un segno enorme quanto una casa dentro di lei; quella mano non reagì alla richiesta della donna. Tremò nella tasca dei jeans che indossava. < Non posso. > Disse, scuotendo di nuovo la testa, ma stavolta impaurita. E meno concorde. Temeva che fosse una trappola. < Lei è davvero un agente? > ... della polizia, cazzo. Perché la mente continuava a giocarle brutti scherzi? Guardò l'altro ragazzo come a voler cercare ad ogni costo cenno, sul suo viso, che potesse rivelarle che fosse d'accordo. La sua testa le urlava ancora di scappare, di nuovo. Hunter Adam Cook * Il fare sicuro di Hunter era qualcosa che l'aveva da sempre contraddistinto, spesso infatti, soprattutto in Italia, si era ritrovato in affari poco consoni e forse fin troppo mondani proprio per quel suo modo così sicuro, così pronto a dire e fare. Hunter non era uno che aveva paura di osare, non lo era mai stato neppure quando suo padre aveva rifiutato la sua umana natura in favore di quella veggente che, invece, Hunter non avrebbe mai sviluppato. Non si sapeva bene come, ma il ragazzo aveva sviluppato, al posto di quella natura sovrannaturale, un'abilità nel parlare non indifferente. Quell'abilità, però, non riuscì a raggirare la faccenda, anzi sembrò peggiorarla: l'agente di polizia chiese chiaramente di svuotare le tasche. Si guardò attorno, poi guardò scosso la giovane sconosciuta accanto a lui per ritornare con lo sguardo verso quell'agente. * < Le ripeto un'ultima volta: non sono io il ladro. Le sembro avere la faccio da ladro? Perché mai devo mostrarle le tasche quando nessuno armato ruberebbe e metterebbe in tasca e girerebbe sul luogo del delitto ore dopo... Suvvia, intendiamoci. > * Il ragazzo si passò a quel punto una mano fra i proprio ricci gellati e posti rigorosamente all'indietro. Alla fin fine sospirò e svuotò una tasca in dimostrazione del fatto che quell'ipotesi era davvero stupida, ma qualcosa cadde a terra, impercettibile o no quel qualcosa cadde. * < Vede? Non c'era niente... perché il bottino non sarebbe mai nelle tasche di uno che gira senza una pistola, agente Wallance. > Natasha Stephanie Wallance «In che senso non può? E certo che sono un'agente di polizia. Non mi credi?» Natasha iniziava ad essere stanca di quel teatrino che i due stavano montando, ora stavano anche insinuando che lei non fosse un'agente di polizia, cosa assurda. Era la prima volta in anni ed anni di carriera come agente di polizia che qualcuno metteva in dubbio il suo operato. Scosse la testa e concentrò l'attenzione sul ragazzo che svuotò le tasche. Il frastuono della gente che si accalcava tra loro non fece notare alla Wallance ciò che cadde dalle tasche del ragazzo. «Va bene, va bene, però dovete seguirmi ugualmente in centrale devo scrivere ciò che avete detto, poi ve ne tornerete a casa in tranquillità. Ho capito che non sapete nulla.» Voleva finire il suo lavoro il prima possibile, i ladri della gioielleria ormai si erano volatilizzai e quei due ragazzi veramente erano innocenti, Natasha era brava a captare le persone e li aveva già spremuti abbastanza. Fece cenno loro di seguirla così da andare in centrale, fare la loro deposizione e poi sarebbero potuto tornare a casa liberi e tranquilli. «Su andiamo.» ( fine role ❤ )
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agapeurquhart · 4 years ago
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      📽️  𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐯𝐞
          𝗀𝗋𝖾𝖺𝗍 𝗁𝖺𝗅𝗅
          𝖽𝖾𝖼𝖾𝗆𝖻𝖾𝗋 𝟤𝟢, 𝟤𝟢𝟤𝟤
          #𝖽𝖺𝗇𝗀𝖾𝗋𝗈𝗎𝗌𝗁𝗉𝗋𝗉𝗀 
 
                 ⤸
 
 Quando i prefetti hanno organizzato il ballo, hanno deciso di comune accordo di far installare un piccolo palchetto affinché chiunque volesse esibirsi potesse cantare. Ed è proprio quello che ha intenzione di fare Edward McMillan, stretto in un elegante completo in color carta da zucchero, quando lo raggiunge tenendo al collo la chitarra magica che gli ha regalato Agape in occasione dei suoi diciassette anni.  ‹‹ 'Ssssera Hogwarts! ›› parla al microfono, mentre la corvonero si affretta ad avvicinarsi il più possibile. ‹‹ Volevo ringraziare la nostra magnifica preside e i nostri diligentissimi prefetti per aver reso possibile questo ballo d'inverno — complimenti, siamo tutti così luccicanti che ho dovuto girare tutta la sera con gli occhiali da sole! Quando mi è stato detto che c'era la possibilità di esibirsi dal vivo non immaginavo di stare per fare quello che tra poco farò ma ehi, la vita è bella perché è imprevedibile, giusto? ››  È appena rosso per l'imbarazzo, ma non per questo si tira indietro: comincia a cantare, e Agape ignora - per la prima volta durante la serata, dato che l'ha trascorsa quasi tutta a controllare che ogni cosa fosse al proprio posto - tutto ciò che la circonda per ascoltare bene.
    `` I love it when you just don't care I love it when you dance like there's nobody there So when it gets hard, don't be afraid We don't care what them people say I love it when you don't take no I love it when you do what you want cause you just said so Let them all go home, we out late We don't care what them people say We don't have to be ordinary Make your best mistakes 'Cause we don't have the time to be sorry So baby be the life of the party I'm telling you to take your shot it might be scary Hearts are gonna break 'Cause we don't have the time to be sorry So baby be the life of the party Together we can just let go Pretend like there's no one else here that we know Slow dance fall in love as the club track plays We don't care what them people say. ``
 La guarda ogni tanto, durante la performance, ma c'è un punto della canzone in cui lo fa palesemente, in modo diretto, senza filtri — ed Agape sorride in modo furbo, allora, perché `` I love it when you don't take no / I love it when you do what you want cause you just said so `` è una sua perfetta descrizione concentrata soltanto in due versi. L'esibizione muta ritmo dato che il tassorosso decide di virare su un'altra canzone, "Something Big", che la coinvolge a tal punto da farla ballare con tanto di braccia alzate e farle incitare quelli che ha accanto al momento a divertirsi in modo simile.
                      ・・・
 Appena tornato in "platea", in barba alla discrezione, il cantante raggiunge Agape e l'abbraccia, con lei che ricambia così forte da stritolarlo.  ‹‹ Hai visto? Sei stato grandioso! ››  ‹‹ Sì? Davvero? Qualcuno ballava o l'ho immaginato? ››  ‹‹ Croce sul cuore, signor re. ›› gli dà un bacio sulla guancia, per poi spostare le mani dietro al suo collo, la guancia poggiata alla spalla in modo da poterlo comunque guardare. ‹‹ Un sacco di gente ballava, in realtà. ››  ‹‹ E tu con me ci balli? ›› posa le mani sui suoi fianchi e ondeggia piano, seguendo il ritmo della canzone che stanno cantando ora.  ‹‹ È quello che sto aspettando da quando questa serata è stata organizzata, lo sai? ›› fa altrettanto, prendendo a muoversi sul posto.  ‹‹ Ora va a finire che l'hai organizzata solo per avere la scusa. Potevamo farlo un sacco di volte, Urquhart. ››  ‹‹ Ouch, non volevo scoprissi così che fosse il mio unico fine — perché non l'abbiamo fatto, allora? ››  ‹‹ Perché io sembro una giraffa neonata. E perché non sapevo che ne avessi voglia — ››  La ragazza ride per il paragone, tanto che va a nascondersi schiacciando il naso contro la sua spalla. ‹‹ Una giraffa bambina, dato che stai crescendo. No? ››  ‹‹ Nel ballo non crescerò mai. ›› lo dice molto serio mentre controlla con ansia i piedi di Ape, terrorizzato dal porterle fare male. Intanto, lei prende ad accarezzargli piano i capelli sulla nuca come per tranquillizzarlo. È rilassata e serena, forse per la prima volta nell'arco di quella settimana. ‹‹ Stai per smocciolarmi sulla giacca? ››  ‹‹ Sì. Tanto l'ho scelta io, posso permettermelo. ›› il ragazzo posa la guancia sulla sua, facendo nascere in lei un sincero sorriso. ‹‹ Quando l'hai scritta? ››  ‹‹ La prima o la seconda? ››  ‹‹ La prima — ma anche la seconda, in realtà. Quante altre ne hai scritte che non conosco? ››  ‹‹ Ti sembrerà strano, ma la prima l'ho scritta l'anno scorso, era un po' un rifugio. È stupido, non ne parliaaamo — ››  ‹‹ Non è stupido, anzi. ››  ‹‹ La seconda è una delle prime canzoni che abbia mai scritto. ››  ‹‹ Ho amato il ritmo! ››  ‹‹ Quel giorno ricordo che ero tristissimo perché mi era andata male un'interrogazione, era un piccolo inno di coraggio: e infatti poco dopo ho iniziato a giocare come titolare, ero al terzo anno! ››  ‹‹ Eri piccolissimo. Posso rubartela e usarla anche io come inno? ››  Si ferma, Edward. ‹‹ Hai ricevuto qualche brutta notizia? ››  Agape si stringe nelle spalle e, nonostante lui si sia bloccato, continua a dondolare. ‹‹ No, ma a volte mi capitano giorni in cui un po' mi abbatto, lo sai. ››  Annuisce, ora rassicurato. ‹‹ Puoi usarla quanto e come vuoi. ››  ‹‹ Dovrai darmi una versione digitale, amor. E un bacio. ››  ‹‹ Qui? ›› le ha preso il mento e passa appena il pollice sulle sue labbra.  ‹‹ Non lo so, io avrei voluto farlo nel momento stesso in cui sei sceso dal palco. ››  ‹‹ Anche io — ›› è super sorpreso perché ha pensato la stessa cosa e quindi si china noncurante di chi ha attorno per darle un bacio.  Ad Agape scoppia il cuore: nell'ultimo periodo hanno un po' chiacchierato - anche litigato! - circa l'eventualità di uscire allo scoperto nonostante il loro essere ormai fratellastri, non avrebbe mai immaginato che sarebbe davvero successo e in un modo così spontaneo e puro. Sposta una mano sulla sua guancia per potergliela accarezzare mentre lo ricambia, sulle labbra un sorriso intermittente e più luminoso della corona che ha indossato per il ballo.  ‹‹ Scema, dovevi urlare schifata un "ma che sei matto??" — adesso è tutto rovinato. ›› ma la bacia di nuovo, pure lui con un enorme sorriso.  ‹‹ Possiamo dare sempre la colpa al punch corretto — che cosa ne sanno loro che non hai bevuto ancora nemmeno un goccio? ››
                      ・・・
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.             ╰ 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐯𝐞!
              📍 great hall, hogwarts
              📅 dec 20, 2022
              🔗 #𝖽𝖺𝗇𝗀𝖾𝗋𝗈𝗎𝗌𝗁𝗉𝗋𝗉𝗀
                      ・・・
 Quando i prefetti hanno organizzato il ballo, hanno deciso di comune accordo di far installare un piccolo palchetto affinché chiunque volesse esibirsi potesse cantare. Ed è proprio quello che ha intenzione di fare Edward McMillan, stretto in un elegante completo in color carta da zucchero, quando lo raggiunge tenendo al collo la chitarra magica che gli ha regalato Agape in occasione dei suoi diciassette anni.
 ‹‹ 'Ssssera Hogwarts! ›› parla al microfono, mentre la corvonero si affretta ad avvicinarsi il più possibile. ‹‹ Volevo ringraziare la nostra magnifica preside e i nostri diligentissimi prefetti per aver reso possibile questo ballo d'inverno — complimenti, siamo tutti così luccicanti che ho dovuto girare tutta la sera con gli occhiali da sole! Quando mi è stato detto che c'era la possibilità di esibirsi dal vivo non immaginavo di stare per fare quello che tra poco farò ma ehi, la vita è bella perché è imprevedibile, giusto? ››
 È appena rosso per l'imbarazzo, ma non per questo si tira indietro: comincia a cantare, e Agape ignora - per la prima volta durante la serata, dato che l'ha trascorsa quasi tutta a controllare che ogni cosa fosse al proprio posto - tutto ciò che la circonda per ascoltare bene.
    `` I love it when you just don't care
I love it when you dance like there's nobody there
So when it gets hard, don't be afraid
We don't care what them people say
I love it when you don't take no
I love it when you do what you want cause you just said so
Let them all go home, we out late
We don't care what them people say
We don't have to be ordinary
Make your best mistakes
'Cause we don't have the time to be sorry
So baby be the life of the party
I'm telling you to take your shot it might be scary
Hearts are gonna break
'Cause we don't have the time to be sorry
So baby be the life of the party
Together we can just let go
Pretend like there's no one else here that we know
Slow dance fall in love as the club track plays
We don't care what them people say. ``
 La guarda ogni tanto, durante la performance, ma c'è un punto della canzone in cui lo fa palesemente, in modo diretto, senza filtri — ed Agape sorride in modo furbo, allora, perché `` I love it when you don't take no / I love it when you do what you want cause you just said so `` è una sua perfetta descrizione concentrata soltanto in due versi. L'esibizione muta ritmo dato che il tassorosso decide di virare su un'altra canzone, "Something Big", che la coinvolge a tal punto da farla ballare con tanto di braccia alzate e farle coinvolgere quelli che ha accanto al momento.
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 Appena tornato in "platea", in barba alla discrezione, il cantante raggiunge Agape l'abbraccia, con lei che ricambia così forte da stritolarlo.
 ‹‹ Hai visto? Sei stato grandioso! ››
 ‹‹ Sì? Davvero? Qualcuno ballava o l'ho immaginato? ››
 ‹‹ Croce sul cuore, signor re. ›› gli dà un bacio sulla guancia, per poi spostare le mani dietro al suo collo, la guancia poggiata alla spalla in modo da poterlo comunque guardare. ‹‹ Un sacco di gente ballava, in realtà. ››
 ‹‹ E tu con me ci balli? ›› posa le mani sui suoi fianchi e ondeggia piano, seguendo il ritmo della canzone che stanno cantando ora.
 ‹‹ È quello che sto aspettando da quando questa serata è stata organizzata, lo sai? ›› fa altrettanto, prendendo a muoversi sul posto.
 ‹‹ Ora va a finire che l'hai organizzata solo per avere la scusa. Potevamo farlo un sacco di volte, Urquhart. ››
 ‹‹ Ouch, non volevo scoprissi così che fosse il mio unico fine — perché non l'abbiamo fatto, allora? ››
 ‹‹ Perché io sembro una giraffa neonata. E perché non sapevo che ne avessi voglia — ››
 La ragazza ride per il paragone, tanto che va a nascondersi schiacciando il naso contro la sua spalla. ‹‹ Una giraffa bambina, dato che stai crescendo. No? ››
 ‹‹ Nel ballo non crescerò mai. ›› lo dice molto serio mentre controlla con ansia i piedi di Ape, terrorizzato dal porterle fare male. Intanto, lei prende ad accarezzargli piano i capelli sulla nuca come per tranquillizzarlo. È rilassata e serena, forse per la prima volta nell'arco di quella settimana. ‹‹ Stai per smocciolarmi sulla giacca? ››
 ‹‹ Sì. Tanto l'ho scelta io, posso permettermelo. ›› il ragazzo posa la guancia sulla sua, facendo nascere in lei un sincero sorriso. ‹‹ Quando l'hai scritta? ››
 ‹‹ La prima o la seconda? ››
 ‹‹ La prima — ma anche la seconda, in realtà. Quante altre ne hai scritte che non conosco? ››
 ‹‹ Ti sembrerà strano, ma la prima l'ho scritta l'anno scorso, era un po' un rifugio. È stupido, non ne parliaaamo — ››
 ‹‹ Non è stupido, anzi. ››
 ‹‹ La seconda è una delle prime canzoni che abbia mai scritto. ››
 ‹‹ Ho amato il ritmo! ››
 ‹‹ Quel giorno ricordo che ero tristissimo perché mi era andata male un'interrogazione, era un piccolo inno di coraggio: e infatti poco dopo ho iniziato a giocare come titolare, ero al terzo anno! ››
 ‹‹ Eri piccolissimo. Posso rubartela e usarla anche io come inno? ››
 Si ferma, Edward. ‹‹ Hai ricevuto qualche brutta notizia? ››
 Agape si stringe nelle spalle e, nonostante lui si sia bloccato, continua a dondolare. ‹‹ No, ma a volte mi capitano giorni in cui un po' mi abbatto, lo sai. ››
 Annuisce, ora rassicurato. ‹‹ Puoi usarla quanto e come vuoi. ››
 ‹‹ Dovrai darmi una versione digitale, amor. E un bacio. ››
 ‹‹ Qui? ›› le ha preso il mento e passa appena il pollice sulle sue labbra.
 ‹‹ Non lo so, io avrei voluto farlo nel momento stesso in cui sei sceso dal palco. ››
 ‹‹ Anche io — ›› è super sorpreso perché ha pensato la stessa cosa e quindi si china noncurante di chi ha attorno per darle un bacio.
 Ad Agape scoppia un po' il cuore: nell'ultimo periodo hanno un po' chiacchierato - anche litigato! - circa l'eventualità di uscire allo scoperto nonostante il loro essere ormai fratellastri, non avrebbe mai immaginato che sarebbe davvero successo e in un modo così spontaneo e puro. Sposta una mano sulla sua guancia per potergliela accarezzare mentre lo ricambia, sulle labbra un sorriso intermittente e più luminoso della corona che ha indossato per il ballo.
 ‹‹ Scema, dovevi urlare schifata un "ma che sei matto??" — adesso è tutto rovinato. ›› ma la bacia di nuovo, pure lui con un enorme sorriso.
 ‹‹ Possiamo dare sempre la scusa al punch corretto — che cosa ne sanno loro che non hai bevuto ancora nemmeno un goccio? ››
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 Quando i prefetti hanno organizzato il ballo, hanno deciso di comune accordo di far installare un piccolo palchetto affinché chiunque volesse esibirsi potesse cantare. Ed è proprio quello che ha intenzione di fare Edward McMillan, stretto in un elegante completo in color carta da zucchero, quando lo raggiunge tenendo al collo la chitarra magica che gli ha regalato Agape in occasione dei suoi diciassette anni.
 ‹‹ 'Ssssera Hogwarts! ›› parla al microfono, mentre la corvonero si affretta ad avvicinarsi il più possibile. ‹‹ Volevo ringraziare la nostra magnifica preside e i nostri diligentissimi prefetti per aver reso possibile questo ballo d'inverno — complimenti, siamo tutti così luccicanti che ho dovuto girare tutta la sera con gli occhiali da sole! Quando mi è stato detto che c'era la possibilità di esibirsi dal vivo non immaginavo di stare per fare quello che tra poco farò ma ehi, la vita è bella perché è imprevedibile, giusto? ››
 È appena rosso per l'imbarazzo, ma non per questo si tira indietro: comincia a cantare, e Agape ignora - per la prima volta durante la serata, dato che l'ha trascorsa quasi tutta a controllare che ogni cosa fosse al proprio posto  - tutto ciò che la circonda per ascoltare bene.
    `` I love it when you just don't care
I love it when you dance like there's nobody there
So when it gets hard, don't be afraid
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I love it when you don't take no
I love it when you do what you want cause you just said so
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We don't care what them people say
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Slow dance fall in love as the club track plays
We don't care what them people say. ``
 La guarda ogni tanto, durante la performance, ma c'è un punto della canzone in cui lo fa palesemente, in modo diretto, senza filtri — ed Agape sorride in modo furbo, allora, perché `` I love it when you don't take no / I love it when you do what you want cause you just said so `` è una sua perfetta descrizione concentrata soltanto in due versi. L'esibizione muta ritmo dato che il tassorosso decide di virare su un'altra canzone, "Something Big", che la coinvolge a tal punto da farla ballare con tanto di braccia alzate e farle coinvolgere quelli che ha accanto al momento.
                      ・・・
 Appena tornato in "platea", in barba alla discrezione, il cantante raggiunge Agape l'abbraccia, con lei che ricambia così forte da stritolarlo.
 ‹‹ Hai visto? Sei stato grandioso! ››
 ‹‹ Sì? Davvero? Qualcuno ballava o l'ho immaginato? ››
 ‹‹ Croce sul cuore, signor re. ›› gli dà un bacio sulla guancia, per poi spostare le mani dietro al suo collo, la guancia poggiata alla spalla in modo da poterlo comunque guardare. ‹‹ Un sacco di gente ballava, in realtà. ››
 ‹‹ E tu con me ci balli? ›› posa le mani sui suoi fianchi e ondeggia piano, seguendo il ritmo della canzone che stanno cantando ora.
 ‹‹ È quello che sto aspettando da quando questa serata è stata organizzata, lo sai? ›› fa altrettanto, prendendo a muoversi sul posto.
 ‹‹ Ora va a finire che l'hai organizzata solo per avere la scusa. Potevamo farlo un sacco di volte, Urquhart. ››
 ‹‹ Ouch, non volevo scoprissi così che fosse il mio unico fine — perché non l'abbiamo fatto, allora? ››
 ‹‹ Perché io sembro una giraffa neonata. E perché non sapevo che ne avessi voglia — ››
 La ragazza ride per il paragone, tanto che va a nascondersi schiacciando il naso contro la sua spalla. ‹‹ Una giraffa bambina, dato che stai crescendo. No? ››
 ‹‹ Nel ballo non crescerò mai. ›› lo dice molto serio mentre controlla con ansia i piedi di Ape, terrorizzato dal porterle fare male. Intanto, lei prende ad accarezzargli piano i capelli sulla nuca come per tranquillizzarlo. È rilassata e serena, forse per la prima volta nell'arco di quella settimana. ‹‹ Stai per smocciolarmi sulla giacca? ››
 ‹‹ Sì. Tanto l'ho scelta io, posso permettermelo. ›› il ragazzo posa la guancia sulla sua, facendo nascere in lei un sincero sorriso. ‹‹ Quando l'hai scritta? ››
 ‹‹ La prima o la seconda? ››
 ‹‹ Ti sembrerà strano, ma la prima l'ho scritta l'anno scorso, era un po' un rifugio. È stupido, non ne parliaaamo — ››
 ‹‹ Non è stupido, anzi. ››
 ‹‹ La seconda è una delle prime canzoni che abbia mai scritto. ››
 ‹‹ Ho amato il ritmo! ››
 ‹‹ Quel giorno ricordo che ero tristissimo perché mi era andata male un'interrogazione, era un piccolo inno di coraggio: e infatti poco dopo ho iniziato a giocare come titolare, ero al terzo anno! ››
 ‹‹ Eri piccolissimo. Posso rubartela e usarla anche io come inno? ››
 Si ferma, Edward. ‹‹ Hai ricevuto qualche brutta notizia? ››
 Agape si stringe nelle spalle e, nonostante lui si sia bloccato, continua a dondolare. ‹‹ No, ma a volte mi capitano giorni in cui un po' mi abbatto, lo sai. ››
 Annuisce, ora rassicurato. ‹‹ Puoi usarla quanto e come vuoi. ››
 ‹‹ Dovrai darmi una versione digitale, amor. E un bacio. ››
 ‹‹ Qui? ›› le ha preso il mento e passa appena il pollice sulle sue labbra.
 ‹‹ Non lo so, io avrei voluto farlo nel momento stesso in cui sei sceso dal palco. ››
 ‹‹ Anche io — ›› è super sorpreso perché ha pensato la stessa cosa e quindi si china noncurante di chi ha attorno per darle un bacio.
 Ad Agape scoppia un po' il cuore: nell'ultimo periodo hanno un po' chiacchierato - anche litigato! - circa l'eventualità di uscire allo scoperto nonostante il loro essere ormai fratellastri, non avrebbe mai immaginato che sarebbe davvero successo e in un modo così spontaneo e puro. Sposta una mano sulla sua guancia per potergliela accarezzare mentre lo ricambia, sulle labbra un sorriso intermittente e più luminoso della corona che ha indossato per il ballo.
 ‹‹ Scema, dovevi urlare schifata un "ma che sei matto??" — adesso è tutto rovinato. ›› ma la bacia di nuovo, pure lui con un enorme sorriso.
 ‹‹ Possiamo dare sempre la scusa al punch corretto — che cosa ne sanno loro che non hai bevuto ancora nemmeno un goccio? ››
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ali9799 · 7 years ago
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1/07/2017
Pensavo di stare meglio… Lo pensavo davvero… E invece credo di stare anche peggio. Chi è che sente il bisogno di piangere dopo aver passato una bellissima serata con gli amici, o improvvisamente nel bel mezzo di una lezione in università, sul pullman o quando stai prendendo un caffè con un'amica, quando sei a casa a vedere la TV? Mi chiedo quanto durerà ancora o se starò così per sempre… Vorrei tornare a qualche anno fa, quando ero ancora bambina, ignara delle brutture del mondo, della sofferenza che comporta essere cosciente di ciò che mi circonda, io che sono così empatica, troppo a volte. Vorrei poter essere ancora così innocente, vorrei non aver conosciuto gli uomini, anzi ragazzini perché non si meritano di essere chiamati in altro modo, a cui ho permesso troppo, che mi hanno ferita e mi hanno lasciata a dubitare della possibilità che ci sia “quello giusto”. Vorrei, e lo vorrei disperatamente, essere serena, equilibrata, felice… Ma sembro incapace di sconfiggere tutto questo buio che mi porto dietro da anni. A volte penso realmente di farcela, di superare il vuoto che mi porto dentro, ma poi questo vuoto, questo dolore straziante mi colpisce all'improvviso e mi lascia ammutolita e chiusa in un dolore che è solo mio. A volte penso che sarebbe meglio parlarne con qualcuno, cercare aiuto… Ma c'è qualcuno che potrebbe capire anche lontanamente? Alice 🥀
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giancarlonicoli · 5 years ago
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15 apr 2020 17:07
"MEGLIO SCONFITTI CHE MILANISTI" – NICOLA BERTI SI RACCONTA: IL TRAP, CONTE, LE PALLONATE AI MILANISTI - "AVEVO LA FAMA DI ESSERE BIZZARRINO E VIVACE, E PER QUESTO L'INTER MI FACEVA PEDINARE! MI HANNO ASSOCIATO ANCHE A UMA THURMAN. LA VERITÀ È CHE VENIVA CON ME ALLO STADIO A VEDERE L'INTER". -CARLA BRUNI? "MA NO! CI HANNO FOTOGRAFATO INSIEME A UNA SFILATA, TUTTO LÌ" – VIDEO
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Franco Vanni per repubblica.it
Oggi Nicola Berti compie 53 anni. Festeggerà in casa, come tutti quelli a cui è capitato in sorte il compleanno in periodo d'isolamento. Con lui, la moglie e i due figli adolescenti, nella loro grande casa di Piacenza.
Un appartamento che i fan hanno conosciuto nel video divertente in cui l'ex centrocampista, guascone come ai tempi in cui indossava la maglia numero 8 dell'Inter, pedala sulla cyclette con indosso un casco, per invitare tutti a stare a casa. Il casco è nerazzurro, ovviamente, come lo sono le sciarpe appese ai muri, i gagliardetti e il resto della collezione di cimeli. "Sono un ambasciatore dell'Inter. Per me questi colori hanno un'importanza che va molto oltre il pallone. Era così già quando giocavo".
Nell'Inter di oggi, si rivede in un giocatore in particolare?
"Mi riconosco in Nicolò Barella. Rispetto a me è più basso e più tecnico. Io fisicamente ero dirompente, ma lo spirito è quello. Della rosa attuale è il mio preferito. Abbiamo anche le stesse cifre sulla camicia, NB. Ci siamo conosciuti, è un tipo sveglio".
Con Antonio Conte ha giocato in Nazionale. Siete ancora amici?
"Certo, ci vediamo. Un anno e mezzo fa, quando Spalletti già traballava sulla panchina dell'Inter, ci incontrammo in un resort in Puglia. Gli dissi: dai che ti porto alla Pinetina! Lui si mise a ridere. Anche se non sembra un farfallone, Antonio si sa godere la vita".
Lei è un farfallone?
"Forse lo ero. O forse neanche quello. Spesso le persone non sono come appaiono. Al contrario di Conte, io sono molto più serio di come sembro".
Quali sono i punti di forza di questa Inter e quali i difetti?
"Antonio sta costruendo una squadra solida e vincente, a sua immagine e somiglianza. Da tifoso, ne sono davvero contento".
Questa Inter cos'ha in più, e cosa in meno, rispetto a quella dello scudetto dei record?
"Paragonare le squadre di oggi a quelle di vent'anni fa non ha senso. È cambiato tutto, tranne lo spirito. Il merito è dei due allenatori".
Il Trap e Conte. Due "gobbi" che sono riusciti a farsi amare dalla Milano nerazzurra.
"Se è per questo, il Trap aveva anche un passato milanista. Per lui conquistare il tifo nerazzurro dev'essere stato più complicato. Negli anni Ottanta il calcio si seguiva in modo viscerale. Erano i tempi del giocatore tifoso, delle bandiere in campo. Oggi l'idea che l'allenatore e il giocatore siano professionisti è più diffusa".
Gli interisti si dividono fra antimilanisti e antijuventini. Lei da che parte sta?
"La Juve in Italia non è mai stata simpatica a nessuno, tranne che agli juventini. Ma il Milan contro cui giocavo io era così forte che non potevi non sentire la contrapposizione".
Lei i giocatori del Milan li prendeva a pallonate in allenamento.
"Mica sempre! Però è vero, è successo. Il Milan di Sacchi era una squadra di giganti. Anche solo a  vederli apparivano arroganti, facevano paura. Prima dei derby facevamo riscaldamento in una piccola palestra all'interno dello stadio, tutti insieme. Appena uno di loro si girava non resistevo, partiva la pallonata".
Meglio sconfitti che milanisti. È un suo slogan.
"L'ho detto in un'intervista dopo un derby di Coppa Italia. Lo direi altre cento volte. Lo sfottò ci sta sempre, è sano, è il calcio. Un gusto che oggi si è un po' perso".
I tifosi interisti le cantavano "Nicola Berti facci un gol" a ogni tocco di palla.
"A pensarci mi vengono i brividi. Se chiudo gli occhi quel coro lo sento ancora, come l'odore del prato di San Siro. Quando quel coro, il mio coro, è stato rivolto a Diego Milito nell'anno del Triplete ho capito davvero quanto mi avevano amato i tifosi. Mi incitavano come fossi un centravanti, anche se ero un centrocampista. Al Milan, per dire, facci un gol lo cantavano a Van Basten".
Non è un po' fissato col Milan?
"Ma no! Solo che sono un interista della vecchia scuola. Sono cresciuto con i tifosi. Li vedevo a bordo campo alla Pinetina, durante gli allenamenti. Li incontravo al ristorante ad Appiano Gentile. Facevo il giro degli Inter club e lo faccio ancora. La mia Inter era quella di Peppino Prisco, e sapete tutti cosa pensava del Milan".
Oggi i campi di allenamento sono chiusi come basi spaziali, Pinetina compresa.
"È un peccato. Intorno al calcio c'è molta pressione, più polemica, un vortice di voci alimentate dai social network. Forse aprire gli allenamenti sarebbe dannoso, non so. Ma resto convinto che un giorno a settimana in cui i bambini possono godersi i loro campioni dal vivo nella quiete del campo d'allenamento sarebbe bellissimo farlo".
Voi campioni dell'88-89 avete una vostra chat?
"No, mai avuta. L'abbiamo invece con i compagni di Nazionale a Italia '90. Io leggo tutto ma scrivo pochissimo. I più chiacchieroni su WhatsApp sono Ferri e De Napoli, il nord e il sud. Comunque non serve WhatsApp per tenere i rapporti. Noi dell'Inter del Trap ci chiamiamo, alla vecchia maniera".
Lei chi è che chiama?
"Aldo Serena è un fratello. Poi Zenga, Ferri, Bergomi. Con i tedeschi ci si prova. Klinsmann è poliglotta, parla un italiano perfetto, ma è l'unico. Con Matthaeus e Brehme ci si intende in qualche modo, come facevamo quando si giocava insieme".
Il Trap lo sente?
"Il Trap è difficile sentirlo. L'ho visto al teatro alla Scala per la festa dei 50 anni dell'azienda del presidente Pellegrini. Scherzando, ho detto alla moglie: dai che è vecchio, tienilo a casa, fallo riposare! Ma è impossibile, il Trap non si riposa mai. Lo so io, figuriamoci se non lo sa la moglie".
Vinceste contro il Milan di Sacchi e il Napoli di Maradona. La Serie A può tornare a essere il campionato più bello del mondo?
"A quei livelli è impossibile. La Serie A era una sorta di Mondiale per club. Molto più della Premier League oggi, che pure ci sembra irraggiungibile. Quando passai dall'Inter al Tottenham, gli avversari mi sembravano tutti un po' scarsini. Per contro, chi arrivava dall'Inghilterra in Italia faticava. Qualche segnale di ripresa comunque lo vedo, oggi la Serie A tecnicamente è più interessante della Liga".
In proporzione guadagnavate meno di oggi?
"Non mi interessa molto, non faccio calcoli. Guadagnavamo abbastanza per vivere bene".
Senza cellulari e senza social network, eravate più o meno controllati nella vita privata?
"In generale, direi meno. Ma per me valeva un discorso a parte. Avevo la fama di essere bizzarrino e vivace, e per questo l'Inter mi faceva pedinare! Pagavano qualcuno per starmi sempre dietro, poi in allenamento mi chiedevano: cosa ci facevi in quel locale l'altra sera? La mia risposta era sempre la stessa: se in campo corro, quel che faccio la sera sono fatti miei".
La Milano degli anni Ottanta era davvero scintillante come viene raccontata?
"Ci divertivamo molto. Io davo feste memorabili. Abitavo in piazza Liberty, a due passi da Duomo. Erano anni pazzeschi".
Fidanzate celebri?
"Non si fanno nomi! Mi hanno associato anche a Uma Thurman. La verità è che veniva con me allo stadio a vedere l'Inter".
Carla Bruni?
"Ma no! Che c'entra? Ci hanno fotografato insieme a una sfilata, tutto lì".
Ha lasciato Milano per Piacenza.
"Sono originario di Salsomaggiore, ma è troppo piccola, un borgo in decadenza. La mia città è stata Milano, ma la vita è fatta di fasi, oggi per me sarebbe troppo caotica. A Piacenza ho trovato il mio equilibrio, con mia moglie e i miei due figli. Hanno 14 e 12 anni".
Giocano a calcio?
"Il grande sì, è attaccante alla scuola calcio San Giuseppe, qui in città. Il piccolo ama la boxe, e gli riesce anche bene".
Come va la quarantena?
"I ragazzi seguono le lezioni via Skype. E con la Playstation se la passano bene. Io in casa soffro, non ci ero mai stato così a lungo. Esco per fare la spesa, con guanti e mascherina, e niente più. Per il resto, lo ammetto, mi annoio".
Potrebbe giocare alla Playstation anche lei.
"Con i videogiochi ho iniziato e finito negli anni Ottanta. Mi sognavo le musichette di notte, un incubo".
Come festeggerà oggi il suo compleanno?
"Un mio amico che cucina benissimo mi manderà a casa un bel pranzo. Non vedo l'ora, la vita da recluso mi sta insegnando ad accontentarmi".
La spaventa l'idea di invecchiare?
"Ma va, dai. Si sa che funziona così, ogni anno ne hai uno in più, non si scappa. Soprattutto in un momento duro come questo, per tutti, festeggiare con la propria famiglia è un lusso".
A proposito di lusso, pensa sia giusto che in un momento come questo i giocatori si taglino gli stipendi?
"Ne prendono così tanti che è giusto, sì. Ma sarebbe bello che i soldi risparmiati andassero almeno in parte in solidarietà e ospedali".
Nel 1986, dopo l'esplosione di Cernobyl, negli allenamenti prendeste qualche cautela?
"Ma no, non mi ricordo di nulla. Avevo 19 anni, giocavo a Firenze, l'incidente ci sembrava lontanissimo, come fosse avvenuto su Marte".
Per colpa sua, e dei 7 miliardi di lire pagati da Pellegrini per il suo cartellino, fu rotto il gemellaggio fra tifoserie di Fiorentina e Inter.
"Lo so bene. La prima volta che andai a giocare a a Firenze con la nuova maglia il pubblico mi distrusse. Mi fischiarono tutta la partita, gli anziani mi tiravano monetine. Quanto mi avevano amato in viola, tanto mi hanno odiato dopo che me ne sono andato".
Come reagì agli insulti?
"Per la prima e unica volta in carriera, li soffrii. Di solito venire insultato mi dava la carica, specie se a farlo erano i milanisti. Ma quella volta no. Erano i miei ex tifosi e i miei ex compagni, tutti contro di me! In campo rispondevo agli insulti, ero una bestia, ma la verità è che mi si sgonfiarono le gambe. Dopo 25 minuti il Trap mi tolse dal campo.  Stavamo vincendo, finimmo per perdere".
I suoi compagni raccontano che lei prima delle partite era sempre il più tranquillo.
"Certo, stavo da dio, non vedevo l'ora di giocare. Se entrando in campo sorridi, l'avversario ha già perso. Dopo avere giocato invece era complicato, ero pieno di adrenalina. Soprattutto per le partite serali. Mi dicevano: vai a casa e riposati. Riposati? Ma se nemmeno riuscivo a stare seduto. Ero elettrico".
È giusto provare a ripartire con campionato e coppe?
"La salute è una cosa seria, e secondo me sarebbe più saggio aspettare settembre. In ogni caso, penso che ci proveranno. Cercheranno di giocare tante partite in pochissimo tempo, a porte chiuse, limitando i contatti delle squadre e degli staff col mondo esterno. Da un certo punto di vista, lo capisco. Il calcio, l'urlo liberatorio, il gol, mancano a tutti".
Il suo gol più bello?
"Derby 1992-1993. Prendo la palla a Maldini, faccio un tunnel a Costacurta che mi stende. Baresi mi tira la palla addosso, io mi incazzo, prendo ammonizione. Ruben Sosa si prepara a calciare la punizione. In area mi marcano in due, io lo dico ad alta voce: "Ora vi faccio gol". Palla alta, insacco di testa. Pazzesco, godo ancora oggi, anche se Gullit pareggiò dopo quattro minuti".
Poi c'è il famigerato autogol di Rossi.
"Esatto. Tiro una botta incredibile, la palla tocca la traversa, prende la nuca del portiere ed entra in porta. Autogol, secondo le stupide regole di allora. Se le deviazioni fossero state considerate come oggi, chissà quanti gol avrebbero fatto i centravanti del passato. Penso a uno come Boninsegna! Ma non ha senso guardare al passato, si guarda sempre avanti".
Nel 2014 lei ha tentato con Collovati e Galante l'avventura di Agon Channel in Albania, ma è finita presto. Che progetti ha per il futuro?
"È stata un'esperienza interessante, gli albanesi sono un bel popolo e lo hanno dimostrato aiutandoci con l'invio di medici nei giorni più duri dell'emergenza coronavirus. Quanto a me, sto bene così. Faccio l'ambasciatore dell'Inter, la squadra che amo, e mi dedico ai miei figli. Quando penso al mio futuro, penso a loro".
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themasterpiececousin · 4 years ago
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Thᥱ Sρookყ Hᥲᥣᥣoᥕᥱᥱᥒ Toᥕᥒ Evᥱᥒt. #SpookyRavenfire #RavenfireRpg #RavenfireEvent
Monique quella sera aveva stretto amicizia con alcune persone, scambiando quattro chiacchiere con loro e lasciandosi andare dopo molto tempo. Si era divertita ed aveva persino visto una vecchia amica, che non vedeva da tempo. Forse aveva mangiato un po' più del solito e di certo se ne sarebbe pentita il giorno dopo, ma non voleva pensarci, voleva avere zero pensieri e continuare a divertirsi come se avesse solamente di nuovo vent'anni. E un po' si sentiva così la dooddrear, viveva spensierata e felice, odiava la violenza e credeva sempre di poter sistemare tutto con qualche parola. Mai aveva usato la violenza e mai l'avrebbe usata, non faceva proprio parte del suo DNA questa cosa. Eppure nonostante questo, Monique aveva un brutto presentimento, che più e più volte aveva tentato di allontanare, ma che prepotente era tornato ogni singola volta. Non ne aveva parlato con nessuno ovviamente, anche perchè era una festa e non voleva rovinare la serata a nessuno. Quello che la dooddrear non sa è che quella sera qualcosa in lei sarebbe cambiato per sempre, segnandola sin nel profondo della sua anima. Un taglio netto, una ferita non visibile, che l'avrebbe perseguitata probabilmente per sempre. « Mi sa che purtroppo i dolcetti a forma di teschio sono finiti! — Ma ti posso consigliare quelli a forma di zucca, anche se mettono un po' d'ansia. » Aveva rivolto la parola a quel ragazzo, che stava osservando il tavolo colmo di cose da mangiare e da bere, tutte a tema, ovviamente. Hunter Adam Cook * Halloween era una festa che aveva sempre terrificato Hunter e, nonostante fosse ormai abituato a quella tradizione, il ragazzo risentiva sempre di quei mascheramenti e di quegli effetti così speciali, non certamente per l'estetica che egli adorava ma per ciò che essi simboleggiavano. Da bambino, conoscendo tutto quello che Ravenfire nascondeva a causa del suo essere /sfortunatamente/ nato umano ed essendo stato abbandonato da suo padre proprio per questa sua umanità a sfavore della veggenza della madre, si nascondeva sotto i mascheramenti di Halloween di quest'ultima e andava in quello stato a fare dolcetto o scherzetto. Hunter non si era mai sentito affascinato dal male che caratterizzava quella festa. Non si seppe come aveva fatto, ma alla fine si era abituato e, ora come ora, riusciva a partecipare in maniera relativamente serena a quei festeggiamenti proprio come quella sera. Aveva incominciato quella sera in modo spettacolare, dandosi da fare per restare al centro di numerose conversazioni e, amabilmente, ce l'aveva fatta. In quel momento si era, però, allontanato dal gruppo che aveva formato intorno a sé per prendere delle cibarie e forse ritornarvici. Forse, perché le probabilità del destino erano invece volte ad altro e quel forse sarebbe potuto diventare anche un mai: d'altronde, Hunter non era a conoscenza del destino e della sua ennesima vendetta su di lui. * - Oh.. grazie, pensavo invece che quegli stuzzichini a forma di fantasmi sarebbero andati meglio, ma mi fido! - * Disse mentre sul suo volto si delineò un sorriso e gli occhi corsero sul volto altrui per guardare quel viso a lui nuovo. * Monique Hyland « Quelli a forma di fantasma sanno di cannella e purtroppo non vado matta per la cannella! Per questo ti suggerisco quelli a forma di zucca, ma se ti piace la cannella potresti provare entrambi! » Risponde prontamente la dooddrear, che regala un ampio sorriso al giovane ragazzo, che aveva risposto alla sua proposta di provare i dolci a forma di zucca, che erano davvero davvero ottimi. Si schiarisce la voce, tenendo la testa di panda con una mano mentre l'altra si allunga verso di lui, così da potersi presentare al meglio in modo educato. « Comunque io sono Monique, non credo di averti visto in giro, sei nuovo da queste parti? O forse semplicemente non frequentiamo gli stessi posti. » Ed ecco che ripartiva la macchinetta, Monique amava chiacchierare, soprattutto con persone nuove perchè adorava fare amicizia e conoscere altre persone. « Io lavoro al Be Natural e a volte faccio volontariato alla clinica veterinaria, tu? » Hunter Adam Cook « Non va matta per la cannella? Ma come fa? Io sono golosissimo di tutto, ma fortunatamente la palestra e la cura della persona mi fa restare in linea, anche se ultimamente ho notato di avere addirittura delle occhiaie.... Fortuna oggi non si vedono grazie al trucco. Comunque grazie del suggerimento! È sempre prezioso notare come le persone possono essere disponibili » * Il sorriso di Hunter non si spegneva, anzi si illuminò maggiormente quando la donna vicina a lui gli regalò un ampio sorriso ed fu a quel punto che il Cook allungò la mano e toccò quella della donna. * « Io sono Hunter Cook, il nipote dei Price. Beh.. Sono stato per anni fuori città, un po’ di anni di studio all’estero e poi sono tornato... beh, alla scomparsa di Cassidy Johnson, non so se ricorda quella sfortunata vicenda.. Ho perfino un locale, il The Glorious People, non lo conosce? Deve venirmi a trovare! » * Ed eccola la parlantina di Hunter che presentava non solo lui, ma anche la sua stravaganza. * « Oh, allora dovrei averla vista! Ama i cani o i gatti? Sono curioso. Mh.. Frequento l’università, scienze politiche e sono proprietario del The Glorious People come dicevo proprio poco fa. Non faccia caso al mio parlare, sono proprio io così... scemo. » * Ridacchiò * Monique Hyland « Non amo molto il sapore, ma probabilmente sarò l'unica al mondo, sono abituata ad avere l'etichetta da persona stramba attaccata alla schiena. » Ridacchia a sua volta, scostando una ciocca ribelle dal viso, soffiandoci semplicemente sopra, poi ascolta con attenzione quelle parole, che le strappano l'ennesima risata. « L'ho sentito nominare un paio di volte, ma non credo di averlo mai visto. Credo comunque di dover rimediare al più presto, passerò a trovarti sicuramente! — Oh, non ti preoccupare, Hunter, sono anch'io così. Parlo davvero tantissimo, ma sono sempre stata così. E' normale per me parlare come una mitraglietta! A volte penso di fare troppo di esagerare e mi spiace, ma non riesco a frenare la mia lingua. E' più forte di me! » RIsponde prontamente con tono divertito mentre si gratta il mento,tornando a concetrarsi su quei dolci. « E qual è il tuo sogno? Cosa ti piacerebbe fare? » Hunter Adam Cook « L’etichetta da persona stramba? Oh... penso non le si addica per niente, probabilmente dal palato fine e stravagante. Sembro più io quello strambo! » * Continuò a ridere elegantemente con la donna mentre il sui sguardo attento notava a quanto la donna sorridesse e potesse piacere quella semplice chiacchiera. Hunter era una chiacchierone di prima categoria e pertanto amava anche quella conversazione. * « Sono fortunato dunque se l’ha sentito nominare! Deve rimediare, venga pure quando vuole! L’aspetto, ci conto. Oh, menomale che non sono solo io a parlare così tanto, alcune volte penso di essere ridicolo perché spesso mi si risponde con poche parole mentre io sono un dannato fiume di parole. Questa faccenda della mitraglietta mi piace, sa? Mi piace troppo, dovrebbero chiamarci così! » * Concluse con fare simpatico e altruista come al suo solito mentre con una mano si tocca i capelli ricoperti dalla lacca. * « Mi piacerebbe migliorare Ravenfire, fare il politico... ma anche continuare a fare moda non mi dispiacerebbe. »
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