#damien chiaro
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idv-asktheconsigliere · 8 months ago
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Damien: How the hell do you spell show-fer?
Melissa: C H A U F F E U R...
Felix: OoOo fancy pants rich mcgee over here-
Melissa: FUCK YOU!
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lumioluna · 3 months ago
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Se ti piace Hozier, adorerai Damien Rice
di damien rice conosco solo "cheers darlin'" e effettivamente l'ho sempre amata molto (era in qualche playlist da ascoltare la sera tardi in solitudine al chiaro di luna) anche perchè ha quel che di blues (che amo) lì dove hozier invece ha un che più di indie-pop.
mi consigli qualche altro suo pezzo? magari i tuoi preferiti :)
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obsessed-bunnies · 1 year ago
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Cat & Mouse Master List(ignore for now)
Identity V
Naib
Norton or Fool's Gold
Luca
Joseph
Antonio
Wu Chang
Felix Chiaro & Damien Chiaro
Dislyte
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idv-asktheconsigliere · 7 months ago
Note
"It's probably because it's something that isn't associated with a normal person job, or what comes to mind when a normal person thinks of when it comes to occupations. How do I explain this...?"
She took out one of her notebooks and flipped open a page that showed the mafia's hierarchy.
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"So I'm part of the Chiaro Family Mafia back in New York, and the Consigliere is a position where a non-blood relative serves as the non-partial third party. Technically it means I have the final say in certain things, along with other details."
She pointed to where the figure had the Consigliere label was at.
"There is a structured system in place. As of right now, or at least I'm assuming what's going on outside these accursed walls... Roman's the boss, probably has been for the last few months or so. His 1st son, Damien, he's the underboss. As for the 2nd son, Felix, he's the head of the capos."
Her fingers brushed over the page, as if she was longing for something and didn't want to forget about it.
"It's... Definitely a lot more dangerous and more criminal than being with the moon and the stars..."
[ @idv-asktheconsigliere ]
"I don't think I've seen you before. I'm Melissa, but most people know me as the Consigliere. Who might you be?"
“Me? Why, I am Alden! Most call me by my real name but some call me, The Astronaut! Perhaps you have read about my adventures somewhere! If not, I would be pleased to tell every little detail possible!”
The man seemed pleased with himself. A proud smile was plastered on his face. His eyes were closed as he spoke, almost as if The Astronaut was already recounting past adventures in his head.
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edenlyeden · 2 years ago
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.        ♡  ᴀ ɴᴇᴡ ᴛᴡ24 ɪɴᴛᴇʀᴠɪᴇᴡ           ㅤ01.10.2025     ⌵ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀   « Siamo qui con Grace Jordan-Dursley, splendida campionessa della squadra giallo-nera. Anche se ti vedo in magnifica forma, mi sembra doveroso chiederti: ti sei ripresa dalla faticaccia che è stata quest’esperienza? » la domanda pende per qualche istante, poi l’intervistatrice incalza. « Al punto di rifarla, magari? »   Un gesto a mano aperta e con lo sguardo fisso in camera anticipa qualsivoglia parola, ché le sembra doveroso salutare innanzitutto gli amici da casa. « Buonasera, telespettatori » conferma l'intenzione, infatti, per poi concentrarsi sulla figura dell'intervistatrice. « E buonasera, Eden – se mi sono ripresa, chiedevi: beh, non ho mai davvero avuto bisogno di riprendermi. Nel senso, a parte la sfiga dell'ultima prova dove io e Theo ci siamo annientate a vicenda come vere guerriere - ciao Theo, se vedrai questa chiacchierata in giro per il web - e lo svenimento dopo l'incontro col Mizutsune, l'esperienza non m'è pesata granché. Sin da piccola, ho sempre abituato il mio corpo a spingersi oltre, la fatica fisica ha lo strano potere di rigenerarmi. Certo, emotivamente ci sono state delle gran belle botte, vedi il pancrazio sempre con Theo, ma – insomma, per tagliare a corto: sì, mi sono ripresa. Sì, la rifarei. Senza dubbio alcuno, per giunta. »   « Hai mai pensato, pure soltanto per qualche istante, di ritirarti? E, sempre rimanendo in tema, se il torneo dovesse avere una seconda edizione, a persone con quale spirito diresti con tutto il cuore “no, fra, leva mano, con ‘sta gemma facci un anello che è meglio”? »   « No, non ho mai pensato di ritirarmi. Tra l'altro, parliamoci chiaro: vincere la prima prova assieme a Damien - ciao pure a te, Dam! - ha funto da bella spinta per tutto il percorso. A chi non la consiglierei, invece... » qualche istante di pausa, il naso che s'arriccia appena. « A chi non è abbastanza tenace, probabilmente. Dopotutto, è questa la caratteristica necessaria a superare pure i propri limiti per il fine ultimo che è quello della vittoria, no?! »   « Mi sembra giusto riservare uno spazio pure alla figura che ti ha accompagnato nel modo più tecnico possibile durante questo percorso: Maksim Myroshnychenko. Pare uno scioglilingua, ugh. Quanto è stata importante per te la sua vicinanza? Ma soprattutto, per noi che amiamo il gossip, quante volte ti sei chiusa nel buio del tuo baldacchino a manifestare un cambio mentore e perché? »   Grace scoppia in una sonora risata, ché ogni tentativo di trattenerla risulta vano. « Non immagini quante, credimi. Gliel'ho pure detto, qualche volta, ma più per stuzzicarlo che altro – per quanto palo nel... insomma, sai cosa, Maksi mi ha aiutata a diventare ancora più forte, se possibile. Soprattutto nella tempra, nel non cedere a inutili provocazioni. È finita che abbiamo legato così tanto che sarò la sua testimone di nozze, calcola. Me l'ha detto poco fa! Gossip caldo caldo: due mentori si sono innamorati durante gli allenamenti condivisi. Per una chicca su questa storia enemies to lovers, ti consiglio di cercare Maksi o Gunde o entrambi per un'intervista: non te ne pentirai, te lo assicuro. »   « Non perderò senz'altro occasione. Tornando a noi: persone pagate per farlo a parte, ce ne sono state altre che, pur non facendo parte del torneo, ti sono state accanto con convinzione durante tutti i mesi di durata? Se sì, che cosa vorresti dire loro in questo momento? »   « Un sacco, per fortuna, tra i miei papà, il mio bellissimo fidanzato, le mie migliori amiche, il gruppo degli gnocchi che mi ha addirittura aiutata con il Runespoor, addirittura altri campioni partecipanti - Darnell, con cui ho legato proprio durante quest'esperienza, Theo e Beatrice. Il contrario sarebbe stato tremendo. Non ci saprei proprio vivere, senza il loro prezioso supporto – vi voglio bene, amori miei. Siete il mio cuore » manda un bacio in telecamera, per poi portare la mano sul cuore col giusto tocco di teatralità.   « Il Torneo Quattrogemme è stato impostato sulla parola “quattro”, pur avendo poi cinque squadre partecipanti. Una mossa chiaramente volta a confondere le masse, che per stasera evitiamo di emulare. Ti chiedo, dunque: quattro task delle prove che ti hanno fatto pensare “grazie Merlino per avermi fatto decidere di iscrivermi”? »   « La parte col grifone nella foresta, ma principalmente perché abbiamo vinto, ché io di creature magiche all'epoca sapevo veramente molto poco. Però è stato bello poter collaborare con Damien, stilare un piano. Poi, » alza il pollice per contare come si deve, seguiranno a ogni voce anche altre dita. « I duelli, perché amo duellare e mi sentivo anche molto sicura di me; ogni momento di corsa, sicuramente rilassante; per ultimo ci mettiamo... Le siepi guardiane, sì. »   « Quattro insegnamenti o momenti divertenti che ti ha lasciato questa competizione? »   « Facciamo due e due? Okay, insegnamenti: le liane maledette mi hanno insegnato a non lamentarmi mai della noia. Immagina la situazione: tu e il tuo Runespoor state proseguendo mooooolto lentamente. Tu sei dietro di lui che striscia, che ti fa venire proprio sonno e borbotti perché vorresti già arrivare alla fine del labirinto e poi BAM!, quando meno te lo aspetti, queste liane - 𝘮𝘢𝘭𝘦𝘥𝘦𝘵𝘵𝘦, veramente - cercano di renderti un insaccato. Tremendo. Poi, su questa linea, ci metterei l'incontro col Mizutsune, che mi ha insegnato a collaborare addirittura con un nemico - nell'ambito della competizione, perlomeno, che di Genevieve ho grandissima stima - per arrivare alla fine dell'ostacolo. Più o meno, che poi sappiamo com'è andata » alza gli occhi al soffitto, pur essendo ormai in pace con l'incidente. « Questa cosa della collaborazione, in realtà, me l'hanno insegnata pure gli allenamenti: è stato bello mettere il proprio sapere a disposizione degli altri, ricevere lo stesso aiuto quando necessario. Per la categoria "momenti divertenti" abbiamo la lotta coi gavettoni tra la corsa e l'inizio dei duelli, shoutout Bea, e lo scontro con il doppelgänger. Sperando che quest'ultimo non mi renda egocentrica, tipo. Ugh. »   « Quattro parole per descrivere il torneo? »   « Ispirato-dal-sadico-Satana può andare bene?! »   « Quattro campioni che ritieni abbiano dato del filo da torcere a tutti? »   « Oh Tosca, sicuramente Theo, eravamo spesso sul podio insieme. Per le stesse ragioni, Beatrice, Darnell, Oliver. Non riesco a fermarmi a quattro, però, perché secondo me sono stati belli tosti pure Damien e Theseus, lui l'ho visto crescere moltissimo, soprattutto nelle gare di corsa. »   « Siamo giunti alle battute finali e presto potrai tornare dai tuoi amici a far festa, giurin giurello. Perché dovrebbe vincere proprio la tua squadra? Desiderio di trionfo a parte, ovviamente. »   « Sul dizionario, alla voce "Tassorosso", trovi duro lavoro, dedizione, pazienza, lealtà e correttezza: mi sembra una più che esplicativa motivazione. »   « E se, con tutti i dovuti scongiuri » che per carineria esegue pure, con un bel paio di corna puntate verso il pavimento. « Non fosse il tuo team ad alzare la coppa, secondo te quale dovrebbe farlo e perché? »   « Non ti so rispondere se non con il cuore: Serpeverde o Grifondoro, non è un mistero che tifi per Theo e Darnell. La verità è che lo meriteremmo un po' tutti, però, perché ci sono elementi valorosi in tutte le squadre. »   « Grazie per aver parlato con noi, Grace » il palmo alzato a mezz’aria lascia intendere l’invito a schiacciare con lei un cinque. « Buon continuo serata e dita sempre incrociate, mi raccomando! »   « Mi stanno diventando bianche a furia di tenerle incrociate » ride, le mostra pure al pubblico. « Buona serata e grazie anche a te! »
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bongianimuseum · 2 years ago
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RAY  JOHNSON / RELAZIONI MARGINALI SOSTENIBILI  TWO
Sandro Bongiani Arte Contemporanea
RAY  JOHNSON / RELAZIONI MARGINALI SOSTENIBILI  TWO
A cura di Sandro Bongiani
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  TODAY I MAILED A  BANANA TO RAY JOHNSON  FOR  59. BIENNNIAL INTERNATIONAL OF VENICE 2022.  
Una Mostra Collettiva Internazionale condivisa in due gallerie a cura di Sandro Bongiani con la partecipazione di 100 artisti e 174 opere per il 60° anniversario  della nascita della Mail Art di Ray Johnson 1962 - 2022.
 PERCHE’ UN PROGETTO INTERNAZIONALE SULLA BANANA?
Nel 1984 Ray Johnson aveva inviato a Bill de Kooning un ‘opera di Mail Art, lettering dal titolo: “December 28,  1984/1948  Dear Ruth Szowie today i mailed a banana to Bill de Kooning”..  Negli stessi anni aveva dato alla sua amica Coco Gordon una banana dopo aver trovato tre banane nere mentre stava parcheggiando la sua auto in ospedale per visitare l’amico, Marcus Roncallo che stava per morire di AIDS.  Tre banane nere - scrive l’artista Coco Gordon - tre grosse banane che Ray identificava con centinaia di olive nere che erano dentro un barattolo”.
E’ stato Andy Warhol per prima nel 1967 a rappresentare una banana come oggetto esotico e sessuale per la copertina dell'album dei Velvet Underground & Nico, poi sono arrivate le elaborazioni di diversi altri autori contemporanei come Roy Lichtenstein, David Hockney, Takashi Murakami, Damien Hirst, Banksy e Anna Banana che si sono interessati a questo frutto tropicale simbolo di sovversione politica e sociale, e infine, anche la banana di un artista facile al conformismo e alla stanca ripetizione delle idee come Maurizio Cattelan che nel 2019 espone a Art Basel Miami, “Comedian”  una vera banana a muro fissata con una striscia di nastro adesivo grigio, venduta per la gioia dei collezionisti a suon di svariati migliaia di dollari. Un evento, Il suo, decisamente ludico e  teatrale piuttosto che un’azione creativa forte nata dall’immaginazione. Per questa sua performance l’artista italiano si ritrova oggi in un tribunale federale di Miami accusato per plagio dall’artista statunitense Joe Morford, che sostiene che Comedian, la famosa banana presentata allo stand di Perrotin ad Art Basel, sia il plagio di una sua opera “Banana & Orange”.del 2000. 
Un’idea quella di Cattelan decisamente debole, un’operazione banale di sterile provocazione, nient’altro. Di certo la parola d’ordine, oggi, è “Il suo valore risiede nell’idea”, quella di Cattelan, appunto, è sicuramente “l’idea di azzerare tutte le idee”, facendo affiorare l’inconsistenza del pensiero divenuto vuoto e fenomeno ludico. Ormai si vive di strategie e di compromessi., criticare l’arte è divenuto solo un lavoro da non fare, visto che siamo tempestati da curatori e influencer che si vendono al miglior offerente per un beneficio essenzialmente personale. Troppi interessi all'orizzonte, ben venga, quindi l’analisi critica a mettere in chiaro i problemi, i giochi e gli interessi pseudo culturali del mercato. 
Il sistema dell’arte, molto spesso si fa promotore, interprete e garante di iniziative discutibili assunti a opera d’arte in quanto oggetto  svuotato a servizio del mercato ufficiale dell’arte globale. Ben vengano le banane di Ray Johnson, di And Warhol e di tanti altri artisti che nella ricerca hanno elaborato immagini che  presupponevano una invenzione mentale e formale. L’opera di “Today I mailed a banana to Bill de Kooning” incarna una sorta d’indagine ironica e profetica, la riflessione, lo spiazzamento come del resto possiamo riscontrare visionando le opere degli artisti presenti in questo progetto internazionale, con  prestazioni concettualmente elaborate che si occupano di relazioni, processi, interpersonali, creatività, visionarietà e soprattutto originalità grafica. Diceva Ray Johnson: "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente".  Sono presenti  in questa mostra condivisa in due gallerie, presso la galleria  Sandro Bongiani VRspace e lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery centosettantaquattro  opere inedite di 100 artisti contemporanei internazionali che hanno voluto essere presenti  a questo  importante sessantesimo anniversario dalla nascita della Mail Art (1962), a suggellare un dialogo e un interesse mai sopito per l’artista americano. Del resto la Mail Art  rimane una  sorta di strana ragnatela  di comunicazioni  creata da  altrettanti corrispondenti  capace di superare le  infinite distanze geografiche del pianeta coinvolgendo  concretamente  tutte le  Nazioni del mondo in un impressionante e gigantesco puzzle mobile, sempre variabile e perennemente in movimento”.  L’arte postale con il suo  tentacolare network di  contatti abbraccia  ormai il mondo intero; ogni tessera è una micro-unità di una più vasta e imprevedibile macro-unità che rappresenta un universo diversificato di nuove  energie poetiche, una sorta di  grande “incontro” collettivo, in cui “i giochi di parole non sono solo un gioco”, come giustamente affermava tanti anni fa Alfred Jarry, ma un’altra diversa possibilità di liberarsi dalle costrizioni e dagli impedimenti e  dedicarsi compiutamente all’invenzione e alla  pura creatività. La ricerca artistica, per tanti artisti è anche  libertà e  soprattutto fratellanza. e amore.
Per l’opera “Today I mailed a banana to Bill de Kooning” è doveroso segnalare che nel 1945  Johnson aveva lasciato Detroit per frequentare il Black Mountain College in North Carolina e durante i tre anni successivi fu in contatto con importanti  artisti come Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e  Willem de Kooning. È proprio nel 1984, facendo quest’opera, Ray Johnson cambia la data da 1984 a 1948 (l’anno di frequentazione) e invia questa banana “pop-concettuale” a Willem de Kooning.  Il progetto internazionale dedicato a Ray Johnson   ideato in occasione e in contemporanea con la 59. Biennale Internazionale di Venezia 2022 vuole indagare l’invenzione delle  proposte creative  degli artisti marginali, piuttosto che  il sarcasmo  e le forzature mirabolanti delle idee  portate  alla ribalta in questo  palco-scenico del sistema ufficiale dell’arte, E’ una risposta alle proposte generiche e pseudo culturali di tanti autori contemporanei di oggi e anche un suggerimento a ricercare l’indagine e l’invenzione creativa piuttosto che le trovate nichiliste e teatrali richieste dai collezionisti e dal sistema autoritario del mercato ufficiale dell’arte che annoiato del solito tran tran della vita si diverte a finanziare proposte che sono divenute il gioco sociale ed economico prediletto dalla classe finanziaria dominante.
Sandro  Bongiani,
Salerno, 12 luglio 2022
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nerdyarchertea · 3 years ago
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Color test
Drosera
Damien Chiaro
Felix Chiaro
If there was a silver color I would have given that to Melissa.
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giancarlonicoli · 3 years ago
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29 lug 2021 09:23
ADOTTA UN ARTISTA E CONVINCILO A SMETTERE PER IL SUO BENE - PABLO ECHAURREN IN UN PAMPHLET SI SCAGLIA CONTRO LE FOLLIE DELL'ARTE CONTEMPORANEA - "I GIOVANI CHE GIOCANO A FARE DUCHAMP NON SANNO CHE DUCHAMP NON HA MAI VENDUTO UN'OPERA, SEMMAI LE REGALAVA. L'ARTE E’ STATA UCCISA E RESUSCITATA COME MERCE E COME SPETTACOLO. DA SACRA È DIVENTATA SAGRA. NON È PIÙ LO SPETTATORE CHE VA INCONTRO ALL'OPERA MA IL CONTRARIO…”
-
Luigi Mascheroni per "il Giornale"
Pablo Echaurren è uomo di grande cultura, ma poche parole. Ha già scritto, detto e dato tanto, alla vita e all'arte, in tutte le sue forme. È pittore, fumettista, disegnatore, collezionista, scrittore, documentarista. Provocador. Ha 70 anni, ed è così di sinistra ha lavorato per riviste d'avanguardia, collaborato con Lotta continua, figlio d'arte e padre della celebre copertina Porci con le ali, ha fatto e disfatto il Sessantotto e il '77, Indiani metropolitani compresi da offrire il sospetto di essere, per alcune cose, un conservatore.
È, comunque, fortemente a disagio col proprio tempo: un mondo in cui nulla ha più valore, ma tutto ha un prezzo. L'importante è essere sempre contro: controcultura, controtempo, contrordine, (contro)rivoluzione. L'ultimo atto anarchico di Echaurren è un pamphlet surreale, surrealista, impietoso e per tanti versi tragicamente vero sull'arte contemporanea: Adotta un artista e convincilo a smettere per il suo bene (Kellerman). Obiettivo: mettere a nudo la grande truffa che consiste nel fare credere alla contemporaneità che l'arte sia quello che oggi le viene presentato come tale. Un j' accuse non da posizioni conservatrici, ma ancora più radicali...
«Abbiamo perso il valore della creatività in nome della provocazione fine a se stessa. Il gesto di Duchamp che sta alla base dell'arte del '900 oggi viene imitato come atto formale, non come provocazione estetica e esistenziale. Io non condanno nessuno, sia chiaro. Solo mi rifiuto di sottomettermi alle logiche della produzione che hanno conquistato il sistema dell'arte».
Perché convincere gli artisti a smettere di creare?
«È una battuta. Dietro la quale c'è il Claude Monet che predicava di disincentivare i giovani. Cioè non spingerli su una strada che illudendoli con facili successi e facili guadagni porta al fallimento. I media sottolineano sempre i record alle aste d'arte contemporanea.
Quella è la superficie, ma sotto ci sono delusioni, frustrazioni, fallimenti. Vedendo ciò che offre il mercato, tanti pensano si possa diventare artisti senza particolari doti, e quindi tutti ci tentano. In realtà esistono meccanismi di selezione elitari e complessi, strategie di mercato, operazioni di investimento... Il giovane artista che pensa basti una provocazione per sfondare è come chi s' inventa un caramellato con le bollicine e crede di fare concorrenza alla Coca-Cola».
Siamo tutti artisti...
«Certo. Lo vogliamo, lo possiamo. Perché no? Tutti artisti e tutti alla Biennale. Tutti geni compresi. O MoMa o morte!».
Cos' è l'art system?
«Quella cosa per cui un artista, credendo di essere un contropotere, un provocatore, un duchampiano, in realtà desidera fortemente fare parte del sistema. Aspira al consenso del mondo che vorrebbe capovolgere. Un paradosso da cui non si esce. I giovani che giocano a fare Duchamp non sanno che Duchamp non ha mai venduto un'opera, semmai le regalava. Che era indifferente al successo, anche se poi gli è arrivato addosso. Che disprezzava il denaro, anche se oggi le sue opere non hanno prezzo».
L'arte è stata uccisa ed è resuscitata come merce.
«E come spettacolo. L'arte da sacra è diventata sagra. Non è più lo spettatore che va incontro all'opera ma il contrario. Una delle forme più evidenti oggi del dissenso è l'arte: è vista come lo strumento più forte della provocazione, mentre è pura spettacolarizzazione, dunque in senso situazionista anche falsificazione.
Guy Debord, l'autore della Società dello spettacolo, diceva che Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso. Sia chiaro: non sono un reazionario che ha nostalgia del quadro ben dipinto, ma non mi faccio ingannare dal lanciatore di sampietrini da operetta. Dal gesto fintamente dissacratorio dentro il Cubo bianco, fatto per ricevere ammirazione e non per produrre un pensiero creativo».
Cosa manca?
«La tensione a rifiutare ogni forma di acquiescenza, di sottomissione. Alle mode, al mercato, al già detto e già visto».
Troppi artisti, troppe mostre, troppi soldi. Cosa fare?
«Prima cosa prenderne atto. Non dire che tutto va bene. Avere più spazi, più soldi, più opere, più esposizioni non è detto che sia meglio. La cultura americana della West Coast degli anni Sessanta non è mai entrata in un museo, eppure ha prodotto poster, musica, spettacoli, arte... Era una contro-cultura sincera. E ha lasciato un segno importante
Non ci sono veri artisti oggi? Artisti sinceri, onesti?
«Ce ne sono, sì. L'importante è che non si svendano. Che non cerchino riconoscimenti economici e sociali. Non sono mai i contemporanei a stabilire ciò che avrà valore, cioè durata nel futuro. L'opera d'arte è fatta per il 50% dall'autore e dal 50% dallo spettatore, anche di domani. Oggi si parla dei grandi artisti solo per via dei prezzi folli spuntati in asta. Ormai il valore di un'opera viene calcolato in base al prezzo che le si assegna, e non viceversa, come invece sarebbe logico».
Oggi il principio è: l'arte antica costa perché vale mentre l'arte contemporanea vale perché costa.
«Non solo. Oggi abbiamo la certezza di questo perché i contemporanei costano più degli antichi. La firma è più ammirata dell'opera stessa e il prezzo è ancora più ammirato della firma».
E così siamo arrivati a Jeff Koons e Damien Hirst...
«Non solo loro. In Cina e in India per fare due esempi ci sono campioni di cui noi ignoriamo il nome, o quasi, che spuntano cifre mostruose. L'arte diventa speculazione secondo il concetto che il denaro deve produrre altro denaro, e così si trasforma definitivamente in merce, incarnando un valore economico fittizio».
La nuova frontiera è fatta dai bitcoin, la blockchain, la Crypto Art, la smaterializzazione dell'opera...
«È l'ultimo passo. Ma fa sempre parte dello stesso gioco: nuovi tavoli su cui continuare a fare le stesse puntate. Un'altra illusione, l'ulteriore industrializzazione dell'arte. E invece si dovrebbe sviluppare un pensiero che si opponga a questo delirio merceologico e sostenere un'arte che sia incarnazione di un pensiero e non - come è pratica comune - la realizzazione di un brand».
E la critica, cosa fa?
«Ha ribaltato la superficialità in profondità».
Da poco hanno aperto la mostra di Damien Hirst alla Galleria Borghese di Roma, che porta il contemporaneo dentro l'arte classica, e quella di Maurizio Cattelan all'HangarBicocca a Milano.
«Non mi strapperanno mai un giudizio negativo su un artista contemporaneo. La mia è una critica a un meccanismo di autocompiacimento del mercato, dell'artista, dell'azienda che ci mette in fila per ammirare il prezzo incarnato a certi oggetti, che non siamo noi a scegliere.
Certe opere se non fossero incartate con un certo cartellino del prezzo perderebbero subito il loro fascino. La Gioconda non è il quadro più bello del mondo, affatto. Lo è diventato perché qualcuno lo ha detto. Prima che venisse rubato, a inizio del 900, non aveva il potere attrattivo che ha avuto dopo. Sono stati i media a trasformarlo nel quadro più bello e importante del mondo. La stessa cosa succede, moltiplicata, con l'arte contemporanea».
Ma l'arte non dovrebbe servire a cambiare le cose?
«Se fosse così sarebbe già stata dichiarata illegale e messa fuori legge».
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winteralease · 5 years ago
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     🔥🌊     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐰𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫 𝐚𝐥𝐞𝐚𝐬𝐞   &   𝐝𝐚𝐦𝐢𝐞𝐧      ❪    ↷↷     mini role ❫      circle            eight      26.06.2020  —  #ravenfirerpg      #ravenfireevent    #anewmayor
Nonostante l'aria di campagna elettorale non desse scampo a nessuno, anche Winter aveva avuto modo di osservare come tutti in qualche modo si stessero schierando per uno o per l'altro. Doveva ammettere, tuttavia, difficilmente s'era mai interessata delle vicende cittadine, ma con l'aiuto di Leah, qualcosa dentro di lei cominciava a sbloccarsi. Gli esami poi erano alle porte, e come aveva detto a Damon, per quella sessione avrebbe avuto bisogno di un miracolo per affrontare quelle che non si sarebbero mai potute considerare sfide, ma vere e proprie fatiche. I gruppi di studio servivano il più delle volte a ritrovarsi per non combinare un accidente, e quel venerdì sera non era diverso. Aveva varcato la soglia del Circle Eight con uno sguardo assorto, uno sguardo che guardava ovunque ma senza vedere realmente ciò che le stava di fronte, e la mente che viaggiava ancor più rapida del solito. S'avvicinò lentamente al bancone laccato scuro, oltrepassò quei ragazzi che sembravano voler attirare l'attenzione su di sé e prese posto su uno di quegli sgabelli che tanto le piacevano. Non degnò di uno sguardo nessun presente, ma seduta si sentiva un po' più alta, e ancor più femminile. Fu la questione di un attimo quando le cadde l'occhio sulla persona al suo fianco.
« Bowen... Non pensavo di trovarti qui. »
Damien Bowen 
Quella giornata era stata abbastanza faticosa per il giovane Bowen che si era ritrovato a girare come una trottola senza un momento di respiro. Una volta terminate le lezioni che erano iniziate la mattina presto e finite alle quattro del pomeriggio, aveva letteralmente dovuto fare le corse per raggiungere casa e convincere sua madre ad andare all'incontro con Lorenzo, lo psicologo che la seguiva da anni. Dopo varie reticenze, la donna era salita in macchina e una volta lì aveva atteso un'ora che finisse quella seduta per poi accompagnarla a casa ed occuparsi delle varie faccende. Dopo una veloce cena aveva deciso di uscire e andare al Circle Eight per concedersi una bevuta e qualche minuto di riposo. Quando, però, udì la voce di una persona di sua conoscenza chiamarlo si voltò, trovandosi la giovane fata accanto. « Ciao anche a te Winter, come stai? » Le chiese in modo gentile, esibendo un piccolo sorriso prima di prendere qualche sorso del drink che aveva da poco ordinato.
Winter Alease N. Lindholm
Nonostante l'estate fosse ormai alle porte, Winter aveva dovuto frequentare quegli ultimi giorni di lezione trascinandosi il più delle volte in quei lunghi corridoi che sembrava odiare ultimamente. Desiderava, infatti, un po' di respiro, lasciarsi andare magari sulle sponde del lago sotto il calore dei raggi del sole e soprattutto togliersi dalla mente quell'uomo che sembrava occupare fin troppo sovente la sua mente. Ecco uno dei tanti motivi per cui si trovasse in quel luogo, un locale dove la musica e l'alcool potevano fare da padroni, ed il volto che ora la stava osservando era l'ultimo che pensava di incontrare. « Direi che ho passato giorni migliori... Avevo bisogno di staccare. » Commentò rivolgendogli lo stesso sorriso di poco prima. I due ragazzi frequentavano lo stesso corso di laurea, il più delle s'erano perfino ritrovati nello stesso gruppo di studi, ma nelle ultime settimane il giovane Bowen sembrava essere sparito dalla circolazione. « E tu? Non ti ho più visto, ultimamente... E già che ci siamo, consigliami un drink. »
Damien Bowen
Damien iniziò ad ascoltare la giovane fata, volendo capire cosa l'affliggesse. Era così il veggente, tendeva sempre a concentrarsi sui problemi altrui lasciando in secondo piano i propri. Lo aveva sempre fatto e la cosa non gli pesava, aiutare gli altri lo faceva sentire bene, in pace con sé stesso dunque alla fine era come se aiutasse anche la sua persona. « Io soliti impegni, ma parlami di te, che succede? » Intanto iniziò a guardare l'elenco dei drink che conosceva comunque a memoria alla ricerca di qualcosa che potesse soddisfare i gusti della fata. Aveva gusti un po' strani Damien quando si parlava di drink, iniziava a provare combinazioni assurde ed era difficile che non facesse impazzire il barman di fronte, infatti finiva per farsi fare i suoi drink principalmente da Dominic. « Ti consiglio il Pina Colada, è molto buono. »
Winter Alease N. Lindholm
Essere distratta non era mai stata un tratto caratteriale della fata, era di fatti sempre molto attenta a ciò che la circondava, forse addirittura più di quanto non fosse necessario, ma il fatto che quell'uomo l'avesse turbata così tanto era fonte di assoluto fastidio. Si ritrovò così ad alzare un angolo delle labbra non appena udì la domanda del Bowen, era sempre stato un buon amico, ma soprattutto sapeva quanto fosse sincero. « Ti è mai capitato di conoscere qualcuno, esserne magari anche attratto ma non riuscire a comprendere questa persona? Odio il fatto che si sita infiltrato nella mia mente, e come è giunto è sparito nel nulla. » Domandò la fata prima di annuire e fare cenno al barman di portarle il drink che le aveva appena consigliato. Non aveva mai disdegnato un po' di alcool, sapeva comunque porsi un limite, ma qualche volta esagerare permetteva anche di staccare in qualche modo la spina. Strizzò poi l'occhiolino al compagno di college, prima di rispondere con lo stesso spirito che l'aveva sempre contraddistinta. « Vada per la pinacolada. Sappi che ti riterrò responsabile se non dovesse piacermi. »
Damien Bowen
Quando la giovane gli pose quella domanda Damien ci dovette pensare qualche istante prima di poterle dare una risposta, anche sulla base dell'esperienza che Dominic stava vivendo, che era già più simile a quella descritta dalla fata. « Solitamente, almeno secondo me, finiamo per essere attratti da quelle persone che si mostrano a noi come veri e propri enigmi, indecifrabili all'inizio. E' proprio questo che rende il tutto interessante, la sfida con noi stessi nel cercare di capire quello che a prima vista non ci è chiaro e così finiamo per invaghirci o fare entrare quelle persone in testa. Un consiglio, fino a quando non è una cosa che ti fa stare troppo male o negativa, vivi ciò e cerca di porti molte domande, e di porle anche a questa persona. » Quando giunse il drink della fata si rese conto di essersi dimenticato un impegno preso con Killian e di dover andare via da lì. « Win ti chiedo scusa, avevo un impegno che ho completamente rimosso. Il drink te lo offro io e scrivimi che voglio saperne di più su questa cosa, intesi? Ti voglio bene. »
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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Ci sarebbero state altre occasioni, certo, di questo era sicuro, ma allo stesso tempo sapeva che quella magia sarebbe stata difficile da ricreare. Quel momento, in quel luogo così particolare...
Ma Dean, meglio di chiunque altro, sapeva con esattezza quanto fosse importante il lavoro e, soprattutto, gli amici.
Damien era un amico. Lo era diventato immediatamente, come Jonathan, anche se il secondo era più un... figlio putativo.
Sfiorò le labbra dell’Angelo con un piccolo e dolce bacio, ricambiando il sorriso speranzoso ed annui, deciso ad essere positivo per la prima volta nella sua esistenza.
“Magari la prossima volta optiamo per la Florida.”
Sospirò quando ascoltò la spiegazione di ciò che, con tutta probabilità, sarebbe avvenuto e scosse la testa.
“Quindi dobbiamo trovare una soluzione rapida e preventiva. Esiste un modo per evitare il peggio, giusto?”
Indossò la giacca ed afferrò le chiavi dell’Impala, pronto a scattare fuori e dirigersi verso l’auto.
“Per evitare che Damien si trasformi in Damienzilla e decida di attaccare Tokyo.”
Jonathan li stava ascoltando nonostante la porta chiusa. Jack lo sapeva, lo sentiva, e per questo tirò due pugni alla porta, all’indietro, per fare cessare immediatamente quella conversazione.
“Non importa.” Rispose Jonathan, atono e completamente privo di speranza. “Pensate davvero che io sia un povero coglione?”
Domandò al padre, spalancando la porta successivamente, mediante l’utilizzo della mente.
“Che non sappia che la situazione è disperata e che rischio di perderlo? Non sono stupido e non sono ingenuo, lo vedo e lo sento.”
Deglutì ed avvicinò la testa al petto di Damien, vi poggiò la nuca e chiuse gli occhi. Le ali dorate presero improvvisamente forma dietro la sua schiena, si chiusero attorno a lui ed al semidemone, come a volerlo proteggere e cullare.
“Voglio che sia chiaro sin da ora: se le cose dovessero precipitare, morirò con lui.”
Jack strinse i pugni ed osservò quella scena, trovandosi di fronte all’esatta replica di ciò che era avvenuto con Daniel poco tempo prima.
La disperazione. Il dolore. Il terrore della perdita.
“No.”
Sibilò chiudendo gli occhi.
“Non permetteremo che accada. Aspettiamo Castiel e Dean, poi io e Daniel ci occuperemo del resto. Ed in caso disperati, costringerò paparino ad intervenire.”
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Il viaggio durò un altro paio di ore, trascorse a parlare, a scherzare, a confidarsi aneddoti - soprattutto da parte di Dean - per troppo tempo dimenticati.
Dean non aveva mai pensato di potersi concedere una vera e propria vacanza e, soprattutto, non aveva mai pensato di poterlo fare con Castiel.
Parcheggiò l’Impala sul retro del motel e, una volta spento il motore, lanciò uno sguardo alla distesa di teepee che si stagliava di fronte a loro.
“Niente male!” Esclamò, indossando gli immancabili Ray ban e spalancando lo sportello del guidatore.
“Damien aveva ragione!”
Sorrise compiaciuto ed attese che Castiel scendesse dall’auto, prima di avvicinarsi ed osservare quel panorama al suo fianco.
“Quando ero piccolo e papà non— Beh, lo sai, sognavo di abitare in uno di questi cosi!”
Incrociò le braccia sul petto e prese un profondo respiro.
“E di chiamarmi John Wayne, ma questa è un storia differente!”
Ridacchiò e lasciò scivolare timidamente una mano lungo il braccio dell’angelo, ricercò la sua mano con le dita e la strinse dolcemente.
“Andiamo?”
@cassblackwings
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jekad · 5 years ago
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┊         𝖮𝖼𝗍𝗈𝖻𝖾𝗋 𝟥𝟢, 𝟤𝟢𝟣𝟫 𝗂𝗇 𝖭𝖾𝗐 𝖸𝗈𝗋𝗄               𝖳𝗁𝖾𝗋𝖺𝗉𝗂𝗌𝗍  [...]
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Dove ti vedi tra dieci anni?
𝗠𝘆𝗮: Wow... dieci anni è lontanissimo...
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Però ho letto che qualcosa lo desideri... dillo ad alta voce.
Perché lei lo sa. Tu stessa le hai dato i diari sperando che così facendo tutta questa storia sarebbe presto finita."Glieli do' così non devo raccontare niente e lei mi dirà subito la soluzione."Eri partita con questo piano e invece ti sei ritrovata a dover parlare di tutto ciò che hai scritto, disegnato e appuntato.Adesso ti tocca prendere un profondo respiro e dirlo, come se dargli voce lo rendesse più vero e dunque il non riuscirci sarebbe un fallimento ancor più pesante.
𝗠𝘆𝗮: Ok... beh... m'immagino in una casa, abbastanza grande, due piani.. fatta di legno e pietre, affacciata su di un lago e sommersa nella natura. Lontana dal caos cittadino ma non troppo distante per il lavoro e le scuole dei bambini. Mi vedo con dei bambini, plurale, più di due, e tanti animali a riempire la famiglia. Sposata ma anche non esserlo andrebbe bene, purché ci sia amore, condivisione... sincerità. Mi vedo sul divano la sera, a rilassarmi della dura giornata e poi arriva lui, che sorridendo si lamenta che la più piccola ha necessitato di un libro e ben due canzoni per addormentarsi. Si abbandona anche lui sul divano, stanco quanto me, raccontandoci la giornata passata distanti e coccolandoci...
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: E perché pensi che non sia possibile?
𝗠𝘆𝗮: Ma perché mi va sempre male... e una ragione me la sono data.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Quale pensi che sia?
𝗠𝘆𝗮: Che devo ripagare tutte le cose brutte che ho fatto.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Dunque, se fosse così, perché provi questo stato di frustrazione?
𝗠𝘆𝗮: ... perché certe volte... penso che non sia giusto.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Quando senti che sia ingiusto?
𝗠𝘆𝗮: ...
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Che ne dici se andiamo a ritroso? L'ultima relazione finita male con... Ethan. Pensi sia giusto o ingiusto?
𝗠𝘆𝗮: Giusto..
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Perché?
𝗠𝘆𝗮: Perché me la sono cercata. Non sono stata sincera nel nostro litigio, e quello è stato l'inizio della fine.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Dunque è colpa tua?
𝗠𝘆𝗮: No! Certo che no... insomma, intendo dire che ho dato la colpa a lui del suo non avermi incluso nei suoi problemi, di non avermene parlato, di non avermi detto che era confuso su di noi... ma io sono stata la prima a farlo.  Non avevo dubbi su di noi, ma comunque non l'ho incluso, l'ho tenuto fuori esattamente come ha fatto lui. Non ho fermato la cosa... l'ho lasciata precipitare. Eccola lì che continua a scrivere i suoi appunti, a guardare concentrata quel foglio mentre tu la osservi in silenzio, timorosa ogni volta di cosa possa scrivere, che possa dirti all'improvviso: "Sei pazza, hai bisogno di cure."
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: E con... Colson?
𝗠𝘆𝗮: Giusto.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Ti dai la colpa che i suoi sentimenti siano cambiati?
𝗠𝘆𝗮: No... ma è successo per colpa mia.  Avevamo entrambi dei problemi, ci escludevamo a vicenda, quando poi abbiamo iniziato ad includerci... io non l'ho fatto. Dopo l'accaduto della serata d'arte... l'ho lasciato fuori e lui non è riuscito più a rientrare.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Mya... la violenza che hai subito non è stata colpa tua, non è dunque colpa tua che la vostra storia sia finita.
𝗠𝘆𝗮: Lo so! So' che quello che è successo... non è dipeso da me, ma comunque sia... non ho fatto niente per superarla. Ho lasciato andare..
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Mike.
𝗠𝘆𝗮: Mike?
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Anche con lui è finita..
𝗠𝘆𝗮: Si , ma ho messo io fine alla cosa..
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Sapresti dire il perché?
𝗠𝘆𝗮: Perché non era giusto per lui. Era dolce, premuroso, il ragazzo perfetto per diventare un marito... ho voluto tentare, volevo provare ad essere felice senza complicazioni... ma l'ho fatto senza togliermi dalla testa qualcun altro e non riuscivo più a continuare. Non trovo giusto stare con una persona quando comunque si vorrebbe la compagnia di qualcun altro. Non è stato giusto per entrambi.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: E qui si arriva a.. Ryan? Era lui, giusto?
𝗠𝘆𝗮: Si..
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Ma con lui non hai mai avuto niente, non c'è alcuna storia finita...
𝗠𝘆𝗮: Lui aveva una figlia, storia complicata con la sua ex... però stavo bene in sua compagnia, ero cosciente che non ci sarebbe mai stata una relazione, non volevo altro. Gli volevo bene...
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Come con Damien..
𝗠𝘆𝗮: No, con lui è stato diverso. Non gli volevo affatto bene, era solo.. sexy. Lì sono stata la peggiore... quando ho scoperto che era fidanzato non mi sono tolta di mezzo, ho continuato a fare la mia vita e ad accettare le sue visite... e quando si è sposato... ho proseguito a fare così. Insomma non l'ho mai scacciato via... principalmente da questo penso dipendono tutte le cose. E' la mia colpa principale. E' stato un passatempo, ho fatto soffrire un'altra persona e dunque ne pago le conseguenze..
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: ... non hai mai pensato che sia tu, Mya, a recarti del male? A far si che ti succedono queste cose?
𝗠𝘆𝗮: Io? Perché dovrei volerlo? Io voglio il contrario.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Ti sei sempre avvicinata a uomini che non potevano darti ciò che davvero vuoi.
Sorridi incredula a ciò che dice, non riesci a comprendere il suo discorso, non trovi assolutamente un senso. Lo trovi incredibile, inaccettabile.Ridicolo.
𝗠𝘆𝗮: Ma non ha senso! E Mike non aveva alcun problema, poteva darmi tutto.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: E lo hai lasciato...
𝗠𝘆𝗮: Ma... non c'entra niente. Lo avrei fatto soffrire se avessi continuato.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: O avresti potuto ottenere quella pseudo felicità che ti manca. Che vuoi e desideri. La felicità di una famiglia.
𝗠𝘆𝗮: Se voglio questo, non m'innamoro di chi non può darmelo, è logico.
𝗧𝗵𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝘀𝘁: Lo fai inconsciamente. Ti spaventa. Non hai mai provato il significato di felicità, delle cose che vanno bene. Ti spaventa ciò che non conosci e scappi. Questo è il motivo per cui hai lasciato andare le cose, come tu stessa hai riconosciuto, hai lasciato andare consapevole che così non avresti più dovuto temere altro. Lasciar andare è come aver lasciato andare la paura. E' lo stesso motivo per cui non hai detto la verità a Ethan. Avete discusso su gravidanze improvvise e sei andata nel panico, ti ha fatto immaginare una felicità che avrebbe potuto apparire dal nulla, e ti sei sentita mancare il fiato. Lo hai descritto esattamente così quel momento.
Non rispondi inizialmente, rimani immobile nel tuo sconcerto ad ascoltarla, a elaborare ciò che ti dice, a rivivere tutti quei momenti come un film nella tua testa. Stai guardando quelle relazioni in un' altra prospettiva e sembra che un faro adesso illumina tutte quelle ombre.L'oscurità si dissolve e tutto diventa più chiaro e limpido, lasciandoti letteralmente a bocca aperta.
𝗠𝘆𝗮: Oh mio Dio... sono sempre stata io... e adesso? Cosa dovrei fare?
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idv-asktheconsigliere · 3 years ago
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Sunny Skies
"You know, I find it amusing how our father kept on getting asked questions. What was that?"
"Don't ask me, I'm still puzzled by it as well."
Damien and Felix were out and about on the streets, seeing if there was anything of note to be taken care of. Considering that the Chiaro Mafia has a web of connections, some of the problems may have been taken care of already.
"There you two are! And thank God too, I don't think I can last much longer entertaining the other capos from the rest of the families."
"Xavier, what's going on?"
"Beats me, though they have some questions."
"Here we go again?"
-Event Sunny Skies is now in session!-
A/N: Damien and Felix are available for asking! Melissa is still available as well. Damien's emoji is ☀️, so if you want to ask him something use this one. Felix's emoji is 🌌, same applies to Damien. If you want to ask both brothers use both ☀️🌌. If you want to ask Melissa please use 🌙, it helps me know which question belongs to who.
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yesiamdrowning · 7 years ago
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la strategia della copertina.
Ma è davvero una questione di arte? No, la copertina "sgraffignata" a Isgrò dal team capitanato da Dan Ichimoto, uno che (per dirla a-là Verdone) lo chiamano per creare il branding delle Olimpiadi di Tokyo 2O2O e non si sa manco se gli fa il piacere di crearglielo, per Is This The Life We Really Want? di Roger Waters (uscito in tutto il mondo lo scorso giugno) ha più il sapore dello scandalo voluto e ricercato, quando non assume direttamente le sembianze del mutuo scambio tra due artisti alla canna del gas: l’estetica colta di certa avanguardia che copia (prende spunto?) dall’estro di Man Ray, del quale conosceranno l’operato sia Waters che Ichimoto, e dei suoi seguaci, tra i quali possiamo di certo contare il siciliano Emilio Isgrò. Ma attenti, qual’è la sostanziale differenza tra Ray e Isgrò a parte il taglio della barba e una viscerale amicizia con Salvador Dalì? Esatto, Isgrò non è ancora morto e può ancora aspirare a un successo a un più ampio parterre della scena musicale mondiale, attraverso quel trattino d’unione che lega la copertina della Inchimoto Inc. per il disco di Waters al Poema Ottico di Man Ray (1924, morto) al suo Libro Cancellato (1964, vivo). Probabilmente a Waters, quando Dan gli ha proposto la sua grafica per la copertina di Is This The Life We Really Want?, una sensazione di déjà-vu gli sarà anche venuta e avrà pure gongolato che il suo nuovo concept apocalittico, forse il più inutile di sempre, potesse essere associato a due dei movimenti artistici più importanti del Novecento, dadaismo e soprattutto il surrealismo, ma di sicuro non aveva in testa l’opera del messinese rosicone. Parliamoci chiaro, non c’è nulla di magico nell’opera di Ichimoto per Waters (peraltro simile a molta grafica femminista e anarcho-punk degli ultimi trent’anni, ma questo è un altro discorso). Metterla in relazione con una qualsiasi idea artistica dirompente sarebbe stato già troppa grazia, ma volersene appioppare a forza pure la paternità ideologica nel 2O17 fa soltanto sorridere. Come a volere paragonare la porcata fata per Artpop di Lady Gaga da Jeff Koons nel 2O13 con, che so, la leggendaria banana di Andy Warhol per il debutto dei Velvet Underground di Lou Reed. Allora era il 1967 e i Velvet erano tra gli esponenti della New York più trasgressiva di sempre: la banana li rappresentava senza bisogno di altre parole. Il cantante-poeta disse: “Andy sente i suoni e li traduce in immagine. La banana è un pensiero, non un caso”. Ecco, qualcuno spieghi a Isgrò che ora si tratta di caso. Ma Isgrò non è Warhol come Ichimoto non è Ray. A entrambi probabilmente gli piacerebbe ma per questa vita gli ha detto sfiga. Perché Warhol e Ray sono arrivati per primi e, soprattutto, perché entrambi avevano una strategia oltre che una coscienza. Usavano messaggi e icone di massa della propria epoca (del cinema e della pubblicità, degli oggetti di uso domestico) per dimostrare quanto fosse del tutto arbitrario il muro che separava la cultura alta dalla cultura bassa. Warhol pensò alla banana per una banda sconosciuta di brutti ceffi in cui credeva ciecamente, non telefonò mai ai Beatles per vedergli una copertina; Ray per anni si curò di non avere con l’arte un legame logico, ma solo mentale e paradossale, tanto da rifiutare di essere esposto e quindi reso pubblico. Non c’è invece traccia di elaborazioni complesse nel quadretto scarabocchiato di Ichimoto per Waters che, c’è da scommetterci, non passerà alla storia proprio come il suo papà putativo. Una storia, quella delle copertine dei dischi in vinile, cominciata nel 1939, quando Alex Steinweiss, brillante studente della Parsons School of Art di New York disegnò la prima copertina per una band chiamata Roger and Hart. Prima di quel giorno le copertine erano anonime buste marroni di carta. In pochissime settimane l’album con la copertina illustrata incrementò le vendite di quel disco del 9O per cento. E il cartone quadrato dei vecchi dischi divenne lo sfondo ideale per vere proprie opere d’arte. Cavalcò l’onda con largo anticipo proprio Dalì, che nel 1955 (poi bisserà con un disco di Alice Cooper del 1983) firmò l’illustrazione di Lonesome Echo, leggendario album del vulcanico attore e musicista Jackie Gleason. Poi, preoccupato che a causa delle dimenzioni della copertina l’opera non fosse intellegibile, Dalì fece allegare al disco un foglietto scritto a mano con le istruzioni per l’uso. Infine, non ancora convinto di avere fatto la scelta migliore prestandosi a questa operazione, telefonò a Gleason in piena notte chiedendogli: “Ma non è proprio possibile riuscire a farli più grandi questi cerchi di vinile?”. Da lì di collaborazioni ne sono seguide a decine. Keith Haring per i Run DMC, Bansky per i Blur, Damien Hirst per i RHCP, Peter Phillips per gli Strokes, Peter Hujar per Antony and the Johnsons,  Luigi Ghirri per i CCCP, Mati Klarwein per Santana, Anton Corbijn per gli U2, Jenny Saville per i Manic Street Preachers,  Robert Crumb per Janis Joplin e altri. Escluso Isgrò. Che evidentemente non si poteva dar pace e qualche giorno fa ha kafkianamente sconfitto in tribunale l'ex leader dei Pink Floyd, obbligandolo a ritirare dal mercato la copertina, il libretto e le etichette del suo disco con l'accusa di plagio. Però ragazzi, se Man Ray fosse stato ancora vivo allora sì che ci saremmo divertiti veramente.
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federicodeleonardis · 7 years ago
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Damien Hirst e Carmelo Bene
                                                                                                                          Sette paia di scarpe ho consumato....
Primo paio
All’avvio di questo blog, in un post dei primi, davo un’immagine sintetica del mondo dell’arte, paragonandolo a una piramide il cui vertice è occupato dai collezionisti, lo strato immediatamente inferiore dai galleristi, quello sotto ancora dai critici e curatori e la base infine dai paria, gli artisti. La grossolanità di questa rappresentazione può procurarmi rogne, perché non mancano forme miste, di cambio di casacca e di osmosi, che so, che un gallerista scriva o un artista collezioni ecc; ma
la sua efficacia a fini dialettici sta nel facilitare il chiarimento di funzioni e ruoli. Nel mondo così detto libero, il nostro, quello in cui il capitalismo ha trionfato alla grande (cioè, con buona pace della Corea del Nord, il mondo tout court), la funzione del vertice della piramide sembra essere fondamentale: l’intera costruzione, il sistema nel suo complesso (soltanto una piccola isola, una delle tante del vastissimo mare della globalizzazione) si regge sul bisogno che esso esprime di beni di consumo spirituale e non di beni di scambio.
Ma qui si verifica la prima difficoltà: quali sarebbero questi benedetti beni di consumo? In medias res e tanto per fare un esempio significativo legato alla recentissima mostra di Damien Hirst a Venezia: il bene di consumo spirituale sta nello spettacolo o nel colosso di bronzo e negli altri reperti rimasti a Palazzo Grassi per i visitatori che non hanno assistito allo spettacolo? Per semplicità chiamiamoli feticci.
Non so se tutti hanno presente il fatto che l’arte non si può consumare che in un unico modo: creando altra arte o altro spirito (il che è possibile anche a un qualsiasi collezionista sincero che acquista non per scambiare, ma per tenere e far vedere - quale altro scopo per una collezione seria?) E poi si dirà: l’arte è allergica a queste divisioni schematiche e da un po’ di tempo, ben prima dell’avvento Hirst, i musei si sono riempiti di feticci: basti pensare alla grande installazione di Beuys al museo di Stuttgart. La questione allora, quando lo spettacolo dello sciamano è terminato, si sposta sul valore evocativo del feticcio. Inoltre si può discutere se lo spettacolo sia più importante del feticcio, se l’aver messo sotto torchio un decennio fa l’organizzazione dei trasporti, l’industria siderurgica tedesca e infine L’Ente della Biennale fosse più importante dell’effetto spaziale delle due spirali ideate da Richard Serra per l’Arsenale. Questioni di lana caprina? Forse il mondo sta per dividersi fra quelli che, come nel settecento, smaniano per gli spettacoli pirotecnici con allestimenti costosissimi e quelli che chiamano Gian Battista Tiepolo ad affrescare i soffitti di casa propria. Già allora si poneva la questione e quanto ci rimane di quegli spettacoli sembra dare una risposta. Comunque forse è arrivato il momento di capire quali sono le caratteristiche specifiche dell’arte visiva e se questa  non si sia trasformata in teatro e nei suoi sottoprodotti. Il mondo naturalmente è in continua trasformazione e il bisogno di spettacolo in epoca democratica è indiscutibile. Un grande artista come Carmelo Bene lo aveva capito già cinquant’anni fa e aveva messo in crisi, proprio sfruttando le conquiste dell’arte visiva, il mondo dal quale veniva, quello dello spettacolo e specificatamente prima il cinema, poi lo stesso teatro e infine la televisione. Ma a questo punto  occorre chiedersi che fine sta facendo l’arte visiva tradizionale, quella appunto sfruttata tra l’altro da CB, quella che caparbiamente si rifiuta alla performance, perché crede che il suo prodotto, intendo il corpo di ciò che rimane finito lo spettacolo, abbia ancora aperte tutte le sue potenzialità di comunicazione, senza o con spettacolo annesso. Ha ancora uno scopo? Ritorniamo alla piramide.
E’evidente che quando la sparuta schiera di coloro che occupano il vertice e sentono il bisogno di consumare beni spirituali si assottiglia troppo, per lasciar posto a quelli che vedono l’arte solo come un bene di scambio e si accontentano dei giganti, che siano di Michelangelo (sommessamente affermo che il famoso David è stato un errore) piuttosto che di  DH, le cose finiscono per andare molto male per tutti gli occupanti gli strati inferiori. La stessa base, che tradizionalmente assolve il compito di produrre appunto quei beni, si assottiglia in maniera preoccupante (scende a terra, nel senso che se ne va a coltivar patate o si nasconde, insomma esce dai meccanismi della produzione). E’ vero che gli artisti lavorano, lo hanno sempre fatto, anche nei peggiori momenti di crisi, ai margini, e comunque poco si preoccupano del sistema che, impadronendosi del loro prodotto, ne fa merce o lo ficca in un caveau. Il “va canzone va” assolve quest’indifferenza e comunque facilita anche l’esigenza, funzionale alla creatività autentica, che impone di ��dimenticare il già fatto, anzi preferibilemente distruggerlo, per farne del nuovo. E queste non sono questioni di lana caprina: bisogna tener conto bene di come si muovono “Gli ultimi”, per capire i meccanismi che generano la piramide.
Quando sette anni fa, cosciente di quanto sopra, ho detto a me stesso che bisognava fare qualcosa e un po’ utopisticamente ho aperto Fuori dai denti, sperando di suscitare una reazione sull’isola alla quale appartengo (per il lavoro che faccio la più importante dell’arcipelago), sono caduto in seria contraddizione. L’invenzione di Nobel, che ha permesso a Napoleone  di penetrare nel Sancta Sanctorum della piramide di Cheope, per quella alla quale appartenevo non serviva a un piffero. F d d ha sparato per sette anni a vuoto e per il semplice motivo che il cemento che tiene insieme l’ammasso di blocchi è prodotto da ciascun componente lo stesso. Anche da me: nel momento in cui, sudando sette camicie, riesco a produrre qualcosa e si fa avanti qualcuno che se ne vuole impossessare, visto che nella società alla quale appartengo non so fare altro, mi vedo costretto a stabilire un prezzo: le camicie costano! Nessuno le ripagherà tutte, ma almeno esiste un vago, approssimativo termine di paragone: il denaro che quello mi offre anche lui l’ha sofferto e non è giusto non tenerne conto. Si finisce a un compromesso molto ragionevole e, con l’intermediazione del secondo strato (anche quello deve vivere), si stabilisce un prezzo. Tutti contenti!
Non proprio. Quella cosa lì, quel prodotto, inutile, fondamentalmente presuntuoso (pretende di aver inventato la dinamite, come Nobel), illusorio (non c’è miccia che non travolga anche te), ha un’unica qualità: nasce da profonda generosità, non bada a fatica, spese, tempo sprecato per far venire alla luce il pupo (le sette camicie, che a volte sono sette volte sette): quello deve nascere, per i tuoi figli prima di tutto, ma anche per gli altri, per tutti indistintamente. Guardatemi io sono qui, inerme e passivo, se ti interesso mi prendi, altrimenti mi lasci dove sono. Per prendermi poi non devi pagare nemmeno un euro, nemmeno i soldi che costa un libro, perché basta che mi guardi. Certo devi guardarmi bene, devi imparare a farlo, perché non è stato ancora inventato il modo per guardare me, io stesso l’ho inventato, altrimenti che ci sto a fare a questo mondo se non per un nuovo sguardo?  Parlo per me ma va bene per tutti.
Insomma tutte le volte che sono costretto a dichiarare un prezzo cado in serio imbarazzo: se devo fare paragoni (è noto il narcisismo dell’artista), non è mai sufficiente, se lo lego all’effettiva fatica che mi è costato, a volte è addirittura superiore, anche se più spesso invece non ne ripaga la millesima parte, ma la solfa non cambia. Finisce per prevalere il paragone e qui inizia la bagarre: per quanto la caratteristica fondamentale del vero artista, malgrado il suo incommensurabile narcisismo, sia appunto la generosità e quindi anche la generosità nei confronti dei colleghi che ti hanno regalato qualcosa con il semplice sguardo, la corruzione sul prezzo nasce proprio nel momento dei confronti con i colleghi e non ci sono santi, la piramide se ne starà bella stabile sulle sua base e non corre alcun pericolo di precipitare. Ecco allora che si fa avanti lo spettacolo: dividere le due funzioni, quella performatica e quella della comunicazione legata al feticcio. Niente di più semplice. Per il primo non si bada a spese, tanto verranno ripagate dal secondo, perché lo spettacolo, quanto più pirotecnico sia, più rende il secondo vendibile (siamo in democrazia, nella democrazia del denaro  e dello spettacolo e quelli che badano allo scambio sempre più numerosi).
Un epifenomeno del terremoto che da trent’anni a questa parte interessa la piramide, senza peraltro metterla minimamente in pericolo, è il panico che invade soprattutto lo strato superiore ai paria, quello dei teorici. La cosi detta critica sta dubitando della propria funzione e forse acquista coscienza della necessità del suo ridimensionamento. Era ora! Più di quarant’anni fa Carmelo Bene (parlando di cinema, ma il discorso era valido per tutta l’arte) affermava: “io rifiuto qualsiasi funzione di mediazione critica e aggiungeva “è l’opera stessa che in quanto artistica è anche critica, non ha quindi alcun bisogno di esser criticata”. Per non avvallare facili equivoci e chiarire il rapporto fra le due funzioni, critica e creativa, citava Oscar  Wilde: “La fantasia imita, ma è lo spirito critico che crea”. Più chiaro di così.
Insomma negli ultimi cinquant’anni i produttori sono stati esautorati da una società democratica di massa che non si fida di loro e ha affidato a terzi, appunto gli studiosi, i curatori e i critici, l’organizzazione della piramide. I primi non hanno opposto resistenza: l’epoca dei Carrà è tramontata e anche più recentemente quella dei Fabro. Del resto non è nel DNA dell’artista scrivere e leggere e quindi tutti contenti. Solo che il sistema della piramide fa un po’ acqua senza l’apporto della seconda delle sorelle indicate da Milo De Angelis (poesia e teoria) e poi il mercato dello scambio è necessario, finché lo si subisce, non quando lo si alimenta con teorie capziose e corrotte e soprattutto senza una vera cultura.
Comunque per terminare in leggerezza voglio far presente a chi mi legge che lo spettacolo ha del comico: tutti bravissimi a vedere nell’altro il responsabile della situazione di stallo. Per i teorici del secondo strato, che CB  divide in “gazzettieri, travesti e supermaschi” (cioè nel coro, i primi, quelli che producono il rumore di fondo,  poi i secondi che concepiscono la critica come mediazione, i peggiori, e infine i terzi, quelli che inventano l’opera a livello pretestuale) non c’è più scampo: galleristi e collezionisti li snobbano e nessuno legge più alcun loro prodotto, al massimo si limitano ai titoli di testa. Il colmo del ridicolo è lo spettacolo delle manciate di fango che cercano di buttare a destra e a manca, ma sempre in orizzontale o meglio, perché più facile, in basso: “sei colluso col sistema”. Beh è noto che la diffamazione è l’arma principale di chi vuole nascondere le proprie colpe e quindi la produzione di fango non stupisce, ma a proposito di comicità, consiglio di andarsi a rivedere quel cortometraggio di Iacopetti prodotto per la TV negli anni cinquanta: mostrava dei cani in una gabbia, un casino della madonna, una carneficina, tutti contro tutti e più se ne infilava dentro più si azzanavano.
FDL
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“Mi sono perso qualcosa?”
A Dean le riunioni di famiglia non erano mai piaciute. Specialmente le riunioni di famiglia tra angeli e demoni: in qualche modo finivano sempre di merda.
E quel tizio biondo, dall��aria vagamente famigliare, non gli forniva una buona impressione.
“Perché non lo spediamo su un’isola deserta con un aereo?”
Sistemò la gamba con uno scatto e, nonostante il dolore, non abbassò la guardia neanche per un secondo.
Damien si era appena parato di fronte a lui, chiaro segno che il confronto tra i due non sarebbe stato di natura piacevole e di istinto, quasi come un movimento naturale della muscolatura, afferrò l’elsa della spada angelica e strinse i denti.
“Vorrei solo capire se lo abbiamo appena preso nel culo.”
Forse avrebbero davvero dovuto permettere al semi arcangelo di seguirli, probabilmente avrebbero avuto una copertura aggiuntiva, ma qualcosa gli diceva che il semidemone non gli avrebbe permesso di scendere in battaglia.
All the demons we know.
Le insegne al neon del vicolo sudicio, sfrigolano di una luce fioca ed aranciata. I passi di Damien - vestito in un due pezzi nero, elegante e con tanto di scarpe di cuoio scuro lucidate - sono felpati, leggeri come una piuma. Dal tracciamento avvenuto nel bunker, assieme all'aiuto degli altri, sono riusciti a risalire ad un vecchio magazzino postale in disuso da anni, sede principale dei tirapiedi di Balel. Una volta davanti il grande portone di legno mogano, consumato dalle intemperie e vandalizzato con dei graffiti, Damien arresta i suoi passi e si guarda attorno, accertandosi di essere soli. Dopo la breve ispezione, torna con lo sguardo sul cacciatore ed annuisce in approvazione. Devono controllare l'equipaggiamento: Damien posa la sacca a spalla sull'asfalto umido, flette un ginocchio per abbassarsi e tira la zip, mostrando a Dean l'armamentario a disposizione. “Ho tre Glock 17 con proiettili anti-demone, tre fucili d'assalto AK-12, due fucili a pompa di sale, due pugnali di acciaio Giordano e…beh, questo l'ho portato per te.” e con un sorriso divertito, estrae un lanciagranate che consegna nelle mani del cacciatore “Otto granate, caricate con sale di Gerusalemme, acqua santa del Vaticano e piombini di acciaio Giordano. Ha un raggio di azione di 10 metri: in sostanza, se dovessero esserci 10 demoni in una stanza, friggerebbero tutti come bacon su una piastra.” Damien, invece va sul classico: prende l'amata Glock e la infila in una fondina nascosta all'interno della giacca, un AK-12, il pugnale e circa 4 caricatori per ognuna delle armi. “Non ho idea di quanti demoni ci siano là dentro, ma…Balel ha circa un centinaio di seguaci al suo fianco.” ora torna serio, perché la faccenda è estremamente seria. Sono in due contro chissà quanti demoni e vuole davvero uscire da quel magazzino tutto intero, insieme al Winchester. “Sei pronto, Dean?”
@deanmotherfuckingwinchester​
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edenlyeden · 3 years ago
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.        ♡  ᴀ ɴᴇᴡ ᴛᴡ24 ɪɴᴛᴇʀᴠɪᴇᴡ           ㅤ20.05.2025     ⌵ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀   [ . . . ] L’occasione è troppo ghiotta per non appropinquarsi a 𝗥𝗼𝘅𝗮���𝗻𝗲 𝗪𝗲𝗮𝘀𝗹𝗲𝘆, pure lei campionessa per Grifondoro ma al settimo anno, appena uscita sconfitta dal match di Pancrazio. Ebbene, per coloro che non lo sapessero: Eden odia la ragazza di un odio che ha riservato a ben poche persone nella vita, forse nessuna, ché il più delle volte le sono tutti al massimo indifferenti. La colpa perpetrata dall’altra è quella di essere la migliore ( fastidiosa ) amica di Lysistrate, giustamente - ma non ditelo all’ex serpeverde - pronta a difenderla da tutto e tutti. Ad ogni modo, dopo averle spiegato di che cosa si tratta con un tono professionale, la registrazione può ufficialmente partire.   « Parliamo adesso con Roxanne, 𝘤𝘢𝘮𝘱𝘪𝘰𝘯𝘦𝘴𝘴𝘢 » il tono beffardo è sottolineato dal sorrisetto a favor di camera. « Grifondoro, la prima a essere stata battuta nella temibile prova del pancrazio. Tu e la persona che ti ha addestrata avevate preso in considerazione in questi mesi l’organizzazione di una prova così prettamente fisica e sbilanciata, considerando che il nome a cui sei stata affiancata è quello di un ben più prestante Cyrus Gastrell? Durante l'allenamento, avete preferito tappare le lacune o puntare al perfezionamento dei tuoi punti di forza? » se ce ne sono, pensa e non dice.   Già nervosa per la sconfitta, Roxanne non si aspetta affatto di vedere la ragazza della sua migliore amica avvicinarsi a lei, con quell’espressione che lei odia terribilmente. Non è chiaro a nessuno, il perché del loro non sopportarsi, ma a Roxanne non importa affatto porsi quella domanda.   « Eden, ciao a te. » Ricambia quel saluto con un sorriso forzato ed incrocia le braccia al petto, provando a non accentuare il tono scocciato che quella vicinanza le provoca.   « Oh, beh. Ci siamo concentrate sul potenziamento, in modo da sfruttare quelle abilità il più possibile, ma anche sul recupero di alcune altre cose. Se non mi avesse allenata almeno a difendermi e saper affrontare i colpi ricevuti, probabilmente adesso avrei qualcosa di rotto. »   « Che cosa le racconterai di questa prima esperienza che ricordiamo essere stata totalmente a sorpresa? »   « Beh, le dirò che i combattimenti corpo a corpo mi fanno decisamente schifo, direi che il resto lo scoprirà da sola. »   « Chi pensi che avrà la meglio nella terza prova, che ricordo essere appena iniziata? »   « Mi auguro un Grifondoro, ovviamente, e spero in Thiago. Altrimenti non saprei, Damien e Grace mi sembravano molto agguerriti. »   « Ultima domanda: se non dovessi vincere tu tutto il torneo, chi spereresti lo facesse e perché? »   « Ovviamente io, perché sono la migliore, no? Non rispondere, non serve. »   In effetti, un’inquadratura ristretta sul viso di Eden, adesso rivolta alla telecamera, parla da sola. ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀          ㅤ[⠀⠀ᴛᴏ ʙᴇ ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴇᴅ⠀⠀]
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