Tumgik
#da un certo punto di vista forse è addirittura peggio?
gelatinatremolante · 11 months
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Apprezzo davvero tanto la gentilezza da parte delle persone che invece di prendere il telefono e far partire una telefonata inviano prima un messaggio per chiedere se possono telefonare ma questo impedisce di farmi venire un coccolone e di pensare agli scenari peggiori? Ovviamente no.
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easily-ecommerce · 6 months
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L'importanza di avere foto di qualità per l'eCommerce.
Se ti stai chiedendo quanto siano importanti le immagini nell’e-commerce, sei sulla strada giusta per creare un progetto vincente. Innanzitutto devi metterti nei panni del cliente per capire le sue percezioni e il suo punto di vista. Da cosa viene attirata la nostra attenzione appena atterrati sul sito?  Dalle immagini che, forse, hanno addirittura una valenza superiore al prezzo. Gli acquisti online servono per rispondere ad un bisogno o per esaudire un’esigenza, quindi le foto devono stimolare l’emotività del cliente che spesso acquista d’impulso. La descrizione del prodotto completa ed esaustiva, accompagnata da foto nitide e chiare, è un biglietto da visita perfetto per ogni e-shop. Foto poco nitide e sgranate invece danno un’idea di trascuratezza, cosa che non depone certo a favore del sito online. Nei seguenti paragrafi analizziamo perché le foto negli e-commerce hanno un ruolo così importante,dopodiché ci concentriamo su alcune “best practices” e consigli da seguire per realizzare immagini dal grande impatto visivo ed emotivo.
Come offrire un’esperienza d’acquisto simile a quella dei negozi reali?
Prima di approfondire il discorso sulle modalità di inserimento delle foto negli e-commerce, è opportuno contestualizzare il momento che stiamo vivendo. Durante la pandemia c’è stato un vero e proprio boom degli e-commerce, poiché le persone potevano fare qualsiasi acquisto online senza alcun contatto fisico. Ora che il peggio è passato, la tendenza ad acquistare online si è rafforzata e ha conquistato altri “fan” del commercio sul web. Guardando però l’altra faccia della medaglia, non bisogna pensare che le persone non hanno più il gusto di acquistare nei negozi fisici. Con l’online infatti molte cose si perdono, come la possibilità di chiacchierare e chiedere consigli ai commessi o di toccare con mano gli oggetti in vendita. Se la perdita del contatto umano può essere sostituita con gli operatori dell’assistenza, che forniscono il loro supporto laddove richiesto, risulta complicato trovare un palliativo per l’impossibilità di toccare i prodotti con mano. Ecco quindi che le foto sono la soluzione ideale per dare ai clienti la sensazione di poter quasi toccare il prodotto. Come? Con immagini curate sin nei minimi dettagli, in grado di stimolare la curiosità dei consumatori e toccare le giuste corde emotive, facendo scattare la molla dell’acquisto d’impulso.
Anche l’occhio vuole la sua parte: 4 “best practices” per aumentare le vendite
La prima impressione è quella che conta e quindi immagini curate e ben dettagliate sono in grado di suscitare l’interesse del consumatore e aumentare le vendite. Ecco di seguito una serie di “best practices” da tenere a mente per qualsiasi tipologia di e-commerce.
Scegli uno sfondo bianco
Prima regola per realizzare foto di eccellente qualità per gli e-commerce: scegli uno sfondo bianco. Con quest’accortezza conferisci un aspetto pulito e professionale al sito, inoltre il bianco si abbina con qualsiasi colore facendolo risaltare. Potresti pensare che uno sfondo colorato o a fantasia dia un maggior senso di dinamismo, in realtà rischia di distrarre eccessivamente il visitatore dal prodotto, che invece deve essere l’unico protagonista.
Se un domani decidi di cambiare il tema del sito o di effettuare un vero restyling, non c’è bisogno di sostituire le immagini dei prodotti. La stessa immagine può essere usata sui social o su qualsiasi altro sito, creando le basi per una customer experience da serie A!
A proposito di customer experience, per ottimizzare le prestazioni del sito è consigliabile affidarsi a Shopify, noi di easilyecommerce siamo Shopify Partner e Shopify Expert. Grazie a Shopify permetterai al cliente di vivere un’esperienza d’acquisto personalizzata navigando tra le sezioni del sito con foto perfette, come se si trovasse in un reale negozio fisico.
Foto nitide e di qualità
A rischio di essere ripetitivi lo ribadiamo: la qualità delle foto deve essere impeccabile, così da dare al cliente la sensazione di poter quasi toccare e “sentire” il materiale del prodotto. Una foto di scarsa qualità può indurre il cliente in errore, soprattutto negli e-commerce di abbigliamento.
Supponiamo che una camicia di colore rosa, la cui foto è scura e di bassa qualità, sembri fuxia. Cosa farà il cliente quando si vedrà recapitare una camicia rosa, anziché fuxia come aveva immaginato? Con buone probabilità chiederà il reso che, oltre a farti perdere soldi e tempo, genera anche fastidio e nervosismo nel cliente.
Esistono dei piccoli stratagemmi per scattare foto eccellenti, anche per chi non è un professionista, che analizziamo nei seguenti paragrafi relativi proprio alle modalità di fotografia.
Dai coerenza al tuo catalogo online
Lo sfondo bianco è il prima passo per dare pulizia e linearità alla tua vetrina online, ma non l’unico. Per dare coerenza al tuo catalogo devi adottare delle soluzioni omogenee per tutti i prodotti, come ad esempio la realizzazione di cornici colorate, ombre ed effetti particolari che diano un senso di dinamismo agli articoli in vendita. Adotta soluzioni e stili personalizzati in linea con il tuo business e in generale con il template del sito.
Scatta diverse foto e da più punti di vista
L’impossibilità di guardare un prodotto a 360° è uno dei principali freni all’acquisto. Una solo foto non basta, ma ne devi scattare molte di più per riprendere l’articolo da diversi punti di vista. In questo modo rassicuri il cliente, che può avere una panoramica completa dell’articolo in vendita. In caso contrario il consumatore può acquistare un prodotto non di suo gradimento, con il rischio di aumentare i resi e di perdere il cliente. La prima cosa da fare è creare un’“immagine eroe” che raffigura il prodotto frontale. La regola cambia solo per: Le scarpe che generalmente vengono fotografate di lato; Le sedie che vanno riprese da un angolo di 45°; I piatti che vanno fotografati dall’alto. Sotto l’immagine eroe devi poi postare una serie di foto che riprendono l’articolo da vari punti di vista e da angolazioni originali e alternative. Un’ottima idea per rafforzare la tecnica dell’up-selling è creare un quadro contestuale. Puoi pubblicare l’articolo in un contesto specifico o insieme ad altri prodotti. Un esempio? Se vendi forchette puoi postare una foto con una tavola imbandita con tanto di bicchieri, coltelli e cucchiai. O magari puoi abbinare un jeans con una felpa e delle sneakers particolari. In questo modo influenzi la percezione dello spettatore di quell’articolo, che viene visto in un determinato contesto per soddisfare esigenze e bisogni specifici. Non solo aumenti la possibilità di vendere quel prodotto, ma anche gli altri complementari.
Consigli per fotografi non professionisti
Non sai proprio nulla di fotografia? Allora per i primi tempi ti conviene rivolgerti ad un fotografo professionista, specializzato nella fotografia commerciale per e-commerce. Col tempo però potresti aver voglia di svecchiare il tuo sito e portare una ventata di aria fresca con nuove foto.  Perché quindi non inizi a sperimentare e realizzare scatti fotografici fai da te?  Sono molti i proprietari di e-commerce autodidatti che hanno imparato da soli a fare foto di ottima qualità. Ecco alcuni suggerimenti per scattare ottime foto in grado di aumentare le vendite.
Acquista la giusta attrezzatura
Gli smartphone moderni sono in grado di realizzare foto di qualità, ma sicuramente vale la pena investire in macchine fotografiche professionali. Stai facendo un investimento sul tuo lavoro, quindi non sono soldi buttati. Le fotocamere DSLR (Digital Single- Lens Reflex) assicurano una resa di gran lunga superiore rispetto alle altre e sono dotate di preimpostazioni che facilitano il compito di chi è alle prime armi. A questo punto non può mancare un bel treppiedi, che assicura un tempo di esposizione più lungo per scattare foto nitide e non sfocate.
Occhio ai dettagli
Un tuo prodotto ha un dettaglio originale o una particolarità rispetto agli altri competitor? Perfetto! Valorizzalo e mettilo in mostra. Scatta delle foto che puntino unicamente ai dettagli più caratteristici. Come già anticipato il cliente non ha la possibilità di toccare l’articolo con mano, quindi devi dargli tutti gli strumenti utili per avere un quadro chiaro. Questi piccoli dettagli possono dare la spinta finale verso l’acquisto.
Parola d’ordine: sperimentare!
È vero che devi fare più di uno scatto per riprendere tutte le particolarità di un oggetto, ma ogni foto deve dare effettivamente un valore aggiunto. Postare 3-4 foto dalla stessa angolazione non ha molto senso, proprio perché non aggiunge nulla di nuovo. E allora impara a sperimentare diverse angolazioni, anche quelle più improbabili. Più foto fai e meglio è. Alla fine del lavoro confrontale e scegli quelle che forniscono realmente un valore aggiunto.
Procurati un software di editing per il fotoritocco
Esistono in commercio diversi software di editing grazie ai quali puoi diventare un piccolo web designer. Sono facili da usare e ti consentono di ottimizzare le foto e aggiungere i filtri e gli effetti più adatti. Esistono anche software gratuiti, ma ti consiglio di puntare su quelli a pagamento che offrono maggiori opzioni. I costi sono piuttosto accessibili per tutte le tasche, quindi non devi fare investimenti folli.
Conclusioni
Un’immagine vale più di mille parole? Sì, se prendiamo in considerazione il mondo dell’online e dell’e-commerce. L’immagine ha una potenza dirompente in grado di conquistare il visitatore al primo sguardo appena entra nel sito.
Articolo originale a cura di Redazione modificato ed adattato da Martino Masu.
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gregor-samsung · 2 years
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“ La moglie di Nikolaj Vasilevič, è presto detto, non era una donna, né un essere umano purchessia, neppure un essere comunque vivente, animale o pianta (secondo taluno, peraltro, insinuò); essa era semplicemente un fantoccio. Sí, un fantoccio; e ciò può ben spiegare la perplessità o, peggio, le indignazioni di alcuni biografi, anch'essi amici personali del Nostro. I quali si lagnano di non averla mai vista sebbene frequentassero abbastanza assiduamente la casa del suo grande marito; non soltanto, ma di non averne mai «neanche udito la voce». Dal che inferiscono non so che oscure e ignominiose, e nefande magari, complicazioni. Ma no, signori, tutto è sempre piú semplice di quanto non si creda: non ne udiste la voce semplicemente perché ella non poteva parlare. O piú esattamente, non lo poté in certe condizioni come vedremo, e in tutti i casi, tranno uno, da sola a solo con Nikolaj Vasilevič. Bando tuttavia alle inutili e facili confutazioni; e veniamo a una descrizione quant'è possibile esatta e completa dell'essere, od oggetto, in parola. La cosiddetta moglie di Gogol, dunque, si presentava come un comune fantoccio di spessa gomma, nudo in qualsiasi stagione, e di color carnicino o, secondo usa chiamarlo, color pelle. Ma poiché le pelli femminili non sono tutte dello stesso colore, preciserò che in generale si trattava qui di pelle alquanto chiara e levigata, quale quella di certe brune. Esso, o essa, era infatti, è ozioso aggiungerlo, di sesso femminile. Piuttosto, conviene dire subito che era altresí grandemente mutevole nei suoi attributi senza però giungere, com'è ovvio, a mutare addirittura di sesso. Pur poteva, certo, una volta mostrarsi magra, quasi sfornita di seno, stretta di fianchi, piú simile a un efebo che a una donna; un'altra prosperosa oltremodo o, per dir tutto, pingue. Mutava inoltre di frequente il colore dei capelli e degli altri peli del corpo, concordemente o non. E cosí anche poteva apparir modificata in altre minime particolarità, come posizioni dei nei, vivezza delle mucose, eccetera; persino in certa misura, nel colore stesso della pelle. Sicché da ultimo ci si potrebbe chiedere quale essa fosse in realtà, e se davvero se n'abbia a parlare come d'un personaggio unico; non è però prudente, lo vedremo, insistere su tal punto. La ragione di questi mutamenti stava, secondo i miei lettori avranno già capito, in nient'altro che nella volontà di Nikolaj Vasilevič. Il quale la gonfiava piú o meno, le cambiava parrucca e altri velli, la ungeva coi suoi unguenti e in varie maniere ritoccava, di modo da ottenere press'a poco il tipo di donna che gli si confaceva in quel giorno o in quel momento. Egli anzi si divertiva talvolta, seguendo in ciò la naturale inclinazione della sua fantasia, a cavarne forme grottesche e mostruose; perché è chiaro ché oltre un certo limite di capienza ella si deformava, e cosí pure appariva deforme se restava al di qua d'un certo volume. Ma presto Gogol si stancava di tali esperimenti, che giudicava «in fondo poco rispettosi» per la moglie, cui a suo modo (modo per noi imperscrutabile) voleva bene. Voleva bene, ma a quale appunto di codeste incarnazioni? si potrà domandare. Ahimè, ho già accennato che il seguito della presente relazione fornirà forse una risposta purchessia. Ahimè, come ho potuto testé affermare che era la volontà di Nikolaj Vasilevič a governare quella donna! In determinato senso, sí, ciò è vero, ma altrettanto certo è che presto ella divenne, nonché sua mancipia, sua tiranna. E qui si spalanca l'abisso, la gola del tartaro, se volete. “
Brano tratto dal racconto di Tommaso Landolfi La moglie di Gogol, pubblicato per la prima volta nella raccolta Ombre (Vallecchi, 1954).
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veronica-nardi · 4 years
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Haikyuu Quarta Stagione
“Non è divertente non provare cose nuove se sai che esistono”.
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E anche questa stagione è andata. E io sono sopravvissuta. Perché ogni volta rischio la morte per arresto cardiaco, e ogni volta miracolosamente sopravvivo.
Sinceramente avevo dimenticato quanto sia bello Haikyuu, quante cose belle abbia.
Amo questo cartone, amo i suoi personaggi, le evoluzioni, l’adrenalina, le squadre, le strategie di gioco.
Sono due le cose che non ho amato di questa stagione, e le dico subito così da togliermi i sassolini dalle scarpe: le pause di metà puntata, e i disegni. Prima durante le pause avevamo i personaggi che tiravano la palla e facevano gli idioti, ora ci hanno dato questi animaletti che simboleggiano i vari personaggi e sono sì carini, ma, vi prego, ridateci i personaggi! #petizione. E poi ci sono i disegni, e ammetto di aver impiegato oltre metà stagione per accorgermene, ma a un certo punto ho visto un salto talmente disegnato male che non ho potuto non notarlo. Tornate a fare i vecchi disegni! #petizioneparte2
Ora passiamo alle cose belle.
Il ritmo come sempre è davvero ottimo. Anzi forse hanno spinto un po’ sull’acceleratore nella prima parte, ma è comprensibile visto che va bene il ritiro, la preparazione e gli allenamenti, ma quello che volevo vedere erano i nazionali, quindi capisco che non si siano soffermati troppo sulle cose precedenti.
A proposito di cose precedenti, il ritiro io non me lo aspettavo. Quando ho finito di vedere la terza stagione, con la Karasuno che riesce a qualificarsi per i nazionali vincendo contro la Shiratorizawa, io pensavo che la quarta stagione iniziasse subito con loro che approdano ai nazionali, non mi aspettavo un ritiro, anzi due, e addirittura un’amichevole.
Ma tutto questo ha il suo perché, e mi è piaciuto.
Kageyama viene invitato al Ritiro giovanile nazionale, dove quindi si ritrova circondato da giovani brillanti nella pallavolo, mentre Tsukkishima viene chiamato per un ritiro delle matricole promettenti della prefettura, dove può allenarsi e fare pratica.
Mi sono chiesta perché non avessero invitato anche Nishinoya a questo secondo ritiro, perché è obiettivamente uno dei giocatori più bravi e “epici” della Karasuno. Ma la serie mi ricorda che Nishinoya non possiede esattamente un tale livello di maturità per poter essere invitato a un ritiro del genere, è troppo coglione in pratica, quindi si attacca. #legit
Hinata chiede se c’è un invito anche per lui da qualche parte, e con tutta la delicatezza del mondo Tsukkishima gli fa notare che lui è troppo pippa per poter essere chiamato a un ritiro di qualsiasi tipo. Il Ritiro giovanile nazionale poi, è fantascienza per lui.
Grazie Tsukki per la tua onestà sempiterna.
Tra l’altro Tsukki si fa notare anche per la sua profonda empatia e per il suo commovente senso di amicizia, visto che per tutto il ritiro non caga Hinata di pezza. Hinata che, siccome non è stato invitato, ha deciso di autoinvitarsi. Giustamente.
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Parliamo un attimo di questo.
Non sono dispiaciuta o infastidita che Hinata non sia stato chiamato, perché Hinata è ancora un giocatore molto scarso e poco versatile, ma trovo immaturo ed infantile che il vecchio allenatore della Shoratorizawa che l’abbia invitato non tanto per le sue capacità ancora scarse, ma, sostanzialmente, perché invidioso.
È da quando ha iniziato a giocare a pallavolo che a Hinata viene ripetuto che è scarso, che è troppo basso, che è una pippa, e a quanto pare non conosce nemmeno le basi fondamentali della pallavolo (Karasuno, magari una lezioncina fategliela), e che sa sì saltare ed è velocissimo, ma che senza Kageyama non ha utilità. E vedere che nonostante tutto Hinata non si arrende, non perde l’entusiasmo, e continua a pretendere di stare sul campo, di giocare, e di toccare anche lui la palla, deve riempire di non poca invidia il vecchio allenatore Tanji Washijō (mai saputo che si chiamava così, son dovuta andare a cercarlo lol), che da giovane si trovava nella stessa situazione di Hinata, perché anche lui basso, ma che al contrario del nostro piccoletto si è dato per vinto. Quindi per lui è inaccettabile che Hinata possa dimostrare che invece si può fare.
Un atteggiamento di questo tipo lo potrei accettare molto meglio da un coetaneo di Hinata, da un quindicenne, non da un uomo adulto di oltre settant’anni (sì, ho cercato anche l’età), e da cui ci si aspetterebbe una certa maturità e magari anche saggezza. Il problema non è la gelosia, perché quello è un sentimento umano, il problema è che quest’uomo dovrebbe avere la forza d’animo di passare oltre, riconoscere la determinazione di Hinata e incoraggiarlo.
La cosa bella è che, anche se l’allenatore lo fa rimanere solo come raccattapalle, Hinata non si scoraggia, rimane al ritiro, e osserva. E osservando, impara. Perché finora è sempre stato sul campo a esercitarsi, mentre adesso ha la possibilità di vedere come si muovono gli altri giocatori, e di vedere l’andamento di una partita da prospettive diverse.
Hinata è un personaggio semplicemente fantastico e ha tutta la mia stima. In continua evoluzione, dinamico, determinato, simpatico, scemo, ma pieno di sfumature geniali e sorprendenti (lo stesso Daichi afferma che a volte Hinata è ancora un vero e proprio mistero anche per loro). Per me rappresenta un raggio di sole in questa serie, che mi diverte e mi dà calore. Non è solo un personaggio che ti piace o che ami, ma a cui vuoi proprio bene.
In realtà questo vale per tutti i giocatori della Karasuno. Voglio bene a tutti, perché ognuno di loro impara a farsi voler bene.
Anche quello stronzo di Kageyama, che rimane sempre un po’ egocentrico e scontroso, come dimostra durante l’amichevole con la Dateko quando dice senza tanti complimenti a Nishinoya di essere tra i piedi.
Che momento trigghered è stato.
Trigghered per tutti (me compresa, perché Nishinoya non si tocca), ma non per lo stesso Nishinoya, che invece di infastidirsi e mandare Kageyama a quel paese, capisce subito cosa intende dire e agisce di conseguenza.
Ma il peggio esplode quando Kageyama si lascia andare a uno scoppio d’ira con Asahi perché non schiaccia le sue alzate, facendo riemergere per un momento quel Re Dispotico che era alle medie.
Kageyama è un personaggio estremamente umano, e lo amo per questo. Mentre Hinata si evolve più dal punto di vista del gioco ma rimanendo sempre la stessa persona, l’evoluzione di Kageyama, già un alzatore formidabile, è più psicologica e introspettiva. Ed è un percorso fatto di alti e bassi il suo, ci sono momenti in cui la vecchia personalità riemerge, perché si può sì cambiare, ma il suo carattere rimane quello, e la trovo una cosa molto realistica.
Uno dei momenti più belli di questa quarta stagione è quando Hinata incorona Kageyama Re del campo mettendogli un asciugamano piegato a mo’ di corona sulla testa. Asciugamano che Kageyama gli tira in faccia, perché questi due hanno un modo di dimostrarsi affetto tutto loro.
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Ma vediamo di arrivare alla ciccia, e parliamo dei nazionali.
Due partite hanno giocato in questa stagione. DUE. Se andiamo avanti così, io viva al finale di Hakyuu non ci arrivo, non credo che il mio cuore potrà reggere.
Vado di spoiler cattivi perché voglio finire in fretta questo commento. Denunciatemi.
Una buona parte di me sospettava che avrebbero vinto contro l’Inarizaki, perché mi sembrava strano che giocassero solamente due partite in questi nazionali dopo che hanno sudato tanto per arrivarci.
MA QUESTO NON MI HA IMPEDITO DI MANGIARMI LE DITA E PREGARE TUTTI I SANTI DURANTE TUTTA LA PARTITA.
Una delle cose bellissime di Haikyuu è che riesce sempre a mettere in campo personaggi nuovi e interessanti, senza mai risultare ripetitivo. E non è che a questi nuovi personaggi viene data più importanza e prendono il sopravvento, no, anche quelli che conosciamo già continuano ad essere esplorati e gli viene dedicato spazio.
E su questi ultimi Haikyuu mi ha regalato delle vere e proprie perle in questa quarta stagione.
Ma prima i personaggi nuovi, e ce ne sono quattro che mi sono piaciuti.
Abbiamo Kōrai Hoshiumi (nome che ho dovuto chiedere a @dilebe06 perché non sapevo dove e come cercarlo), da me soprannominato “Il Targaryen” perché ha i capelli platinati ed è mezzo pazzo: non poteva esserci soprannome migliore.
Un giocatore piccolo come Hinata, un ragazzo orgoglioso che se la lega al dito quando le altre persone rimangono scioccate di fronte alle sue abilità perché non sembra possibile che un piccoletto come lui possa essere così bravo. Hoshiumi rappresenta la rabbia contro i pregiudizi, e ha ragione.
Abbiamo poi i due gemelli Osamu e Atsumu Miya detti Amamiya, una coppia vincente e talentuosa che prova e mette in atto la veloce di Hinata e Kageyama perché... quale momento migliore di provare a fare una cosa del genere se non durante i nazionali? Tanto noi siamo i super brothers, possiamo fare tutto. Copioni!
Beh però, tanto di cappello a loro perché ci provano... e ci riescono.
Mi sono piaciuti molto entrambi (Atsumu mi ha dato feels di Oikawa, quindi capirai...), ma ho nel cuore Osamu perché deve sopportare quello stronzetto di suo fratello.
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Poi c’è il capitano della squadra, Shinsuke Kita, detto anche Shin, di cui mi sono subito innamorata perché se ti chiami Shin il mio cuore vola: un ragazzo freddo e logico nel dare le sue opinioni e per questo temuto dai suoi compagni di squadra, un giocatore non straordinario e non uno dei più bravi, ma è il cervello della squadra e ha fede nelle sue abilità, non in un modo arrogante, ma perché è sicuro di non sbagliare mai. Nonostante l’apparenza fredda tiene molto ai suoi compagni (la scena di Atsumu col raffreddore... awwww), è molto metodico e ripetitivo, e non va mai nel panico perché non c’è motivo di agitarsi per qualcosa che fai quotidianamente. Sei forse nervoso quando devi mangiare? Ecco, per lui vale lo stesso discorso con la pallavolo.
È uno di quei giocatori che non spicca durante una partita e che non rimane impresso per il suo talento, ma è uno di quelli grazie ai quali la squadra è unita, va avanti e vince.
E ora i vecchi personaggi, partendo dai membri della Karasuno.
Avrei davvero voluto abbracciare Tanaka in questa stagione. Sono molto contenta e grata che gli abbiano riservato uno spazio serio e introspettivo, e non abbiano continuato a dipingerlo sempre e solo come un idiota della squadra.
È vero che ce l'hanno sempre mostrato come un bravo giocatore sul campo, ma una cosa del genere ci voleva proprio.
Mi è dispiaciuto per lui nel sentirgli dire che si sente un mediocre in mezzo ai talenti della sua squadra: Asahi è l'asso ed è una bomba a schiacciare, Kageyama è un formidabile alzatore e con Hinata fanno la loro veloce, Nishinoya spacca nel ricevere, Tsukishima è ottimo nel murare ed è anche molto intelligente... lui in cosa è bravo?
La sua insicurezza e il suo senso di inadeguatezza li ho trovati molto umani e credibili.
Uno dei punti di forza della Karasuno è che non vieni mai lasciato da solo. In questo frangente Tanaka può contare sulle alzate incredibili di Kageyama, che anche se continua ad avere un carattere un po' di merda non è più il re dispotico di una volta e capisce di doversi adeguare ad ogni schiacciatore della squadra.
La schiacciata parallela di Tanaka è semplicemente incredibile, e mi ha fatta morire come tutti i compagni di squadra corrono verso di lui per festeggiare, e poi c'è quell'asociale annoiato di Tsukishima che si congratula a modo suo.
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Ma se ho amato Tanaka, come posso descrivere quello che ho provato per Nishinoya?
Non so se l’ho mai detto prima, ma io ho un debole per Nishinoya. È un bravo coglione, e io adoro i personaggi così. Mi piace un sacco il fatto che nella vita di tutti i giorni sia il più grande cretino sulla faccia della terra, per poi prendere molto seriamente la pallavolo nel momento in cui entra sul campo da gioco.
Capisco il discorso di non averlo invitato al ritiro perché non sembra avere una certa maturità - “l’incidente sexy” rimarrà per sempre uno dei momenti più esilaranti di Haikyuu - ma durante la partita contro l’Inarizaki Nishinoya si è completamente riscattato: ho adorato il suo approfondimento, la sua nostalgia, il suo racconto dell’infanzia, la sua serietà, il suo silenzio, i suoi palpabili nervi tesi per l’essere preso di mira, la sua ammissione di avere avuto paura. È sembrato quasi saggio.
E voi non lo avete invitato al ritiro perché dite che non è abbastanza maturo?
#giustiziapernishinoya
Nishinoya è quello che salva la palla con i salvataggi dell’ultimo secondo - salvataggi epici - e lo adoro per questo. Mi fa venire dei colpi tremendi, ma lo adoro. Ed è quello a cui piace provare cose nuove perché è questo il vero divertimento: ecco perché riceve la palla con un palleggio sulle dita piuttosto che con il solito bagher. Bello anche Kinoshita che lo incita a muoversi perché “se sei spaventato, fatti aiutare”.
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E io qui mi sono commossa.
Nishinoya ha rotto il ghiaccio, e da quel momento in poi sono stata con la lacrima facile.
Mi sono mangiata gli ultimi episodi perché Haikyuu è così: quando cominci una partita la devi finire, non esiste interromperla e continuare la visione il giorno dopo. Se aspettassi, non arriverei al giorno seguente.
Se Nishinoya mi ha commossa, Hinata ha proprio rotto la diga delle mie ghiandole lacrimali.
VOGLIAMO PARLARE DELLA SUA PRIMA RICEZIONE IN PARTITA???
Nishinoya è il mio eroe personale, ma il vero eroe di questa storia è Hinata, e questa quarta stagione è sulla sua evoluzione, sul suo riscatto, su come stia scoppiando come giocatore.
Adoro l’amore di Hinata per la pallavolo, fa venire voglia di giocare pure a me. Il suo entusiasmo è contagioso, e lo dimostra quando incoraggia quel ragazzo alto al ritiro facendogli capire che l’essere così alti è una vera fortuna. La cosa bella di quella scena è che Hinata lo incoraggia senza volerlo: l’ho detto che questo è uno scemo e un genio allo stesso tempo.
Ma sto tergiversando.
La sua prima ricezione in partita è bellissima: è il frutto della sua attenta osservazione, della sua voglia di provare qualcosa di diverso perché lui non è solo quello che fa la veloce, è il suo coraggio di mettersi in gioco. 
La sua buona riuscita lascia tutti di stucco, perché nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa simile da Hinata - ora la finirete di sottovalutarlo?? - e volevo mandarli tutti a cagare quando perdono il punto e si buttano giù di morale. Immagino quanto possa essere frustrante, ma avete perso un punto, non la partita, e avete visto cosa ha fatto Hinata??? Vogliamo parlarne?!
Hinata non sta nella pelle dalla contentezza, ma siccome Kageyama è un grandissimo pezzo di stronzo - ma gli vogliamo bene per questo - afferma di non aver visto la ricezione, e io rido tantissimo.
Ma il mio momento preferito di questa partita, di questa quarta stagione, e in generale uno dei miei preferiti di tutta Haikyuu, è il punto finale.
Mentre guardavo la partita, siccome immaginavo la loro vittoria, mi sono chiesta come avrebbero vinto, chi e in che modo avrebbe segnato il punto decisivo, e speravo davvero che non si sarebbe conclusa con la classica alzata di Kageyama e conseguente schiacciata di Hinata, perché sarebbe stato troppo banale e anche ripetitivo.
Il modo in cui è finita è andata oltre le mie aspettative.
Hinata e Kageyama che murano la loro stessa veloce messa in atto dai fratelli Miya è qualcosa di poetico, bello, giusto e romantico tutto insieme.
I due hanno visto con i loro occhi come la loro specialità non sia poi così speciale, e che non è invincibile, quindi, invece che chiudersi nella rabbia e nella frustrazione come avrebbero potuto fare, hanno fatto tesoro di questa lezione e agito di conseguenza.
(Questi adolescenti sono più maturi di Tanji Washijō lol)
Come commenta Tsukishima, solo loro potevano murare quella veloce: questa è poesia.
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E sì, è anche romantica. Perché questi due scemi non si sono mica messi d’accordo, sono saltati per murare nello stesso momento, senza dirsi niente, con lo stesso obiettivo: scusate ma qui li devo proclamare anime gemelle.
Ho guardato tre stagioni di Haikyuu sapendo della ship di Hinata e Kageyama ma senza mai shipparli perché non ci sono mai riuscita, ma guardando quella scena e al suo significato, beh, il mio cuore vola.
Hinata e Kageyama si completano a vicenda: uno è solare e scarso, l’altro non sa socializzare in modo adeguato ed è formidabile; uno schiaccia e l’altro alza. Poco importa se passano l’80% del tempo ad insultarsi, tutti noi sappiamo che sono fatti l’uno per l’altro.
MI È PARTITA LA SHIP.
Ma andiamo avanti con le considerazioni veloci.
Mi sono piaciute molto alcune cose: come Asahi che cerca nella sua timidezza di incoraggiare Nishinoya come il compagno ha fatto con lui decine di volte in passato (Asahi sei sempre il mio cucciolone), o come Tsukishima che sa di potersi fidare di Hinata quando capisce di non riuscire a murare gli avversari.
Mi piace molto il personaggio di Sugawara, che non evolve e non è interessante, ma proprio per questo dà equilibrio alla serie, e si fa comunque notare per la sua arguzia e le sue capacità strategiche.
Carinissimi, e in un certo modo anche commoventi, i tre ragazzi del terzo anno: Sugawara, Asahi e Daichi. I più grandi, i più saggi, i più tranquilli. Le radici della squadra, il motivo per cui la Karasuno esiste ancora. Spesso mi dimentico che nel momento in cui dovessero perdere una partita, sarebbe la loro ultima con quella squadra, quindi immagino quanto ci debbano tenere e comunque non voglio pensare ai pianti che si faranno e che mi farò quando tutto sarà comunque finito.
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Apprezzo molto tutti quei personaggi di contorno, come l’allenatore o gli spettatori, che commentano le partite in diretta: i loro commenti sono sempre molti utili per seguire meglio l’andamento e per capire le azioni svolte.
Ci sono mille scene e momenti che mi hanno fatta piegare dalle risate, come i commenti dei ragazzi, il rapporto intriso di odio tra Tsukishima e Kageyama, Hinata che si dimentica di schiacciare perché troppo contento per il salto, Tanaka che “fraintende il fatto di aver frainteso” (lol tutta la vita), o il povero Tsukki che viene incastrato a fare da baby sitter per Hinata e Kageyama.
Haikyuu è un incredibile e ottimo mix tra risate e lacrime, perché a fine partita non puoi fare altro che piangere di gioia, e liberarti di tutta la tensione accumulata durante il match.
Ed è sempre bellissimo come questo anime riesca a farti amare anche le squadre avversarie, rendendole sfaccettate e tridimensionali invece che dipingerli come dei cattivi antipatici da sconfiggere. La trovo una cosa molto matura e un bel passo avanti rispetto ad altri cartoni.
Ultimissime cose.
Kenma, sei intelligente, machiavellico e hai un cervello incredibile, eppure non hai entusiasmo e voglia di giocare. Non sai quanta rabbia mi fai. Tsukkishima uguale (o dovrei dire, Fiaccoshima?)
Come faccia un coglione strambo, lunatico, esibizionista, eccentrico come Bokuto ad essere uno dei tre migliori giocatori del Giappone, Dio solo lo sa.
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Hinata, Kageyama, Nishinoya... tutti bellissimi, ma il vero re di Haikyuu per me rimarrà per sempre Oikawa, il cui cameo vale oro.
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levysoft · 4 years
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“Perché la maggior parte di noi fino a un certo punto del­la vita è come se leggesse senza guardare la punteggiatura? Quante volte si sente dire: ‘Il più delle volte il punto e virgola può essere sostituito dal punto, o addirittura dalla virgola’. Non sanno quello che dicono; non sanno quello che si per­dono“.
Lo scriveva nel 2018 Leonardo G. Luccone (autore, traduttore, agente letterario e fondatore dello studio editoriale Oblique) nel suo Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto, edito per Laterza e di cui su ilLibraio.itavevamo pubblicato un estratto.
Maneggiare bene questo segno di punteggiatura, infatti, può sembrare delicato e complesso, specialmente se non ne abbiamo approfondito le potenzialità e se non ci sono chiari i suoi contesti d’uso. E, tuttavia, padroneggiarlo è fondamentale sia che si vada ancora a scuola sia che ci si trovi già nel mondo del lavoro, per redigere con efficacia dei testi espositivi, argomentativi o regolativi e anche, se si scrive di mestiere, per capire come infrangere la regola e sperimentare giocosamente con la lingua italiana.
Per questo motivo proviamo a fare un punto e a capire come e quando si usa il punto e virgola in base a diversi criteri.
Il punto e virgola in sintesi
Partendo da una rapida visione d’insieme, secondo la grammatica il punto e virgola si utilizza per:
collegare gli elementi di un elenco complesso;
collegare proposizioni che contengono altri segni di interpunzione;
collegare idee concettualmente vicine;
evitare ambiguità;
ottenere effetti stilistici particolari.
Vediamo adesso nel dettaglio ciascuno di questi casi, per poi passare ad alcuni consigli finali.
Collegare gli elementi di un elenco complesso
Cominciamo dall’ipotesi più intuitiva: abbiamo una lista di concetti da enumerare, ma separarli l’uno dall’altro con la virgola non è l’ideale, perché non si tratta di singole parole, bensì di sintagmi più articolati.
Pensiamo a una frase del tipo: “Quando la vidi, la riconobbi subito: portava una giacca bianca con i bottoni tutti chiusi, aveva gli occhi stanchi, ma vispi, la sua pettinatura era rimasta quella di sempre, la pelle era abbronzata come se fosse stata in vacanza fino al giorno prima, i pantaloni, forse troppo larghi, le coprivano le caviglie, e la prima cosa a cui pensai era che mi era mancata”.
Se sostituiamo la virgola tra i macroelementi con dei punti e virgola, otteniamo: “Quando la vidi, la riconobbi subito: portava una giacca bianca con i bottoni tutti chiusi; aveva gli occhi stanchi, ma vispi; la sua pettinatura era rimasta quella di sempre; la pelle era abbronzata come se fosse stata in vacanza fino al giorno prima; i pantaloni, forse troppo larghi, le coprivano le caviglie; e la prima cosa a cui pensai è che mi era mancata”.
Così l’effetto è molto diverso, più ordinato e scorrevole, e permette di seguire facilmente il filo del discorso, anche se ci troviamo davanti a un periodo lungo parecchie righe.
Collegare proposizioni che contengono altri segni di interpunzione
Questo caso assomiglia al precedente, con la differenza che stavolta parliamo espressamente di proposizioni da congiungere fra di loro attraverso il punto e virgola.
Vediamolo con un esempio, nel quale immaginiamo di scrivere un report aziendale con la seguente punteggiatura: “Nel corso del trimestre si è osservato un aumento delle vendite, oltre a una più elevata richiesta da parte dei fornitori, i proventi sono aumentati, grazie anche all’arrivo di nuove sovvenzioni richieste durante l’anno precedente, e il bilancio è nettamente positivo”.
Ancora una volta, sostituiamo le virgole fra le proposizioni con dei punti e virgola, così da evitare di usare lo stesso segno di interpunzione con funzioni differenti: “Nel corso del trimestre si è osservato un aumento delle vendite, oltre a una più elevata richiesta da parte dei fornitori; i proventi sono aumentati, grazie anche all’arrivo di nuove sovvenzioni richieste durante l’anno precedente; e il bilancio è nettamente positivo”.
Percepite anche voi quanto la frase in questione ne guadagni in leggibilità?
Collegare idee concettualmente vicine
Cosa fare se invece, in un periodo, non c’è un nesso causa-effetto esprimibile tramite i due punti, né viene in nostro soccorso un connettivo logico esplicito, ma vogliamo riunire due frasi che hanno un significato correlato? Lo avrete già capito: ricorriamo senza indugi al punto e virgola.
Per afferrare meglio questa regola di grammatica, analizziamo una frase estrapolata dall’art. 19 della Costituzione italiana: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Dal momento che si tratta di un insieme di caratteristiche interconnesse, scindere le proposizioni in più periodi non ce ne farebbe individuare i legami sottintesi. Per mantenerle tutte in maniera armonica dentro la stessa frase, la soluzione più pertinente consiste dunque nell’utilizzo dei punti e virgola, che ci spiegano il senso generale, ne separano i singoli elementi e al tempo stesso ci segnalano quanto fra loro siano vicini l’uno all’altro.
Usare il punto e virgola per evitare ambiguità
Se il nostro scopo è trasmettere un messaggio inequivocabile, che non presti il fianco a dubbi o a fraintendimenti, il punto e virgola può essere un nostro prezioso alleato. Come? Aiutandoci a disambiguare i concetti che altrimenti, come già dicevamo, sembrerebbero giustapposti per via di una virgola, collegati male tramite i due punti o fin troppo scollegati se ci serviamo di un punto fermo.
Il 22 agosto 2003, per esempio, sul quotidiano La Repubblica (fonte: Università degli Studi della Campania) si leggeva questa comunicazione: “Lunedì primo settembre, in omaggio con il giornale, il primo volume dell’Enciclopedia; poi con cadenza settimanale ogni lunedì, a partire dall’8 settembre, sarà possibile acquistare i successivi diciannove volumi dell’opera”.
Cosa sarebbe successo se la redazione avesse preferito la virgola, scrivendo “Lunedì primo settembre, in omaggio con il giornale, il primo volume dell’Enciclopedia, poi con cadenza settimanale ogni lunedì, a partire dall’8 settembre, sarà possibile acquistare i successivi diciannove volumi dell’opera”? Al di là di uno strano andamento sintattico, si sarebbe persa di vista la gerarchia temporale e logica delle informazioni.
Ancora peggio con i due punti, che avrebbero lasciato intendere una consequenzialità inesistente: “Lunedì primo settembre, in omaggio con il giornale, il primo volume dell’Enciclopedia: poi con cadenza settimanale ogni lunedì, a partire dall’8 settembre, sarà possibile acquistare i successivi diciannove volumi dell’opera”.
E se si fosse optato per un punto, dando origine a “Lunedì primo settembre, in omaggio con il giornale, il primo volume dell’Enciclopedia. Poi con cadenza settimanale ogni lunedì, a partire dall’8 settembre, sarà possibile acquistare i successivi diciannove volumi dell’opera”? Le notizie sarebbero sembrate erroneamente a sé stanti.
Grazie al punto e virgola, invece, le due idee rimangono sì indipendenti, però allo stesso tempo associabili fra di loro non solo con facilità, ma anche e soprattutto senza equivoci di sorta.
Ottenere effetti stilistici particolari
Veniamo ora all’uso forse più creativo del punto e virgola, cioè a quello che ci permette di usare questo segno di interpunzione per conferire una specifica enfasi a una o più parole, oppure per suggerire delle pause particolari nel nostro enunciato.
Sul sito di Treccani viene citato al riguardo uno stralcio molto calzante, tratto da un articolo di Ilvo Diamanti apparso su La Repubblica: “Tuttavia dispiace, comunque, osservare che la vecchiaia venga trattata come una malattia incurabile; risolta attraverso l’esclusione e la morte. Ma dispiace di più vederla inghiottita dalle logiche dell’infinito presente; piegata al modello “giovanilista” e “consumista”, sublimato dalle logiche mediali”.
Ebbene: “risolta” avrebbe potuto legarsi facilmente a “una malattia incurabile” tramite una virgola, così come “piegata” alla porzione di frase precedente. Questo, però, avrebbe conferito al testo un ritmo diverso, più rapido, che non avrebbe consentito di rimarcare una certa posizione nella mente di chi legge.
Dopotutto, costringere a una pausa tramite la punteggiatura significa invitare i nostri destinatari a soffermarsi in un determinato punto del testo e a soppesare con particolare attenzione i termini scelti da chi scrive.
Consigli finali sul punto e virgola
Dopo quanto detto, speriamo che il punto e virgola non abbia più segreti per voi, anche se è importante tenere a mente un altro paio di nozioni per evitare ogni traccia di confusione.
Innanzitutto, il punto e virgola non va usato al posto della virgola: come abbiamo visto, la virgola serve a creare o a rafforzare i nessi logici, semantici e sintattici, e svolge funzioni diverse e non sovrapponibili a quelle del punto e virgola. Sarebbe scorretto, quindi, scrivere “La pizza mi piace da matti; ma la mangio solo due volte al mese” al posto di “La pizza mi piace da matti, ma la mangio solo due volte al mese”.
Di converso, bisognerebbe anche evitare di usare la virgola al posto del punto e virgola. Se dobbiamo collegare elementi di un elenco complesso, collegare proposizioni che contengono altri segni di interpunzione, collegare idee concettualmente vicine, creare enfasi, evitare ambiguità o sortire specifici effetti stilistici, come abbiamo visto, è pertanto corretto ricorrere al punto e virgola, ma non lo sarebbe limitarsi a una virgola.
Ultimo, ma non per importanza, un consiglio sempreverde: andare alla ricerca di testi che contengono il punto e virgola e leggerne quanti più possibile, così da osservare le scelte di chi con la scrittura ha già una grande familiarità. In questo modo si imparerà a stare alla larga da eccessi e sbavature, usando la punteggiatura con una sempre maggiore cognizione di causa.
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Cinque domande al cuore della tempesta. Parte 2: Black Anarchy in the USA. Intervista ad @AfroVitalist
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1. Negli Stati Uniti è stato calcolato che la polizia uccide una persona nera ogni 28 ore, un dato drammatico. Come mai ora, come mai questa volta, l'assassinio di George Floyd ha innescato un processo insurrezionale?
La sollevazione di massa in relazione all'assassinio di George Floyd ha determinato un processo insurrezionale. Ma ad essere onesti penso che il Covid abbia fornito un contesto nel quale le motivazioni per agire erano già presenti.
Negli Stati Uniti fino ad aprile, anzi direi prima del Covid, eravamo in una specie di periodo buio. Gentrificazione di massa, la classe lavoratrice nera cacciata via dalle città, spinta fuori, verso le periferie o come le chiamiamo qui le hinterland. Credo che il contesto dell'insurrezione di George Floyd e tutto il processo abbiano devastato certe legittimazioni,  come quella del Partito Democratico, o come quella del mito della Black leadership in America. Siamo su un terreno libero. Ma è veramente il Covid che ha fornito il contesto per la ribellione di George Floyd, per la sua diffusione in tutti gli Stati Uniti. Ma se torniamo indietro e la osserviamo come una continuità con Ferguson, vediamo che la risposta dei fratelli e delle sorelle fu piuttosto simile: i modi in cui si sollevarono, diedero vita  spazi comuni, come la gente si coordinava, come venivano usate le auto... Sono le stesse cose che vediamo oggi ad Atlanta e a Chicago, fino agli espropri di massa.
Non credo che ciò sia venuto dal nulla, credo che la ribellione era già qui: questa società bianca negli USA è veramente repressiva.
C'è una sofferenza generalizzata causata dal Covid, non solo nella comunità nera ma per tutti, in tutto il mondo, e per quanto riguarda gli USA ha colpito davvero tutti: neri, bianchi, ricchi e poveri. Una spoliazione generale, un divenire nera (blackening) dell'America.
2. Parliamo delle manovre repressive. Sembra che la controinsurrezione abbia lavorato sulla narrazione degli “anarchici bianchi” e dei “provocatori venuti da fuori” e messo in atto teatrini quali i poliziotti che si inginocchiavano, attori pagati vestiti da Black Panther, ecc. Quale di queste tecniche ha funzionato maggiormente e quale ha fallito?
Per quanto riguarda la controinsurrezione credo che la tecnica più forte usata, a parte fisicamente il dispiegamento delle truppe, sia stata quella di agitare il fantoccio dei “provocatori venuti da fuori”. Si tratta della narrazione più efficace per lo stato, motherfuckers che vengono da chissà dove per fare casino, senza il “permesso della comunità”, ossia di quelli che si sono autoproclamati leader della piazza. Ma stiamo vivendo una nuova era, un tempo nuovo, questo è il tempo della black anarchy. Nessuno può controllare questa cosa, non c'è alcuna leadership nera. La leadership nera è un mito controinsurrezionale, sta solo nell'immaginazione dei liberal bianchi.
In alcune città ha funzionato in altre no, in alcune il livello della controinsurrezione coincideva essenzialmente con una ipermilitarizzazione del territorio e basta.
Se qualcuno prova a mettersi nella posizione di portavoce o leader del movimento, in quell'esatto momento viene delegittimato nella pratica, nel contesto della rivolta. Perché la rivolta non vede leader, non patrocina personalismi o individualità di sorta. Si tratta letteralmente di un'onda, un'onda nera, di rabbia e amore. I motherfuckers espropriano e cercano di capire come organizzare un mondo diverso. Perché hanno molto più tempo a disposizione adesso. Il sussidio di disoccupazione dovrebbe terminare il mese prossimo ma la gente ha ricevuto più di quello che avrebbe guadagnato con un lavoro. Queste contraddizioni sono difficili da sanare: puoi stare a casa e prendere 600 dollari a settimana, a fronte dei 400 che guadagneresti con un lavoro di merda che odi ed è sottopagato. Gli standard sono cambiati. Questa cosa va contestualizzata perché pare che Trump stia cercando di comprarsele queste elezioni.
3. Decolonizzare gli Stati Uniti. Le statue cadono. Un Paese fondato sulla guerra civile, sul genocidio e sulla schiavitù sta tremando. Nelle strade riecheggia il coro: “five hundread years” [cinquecento anni]. Questo discorso è diffuso ampiamente nella comunità nera e fuori di essa?
A un qualche livello, forse non allo stesso per tutti... Bisogna considerare che sul campo, nei primi giorni e nelle prime notti, diciamo dal 30 maggio al 5 giugno, i motherfuckers a migliaia espropriavano e non c'erano attivisti.
Da un punto di vista storico è chiaro che l'America è stata fondata sulla schiavitù e la polizia è direttamente connessa alle pattuglie schiaviste e alla colonizzazione da parte dei capitalisti europei, ai conquistadores. Tutto ciò è nella coscienza e nella memoria degli afrodiscendenti nelle strade. L'America non è una nazione, è un impero. Ed è giusto che i motherfuckers buttino tutto giù, simbolicamente il gesto di buttare giù una statua, un monumento razzista, è un modo con cui dicono: “L'America è la prossima”. Il sistema carcerario è un monumento: Mount Rushmore, o Stone Mountain ad Atlanta, Georgia [un monadnock, un rilievo montagnoso isolato, di adamellite di quarzo con il bassorilievo più grande del mondo situato sulla facciata nord, completato nel 1972, che rappresenta alcuni dei personaggi di spicco dei Confederati: Stonewall Jackson, Robert E. Lee e Jefferson Davis]. L'idolatria dell'America è il suprematismo bianco. La decolonizzazione dell'America sarà l'abolizione dei “bianchi”, delle relazioni sociali capitaliste. Penso che ad un certo livello questi discorsi, l'America come colonia, come impero, buttare giù le statue razziste, siano diffusi nella comunità nera.
4. Definanziare la polizia. Vedi in atto una nuova ondata di abolizionismo? Possiamo dire: “non si può abolire la polizia senza abolire il capitalismo” non solo come slogan ma anche come indicazione?
Abolizionismo come desiderio, un tentativo di desiderare di abolire lo stato di cose presente negli Stati Uniti. Alcuni vedono il de-finanziamento della polizia come un processo molto pacifico nei confronti delle guardie, togliere loro i soldi per le operazioni di controinsurrezione nella comunità nera volte a reprimere la rivolta. Un convergenza di vari gruppi, in cui i discendenti razzializzati si uniscano ad altri gruppi di persone per creare un mondo nuovo, per stabilire un nuovo tipo di ordine, ritmo e forma di vita.
Credo però che il definanziamento della polizia non possa accadere senza la demolizione del mantenimento dell'ordine pubblico (policing) in generale: ma credo che per cominciare il definianziamento sia una buona cosa, perché buca lo schermo immediatamente. L'abolizione cambia le carte in tavola, alcune amministrazioni cittadine hanno effettivamente tagliato i fondi. Cosa succederà dopo ciò? Questo è tutto da vedere, non credo che potrà andare peggio, per esempio sul terreno della sorveglianza... ma la polizia è in rivolta, stanno protestando, alcuni di loro hanno fatto delle dichiarazioni. La polizia in America è una forza politica a sé, con i suoi sindacati. Sarà una sfida togliere i soldi ai dipartimenti di polizia, non sarà abbastanza, non senza un movimento che la circondi.
L'abolizione del mantenimento dell'ordine pubblico, la sua demolizione, le relazioni sociali senza la mediazione degli sbirri, come succede altrove fuori dagli Stati Uniti...  Penso che ci sia effettivamente un terreno fertile per l'abolizione, per il desiderio di un nuovo mondo. Questo non ha niente a che fare con la sinistra istituzionale o con l'attivismo: è un “tiriamo giù tutto” (let's tear the shit down) generale.
5. Prospettive. Un'insurrezione può durare settimane o mesi, può finire a causa della repressione, della stanchezza, della mancanza di obiettivi pratici o con delle elezioni. Cosa vedi all'orizzonte? Cos'è irreversibile?
L'economia continua a vacillare. Nel contesto del Covid e del cambiamento climatico, l'America è finita. Quella che chiamiamo America da un punto di vista territoriale subirà un processo di balcanizzazione. All'orizzonte vedo queste milizie bianche attive nella West Coast che cercano di guadagnare terreno e di prendere possesso di riserve o territori sotto tutela dello stato... Speriamo non proprio una guerra civile – ciò dipenderà anche da come andranno le elezioni e da cosa farà Donald Trump – ma senz'altro questo è solo l'inizio di una tempesta. Ciò che verrà dopo sarà addirittura più folle di quello che abbiamo visto. Perché non c'è modo in cui queste contraddizioni possano sostenersi tutte insieme. La ricerca di profitto, di ordine e di “benessere” è a discapito della vita umana, del benessere umano, della pienezza umana.
La gente ha provato con mano la propria potenza, il fatto che il denaro è un mito e che “i bianchi” sono dei demoni; e la delegittimazione del processo elettorale. Che Trump vinca o meno il Partito Democratico non ha alcuna risposta alla crisi. I giovani non cercano leadership in nessuno se non in loro stessi. Non la cercano nella Black Left o in chiunque arrivi in piazza con un cazzo di megafono.
Questo è quello che riesco a vedere all'orizzonte: la balcanizzazione dell'America, diversi gruppi e fazioni che controlleranno diversi territori. E probabilmente una sorta di secessione.
https://twitter.com/AfroVitalist?s=20
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dreamers-queen · 6 years
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Riflessione del giorno (seria, non le solite cazzate):
Se un giorno dovessi diventare madre, e diventassi una di quelle neomamme che crede di aver capito tutto della vita solo perché ha scodellato un neonato dalla passera (e questa credo sia una citazione da Juno, ma non ricordo bene...era carino Juno, dovrei rivederlo), vi prego: prendetemi per le braccia e scrollatemi forte finché non rinsavisco. Datemi pure una pizza in testa, se serve.
Credo che sia un’esperienza comune a tutte le persone che hanno tra i venti e i trent’anni, questo agghiacciante scoprire che persone che ritenevamo straordinariamente illuminate, che prendevamo ad esempio a scuola, all’università, magari al lavoro se ci abbiamo lavorato insieme, sono come...appassite e regredite, una volta diventate madri o padri. 
Forse in realtà non hanno fatto altro che buttare giù la maschera approfittando del senso di (malriposta) onnipotenza data dalla maternità o paternità (più la maternità, comunque: sarà perché certe credono che essere “sopravvissute” alle doglie le abbia rese “superiori” a tutte le altre donne, anzi: a tutti gli altri esseri umani che non abbiano mai esperito il parto), ma per alcune persone il cambiamento è così radicale e sorprendente che, insomma, o per tutta la vita hanno recitato così bene che si dovrebbe notificare la loro bravura all’Academy per un Oscar ad honorem, o davvero hanno fatto un giro di 180° e sono diventate persone orribili. Forse sono gli ormoni, o la mancanza di sonno, o l’astinenza sessuale, non so, comunque qualcosa ci deve essere. 
Persone che si fidavano della scienza e della tecnologia diventano antivax e complottiste (ma continuano a pubblicare centinaia di foto dei loro neonati su almeno tre social diversi, perché è importantissimo che tutti sappiano che hanno partorito o fecondato la loro compagna, a seconda). 
Persone liberali o addirittura di estrema sinistra (ma estrema davvero, eh) che diventano leghiste o peggio grilline. E vi ho detto tutto.
Atei convinti o vincitori del campionato di bestemmia olimpionica “San Germano Mosconi Vergine e Martire” (di ambo i sessi, beninteso, ma anche qui: più le donne) che si svenano pur di sposarsi nella cattedrale più vicina con cerimonia celebrata dal Monsignor Tal Dei Tali (ma solo perché il Papa era impegnato, sennò matrimonio in trasferta a San Pietro eh) e battezzano i figli in pompa magna (talvolta davvero in trasferta a San Pietro), ufficialmente “per far contenti i parenti/per festeggiare” ma in realtà perché altrimenti si sentono in colpa nei confronti delle “tradizioni”, non certo perché hanno scoperto una vera fede (che sarebbe stata una cosa nobilissima, per carità). 
Persone che dichiaravano di essere pro-lgbt, che magari andavano pure al Pride o frequentavano tranquillamente persone omosessuali o trans, che cominciano a mettere paletti arbitrari qua è là, roba tipo “però il matrimonio uguale a quello degli etero no”, “i figli non li devono fare né adottare” e stronzate omo-transfobiche varie mascherate da pietosa compassione per l’eventuale prole che “poverini, come crescono con due gay/due lesbiche/uno o due trans?” (risposta: meglio che con due etero antivax, razzisti e omo-transfobici, ne sono certa, ma pare che dirlo sia scortese e che si debba fare buon viso a cattivo gioco e fingere che tutte le opinioni siano legittime, altrimenti poi ti dicono che li stai “censurando” - vabbé) o per la stessa coppia che “ma che ve ne frega di essere uguali agli etero?” (e, insomma, io sono abbastanza sicura di essere etero, ma penso che il punto non sia voler essere “uguali agli etero” nella forma, ma avere gli stessi diritti nella sostanza - mi sbaglio?), mentre in realtà c’è solo la malcelata voglia di essere e sentirsi superiori per diritto di nascita (ma pare che sia scortese anche dargli dei suprematisti di merda, ti dicono che stai “discriminando al contrario”, anche se non ha senso perché, se così fosse, da etero e cis mi starei...discriminando da sola? Chi mai lo farebbe? Boh).
Insomma persone illuminate, intelligenti, progressiste che all'improvviso, da qualche parte tra il test di gravidanza positivo e il parto, diventano degli stronzi da manuale. E perpetuano quelle stesse istanze di ignoranza e discriminazione che giuravano di voler combattere. Dicendo che è per il bene dei loro figli. Ed è questo che mi fa incazzare di più, se almeno dicessero “siamo cambiati per egoismo” sarebbero sinceri, starebbero dicendo una verità che è già palese a tutti tranne che a loro.��
Forse, per evitare certe delusioni, dovrei chiudere Facebook una volta per tutte o almeno evitare di esprimermi riguardo a temi “caldi” là sopra, o fare quella baggianata dell’escludere alcune persone dalla vista di certi post, o disabilitare i commenti sui miei post (si può fare? Non ricordo), insomma diventare il tipo di persona che non vorrei essere, cioè una che si tappa miseramente gli occhi e le orecchie invece di ribattere ed affermare a testa alta le proprie idee. 
Ma è difficile, quando si è soli. 
Tra i miei amici, ex compagni di scuola, ex colleghi di università ed anche attuali colleghi di lavoro (e meno male che non faccio un lavoro tipicamente “da ufficio” e quindi quando li vedo abbiamo davvero troppo da fare per parlare di politica o società o anche dei cazzi nostri), sono l’unica che abbia determinate idee e convinzioni. Su qualunque cosa sono sempre la pecora nera, quella che la pensa diversamente dagli altri. Quella “troppo aperta di mente”. 
Detto così, come se fosse un difetto.
Finisco sempre per sentirmi ridicola quando dico quello che penso, perché loro mi fanno sentire così. Perché mi guardano dall’alto in basso, fieri dei loro muri mentali e del loro lento, inevitabile, tragico omologarsi. E la cosa peggiore è che a volte non lo fanno apposta, o per ferirmi: è un riflesso condizionato.
E allora i miei rapporti interpersonali diventano superficiali, le mie amicizie declinano verso un essere più che altro conoscenti che si radunano occasionalmente, o perché è Ferragosto e si va al mare o perché uno di loro si sposa o diventa genitore - e allora fa comodo l’amica single, o meglio zitella, e nullipara: serve a confrontarsi, a farli sentire più realizzati (col lavoro non si può più fare, siamo tutti troppo precari e spiantati) - o perché c’è un compleanno e si brinda con lo spumante che sa di tappo nella casa nuova pagata dai genitori.
Non mi sento parte della mia generazione. 
Non mi sento figlia della mia età.
Non mi sento “giusta”.
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introspezione · 6 years
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Tempesta Emotiva
Tempesta Emotiva nr. 4.567 - Mi sento inadeguata
Mi rendo conto di non essere molto centrata in questo periodo, ma alcuni giorni fa, ho attraversato una tempesta emotiva che ora desidero analizzare per vederne le sfaccettature introspettive. Quest’estate ho vissuto dei periodi di lavoro molto intensi, per quanto il mio lavoro in ufficio mi possa sembrare leggero e senza grosse preoccupazioni, alla fine finisco sempre stressata  e tesa.   L’altro giorno arriva la crisi emozionale (la tempesta emotiva di cui parlavo prima). Sono andata a bere il caffè con una mia collega, e mentre dialoghiamo del più e del meno, mi riporta delle voci che girano in azienda e che mi definiscono antipatica e scorbutica. E lì, mi è crollato il mondo addosso. Ho pianto tutto il giorno disperata. Il bisogno di drammatizzare Adesso che provo ad osservare le cose, percepisco chiaramente la drammatizzazione e il bisogno che avevo quel giorno di rendere molto cupe le tinte del mio umore….avevo bisogno di appesantire…e così ho fatto… Pare che un’altra collega, le abbia riferito che io alla domanda se ci fossero delle nuove cartucce per la stampante, avrei risposto che “non sono mica una cartoleria e per vedere se le cartucce ci sono basta aprire l’armadietto e guardare da sé”. Questo non era affatto vero, perché a fronte di quella domanda mi sono alzata dalla scrivania e mi sono affiancata a lei per darle una mano nel cercarle nell’armadietto della cancelleria.   Ora se ripenso alla cosa, non posso certo dire, che sotto sotto…ne avessi una gran voglia.. ma ho indossato una maschera e ho fatto buon viso a cattivo gioco (in effetti avevo proprio pensato, ma questa qua non potrebbe aprire gli occhietti???)   Ma non è finita lì, perché lei asserisce che altri 4 colleghi hanno confermato il fatto che io sia intrattabile e scontrosa.   Cavolo ma mi odiano tutti là dentro ?? E qui sono entrata nella “sindrome del brutto anatroccolo”, ho iniziato a rivivere il senso di inadeguatezza che avevo conosciuto anche da piccola, talvolta in famiglia…e da lì...è sopraggiunta una seconda crisi…  
Un secondo aspetto della tempesta emotiva
La seconda crisi emozionale è sorta perché: vorrebbe dire che la percezione che io ho del mio comportamento non corrisponde alla realtà e sono “fuori come un poggiolo.” Perché fino a ieri ero molto soddisfatta di come era andata l’estate dal punto di vista lavorativo. Ho ricevuto moltissimi complimenti da molti clienti e anche da alcuni superiori perché, a detta loro, seguo le problematiche fino in fondo e non lascio nulla in sospeso. Segno di responsabilità e serietà   Parlando con questa collega sono andata completamente in tilt perché mi ha confidato che una volta era ADDIRITTURA  tentata di venire ad origliare dietro la porta quando qualcuno entra nel mio ufficio,  per vedere come mi comporto. Ma, scusami un attimo, allora io non so rendermi conto di come mi comporto? Sono psicotica? Mi sono alzata e me ne sono andata. Ho pianto tutta la sera.   Qui avevo raggiunto l’apoteosi della Vittima….avevo proprio tutto il mondo contro. Bisogno di rassicurazione Sentivo il bisogno di rassicurazioni, così ho pensato di rivolgermi ai miei genitori.   Mia mamma mi dice che quei commenti negativi le sembrano strani e che comunque ci sarà sempre qualcuno che non ci trova simpatici e dobbiamo farcene una ragione. Mio papà mi ha detto che secondo lui me la cavo benissimo in ufficio, e che sono seria e molto professionale.   Ma queste rassicurazioni non mi soddisfano, non mi vanno bene…a questo punto penso che non sia quello che cercavo….così scelgo di tornare ad abbassare le energie…come?....ho deciso di chiamare Paolo…   Per lui la compassione è una cosa negativa, ascoltare uno in preda a una crisi emotiva e tirare fuori una mezza parola di conforto non va bene. Ma il bello è che sapevo già prima di chiamarlo che mi avrebbe ripreso come la mia collega, se non peggio. Eppure l’ho chiamato  ugualmente e per 40 minuti sono stata a sentire che io sono troppo orgogliosa, presuntuosa, maleducata, maschiaccio, e giù e giù…   Obiettivo raggiunto: stavo di nuovo male   Poi ho parlato con una mia amica che lavora in un ufficio simile al mio, e da lei ho ricevuto parole di comprensione e conforto, mi sono sentita accolta e rassicurata.   E lì  forse, avrei potuto tranquillizzarmi e rasserenarmi…ma…                       oggi sono ancora molto triste. Read the full article
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chiunque-qualunque · 7 years
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Il peggior ristorante del mondo
Risorge dentro di me come un ricordo atavico, lontano. Bruno, mio amico, ha deciso di portarmi a mangiare nel miglior ristorante della città, si narra che l’apertura risalga addirittura all’antica Grecia, vero oppure no, chi può dirlo.
È quasi l’ora del vespro, la mia preferita. Faceva anche più freddo quel giorno. Dopo una piacevole passeggiata lungo il rumore del mare, arriviamo all’ingresso del ristorante. Strano non averlo mai notato in tutti questi anni. Dall’esterno sembra qualcosa di straordinario, come se fosse un teatro di gran classe.
Entriamo e siamo subito accolti da un professionalissimo cameriere. Rigido e composto, sembra fare tutto il possibile per farci stare bene, ma, stranamente, insiste per farci accomodare dove dice lui. “Scusi ma preferirei...”, protesto, ma inutilmente, Bruno mi fulmina con lo sguardo e sbotta “Non fare questioni, non farmi fare figuracce”. Alla fine ci sediamo, pazienza. Non mi piace stare tra la finestra e il cesso, c’è puzza di merda e sento gli spifferi dietro il collo, ma devo trattenere il nervosismo.
Dico tra me e me “Dai, magari dopo millenni di esperienza il cibo sarà straordinario”. Bruno siede in maniera ordinata, composta, quasi militare. Come se sapesse cosa aspettarsi, come se desiderasse quel qualcosa.
Arrivano i menu. Prima di aprire il mio guardo il mio amico intento ad analizzare perfettamente tutti i pro e i contro di ogni pietanza “Deve essere alta cucina, cucina molecolare sicuramente”, penso.
Il tempo di capovolgere la prima pagina, un secondo. Tanto mi basta per restare sconvolto. Le voci del menu sono un’accozzaglia di parole disgustose “pisciata di asparagi all’aglio”, “latte di cazzo con scolo anale”, poi il piatto forte: “merda”, sì, semplicemente merda. Il prezzo medio per ogni pietanza era di 35 euro, e come se non bastasse un asterisco nascosto in fondo all’ultima pagina recita “il costo del servizio è variabile”. Resto incredulo, sarà forse uno scherzo? Sto forse sognando?
Inizio a sudare per l’imbarazzo, arrivando addirittura a sperare di avere un collasso, un’ottima scusa per scappare via da lì, senza dover porre imbarazzanti domande. Ma niente, non mi viene nessun male atroce.
Penso cosa fare mentre osservo lo scintillìo della luce riflessa sulla mia forchetta. Mi giro e guardandomi intorno vedo che effettivamente tutti stanno mangiando schifezze. La profonda sala rossa sembrava diventare interminabile, non riuscivo a scorgerne la fine. Uno spazio talmente profondo da non riuscire a decifrarlo. A un certo punto è come se ogni tavolo diventasse il clone di quello affianco, la porta d’ingresso sembra svanita nel nulla. L’effetto è simile a quello degli specchi che si riflettono infinite volte tra loro.
Niente da fare, mi trovo costretto a interpellare Bruno. Sto per aprire le labbra, ma le mie parole vengono spezzate e l’aria buttata di nuovo giù nei polmoni, lui ha deciso cosa mangiare e vuole parlarmene. Con fare accademico dice “Sai, alla fine i pregi della merda sono ben noti, le altre pietanze lasciano troppe incognite, meglio andare sul sicuro. Mal che vada è il meno peggio”. Il cameriere annota solenne.
A questo punto non riesco più trattenermi e gli dico “Bruno, detto sinceramente, ma sei scemo? Mi prendi per il culo, perché mi hai portato qui? Appena entrati hanno deciso loro dove dobbiamo sederci, senza poter dire nemmeno una parola. Poi arrivano i menu e leggo piatti a base di merda e fluidi corporei”.
Occhi sgranati, come se avessi distrutto uno dei suoi valori fondamentali. Risponde stizzito “Ma vaffanculo, sto cretino, questo è un ristorante che sta qui da 2000 anni, vorrà pur dire qualcosa, così funziona. Alla fine non assaggerai nemmeno la tua “merda”, come puoi dire che fa schifo? Vuoi addirittura rinunciare a un simile diritto? Parliamone ora, faccia a faccia, porta a porta”. Ormai la frittata è fatta (magari), quindi mi alzo in piedi e lo mando affanculo sul serio “Bruno, ma magnatela tu sta roba, dirò a chiunque di non venire qui, in mezzo a sti mangia merda”. Nessuno sembra fregarsene nulla della mia scenata. Mamme, papà e bambini cenano felici con la loro merda, ignorandomi.
“Quale sarebbe il tuo criterio, il tuo giudizio?” Bruno è tornato calmo, come se stesse per appellarsi ad antichi saperi condivisi da tutta la comunità intellettuale, continua solenne “Scusami tanto, ma se tu non assaggi, non puoi permetterti di criticare. Se non vuoi partecipare, va bene, chi se ne frega, e pensare che volevo farti un piacere. Vattene pure, però non hai diritto di critica! Solo chi sceglie una voce dal menu e assaggia può criticare, nelle sedi preposte e con giusti, democratici toni".
Stavo per ribattere ma vengo interrotto dal cameriere “Per il dottore: Merda con contorno di Rasche alla Silvio”. Mi passa davanti incurante, urtandomi quel tanto che basta per farmi sentire fuori posto, ma non abbastanza per mandarlo a cagare.
A questo punto volevo semplicemente andarmene, ma nulla. Sento un rumore di fondo. Un ronzio sempre più forte inizia a vibrare sulla mia pelle. Resto immobile, perdo le forze e sento di svenire. Mentre espiro l’aria dai miei polmoni e mi lascio cadere inerme come un soldatino di piombo, vengo trattenuto con dolcezza dalle braccia di Bruno “Non ti preoccupare, sei perdonato, capirai anche tu. Ti serve solo tempo, il giusto tempo”.
Un boato rompe gli equilibri. Tanta acqua, tutta insieme, tutta all’improvviso. Come se fosse esplosa una cascata dalle porte della toilette. Una marea inonda tutta la sala. Le persone si lasciano travolgere come se nulla fosse. Bruno perde la presa e mi lascia andare, ma sembra non curarsene molto. Come un serpente incantato dal pifferaio, leva gli occhi verso il cielo. Aspetta che le cose accadano, come fosse un rituale consolidato. “Zio Silvio, sei tu?”, sussurra,  toccandosi come una scolaretta innamorata.
La mia vista si restringe sempre di più, non riesco a nuotare, sono come un ciocco di legno alla deriva. Sfrutto le mie ultime forze per alzare, a mia volta, gli occhi verso il cielo. Niente soffitto, solo grigio e tanta pioggia, le urla del vento si fanno sempre più forti, sembrano contenere l’angoscia e il destino funesto di chi mi ha preceduto.
“L’eterno ritorno”, queste sono state le ultime parole di Bruno prima di lasciarsi andare per sempre. L’ultima cosa che vedo sono gli occhi severi del cameriere, la sua faccia era disegnata con perfezione in quell’enorme ammasso di nubi. Le sue pupille, completamente nere. Come se fosse un mostro, un demone. Anche se appariva così buffo con quel sorriso malvagio e i denti sporchi di merda. Cala il sipario, penso glabri orizzonti sibilanti. Sento di morire.
Nero.
Non so per quanto tempo sono morto, sono sembrati attimi incalcolabili, in effetti, come quantificare e calcolare il tempo in cui non si esiste?
Rinsavisco, fermo in un letto. Chi mi ha recuperato? Riesco a muovermi a malapena, pian piano gli occhi si abituano all'ambiente. Non è il letto di un ospedale, ma la mia stanza, solo in un’epoca diversa. Dov’è Bruno? Non so nemmeno chi sia, che faccia avesse. Barcollando mi avvicino alla finestra, la apro. Un forte vento gelido aggredisce il mio volto e solo allora lo vedo. Tutte le persone sono diventate Bruno. Tutti sono sempre stati Bruno. Via col Vento.
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tairayaki · 4 years
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Ho vissuto uno dei periodi più spaventosi e instabili della mia vita adulta, eppure mi sento più calma di quanto io non mai stata da anni. Dopo una forte destabilizzazione data dalla solitudine del distanziamento sociale e dalla paura del coronavirus, trovo che me la sia cavata abbastanza bene. Ho cucinando, mi sono allenata e ho anche scritto molto. Il mio sonno è diventato regolare e ho trovato una sorta di conforto nel seguire una routine. Il lockdown aveva rimosso quasi ogni stimolo sociale stressante e confuso dalla mia vita. Il mondo era tranquillo senza un pendolarismo affollato e irritante. Niente di tutto questo significa che fossi felice della diffusione di una pandemia pronta a uccidere centinaia di migliaia di persone, ovviamente. Ma c'è una strana disconnessione tra l'orrore astratto e la realtà quotidiana rinfrescantemente calma che ho riscoperto.
A causa dei miei recenti studi, ero curiosa di sapere come le persone autistiche abbiano affrontato il lockdown, quindi ne ho intervistate alcune. Ho scoperto che molte persone con neurodiversità hanno lottato con il modo in cui la quarantena ha cambiato le loro routine, privato loro della possibilità di impegnarsi in attività che li aiutano a regolare le proprie emozioni o dal modo in cui sono rimaste separate da persone che solitamente li aiutano a sentirsi al sicuro. Altri se la sono cavando bene come me, anche se le quotidiane sfide con l’empatia rendevano loro difficile riuscire a sostenere i loro cari in difficoltà.
Non è che le persone autistiche gestiscono le distanze sociali meglio dei “non autistici”, ma sicuramente l’affrontano diversamente.  La disabilità è sociale e contestuale. Una persona che è disabile in una situazione non è necessariamente disabile in un'altra. Ed i modi in cui si è disabili possono cambiare come fanno le circostanze. In un certo senso, molte persone autistiche sono posizionate in modo univoco per gestire l'isolamento della quarantena. Per altre invece si tratta di un'interruzione enorme, un altro fattore di rischio per la loro salute fisica e mentale che è già a rischio.  
Il mondo è meno travolgente ora, fino a tre mesi fa andavamo in giro su un autobus affollato tre o quattro giorni alla settimana. Quando dico "affollato", intendo solo affollato, schiacciati contro le porte o gli altri passeggeri. Il tipo di “affollato” in cui decine di persone potevano catturare un micidiale virus respiratorio da un solo starnuto. Odiavo quei pendolari. Erano rumorosi e stressanti. Le luci intense, il calore dei corpi delle persone a me sconosciute, le voci rumorose delle persone al telefono. Ed anche a lavoro, sopportare tutti i rumori, gli odori e i disagi sociali della condivisione di un ufficio con altri esseri umani, diciamocelo, non è sempre facile. 
Nel nostro nuovo mondo socialmente distante, niente di tutto ciò è un problema. Il mio appartamento è silenzioso e pulito. Posso controllare le luci e la temperatura. Se ho bisogno di allontanarmi da tutto, posso andare in camera da letto e chiudere la porta. Forse sono una persona molto più calma per questo. Anche molte persone autistiche con cui ho parlato hanno riferito di provare sentimenti simili affermando che il mondo adesso si muove alla loro velocità. La vita in quarantena li ha lasciati con più energia. 
Le persone autistiche sono state a lungo sostenitrici di opzioni di lavoro da casa. Molti di loro sono decisamente più sensibili al dover lavorare in spazi condivisi. Ma è stato a lungo negato loro il comfort di base perché i datori di lavoro confondono i bisogni con la mera comodità e il loro intenso fastidio sensoriale per un capriccio. Le persone neurotipiche raramente comprendono che anche il solo essere vicini ad altre persone può aumentare i livelli di stress dei soggetti autistici. La pandemia ha cambiato la posta in gioco. Improvvisamente, il lavoro a distanza non è un lusso; è l'unica opzione che abbiamo. Evitare le interazioni sociali non è più da persone scostanti, ma ci salva la vita.
Il distanziamento sociale riduce la paura di sembrare maleducati. Diciamocelo, stringere la mano non è mai stato un modo ragionevole di salutare qualcuno dal punto di vista della salute pubblica. Come non avrebbe mai dovuto essere accettabile invadere lo spazio personale di altre persone. Non tutti gradiamo il contatto fisico. Eppure in molte regioni del mondo pre-pandemico, questi comportamenti non erano maleducati ma erano invece considerati caldi e amichevoli.
Gli script sociali vengono rapidamente riscritti. La maggior parte delle persone neurotipiche non avrebbe mai sognato di dire direttamente a un'altra persona di allontanarsi da loro. In un mondo neurotipico, la comunicazione diretta e l’onesta sono in qualche modo offensivi. Le persone autistiche, tuttavia, tendono ad evitare un linguaggio indiretto e confuso. A loro non piace il sottotesto. La comunicazione diretta e letterale lascia meno spazio ai malintesi e rende più difficile per una persona ostinata far finta di non aver notato che il loro comportamento sta causando un disagio. 
Molte persone autistiche hanno affermato che queste interruzioni hanno influito sul loro funzionamento esecutivo, che è essenzialmente la capacità di pianificare ed eseguire attività a più fasi. Quando il funzionamento esecutivo inizia a guastarsi, è molto più difficile svolgere il lavoro o addirittura svolgere le faccende domestiche e mantenere l'igiene. Uno dei ragazzi che ho intervistato stava avendo dei crolli quotidiani a causa di quanto profondamente la sua routine fosse stata modificata. Oltre ad essere autistico, ha una lesione cerebrale traumatica e difficoltà di apprendimento e non capisce completamente perché sta avvenendo il distanziamento sociale. Ogni due giorni esordiva dicendo di voler andare a scuola, vedere i suoi insegnanti preferiti e leggere i suoi libri preferiti in biblioteca. Sa che non può fare queste cose in questo momento perché c'è una malattia in giro, ma è ancora incredibilmente stressato e confuso perché non ha idea di quando finirà. Per molte persone autistiche, avere un programma coerente (o almeno prevedibile) è un modo per dare un senso a un mondo sociale che altrimenti sarebbe irritante. Il fatto che la quarantena non abbia una data di fine chiara aggrava il loro bisogno di trovare cose comprensibili e logiche. Per persone che fanno fatica a capire perché sta accadendo il distanziamento sociale, questa sensazione di panico confuso deve essere ancor peggio. Alcune persone autistiche hanno vite online abbondanti e fiorenti e sono abituate a fare affidamento ad Internet in sostituzione dell'interazione di persona. Ma altri trovano che la comunicazione digitale sia ancora più ansiosa della conversazione faccia a faccia. Molte persone autistiche bramano l'interazione di persona, le chiacchiere e il tatto.
Nel giro di pochi mesi, il Covid-19 ha sostanzialmente modificato la struttura della società. È cambiato il modo in cui lavoriamo, socializziamo e occupiamo lo spazio; ha cambiato il modo in cui molti di noi pensano al benessere sociale e alla cura della comunità. Ha dato allo stato nuovi livelli di controllo su come le persone si organizzano e anche se meritano di vivere.
Questi rapidi cambiamenti mettono a nudo la natura sociale delle disabilità.  Le opzioni di lavoro da casa sono quindi state da sempre possibili; le persone  però non volevano fornirle. Vale sempre la pena avere da ridire sul singolo, ma è bastata una minaccia massiccia perché quelle discussioni iniziassero.  
In questo momento ci stiamo tutti rendendo conto di quanto siamo dipendenti da una società accomodante. Spero che al termine della quarantena, non lo dimenticheremo. Le persone autistiche vivono vite socialmente distanti da molto tempo. Quando finirà questo attacco globale di distanziamento sociale, anche loro vorranno definitivamente liberarsene.
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Capitolo 46 - Arianna, la scommessa e la vasca da bagno
Nel capitolo precedente: Eddie e Jeff stanno guardando una partita dei Bulls e ricevono una chiamata di Angie. Jeff non capisce alcune battute della ragazza che si riferiscono al famoso pacco che le avrebbero tirato qualche sera prima, intuisce che Eddie abbia a che fare con la cosa e si fa spiegare tutto dall'amico. Suggerisce di nuovo a Eddie di darsi una mossa ed essere più esplicito. Eddie esce e va da Angie senza dire nulla a Jeff: si scopre che lei lo aveva chiamato perché aveva un ragno in casa e lui non può che accorrere per rispettare il loro patto di amicizia. Meg non c'è, è uscita con Melanie, che le rivela a fine serata di avere anche lei cercato di riappacificarsi con Mike e di essere stata rimbalzata, proprio come era successo a Meg, più o meno con le stesse motivazioni. Meg torna a casa a tarda notte e scopre Angie a letto con Eddie, che al mattino dopo scappa prima che Meg possa incontrarlo. Meg fa l'interrogatorio alla sua amica, ma scopre che si sono semplicemente addormentati guardando la tv e che non è successo nulla. Parlando assieme dell'amicizia un po' particolare tra la sua amica e Vedder, Meg ha un'illuminazione: capisce che la cotta immaginaria raccontata da Eddie a Violet non è affatto immaginaria e che lui è innamorato di Angie. Prova a dirlo alla coinquilina, che ovviamente non ci crede. Eddie fa un sogno un po' hot con Angie come protagonista prima del concerto all'Off Ramp. Dopo il concerto escono tutti insieme, ma a fine serata rimangono solo Eddie e Angie. Lui la convince a salire sullo Space Needle, dove il suo intento è quello di dichiararsi e baciarla. Una volta in cima però Eddie è affascinato dal panorama e dall'altezza e decide che vuole arrampicarsi al di fuori della barriera di protezione per prendere una lampadina decorativa. Angie spaventata lo dissuade dall'impresa. Alla fine Eddie non si dichiara e i due si salutano, ma una canzone di Springsteen ascoltata in macchina lungo la via del ritorno gli fa venire un'idea...
“AVANTI!” l'urlo di Meg ci invita a entrare dopo aver suonato il campanello dell'appartamento delle ragazze. Io e Grace ci scambiamo uno sguardo perplesso e un'alzata di spalle reciproca prima di aprire la porta.
“Eccoci!” esclamo levandomi il cappotto mentre Grace richiude la porta alla nostre spalle.
“Aiutatemi, VI PREGO” chiede Angie a voce alta, ma rassegnata, come se in fondo non si aspettasse di ricevere alcun aiuto da parte nostra.
“Ciao ragazze! Ma dove siete?” domanda la mia amica dopo un nostro ennesimo scambio di occhiate interrogative.
“Angie, stai ferma e smettila di lagnarti. Venite, siamo in soggiorno!” che è poi dove ci stavamo già dirigendo autonomamente e dove ci imbattiamo in una scena alquanto curiosa: Angie è sdraiata a terra sul tappeto accanto al divano, con lo sguardo rivolto verso il soffitto, o verso Meg, che la sovrasta, con un piede a terra e uno puntato sul sofà, con una matita e un blocco da disegno tra le mani.
“Che cazzo state facendo?” domando mentre Grace è piegata in due dalle risate.
“Laura, per piacere, chiama la polizia, la tua amica qui è impazzita, mi sta torturando da mezz'ora” Angie si volta verso di me con occhi imploranti, poco prima che la sua compagna di stanza le afferri il mento con le dita e la forzi a guardare di nuovo verso l'alto.
“Se stessi ferma e buona avremmo finito sai da quanto?”
“Le stai facendo un ritratto?” Grace si avvicina a Meg quasi saltellando e dal suo stesso punto di vista osserva prima il disegno, poi la vittima a terra con un ghigno divertito.
“Più o meno, la sto usando come modella”
“E già da qui si dovrebbe capire che ha perso completamente la brocca”
“Sto facendo un piccolo studio pittorico su come ritrarre il viso di una donna distesa, mi serve per un mio progetto” spiega Meg ignorando la battuta.
“Che progetto? Sono curiosa!” le chiedo mentre anch'io mi avvicino dal lato opposto e sbircio il suo lavoro appoggiandomi allo schienale del divano.
“Voglio dipingere un quadro da mettere in corridoio, anzi tre: un trittico!”
“Perché una sola faccia da culo non bastava, no? Mettiamone addirittura tre” borbotta Angie guardandomi sconsolata.
“E il tema qual è?”
“Lasciate ogni speranza o voi che entrate! Infatti più che in corridoio lo metterei fuori dalla porta, per scoraggiare gli scocciatori, che ne dici Meg?”
“Il tema è il mito di Arianna”
“Arianna? Quella del filo?” domando incuriosita.
“Proprio lei!” conferma Meg mentre cancella una parte del contorno delle labbra.
“Proprio lei, la sfigata. Questo giustifica in parte la scelta della sottoscritta come modella, che resta comunque scellerata”
“Vuoi stare zitta! Ci sto mettendo un'ora solo per la bocca”
“Comunque sfigata non direi proprio, alla fine si sposa con Dioniso” precisa Grace alternando lo sguardo tra Angie spalmata a terra e il foglio.
“Dioniso è un figo” ribadisco io annuendo.
“Dioniso è un truzzo con manie di grandezza, alcolizzato, nato da una coscia, che va in giro per i boschi in pelliccia leopardata a fare le orge con le sue groupie” replica Angie serissima.
“Ahahah descrizione accurata” ridacchio assieme alle altre due.
“Ma suppongo che per la mentalità dell'epoca fosse più auspicabile sposarsi con un soggettone del genere piuttosto che rimanere single a vita, rovinata da quello stronzo di Teseo”
“E visto che la mia Arianna odia gli uomini, ci sarà solo lei nel mio progetto. Arianna e Dioniso sono stati ritratti migliaia di volte nella storia dell'arte, come anche Arianna e Teseo. Di dipinti che ritraggono la sola Arianna ce ne sono molti meno in proporzione”
“Visto come hai fatto mettere la povera modella, immagino tu voglia ritrarla quando si sveglia sulla spiaggia di Nasso” tiro a indovinare allontanandomi dai divano e avvicinandomi al calorifero per riscaldarmi, trovandolo però piuttosto tiepidino. Meg mi aveva avvertita. Non far riparare il riscaldamento col freddo record di quest'inverno, questi tizi sono da denuncia.
“Esatto e in tre momenti distinti: appena apre gli occhi, quando cerca Teseo accanto a lei e quando si rende conto di essere stata abbandonata. Capito carina, sei stata abbandonata? Ce la fai a levarti quell'espressione da stronzetta dalla faccia e fingerti disperata per un attimo?”
“Pensi veramente che mi risulti difficile sembrare disperata? Credevo mi conoscessi”
“E allora impegnati, su! Hai tradito tuo padre e il tuo popolo per questo tizio, l'hai aiutato nella sua impresa perché lui da solo era troppo stupido per elaborare un suo piano, sei scappata con lui abbandonando il tuo paese e gliel'hai data come se non fosse tua, vi siete addormentati in spiaggia parlando dei nomi da dare ai vostri figli e al vostro cane, di vendere una delle navi per comprare una casa con giardino e una station wagon, ti sei appena svegliata e hai scoperto che il tuo grande amore se l'è svignata coi suoi compari lasciandoti da sola su un'isola che non conosci per un cazzo, anche perché prima d'ora non eri mai uscita neanche dal portone di casa tua. Rabbia, angoscia, dolore, vergogna, desiderio di vendetta, voglia di morire, concentrati e cerca di trasmettermi tutto questo con uno sguardo”
“Ok...” intravedo Angie attraverso le gambe di Meg, abbassa prima gli occhi sulla manica della sua vestaglia rosa, che arrotola sul polso, dopodiché si rimette in posizione e da quel che intuisco rivolge all'artista uno sguardo addolorato davvero molto credibile.
“Perfetto! Rimani così” esclama Meg prima di scatenarsi sul foglio con la matita.
“Ve l'ho detto che la sfigata mi veniva facile” commenta con voce soddisfatta.
“FERMA E ZITTA! TI AMMAZZO SE TI MUOVI”
“Ok ok, ma non urlare”
“Sei fighissima Angie, sai che potresti farlo di mestiere?” suggerisce Grace sedendosi sull'altro divano.
“No... non credo proprio” risponde incerta la modella dopo un po', con un filo di voce, ma senza neanche l'ombra del suo solito sarcasmo.
“Sì invece! Potresti guadagnare qualche dollaro posando per gli studenti dell'istituto d'arte, una mia amica lo fa”
“Buon per la tua amica”
“Non si guadagna tantissimo, ma di certo non è come farsi il culo in un ristorante. Se vuoi ti do il suo numero”
“NO!” ribatte Angie decisa facendoci sobbalzare tutte e tre, per poi continuare con tono più calmo “Non sono interessata, Grace, grazie. Abbiamo finito, Meg?”
“Ci sono quasi, rilassati. In cambio del favore che mi stai facendo prometto che da domani laverò i piatti per un mese. Va beh, anche due...Cazzo, sei perfetta!”
“E in che modo questo dovrebbe calmarmi?” chiede di nuovo ironica come sempre,
“STAI FERMA!”
Meg finisce rapidamente i suoi schizzi, riconoscendo che forse ha approfittato fin troppo della pazienza della coinquilina, ed Angie può finalmente tornare alla posizione eretta e acciuffare il telefono chiedendoci come vogliamo la nostra pizza prima di andarci a mettere in pigiama. Due film e innumerevoli fette di pizza dopo, siamo ancora qui spiaggiate in soggiorno tra i due divani.
“La vuoi la panna, Angie?” chiede Meg all'amica e non so cosa potrebbe metterci nel suo gelato in caso di risposta affermativa, visto che ha praticamente svuotato tutta la bomboletta nella mia coppetta di gelato al cioccolato.
“Oddio, no, sei matta?! Dammelo così” risponde lei allungandosi verso l'amica e strappandole praticamente il gelato di mano.
“Noiosa. Tu? Metto tutti i gusti o...?” si rivolge a Grace, che si sta tenendo una mano sulla pancia.
“No, grazie Meg, per me niente gelato, non ce la farei!”
“Noiosa due. Va beh, ce n'è di più per me!” esclama festante, riempiendosi una scodella da latte di cioccolato, fragola, nocciola e pistacchio.
Meg ha appena finito di ricoprire il suo gelato con una densa nuvola di panna e ha impugnato il cucchiaio quando il telefono squilla.
“Uff chi è che rompe adesso?” sono la più vicina al telefono, perciò lo afferro ma aspetto a rispondere. E faccio bene, perché dopo quello che sento lo passo subito a Angie.
“Sarà il padrone di casa che ci chiede l'affitto” azzarda Angie con aria disgustata, non di certo dalla cucchiaiata di pistacchio che si è appena pappata.
“Col cazzo che lo paghiamo! In questa casa non va un cazzo, ce n'è sempre una, adesso pure il riscaldamento. Finché non lo aggiustano io non tiro fuori un dollaro”
“Dice che non dipende da lui, è un problema di tutto il condominio” spiega Angie, che preferisce allungare a sua volta il telefono alla sua amica agguerrita.
“Fotte sega, si attiva e lo fa risolvere questo merda di problema. Pronto? Eeeehi ciao Jeff, che bello che hai chiamato! Ahah no, davvero, non ti prendo per il culo. Non sono mai stata così contenta di sentire la tua voce. Ma vaffanculo, non abbiamo fumato. E' che pensavo fosse il padrone di casa. Sì. Ok, aspetta. Metto in vivavoce. Dite ciao a Jeff” Meg scherza col mio ragazzo al telefono e non appena il nostro coretto lo saluta riceviamo in risposta un'accozzaglia di urla disumane che sembrano uscite direttamente da uno dei film di Angie, che fortunatamente stasera non abbiamo guardato.
“Ma siete coglioni?” domando io dopo un attimo di smarrimento.
“Perché? Abbiamo solo detto Ciao” risponde Jeff con fare innocente.
“Per fortuna. Figuriamoci se aveste detto pure Come va” risponde Grace, dando inevitabilmente il via a una serie di Come va e simili ululati attraverso la cornetta.
“Il tour vi fa male, ragazzi. Siete via da tre giorni e siete già messi così?” commento sporgendomi un po' verso il tavolino da caffé, su cui Meg ha appoggiato il telefono.
“Non fate le santarelline, scommetto che state facendo di peggio al vostro pigiama party” ribatte Mikey, generando risatine varie fra i suoi compari.
“Non è un pigiama party!” risponde piccata Meg.
“Ah no?” domanda la voce di Stone.
“No!” rispondiamo tutte in coro “E' una serata in casa tra amiche” aggiunge Grace.
“Ah... quindi non siete in pigiama?” chiede sempre lui.
“Sì, ma che c'entra? Non vuol dire niente” rispondo io.
“E non state mangiando schifezze?” interviene Dave, per la prima volta.
“Stiamo mangiando del sanissimo gelato con panna” stavolta è Meg a parlare, proprio nel momento in cui versa un po' di Smarties nella sua ciotola.
“E non avete guardato né St. Elmo's fire né Mystic Pizza, giusto?” continua Gossard e noi quattro ci guardiamo sconvolte. Come cazzo fa??
“No no!” la nostra portavoce in questo caso è Angie, assolutamente poco convinta. Infatti...
“Sicura?” insiste Stone.
“Va beh, cazzo, non li ho scelti io comunque! Io ho scelto All'inseguimento della pietra verde” confessa la nostra amica tradendoci.
“E infatti adesso guardiamo anche quello! Comunque anche se stessimo facendo un pigiama party, che cazzo volete? Ci stiamo riappropriando dei nostri spazi di condivisione al femminile, scambiandoci opinioni e rinsaldando così il nostro rapporto” continua Meg tra una cucchiaiata di gelato e l'altra.
“Cioè state sparlando di noi?” chiede Stone scatenando altre risate da parte dei deficienti.
“Vi sembrerà strano, ma non siete al centro dei nostri pensieri, abbiamo cose più interessanti di cui parlare” commenta Grace e questa volta gli urletti dall'altro capo del filo sono tutti per prendere per il culo Gossard.
“Con questa ti ha messo a posto” sghignazza Mike.
“Zitto tu”
“Comunque voi invece? Che state facendo? Dove siete?” chiede Grace trattenendo le risate.
“Sono diventato improvvisamente interessante eh?” commenta Stone sornione.
“Siamo in una pensione di dubbio gusto da qualche parte a Los Angeles” è Dave a darci delle vaghissime indicazioni.
“Siamo nella camera di Jeff e Eddie, che non ha ancora parlato, ma c'è. Dì qualcosa!” Jeff rivela la presenza del cantante che non si è ancora espresso in un saluto solista.
“Ehm ciao ragazze”
“CIAO EDDIE!” urliamo in coro, per poi avere l'onore di essere imitate dai ragazzi con vocine acute e stridule.
“Quindi siete tutti insieme?” domanda Angie.
“E già, stiamo facendo un po' di casino, strano non ci abbiano ancora cacciati” risponde Eddie trascinando un po' alcune parole.
“E state mangiando schifezze?” continua lei con un ghigno birichino.
“Ahahahah no, beh, sì, anche...”
“Più che altro mi sa che stanno bevendo” commenta Meg ridacchiando.
“E fumando” aggiunge Grace.
“Siete in pigiama?” intervengo io e le altre scoppiano a ridere.
“Tesoro, lo sai che quel tipo di chiamate preferisco che le facciamo in privato” risponde l'adorabile idiota.
“Comunque noi tra poco usciamo, non passiamo la serata a fingere di avere dodici anni” Stone riprende la parola, per prenderci in giro ovviamente.
“Anche perché quello lo fate già normalmente” arriva la stoccata di Grace.
“Ah perché? Fanno finta?” assieme a quella di Angie, per il colpo di grazia finale e ridiamo tutti, da entrambi i capi del filo.
“Vedete, noi le chiamiamo per fare una cosa carina, un bel gesto, e loro ci ripagano così” commenta McCready sullo strascico di una risata.
“Figurati, conoscendovi avrete chiamato adesso sapendo che eravamo tutte qui per risparmiare un paio di chiamate”
“Ci ha preso in pieno ragazzi” conferma Krusen e mi sembra di vederlo mentre scuote la testa parlando ai suoi soci.
“Io ve l'ho sempre detto che la mia ragazza è un genio” Jeff cerca di buttarla sull'adulazione visto che è stato scoperto.
“E noi ci crederemmo, se non fosse per il fatto che si è messa con te” replica Stone, scatenando il solito bisticcio.
“Vaffanculo, Gossard, stai diventando ripetitivo”
“Scusami, è che ogni volta che ci ripenso mi stupisco come la prima”
“Io mi stupisco di come ti sopporti Grace, sarà che la cosa è ancora fresca. Scappa, Gracie, finché sei in tempo!”
“Tu sì che fai battute originali, mai pensato di fare un provino per il Saturday Night Live?”
“Allora, la piantate? Ci avete telefonato per sentirci o per litigare tra di voi?” li interrompe Meg scocciata.
“Assolutamente nessuna delle due. Ora che ci penso, perché cazzo le abbiamo chiamate?” si domanda Stone serissimo.
“Allora, quand'è che suonate?” chiede Grace con gli occhi che brillano verso la cornetta. La ragazza è andata.
“Dopodomani, al Florentine Gardens” risponde il suo bello.
“Che bel nome, sarà un posto fighissimo” commenta lei.
“In realtà non ha niente di Firenze, almeno credo, e non c'è traccia di giardini, è un club molto comune, da fuori sembra un magazzino”
“Grazie per averci distrutto la poesia Mikey” scherzo col chitarrista.
“Non lo vedranno mai, potevamo inventarci qualcosa più suggestivo” sbuffa Jeff.
“Non so mentire, mi spiace”
“Va beh, ora dobbiamo salutarvi, ragazze” Stone prende la parola per chiudere la telefonata, mentre sentiamo un certo trambusto in sottofondo.
“Perché gli scatti costano?” chiede Angie.
“Anche. Ma soprattutto perché Starr ci ha appena bussato alla porta”
“In accappatoio e stivali” precisa Jeff.
“E occhiali da sole” aggiunge Eddie.
“E questo vuol dire che è ora di uscire” conclude Stone.
“Uh caspita, vi state proprio impegnando per farci morire di invidia eh? Peccato non poter fare serata con voi, chissà che divertimento” Angie non risparmia il suo sarcasmo, come sempre.
“Ehi, così mi offendi!” la voce del bassista degli Alice si lagna in lontananza “Guarda che è un gran bell'accappatoio”
“Ahahah ci fidiamo Mike” risponde Meg terminando il suo gelato.
“E poi non vogliamo rubare ulteriore spazio al vostro incontro di recupero della sorellanza perduta” aggiunge Gossard e dal rumore penso abbia ripreso in mano la cornetta.
“Ciao Stone, ciao ragazzi, buona serata” gli auguro e le altre fanno lo stesso, ottenendo in risposta le stesse urla incoerenti dell'inizio.
“Ci arriveranno interi al concerto di dopodomani?” si chiede Angie dopo che Meg preme il pulsante per riattaccare e nessuna di noi ha una risposta.
Dato che non è un pigiama party e non siamo più alle scuole medie, due ore e un altro film dopo siamo qui in soggiorno a giocare a una nostra versione di Obbligo o verità, che in pratica consiste semplicemente in Verità, perché dopo di dodici anni gli obblighi cominciano ad essere meno divertenti, anche perché alla fine gli hai già fatti tutti. Ecco perché Meg ha tirato fuori un mazzo di carte, a turno ciascuna di noi ne pesca una e chi ha la carta più alta fa una domanda a cui le altre devono rispondere sinceramente.
“Allora, avete mai rubato qualcosa?” domando ributtando sul tavolino la Donna di Picche.
“Sì, matite, smalti, rossetti... Chi non l'ha fatto? Però non sono mai stata sgamata” ammette Meg
“Io non l'ho mai fatto, però quando lavoravo al centralino della compagnia elettrica mi sono portata via un po' di cancelleria quando ho saputo che mi avrebbero licenziata” risponde Grace.
“Un po'?” le chiede Angie curiosa.
“Un evidenziatore, due pennarelli indelebili... un Uniposca color oro e un paio di timbri”
“Un Uniposca color oro al centralino della compagnia elettrica? Che se ne facevano?” chiedo io perplessa.
“Appunto! E' quello che mi sono detta anch'io, per questo l'ho fregato. Serviva più a me che a loro. E tu Angie?”
“Mmm... non credo di aver mai rubato niente” Angie scuote la testa e sembra quasi imbarazzata per non aver commesso furti.
“Ma dai, non ci credo! Niente niente?” Grace chiede conferma e il volto di Angie sembra davvero quello di chi sta scavando invano nei meandri della propria memoria per trovare una macchiolina.
“Non mi pare, o almeno, non credo, non me lo ricordo. E se l'avessi fatto sono certa che me lo ricorderei... nel senso che se l'avessi fatto sarei in ansia ancora adesso. Sono troppo paranoica per rubare. Una volta ero in un bar, a Bologna in Italia, con mia cugina e dei suoi amici e a un certo punto mi hanno detto qualcosa del tipo 'Tieniti pronta, al tre alzati e corri', il suo ragazzo ha contato fino a tre e di colpo ci siamo alzati tutti dal tavolo e siamo scappati senza pagare. Ecco, dopo due minuti di corsa sono tornata indietro e ho pagato io il conto perché il senso di colpa mi stava uccidendo” confessa e noi non possiamo che reagire con un aaaaaaaw corale.
“E che hai detto al barista? Non eri imbarazzata?” le chiede Meg che apparentemente non conosceva questa storia.
“Ero imbarazzatissima, ma il senso di colpa superava la vergogna. Gli ho detto che i miei amici mi avevano fatto uno scherzo e ha fatto finta di crederci”
“Sono commossa da tanta nobiltà d'animo! Ok, facciamo un altro giro.” Meg finge di piangere mentre riacciuffa le quattro carte e le rimette nel mazzo, per poi rimischiarlo per bene. Questa volta è proprio lei a vincere con un Re di Quadri.
“Dai Meg, spara!” Grace la incita sistemandosi meglio il plaid sulle spalle, cosa che per riflesso faccio anch'io.
“Oh finalmente tocca a me, così la finiamo con queste domandine da educande. Allora, chi è secondo voi il più figo dei nostri amici?” chiede la padrona di casa sfregandosi le mani.
“Ah beh, certo, questa non è da educande, questa viene direttamente dalle scuole medie” ridacchia Angie.
“Zitta tu e pensa alla risposta. Allora, che rispondi Laura?”
“Jeff ovviamente”
“I fidanzati non valgono”
“Jeff è il più figo a priori, lo pensavo anche prima che diventasse il mio fidanzato”
“Uff ok. E a parte Jeff? Il secondo più figo?” insiste Meg, non soddifatta dalla mia risposta.
“Mmm... non so... Jerry. Sì, direi lui” confermo e non posso fare a meno di notare una mini-smorfia di Angie non appena lo nomino. Prima lui le stava sempre addosso invece ora non si cagano di striscio, nemmeno si nominano. Qualcosa deve essere successo tra quei due e io una mezza idea ce l'ho...
“Jerry è sexy” conferma Grace guardando Angie di sottecchi.
“Sì, beh, è carino, insomma, non è male. Quindi deduco che la risposta sia la stessa anche per te” le domanda Meg, che probabilmente ne sa molto più di noi di Angie e Jerry.
“Uh no, il più figo è Stone” afferma convintissima.
“Ho appena finito di dire che i fidanzati non valgono” risponde Meg alzando gli occhi al cielo.
“Stone non è il mio fidanzato, abbiamo appena iniziato a frequentarci”
“Ma state assieme”
“Sì, ma...”
“Allora non vale. Fuori un altro nome”
“Eddie,” risponde dopo averci riflettuto un po' “Eddie è veramente bello”
“Ha degli occhi stupendi” confermo io.
“Sì, certo Laura, sicuramente gli occhi sono la prima cosa che hai notato!” ironizza Meg tirandomi addosso la sua carta.
“Io sì, perché? Il viso è la prima cosa che guardo in un ragazzo” mi difendo rilanciandole la carta.
“E poi Eddie ha dei lineamenti molto fini” Grace rincara la dose, rivolgendosi proprio ad Angie, che non apre bocca e la cosa viene sicuramente notata da tutte.
“E tu Angie? Per te chi è il più figo?”
“Chris” risponde in un secondo senza esitazione.
“Chris?” le richiede la sua coinquilina incredula.
“Chris Cornell”
“Davvero?” Grace ha l'aria ancora più stranita di Meg.
“Sì, perché? E'... è un bellissimo ragazzo, non va bene?” Angie ci guarda come fossimo dementi.
“No, certo che va bene! Chris è un figo, sicuramente, ma...” rispondo guardandomi attorno e cercando complicità nelle altre.
“Ma cosa? E' alto, ha un bel fisico, un bel viso e dei capelli che invidio tantissimo”
“Sì, no, infatti è un bel ragazzo. E' che... beh... penso che Laura intendesse dire che... ci aspettavamo un'altra risposta, ecco” Grace prova a spiegare sempre incrociando alternativamente il mio sguardo e quello di Meg.
“Cioè? In che senso? Pensate che abbia qualcosa contro Chris o cose del genere?” Angie continua a non capire o fa finta.
“No, cara, intendono dire che si aspettavano nominassi un'altra persona in particolare, o sbaglio?” Meg cerca di farle capire la situazione, ma credo sia necessario essere più esplicite.
“Esatto” confermo.
“Non sbagli” si accoda anche Grace.
“Che gli hai detto?” in Angie è come se si accendesse una lampadina, che la porta a girarsi di scatto verso la sua amica rivolgendole la domanda in cagnesco.
“Io?! Io non ho detto proprio niente” Meg alza brevemente le braccia per difendersi, per poi rinfilarle velocemente sotto la copertina.
“Perché? Cosa doveva dirci?” Grace si sporge sul bracciolo del divano verso Angie.
“Niente...”
“Guarda che non serve che io dica nulla, scommettiamo? Allora, al mio tre-”
“Ci alziamo e scappiamo?” scherza Angie, forse per cercare di distrarre l'amica.
“Ahah no. Al mio tre, Grace e Laura dicono il nome che avevano pensato, così forse capirai che non sono io che mi immagino le cose”
“Ma-”
“Uno, due, TRE!”
“Eddie” “Vedder” pronunciamo io e Grace all'unisono e Angie reclina il capo all'indietro sul divano, mentre Meg esulta.
“Sì! Ho vinto! E ora, di grazia, spiegate a questa fanciulla perché avevate pensato proprio al californiano”
“Già, perché avrei dovuto dire proprio lui?” chiede Angie, visibilmente innervosita “E poi l'aveva già detto Grace”
“Che c'entra, si poteva dire anche lo stesso nome più volte” intervengo puntualizzando inutilmente le regole del giochino.
“Io ho pensato a Eddie perché, beh, perché mi dava l'idea di...”
“Di che?”
“Beh, mi sembrava... mi sembra, ecco, che ti piaccia... un pochino. O no?”
“E cosa te lo fa pensare??” Angie reagisce come se Gracie le avesse appena dato della ladra di automobili.
“Mmm beh, state spesso insieme”
“E c'è una certa intesa tra voi, insomma, vi capite al volo” aggiungo io.
“E ti chiama regina e a volte parlate in codice e fate delle battute che capite solo voi” Grace continua ad elencare i vari indizi, alternandosi a me.
“E lui parla spessissimo di te o ti nomina e fa riferimenti a te anche quando parla di tutt'altro
“E poi si vede da come vi guardate”
“Oh Cristo, noi non ci guardiamo in nessun modo, siamo amici! E voi vi fate di roba scaduta a quanto pare” Angie si alza, recupera le carte dal tavolino e da terra e si mette a mischiare il mazzo per poi tornare al suo posto sul divano.
“Ahahah piantala! Le nostre amiche hanno solo detto la verità. E sono arrivate alla mia stessa conclusione senza sapere tutti i dettagli”
“Meg!”
“Che c'è? Tanto siete amici, che c'è di male se gli racconto cosa avete fatto? Non hai nulla da nascondere no?” Meg procede nel raccontarci le due uscite di Eddie e Angie, che non fanno che avvalorare la nostra tesi, una tesi che non sapevamo nemmeno di avere in comune e che ognuna teneva per sé.
“Oddio, Angie, sullo Space Needle! Che cosa romantica!” Grace va in brodo di giuggiole.
“Oh sì, davvero romantico, peccato non aver ceduto all'urto di vomito in ascensore, sarebbe stato il top del romanticismo”
“Perché devi sempre sminuire le cose belle che ti capitano? Cosa ci guadagni a far finta che non te ne freghi niente?” Meg la rimprovera allungandosi verso di lei per spettinarla.
“Io non sto sminuendo nulla, siete voi che al contrario ingigantite tutto! E' il simbolo di Seattle, ci voleva andare e mi ha chiesto di accompagnarlo. Tutto qui”
“Sì, certo, come ti ha chiesto di accompagnarlo in California. Siccome deve andarci a suonare, ti ha chiesto di andarlo a trovare. Tutto qui” Meg le fa il verso e la imita così bene che anche ad Angie scappa da ridere.
“COSA?” Grace quasi salta sul divano.
“Ti ha chiesto di seguirlo in tour?” io non salto, ma sono ugualmente curiosa.
“Assolutamente no! Ha semplicemente buttato lì l'idea che io E MEG li raggiungessimo a un certo punto del tour per vederli in una data, tutto qui” Angie sottolinea che la proposta non era rivolta solo a lei.
“Beh, magari ci ha messo dentro anche Meg perché non voleva scoprirsi troppo” spiego sollevandomi dal divano e mettendomi a sedere meglio.
“Oppure perché sapeva che da sola non ci andresti mai.” aggiunge Meg “Anche se in questo caso ti toccherebbe, visto che io non ho intenzione di andarci”
“Perché no?” le chiedo e anche Angie sembra stupita, come se non ci avesse nemmeno pensato all'eventualità.
“Beh, vista la situazione con Mike non mi sembrerebbe il caso. Che ci vado a fare? Vuole stare da solo e vado a rompergli le palle in tour?”
“Anche questo è vero.” commenta Angie “Comunque non c'è solo Mike, insomma, ci sono anche gli altri e gli farebbe piacere vederti lì”
“Lo so, ma non me la sento. Tu invece ci devi andare” Meg riacquista subito il sorriso, che invece si spegne immediatamente sul volto di Angie.
“Io? A fare cosa?”
“A trovare i ragazzi” risponde Grace al posto di Meg.
“E Eddie!” aggiungo io il dettaglio non indifferente.
“Ma che c'entro io? Loro... beh, loro sono amici, ma sono più amici tuoi, io sono un'amica di riflesso” Meg la trafigge con un'occhiata omicida dopo questa affermazione e io decido di intervenire per far rinsavire Angie.
“Ma che stai dicendo? Che razza discorsi sono? Ormai ti conosciamo da mesi, Jeff ti adora e anche Stone, idem noi e tutti gli altri. Sicuramente all'inizio eri la nuova amica di Meg, ma adesso sei una del gruppo”
“Ok... beh, grazie Laura... E' solo che... cosa ci vado a fare da sola a San Diego? Ehi, perché non venite con me?” Angie è un po' imbarazzata, poi si illumina quando pensa di aver trovato una soluzione.
“Verrei volentieri, Angie, ma la settimana prossima inizio lo stage in banca, non posso assentarmi. Avevo già pensato di andare a trovare Jeff, ma stavolta mi sa che non è possibile”
“E tu Grace?”
“Beh io ci verrei anche, ma se tu te ne vai, a questo punto mancheresti tu e mancherebbe Eddie, se manco anch'io chi rimane al mini market con Hannigan? Ian non può coprire tutti i turni”
“Ah già, giusto... Beh, allora puoi andarci tu e fare una sorpresa a Stone!”
“Eheh non so. Sì, sarebbe carino, ma usciamo insieme da così poco, non voglio assillarlo. Non vorrei pensasse che sono una che sta addosso o cose del genere”
“Insomma, ci devi andare tu e basta, capito?” Meg prende il mazzo di carte dalle mani di Angie, ne estrae una e glielo riporge.
“Devi... come se fosse un obbligo” borbotta lei prendendo la sua carta e passando il mazzo a Grace.
“LO E'!” esclamiamo tutte e tre insieme.
“Vi odio”
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“Però non vale, cazzo, ti sei messo i pantaloni” borbotta Stone mentre paga pegno al bassista degli Alice.
“Sono shorts, non contano” ribatte Starr puntanto il collo della sua bottiglia di birra verso il nostro chitarrista.
“Che diavolo significa?” la smorfia di Gossard è notevole, ma dubito che gli farà riavere i suoi soldi.
“E comunque non si era parlato di pantaloni, la scommessa era che uscissi con stivali, accappatoio e occhiali da sole, senza maglietta. I pantaloni non sono mai stati nominati” Mike insiste e, non appena Stone mette anche l'ultima banconota sul tavolo, raccoglie la sua vincita e se la mette in tasca.
“Ecco a cosa servono i pantaloni.” sogghigna Layne “Altrimenti avrebbe dovuto infilarseli nelle mutande i soldi”
“Come se non lo avesse già fatto” osserva Jerry alzando le spalle.
“Lo faccio sempre” conferma il bassista.
“Anzi, è strano vedergli usare le tasche” ribadisce Kinney accendendosi una sigaretta.
“Probabilmente è la prima volta che lo fa” insiste Cantrell.
“Probabilmente non sapeva nemmeno di averle” insiste Sean.
“Ma sì, prendetemi pure per il culo, intanto non mi hanno mai trovato niente addosso, né soldi né roba, grazie al mio nascondiglio” sentenzia afferrandosi il pacco tutto soddisfatto.
“E intanto io ho capito da chi non devo più comprare il fumo” conclude Stone con aria disgustata, facendo ridere tutto il tavolo.
“Chissà che avranno pensato le ragazze” McCready scuote la testa e mi si stampa un sorriso in faccia in automatico appena ripenso alla chiamata di poco fa e all'effetto che mi ha fatto sentire la voce di Angie dopo un po' di giorni. Sembrava ancora più dolce e sexy del solito... Ovviamente non è stato possibile parlarci più di tanto, ma rimedierò. L'avrà ricevuto il mio regalino?
“Ragazze? Che ragazze?” Jerry drizza le antenne, la cosa non mi stupisce.
“Abbiamo chiamato Seattle, per fare un saluto a Meg e Angie, c'erano anche Laura e Grace” spiega Jeff affondando la mano nella ciotola delle noccioline.
“Ah ok” Cantrell cammuffa l'imbarazzo con un mezzo sorriso e bevendo un sorso del suo drink.
“E ne abbiamo approfittato per fare un po' i coglioni, ovviamente” continuo io, come per dargli una mano, anche se in realtà non è così. Giusto?
“Nah, ormai ci conoscono, hanno visto e sentito di peggio” si esprime anche Dave, appena tornato al tavolo dalla cabina del telefono qua fuori, da dove presumo abbia chiamato la sua fidanzata.
“E ne sentiranno e vedranno di ancora peggio quando verranno a vederci” Jeff rivolge un sorrisone a Stone, che lo contraccambia, ed entrambi poi si voltano verso McCready, che sbuffa e poi solleva gli occhi al cielo.
“Ve l'ho già detto, non verranno mai”
“Vuoi scommettere?” “Scommettiamo?” Jeff e Stone propongono quasi all'unisono, con gli occhi che gli brillano. Quei due hanno un problema serio di gioco d'azzardo.
“Ha! Ci scommetto quello che volete”
“Dove devono venire? Qui a Los Angeles?” chiede Sean, l'unico che osa inserirsi nel siparietto, mentre tutti gli altri si limitano a fissare rispettivamente i tre musicisti mentre si palleggiano i sì e i no.
“A Los Angeles o a San Diego, San Francisco, Sacramento... in una data qualsiasi del tour” spiega tranquillamente Stone.
“Ma tanto non verranno mai!” ripete Mikey e io spero tanto che si sbagli.
“E perché no?” chiedo esternando forse un po' troppo il mio disappunto.
“Beh, prima di tutto io e Meg abbiamo avuto, ehm, dei dissapori ultimamente, quindi non credo proprio che muoia dalla voglia di vedermi”
“Ma mica ci sei solo tu!” ribatto e a questo punto penso di poter togliere pure il forse di prima “Nel senso... che ci siamo tutti noi, non dovrebbe certo stare tutto il tempo con te”
“So quel che dico, la conosco meglio di voi e state sicuri che lei non si farà vedere”
“Beh, e le altre?” chiede Layne lanciando una rapidissima occhiata a Jerry seduto davanti a lui.
“Angie non va da nessuna parte senza Meg” Mike scuote la testa per poi bere dal suo drink, che la cameriera gli ha appena portato.
“Ma Angie viaggia da sola, o no? Non è mica andata pure in Europa da sola?” domanda Starr e di riflesso annuisco anch'io guardando il mio chitarrista, che invece calpesta senza ritegno le mie speranze di rivederla presto.
“Non è per il viaggio, da sola può andare ovunque, ma non verrebbe mai a trovare noi in tour da sola, è timida, non sarebbe da lei”
“Le persone cambiano, soprattutto se c'è motivazione... vero Eddie?” Jeff mi sgomita e io inizio a prendere in considerazione di strangolarlo nel sonno stanotte.
“Beh, sì... A me sembra meno timida, cioè, non la conosco da tanto, ma mi sembra si stia tirando fuori, no?”
“Mike ha ragione, non sarebbe una cosa da lei, si sentirebbe in imbarazzo” Jerry si unisce al partito del No e solo ora mi accorgo che c'è anche lui. Non in senso stretto, non della sua presenza oggi, ma della sua presenza nel tour, presenza sicuramente piuttosto ingombrante per Angie, che potrebbe frenarla dal venire a trovarci. Che poi, potrebbe stare tranquilla, non dovrebbe necessariamente vederlo, potremmo evitarlo tranquillamente. Ma vaglielo a spiegare! Non ci avevo pensato a questo dettaglio, Angie potrebbe non voler venire perché c'è anche Jerry. Merda.
“Cazzate, secondo me invece viene!” ribadisce convintissimo Jeff “Tu che dici, Eddie? Scommetti?”
“Secondo me... beh, potrebbe. E comunque potrebbe venire con Laura, non c'è solo Meg”
“Mmm no, quello no, Laura deve lavorare ed è fuori dai giochi. Potrebbe venire con Grace però, che dici Stone?” avevo avuto un piccolo lampo di ottimismo, ma il bassista ha spento subito la luce.
“Ma Grace non lavora mica al mini market con Angie e Eddie? Non possono mica andare in ferie tutti assieme” spiega Krusen, staccando direttamente la corrente.
“Io scommetto venti dollari che non ci cagano di striscio e non viene nessuno” Kinney salta su dal nulla, ridacchiando e dando una manata al tavolo.
“No no, che venti dollari, fermi tutti! Facciamo le cose fatte bene: chi è per il no, cioè pensa che nessuna delle ragazze verrà a vederci in California, alzi la mano” Stone riporta l'ordine e le mani di Mike, Jerry, Sean e Dave si alzano subito.
“Ok, chi invece pensa che almeno una delle ragazze ci dia una piccola soddisfazione e venga a vederci?” chiede Jeff alzando la mano, seguito da me, Layne, Starr e Stone.
“Perfetto, cosa ci giochiamo?” chiede Starr chiudendosi l'accappatoio e incrociando le braccia sul petto.
“Ce l'ho, chi perde dovrà occuparsi di caricare e scaricare gli strumenti, nonché di montare il palco coi ragazzi della crew, mentre gli altri si faranno bellamente i cazzi loro” Mike se ne esce con questa simpatica idea e Krusen e gli altri gli battono il cinque.
“Sì, ma se non viene nessuno lo scopriamo solo a tour concluso, quand'è che si riscuote questa scommessa?” faccio notare la piccola falla nel piano di McCready.
“Al prossimo tour” risponde facendo spallucce.
“Ma magari al prossimo tour i ragazzi non ci sono, non faremo mica sempre concerti con loro” spiego indicando i membri degli Alice in Chains.
“Beh, ma faranno concerti per i fatti loro, no? Chi perde dovrà fare questa cosa per la propria band, facciamo, per un mese a partire dal primo concerto post-tour californiano. Sempre che le ragazze non vengano, in caso contrario a quel punto si inizia a contare dal concerto subito successivo” ribatte Jeff e tutti fanno sì con la testa, tranne me e Stone.
“Sì, ci sta, però non è lo stesso se non tutti riescono ad assistere all'umiliazione dei perdenti contemporaneamente. Vorrei fare qualcosa per farmi due risate con tutti i presenti, e possibilmente prima di tornare a Seattle” Gossard ride sotto i baffi fissandomi. Lo vedo troppo sicuro, che sappia qualcosa che io non so. Lo spero, cazzo.
“Ce l'ho!” esclamo, attirando immediatamente gli sguardi di tutti su di me.
“Ok... quindi?” mi incalza Sean mentre io cerco di pensare a qualcosa di diverso dalla prima cazzata che mi è venuta in mente, ma non ci riesco.
“Se le ragazze vengono a trovarci, o in caso contrario l'ultima sera in California prima di tornare a casa, scegliamo la discoteca più tamarra del posto e andiamo a fare serata lì. E chi perde...”
“Chi perde...?” Layne mi guarda perplesso.
“Quelli che perdono sono obbligati a venirci vestiti da Village People”
Il tavolo resta inebetito a fissarmi per alcuni interminabili secondi, dopodiché viene seppellito da una risata collettiva e improvvisa.
“Ahahahahah oh Cristo, ci sto!” Layne accetta la scommessa tenendosi la pancia per calmarsi.
“Io pure, che cazzo me ne frega, come vedete problemi non me ne faccio” lo segue a ruota Starr indicando la sua mise di stasera.
“Io invece sì, posso ritirarmi dalla scommessa?” protesta Sean.
“No, ormai è deciso, ora sono cazzi tuoi. Comunque ti vedrei bene come motociclista” scherza Stone tirandogli una nocciolina.
“Nah, il motociclista lo fa Starr. Invece a te ti vedrei bene come poliziotto, la faccia da culo già ce l'hai” replica il batterista prendendo la nocciolina al volo e masticandola in modo esagerato in faccia a Gossard.
“Eheh beh, se va male sappiate che il cowboy lo faccio io, quindi regolatevi” Jerry si alza e punta il dito verso gli altri che hanno votato contro prima di allontanarsi.
E io? Che faccio: l'indiano o il soldato?
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“Ma oggi è mercoledì!” quasi mi commuovo quando, dopo aver aperto gli occhi al suono della mia odiata sveglia ed essermi messa a sedere sul letto, stando ben attenta a non far uscire né braccia né spalle da sotto il piumone, mi ricordo che giorno è e che non devo andare né a lavorare né a lezione. Spengo la sveglia e subito dopo partono però le bestemmie per essermi dimenticata di toglierla la sera prima. Va beh, poco male, mi ributto all'indietro, mi tiro su il piumone fino al naso e crollo di nuovo in un nanosecondo. Riapro gli occhi non appena sento che il letto si muove, non proprio a destra e a sinistra, non esattamente avanti e indietro, ma neanche su e giù. Diciamo che ondeggia un po' da tutte le parti. E' giorno, il sole picchia che è un piacere e fa un caldo allucinante. E sono in mezzo al mare, con tutto il letto, che mi fa da barchetta. In realtà mi trovo in un lago, perché mi guardo in giro e vedo la terraferma tutt'intorno, ma nella mia mente quello è il mare. Non mi scompongo più di tanto, nemmeno quando lo sguardo mi cade addosso e mi accorgo di indossare un costume olimpionico. Sul comodino, sì perché assieme al letto viaggia pure il comodino, vedo un bicchiere stretto e lungo che contiene un liquido arancione, presumibilmente succo di frutta, con all'interno una cannuccia e un ombrellino rosso da cocktail. Non ci penso due volte, visto che fa un caldo esagerato e ho una sete boia, lo prendo, lancio l'ombrellino in acqua, mi infilo in bocca la cannuccia e faccio per bere, ma niente, non esce nulla. Insisto ancora un po' e chissà perché non mi viene assolutamente in mente di buttare pure la cannuccia e bere direttamente dal bicchiere, no, perché nel mio sogno l'unico modo per dissetarmi è da questa cazzo di cannuccia infame. Provo a succhiare ancora un po', finché non comincio a sentire una strana sensazione in bocca, come un corpo estraneo che si muove. La cosa stranamente non mi fa vomitare né vengo presa dal panico, mi limito a infilarmi due dita in bocca e a ravanare un po' sul palato finché non trovo quello che cerco e lo tiro fuori: uno spago, piuttosto spesso, che si infila attraverso la cannuccia dentro al bicchiere, per poi uscirne e sparire nell'acqua. Ne ho tirato fuori un pezzettino, qualche centimetro al massimo, ma subito dopo ne vedo metri e metri arrotolati sul letto. Dimentico la sete, butto il bicchiere e mi allungo per afferrare la cordicella nel punto in cui emerge dall'acqua, dopodiché inizio a tirarla dall'altro capo verso di me, facendo così muovere la barchetta-letto in una direzione precisa, ma a me totalmente sconosciuta. In pochissimo tempo mi ritrovo quasi alla terraferma, di fronte a una scogliera che fino a un minuto prima era una riva sabbiosa, e continuo a tirare la corda anche se da quanto sembra sto per andarmi a schiantare contro le rocce. Ma è solo un impressione e il mio subconscio ne sa di gran lunga più di me, perché poco prima di sfracellarmi vedo un'apertura nel muro di roccia ed è proprio lì che s'infila la corda e io con lei. Navigo nel buio pesto di una grotta per un tempo indefinito, sento solo il rumore dell'acqua e quello della fune che sfrega contro il bordo del letto. D'un tratto sento qualcos'altro, il rumore di un interruttore, e vedo immediatamente chi l'ha premuto perché si tratta di un interuttore della luce. Eddie ha acceso la luce in una cucina, che però non è quella dell'appartamento suo e di Jeff, è una cucina che non ho mai visto, una cucina dotata di molo, a ridosso del quale il mio letto si blocca, mentre continuo a tirare la corda verso di me a vuoto.
“Ciao Angie! Non serve che la tiri tutta, ormai sono qua.” mi raccomanda Eddie, che ha addosso il mio pigiama coi ricci, mentre si versa un bicchiere d'acqua dal rubinetto “Hai sete, vero?” mi chiede per poi incamminarsi verso il molo, percorrere tutta la pedana e porgermi il bicchiere.
“Sì, grazie.” mi allungo verso di lui, ma poi mi ricordo improvvisamente di essere in costume da bagno, allora mi copro velocemente con il lenzuolo, ma quando alzo di nuovo lo sguardo lui si è già allontanato, verso il frigorifero della cucina “Scusa” gli dico, senza sapere davvero perché.
“Di nulla, non ti preoccupare. Devi solo aspettare il prossimo giro” mi tranquillizza sorridendo, mentre tira fuori un paio di carote, un pomodoro e un'arancia dal frigorifero, poi prende un coltello da un cassetto e si mette a pulire frutta e verdura dandomi le spalle.
“Grazie”
“Che dici, ci sta bene anche il cetriolo?”
“Dipende da cosa devi fare...”
“Un centrifugato, per te” aggiunge voltandosi e strizzandomi l'occhio, per poi tornare al suo lavoro.
“Oh allora sì, ci sta bene anche il sedano” aggiungo distrattamente mentre ancora rovisto tra le coperte e sotto il cuscino in cerca del mio pigiama, che ovviamente non posso trovare, perché ce l'ha addosso lui.
“Non ce l'ho il sedano...” Eddie si gira con un faccino tristissimo e incrocia a malapena il mio sguardo.
“Va beh, non fa niente, va bene lo stesso” cerco di rassicurarlo, ma lui butta a terra il coltello e si prende il volto tra le mani, appoggiandosi al bancone e scuotendo la testa, prima lentamente poi sempre più veloce, come un matto.
“No no no NO!”
“Eddie, stai calmo, dai, che ti prende?” lui toglie le mani dalla sua faccia, scoprendo un viso rosso di pianto e due occhi gonfi che ancora non mi guardano.
“Non posso stare qui” singhiozza avvicinandosi al molo.
“Perché no? Che succede, dove vai?” gli chiedo allarmata.
“Tieni stretto il filo” sussurra rivolgendomi finalmente un'occhiata e un mezzo sorriso, un attimo dopo si tuffa nell'acqua, scomparendo immediatamente.
“EDDIE!” urlo con tutta l'aria che ho nei polmoni e senza riprendere fiato mi tuffo per raggiungerlo, incurante di tutto, anche del fatto che non so nuotare. Ma non mi serve nuotare perché nel momento stesso in cui tocco l'acqua mi sveglio di soprassalto.
“Ma che caz...?” borbotto tra me e me, sperando di non aver urlato il nome di Eddie nel sonno, visto che a quelle tre manca giusto un altro pretesto per prendersi gioco di me. Non saprò mai se l'ho fatto, perché quando mi alzo trovo in cucina un biglietto delle ragazze in cui mi spiegano che sono andate a fare colazione fuori, che hanno provato a svegliarmi, ma non c'è stato verso e che mi porteranno forse un dolcetto. Un dolcetto? Ancora? Dopo tutto quello che ci siamo mangiate ieri? Spero proprio di no. Cioè, io mi sfonderei volentieri di dolcetti anche adesso, ma visto il culo che mi sono fatta per perdere questi boh due/tre etti di ciccia, non mi sembra il caso di mandare tutto a puttane per un attimo di debolezza. Mi preparo una tazzona di caffè bollente, anche perché la casa è ancora gelata, e lo bevo senza zucchero seduta davanti alla finestra, mentre contemplo l'umidiccio che ricopre l'asfalto e le carrozzerie delle auto parcheggiate sotto casa mia. Chissà che tempo c'è in California? Non farà questo freddo, di certo, ma non credo faccia caldo, insomma, mica è estate. Potevamo chiederlo ieri ai ragazzi, in un quarto d'ora di telefonata siamo riusciti a non parlare di niente, nulla, zero assoluto. E poi Eddie ha parlato pochissimo. Sospiro, lavo la tazza e mi avvio in bagno, dove mentre lavo i denti ho un'illuminazione. Dato che stamattina non ho nulla da fare, anziché fare una frettolosa doccia, mi farò un bel bagno caldo rilassante. Sempre che ci sia l'acqua calda. Mi accerto del funzionamento dello scaldabagno, che in questo caso non mi ha abbandonata, e comincio a riempire la vasca, andando intanto in camera di Meg a prendere in prestito la sua radiolina portatile. Mentre sto tornando in bagno sento squillare il telefono, allora faccio una piccola deviazione verso il soggiorno e lo recupero dal tavolino, dove lo avevamo lasciato ieri sera.
“Pronto?”
“Ehi, ciao Angie, non ti ho svegliata, vero?” risponde dall'altra parte una voce che non sentivo da un po'.
“Ciao Dave, no, tranquillo, ero già sveglia da un po'. Come va?”
“Solito, non ho ancora capito se mi hanno preso nella band o no, comunque tutto ok” continua con la solita barzelletta, credo che la reciterà anche nei prossimi dieci anni di carriera.
“Ahahahah ma sì che ti hanno preso, scemo” rido tornando in bagno e portando con me telefono e radio.
“Comunque niente, dobbiamo finire di registrare l'album e a quanto ho capito tra un po' andremo a completarlo a Los Angeles col produttore. Da quel che so, metà l'hanno già fatto, ma ci sono dei pezzi nuovi che abbiamo scritto nel frattempo, cioè che Kurt ha scritto, quindi dobbiamo prima registrare dei demo da mandargli, così si fa un'idea. Ma sto parlando solo io, che cazzo, due secondi che siamo al telefono e già ti sto facendo una testa così! Tu che mi racconti?”
“Ahah io non ho molto da raccontare, di certo nulla di tanto interessante quanto il nuovo album dei Nirvana” anche perché deve ancora uscire, anzi, deve ancora essere terminato in pratica, e già ne parlano tutti.
“Balle, come sono andati gli esami?”
“Un po' una chiavica, ma li ho passati” rispondo infilando la mano nell'acqua per controllare la temperatura.
“Ottimo! Hai festeggiato?”
“Eheh più o meno, con delle amiche ieri sera”
“Se sei già sveglia a quest'ora non hai festeggiato come si deve. A proposito di festeggiamenti, non ti ho ringraziato per il regalo che mi hai spedito per il compleanno”
“Sì che l'hai fatto” ribatto chiudendo il rubinetto e sedendomi sul bordo della vasca.
“Sì, ok, con un messaggio in segreteria, sai che merda. Sono proprio un cafone”
“Andava benissimo lo stesso”
“Grazie, Angie, conserverò gelosamente quelle bacchette per le registrazioni definitive dell'album”
“Wow, quindi in un certo senso sarò anch'io sul disco! Non dirlo a Kurt, potrebbe sentirsi male” rido sotto i baffi pensando a Cobain che legge Idaho nei ringraziamenti di Dave sull'album e lo caccia dalla band. In quel caso no, non l'avrebbe superato il provino.
“Ahahah secondo me sotto sotto ti ammira”
“Ah sì? Per cosa? Forse per il mio senso dell'umorismo, visto che il suo fa cagare”
“Vi assomigliate più di quando credi, sai?”
“Altra cosa da non dirgli se vuoi superare il provino”
“Ma non l'avevo già superato?”
“E band a parte? Come va? Come ti trovi nella casa nuova?” gli chiedo mentre osservo il vapore che sale dalla vasca e va lentamente a condensarsi sullo specchio.
“Bene, è carino come posto, pensavo peggio. Non ci sono neanche i topi”
“Davvero? Figo, praticamente una reggia!”
“Infatti! Se solo il mio coinquilino non scoreggiasse così tanto potrei anche portarci le ragazze. Se avessi ragazze da portarci ovviamente”
“Ahahahah ha provato col carbone vegetale?”
“Anche se in realtà, una ci sarebbe...”
“Una che?”
“Una ragazza”
“Ahah non avevo dubbi, come si chiama?” Dave non ce lo vedo proprio da solo, un po' come Jerry. Diciamo che è la versione un po' più simpatica e onesta di Jerry Cantrell.
“Jennifer... ma l'ho appena conosciuta, cioè, l'ho vista una volta sola. Oddio, in realtà due, ma la prima era appunto alla mia festa di compleanno e non abbiamo praticamente parlato, a parte quattro parole per presentarci. L'ho rivista dopo in un locale e abbiamo scambiato qualche parola in più. Solo parole comunque, niente fluidi corporei. Non ancora almeno. E non te lo sto dicendo per farti ingelosire o cose del genere eh, anche se, va beh, devo dire che se tu fossi anche un pochetto gelosa la cosa non mi dispiacerebbe...”
“Non sono gelosa, Dave, anzi, sono molto contenta per te” gli dico in tutta sincerità. Visto e considerato che mi sentivo un po' in colpa per averlo respinto, anche se non avrei dovuto, lo so, sapere che ha un nuovo interesse mi solleva.
“Ah sì? Ecco, ti pareva. Va beh, comunque tanto tra un po' se ne torna in California e non so se e quando la rivedrò”
“In California? Non è di Seattle?”
“No, è qui per registrare con la sua band”
“Ah è una musicista!”
“Bassista”
“Le bassiste sono sempre sexy, deve essere molto carina”
“Sicura che... neanche un filino? Neanche una briciola di gelosia, niente niente?” continua Dave ed è davvero piuttosto difficile capire se stia scherzando oppure no, ma in entrambi i casi la mia risposta non cambia.
“Eheh niente, Dave, sicurissima”
“Mmm ok, era per esserne certo”
“Comunque non ce l'hai il suo numero?”
“Sì” risponde lui titubante.
“Allora chiedile di uscire, no? Tanto, anche se ti va male poi lei se ne va, sei nella posizione ideale”
“Oh cazzo... sei un genio! Mi sa che lo farò”
“Bravissimo! Ora ti devo lasciare” gli dico guardando la sveglietta davanti allo specchio del bagno.
“Vai in camera tua a piangere di gelosia ingozzandoti di cioccolata?”
“No, vado a lavarmi perché puzzo. Ciao Dave!”
“Ciao Angie, ci sentiamo ok? E ancora grazie del regalo”
“Di niente, figurati. Buona giornata!”
Appoggio il telefono a terra accanto alla radio, che sintonizzo su KISW, aggiungo ancora acqua calda, visto che la vasca si è un po' raffreddata, dopodiché mi levo il pigiama e mi infilo dentro, tappandomi il naso e sprofondando completamente sott'acqua. Lo squillo del telefono che mi arriva amplificato attraverso l'acqua, mi sorprende tanto da farmi quasi ribaltare nella vasca. Riemergo tossendo, mettendomi a sedere nella vasca da bagno con la delicatezza di un ippopotamo, e allungo la mano verso la cornetta. Cosa si sarà dimenticato Dave?
“Pronto?” chiedo schiarendomi poi la gola.
“Pronto, Angie, ciao! Ti disturbo?”
“Eddie!” grido forse un po' troppo forte per una che stava annegando un minuto fa e infatti ricomincio a tossire.
“Ciao, sento che non ti è ancora passata. Mi sembrava stessi meglio quando ci siamo visti”
“Sì sì, infatti, coff coff, sto bene... è che... ehm, mi è andato di traverso un bicchiere d'acqua quando ha squillato il telefono” rispondo cercando di respirare normalmente.
“Oh cazzo, mi dispiace, scusami” risponde con lo stesso tono con cui nel sogno si dispiaceva per la mancanza di sedano e non posso fare a meno di semi-scoppiare a ridere, cosa sempre intelligentissima da fare quando stai soffocando”
“Ahah ma di che? Mica è colpa tua”
“Forse ho chiamato troppo presto, ieri avrete fatto le ore piccole”
“No, tranquillo sono sveglia da un pezzo. Come va?”
“Tutto a posto, le ore piccole le ho fatte io con gli altri in giro per Los Angeles, praticamente sono tornato un'ora fa”
“Eheh posso immaginare, ma ora sei in camera?”
“Sì, sono a letto” quattro parole semplicissime che chissà perché mi mettono addosso una strana sensazione.
“Aspetta, prendo una rivista e ti leggo qualcosa” punto il portagiornali accanto al gabinetto e faccio per uscire dalla vasca, quando Eddie mi blocca.
“Oh no no, tranquilla! Non devo dormire! Cioè, sì, dovrei, ma non ti ho chiamata per quello”
“Sicuro?” e allora perché mi ha telefonato? Ci siamo sentiti ieri.
“Certo, sicurissimo. Ma cos'è questo strano rumore che sento? Sembra acqua” risponde mentre mi sto sedendo nuovamente nella vasca, al che mi blocco a metà e comincio a muovermi molto lentamente.
“Rumore? Ah, sì, ehm, sembra acqua perché... perché è acqua, sto... sono in cucina, sto lavando il casino di piatti, bicchieri e ciotole di ieri sera”
“Ah capisco, povera!”
“Anzi, ti dispiace se metto in viva voce? Così posso continuare, sai com'è”
“Ma ti disturbo? Se vuoi ti chiamo dopo...” propone e io mi affretto a urlargli contro, cioè a dirgli che non c'è nessun problema.
“NO! Ehm, no figurati, mica mi disturbi, mi fa piacere sentirti”
“Ok... beh, come stai? Ieri non c'è stato modo di parlare più di tanto” metto il vivavoce e la voce profonda di Eddie riecheggia tra le pareti del bagno.
“Tutto bene grazie, tu? Oh alla fine l'ho accettato il voto, sai? Ho riflettuto su quello che hai detto e ovviamente avevi ragione quindi non c'era neanche bisogno di riflettere chissà quanto” blatero mentre mi stendo di nuovo nella vasca, alzando un po' la voce e stando attenta a non fare rumore con l'acqua.
“Hai fatto bene, sono contento. Senti... volevo chiederti due cose...” mi anticipa e dal tono di voce ho come l'impressione che stia sorridendo.
“Va bene, spara”
“La prima è se per caso hai ricevuto qualcosa in questi giorni”
“Qualcosa? Qualcosa cosa?”
“Un pacchetto, per posta...”
“No, perché? Che pacchetto?”
“Uhm no, niente”
“COSA NO NIENTE, NON PUOI DIRMI UNA COSA DEL GENERE E POI LASCIARMI SENZA SAPERE!” grido come una pazza aggrappandomi ai bordi della vasca e riemergendo dall'acqua come il Kraken.
“Ahahah attenta o spaccherai un bicchiere!”
“Bicchiere? Mi hai mandato un bicchiere?” strano pensiero, io pensavo più a qualche magnete dalla California.
“Ahahah no, intendevo, un bicchiere di quelli che stai lavando”
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaah sì, certo! Ho capito, eheh, no, tranquillo, non spacco nulla” rido maledicendomi internamente per il mio imbarazzo cronico. Non potevo semplicemente dirgli che ero in bagno e chiedergli un minuto per uscire?
“Comunque è un pensiero, per te, te l'ho spedito prima di partire e a quanto pare ho sopravvalutato la velocità del servizio postale a Seattle”
“Un pensiero? Per cosa?” me l'ha mandato da Seattle?
“Per te, te l'ho detto. Posso passare alla seconda domanda?”
“Sì...” rispondo, ancora perplessa per questa storia del regalo.
“B-52s?” chiede e stavolta è proprio chiaro che sta sorridendo ad armi spiegate.
“Ahahahah li adoro! Non ti piacciono?”
“Non è il mio genere, ma sì, è carina”
“E poi quel pezzo è azzeccatissimo per il viaggio”
“Devo dire che sono rimasto piuttosto sorpreso”
“Hai sentito solo quella?”
“Ma figurati, l'ho ascoltata tutta durante la prima ora di viaggio, una C60, giusta giusta”
“E che ne pensi?”
“Mi è piaciuta molto, ma, ripeto, alcune cose mi hanno stupito”
“Per esempio?”
“Per esempio, non sapevo ti piacessero gli U2”
“Ah sì, mi piacciono molto, The Joshua Tree è uno dei miei dischi preferiti, e credo che quella canzone sia una delle più belle intro di un album della storia”
“E c'entrava col viaggiare anche quella”
“Esatto, che credevi? Che facessi le cose a caso? Sono una professionista io”
“Me ne sono accorto. Pensavo avresti semplicemente messo insieme pezzi che ti piacevano, invece hai messo anche cose specifiche che potevano richiamare il viaggio oppure hai scelto dei pezzi perfetti da sentire in macchina. E in generale dei pezzi che si legano benissimo l'uno con l'altro”
“Sto aspettando il momento in cui mi dirai cosa ti ha fatto cagare”
“Ahahahah nulla, assolutamente”
“Quindi ti ho stupito in positivo”
“Molto positivo, davvero. E non pensavo fosse possibile accostare gli Smiths ai Black Sabbath in modo plausibile, invece tu ci sei riuscita e ci stanno benissimo”
“Ahahah è vero, il gran finale”
“Per questo ti perdono l'aver voluto vincere troppo facilmente coi Beatles e i Doors”
“Eheheh perché, coi Clash no?”
“Sì, ma hai scelto una canzone leggermente meno nota”
“Insomma...”
“Allora promossa?”
“Super promossa, col massimo dei voti”
“Grazie prof!”
“E poi ci sei tu lì dentro, insomma, ti rispecchia in tutto, perciò è perfetta”
“Avevi detto che volevi conoscere la musica che per me è casa. Ovviamente quella è solo una parte, non ci stava tutto in una C60...”
“Allora me ne aspetto altre, magari anche di C90, che dici?”
“Eheh va bene, aggiudicato. Però a questo punto dovresti ricambiare anche tu, insomma, anch'io sono curiosa di conoscere la tua casa”
“Mmm vedrò cosa posso fare” risponde sempre con la solita voce talmente sorridente che le fossette quasi si stampano sullo specchio appannato ed è allora che capisco: il regalo è una cassetta. Avrà deciso di ricambiare il mio pensierino con una sua compilation e me l'avrà spedita prima di partire perché lui è fatto così ed è capace di gesti dolcissimi come quello.
“Ci conto. Senti, suonate domani, giusto?” gli domando, ma per un attimo ho la sensazione che Eddie si sia addormentato, perché non parla, anche se lo sento respirare “Eddie? Ci sei? Sei sveglio?”
“EH?! Sì sì, scusa, mi ero distratto”
“Ti stavi addormentando? Forse è meglio se riposi un po'”
“Nah, tranquilla, non sono stanco, dormirò quando sarò morto”
“Eheh come dice Warren Zevon”
“Conosci anche lui? Sono sempre più stupito”
“Quella la conoscono tutti...”
“Non proprio tutti”
“Comunque, ti avevo chiesto del concerto di domani sera. Sei pronto?”
“Prontissimo, non vedo l'ora”
“Beh, se dormi un po' il tempo passa più velocemente”
“Non mi va di dormire, anzi, dopo aver chiuso con te mi sa che andrò a cercare un po' di onde, c'è una spiaggia niente male qua vicino”
“Ma si fa surf anche adesso? Non fa freddo?”
“Mmm no, la temperatura è gradevole. E' l'acqua che è gelata”
“Appunto! Come fai?”
“Va beh, basta mettersi la muta”
“Aaaaaaah, con la muta!”
“Eheheh per forza, se no muori assiderato”
“Ma le parti che non sono coperte dalla muta non si assiderano ugualmente? Me lo sono sempre chiesta, la testa per esempio”
“Nella mia non c'è molto da congelare, quindi non ho mai avuto problemi”
“Ahahahah questa era un po' scontata”
“Avete ragione, mia regina, mi perdonate questo scivolone nella comicità spicciola?” Eddie ride di sottecchi e io con lui, almeno finché non mi accorgo di avere una mano su un seno da chissà quanto mentre Eddie parla.
“Cazzo!” esclamo quando vergognandomi come una ladra stacco la mano a tutta velocità sbattendola inavvertitamente al muro.
“Che succede? Tutto ok?” domanda preoccupato.
“Sì sì, scusa è che... mi stava cadendo un piatto! L'ho preso al volo eheh”
“Colpa mia che ti distraggo?” eccome Eddie, sapessi quanto.
“Ma no, figurati! Comunque, ti lascio andare a fare surf se vuoi”
“Ho tutto il giorno per surfare, ci posso andare quando voglio. Adesso preferisco parlare ancora un po' con te, se ti va”
“Certo che mi va” rispondo osservando le nocche arrossate e le dita che cominciano a raggrinzirsi per lo stare in acqua. Io ci starei anche le ore al telefono con te, ma prima devo cercare un modo per sovvertire le leggi della fisica, contrastare le spinte di Archimede e non spostare alcun liquido nel togliere il corpo che ci ho immerso prima. Corpo che tra l'altro è il mio e che a quanto ho visto ha cominciato a prendere iniziative al di fuori del mio controllo.
“Perfetto. Allora, vogliamo parlare dei Violent Femmes?”
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plopstories-blog · 5 years
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The jay
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The man found a newborn dove in his garden, near the access gate. The man identified the bird as a “baby pigeon”, because he was not aware of the difference between pigeons and doves, although they populated in large numbers the same spaces he lived in.
The man could not keep going on his way, ignoring the little bird and to test its vitality he touched the animal with the tip of his shoe. When the bird opened its eyes and began breathing rapidly, the man experienced an ambivalent feeling of relief and frustration: would it be dead or nearly so, he would have surely felt a deep sadness but this would have been rapidly washed away by the necessary acceptance of the inevitability of fate of which, in that case, he did not have to be an actor. Now, instead, the man was called to action, or at least to the decision of the non-action. He knew that the possible scenarios weren't comforting. Were he to choose to “save” the bird, the man didn't know how to take care of it: he was ignorant of what kind of food would be appropriate for a “baby pigeon”, as well as the way to deliver that nourishment. He did not know if it had to be kept inside or outside, warm or cool. He realized that he would have condemned the dove to a slow agony till the day he would have found it lifeless inside the shoebox. And, of that death, but more importantly of that inevitable suffering, the man would have felt responsible. Moreover, he was able to understand how, for that poor bird, he only represented a big predator by whom, to be picked up, closed into a box and moved inside an apartment, would have not been a source of relief, but surely just one of more terror. On the other hand, leaving the bird there would have brought it to its death just as well, by the cold, starvation, or by the hand of a bored cat. This scenario, not unlike the other one, would have prolonged its suffering for many minutes, maybe hours. The man could almost directly experience the dove's mental process, who knew it was about to die and there it waited, and the internal feeling of acute despair was his own as if it were him, and not the dove, to be the victim of a powerful and cruel fate.
But at that moment a memory surfaced from the depths of his mind: some months before the man had witnessed a strange and horrifying scene, which now seemed to make much more sense. An unknown bird (it was a Garrulus Glandarius or a jay, but he could not know) had kicked another “baby pigeon” out of its nest, and with powerful pecks to the neck, it had chopped the little head off. This being done, the bird flew up to a tree and started ripping off little flaps of red meat from its prey’s skull with the utmost simplicity. At the time the man had been horrified in the way that only who has never been subjected to the ferocity of nature can be horrified. But now, the jay behaviour perfectly placed itself inside a wider chain of reasoning that was just rising inside the man’s head about the necessary cruelty of life. That murdering act, completed with the total lack of feeling or cognitive process, seemed now one of the purest and truest things he had ever had the chance to witness. Surely the little dove had died poorly, but this was part of the wonderful cycle of life so much so that the jay’s behaviour became for him an oracle able to work as a link between nature and himself.
This epiphany allowed the man to solve the puzzle of the little dove: with no more doubts and a with a light heart, the man picked up the bird, stared right into its dark eyes that seemed already to know everything, and chopped its head off with a precise bite at the base of the neck.
La ghiandaia
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L’uomo trovò una tortora di pochi giorni sotto casa sua, attaccata alle pietre della rampa d’ingresso. L’uomo classificò quell’essere come “cucciolo di piccione”, perché non aveva idea della differenza tra tortore e piccioni, sebbene questi popolassero in grandi quantità gli stessi suoi spazi. L’uomo, inoltre, non pescò nel suo vocabolario il termine “pullo” biologicamente più corretto, ma il suo lessico interno si accontentò di un più immediato e generalizzabile “cucciolo”.
L’uomo non riuscì a continuare per la sua strada ignorando l’uccello tremante. Gli diede un piccolo colpo con la scarpa per testarne la vitalità, provocandosi un’ambivalente sensazione di sollievo e frustrazione quando quello aprì gli occhi aumentando la frequenza del respiro. Fosse stato morto o quasi morto, l’uomo avrebbe di certo sperimentato un sentimento di triste sconforto ma questo sarebbe poi stato rapidamente diluito dalla percezione dell’ineluttabilità del fato, di cui, in quel caso, non avrebbe dovuto esserne un attore. Ora invece, l’uomo era chiamato all’azione, o almeno alla decisione della non-azione. Sapeva che gli scenari possibili non erano confortanti. Se avesse deciso di “salvarlo”, l’uomo non sapeva come occuparsi del pennuto: ignorava il tipo di cibo necessario alle esigenze di un “cucciolo di piccione” e le modalità con cui somministrare tale nutrimento. Non sapeva se andasse tenuto in casa o all’aperto, al caldo o al freddo. Si rendeva conto che se lo avesse preso con sé, lo avrebbe costretto a una lenta agonia, fino al giorno in cui, tornando a casa, lo avrebbe trovato privo di vita nella scatola di cartone. E di quella morte, ma soprattutto di quella ineluttabile sofferenza, l’uomo si sarebbe sentito responsabile. In più, l’uomo era in grado di capire come per quel povero uccello lui rappresentasse solamente un enorme predatore dal quale l’essere raccolto, chiuso in un contenitore e spostato in un appartamento, non sarebbe stato fonte di sollievo, ma soltanto di ulteriore terrore. Se d’altra parte lo avesse lasciato lì, l’uccello sarebbe di sicuro perito a causa del freddo, dell’inedia o peggio ancora per opera di un gatto annoiato; anche in questo caso la sua sofferenza si sarebbe protratta ancora per molti minuti, forse addirittura ore. L’uomo, a questa idea e alla percezione quasi fisica del processo mentale della piccola tortora che sapeva di stare per morire e lì aspettava, si sentiva male. Gli pareva quasi di percepire dentro di lui una angoscia acuta, come fosse lui stesso in balia di un essere enorme e potente e di un fato crudele.
All’uomo riaffiorò tuttavia in quel momento un ricordo: qualche mese prima aveva assistito a uno spettacolo strano e terrificante, ma che ora gli sembrava in un qualche modo sensato. Un volatile non identificato (era un Garrulus Glandarius, ovvero una ghiandaia, ma lui non aveva modo di saperlo) aveva spinto giù dal nido un altro “cucciolo di piccione” e beccandogli il collo gli aveva staccato la testa. Fatto questo, l’uccello si era posato su un ramo, iniziando a strappare piccoli lembi di carne rossa dal suo bottino. A quella vista l’uomo era rimasto orripilato, come rimane orripilato chi non è mai stato sottoposto in vita sua ai processi del mondo naturale. Ora però, quel gesto del volatile carnivoro si incasellò all’interno di un più ampio discorso riguardo la necessaria crudeltà della vita che gli si stava lentamente formando dentro. Quell’atto omicida gli sembrò ora una delle cose più vere e pure che avesse mai avuto modo di osservare; di sicuro la piccola tortora aveva fatto una brutta fine, ma questo era nel contesto del meraviglioso ciclo dell’esistenza, al punto tale che il comportamento della ghiandaia fu letto come un monito, come un oracolo in grado di agire da anello di congiunzione tra lui e il mondo del naturale.
Quell’epifania gli permise così di uscire dall’impasse creato dalla presenza della piccola tortora: senza più dubbi e con il cuore leggero, l’uomo raccolse il pennuto, lo guardò dritto nei piccoli occhi neri che gli parevano sapere già tutto, e gli staccò la testa con un preciso morso alla base del collo.
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yesiamdrowning · 7 years
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e se poi te ne penti?
Cambiare è difficile per tutti. Quanto difficile sia analizzare i motivi che ci portano a mutare o non mutare nulla nei nostri percorsi non è invece cosa agevole. A volte cambiare converrebbe, eppure, allo stesso tempo, se non vogliamo mutare è per il nostro interesse. Sembra una contraddizione, ci conviene cambiare corso, eppure ci conviene conservar tutto com'è perché temiamo di perdere quel che abbiamo, o di alienarci simpatie, o di mutare equilibri. Se questo è vero per le decisioni della nostra vita, decisioni che dobbiamo prendere noi, è anche vero e a maggior ragione per gli artisti ai quali siamo costretti a delegare la nostra voglia di buona musica. E deleghiamo più volentieri a due categorie di musicisti: quelli che ci danno o almeno ci promettono di volta in volta una palingenesi totale, che proprio per essere una palingenesi e totale non potrà mai avvenire o capita difficilmente senza trovarci davanti un altro gruppo, oppure quelli che si assolvono dicendoci che esistono mille miliardi di sfumature e loro sono solo una di queste, prendere o lasciare. In una scala da 1 a 1O, un David Bowie è stato un punto 9 tra i primi e Lemmy Kilmister tra i secondi esponenti. Ho imparato a conoscere con diffidenza anche una terza categoria, quella di chi vuole che tutto venga preso allo stesso modo, ossia bene, come viene viene. Come gli attuali pesi massimi di categoria: i Kasabian, che prima erano rock, poi pop, poi psichedelici, poi elettronici e ora una roba rock da FM per gente che gira con le borchie sulle scarpe da ginnastica. Insomma, diffido della buona fede di quanti non sanno che pesci prendere per fare il famoso grande salto.
Così, quando i canadesi Arcade Fire hanno iniziato a promuovere il nuovo disco, quel Everithing Now che già dal titolo pare abbozzare manie di onnipotenza che metà bastano, a suon di falsetti (nel singolo Electric Blue) e approccio generale disco-oriented (i singoli di Signs Of Life ed Everything Now), stampa, social e webzine si sono scatenati. Tra entusiasmo, sarcasmo e indignazione per ciò che sembra essere un nuovo corso degli autori dell'epocale Funeral – spartiacque e unità di misura a cui riferire di lì in avanti tutto il resto. Ottenendo la prova tangibile di che Mondo siamo e perché non ci spostiamo mai in centimetri  ma in trend - nonostante l'apparente buona volontà di tutti.
La novità fa male, soprattutto per chi vuole rimanere fedele a sé stesso a torto o a ragione ma anche a chi aspetta un passo in un'altra direzione per vedere l'effetto che fa. La novità altera la realtà, per come siamo abituati a percepirla. Ma non occorre essere dei critici o storici per capire che il futuro musicale, interessato da alti tassi di denatalità artistica, sia condizionato dall'ispirazione fruttuosa o meno dei più talentuosi. Negli anni passati, in molti si sono scatenati verso le evoluzioni musicali di chicchessia, quasi sempre a torto. E ciò che accade oggi con gli Arcade Fire è figlio dei precedenti con gli Horrors, e prima coi Primal Scream, e prima ancora con i New Order, e tutti gli altri casi per i quali ci siamo persi in chiacchiere conviti che il pozzo non si sarebbe mai esaurito. Certo si sono sprecate colonne e fior fior di caratteri in disamine per elogiare o schernire le varie mute stilistiche di chicchessia, ma mai a nessuno era venuto in testa che un giorno avremmo dovuto far affidamento (anche) su di loro perché i miti sarebbero morti tutti, a uno a uno.
Per farlo non ci voleva coraggio, ne senso critico: per quelli serviva essere lungimiranti che poi è da sempre la cosa più difficile. Che si tratti di musica, politica o della vita. Che è una cosa diversa dal “ora che vedo nelle classifiche rock gli Imagine Dragons sto rivalutando Marilyn Manson” perché qui non stiamo parlando di salvare il meno peggio o chi brucerà più lentamente, il discorso è un po' più sottile. E non si tratta nemmeno di incoraggiare l'abiura dell'onestà intellettuale, che è un'altra cosa ancora. Si tratta di non giudicare sul nascere, costringendo gli artisti a tornare sui propri passi o, più di rado, a spingere sul piede dell'acceleratore verso idee pessime. Pensateci, è per questo che alle idee sviluppabili da Get Ready, Peter Hook preferisce quei memorial tanto dubbi quanto lucrosi, i Primal Scream sfornano dischi di trascurabile copia e incolla invece di proseguire per la strada di Evil Heat e gli Horrors sono spariti dopo i sobbalzi di mille pareri per il cambio di rotta. Discorso analogo si potrebbe fare per The Strokes o i Marlene Kuntz in Italia. A me, che non sono certo stato sempre immune a questo tipo di giudizi affrettati, la scintilla si è accesa per puro caso, con l'ultimo lavoro degli Arcade Fire. Scintilla nel senso di meccanismo della mente tanto semplice, quanto necessario, da esser stato puntualmente ignorato da tutti quelli più scaltri di me: meglio allontanare certi pensieri, ma non per timore, bensì – che è molto peggio – sapendo (o sperando) che la bomba è troppo ghiotta per non detonarla. Tanto tra dieci anni sarà impossibile rintracciare le responsabilità di un'esplosione sulla band di turno. Giovanni Ansaldo de L'Intenrazionale la usa per promuoverli, però sottolineando forse lo zampino del contratto con la Columbia; su Pitchfork, Jeremy Larson la usa per sfottere chiedendosi dopo la disco dove andranno a finire. Claudio Lancia su Ondarock, la usa per additarlo come primo candidato ad album peggiore dei canadesi ma poi gli mette 6,5.  Lo stesso è successo ovunque, dal vlogger Anthony Fantano e il suo milione di iscritti al Times che di lettoni ne ha un tantino di più, passando per Rumore e La Repubblica. Lo stesso successe agli Editors di In This Light And On This Evening, che hanno tenuto botta per qualche anno e, dopo il nuovo gioco al massacro per l'ulteriore passo di The Weight of Your Love (4 sul NME, addirittura 1 sul Rolling Stone) si sono ributtati sui sentieri più nu-nu-wave che li avevano fatti conoscere e resi celebri. Discorso inverso invece, per esempio, con Gwen Stefani che, nata con un background punk e ska, trovandosi letteralmente mitizzata per la sua svolta un po' Madonna un po' Salt 'N' Pepa, ha abbandonato progressivamente del tutto i panni della skater per indossare quelli della starlet. Ecco, in un verso o nell'altro, che poi non so quale sia peggiore, cerchiamo di non giocarci pure gli Arcade Fire.
Seppure non siano paragonabili neanche di striscio alla rivoluzione apportata da Bob Dylan quando abbandonò l'acustica per l'elettrica, la domanda resta: e giusto o no demolire qualcuno per la voglia di novità; cosa è meglio, sputtanarsi o persistere?
Questo credo: che la mente del singolo individuo, libera di esplorare ovunque, è la cosa più preziosa al mondo. A patto che non nasconda inganni e scorciatoie, per questo sono disposto a battermi: per la libertà dell'intelletto di imboccare qualsiasi direzione decida, senza dettami. E contro questo devo battermi: qualsiasi idea critica che limiti o distrugga l'individuo come artista. Questo è ciò che sono e ciò che voglio. Capisco bene perché un sistema costruito su una serie di schemi ripetitivi tenti di annientare il libero pensiero: la mente indagatrice è capace di distruggerlo. Lo capisco e lo odio. E intendo combatterlo per perseverare l'unica cosa che ci distingue dalle bestie prive di creatività. Se si può uccidere questo stato di esaltazione creativa, allora siamo perduti.
Reactor di Neil Young, Zoo Tv degli U2, Experimental Jet Set dei Sonic Youth, Figure 8 di Elliott Smith, The Great Destroyer dei Low, Perdition City degli Ulver, Alternative 4 degli Anathema, Option Paralysis dei Dillinger Escape Plan. Tutti dovremmo vedere i mutamenti come possibile opportunità. Trattarli coi guanti di velluto. Il futuro della musica che ascolteremo è troppo fragile per darlo in pasto a gente a caso. E troppo importante per abbandonarlo a giudizi utopici o distopici. Altre immaginazioni e altri punti di vista potrebbero essere il punto di partenza per futuri slanci. Dovremmo attingere a tutta la follia, l'intuizione e l'imprevedibilità. La fiducia, d'altra parte, è fiducia. O c'è o non c'è. Indipendentemente da quanto siano severe o liberali le regole del gioco. E' un attimo. Si accetta di c(r)edere alle nuove opportunità della vita oppure no.
Come abbiamo visto non è semplice decidere (e azzeccare) ma l'analisi storica è dalla nostra parte: il mercato della musica ha affrontato una crisi simile a questa dovuta all’introduzione di una nuova tecnologia, ben più grave di quella odierna, e morti illustri, ugualmente impareggiabili come quelle odierne. Negli USA tra le due guerre, l’avvento della radio determinò il crollo di vendite dei dischi, affiancata alla scomparsa di icone del calibro di Bessie Smith, Robert Johnson e Maurice Ravel. Si dovranno aspettare gli anni Cinquanta per una ripresa. Dovuta alla chiusura delle radio? Alla nascita di nuovi Glenn Miller e Charlie Patton? Macché: è stato il Rock a fare ripartire il mercato e l'amore per la musica. Una novità. E anche in questo caso, credo che sia stata la musica a salvare la musica; ma non dal normale ciclo della vita, bensì dal mercato del pesce, venduto un tanto al chilo – più un featuring.
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isabelamethyst · 6 years
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    📎 ❪ MEMES ROLE 29 ╱ 12 ╱18 ❫          ɢɪғ ʀᴏʟᴇ #ʀᴀᴠᴇɴғɪʀᴇ        ⋰ logan  &&  isabel ⋰       ►   ❛ Dovresti rendere le tue storie più interessanti di un "" bla bla, bla "" ❜
  Inclina leggermente il capo verso sinistra e passa rapidamente la lingua sulle labbra lasciando che un piccolo sorriso si dipinga poco a poco sul volto del giovane Prince. ‹ ‹   ━━ potrei ma non voglio, non con te sai, è divertente quando fai quelle espressioni annoiate dove hai scritto praticamente in fronte "" sto per buttarmi dal balcone pur di non starti a sentire "" e, se questo è un modo per infastidirti be', continuo a fare il bla, bla, bla.  › › Scrolla le spalle mantenendo il sorriso dipinto sulle labbra ed appoggiando la propria schiena alla parete, con le braccia incrociate. Nulla di più e, nulla di meno.
Isabel Amethyst M. Hughes
Conosceva il giovane Price, esattamente come conosceva la sorellina minore Allison, ex compagna di liceo, ma il battibeccarsi con il maggiore era sempre all'ordine del giorno. Ciò che aveva detto la Hughes era un semplice consiglio, sempre con quella punta di sarcasmo che impregnava ogni sua affermazione, ma senza alcun tipo di accusa. La giovane si ritrovò ad alzare un sopracciglio con fare stranito, prima di rotearli ed assumere un'espressione quasi scocciata, ma sempre divertita. « Fammi pensare... Potresti avere un futuro come comico, sai? E comunque il mio era solo un consiglio, Price. Piuttosto sono settimane che non ti fai vedere in giro. »
Logan Julian Price
‹ ‹ Comico? › › domanda fingendosi interessato. Nah, Logan può essere / t \ u / t \ t / o \ tranne che comico e questo? Ne è più che consapevole lui stesso. ‹ ‹ Nah! › › muove la mano come per dare più enfasi a quella piccola e semplice parolina. ‹ ‹ Anche se, te mi fai da assistente, potrei farlo. Solo per te. › › Ammicca nella sua direzione. Si,okay, la sta / leggermente \ prendendo in giro ma, hey! È più forte di lui. ‹ ‹ Già, ho avuto anche io i miei """ problemi """, per così dire. E poi, domani parto con mia sorella. A te invece, come va la vita? A parte essere l'assistente di un comico bellissimo, simpaticissimo ed intelligentissimo? › ›
Isabel Amethyst M. Hughes
Era divertente Logan Price, tuttavia qualche suo atteggiamento sembrava essere addirittura forzato, quasi come se fosse un Fonzie dei giorni nostri. Senza nemmeno accorgersene la Hughes si ritrovò a scuotere appena il capo in modo divertito, nonostante la presa in giro dell'amico. Isabel era infatti piuttosto permalosa caratterialmente, eppure Logan non era stato in alcun modo sopra le righe. Conosceva ormai da tempo la famiglia, e nonostante il rapporto più forte fosse con la sorella minore Allison, Logan era un po' il pilastro dei Price. « Non fare il furbo, Price... » Nella sua voce vi era divertimento e quella punta di ammonimento fu ben presto spazzata via dalla sua successiva battuta. « Modesto, eh? Comunque direi bene... Non voglio immaginare come sarà questo nuovo anno! E dove ve ne andate? Viaggio di capodanno? O inizi il tour, perché in quel caso dovresti portare anche la sua assistente strabiliante, sai?! »
Logan Julian Price
Passa appena la lingua sul labbro superiore e sghignazza divertitoquando sente quelle prime parole da parte della giovane. Aveva appena chiesto di fare il furbo. Insomma...ha chiesto l'impossibile. È come chiedergli di smettere ad essere così perfetto ( secondo il punto di vista di Logan, ovviamente ) quindi, impossibile. ‹ ‹ Chiedi troppo dolcezza. › › risponde a sua volta ammiccando nella sua direzione. ‹ ‹ Abbastanza modesto, si. › › annuisce appena con il capo per poi concentrarsi ( seriamente ) sulla ragazza. ‹ ‹ ---- non vuoi immaginarlo per la speri in qualcosa di positivo o...negativo? › › domanda passando una mano tra i capelli biondi, mentre appoggia la schiena contro lo schienale della sedia. ‹ ‹ aha ---- ehm, onestamente non lo ricordo. Ha scelto Allison la destinazione, io ho solo prenotato. › › ricorda bene che è un luogo con mare, spiaggia e taaaanto sole. Ma ora? Gli sfugge seriamente il nome. ‹ ‹ Niente tour, niente tour, è una vacanza ma questo mi fa pensare che tu, voglia venire o, forse è solo una scusa per starmi accanto. › ›
Isabel Amethyst M. Hughes
La Hughes sapeva esattamente che dire di non fare qualcosa ad un tipo come Price era come invitarlo a nozze nel compiere quell'esatta cosa, ma in quel momento fu più forte di lei. Ridacchiò divertita per quell'ammiccamento in cui, tuttavia, non vide nulla di serio. Quante volte si era ritrovata in situazioni come quelle, in cui era lei stessa a giocare con il sesso opposto? Ogni atteggiamento o movimento del biondo sembrava essere studiato, una posa per voler conquistare, e la Hughes ne era quasi divertita. « Spero in qualcosa di positivo... Chi non lo farebbe? Ma sono sempre pronta ad aspettarmi il peggio. Ad ogni modo... » Confessò mantenendosi però seria in quel momento. Ma quell'istante sembrò durare una frazione di secondo, perché alla successiva battuta Isabel non riuscì a trattenersi. « Certo, perché ora che sono accanto a te, come posso vivere dopo aver visto cotanta bellezza? —— Ma smettila, quindi parti per una destinazione misteriosa, ti senti il Dio sceso in terra e poi che altro? Aggiorna questa piccola curiosa... »
Logan Julian Price
Lancia un rapido sguardo alla ragazza mentre ascolta le parole di ella. Sì be', ha capito il suo punto di vista e sì ( ancora una volta ) , lo condivide. ‹ ‹   ━━ almeno parti preparata.  › › scrolla le spalle mentre pronuncia quelle parole e passa rapidamente una mano tra i capelli biondi, mentre incrocia le braccia al petto. ‹ ‹   Esatto, oh guarda! Pulisciti qui ━━   › › e sì, fa una piccola pausa mentre indica il lato destro delle labbra di lei per poi riprendere a parlare. ‹ ‹   Stai sbavando. Piccola curiosa? Aha, un ottimo soprannome per te.   › › il che è vero, in un certo senso, no? ‹ ‹   Ho detto anche troppo in teoria, adesso, tocca a te. Avanti, ti ascolto Miss " Sono Curiosa Ed Innamorata Follemente Di Logan Price "" .   › ›
Isabel Amethyst M. Hughes
L'atteggiamento del giovane era divertente, al limite quasi del saccente, ma non che desse sui nervi, anzi. Lo osservò passarsi una mano tra i folti capelli biondi, e un poco la newyorchese doveva ammettere che tra Logan e Allison vi fosse una straordinaria somiglianza. Inclinò di poco il capo ma quando lo sentì parlare scosse la testa con un sorriso sulle labbra che ora tratteneva a stento. « Molto divertente, playboy dei giorni nostri... » Lo prese in giro ma questa volta Isabel sembrò avere una luce diversa negli occhi, quella dell'inguaribile curiosità che in lei faceva sempre capolino. Fin da quando era piccola, la giovane Hughes sembrava avere una predilezione per quanto riguardava la curiosità, una ricerca costante immancabile nella sua quotidianità. Il tono di voce, in quella circostanza, si fece appena più roco, immedesimandosi completamente nella situazione. Accavallò le gambe, e si avvicinò al biondo. « Io, sbavare? Tesoro, sei tu che non sei mai stato al cospetto di una vera reginetta, ma non ti preoccupare ti concedo essere il mio umile servo... E potrei dire lo stesso di te, sai? Vedo già la fila di donne che vorrebbero cavarmi gli occhi... Mmh, Logan Price che perde la testa per una compagna di liceo di sua sorella... Potrebbe essere quasi il titolo della sezione gossip del Raven's News... »
Logan Julian Price
Sì, Logan si ritrova ad osservare ogni singolo movimento da parte della giovane che si trova di fronte ai propri occhi. Inclina il capo verso destra e passa lentamente ( ma anche / fin troppo, forse \ sensualmente ) la lingua sulle labbra mentre mantiene il contatto visivo con la Isabel. ‹ ‹   ━━ lo so, ho un ottimo spirito dell'umorismo e sai la cosa assurda?  › › domanda, fingendosi sconcertato ‹ ‹   che la mia sorellina non sempre capisce le mie battute dici che, dovrei ritenermi offeso o, è colpa sua?  › › ed eccolo lì, un mezzo sorriso che si dipinge sul volto del giovane Price. Non appena Isabel si avvicina appena in direzione del ragazzo, Logan non può fare a meno di svolgere la stessa azione e, di conseguenza, si avvicina a sua volta. Solleva il sopracciglio sinistro non appena sente le parole di lei e no, non osa proferire parola. Le scappa una ( okay, più di una ) risata. ‹ ‹   ━━ non vedo nessuna reginetta.  › › e sì, pronuncia quelle parole tra una risata e, un'altra ma sì, decide comunque di stare al suo gioco. Si inginocchia a terra e, strisciando con le ginocchia ( sorpassando il tavolo ) si avvicina completamente a lei portando le mani sulle gambe di Isabel come per avere un appoggio e non perdere quindi, l'equilibrio. ‹ ‹   ━━ sì mi reina ( aveva questa pronuncia? Anch'io ho la memoria corta, ogni tanto ) , sono il suo umile servo innamorato follemente di lei! Fate di me ciò che volete, non mi interessa!  › › eee sì, Logan stava recitando ( anche fin troppo bene ) la scena ma, poco dopo, torna serio. ‹ ‹   sto' scomodo, basta.  › › e si alza da terra tornando al proprio posto, pulendo i propri pantaloni con le mani, con gesti..eleganti. ‹ ‹   Sì, perché no?! Magari ci facciamo scattare una foto / o forse, è meglio un video? \ mentre ti chiedo di sposarmi.  › ›
Isabel Amethyst M. Hughes
Lo sguardo di Logan sembrò indagare, studiare ogni mossa della Hughes, quasi come se fosse sotto la sua lente di ingrandimento. Tale atteggiamento, tuttavia, era lo stesso che la newyorchese gli stava letteralmente riservando, e di certo non passò inosservata ai suoi occhi il movimento con la lingua. Mantenendo lo stesso contatto visivo, ella mosse appena il capo, facendo poi roteare gli occhi, ma senza riuscire a trattenere quel sorriso che le partiva dalla parte più profonda di sé. Era bello poter ridere di cuore, essere spensierata, e quel mezzo sorriso sulle di lui labbra, che avrebbe potuto far sciogliere il cuore di mille ragazze, non fece altro che stimolare la giovane a stuzzicarlo maggiormente. « Ehi, probabilmente non tutti hanno la capacità di cogliere la tua ironia, io ne sarei quasi soddisfatta. » Ora avvicinata al biondo, ella seguì il suo movimento ma solo quando affermò quell'eresia, la mora fece un cenno della mano, come ad allontanare un qualsiasi suddito diventato ora di troppo. Poggiò nuovamente la schiena allo schienale della sedia, voltò il capo di lato allungando perfettamente il collo come una qualsiasi regina e tese la mano, recitando a perfezione quella sceneggiata in cui si stavano divertendo entrambi un mondo. « Cavaliere, questo amore è dannato, voi non potete avermi, né ora ne mai... Mi struggerò d'amore per voi, sarò sempre la vostra reina, la reina del vostro corazon... » Portò l'altra mano sulla fronte recitando egregiamente la parte della regina addolorata di fronte ad un amore impossibile, prima di scoppiare a ridere a crepapelle. Non riuscì più a trattenersi e quando lo osservò sedersi nuovamente di fronte a lei, ella s'avvicinò nuovamente ridendo ancora. « Te l'hai mai detto nessuno che sei davvero buffo, a volte? Ad ogni modo se mai uscisse / davvero / un video di te che mi chiedi la mano, come minimo dovrei scappare da Ravenfire... E hai tempi nostri, dovremmo fare un pubblicato su Twitter, un post su Facebook e mettere una diretta su Istagram! »
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iosonoiltrionfo · 8 years
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Dialogo tra la Sfiga e la sottoscritta
Questi sono gli avvenimenti: cammino per la strada in un nebbioso lunedì di Ottobre: ore 7:45. L’Autunno ha lasciato sull’asfalto del marciapiede una coperta di foglie scrocchianti come pizza appena sfornata e il mattino, con il suo oro in bocca, canta attraverso il vento, gli uccellini e il rumore delle marmitte difettose delle macchine che passano al mio fianco. Zaino in spalla, petto gonfio, schiena dritta. E’ lunedì; sì, è lunedì, ma ciò non significa solo terribile rodimento d’animo, non è solo desiderio di starsene dentro il letto fino al venerdì successivo; lunedì significa ricominciare da zero! Nuove possibilità, nuovo desiderio di riscatto, e perché no… magari, se sarò capace e degna, questa potrebbe essere la mia settimana! Animata da questi pensieri anche fin troppo ottimisti, riesco a strappare un sorriso ad un passante un po’ musone che porta al guinzaglio un barboncino vanitoso dal lucido pelo color pece. Ma ad un certo punto, ecco scatenarsi il peggio. Il cielo si incupisce,si annuvola, si spegne. Inizia a piovere a dirotto, e le gocce di pioggia lasciano il posto a pezzi di grandine che arrivano a spaccare vetri e finestre. Un buio profondo cala. Sento un suono secco, metallico, seguito da un rumore estremamente fastidioso di clacson. Mi volto, e ciò che vedo è un frontale, tra due macchine che quel giorno non hanno avuto grande fortuna. Di fronte a me alcune foglie secche iniziano a svolazzare dapprima lentamente, in moti circolari, poi con gran foga, generando un tornado senza eguali. Sembra la fine del mondo, ma io non mi faccio prendere dal panico, non subito almeno, perché so cosa sta per succedere, dato che non è la prima volta che mi capita. Vorrei scappare, urlare, scappare urlando, ma so che sarebbe completamente inutile. Questo è il modo in cui Lei si presenta a me. In maniera caotica, disastrosa, apocalittica. IO: Oh ma grazie, grazie di cuore, Carissima! Hai sempre l’accortezza di preannunciarti con questi effetti scenici così teatrali, di modo che nessuno al mondo arrivi impreparato alle tue domande senza risposta, e alle tue risposte senza domande! Avanti, rivelati! Dove sei? Almeno vieni fuori, così la smettiamo con queste recite! Non sapevo bene dove guardare. In genere la Sfiga si presentava in svariate forme: una volta era stata rospo, una volta una bellissima donna, una volta si presentò nelle vesti dell’uomo che amavo e poi decise di trasformarne il volto in quello di un maiale… non fu un bel momento; E’ un’entità dispettosa e infantile, annoiata e sola. Nei modi ricorda un poltergeist, uno di quegli spiritelli molesti e rumorosi, ma almeno dieci volte più invasiva. Vidi sbucare tra due alberi, sradicati dal forte vento, un piccione, fare un paio di giri intorno a me, e poi appollaiarsi sulla mia spalla destra. Indubbiamente era lei. LA SFIGA: Buongiorno Dolcezza! Ti piace il mio nuovo aspetto? Ho deciso di trasformarmi in qualcosa di piccolo e fastidioso, di modo che non desti troppo l’attenzione degli altri, ma che ti ricordi che io sono qui,  a premere con i miei artigli sulla tua pelle, e a beccarti le orecchie quando cercherai di ignorarmi! Sono stata clemente in questi giorni, ho deciso di venirti a trovare solo oggi perché potessi godere dell’ubriacatura del sabato e del conseguente riposo domenicale! IO: Non dovevi scomodarti, assolutamente. Io e il corso degli eventi ce la saremmo cavata tranquillamente anche senza di te! Ma dopotutto, so bene quanto tu ami farti gli affari degli altri. Però, accidenti, ma non potevi rimanertene a casa, per una volta, una santissima volta in cui tutto scorreva liscio come l’olio? La mia vita è stata attraversata da un fascio di luce così dolce e tenue in questi giorni, e tu devi venirmi a rovinare l’esistenza con i tuoi scherzetti puerili? Per una volta, una volta sola in cui vi era equilibrio tra la famiglia, le amicizie, l’amore, la salute- sicuramente ormai compromessa da questa pioggia torrenziale, grazie di cuore!- , e addirittura i soldi (e quelli non vanno mai bene)! L’oroscopo me l’aveva rivelato, “un cambio di rotta avverrà poiché Marte si allineerà con Plutone; porta con te un ombrello, temporali improvvisi”. LA SFIGA: Va bene, va bene tutto, non credo fosse necessario leggere l’oroscopo. Ma guarda, dovresti vederti mentre parli di queste cose che ti rendono felice, con la consapevolezza che, a causa mia, ne perderai una parte, se non tutte. Hai una tale frustrazione nello sguardo, un’aria di ineffabile sconforto, che mi fa morire dalle risate! Ridicolo! Voi umani siete così noiosi quando siete felici, e siete anche estremamente manipolabili: vi si può dire qualunque cosa, e voi ci credete. E siete anche tanto ingenui… tanto più siete felici, quanto più siete ingenui: credete che tutta la felicità che in quel momento vi è stata riservata possa durare per sempre, quando in realtà, chiariamoci, non è possibile. Esiste un uomo in tutto l’universo che abbia sperimentato una felicità che sia durata più di un anno, o due? Per essere positivi, oltretutto, poiché io conosco uomini che a malapena sono stati felici per una settimana! Per poi dover scontare un periodo di ribaltamento totale, in cui l’intero cosmo sembrava essere adirato con lui, tacciato dalla terribile colpa di aver provato gioia di vivere! Ma, anche se sembra la cosa più ovvia da fare, non per questo devi pensare a me come una sporca e dispettosa punitrice; non badare al mio essere così insopportabilmente egocentrica e ironica! Non pensare di me che io sia infantile, puntigliosa, vecchia e sola, poiché io svolgo un compito molto importante, oserei dire Fondamentale. Io sono colei che risveglia l’Umanità dall’idea che si possa vivere lieti in eterno. Sono il Brutto Evento che ti ha sussurrato all’orecchio che l’unico sorriso di cui fidarsi è quello di una madre, trasformandoti da bambina che eri in ragazza; Sono il Lutto che per la prima volta ha toccato corde della tua sensibilità dove nessuno aveva mai posto le proprie radici, e ti messo davanti l’idea che la morte esiste, e che, prima o poi, rapisce tutti; Sono il Rifiuto da parte di colui che ami, il suo tenebroso silenzio che ti fa diventare matta, ma che ti pone di fronte l’idea che forse lasciarsi travolgere dalle eccessive emozioni  è sbagliato. Sono il Numero che ti fa perdere alla Lotteria. Sono la Delusione delle tue aspettative, lo Sgambetto insensato,  il Rovesciamento delle parti, L’Antimeritocrazia, ma ti faccio crescere, e ti faccio comprendere che il mondo non è sempre giusto. IO: Non hai mai pensato che se non ci fossi tu, forse sarebbe molto più semplice destreggiarsi con certi eventi? La gente impiegherebbe il proprio tempo non a piangere sull’insensatezza del Caso, sul “perché a me”, sul “proprio adesso che”, bensì riuscirebbe a rimboccarsi le maniche, ad affrontare il dolore subito, con meno fatica, con più coscienziosità! Tu dici di ridestare le menti umane ottenebrate dall’ebbrezza della gioia: ma dorme forse, chi è felice? Forse. Ma perché non lasciarlo addormentato nel suo meraviglioso mare di sogni, anziché scaraventarlo nella realtà e nell’incubo di un risveglio improvviso, come un lampo che interrompe l’oscurità della notte con la sua luce accecante? LA SFIGA: Il sognatore vive con l’illusione. Beata forse, ma pur sempre di illusione si tratta. Bisogna svegliare chi dorme. IO: Il paradosso più grande è che tu riporti alla ragione, questo te lo concedo, ma lo fai in maniera del tutto insensata, come fossi matta, senza ordine, senza leggi. Quali regole segui? Perché sei arrivata proprio oggi, proprio in questo determinato momento, e soprattutto, proprio da me? LA SFIGA: Io seguo regole che tu non potresti minimamente comprendere, secondo l’algoritmo della casualità, che è sempre diverso, poiché cambia le carte in tavola ma anche quelle nel mazzo. Ma non è il dove, o il quando, o il come arrivo che deve interessarti, perché non è e non sarà mai di tua competenza. Fatti, piuttosto, delle domande sul “perché”. IO: Sì, sì, sì, ma me l’hai già detto: mi insegni a vivere, mi rendi consapevole, mi rendi realista, e tutte cose incredibili per cui l’Umanità ti ringrazia di cuore! Però in tutto ciò c’è un problema. Mi rendi infelice, fai sì che il mio desiderio di uscire di casa diminuisca giorno dopo giorno, fai sì che mi abbandoni la fame e il sonno… mi togli tutte le speranze, e lo fai anche solo parlandomi dei motivi per cui mi sei così assolutamente utile – se non,addirittura,indispensabile! Dicendomi che è impossibile essere felici per più di una settimana, non fai altro che deprimermi. Dimmi a cos’altro servi, oltre che a questo. LA SFIGA Quando viene a mancare una persona importante, ti rendi conto di quanto tu l’abbia effettivamente amata, e su questo non puoi dissentire. Allo stesso modo, paradossalmente, io vi faccio amare le cose belle quando non le avete più, e venerare la terra sotto che avete sotto ai piedi, nel momento in cui ve la tolgo! Perché voi esseri umani vi siete scordati di tutto. Vi siete scordati della bellezza del mondo, e ciò si palesa anche quando non riuscite a guardare un tramonto con il lume del romanticismo negli occhi, o quando sbuffate di fronte a una pioggia torrenziale- proprio come hai fatto tu poco fa- vedendone solo il lato catastrofico, e non badando affatto alla Natura, così affascintante e selvaggia, che si rende più viva che mai per uno spettacolo unico! O, ancora, è facile dedurre che non sappiate più cosa vuol dire ammirare, perché scegliete sempre la strada più corta, e mai quella più bella alla vista, presi come dai vostri maledettissimi impegni, ammorbati dalla vostra frenetica routine, imbottigliati nella monotonia della vostra corsa al successo. Siete degli ineccepibili ingrati, perché non sapete cosa farvene del respiro del mondo. Non lo apprezzate. Ed è a questo che servo: vi faccio patire le pene dell’inferno, per farvi bramare ciò che prima ignoravate del tutto! Farvelo sfiorare con le dita, e ridurlo in brandelli tra le vostre mani, come grigia cenere… Detto ciò, arrivati a questi grandi sproloqui, sono perfettamente conscia del fatto che,come al solito, vorrà avere l’ultima parola nella discussione. Non vi è mai stato un dialogo con Lei che finisse con un saluto, un commiato. Nello stesso modo in cui arrivava, generalmente andava via, lasciandosi dietro un finimondo appresso all’altro. Intanto, la conversazione si è spenta, e ovviamente, lei pensa di aver avuto la meglio, e con aria soddisfatta, si guarda intorno, osservando quasi deliziata il caos immenso che ha creato attorno a noi. Io invece, penso con impazienza al momento in cui sparirà e riprenderò in mano la mia vita. Finalmente vedo quell’antipatico e pulcioso volatile farmi un cenno con la testa, e sghignazzare (anche se mi domando come possa esserne in grado un piccione).  La guardo smaterializzarsi, dissolversi nell’aria come una fiamma che si spegne e di sé lascia solo il calore. E d’un tratto, la mia spalla è privata di quel piccolo grande peso, insieme a tutto il resto del corpo. Tiro un sospiro di sollievo. Raccolgo il mio zaino, finito dall’altra parte della strada, e mi strizzo i capelli bagnati di pioggia. Guardo l’orologio: sono in ritardo. Naturalmente. Ma decido di non correre; cammino lentamente, e osservo il panorama surreale creatosi intorno a me. Nonostante tutto, sembra che nessuno abbia notato nulla. Tutto ha ripreso a vivere instancabilmente. Il mio respiro si è fatto meno affannoso, ed il mio cuore ha ripreso a battere normalmente, seguendo il movimento del vento che soffia calmo sulle chiome degli alberi. Vado avanti, per quella strada da cui poco prima si erano snodati pensieri positivi oltre ogni aspettativa. E mentre il mio flusso di coscienza continua, d’un tratto mi trovo con la faccia rigorosamente a terra. Non capisco come possa essere successo, mi vortica la testa velocissimo. Faccio per guardare dietro di me, tramortita, ancora seduta, e individuo una buccia di banana in terra. Sento, da una zona non ben definita, ma non troppo lontana, una risata sghignazzante. E poi di nuovo quella voce. “Teatrale, non è vero?” Ed è a questo punto che capisco che non è ancora finita. Sarà una lunga,lunghissima settimana.
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phoo34 · 8 years
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Dopo un periodo di qualche mese, preso dagli impegni quotidiani mi accingo a scrivere questo nuovo intervento, intervento che scaturisce, come sempre da riflessioni, ricerche e dal confronto con diversi amici su posizioni ed ipotesi varie. Il tema di questo intervento è su cosa sia lo ZED; non essendo ancora stato rinvenuto (ufficialmente) un manufatto che corrisponda in toto o in parte a quanto si osserva nelle diverse raffigurazioni, per altro esclusivamente riferibili all’antico Egitto, attorno a questo oggetto si è creato un alone mitologico, magico o addirittura religioso. Ma cosa è o cosa sarebbe in realtà lo ZED? È esistito o esiste realmente? Le diverse ipotesi sulla natura e lo scopo dello ZED, denotano che attorno a questo argomento c’è una gran confusione; non è mia intenzione ne mi interessa cercare di “unificare” le varie ipotesi, anche se leggendo l’intervento si possa pensarlo, piuttosto, come da mia indole amo le prospettive ampie, profonde e a 360° e questo inevitabilmente influenza il mio modo di vedere e quello che scrivo, come mia consuetudine cercherò di dare una panoramica il più possibile completa e coerente, provando a trarre delle conclusioni concrete, seppure teoriche, considerando proprio il fatto che eccetto per la struttura interna alla Piramide di Cheope denominata ZED, non vi sono altri esempi di questo oggetto se non appunto le sole raffigurazioni.
Ora è da quando la civiltà umana si è evoluta in una civiltà tecnologica, che schiere di ricercatori e scienziati di ogni branca si trovano disarmati di fronte alle opere realizzate da antiche civiltà ed incapaci di dare una risposta esaustiva e compiuta sul come e con quali tecniche quelle opere poterono essere realizzate attenendosi alla l’ortodossia scientifica dominate. Va però detto che quella sorta di muro è costituito da presupposti preconcetti, che si basano sul principio secondo cui gli antichi popoli disponessero solo di attrezzi e strumenti rudimentali e tali strumenti riuscirono a realizzare cose che ancora oggi, con la nostra più avanzata tecnologia, risulta difficile da eguagliare sia per maestosità sia per i diversi aspetti qualitativi
Mi sovviene di fare una riflessione su questo ultimo paragrafo, perché ammesso e non concesso che abbiano ragione, ne consegue una considerazione per niente lusinghiera della moderna umanità o meglio/peggio delle su intelligenze, perché di fatto una tale visione attesterebbe che di fatto, l’uomo moderno sarebbe più stupido rispetto i suoi antenati, i quali muniti di semplici attrezzi di rame, legno e funi di canapa eressero strutture e monumenti che sbalordiscono; ma forse si vuole intenzionalmente indurre nell’uomo comune un senso di inferiorità e Perché? È possibile che vi sia in atto una sorta di “restaurazione”, un tentativo di imporre un “neo medio evo” in cui sacerdoti e clero vengono sostituiti da scienziati, finanzieri e industriali?
Torniamo al punto, dunque se cancelliamo il presupposto che le antiche civiltà disponessero solo di strumenti rozzi e rudimentali, il panorama cambia radicalmente, tutto potrebbe essere possibile, ma è doveroso evitare il rischio di cadere nel mare delle congetture e delle ipotesi. L’unico modo per evitare una deriva eccessivamente fantasiosa è prendere in considerazione l’ipotesi (del tutto arbitraria) che le antiche civiltà disponessero di una tecnologia, se non superiore a quella odierna, quantomeno analoga; seppure quella tecnologia, quelle conoscenze erano appannaggio di una o più caste e rivestite da un alone magico, mistico e religioso funzionale ad un assetto sociale radicalmente diverso dal nostro, con questo, non escludo le altre ipotesi in gioco, ma concentrare l’attenzione su quelle che possono permettere di estrapolare quella che poteva essere stata la realtà delle antiche civiltà, dandone una maggiore concretezza. Certamente c’è il rischio di passare per “revisionisti” storici, o meglio preistorici, no sono pienamente cosciente, ma sarebbe davvero negativo “revisionare” la conoscenza del passato correggendo, riempiendo o rettificando le lacune, gli errori, gli abbagli che sono stati commessi nei secoli e influenzati da aspetti che con la ricerca ella verità hanno poco a che fare?
Ma veniamo al tema, l’unico oggetto definito ZED di cui ne è stata accertata l’esistenza è la struttura interna alla piramide di Cheope, eccetto questo esistono solo raffigurazioni dell’oscuro oggetto e che rientra nella definizione di ZED, per altro questa struttura sembra essere strettamente funzionale all’intera struttura piramidale, una sorta di armatura “leggera”; in ogni caso che ci si riferisca alla struttura architettonica o ad un indefinito elemento, viene sempre messo in relazione con qualcosa di energetico, a volte in modo nebuloso e vago e a volte in modo esplicito con qualcosa di elettrico. Restando sullo ZED architettonico, stando a quanto riporta Zecharia Sitchin, questa struttura era preposta ad ospitare una serie di cristalli suddivisi per qualità e caratteristiche nei diversi vani, tra questi cristalli spiccava per importanza la pietra GUG “che segnava il nord”.
Come prima osservazione possiamo dire che il termine ZED potrebbe avere una molteplicità di significati o indicare una categoria di qualcosa, quindi a seconda del contesto, assumere un significato ben preciso, di fatto e questo lo possiamo dedurre sostanzialmente dalle diverse raffigurazioni dello ZED che differiscono le une dalle altre per alcuni particolari e ciò anche nelle medesime immagini, quindi possiamo dire con un buon margine di sicurezza che quanto si osserva dai bassorilievi, sono si simili ma sostanzialmente indicano (idealmente) cose diverse, vuoi per utilizzo che per funzione. Come ho detto, è possibile che concettualmente si attribuisca allo ZED un significato erroneo e che in realtà il termine potrebbe indicare una categoria, una funzione, un utilizzo, partendo dal presupposto che taluni bassorilievi siano qualcosa di più che una raffigurazione artistica e commemorativa, ma piuttosto una sorta di “manuale per l’utente” in cui si mostra forma, posizionamento e funzione degli elementi? È pressoché unanime considerare il fatto che lo ZED è associato e/o messo in relazione con qualcosa di energetico, possiamo quindi presupporre che questo binomio comporti di conseguenza che abbia la o le caratteristiche di poter catture, accumulare, amplificare, trasformare, convertire ed utilizzare questo qualcosa di energetico.
Per inquadrare meglio la questione, inseriamo lo ZED in un contesto molto più articolato; diversi ricercatori hanno scoperto che diversi manufatti riportano evidenti ed inequivocabili segni dell’impiego di strumenti ed attrezzature industriali e di precisione, attrezzature che se proprio non si vogliono classificare come superiori a quelle odierne, quantomeno sarebbero equiparabili per funzionalità e precisione, utensili come frese, trapani, seghe, ecc. ecc., per altro date le caratteristiche di taluni manufatti, qualcuno ipotizza persino l’impiego di apparecchiature computerizzate, quindi strumenti ed attrezzi motorizzati, ora, anche se è plausibile che disponessero di utensili a motore a scoppio, data la precisione di molti manufatti, questo implica l’impiego di motori ad elettricità vista la maggior flessibilità e vestibilità di impiego delle apparecchiature, perché se è vero che ci possano essere trapani e smerigliatrici a miscela, ma un tornio motorizzato in tal guisa, sarebbe ingestibile e meccanicamente complesso oltre misura.
Fonte immagine http://www.sapere.it/sapere/mediagallery/dighe.html?activeIndex=8
Tenendo presente l’attribuito livello tecnologico delle antiche civiltà, è inevitabile chiedersi dove possano essere i resti e le tracce delle loro infrastrutture, perché è fuori di dubbio che una civiltà tecnologicamente avanzata ne debba avere più di una, per sostenersi e alimentarsi, quindi assumendo che queste basassero la loro tecnologia sull’impiego di energia elettrica piuttosto che sugli idrocarburi, dove sono le dighe, gli invasi artificiali, le turbine e i generatori per produrla? Il fatto che non vi siano (ufficialmente) trace di queste infrastrutture, non attesta che non vi fossero, ma solo che non sono state ancora scoperte, inoltre questa eventuale assenza potrebbe essere dettata da una differente concezione strutturale e “ideologica”, non dimentichiamo che le infrastrutture moderne di cui disponiamo sono essenzialmente asservite e funzionali ad una società tecnologica diffusa soggetta ai principi economici del profitto e della speculazione.
Fonte immagine: https://phoo34.wordpress.com/2011/02/03/cosa-si-cela-sui-fondali-oceanici-iv%c2%b0/
Stando a quanto risulta dall’archeologia ufficiale, non sembra siano mai stati rinvenuti i resti di una qualche infrastruttura a sostegno di una tecnologia elettrica degli antichi, come detto, questo non attesta che tali infrastrutture non esistessero, però potevano essere concettualmente e strutturalmente differenti da quelle che noi conosciamo; personalmente sono convinto che le tracce e le testimonianze vi siano, come interpretare ciò che si osserva dall’immagine qui a fianco se non come una diga, come interpretare quelle insolite strutture presenti nella penisola del Sinai e nel sud dell’Egitto che costellano il territorio per chilometri, di cui ho parlato ampiamente negli interventi relativi ai geoglifi del Sinai.
Le evidenze archeologiche che indicano l’impiego di strumenti tecnologici avanzati sono molteplici, e gli indizi che tali strumenti fossero alimentati ad elettricità sono altrettanti; sorge però l’interrogativo di come potessero genere l’elettricità, considerando che si è scartata l’ipotesi delle centrali idroelettriche? Non mi metterò certo a fare un trattato sulla corrente ne su come è possibile produrla, sappiamo però che la forma di corrente più efficiente è quella alternata ed è inevitabile che per un uso industriale occorre produrne tanta, ora in assenza di dighe, questo pare pressoché impossibile se non con un sistema basato sigli idrocarburi, ma anche qui ci si trova di fronte al fatto che motori e turbine preistoriche non sono mai stati rinvenuti, quindi? In molti ritengono, a seguito del rinvenimento di alcune batterie (la batteria di Bagdad) elettrochimiche che la tecnologia antica funzionasse a corrente continua, ora, seppure in linea di principio l’ipotesi è valida, sotto il profilo pratico risulta incoerente, poiché è si possibile alimentare un piccolo dispositivo elettrico con quel tipo di alimentazione, ma non di certo uno strumento capace di tagliare, modellare, bucare materiali rocciosi tra i più duri, come potrebbe farlo un flessibile, un trapano una fresa ad alta velocità, sarebbe impossibile anche giocando nel mettere in serie e in parallelo pacchi e pacchi di batterie, non si potrebbe eguagliare le performance della corrente alternata.
A questo punto, che gli antichi usassero la corrente alternata pare essere un dato di fatto più che un’ipotesi, ma come la producevano, questo è ancora l’interrogativo a cui occorre rispondere, seppure ipotizziamo l’impiego di un numero sterminato di batterie e convertendone la corrente in alternata, queste si sarebbero esaurite molto rapidamente proprio per i carichi richiesti anche da un singolo utensile industriale, quindi la fonte doveva essere necessariamente un’altra. Voglio ulteriormente far notare l’inconsistenza dell’ipotesi delle batterie, perché se il sistema fosse stato quello, si sarebbero rinvenute cataste e cataste di batterie e così non è.
Un altro oggetto che mi fatto riflettere e fornito spunti di ricerca è un altro oggetto misterioso che anch’esso è spesso associato allo ZED, l’Ankh; nei diversi manufatti che ho raggruppato, sembra che al suo interno abbia un piccolo ZED, tutte riportano la medesima configurazione schematica ed in sintesi il medesimo oggetto, quindi è palese che il riferimento è preciso ed inequivocabile; Nello specifico, quello che più mi ha colpito sono i particolari della seconda immagine in cui si può vedere chiaramente che al disotto dei tre livelli della colonna sono presenti quattro strati alternati, cosa stanno ad indicare o cosa vogliono significare, visto che la stessa configurazione è riportata sulle braccia della croce ansata, inoltre, perché nei soprastanti livelli si vede una serie regolare più o meno verticale di altri elementi? Molti ricercatori ritengono che lo ZED sia in realtà una sorta di trasformatore e questi elementi concorrono a sostegno dell’ipotesi; sappiamo che un trasformatore moderno è costituito da un avvolgimento primario e da uno o più avvolgimenti secondari, separati ed isolati gli uni dagli altri e a grazie all’induzione elettromagnetica si ottiene una trasformazione della corrente che scorre nell’avvolgimento primario, in un voltaggio e amperaggio maggiore o minore, in funzione e in relazione delle caratteristiche dell’avvolgimento secondario, quindi da quanto si può osservare dalle raffigurazioni dell’Ankh possiamo perlomeno dire che è coerente con la rappresentazione di un trasformatore.
Devo precisare che mi sto ancora riferendo all’Ankh, cioè alla croce ansata che spesso viene definita “croce della vita” e che è un elemento quasi onnipresente nelle opere e nei geroglifici egizi; osservando meglio l’Ankh si osserva che in realtà le figure sono sovrapposte, quindi partendo dal fondo osserviamo la croce ansata, poi lo ZED ed in ultimo quella strana “forca”, cosa vuole dire questo “ideogramma” se non che tra i tre oggetti vi è una stretta relazione, si badi che ho detto relazione non connessione, visto che tra i vari elementi non si vedono fili che li collegano, va osservato che sulle braccia della croce ansata si possono notare delle linee che escono, ma di fatto queste linee non sembrano indicare un eventuale collegamento, ma forse il riferimento ad una fonte energetica; ora se disassembliamo l’Anck nella sua raffigurazione possiamo notare in modo più preciso i tre elementi, che scomposti come nell’elaborazione a fianco acquistano un significato ed senso logico, dove la croce ansata, è costituita da due bobine distinte e un corpo centrale che potrebbe costituire un’antenna ricevente, lo ZED, il trasmettitore e la strana forca uno strumento per la manipolazione o il controllo di uno dei due elementi o di entrambi. Ipotizziamo che l’Ankh fosse stato una sorta di “condensatore/batteria/interruttore” senza la quale qualsiasi strumento o macchinario non potesse funzionare, quindi chi avesse provato ad utilizzarli, non avrebbe potuto farli funzionare, cosi come chi si fosse impossessato improvvidamente della “chiave” avrebbe corso seri rischi di restare fulminato, non conoscendo come utilizzarlo; questo mi porta alla mente ancora un altro oggetto misterioso e mitologico, non solo relativo alla cultura egizia, ma anche a quella giudaico-cristiana, l’Arca dell’Alleanza, come ci dice la tradizione e come è riportato nella bibbia, sciagurati erano coloro che si avvicinavano ad essa poiché sarebbero stati folgorati. Dunque per poter avvicinarsi e “manipolare” l’Arca, occorrevano determinate precauzioni che solo una ristretta cerchia di adepti conosceva, quindi è altamente probabile che analoghe “procedure” descritte nella bibbia, fossero state copiate o assimilate dagli egizi, non dimentichiamo chi era Mosé e in quale ambito sociale crebbe. Ho citato l’Arca dell’Alleanza, anche perché in molti ipotizzano che originariamente l’Arca fosse custodita all’interno della piramide di Cheope e per la precisione nel sarcofago di granito all’interno della camera del Re, che guarda caso è situata proprio sotto lo ZED architettonico, luogo deputato da Sitchin come il posto dei cristalli.
Tornando al “binomio” Ankh/ZED, possiamo desumere che tutto ciò ammicca ad un sistema di circuiti risonanti, non troppo dissimile da quanto inventato da Tesla? Detto questo e seguendo questa strada, se l’Ankh è il “ricevitore” lo ZED è il trasmettitore, da dove attingevano l’energia? E questo ci riporta alla questione delle infrastrutture, infrastrutture che non avrebbero necessità di esistere se non per le sole “torri trasmittenti”, quindi ridotte al minimo e con una perdita pressoché nulla anche su grandi distanze, visto che l’energia non è dissipata dalla resistenza di una rete elettrica tradizionale. Sappiamo che Tesla per gli esperimenti sulla trasmissione dell’energia elettrica utilizzava della corrente prodotta da centrali idroelettriche e come da ortodossia archeologica, sappiamo che gli antichi, non disponevano di questa utilità, ma Tesla andò oltre, ipotizzando e sicuramente realizzando qualcosa di sorprendete e anche di più, ossia sfruttare l’energia della ionosfera. Gli esperimenti di Colorado Spring ne sarebbero a testimonianza e comunque realizzò qualcosa di radicalmente innovativo; paragonando la “cavità” compresa tra suolo e ionosfera ad una sorta di condensatore naturale ed interponendo adeguati strumenti tra i due terminali era possibile utilizzare questa energia, purtroppo Tesla fu fermato, il laboratorio di Colorado Spring smantellato e lui finì i suoi giorni in miseria, tutto questo perché di fatto, la civiltà “moderna” è asservita ai principi economici del profitto e della speculazione. Dunque potrebbe essere stato questo sistema che ha permesso alle antiche civiltà di disporre di energia elettrica con cui hanno realizzato le loro opere? L’ipotesi è plausibile, concreta e nonostante tali possibilità, siano oggi precluse per questioni “economiche” sicuramente funzionante e altamente efficiente, certamente il gran numero di indizi, sparsi qua e là non fanno una “prova provata” ma rendono un quadro d’insieme coerente e plausibile anche sotto l’aspetto strettamente tecnico e di realizzazione. Ora seguendo l’idea ed il progetto “tesliano” sarebbe sufficiente predisporre una adeguata antenna per catturare l’energia della ionosfera e tramite opportuni trasformatori convertirla, sappiamo che il differenziale tra terreno e ionosfera varia dai 200.000 ai 500.000 volt; è vero in quanto ad amperaggio, questo è particolarmente basso, pochi ampere per metro quadro oltretutto in corrente continua, per dare una idea, ricorrendo al classico esempio idrico, potremmo immaginare un larghissimo e profondissimo fiume quasi stagnate in cui l’acqua rappresenta il voltaggio e la corrente l’amperaggio e dove i trasformatori assumono la funzione di una pompa che preleva la corrente-voltaggio aumentandone la pressione-amperaggio. Seguendo quello che mi ricordo su come si costruiscono antenne, realizzare una antenna per captare a livello “radio” la frequenza herziana della ionosfera richiederebbe una antenna (filare) lunga svariati chilometri, anche volendo ridurne le dimensioni con opportuni “caricamenti” si prospettano problemi tecnici decisamente problematici, quindi la soluzione del problema non va ricercata in ambito “radiantistico” ma piuttosto in un contesto strettamente elettronico, ossia quello di realizzare gli opportuni contatti tra i terminali del “condensatore Terra”, in questa prospettiva sarebbe come predisporre una presa nel circuito elettromagnetico terrestre. Di seguito presento una serie di immagini che ho realizzato, in parte per dare più sostanza all’ipotesi dello ZED-trasformatore ed in parte per vedere quali potessero essere i problemi realizzativi di questa cosa; a parte le difficoltà strettamente legate alla realizzazione delle bobine per le loro dimensioni e le “forature” della colonna, tutto sommato non sembra che ve siano, pur restando in un approccio elettronico e non radiantistico.
Questa elaborazione mostra come sarebbe apparso lo ZED, va detto che si vocifera che originariamente fosse posto al vertice della piramide di Djoser e tra l’altro, sotto l’aspetto architettonico ne avrebbe rappresentato il giusto coronamento, ma poi forse per fragilità strutturale della piramide o forse per questioni belliche sarebbe stato celato all’interno della piramide di Cheope. Preciso che il progetto non è proprio in scala ed è stato dimensionato all’incirca all’altezza di una persona analogamente come si osserva in alcuni bassorilievi egizi presupponendo che questi in realtà fossero degli elementi intermedi tra lo ZED principale analoghi a quelli che potrebbero essere delle cabine di distribuzione o i contatori.
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Schema della ZED
Schema dello ZED
Schema degli avvolgimenti dello ZED
Bobina primaria dello ZED
Bobina secondaria dello ZED
Sezione della bobina secondaria autoinduttante
Alcuni riferimenti per i più curiosi
https://it.wikipedia.org/wiki/Risonanza_Schumann http://www.progettomem.it/appr_campinaturali.php?id=8 http://www.progettomem.it/appr_campinaturali.php?id=9 http://www.next.gr/inside-circuits/free-energy-collector-circuit-l5853.html
Fine stesura 17 febbraio 2017
Lo ZED Dopo un periodo di qualche mese, preso dagli impegni quotidiani mi accingo a scrivere questo nuovo intervento, intervento che scaturisce, come sempre da riflessioni, ricerche e dal confronto con diversi amici su posizioni ed ipotesi varie.
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